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<J~kmero 237, luglio-agosto-settembre 2013
m. 11 Jaca Book Il
itài16Jrci1 dlverso provenienza lingulstlco. culturale e disciplinare. stanno reoliZzando, in edizione lto-
·jj(ìfib/pcilacca. spagnolo e tedesco, una se~e completo di manuali per l'Insegnamento dello teolo-
:~gki lr{f'ocoltò, Seminari, Istituti di scienze religiose e corsi per laici. Gli autori hanno come riferimento
'boml'.ii'ìel'opera di Henrl de Luboc e Hons Urs von Bolthasor, con l'Intento d1 tornire un'esposizione or-
g6nididel dogma cristiano fedele allo tradizione e attento alle ricerche attuali.
Rivista fondata da
Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac, Joseph Ratzinger
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INOS BIFFI
RIFORMA E RITI DEL NUOVO
MESSALE AMBROSIANO
PAG. 560, €64 100
ISBN 978-88-16-41221-7
Il Jaca Book Il
:·.In copertina: Manzoni e Rosmini seduti a un tavolo, nell'atto di scambùzrsi il Nuovo saggio sull'origine delle idee
e Il Cinque Maggio. Disegno cli anonimo (particolare). Brusuglio, Villa Manzoni.
3 Cfr. L. Bruni, Il mercato e le relazioni umane. Ci serve tutto un altro film, in:
"Avvenite", 5 maggio 2013.
4 C.S. Lewis, I quattro amori. Affetto, amicizia, eros, carità, Jaca Book, Milano 19902,
pp.59-60. .
' Anche l'amore tra uomo e donna è esperienza di preferenza, di scdta e di
condivisione. Se l'amicizia di tanto in tanto si può trasformare in amore, molto più
difficilmente accade il contrario.
6 P. Florenskij, La colonna, cit., p.477.
7 Cfr. K.H. Rengstorf, in GLNT, Paideia, Brescia 1967, vol. 3, coli. 1003-1010. Lo
stesso si deve dire del lavoratore della vigna che si lamenta dd salario ricevuto dopo
che era stato pattuito e a cui il padrone si rivolge chiamandolo appunto «hetairoS» (Mt
20,13) e dell'ospite che si presenta al banchetto senza veste nuziale e al quale il re si
rivolge con l'appellativo di «hetairoS>> (Mt 22,12).
nerazione>> 8 del bacio si nasconde tutta la distanza del cuore di Giuda dal
cuore di Cristo. ·
Non è senza importanza poi ricordare che i discepoli di Cristo si con-
cepirono sempre come suoi servi, douloi e mai come hetairoi, compagni,
amici occasionali. Dovendo poi specificare i rapporti interpersonali, gli
· stessi cristiani lo fecero impiegando sempre il termine di adelphoi, fratelli
e mai quello di hetairoi. «E ciò si spiega, scrive K.H. Rengstorf, in quanto
essi [i cristiani] hanno sentito e accolto la loro reciproca comunione come
qualcosa di indipendente dai loro desideri e dalla loro volontà, e che per-
ciò li accomunava più strettamente>> 9. Non per nulla Gesù ha ricordato ai
suoi discepoli che «non voi avete scelto me, ma io ho · scelto voi>>
(Gv 15,16).
Commentando non senza un tocco di ironia questo versetto del Van-
gelo, Lewis ha scritto: «L'amicizia non è una ricompensa per il discerni-
mento e il buon gusto che abbiamo dimostrato di possedere trovandoci
vicendevolmente>> io.
Non possiamo dimenticare la novità portata da Cristo quando si tratta
di definire i rapporti che egli ha inteso stabilire con i suoi discepoli e, tra-
mite loro, con tutti gli uomini: «Non vi chiamo pz'ù servi, perché il servo
non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15).
Infine, un'ultima considerazione sulla quotidianità come elemento es-
senziale per la costruzione dell'amicizia. Comnientando il famoso testo
di Giovanni: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita
per i propri amici (Gv 15,13)», F1orenskij ha scritto: <<La potenza e la dif-
ficoltà dell'amicizia non si esprimono in un pirotecnico attimo di eroismo,
ma nella placida fiammella della pazienza di tutta una vita». E alcune pa-
gine più avanti così proseguiva: <<Il massimo amore agapico è realizzabile
soltanto nel rapporto con gli amici, non con tutti gli uomini, non "in ge-
nerale". Ma sarebbe troppo semplicistico pensare che dare la propria vita
per gli amici" significhi morire per loro. Morire per gli amici è soltanto il
grado ultimo (e non il più difficile) nella scala dell'amicizia, ma prima di
. morire per gli amici, bisogna essere loro amico e questo si raggiunge
con uno sforzo ascetico lungo e difficile» 11•
Il dilemma dell'amicizia è ancora racchiuso in un cambiamento verba-
le: dall'avere, all'essere amici. Si è amici solo se l'altro, l'amico appunto, è
. cercato e voluto per quel che è e non anzitutto per quel che ha. Le parole
di Paolo ai Corinzi possono essere lette in questa direzione: <<Non cerco i
s G. Stah.lin in GLNT, Paideia, Brescia 1984, vol. 14, coli. 1182-1186; qui alla col.
1186.
9 K.H. Rengstorf, in GLNT vol. 3, col. 1008.
10 C.S. Lewis, I quattro amori, cit., p. 85.
11 P. Florenskij, La colonna, cit., pp.501e521- 522.
vostri beni, ma voi>> (2Cor 12,14). In un procedimento inverso, l'amico
cerca il mio io e non le cose che possiedo. L'amicizia nasce solo quando
l'io che si offre trova spazio nell'io che accoglie e così «ciascuno vive del-
1'altro, o meglio la vita dell'uno e dell'altro scaturisce da un unico e comu-
ne centro che gli amici con sforzo ascetico creativo pongono davanti a
sé» 12• Lewis l'ha fatto notare con la sua solita precisione: gli innamorati
stanno <<laccia a faccia», gli amici «fianco a fianco; i loro occhi sono rivolti
in avanti>> 13 •
12 lbid., p. 499.
13 C.S. lewis, I quattro amori, cit., p. 66.
L'amicizia di Gesù
con Marta e Maria
1. Un tema neotestamentario
1 K. Treu, «Freundschaft», Reallexikon far Antike und Christentum, vol. vm, a cura
di T. Klauser, Hiersemann, Stuttgart 1972, pp.418-434, A. Miiller, «Freundschaft»,
Historisches Worterbuch der Philosophie, vol II, a cura di J. Ritter, K. Grilnder, G.
Gabriel, Schwabe, Base! 1973, pp.1105-1107; J.-C. Fraisse, Philia. La notion d'amitié
dans la philosophie antique, Vrin, Paris 1974; O. Kaiser, Lysis oder von der Freundschaft
(1980), in Id, Der Mensch unter dem Schz'cksal. Studien zur Geschichte, Theologie und
Gegenwartsbedeutung der Weisheit, in: "Bcihefte zur Zeitschrift fiir elle alttestamen-
tliche Wissenschaft" 161, de Gruyter, Berlin 1985, pp.206-231; John T. Fitzgerald (a
cura di), Flattery and Frankness of Speech. Studies on Friendship in the New Testament
World, in: "Novwn Testamentum · Supplements", 82, Brill, Leiden 1996; Id. (a cura
di), Graeco-Roman Perspectives on Friendship, in: ''Resources for Biblica! Study'', 34,
Scholars Press, Atlanta 1997.
è affatto convinta, e anche la modernità è scettica. Gli dei non sono forse
capricciosi? Dio non è forse troppo lontano dall'uomo, troppo sublime,
troppo grande, per essere un buon amico degli uomini? E gli uomini
non sono forse troppo egoisti per diventare amici di Dio? Fino a che pun-
to Dio si interessa della vita di un uomo? Fino a che punto gli uomini sono
disposti a far avvicinare Dio a sé? Quella dell'amicizia con Dio è una te-
matica di grande intensità, capace di far magnificamente vedere una vita
che metta assieme amore di Dio e amore del prossimo, imago Dei e gioia
di vivere. Ma l'amicizia con Dio è un sogno o qualcosa di più? E l'amicizia
umana non è forse in concorrenza con l'amore di Dio? O le due sono in-
vece legate, magari addirittura unite? 2 Ma allora in che modo lo sono, sen-
za violare né la divinità di Dio né l'umanità dell'uomo?
Aristotele cita alcuni detti che, con leggere variazioni, sono rimasti
uguali fino ad oggi: <<ll simile va col simile>> (Eth. Nich. VIII 2 1155a
34); un cuore e un'anima sola (Eth. Nich. IX 8 1168b 8), «gli amici hanno
tutto in comune>> (Eth. Nich. IX 8 1168b 8), <<le cose degli amici sono co-
muni>> (Eth. Nich. VIII 11 1159b 3 ls.); gli amici condividono «gioie e do-
lori>> (Eth. Nich. IX 4 1165a 8s.). È questo il suo punto di partenza. Tut-
tavia, Aristotele noff sarebbe un filosofo se si limitasse ad avvalorare le
massime quotidiane. Egli, invece, le critica e le modifica, e come Platone
nel Lz'side, scava in profondità la questione dell'amicizia.
2 È la tesi dell'enciclica Deus caritas est, in cui tuttavia Benedetto XVI non prende
tanto in considerazione l'amicizia, ma scrive, con gli occhi puntati su Gesù Cristo, dove
è fondata l'unità tra l'amore di Dio e l'amore del prossimo: «ll suo amico è mio amico»
, (n.18).
3 Cfr. F. Ricken, Ist Freundscha/t eine Tugend? Die Einheit des Freundschaftsbegriffi
der «Nikomachischen Ethik», in: "Theologie und Philosophie", 75, 2000, pp. 481-492.
Aristotele distingue fra tre tipi di amicizia: la prima ha per fine il dilet-
to, la seconda l'utilità e la terza l'edificazione. Tutte e tre le fonne sono
caratterizzate dall'uguaglianza e dalla comunione: «amicizia è uguaglian-
za» (Eth. Nich. IX 8 1168b 9). Ma il peso e la fonna dati all'uguaglianza
e alla relativa amicizia sono molto diversi. Ci si può incontrare con persone
affini per praticare insieme uno sport o occuparsi dei propri hobby; in
questo caso, se non c'è un'evoluzione, si resta insieme solo finché se ne
ha voglia. Ci sono anche gli «amici d'affari», dei quali va coltivato il favore
se si vuole restare nel giro. I compagni di battaglia devono essere come le
dita di una mano, altrimenti non c'è speranza; dopo la guerra ognuno va
per la propria strada, e si ritrovano al massimo agli incontri tra veterani. I
colleghi di lavoro sono più produttivi se non c'è proprio assoluta antipatia
tra loro, ma in azienda il loro non è che un patto di convenienza. Sono
tutte amicizie fragili, sono tutti amici interscambiabili. Le amicizie più a
rischio, e quelle più pericolose per gli altri, sono quelle politiche. Il sillo-
gismo <<nemico - acerrimo nemico - compagno di partito» non suonereb-
be strano neppure nell'antichità. Le amicizie politiche servono a conserva-
re il potere, a gestire gli interessi, a far valere le proprie ambizioni. È un
caso raro e felice che ciò non accada a danno di altri e sia accompagnato
da mutua simpatia, destinata anche ai molti che sono estranei alla cerchia.
Altrimenti l'amicizia è solamente egoismo camuffato.
Diversa è la terza tipologia di amicizia, l'unica vera: quella interessata al
bene. I buoni amici hanno un senso del bene, per sé e per l'altro 4 • Che si
tratti di cultura o gioia di vivere, di arte e scienza o tecnica ed economia,
ciò che è buono favorisce la comunione fra gli uomini e nella comunione è
sentito e favorito con più intensità. La vera amicizia può svilupparsi anche
tra amici d'affari e compagni di partito, tra colleghi di lavoro o tra i mem-
bri di un'associazione: tanto meglio per l'amicizia, e anche per la capacità
di far legittimamente valere i propri interessi. In un certo senso, l'amicizia
stessa è un bene prezioso. Esiste di per se stessa, ma non sotto forma di
uno stadio più elevato di egoismo da condividere con gli altri, bensì come
scoperta reciproca e supplemento di umanità, senso della bellezza, giusti-
zia. A differenza di quelle che servono soltanto al piacere, al profitto e al
potere, queste amicizie non fanno male a nessuno.
