LO STATO PLURINAZIONALE
Percorsi di
ingegneria costituzionale interculturale
Tutor Dottorando
Chiar.mo Prof. Enrico Buono
Matr. D136000025
A GRADECIMIENTOS .............................................................................................. 7
I NTRODUZIONE
L A PLURINAZIONE COME ESPERIMENTO DI INGEGNERIA COSTITUZIONALE
INTERCULTURALE ........................................................................................... 13
C APITOLO I
L O S TATO COSTITUZIONALE DOWN UNDER NEL GLOBAL S OUTH :
PONTI EPISTEMOLOGICI AI CONFINI DELLA COMPARAZIONE GIURIDICA . 18
1.1 Everywhere, but always somewhere: il diritto comparato nel Global South ................. 23
1.1.1 Jumping the gun: costituzionalismo globale e altre “false partenze”
dell’omogeneizzazione giuridica............................................................................ 30
1.1.2 Letture del Sud “da Nord”: puntos ciegos e distorsioni prospettiche ........... 37
1.2 Southern Voices: gli apporti della critica postcoloniale alla postcolonial legal theory 45
1.3 Bridging the gap nel Global South: la lingua franca del pluralismo giuridico ......... 55
C APITOLO II
L A “ SVOLTA ” DECOLONIALE IN ABYA Y ALA E L ’ EMERSIONE DEL NUEVO
CONSTITUCIONALISMO .
L A ( PLURI ) NAZIONE TRA K THONOS , ETHNOS E (P O )D EMOS ...................... 59
2.1 Microstoria decoloniale di Abya Yala: autoctonia ed autorappresentazione
nelle epistemologie di un Sud locale .......................................................................... 59
2.2 Lineamenti di storia giuridico-costituzionale del Tawantinsuyu: dal Wut Walanti
al nuevo constitucionalismo ................................................................................................. 86
2.2.1 Wut Walanti: la “pietra rotta” della frattura coloniale e la genesi del derecho
indiano .......................................................................................................................... 91
2.2.2 Il costituzionalismo criollo, liberale e repubblicano ..................................... 101
2.2.3 L’«ataque» del neoconstitucionalismo e l’emersione del nuevo constitucionalismo
transformador .............................................................................................................. 104
2.3 La costruzione della (pluri)nazione tra Kthonos, Ethnos, e (Po)Demos ............... 107
2.4 Cosmovisione e plurinazione: la larga marcha dei movimenti indigeni andini per
la costruzione dell’Estado Plurinacional ..................................................................... 110
C APITOLO III
D E PASO CORTO Y MIRADA LARGA .
A NATOMIA PATOLOGICA DELL ’E STADO PLURINACIONAL : IL PROTOTIPO
BOLIVIANO ALLA PROVA DEL DECENNALE ................................................. 116
3.1 La plurinazione tra forma e tipo di Stato: spunti comparatistici sul federalismo
multinazionale e su un (possibile) regionalismo plurinazionale .........................117
3.1.1 Prospettive dell’Autonomía indígena originaria campesina ................................122
3.2 Suma Qamaña: il “test” del Vivir Bien ......................................................................128
3.3 Pluralismo jurídico igualitario: il mandato costituzionale “inascoltato” nel modello
boliviano di cooperazione inter-giurisdizionale .....................................................130
3.4 Principio della Descolonización e costituzione linguistica boliviana ....................140
3.5 Il prototipo boliviano alla prova del decennale: un bilancio conclusivo de paso
corto y mirada larga e la promesa incumplida delle (ri)elezioni presidenziali.....................144
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L’esemplificazione potrebbe continuare ad libitum: in buona sostanza, l’ambizione,
la portata e lo scopo del presente lavoro appaiono ab origine frustrati, censurabili
sotto un duplice profilo di anacronismo.
In primo luogo, in quanto la presente riflessione pone al centro lo Stato nella sua
veste – con Glenn – di «struttura di conciliazione» tra composite istanze culturali ed
etniche. In tal senso, intende interrogarsi sul potenziale euristico di una forma di
Stato (Demos) che, per espresso mandato costituzionale, si interpone tra Ethnos
(Nazione) e Kthonos (indigenità).
In secondo luogo, in quanto la presente tesi tenta di rinvenire una simile forma di
Stato – appartenente al più ampio genus di Stato multiculturale, nell’accezione declinata
da Amirante – nell’Estado Plurinacional boliviano e, più in generale, in quegli
ordinamenti del nuevo constitucionalismo andino che sembrano opporre maggiore
resistenza al giro a la derecha del continente iberoamericano. Sebbene, a loro volta, le
presidenze di Evo Morales e Rafael Correa (succeduto da Lenín Moreno) siano state
oggetto, prima, di facili entusiasmi e, poi, di acute critiche, trarre un bilancio laico
sullo stato di salute del circuito democratico andino – a dieci anni dalla
promulgazione delle nuove carte costituzionali – è operazione tutt’altro che
semplice.
L’osservazione empirica – e la conseguente ricostruzione teorica – di un modello
di Stato plurinazionale potrebbe, dunque, apparire futile: lo Stato risulta al più un
comprimario sul palcoscenico geopolitico globale; per altro verso, la “giovanissima”
costituzione di un paese incastonato tra la cordigliera delle Ande e la foresta
amazzonica – con una popolazione di soli 10 milioni di abitanti, dal dubbio tasso di
democraticità – non mostrerebbe valore predittivo per il comparatista europeo, afflitto
dall’ascesa dei populismi xenofobi e dal ritorno delle crociane piccole patrie.