4 Cfr. E. Peroli, Le bien de l'autre. Le role de la <philia» dans l'ethique d'Aristote, in:
"Revue d'ethique et de theologie morale", 242, 2006, pp. 9-46.
mo e li trovi.amo, non sono beli' e pronti. Certo, l'amicizia va curata; biso-
gna investirci tempo ed energia. Ma se si prova solo avversione l'amicizia
non può decollare. Se però le si resta fedeli, ci si rende felicemente conto
che gli altri non sono concorrenti, ma partner che gioiscono e soffrono con
noi; e altrettanto felicemente ci si scopre disponibili al coinvolgimento, ca-
paci di amare, destinati alla comunione.
La vera amicizia presuppone un mettere in comune. Non che si debba
per forza passare molto tempo insieme. Ma senza una profonda affinità
d' anime, senza un fitto scambio di idee, senza che si pensi di continuo al-
1'altro, senza compassione l'amicizia non nasce. Gli interessi comuni sono
una gran cosa, ma l'amicizia è più di un patto di convenienza a tempo.
Quando è fondata sulla simpatia, un'amicizia ha la forza di superare i con-
fini tra ricco e povero, padrone e servo. E tuttavia, l'amicizia è contraddi-
stinta dalla reciprocità; in caso contrario si violerebbe il principio di ugua-
glianza. Quello che l'uno fa per l'altro, lo farebbe anche questi per il
primo, se necessario. Le amiche e gli amici devono aiutarsi a vicenda, sen-
za chiedersi che cos'è mio e che cos'è tuo, ma dando ciò di cui l'amica o
l'amico hanno necessità. La vera amicizia si vede nel momento del biso-
gno. Nell'antichità era convinzione comune che gli amici dovessero anche
essere pronti a sacrificare la vita l'uno per l'altro. Die Burgschaft [«La ga-
ranzia»] di Schiller ne è un grandioso inno 5 .
Per lo stesso motivo per cui è convinto assertore dell'amicizia tra gli
uomini, Aristotele dubita che esista amicizia tra Dio e gli uomini (Eth.
Eud. 1244B 5ss.; Eth. M. 1208 ecc.), dal momento che non può esserci
uguaglianza, che pure è un elemento essenziale dell'amicizia. Gli dei pos-
sono senz'altro fare qualcosa per gli uomini, e gli uomini per gli dei. Dei e
uomini possono entrare in contatto. I Greci conoscono i prediletti degli
dei, e conoscono i capricci del destino (Hom. Il. 1, 196 ecc.). Platone parla
senza dubbio di un'amicizia tra dei e uomini, ma soltanto uomini buoni,
virtuosi (Symp. 193b. 212A ecc.); Isocrate (Or. 9,70) e Senofonte (Mem.
lv 8,3) si accodano. Epitteto cita uno che rispetta gli dei, un «amico degli
dei» (Diss. II 17,29). Ma Aristotele è più rigido. Con il motore immobile
non ci possono essere rapporti di amicizia. E gli dei, per quanto possano
a) La saggezza dell'amicizia
Tutto questo è forse valido anche nel rapporto con Dio? 10 L'Antico
Testamento è piuttosto cauto. Dio va temuto e amato «con tutto il cuore,
con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dn 6,4s.). Dio, infatti, ama il suo
popolo. Ma può Dio, l'Unico, essere amico degli uomini? E un uomo ami-
co di Dio? Non sarebbe forse una banalizzazione? L'Antico Testamento
ha buone ragioni per essere cauto. Dio non si mette sullo stesso piano de-
gli uomini, e gli uomini sono tenuti a riconoscere l'unicità di Dio. Forse
che si può conciliare tale unicità con i rapporti di amicizia? Questi posso-
no, certo, essere asimmetrici; ma non è proprio il monoteismo a far cadere
il principio di reciprocità?
Nonostante questo, ci sono alcuni testi, veterotestamentari e risalenti al
primo giudaismo, che parlano di amicizia con Dio: sono quelli apertisi al
pensiero e alla lingua dei Greci, pur restando imperniati sulla Bibbia. Sono
tutti incentrati sul problema di come Dio, l'Unico, possa intrattenere delle
relazioni con gli uomini. In altri termini: se e' è vero amore tra Dio e gli
uomini - cosa che l'Antico Testamento testimonia ampiamente - allora
non ci sarà forse anche una particolare forma di amicizia?
Ne è convinto, nella sua saggezza, il re Salomone. Secondo il Libro del-
la Sapienza, lo scritto più recente dell'Antico Testamento, egli loda la so-
phia, alla quale spetta onnipotenza, e che dunque <<tutto rinnova e attra-
verso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti>>
(Sap 7,27; cfr. 7,14). Due sono qui gli elementi determinanti: che senza
una figura di mediazione come la sapienza non è possibile alcuna amicizia
con Dio, e che questa amicizia è posta in essere da Dio stesso, il quale si
9 Cfr. F. V. Reiter (a cura di), Freundschaft bei Ben Sira, in: "Beihefte zur Zcitschrift
fUr die alttestamentliche Wissenschaft", 244, de Gruyter, Berlin 1996; J. Corley, Ben
Sira's Teaching on Friendship, in: "Brown Judaic Studies", 316, Brown University,
Providence (RI) 2002.
10 CTr. E. Peterson, Der Gottes/reund, in: "Zeitschrift fUr Kirchengeschichte", 42,
1923, pp.161-202.
serve cl.ella sapienza per stringere amicizia. Giocare l'unicità di Dio contro
l'idea dell'amicizia con Dio significa trascurarne l'onnipotenza. E tuttavia
il Libro della Sapienza non chiarisce che cosa significhi, in esso, «amicizia>>
se non prossimità e amore a Dio; e viene spontaneo chiedersi chi sia mai
questa «signora Sapienza», se non una divinità.
Prosegue su questa strada Filone Alessandrino, che ha davanti agli oc-
chi Abramo 11 • Egli si ricollega forse ad alcune - pur tuttavia ambigue -
locuzioni di Is 41,8 e 2 Cr 20,7 (dove la Vulgata, a differenza dei Settanta,
scrive amicus); in ogni caso è collocato in una tradizione giudaica un po'
più ampia 12 , che lascia tracce anche in Giacomo (2,23) e in Clemente Ro-
mano (1 Clem 10,1; 17,2). Di solito si tratta né più né meno che del par-
ticolare rapporto di fiducia che si fonda sull'elezione divina e sulla fede di
Abramo. Filone, da parte sua, riflette sulla modalità in cui questa amicizia
si rende possibile 13 • Egli risolve il problema di comunicazione posto dal
monoteismo astratto ricorrendo a una rielaborazione biblica della teologia
neoplatonica, secondo cui Dio, nella sua filantropia 14 , prende contatto con
gli uomini in modo non diretto, ma indiretto, con la mediazione del Logos
(Decal. 33 ); e gli uomini che trovano Dio sono condotti al di là di se stessi,
e al contempo in profondità insospettate della loro anima, profondità che
non saranno mai in grado di misurare con la propria coscienza 15 • L'ami-
cizia con Dio porta dunque fuori dal mondo, benché al contempo in
una più salda obbedienza alla legge. Anche se può mostrare che la speran-
za che avevano in mente i Greci, quella di essere buoni amici del divino, il
Dio vero non la delude, Filone lascia aperte due questioni, una relativa al
rapporto tra Dio e il Logos e laltra all'unità, nell'uomo, tra corpo, anima e
spirito.
11 Abr. 89.273; Sobr. 56; Men. 53ab; Prob. 42; Quaest. gen. 4,33; cfr. Praem. 26s.;
Abr. 123. In Praem. 24 e Abr. 50 cita tutti e tre i patriarchi insieme; Giacomo da solo in
Ios. 167 200 (cfr. Praem. 43s.); Abele in Det. 50 (cfr. Det. 78); Enos, Enoch e Noè in
Abr. 46, ma soprattutto e assai spesso Mosè: Leg. 1,41; 4,175; Virt. 77; All. 1,176;
2,88.90; 3,129; Plant. 62; Sobr. 19; Conf 92; Cher. 49; Sacr. 77; Migr. 67; Mos. 1,67;
2,163; Imm. 156; cfr. Mos. 1,156; Sacr. 130; Ebr. 94; Migr. 45; Her. 21; Alt. 3,204.
12 Jub. 19,9; cd 3,2; ApkA.br 9,6; 10,6.
13 Cfr. Y. Amir, Die hellenistische Gestalt des Judentums bei Pbtlon von Alexandri~,
in: "Forschungen zum judisch-christlichen Dialog", 5, Neukirchener Verlag,
Neukirchen-Vluyn 1983, pp. 207-219.
14 Cfr. C. Spicq, Notes des Lexirographie néo-testamentaire, in: "Orbis biblicus et
orientalis" 22, Éditions Universitaires, Fribourg 1978, Il pp. 922-927.
15 Cfr. G. Sellin, Gotteserkenntnis und Gotteserfahrung bei Philo von Alexandrien, in
H.-J. Klauck (a cura di), Monotheismus und Christologie. Zur Gottesfrage im
hellenistischen Judentum und im Urchristentum, "Quaestiones disputatae" 138,
Herder, Freiburg iB.-Basel-Wien 1992, pp.17-40.
4. Gli amici di Gesù
26 Cfr. G. R. O'Day, ]esus as Friend in the Gospel o/ fohn, «lnterpretation», 58, 2004,
pp.144-157.
27 Cfr. R. Schnackenburg, Freundscha/t mit ]esus, Herder, Freiburg i.B.-Basel-Wien
1995.
2s Cfr. L. Abramowski, Die Geschichte von der Fuftwaschung aoh 13), in: "Zeitschrift
fiir Theologie und Kirche", 100, 2005, pp.176-203.
29 Cfr. J. Zumstein, Kreative Erinnerung. Relecture und Auslegung im ]ohannese-
vangelium, in: "Abhandlungen zur Theologie des Alten und Neuen Testaments" 84,
Theologischer Verlag, Ziirich 20042. Su Gv 15 cfr. K. Haldimann, Rekonstruktion und
Ent/altung. Exegetische Untersuchungen zu ]oh 15 und 16, in: "Beihefte zur Zeitschrift
fiir die alttestamentliche Wissenschaft", 104, de Gruyter, Berlin 2000.
30 Cfr. T. Soding, ]esus und die Kirche. Was sagt das Neue Testament?, Herder,
Freiburg i.B.-Basel-Wien 2007, pp.205s.
ci>> p~rché lo sono. Egli, <<maestro e signore» (Gv 13,13), ha lavato loro i
piedi, rendendoli, così, <<mondi>> (Gv 13, 10). Senza l'amicizia che Gesù
dona loro, essi non potrebbero aver parte alla sua missione, spiegata nella
frase immediatamente successiva (Gv 15,16); la partecipazione alla sua
missione, tuttavia, è necessaria non perché i discepoli si beino della magni-
ficenza dell'amore di Gesù, ma affinché gli uomini a cui portano la Parola
di Dio non abbiano alcun tipo di svantaggio rispetto a chi ha incontrato
Gesù personalmente. Tutti hanno bisogno dell'amore indiviso di Dio e de-
vono poterne fare esperienza. Gv 15,15 riconduce il mutamento di status,
che è anche un mutamento ontologico, al fatto che Gesù ha rivelato ai di-
scepoli ciò che gli ha mostrato il Padre (Gv 1,18); una rivelazione che non
è una mera informazione, ma una comunicazione dell'amore di Dio al
mondo, che si mostra nel dono del Figlio (Gv 3,16).
Essa include la morte di Gesù, anzi, è proprio la morte di Gesù ad
esprimerla perfettamente. Non è un caso che Gesù parli dell'amicizia
con i discepoli proprio nel discorso di congedo. La loro amicizia è con-
traddistinta dalla sua morte, e al contempo la oltrepassa. La frase chiave
è: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri
amici» (Gv 15,13) 31 • La frase cita un topos dell'etica amicale ellenistica,
facendolo tuttavia saltare. I Greci, come gli Ebrei, conoscono l'amicizia
di sostituzione escludente: un amico si sacrifica per I' altro in modo che
questi non debba morire. La sostituzione di Gesù è invece di tipo inclu-
dente: i discepoli muoiono con lui, ma resuscitano allo stesso modo con
lui, e hanno già ora, secondo Giovanni, la vita eterna. La morte di cui
muoiono gli amici che si sacrificano l'uno per laltro è dovuta in Grecia
al tragico fatto che i principali conflitti irrisolvibili degli dei sono risolti
sulla terra, con il coinvolgimento degli uomini. Per questo la morte di
cui muore lamico per I'amico non è che differita. Gesù, invece, l'ha supe-
rata. Egli è l'amico che muore per gli amici affinché essi vivano. È il buon
pastore che dà la vita per le pecore (Gv 10).
L'amore di Gesù non è rivolto soltanto a quelli che sono già suoi amici;
piuttosto, egli li rende amici nel misurare la sua parola sulla propria vita:
fino alla morte. Ecco perché il contrasto con la relativizzazione paolina
31 Cfr. J. Schroter, Sterben fur Freunde. Uberlegungen zur Deutung des Todes Jesu im
]ohannesevangelium, in A von Dobbeler, K. Erlemann, R Heiligenthal (a cura di),
Religionsgeschichte des Neuen Testaments. Festschri/t /Ur Klaus Berger z.um 60.
Geburtstag, Francke, Tubingen-Basel 2000, pp. 263-287; K. Scholtissek, «Bine groftere
Ii.ebe hat nie.mand, als wenn einer sein Leben hingibt /ur seine Freunde» (]oh 15,13).
Die hellenistische Freundscha/tsethik und das Johannesevangelium, in: J. Frey, U.
Schnell.e (a cura di), Kontexte des Johannesevangeliums. Das vierte Evangelium in
religions- und traditionsgeschichtlicher Perspektive, in: "Wissenschaftliche Untersu-
chungen zum Neuen Testament", 175, Mohr Siebeck, Tiibingen 2004, pp.413-439.
dell'etica dell'amicizia di Rm 5,5ss. è solo apparente. Qui l'Apostolo sot-
tolinea che tra gli uomini tutt'al più si può sperare che qualcuno muoia
per una persona buona, mentre Dio ha dato suo Figlio per gli uomini
quando erano ancora suoi nemici. La concezione giovannea enfatizza,
da parte sua, gli effetti della riconciliazione: l'amicizia con Dio, che si in-
fiamma nella persona di Gesù.
Nella teologia giovannea l'amicizia con Dio si fa presente sotto forma
di amicizia con Gesù. Il fatto che esista questa amicizia si basa non solo
sull'onnipotenza, ma anche sulla onnibontà di Dio: sull'amore, che egli
non solo dona, ma è (1Gv4,8.16). Ma nell'incontro con Gesù si accende
anche l'amicizia umana, graziè al 'contagio' di Gesù che fa amicizia con i
suoi. Si tratta di un'autentica reciprocità, tanto radicale quanto I'asimme-
tria del rapporto, dal momento che Gesù dichiara i discepoli suoi amici.
L'amicizia di Gesù, suggellata dalla sua morte, è tanto grande che egli ren-
de dei «servi>> uomini liberi, in grado di amare; uomini che nell'amare Dio
non sono solo oggetti, ina anche soggetti della Sua grazia, capaci dunque
di ricambiare e rafforzare l'amicizia.
Nota biografica
Nato ad Hannover nel 1956, è docente di esegesi del Nuovo Testamento nella
Facoltà di teologia cattolica dell'Università di Bochutn (Germania); dal 2009 è anche
membro della Commissione teologica internazionale.
Basilio di Cesarea e
Gregorio di N azianzo:
un'amicizia al vaglio della fede
di
Giuseppe Laiti
1. Eravamo un'anima sola: del tutto l'uno per l'altro (Elogio 19)
Così, con il vocabolario tipico della tradizione greca per qualificare l' a-
micizia, Gregorio sintetizza il legame che aveva instaurato ad Atene con
Basilio, nel quadro del perfezionamento dei loro studi. «Mentre cercavo
l'eloquenza, trovai la felicità>> (Elogio 14). Con questa esclamazione, a di-
stanza di trent'anni, il nazianzeno comunica ancora l'eco festoso dell'insor-
gere di quella amicizia. L'amicizia rende felici perché consente la condivi-
sione e con ciò il poter essere l'uno motivo di gioia per l'altro. Non a caso
Aristotele aveva collocato la trattazione dell'amicizia tra le virtù morali e la
beatitudine contemplativa (Etica a Nicomaco VIII-IX). Essa infatti consente
l'attuazione della natura sociale dell'uomo, diviene sollecitazione alla virtù
in vista del divenire bene l'uno per l'altro. Comunanza di ideali, di senti-
menti, libertà comunicativa, condivisione di vita, gioia dell'incontrarsi, fa-
cevano dell'amicizia una ragione di felicità, di vita saggia e bella. Così la
tradizione filosofica forniva ai due studenti poco più che ventenni il voca-
bolario per nominarne le componenti e il quadro interpretativo per custo-
dirne il pregio 4 :
«Tutto era assolutamente comune, eravamo un'anima sola che connetteva due cor-
pi separati. Quello che ci condusse ad un'eccezionale unità fu questo: Dio e il de-
siderio delle realtà migliori. Da quando giungemmo ad una fiducia così coraggiosa
da comunicarci pienamente anche le intime profondità del cuore, ci sentimmo an-
cor più stretti l'un l'altro dalla simpatia. L'identità delle convinzioni costituisce in-
fatti un'attendibile spinta verso una coesione di vita» (Autob. 228-236).
Del suo forte e gioioso prendere forma Gregorio ricorda nitidamente
tre momenti:.giunto ad Atene poco prima poco prima di Basilio, si era fat-
to premura di fargli trovare una buona accoglienza, liberandolo dall'inizia-
zione goliardica riservata in genere alle matricole. Era poi intervenuto
spontaneamente al suo fianco in una gara di retorica tra studenti, in modo
che fosse chiaro che la ricerca della verità contava più della abilità di pa-
rola; soprattutto aveva condiviso con I'amico il gusto per la sapienza e la
virtù, piuttosto che per le schermaglie della competizione. In un ambiente
4 Si veda L. Pizzolato, L'idea di amicizia nel mondo antico classico e cristiano, ed.
Einaudi, Torino 1993.
che agli occhi di Basilio risultava "una allegria senza fondamento" per la
quale ·non riusciva a sentire attrattiva (Elogio 18) i due amici diedero vita
ad uno "spazio" diverso: si costituì attorno a loro una sorta di "confrater-
nita" dagli interessi più profondi, tale da influire non poco sul clima della
scuola, spesso in preda alla "mania della sofistica" (Elogio 15 e 22). In mo-
do particolare legava i due amici la ricerca di come si potessero intrecciare
tra di loro la fede cristiana e l'eredità della tradizione classica, entrambe
già respirate in famiglia, ora in evidenza come centro di interesse in vista
della fisionomia da dare alla vita:
«Entrambi avevamo wi'unica meta, la virtù[. ..]. Eravamo l'wio per l'altro[. .. ] nor-
ma e regola secondo cui distinguevamo il giusto e l'ingiusto[. ..]. Non sceglievamo
gli studi più piacevoli e facili, ma quelli migliori; per mezzo degli studi infatti i gio-
vani vengono formati alla virtù o al vizio [...]. Gli uomini hanno diversi titoli: li
ereditano dal padre o li conseguono da soli per le loro qualità e azioni; a noi però
importava solo una realtà e Wl nome: essere ed essere chiamati ·cristiani» (Elogio,
20-22).
Come ha acutamente osservato L. Lugaresi 5 , qui I'amicizia divenne
spazio di formazione, poiché il suo contenuto fondamentale era la ricerca
e lo scambio attorno a ciò che può dare forma autentica, bella e fondata,
alla vita. Dalla comune passione per "Dio e le realtà migliori" venne la
franchezza comunicativa, la libertà di mettere in gioco uno con l'altro an-
che le pieghe del cuore. E questo produsse un rafforzamento della simpa-
tia e della condivisione del modo di vivere. Il loro legame fu del tutto li-
bero dalla gelosia che segnava in profondità l'ambiente ateniese ove
ciascuno metteva le premesse per la propria carriera (Elogio 20). Ciascuno
cercava che fosse piuttosto l'altro ad emergere, a ottenere apprezzamento.
In questo contesto, ancora privo di responsabilità dirette, le differenze di
Basilio e Gregorio sembravano comporsi spontaneamente: Il "saggio e
grande Basilio" (Elogio 16) teneva l'iniziativa, Gregorio accompagnava
non certo passivamente, portato come era alla considerazione della plura-
lità degli aspetti di ogni tema e ai passi possibili. L'impegno di rinvigorire
la fede, in vista del battesimo, l'approfondimento culturale, il gusto della
vicendevole compagnia co.stituivano aspetti del tutto armonici della loro
vita (Elogio 21).
5 L Lugaresi, Studenti cristiani e scuola pagana, in CrSt 25(2004), pp. 779, 832, part.
813-829.
258, coincide con l'esigenza di determinare il modo di vivere, la loro col-
locazione nella vita adulta. Si erano accordati per accomiatarsi insieme da
Atene. Qui la diversità di indole e di temperamento affiora decisa: Basilio
è più rapido nelle determinazioni, Gregorio più sensibile a valutare le al-
ternative, gli appelli dell'ambiente. Entrambi, dopo la loro adesione espli-
cita alla fede e alla vita ecclesiale, esitano tra la ricerca di "vita filosofica",
intesa come stile di vita appartato, legato alla meditazione e alla obbedien-
za alle esigenze della sequela, e tlll inserimento sociale ed ecclesiale nel
quale offrire il loro contributo, di cui erano richiesti. In questo clima di
ricerca non semplice i due amici si trovano alternativamente separati e riu-
niti. Basilio lasciò per primo Atene, Gregorio lo seguì tre anni dopo. Esito
della loro disponibilità verso le esigenze del servizio ecclesiale fu l'ordina-
zione presbiterale attorno al 361-362 e i compiti che ne conseguirono.
Gregorio, angustiato dal timore di non essere all'altezza, inizialmente si
sottrasse, poi si pose in aiuto del suo anziano papà, vescovo di Nazianzo;
Basilio, dopo difficoltà con il vescovo di Cesarea che lo indussero a tllla
parentesi monastica, fu sempre più coinvolto nella elaborazione della dot-
trina trinitaria in risposta al problema sollevato da Aria e che chiedeva ora
la elaborazione della retta interpretazione del concilio di Nicea. La vita
monastica fu certamente per Basilio e Gregorio anche occasione per me-
ditare sul nesso delicato tra amicizia e fraternità in nome del Signore.
L'ampia regola VII, dedicata alla vita comune suggerisce sapientemente co-
me il discepolato del Signore - la ricerca della pratica della sua parola -
possa avvalorare i doni di ciascuno, favorire lo scambio e, al tempo stesso,
sollecitare a riconoscere nel vangelo il luogo dell'incontro e della liberazio-
ne dell'umanità di ciascuno dai residui di egoismo che compromettono al
tempo stesso le relazioni amicali e la fraternità. Viene il momento in cui
l'amicizia ha bisogno dell'agape, per vivere come una delle sue possibilità
e al suo servizio.
Frutto della loro comune ricerca di vita monastica, che li vide insieme a
tratti tra il 360 e 365, fu una fortllllata antologia- la Filocalia - composta
di estratti dalle opere di Origene, dedicati all'ermeneutica biblica, a temi
particolarmente sensibili nel confronto tra cristianesimo e cultura, al rap-
porto tra libero arbitrio e volontà di Dio. Essa attesta come i due amici
fossero seriamente interessati e impegnati nell'approfondimento della fede
attraverso il ricorso alla riflessione che li aveva preceduti 6•
Il momento di maggiore tensione tra i due amici intervenne attorno al
374 quando Basilio, da quattro anni vescovo di Cesarea, nell'intento di as-
Gregorio sembra qui riprodurre al vivo gli estremi della sua discussio-
ne con Basilio che gli chiedeva di diventare vescovo di Sasima. Alle sue
obiezioni che in nome dell'amicizia reclamavano rispetto per i suoi timori
di non essere adatto, alla denuncia delle pressioni non appropriate ad
una relazione amicale come la loro, in aggiunta a quelle di suo padre, ve-
scovo di Nazianzo, in nome della età avanzata, - <<l'amicizia mi ha sotto-.
messo e la canizie di mio padre mi ha ridotto in suo potere» (Or 10,2) -,
Basilio aveva replicato con franchezza.invocando l'obbedienza allo_ Spiri-
to che diveniva l'urgenza di spendere il talento, di organizzare le risorse
per il servizio del vangelo, sullo stile di Paolo. La ricchezza dei rimandi
neotestamentari lascia intravedere come la discussione tra amici si intrec-
ciasse spontaneamente con la meditazione delle Scritture che era loro
abituale, e come, attraverso di essa, i due abbiano ritrovato convergenza
nella pratica del discernimento, nella comune obbedienza allo Spirito.