Tuttavia, i medesimi argomenti potrebbero invertirsi – non è, forse, sovversiva la
funzione del comparatista? – giungendo a conclusioni diametralmente opposte:
melius re perpensa, lo Stato è un attore geopolitico sul viale del tramonto, ma
difficilmente eliminabile; le denunciate retoriche dell’esclusione, il globale giro a la
derecha, la risorgenza dei populismi, possono leggersi – sotto altro angolo visuale –
come conseguenza delle promesse non mantenute dalla globalizzazione.
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La democrazia – indebitamente separata dal suo attributo sociale – è, ovunque, in
crisi. Va quantomeno revocato in dubbio l’inattualità della riflessione sul ruolo dello
Stato nella mediazione interculturale e nella gestione delle tendenze secessionistiche:
invero forse – ed è questa la tesi di fondo che anima l’intero lavoro – sulle
potenzialità dell’ingegneria costituzionale interculturale non si è riflettuto abbastanza.
L’esclusione oggi dominante – può sostenersi – deriva anche dall’insuccesso delle
politiche inclusive elaborate sinora: la rottura tra Ethnos e Demos, nelle accezioni
prima declinate, ha per corollario tanto gli Orbán e i Salvini, quanto i Sánchez e gli
Iglesias; tanto la questione catalana, quanto la Brexit. Il riduzionismo dell’affermazione
che precede è volutamente provocatorio, a riprova di un aspetto: quando lo Stato
tradisce il suo mandato – la conciliazione delle diverse istanze – le istituzioni
democratiche entrano in crisi. Di là di ogni deriva retorica, ogni crisi porta con sé
elementi di opportunità: per questa via, rimeditare oggi sul rapporto tra Stato e
Nazione (recte, Nazioni) appare decisamente meno sterile ed inattuale. L’apertura alle
tradizioni giuridiche non occidentali merita d’essere praticata, in quanto – come
ricorda Menski – «appaiono intrinsecamente più adatte dei sistemi giuridici e dei
giuristi occidentali ad affrontare le sfide intellettuali e pratiche del diritto comparato
e del pluralismo giuridico».
L’idea di plurinazione, come emersa nel dibattito spagnolo ed elaborata in sede
costituente dai movimenti indigeni andini, è una potente chiave di lettura, non priva
di paradossalità. Con metafora architettonica, l’Estado Plurinacional boliviano è una
costruzione barocca, che combina elementi spuri tratti da fonti disparate e, per il
comparatista occidentale, apparentemente inconciliabili: una corte costituzionale
elettiva, composta da magistrati giovanissimi, in grado di sindacare financo in via
astratta, affiancata da una Unidad de Descolonización composta in prevalenza da
antropologi e sociologi indigeni, esperti di sistemi giuridici tradizionali; un tipo di Stato
unitario, ma autonómico, con l’attribuzione di uno statuto speciale e poteri
notevolmente ampi alle comunità indigene, seppur condizionata all’esito di un iter
decisionale rimesso al Tribunal Constitucional Plurinacional; un’equiparazione, formale e
sostanziale, tra tre diversi ordini giurisdizionali – ordinario, agroambientale e
indigeno – dalla controversa implementazione. Non può negarsi, sotto il profilo
tecnico e istituzionale, la fascinazione suscitata da un simile esercizio di constitutional
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design: all’analitica disamina dei menzionati aspetti del costituzionalismo boliviano –
elevato a case study nell’elaborazione modellistica di un’ingegneria costituzionale
propriamente interculturale – è dedicato il Capitolo III del presente lavoro.
Procedendo a ritroso, il Capitolo II tenta di ricostruire una storia decoloniale di Abya
Yala, nome ancestrale del continente sudamericano. È un’opzione storiologica dalla
parte di Calibano, che passa in rassegna i maggiori contributi della letteratura decoloniale,
pur avvertendo il pericolo, costante, «di incorrere in modalità coloniali di pensare la
decolonialità». Per scongiurare tali ineliminabili rischi metodologici, è costante il
richiamo al pensiero post-abissale del sociologo Boaventura de Sousa Santos. All’esito di
un percorso che muove dall’invasione del Tawantinsuyu, quale peccato originale della
modernità, è proposta una narrazione dell’ideologia plurinazionale tra Ethnos e
(Po)demos, tra movimenti indipendentisti spagnoli e rivendicazioni indigene, poi
tradotte nei postulati del nuevo constitucionalismo andino: la comparazione critica tra
neoconstitucionalismo e nuevo constitucionalismo è qui riproposta secondo l’autorevole
impostazione di Pegoraro.
Il Capitolo I, infine, riassume l’impianto teorico e l’impostazione metodologica
dell’intera tesi: in esso, si elaborano alcune chiavi ermeneutiche per il comparatista
che intenda affrontare gli ordinamenti del Global South. Di tale Sud politetico (a sud di
nessun Sud, direbbe Ascione parafrasando Bukowski) si prova a fornire una possibile
definizione, tramite il richiamo alle teorie postmoderne e agli studi di law and
globalization, avvertendo al contempo dei rischi metodologici che una simile
operazione naturalmente comporta.
La comparazione «transcontinentale» tra esperienze costituzionali è – ancora oggi
– scarsamente esplorata, nonostante la presenza di elementi comuni, che questa tesi
ambisce a dimostrare: la compiuta disamina dei paradigmi sanciti costituzionalmente
in questi contesti «così vicini eppure così lontani», può evidenziare i gaps tra
ingegneria costituzionale ed effettiva implementazione. Affinché possa rinvenirsi
l’utopia necessaria di un costituzionalismo solidaristico idoneo a prevenire, con
Rodotà, «il rischio di passare dalla frammentazione individualistica, […] a una
scomposizione della società in gruppi custodi della propria individualità».
Rischio che – nell’Europa delle piccolissime patrie, degli Orbán e dei Salvini – appare
quanto mai, profeticamente, attuale.
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