Facendo il bilancio della meditazione che ne era seguita Gregorio con-
clude:
«Guardo con mitezza questa mano che mi ha tiranneggiato, sorrido allo Spirito. Il
mio cuore si calma [. ..] torna l'amicizia, come una fiamma, spenta e quasi comple-
tamente consumata, torna a vivere e divampa a partire da una piccola scintilla» (Or
10,2).
Difficile non essere conquistati dal "sorriso allo Spirito" che dice l'ap-
prodo di Gregorio dopo il difficile discernimento, che forse non ha trova-
to i due amici del tutto d'accordo tra di loro, ma in accordo nella urgenza
di obbedire allo Spirito. Si tratta di una obbedienza che può lasciare uno
spazio di dubbio e tensione circa una determinazione concreta che chi è in
autorità, nel caso Basilio nella sua veste di metropolita, ritiene di dover
prendere. La tensione tra i due amici dovette essere particolarmente sof-
ferta, se ancora nell'elogio funebre Gregorio sente il bisogno di attestare
la sua distanza da quella scelta di Basilio con un'espressione piuttosto
energica: «in questo non posso lodarlo» (Elogio 59). L'impressione di aver
patito una forzatura che l'amicizia gli avrebbe dovuto risparmiare gli rima-
se; Gregorio non ha mai taciuto la ferita, fino a fame una sorta di lamento
ricorrente, quasi estrema difesa da parte dell'amico non del tutto ascoltato
nella sua debolezza.
E tuttavia quando sul finire del 3 78 si fece pressante l'appello a recarsi a
Costantinopoli per prendere le difese della fede ortodossa, fino a diventar-
ne poi vescovo, sarà ancora al consiglio di Basilio che Gregorio si piega
(Elogio 2). Ed è mentre è in cammino verso Costantinopoli che lo raggiun-
ge la notizia della morte dell'amico. Sorprendentemente, proprio mentre la
corsa di Basilio si concludeva, certo anche per il modo straordinariamente
dispendioso dell'esercizio del suo ministero, Gregorio si avviava a diventar-
ne anche gerarchicamente superiore, lui che ne aveva patito l'autorevolezza
e l'autorità. I due amici avevano modalità diverse, o forse tempi diversi, di
comporre le proprie propensioni con i compiti del ministero e di valutare
ciò che le condizioni di vita della chiesa esigevano. Basilio metteva in primo
piano le responsabilità della fede e della guida delle chiese, anche resisten-
do alle ingerenze del potere imperiale. Gregorio lo aveva ben ammirato in
questo (Elogio 43-58), ma si chiedeva come alla sua persona, al suo impasto
umano, fosse possibile assolvere i compiti che gli venivano messi davanti.
·Forse non si coglie nel segno se si ipotizza che l'uno accordasse il primato
alla fede e al ministero, l'altro alle istanze della propria umanità. Per tutti e
due il primato è del Vangelo, che chiede di essere servito con la propria
umanità e nelle circostanze che la comunità cristiana sta attraversando.
Ma modalità e tempi per farlo erano differenti. Basilio sembra rendersene
ben conto in una lettera indirizzata ali' amico, ove protesta che non è l'ami-
cizia a venire meno, ma piuttosto è il tempo a farsi tiranno e a non permet-
tere di elaborare insieme adeguatamente il cammino:
«Abbiamo deciso di rendere il nostro amore per te più forte di ogni rammarico
[. ..] e preghiamo il Dio santo che durante i giorni e le ore che ci restano, conser-
viamo verso di te i medesimi sentimenti che in passato [. ..] . Se noi potessimo pas-
sate insieme la maggior parte dell'anno, non daremmo alcuna possibilità a chi ci
calunnia [. ..].Accetta tuttavia di essere richiesto di prendere parte alle mie fatiche»
(Lettera 71).
C'è chi ritiene di poter mettere i due amici vescovi in contrasto tra di
loro sulla dottrina circa lo Spirito Santo, stralciando frasi dai loro contesti.
Nella lettera appena citata Basilio riconosce a Gregorio il merito d'essere
in materia guida dell'ortodossia. Il sorriso allo Spirito matura anche tra fa~
tiche e l'amicizia rimane tra i due spazio di conversione che li rinvia oltre
se stessi.
Nota bi"ografica
Giuseppe Laiti, presbitero della diocesi di Verona, insegna patrologia e teologia
patristica nello Studio Teologico San Zeno e nell'Istituto Superiore di Scienze religiose
S. Pietro martire (VR). Si occupa in particolare di ecclesiologia e catechesi patristica.
<<Ecce ego et tu, et spero quod
tertius inter nos Christus sit»
Aelredo di Rievaulx sull'amicizia
di
Ivica Raguz
7 I, 45.
8 Il, 57.
9 II, 5~
un amico l'uomo è simile agli animali, è solo e non può godere nella sua
felicità. L'amico ci dona la felicità propriamente umana che consiste in un
mutuo donarsi e fidarsi senza alcuna vergogna e senza riserve 10 • L'amici-
zia poi raddoppia la nostra gioia, i nostri successi e i nostri insuccessi ven-
gono sopportati più facilmente.
Dopo aver menzionato i vantaggi dell'amicizia Aelredo sottolinea che
questi vantaggi possono essere realizzati solo con Gesù Cristo. Con questa
tesi il monaco cistercense mette in rilievo la novità e specificità dell'amici-
zia cristiana. Essa deve sempre iniziare da Cristo, progredire verso Cristo
ed essere compiuta in Cristo 11 • Questo presuppone che l'amicizia può ri-
manere vera solo se gli amici superano se stessi nell'amicizia con Cristo,
oppure solo se l'amicizia non perde la sua dimensione "ex-statica". Que-
sto superamento "exstatico" significa che gli amici devono vivere l'amici-
zia fuori da se stessi, al di là dal loro cerchio amicale, "ex-statici" verso il
Cristo. L'amicizia dunque non comincia da se stessa, da un amico verso un
altro amico e viceversa. La vera amicizia comincia da qualcosa che è fuori
dal cerchio amicale, che è la bontà. Per i cristiani, però, l'amicizia non co-
mincia solo dalla bontà come tale, perché la bontà è astratta, e con essa
l'uomo non può stringere amicizia. Solo con una bontà personale, cioè
con la bontà incarnata che è Gesù Cristo, questa dimensione exstatica del-
1'amicizia può essere realizzata e concretizzata. Più gli amici diventano
amici con Gesù, più loro sono exstatici e fuori se stessi con Gesù, più di-
ventano amici tra di loro: «L'amico, dunque, che nello spirito di Cristo en-
tra in sintonia con un altro amico, diventa con lui un cuor solo e un'anima
sola, e così, salendo insieme i diversi gradini dell'amore fino all'amicizia di
Cristo, diventa un solo spirito con lui in un unico bado» 12 •
Aelredo in questa frase introduce il bacio come immagine dell'amicizia.
Ci sono tre generi di bacio: corporale, spirituale ed intellettuale. Per Ael-
redo il bacio che esiste fra amici è prima di tutto il bado spirituale. Il bacio
spirituale significa l'unità delle anime, intimità, un modo di «fondere delle
anime>>. Questo bacio spirituale è il bacio di Cristo, perché Cristo <<ispira
in quelli che si amano quello santissimo affetto che li fa sentire uniti al
punto da sembrar loro che in corpi diversi abiti una sola anima» 13 • La pa-
rola <<il santissimo affetto» è cruciale. La vera amicizia rimane tale solo se
custodisce, si orienta e si fa ispirare da questa tensione verso «il santissimo
ilietto» che dona solo Cristo. Qui incontriamo l'idea che la vera amicizia
deve essere exstatica, cioè cristologica. Dove non esiste questo slancio,
io II, 11.
.il II, 20.
;Ù II, 21.
ù II, 26. Abbiamo modificato la traduzione, perché in latino sta <<Sacratissimus
llffectuS», non «infinitus affectus.»
questa tendenza verso <<il santissimo affetto» di Gesù, l'amicizia perde la
sua iÙtensità e la sua forza, l'unità e intimità fra gli amici pian piano spari-
sce. Però il bacio spirituale non rappresenta il bacio perfetto che è intel-
lettuale. Il bacio intellettuale è un bacio escatologico, quando gli amici ba-
ceranno Cristo e saranno amici di Cristo direttamente 14 • Questa
dimensione escatologica dell'amicizia rafforza maggiormente l'amicizia
umana.
3. Scelta dell'amico
14 II, 26.
15 II, 8.
16 m, 24.
vacillano facilmente e dipendono sempre dall'opinione degli altri. Così se
qualcuno parla male del loro amico, essi si lasciano confondere. Secondo
Aelredo, gli instabili possono essere corretti se diventano seri, cioè noi di-
remmo, se si consacrano alla verità invece che alle opinioni degli altri. I
sospettosi sono gelosi: «Se lo vede trattare qualcuno con benevolenza e af-
fabilità, si lamenterà dicendo che lui è meno amato di quello. Se viene cor-
retto dirà che l'amico lo odia. Se invece viene lodato dirà che l'altro lo
prende in giro» 17 • La gelosia può essere guarita solo nella contemplazione
dell'amore. Alla fine i chiacchieroni sono difficili per l'amicizia, perché
non sono «seriosi>>, dice Aelredo. Si potrebbe dire che gli manca la serietà,
perché con la loro loquacità si pongono al centro dell'attenzione.
4. Prova dell'amico
Dopo la scelta viene la prova. L'amico deve essere messo alla ·prova per
vedere se è degno dell'amicizia. La prova concerne: la fedeltà, l'intenzio-
ne, la discrezione, la pazienza 18 • La fedeltà significa che un amico deve
cercare l'amicizia con l'altro solo a causa di lui stesso; della sua virtù, cioè
della sua bontà. Solo con questa persona si può vivere la fedeltà. Le altre
qualità dell'amico non sono importanti, come scrive Aelredo: «Va ad ab-
bracciare la virtù là dove la trova, tutto il resto rimane all'esterno, se ci so-
no altre cose non vi dà molto peso, se non ci sono non si affanna ad esi-
gerle» 19 • L'intenzione riguarda la cosa che l'amico cerca nell'altro, per
esempio, se cerca la ricchezza. Il nostro autore pensa che per l'amicizia
sia meglio essere poveri, perché un amico cercherà facilmente l'altro
non per la sua ricchezza, ma per lui stesso. Inoltre, l'uomo spesso non è
sincero con i ricchi, si presenta all'altro come non è in realtà: «Ai ricchi
si dona per cortigianeria; verso i poveri nessuno agisce per finzione» 20•
La discrezione è la misura di tutto nell'amicizia: nel fare o non fare, nel
sopportare, nel ringraziare e nel correggere. La discrezione include anche
l'idea che non dobbiamo domandare al nostro amico quello che noi stessi
non possiamo essere o dare. Alla fine la pazienza, che sottintende la capa-
cità di ricevere le critiche dell'amico senza arrabbiarsi.
Inoltre, la prova implica la somiglianza dei caratteri degli amici. I carat-
teri non devono essere troppo diversi. La somiglianza dei caratteri significa
anche avere gli stessi interessi. Se gli amici non hanno gli stessi interessi, se
!11 m, 29.
l:s m, 61.
.19 m, 62.
1o m, 70-71.
non sono «sensibili alle stesse cose» e non sono «d'accordo su cose identi-
che» l'amicizia non è stabile, e prima di tutto non c'è fiducia 21 • Perché? Se
uno non condivide gli interessi dell'amico, l'amico non desidera confidarsi
con lui, non si fida di lui, in quanto sa che l'altro non capisce oppure non
vuole capire le cose che sono per lui importanti. Senza questo non può es-
serci una comunicazione perfetta, che è il presupposto per una perfetta in-
timità e unità della vera amicizia. Per Aelredo la somiglianza è molto im-
portante nell'amicizia, perché l'amicizia è «il perfetto dono della natura e
grazia» 22 • Questo vuol dire che l'amicizia non si deve ridurre né alla natu-
ra né alla grazia. Essa presuppone i caratteri naturali, la loro somiglianza,
ma senza la grazia, la bontà degli amici e il loro amore verso Gesù Cristo,
essa non può esistere. In questo senso si può dire che nella «comprensione
dell'amicizia>> di Aelredo si può riconoscere un trattato teologico sulla gra-
zia realizzato nel concreto.
Il momento della grazia nell'amicizia trova espressione nei seguenti
consigli che Aelredo dà: quando un amico è in necessità, il suo amico lo
aiuterà prima che lui stesso domandi l'aiuto. In questo modo un amico
in necessità non sarà umiliato e l'altro sarà lieto di aver potuto aiutare il
suo amico. Capiterà un meraviglioso scambio tra il donatore e colui che
riceve il dono, dove il donatore dona e, a sua volta, riceve un dono, poiché
colui che riceve diventa, a sua volta, donatore: «Non aspettare neanche
che termini la sua richiesta, va' incontro a lui con benevolenza, così da
sembrare che sia tu a dargli quanto ha bisogno senza che neppure te lo
chieda. Così anche noi dobbiamo indovinare con delicatezza le necessità
degli amici, anticipare con il nostro dono una richiesta, e usare in questo
uno stile che dia a chi riceve l'impressione che sia lui a fare un favore, non
colui che offre il dono» 23 • Il donarsi mutuo degli amici testimonia che esi-
ste fra gli amici una "povertà santa", dove non si vive per se stessi ma per
gli altri: «L'amicizia spirituale riceve certo un fondamento molto solido
dalla scelta della povertà, che è santa proprio perché è volontaria. L'avidità
rovina mortalmente lamicizia, ed è certamente più facile conservare un' a-
micizia già iniziata quanto più l'animo è immune da questa peste>> 24 •
La grazia dell'amicizia si vede anche nella «correctio fraterna» fra gli
amici, perché l'amicizia vera si fonda sulla verità e sulla bontà. Se uri amico
si trova nella menzogna, se è colpevole, il suo amico lo deve ammonire e
correggere. Come dice sant' Ambrogio: «Le correzioni, infatti, sono buone,
e spesso sono meglio di un'amicizia troppo silenziosa. Anche se l'amico si
sente offeso, tu correggilo lo stesso. Anche se l'amarezza della correzione
21 m, 88.
22 m, 91.
23 III, 99-100.
24 m, 101.
gli ferisce l'animo, tu correggilo lo stesso. È meglio sopportare le ferite in-
flitte dagli amici, che i baci degli adulatori Correggi, dunque, l'amico che
va fuori strada» 25 • La correctio fraterna degli amici è sempre espressione
dell'amore, dell'umiltà e della compassione, perché un vero amico quando
corregge il suo amico lo fa come se correggesse se stesso: «L'amico deve
infatti entrare in simpatia con il proprio amico, essere condiscendente,
sentire come suo il clifetto dell'altro, correggere in modo discreto, facendo
propri i sentimenti dell'altro. Lo deve correggere con la tristezza del volto,
con parole che sanno di afflizione, anche con il pianto che interrompe le
parole» 26•
Si può accennare qui ancora a una dimensione dell'amicizia che sta a
cuore a Aelredo. La prova che l'amicizia non si basa sugli interessi è
che gli amici non stringono amicizia per ricevere qualche onore o incarico
dal proprio amico. Gli amici non hanno bisogno di qualcos'altro, dell' ono-
re oppure di un incarico per essere amici. Sono amici perché si amano co-
me sono: <<Diamo all'amico tutto quanto è in nostro potere in amore, gra-
zia, dolcezza, carità; diamo invece gli onori futili e gli oneri a quelli che ci
vengono suggeriti dalla ragione, sapendo che uno non amerà mai veramen-
te un amico se non gli basta l'amico così com'è, e vuole in più da lui queste
cose vili e spregevoli.>> 27 • Infatti, un vero amico non vuole che il suo amico
sia onerato dagli onori e dagli incarichi, come Gesù ha fatto con il suo
·amato discepolo Giovanni, quando «a Pietro affidò la sua Chiesa, a Gio-
vanni affidò la sua carissima madre» 28 •
25 m, 106.
26 m, 107.
21 m, 118.
2s m, 117.
dualità, conservando pure un tale rispetto per l'antica amicizia che, anche
se non gli confidi più i tuoi segreti, non gli togli però né l'amore né l'aiuto,
e neppure gli neghi il consiglio. Se poi la sua follia dovesse spingerlo a pro-
ferire bestemmie e oltraggi, tu rispetta il patto, rispetta la carità, così la col-
pa sarà tutta di chi lancia l'ingiuria, non di chi la subisce» 29 • Si deve subito
rompere un'amicizia se si tratta di un bene comune, bene della società o
della Chiesa: «Se invece scopri che può essere pericoloso per i suoi fami-
liari, la collettività, i cittadini e gli amici, si deve rompere subito il vincolo
di familiarità, perché non si deve anteporre l'amore per una persona al ri-
schio di rovinarne tante altre» 30• Aelredo ribadisce con questi pensieri la
dimensione universale e sociale della vera amicizia, la quale non ha niente
a che fare con un «egoismo a due».
Conclusione
29 m, 57.
30 Ibid.
31 I, 1.
n San Tommaso d'Aquino approfondirà questa dimensione universale dell'amicizia,
affermando che l'amore è l'amicizia, cioè universale e particolare. Cfr. Summa
theologiae II-II, 23,1.
venendo da un amico, è tanto più efficace quanto più carica di affetto si
eleva a Dio insieme alle lacrime, generate dal ti.more o dall'affetto o dal
dolore. Così, un amico che prega Cristo per conto dell'amico, e desidera
essere esaudito da Cristo per amore dell'amico, finisce per dirigere su Cri-
sto il suo amore e il suo desiderio. Succede allora che rapidamente, in mo-
do impercettibile, si passi da un affetto all'altro e, con la sensazione di toc-
care da vicino la dolcezza di Cristo stesso, l'amico cominci a gustare e a
sperimentare quanto egli è dolce e amabile. In questo modo, da quell'amo-
re santo con cui si abbraccia il proprio amico, si sale a quello con cui ab-
bracciamo Cristo stesso: si afferra così, nella gioia, a piene mani, il frutto
dell'amicizia spirituale, nell'attesa di una pienezza che si realizzerà nel fu-
turo quando, eliminato quel ti.more che ora ci tiene in ansia e ci fa preoc-
cupare l'uno per l'altro, vinte tutte quelle avversità che ora dobbiamo so-
St:enere l'uno per l'altro, distrutto insieme alla morte il suo pungiglione
(cfr. lCor 15,54-55), che ora spesso ci sfianca e ci costringe a soffrire l'u-
no per l'altro, raggiunta la sicurezza, godremo per l'eternità del sommo be-
ne. Allora questa amicizia, alla quale ora ammettiamo solo pochi, sarà tra-
sfusa in tutti, da tutti rifluirà su Dio, e Dio sarà tutto in tutti
(lCor 15,28)» 33 •
Nota biografica
Ivica RaguZ, nato il 26 settembre 1973, è stato ordinato sacerdote nel 1998 nella
arcidiocesi Dakovo-Osijek (Croazia). È Laureato in teologia fondamentale presso la
Pontificia Università Gregoriana. Insegna teologia dogmatica alla Facoltà Teologica di
Dakovo, Università "Josip Juraj Strossmayer" a Osijek. È redattore di Con:ununio,
edizione croata. Ha pubblicato, tra I' altro:
- Sinn far das Gott-Menschlicbe. Transzendental-theologisches Gesprach zwischen
den Asthetiken von Immanuel Kant und Hans Urs van Balthasar, Echter, Wurzburg,
2003.
- Teologi.a del silenzio e dell'ozio (croato: Stnja - dokolica, KS, Zagreb, 2011.)
- Felici nella speranza. Meditazione teologiche sulla felicità (croato: Sretni u nadi.
Teoloska razmatranja o sreéi, Hilp, Zagreb, 2013).
:: . .
·:.•:,
33 III, 133.
L'esperienza dell'amicizia
in san Tommaso d'Aquino
di
Francesco Ventorino
I ~
Ibur. I, 1, e
~~· Ibid., I-II, 27, c.
:~1)! \~~·· I, 20, 1, ad 3.
;:•gc\r:c:
K~F/iibid., I, 20, 1, ad 3.
::10>.Cfr. Ibid., I, 20, 2, c.
:.~i (éfr. Ibid., I, 20, 2, ad 4.
risulta così essere un vero amore di benevolenza che pone nell'uomo,
creato a sua immagine, la potenzialità dell'amicizia, cioè la capacità di
quella corrispondenza, di quello scambio di amore che l'amicizia richie-
de.
L'uomo, infatti, è un essere capace di vera amicizia, cioè di quel dono
gratuito di se stesso che è l'amore di benevolenza. Per l'intelligenza e la
libertà ricevute può rapportarsi con il suo Creatore riconoscendo lamore
ricevuto e ricambiandolo con lofferta della propria vita perché ne compia
il disegno e la volontà. Anzi la dinamica stessa della conoscenza e della sua
libertà lo orientano a Dio come oggetto di quel suo desiderio naturale che è
il motore di ogni altro desiderio:
È naturale desiderio della creatura ragionevole di conoscere tutto ciò che ha
pertinenza con la perfezione dell'intelletto; e perciò le specie e i generi delle
cose e le loro ragioni, cose tutte che in Dio vedrà chiunque vedrà la sua es-
senza divina [ ... ].
Se dunque solo vedesse Dio, che è la fonte e il principio di tutto l'essere e della
verità, si compirebbe talmente il suo naturale desiderio di conoscere, che nient'altro
cercherebbe e sarebbe beata. Pertanto dice Agostino, V Confess.: "Infelice l'uomo
che conosce tutte quelle cose [cioè le creature], e non conosce Te: beato invece
l'uomo che conosce Te, anche se non conosce quelle. Chi conosce Te e pure quel-
le, non per quelle è più beato, ma per Te solo è beato" 12 •
Quella necessltà, per cui la volontà dell'uomo tende alla sua beatitudi-
ne, che consiste nella visione di Dio, è il fondamento della sua libertà ri-
spetto a tutto il resto, della sua decisione di amare Dio come l' unù:o suo
bene e di ricercarlo come tale in e sopra ogni cosa desiderata.
L'amicizia con Dio, pertanto, trova la sua realt'zzazione pt"ena nella carità.
Essa, secondo Tommaso, non è «un qualsiasi amor di Dio, ma è l'amore
con il quale si ama Dio quale oggetto della beatitudt"ne>> 13 ed è condz7.t"one
essenziale perché già in questa vita la volontà dell'uomo sfa unita al suo
fine ultimo 14 • Essa è possibile solo in forza della grazia della fede e della spe-
ranza.
La carità, infatti,
non dice soltanto amore di Dio, ma una certa amicizia verso di lui; amicizia che agé;
giunge all'amare un riamarsi scambievole, con una comunicazione reciproca, com~
spiega Aristotele in 8 Ethic [c. 2, lect. 2]. E che tale proprietà appartiene alla carità
è evidente da quel testo della I Ioan., N, 16 che dice: "Chi sta nella carità sta iii:
Dio, e Dio in lui". E san Paolo afferma nella 1 ad Cor., 1, 9: "Fedele è Iddid;
per opera del quale -siete stati chiamati alla società del Figlio suo". Ora, questa so~
12 lbid. I, 12, 8, ad 4.
13 Ibid., Hl, q. 65, a. 5, ad 1.
14 Cfr. Id. In II Sententiarum, ds. 38, q. 1, a. 2, se. 1.
cietà dell'uomo con Dio, che è un commercio familiare con lui, viene iniziata nella
vita presente mediante la grazia, e avrà compimento in futuro mediante la gloria; e
queste due cose noi ora le possediamo in forza della fede e della speranza. Perciò,
come non è possibile aver amicizia con qualcuno, se non si crede e non si spera di
poter avere con lui società o commercio familiare; così non si può avere amicizia
con Dio, ossia la carità, senza avere la fede per credere in codesta società e com-
mercio dell'uomo con Dio e senza avere la speranza di appartenere a codesta so-
cietà. Ecco quindi che in nessun modo la carità può sussistere senza la fede e la
speranza 15 .
È da notare che san Tommaso è stato il primo teologo che abbia con-
cepito la carità come amicizia:
Essendoci una certa comunanza dell'uomo con Dio, in quanto questi ci rende par-
tecipi della sua beatitudine, è necessario che su questo scambio si fondi un' amici-
zia. E di questa compartecipazione così parla san Paolo: «Fedele è Dio, per opera
del quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo» (I Cor, 1, 9). Ma l'a-
more che si fonda su questa comunicazione è la carità. Dunque è evidente che la
carità è un'amicizia dell'uomo con Dio 16•
Abbiamo già detto che la carità, cioè quella familiarità con Dio, che ini-
ziain questa vita e si compie nella vita eterna, non è possibile all'uomo se
non per la grazia della fede in Cristo, da cui scaturisce la speranza, cioè la
certezza di poterla vivere eternamente. Questa grazia ha il suo inizio e la
sua radice nell'Incarnazione del Figlio di Dio: ·
Siccome la beatitudine perfetta dell'uomo consiste nel godimento di Dio, fu neces-
. sario disporre l'affezione dell'uomo al desiderio di questa divina fruizione, proprio
perché vediamo che il desiderio della beatitudine è insito naturalmente nell'uomo.
Ora, il desiderio di godere di qualcosa è causato dall'amore verso di essa. Dunque
fu necessario che l'uomo, che tende alla beatitl.,ldine perfetta, fosse indotto ad ama-
re Dio. Nulla ci conduce talmente ad amare qualcuno quanto lesperienza del suo
. . amore per noi. Così l'amore di Dio verso l'uomo non si sarebbe potuto dimostrare
•.•·... in modo più efficace che con il fatto che Egli abbia voluto unirsi all'uomo in per-
. .. sona: è, infatti, proprio dell'amore unire lamante con l'amato fino a quanto è pos-
.•.. sibile. Fu, dunque, necessario all'uomo, che tende alla beatitudine perfetta, che Dio si
' ·facesse uomo 17 .
!< Secondo Tommaso, dunque, alla necessità con cui l'uomo tende a unir-
si a Dio, come al suo fine naturale, corrisponde un'altra necessità, che è
·~tjridla per la quale Dio inizia con l'uomo, nell'umanità di Cristo, una con-
!&d-furalità nuova per mostrargli tutta la bellezza di questa comunione e la
,$ti.a possibilità di compimento. Mai, però, come in questa affermazione to-
•:fuiSta necessità e libertà si baciano fino a coincidere: si tratta, infatti, della
;YÙcessità dell'amore.
tg
l1ìw )ù_ Summa Theologiae, I-II, q. 65, a. 5, c.
lal Jbid., II-II, 23, 1, c.
::~ef; (Id., Summa contra Gentiles, 4, c. 54, n.5.
L'~omo, dunque, è costituito dal desiderio naturale di vedere Dio, ma
questo desiderio si può adempiere solo per grazia, cioè per un libero e gra-
tuito dono di Dio: «Dio ha ordinato la natura umana a raggiungere il fine
della vita eterna non con la propria forza (non propria virtute), ma con
l'aiuto della grazia>> 18 • Infatti, l'intelletto creato non può vedere Dio nella
sua essenza, <<Se non in quanto Dio si unisce a lui con la sua grazia come
oggetto di conoscenza (ut intelligz'bile ab ipso)» 19•
L'affermazione che l'uomo ha come fine naturale la visione di Dio, un
fine, però, che solo per grazia può essere raggiunto, ha suscitato qualche
sospetto. T"Ommaso voleva forse sostenere che nella natura umana ci fosse
l'esigenza della grazia e quindi dell'ordine soprannaturale? Molti hanno
ravvisato la condanna di questa posizione in un passo della Humani gene-
ris di Pio XII (12 agosto del 1950) che suona così: «Al# veram 'gratuita-
tem' ordinis supernaturalis corrumpunt, cum autument Deum entia intellec-
tu praedita condere non posse, quin eadem ad beatzficam visz'onem ordinet et
vocet>> 20 (altri deformano la vera nozione della gratuità dell'ordine sopran-
naturale quando pretendono che Dio non possa creare esseri dotati di in-
telligenza senza chiamarli e ordinarli alla visione beatifica).
Il padre Henri de Lubac - personalmente coinvolto in questa polemica -
ha dato alla questione un notevole contributo. Commentando una lettera di
Etienne Gilson del 21 giugno 1965, faceva notare, sulla falsariga del suo Sur-
naturel del 1946:
Il rapporto tra l'uomo e Dio non potrebbe mai essere concepito, alla sua base, co-
me retto da una legge naturale o da una necessità qualsiasi, interna o esterna: Nel
dono che Dio vuol fare di se stesso e, di conseguenza, nel desiderio che ne risulta nella
nostra natura, tutto si spiega attraverso l'Amore. Non è un bene che si diffonda per
natura, necessariamente: è un Amore personale, è l'Amore in persona che, hbera-
mente suscita l'essere al quale vuole donarsi: Nulla limita l'indipendenza sovrana
del Dio che si dona 21 •
Successivamente lo stesso autore ha avuto modo di riprendere il pro-
blema in molte altre sue pubblicazioni. Ecco una formulazione mirabile
e sintetica:
Lo spirito non desidera Dio come l'animale desidera la preda; lo desidera come un
dono. Non cerca affatto di possedere un oggetto infinito: vuole la comunicazione
libera e gratuita di un Essere personale. Se dunque, per assurdo, potesse prendere
il suo bene supremo, immediatamente, non sarà più il suo bene. Si vuol parlare
( Questa identificazione degli uni negli altri è la sublime prova della po-
{tenza ·del Signore Risorto e quindi la massima testimonianza che i cristiani
·sono chiamati ad offrire al mondo 35.
w:::·.
li)11 Gal3~8.
d:i Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I-II, 28, 1, ad 2.
i;}f i~~, I-II, ;~· ~· c.
O:;} Cfr.'~~rrl7, zo:2~·.
Nota biografica
Francesco Ventorino (Catania 1932) ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale nel
1954. Ha conseguito nel 1963 il dottorato in Filosofia alla Pontificia Università
Gregoriana di Roma end 1975 la laurea in Filosofia all'Università di Perugia. Già
ordinario di Storia e Filosofia nei Licei, è docente emerito di Ontologia e di Etica
presso lo Studio Teologico "S. Paolo" di Catania.
Esiste una opinione molto diffusa secondo cui "lo spirito cinese", nella
misura in cui questa espressione è pertinente, sarebbe particolarmente re-
sistente alle religioni, di conseguenza poco aperto al Cristianesimo, come,
per esempio, pensava Montesquieu che riteneva "che è quasi impossibile
che il Cristianesimo si stabilisca mai in Cina 2' '.
Tale opinione è sostenuta dal fatto che la lingua cinese è molto lontana
dalle lingue indoeuropee per la sua struttura lessicale e grammaticale e
questo rende molto difficile la comunicazione delle idee non solo religiose,
ma anche filosofiche o letterarie. Tuttavia, a differenza dei suoi predeces-
sori, Ricci era giunto alla padronanza di questa lingua, riscuotendo l'am-
mirazione di tutti i letterati dell'epoca.
Certamente le difficoltà non sorgono solo dalla lingua in sé, ma anche e
soprattutto dalla cultura, dal quadro di riferimento culturale veicolato dal-
la lingua stessa. È quindi necessario ricordare il contesto politico-culturale
(quello della dinastia Ming, 1368-1644) per rendersi conto della prospet-
tiva in cui doveva porsi Ricci. Egli vedeva <<la Cina come un impero retto
da un sovrano sottomesso alle 'leggi celesti', ma governato da una 'setta di
letterati'» 3 • Tale constatazione non è priva di coerenza nella misura in cui
la dinastia Ming, subentrando alla dinastia Song (960-1276), si inseriva in
quel rinnovamento del Confucianesimo che viene comunemente chiamato
"neoConfucianesimo". Questa sintesi di Confucianesimo, taoismo e bud-
dismo è caratterizzata da uno spirito sistematico e razionale 4, anche se vi si
individuano forti tensioni. Sotto la dinastia Ming il Confucianesimo vive
un inequivocabile ritorno di favore, in reazione al taoismo e al buddismo
che esso giudica di minaccia per i valori confuciani fondamentali riguardo
alla famiglia (per esempio la pietà filiale), di discredito delle attività mon-
dane, soprattutto dell'attività politica, e di sconvolgimento dei criteri mo-
rali del giusto e dell'ingiusto.
Per quanto riguarda l'amicizia, come scrive Michel Cartier nella sua
Verso la metà del Dell'Amicizia, nella sentenza 57, Matteo Ricci ci dice
con singolare concisione e sorprendente forza: «Se nel mondo non ci fosse
amicizia, non vi sarebbe gioia». Questa sentenza pare racchiudere il punto
essenziale dell'opera, di cui tutte le altre sarebbero solo commenti. «Il
mondo» traduce il termine usato da Ricci, "Tianxia", «tutto ciò che vive
sotto il cielo», una delle parole chiave del Confucianesimo. Pur tenendo
presenti i quadri di riferimento diversi in cui si inseriscono questi due ter-
mini, è forse più importante vedere come questa affermazione supponga
l'accettazione senza riserve della condizione umana in quanto tale.
Agli occhi di Ricci ci sono tre ragioni principali per dare così grande
valore ali' amicizia. In primo luogo l'amicizia addolcisce le difficoltà della
vita. La sentenza 11, per esempio, recita: «Nell'avversità mi rallegro al so-
lo vedere il volto di un amico. Ma, sia nell'avversità sia nella buona for-
tuna, quando mai un amico non ci è di aiuto? Quando siamo tristi, dimi-
nuisce la tristezza; quando siamo gioiosi, aumenta la gioia». Oppure la
sentenza 26: «Metto alla prova e scopro l'amico, che non cambia, nelle
mie cose che cambiano», o ancora la sentenza 51 che delle opere dell'uo-
mo dice: «Possono prosperare solo le imprese di chi ha degli amici» - «il
singolo uomo non può compiere ogni cosa>> (sentenza 16). Se queste sen-
tenze non ei paiono molto entusiasmanti nella misura in cui non sembra-
no attingere a una concezione gloriosa dell'umanità nella sua libertà, nella
sua determinazione o nella sua indipendenza, siamo pur tuttavia tentati di
approvare la constatazione lucida della fragilità e della precarietà delle co-
se umane che vi è sottesa e che spiega il valore infinitamente prezioso del-
1'amicizia.
L'amicizia, poi, dà sapore alla vita. Ricci considera l'aspetto affettivo
dell'amicizia e questo conferisce un tono ancora più umano al suo saggio,
perché non propone una visione semplice o semplicistica dell'amicizia che
vi vedrebbe solo una consolazione, o persino un'assicurazione. Certamen-
te un amico condivide e accresce la vostra gioia e soprattutto consola la
vostra sofferenza e il vostro dolore, come abbiamo visto; ma la sentenza
47 dice anche esattamente che «se gli amici sono pochi, avrò poca gioia;
ma avrò in tal modo anche poca tristezza>>. Perché l'amicizia, in quanto
affetto umano, è soggetta ai rischi della condizione umana, può persino
degradarsi o perdersi, senza contare che può dover affrontare la più gran-
de delle perdite, umanamente parlando, la morte dell'amico. Nella sua
opera Ricci parla solo due volte della morte, nelle sentenze 15 e 43, am-
bedue degne di nota 8• Osserviamo semplicemente che egli non considera
8 Sentenza 15: «Ricordo gli axnici morti senza tristezza, perché quando c'erano li
la morte da un punto di vista religioso, ciò che domina qui è un affetto
molto umano.
Infine, ed è un punto molto importante e che può stupire nel generale
.orizzonte morale e intellettuale della Cina antica, Ricci afferma nella sen-
tenza 50 che l'amicizia comporta qualcosa di superiore a tutte le altre re-
lazioni, comprese quelle familiari, essenziali agli occhi dei Cinesi, proprio
perché è un'affezione: «L'amicizia prevale sulla parentela solo per questo: i
parenti possono non amarsi reciprocamente, gli amici no. Infatti le relazio-
ni di parentela restano anche senza amore tra i parenti; ma se togliete I'a-
more reciproco tra gli amici, come potrebbe sussistere l'essenza dell'ami-
cizia?».
Tuttavia l'affezione non esaurisce il discorso dell'amicizia, di quella, al-
meno, di cui fa l'elogio Ricci: esistono amicizie indegne di rispetto e di am-
mirazione, come quelle fra <<le persone più basse e i ladri» che «si uniscono
in gruppo come amici e così possono esercitare il loro mestiere>> (sentenza
42); o quelle imprudenti: «Le vicissitudini umane sono imprevedibili; dun-
que è difficile contare sull'amicizia: l'amico di oggi forse in seguito cambie-
rà e diventerà nemico; il nemico di oggi forse anche cambierà e diventerà
amico. Come potremmo non essere cauti!» (sentenza 13). Questa cautela è
essenzialmente di ordine etico o, secondo il vocabolario classico degli An-
tichi, non esiste amicizia autentica senza virtù.
La "virtù" nel senso forte del termine è ciò che fa dell'uomo un uomo
di valore e ciò che fonda le regole di condotta necessarie per la conviven-
za che è la peculiarità dell'amicizia; è la finalità dell'amicizia ideale. Secon-
do la sentenza 90: <<La virtù duratura è ottimo elemento per un'eterna
amicizia. Tutto, senza eccezione, alla lunga diventa noioso per gli uomini;
solo la virtù, quanto più dura, tanto più commuove i sentimenti degli uo-
mini. Se la virtù è amabile perfino nel nemico, quanto lo sarà nell'ami-
co?». Si avvera nelle virtù necessarie al rapporto di amicizia, come la fi-
ducia, perché «prima di contrarre amicizia, bisogna osservare; dopo
averla contratta bisogna fidarsi» (sentenza 7), come il disinteresse - Ricci
insiste sul fatto che la vera amicizia non deve essere confusa con le rela-
zioni di interesse -, come il rispetto della giustizia - non si può chiedere a
un amico di commettere cose ingiuste (sentenza 96) e così di seguito. Ben-
ché Ricci non neghi l'aspetto affettivo dell'amicizia, è significativo I' accen-
to che egli pone sulla virtù perché senza di essa non è possibile realizzare
una comunità di amici.
avevo come se potessi perderli; ora che sono morti li ricordo come se fossero ancora·
vivi». ~
Sentenza 43: «Quando si considera l'amico come se stesso, allora il lontano si
avvicina, il debole si rafforza, chi ha subito disgrazie torna nella prosperità, l'ammalato
guarisce e - che bisogno c'è di tante parole? - il morto è come se fosse vivo».
Infine lopera propone un'amicizia ideale o un ideale di amicizia che
considera come sua finalità la virtù: gli amici sono coloro che correggono
i vostri difetti, vi insegnano la virtù, vi incitano alla giustizia. Ricci ripren-
de un'idea classica presso gli Antichi e afferma: <<li fine dell'amicizia non
è altro che questo: se l'amico mi è superiore, lo imito e apprendo; se io
sono superiore lo miglioro». Questo significa «impara e insegna, insegna
e impara», le due azioni si completano. Se le qualità del mio amico non
meritano di essere prese ad esempio, o se il mio amico non riesce a cor-
reggersi, che differenza ci sarebbe fra la nostra relazione e quella fra per-
sone che passano le loro giornate a giocare e a scherzare perdendo inutil-
mente tempo? («Un amico che non mi fa nessun bene è un ladro di
tempo; la perdita che ho subito per il furto del tempo è peggiore del furto
delle ricchezze: queste si possono riacquistare, il tempo no!») (sentenza
69).
Allora, solo un'amicizia concepita, vissuta e orientata dalla e nella virtù
è degna di essere oggetto del massimo rispetto e di essere perseguita dagli
"Junzi" (<<gli uomini di valore»). Ma in quale misura questa concezione
· dell'amicizia propone un modello in grado di attraversare sia il tempo
sia lo spazio; se ha potuto coinvolgere i letterati confuciani al tempo di Rie-
. ci, può ancora trasmetterci un messaggio oggi?
9 Liu Cong, Le lien entre Le Traité de l'Amitié de Ricci avec l'école Yangming, ibid.,
p.82.
10 Facciamo osservare che questi commentatori e amici di Matteo Ricci sono
pressoché tutti sotto l'influenza della scuola Yangming, come si può leggere
nell'articolo di Liu Cong.
gerarchizzazione di tutte le relazioni umane 11 ; quella della scuola Yaìig-
ming non è mai diventata corrente di pensz'ero ufficiale, ma solo corrente
di pensiero evidente sotto i Ming. Si può quindi affermare prudentemente
che la concezione dell'amicizia come rapporto di uguaglianza non ha co-
nosciuto convergenza o conflitto con la concezione cinese dell'amicizia,
ma un incrocio sfumato che concorda con la corrente Y angming, ma ri- ·
schia di essere considerato eretico rispetto alla visione ortodossa secondo
la quale l'ordine umano viene confuso con la sua gerarchizzazione.
Se all'epoca l'uguaglianza non era un valore in se stessa, oggi pare evi-
dente a noi, Occidentali o Cinesi inurbati in città grandi o piccole, in un
contesto di mondializzazione che vede svolgersi un processo di uguaglian-
za di condizioni. Non abbiamo più bisogno di questo testo per conoscere
il valore dell'amicizia e il suo nesso con la parità. Ma comporta per noi
un'altra estraneità, la sua straordinaria insistenza sull'importanza della vir-
tù. Questa nozione ci appartiene ancora?
Nota biografi.ca
Rong Hengying, è nata a Shanghai nel 1991. Allieva dell'Ecole Normale
Supérieure, Parigi, (Sélection Intemationale Lettres 2012), ha conseguito il master in
filosofia contemporanea ENS-EHESS.
1. Cenni biografici
2 A. Rosmini, Del divino nella natura, a cura di P.P. Ottonello, Edizione Critica
Nazionale, Roma, Città Nuova, 1991, pp.19-21.
ad ogni volo sublime» 3) e solo da essa derivano la grandezza e l'immorta-
lità delle loro opere. Ma la distinzione tra poesia e filosofia non esprime
per Rosmini solo una distinzione tra lui e Manzoni; nella parte iniziale del-
la dedica, Rosmini riconosce a Manzoni il merito di aver «più altamente
pensato e sentito il nesso e l'intima unione [delle] due nobilissime figlie
del pensiero umano», in un modo diverso (<<in modo novo») e originale
(«suo proprio»). Basta guardare con meno distrazione tutto il corpus della
produzione manzoniana per rendersi conto di quanto Rosmini abbia ra-
gione e di come «Manzoni - con le parole di Garin - si poneva [. .. ]
con tutta chiarezza il problema della filosofia: di una filosofia originale co-
me critica dei fondamenti e delle opinioni>> 4 •
Ed è proprio in un'opera filosofica, Il Dialogo dell'invenzione, che
Manzoni, d'altro canto, scrive una delle pagine più belle sulla filosofia
di Rosmini di cui riporto solo un breve stralcio:
PRIMO: [. ..] Ché uno de' grandi effetti di questa filosofia [rosminiana] è appunto
di mantenere e di rivendicare all'umanità il possesso di quelle verità che sono come
il suo natural patrimonio, contro de' sistemi, i quali, se non riescono a levarle af-
fatto nemmeno dalle menti de' loro seguaci, fanno che ci rimangano come contrad-
dizioni. Qui vi rallegrerete di sentire un vero rispetto per l'intelligenza umana, una
fondata fiducia nella ragione umana, riconoscendo bensì come l'una e l'altra sia li-
mitata nella cognizione della verità, ma sentendovi sicuri che non sono, né possono
essere condannate a errori fatali; anzi ricavando questa sicurezza anche da quel ri-
conoscimento; giacché i limiti attestano il possesso, col circoscriverlo. Un vero e
alto rispetto, dico, per l'intelligenza e per la ragione comune, impresse da una bon-
tà onnipotente, in tutti gli uomini; e in paragone delle quali, la superiorità degl'in-
gegni più elevati, è come 1'altezze de' monti, in paragone della profondità della ter-
ra. E non c'è scapito se, scemando un poco l'ammirazione per alcuni, cresce la
stima per tutti» 5 •
3 Sembra di leggere l'incipit dell'enciclica Fides et F.atio: «La fede e la r:igi.one sono
come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della
verità».
4 E. Garin, Manzoni e la filosofia, in Atti del Convegno di studi manzoniani: (Roma-
Firenze, 12-14 marzo 1973), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1974, pp. 91-
2:103.
5 A Manzoni, Dell'inven1.ione e altri scritti filosofici, Edizione Nazionale ed Europea
delle Opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani,
2002, pp.220-221 (da qui in poi, nel testo, con la sigla DI seguita da numero di
pagina):
in uno sterile intellettualismo elitario, ma ha come riferimento il senso co-
mune degli uomini.
2. Le divergenze
Le divergenze d' opinioni tra i due amici non furono poche e toccarono
alcuni tra i più significativi aspetti della temperie culturale in cui vivevano.
La prima divergenza è su due argomenti linguistici: uno, maggiormente
filosofico, sul ruolo del linguaggio nel processo conoscitivo, l'altro preva-
lentemente storico, riguardante il tipo di lingua da adottare per l'Italia.
L'altra divergenza è di carattere politico e concerne le visioni di un diverso
modello di unificazione nazionale.
L'entusiasmo manifestato da Manzoni nel 1830 alla lettura dei primi
due tomi del Nuovo Saggio di Rosmini tende a raffreddarsi alla lettura
dei successivi tomi, per la difficoltà a condividere due aspetti che, secondo
il roveretano, ineriscono all'idea dell'essere: l'innatismo e l'indeterminatez-
za. L'idea dell'essere è il fulcro del sistema filosofico di Rosmini: <<l'uomo
non può pensare a nulla senza l'idea dell'essere>>; ed è garanzia dell'ogget-
tività della conoscenza: <<l'aver [ ...] questa idea, equivale ad avere la pos-
sibilità di vedere le cose in sé» 6 • Da questi presupposti scaturiscono i re-
quisiti dell'idea dell'essere che consistono nell'innatismo e
nell'indeterminatezza. L'idea dell'essere è innata perché non derivata o ac-
quisita da altre idee ed è indeterminata perché universale e capace di de-
terminare tutte le cose. Sono proprio queste le caratteristiche che Manzoni
afferma di non capire, pur nella condivisione del ruolo generale assunto
dall'idea dell'essere. Egli sostiene l'incomprensibilità dell'innatismo di
una tale idea e l'impossibilità di farsi <<Wla idea d'una idea assolutamente
indeterminata>>. Accanto a questa pars destruens, Manzoni propone anche
una pars construens incentrata sulla teoria della 'virtù rivelativa' della pa-
rola; afferma Manzoni: «Le dirò o Le ridirò ch'io vo sospettando, arzigo-
golando, chimerizzando che la parola, con quella virtù sui generis con la
quale move la nostra mente ad atti che senza questo mezzo essa non po-
trebbe produrre, la porti anche a quel primo ed universale concetto del-
1'ente» 7• Le posizioni teoretiche tra i due amici sono molto diverse: per
Manzoni il linguaggio 'provoca' l'idea dell'essere e le singole idee e ne è
3. La comune antropologia
io Questa espressione richiama da vicino gli appelli di Benedetto XVI ad «allargare gli
spazi della ragione».
11 A. Rosmini, Antropologia soprannaturale, a cura di U. Muratore, Edizione Critica
Se la natura dell'uomo include la dimensione trascendente, un ruofo
tutto particolare lo detiene il trascendente cristiano proprio a motivo del-
l'incarnazione, del Logos che diventa carne e che fa in modo che il movi-
mento non è più solo quello dell'uomo che si apre verso Dio, ma anche di
un Dio che si apre verso l'uomo e gli fa conoscere la sua vera natura, il
senso profondo della sua vita e più in generale il senso ultimo degli avve-
nimenti pur tra loro contrastanti. Una tra le pagine più belle delle Ossera-
zioni sulla morale cattolica - un'opera purtroppo poco conosciuta - sem-
bra essere scritta dopo il Concilio Vaticano II e dopo l'enciclica Redemptor
Hominis di Giovanni Paolo II:
«Ciò che è, e ciò che dovrebb'essere; la miseria e la concupiscenza, e l'idea sempre
viva di perfezione e d'ordine che troviamo ugualmente in noi; il bene e il male; le
parole della sapienza divina, e i vani discorsi degli uomini; la gioia vigilante del giu-
sto, i dolori e le consolazioni del pentito, e lo spavento o l'imperturbablità del mal-
vagio; i trionfi della giustizia, e quelli dell'iniquità; i disegni degli uomini condotti a
termine tra mille ostacoli, o fatti andare a vòto da un ostacolo impreveduto; la fede
che aspetta la promessa, e che sente la vanità di ciò che passa, l'incredulità stessa;
tutto si spiega col Vangelo, tutto conferma il Vangelo. [...]E più s'esamina questa
religione, più si crede che è essa che ha riveleato l'uomo all'uomo, che essa suppo-
ne nel suo Fondatore la cognizione la più wriversale, la più intima, la più profetica
d'ogni nostro sentimento» 12 •
In modo analogo, per Rosmini solo il cristianesimo è la chiave erme-
neutica per la comprensione dell'uomo, di Dio e della storia, ma c'è qual-
cosa in più: la grazia sacramentale. Nello specifico del cattolicesimo, con
l'intervento della grazia, «azione divina che congiunge lo spirito umano
ad intima e reale unione con la divinità» (AS, 75) - «quella grazia che>>,
per Manzoni, <<non è mai dovuta, ma che non è mai negata a chi la chiede
con sincero desiderio, e con umile fiducia>> (OMC, 75) - il coinvolgimento
del divino nell'umano investe tutta la persona, la quale arriva così al suo
pieno compimento e alla sua piena felicità. Ed è proprio a tali altezze, teo~
logiche e antropologiche, piace concludere questo lavoro, che viene ideal-
mente dedicato a Benedetto XVI:
«Il sistema del cristianesimo tutto insieme preso, sistema che non può essere finto
da mente umana perché abbraccia il principio del mondo e si continua con tutta la
serie degli avvenimenti, è quel solo che spiega la storia dell'umanità, che dà ragione
di tutti i fatti più importanti avvenuti al mondo, che è conforme alla natura di Dio,
e che interpreta i bisogni dell'uomo e gli soddisfa pienamente. [. ..]
Ma a tanti argomenti illustrati dagli apologisti del cristianesimo nel sistema catto-
Nazionale, II voli., Roma, Città Nuova, 1983, I, p. 247 (da qui in poi, nel testo, con la
sigla AS seguita dal numero di pagina).
12 A Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica, a cura di Romano Amerio, 3 voli.,
Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1965, II, p.14 (da qui in poi, nel testo, con
la sigla OMC seguita dal numero di pagina).
lico ~praggiunge la grazia la quale finisce di vincere, e trionfa ragionevolemente
dell'uomo; dico ragionevolmente perché la grazia è luce interiore; e compimento
ddla sua stessa ragione: di che il sistema cattolico non può essere più uno, più coe-
rente e logico, più serrato e inattaccabile perché perfettamente più consentaneo
con se medesimo» (AS, I, 268-269).
«Coli' azione divina viene creata in noi una nuova potenza: questa comincia ad esi-
stere in noi, quando prima non esisteva; ed ella è un elemento, una parte della no-
stra essenza. [...} dee essere necessariamente insensibile questo primo effetto ddla
grazia in noi, perché la grazia agisce [. ..} in modo creatrice, non fa altro che creare,
che mettere in noi una potenza nuova, che ingrandisce la nostra essenza» (AS, I,
95).
Nota biografica
Rita Zama è studiosa del pensiero di Manzoni e di Rosmini. Ha un assegno di
ricerca' presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove ha conseguito il
dottorato di ricerca sui rapporti tra il pensiero filosofico e qudlo letterario di Manzoni.
Ha la laurea in filosofia, con una tesi su La persona e la libertà in Antonio Rosmini
(Edizioni Sodalitas, 2006) e il diploma di magistero in Scienze Religiose.
Jacques Maritain
L'amicizia di un cristiano
di
Giovanni Grandi
i R. Maritain, Journal de Raissa, Paris, 1963; tr. it.: Diario di Raissa, Morcelliana,
Brescia 1966.
2 J. Maritain, Amor et amitié, in "Nova et Vetera", n.4, 1963, pp.241-279; tr. it.:
Amore e amicizia, Morcelliana, Brescia 19673 . .
3 R. Maritain, Les grandes amitiés, Desclée de Brouwer, Paris 1948; l'edizione
definitiva raccoglie in un unico volume la prima parte, ·uscita nel 1941, con il titolo Les
grandes amitiés, Souvenirs e la seconda, pubblicata nel 1946, con il titolo Les aventures
de la grJce. Tt. it.: I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 19912 •
4 P. Viotto, Grandi amicizie. I Maritain e i loro contemporanei, Città Nuova, Roma
2008. A questo notevole lavoro di raccolta potrà fare riferimento chi desiderasse avere
una panoramica complessiva delle frequentazioni dei Maritain.
Chi però si aspettasse di veder rifluire una così ricca esperienza nelle
pagine del piccolo saggio teorico-filosofico del 1963 rimarrebbe deluso:
qui il punto focale è piuttosto la relazione di donazione tra gli sposi, inqua-
drata nel riferimento all'amore di Dio e all'amore per Dio. Amore e ami-
cizia sono presentati - sulla scia di Tommaso d'Aquino~ - come due for-
me dell'amore di dilezione, diversificate nel fatto di essere il primo un
dono diretto e scoperto di sé, la seconda in dono coperto e indiretto.
Nell'amicizia, spiega Maritain:
«lamico, dando quello che ha, dona anche certamente in un certo modo e nello
stesso tempo ciò che egli è, la sua persona o la sua stessa soggettività [. .. ] si dona,
dunque, certamente e realmente, ma copertamente e indirettamente, mediante al-
tra cosa, o, in altri termini, mediante e grazie ad alcuni doni che nascondono sotto
dei segni il dono di se stesso e, più o meno, lo frammentano; [...].Nell'amore, in-
vece, nell'amore di dimensioni puramente umane, in cui è impegnato lo spirito [. ..]
la persona o soggettività si dà direttamente, scopertamente, o a nudo senza nascon-
dersi sotto le specie di alcun altro dono meno assolutamente totale» 6•
7 J.-L. Barré, ]acques et Raissa Maritain. Le Mendiants du Ciel, éditions Stock, Paris
1996; tr. it.: ]acques e Raissa M.aritain. Da intellettuali anarcbid a testimoni di Dio,
· Edizioni Paoline, Milano 2000, p. 200.
s Cfr. Ibidem.
9 Cfr. Ivi, p. 46.
a Jean Jaurès 10, ma tuttavia si accende una simpatia tra i due che sfocia
nella collaborazione alle iniziative editoriali.
Si tratta di due amicizie grandi, per quanto complesse e tonnentate, si-
gnificative per il fatto di essere precedenti alla conversione al cattolicesimo
dei Maritain, il cui battesimo avverrà nel 1906, avendo come padrino un
altro personaggio di rilievo come Léon Bloy. Il tema della conversione se-
gna infatti la storia di queste relazioni: in un certo senso si può dire che
Jacques abbia lottato costantemente perché questi amici lo seguissero
nel suo stesso itinerario spirituale, facendo di questo snodo - il ritorno alla
fede per Péguy e la nascita alla fede per Emest - quasi il baricentro della
loro relazione. È la stessa R.alssa a suggerire il nesso tra amicizia e attesa
della conversione:
«Se la conversione di Charles Péguy, dopo un momento di felice sorpresa e un pe-
riodo di pura gioia; dovette certamente diventare stranamente fra lui e noi una cau-
sa di dolorosa divergenza, fin al punto in cui della sua e della nostra amicizia non
restò che la feddtà, la conversione di Emest Psichari sarebbe stata per Emest e per
J acques un rinsaldarsi dei legami fraterni>> 11 •
L'itinerario di Psichari, che morirà sulla Marna nel 1914, è segnato da
una certa linearità: arruolato nell'esercito coloniale del Congo, via via sca-
vato nell'anima dall'esperienza del deserto, giungerà alla fede poco prima
cli partire per il fronte della Grande Guerra. Per quanto nella sua fase di
dedizione allo spirito delle anni avesse trattato con ironia l'amico, - che
auspicava di vederlo ancora in terra africana, ma missionario - il loro rap-
porto non fu mai conflittuale. Péguy invece, scomparso a sua volta sul
fronte a pochi giorni di distanza da Emest, fu protagonista di una vicenda
biografica più complessa, caratterizzata - tra l'altro - da uno scontro a
tratti acceso con la dimensione istituzionale ed intellettuale del cattolicesi-
mo; Jacques non mancava di sollecitarlo ad una adesione integrale alla
Chiesa, con modi piuttosto ruvidi talvolta, che probabilmente incisero
su una relazione che pure voleva essere franca e forte. È interessante il fat-
to che Ralssa, ricordando le circostanze che portarono alla rottura del le-
game - riannodato poco prima della morte del direttore del Cahiers - ab-
bia annotato che il marito si sia espresso in un messaggio <<in quei tennini
poco dolci di cui lui ha il segreto e che mi astengo dal riferire letteralmen-
te» 12 • Péguy non fu affatto docile alle pressioni di Maritain e certo questi
non rispanniò all'amico le spigolosità del neoconvertito.
Guardando a questi due legami intensi, sorti molto presto, si potrebbe
forse ritrovare una prima declinazione dell'idea portante di Amore e ami-
76
5. Spunti per una sintesi teorica
È a chiusura di questi passaggi che troviamo una traccia che potrà ri-
condurre anche ad Amore e amicizia:
«La base di un buon compagnonnage tra gli uomini di differenti credenze non è
dell'ordine dell'intelletto e delle idee, ma del cuore e dell'amore. È l'amicizia na-
turale, ma ancor prima e innanzitutto la reciproca dilezione in Dio e per Dio. L'a-
more non va alle essenze, né alle qualità, né alle idee: va alle persone; ed è il mistero
delle persone e della presenza divina in loro ad entrare qui in gioco. Il compagnon-
nage, di cui parliamo non è il compagnonnage delle credenze, è il compagnonnage
degli uomini che credono» 23. · ·
22 Ivi, p. 72.
23 Ivi, p. 74.
24 Cfr. La signi/ù:ation de l'athéisme contemporain, Desclée de Brouwer, Paris 1949;
tr. it. in J. Maritain, Ateismo e ricerca di Dio, Massimo, Milano 1982, pp.206-207
(Testo ripreso da J. Maritain, Il significato dell'ateismo contemporaneo, Morcelliana,
Brescia 1950). .
flitti, ma capace di viverli intensamente e lealmente sul piano delle diver~ •
genze intellettuali, senza trascriverle in inimicizia sul piano delle relazioni
personali.
Anche dal punto di vista dell'amicizia di wi cristiano, che non mette
tra parentesi la questione della conversione di ciascwio, l'impressione è
che il filosofo francese abbia progressivamente dilatato lo spazio dell' at-
tesa dell'altro, dei suoi modi e dei suoi tempi. Nella riflessione della ma-
turità si ritrova sempre la chiarezza delle posizioni, ma non più quella
intransigenza e quasi quella fretta nel misurare i passi spirituali degli
amici più grandi dei primi anni, dettata certo anche dall'affetto fraterno.
In un bel passo de La persona e il bene comune possiamo scorgere l' e-
laborazione del ruolo di chi accompagna l'altro in un itinerario di ma-
turazione:
«In realtà, ciò che importa principalmente per l'educazione ed il progresso dell' es-
sere umano, nell'ordine morale e spirituale, è il principio interiore: vale a dire, qui,
la natura e la grazia. I nostri mezzi non sono che degli ausiliari, la nostra arte, un' ar-
te cooperatrice ministra rispetto a qm;sto principio interiore» 25 •
Il ruolo del testimone, anche nelle dinamiche della conversione perso-
nale, è subordinato all'iniziativa di quel «principio interiore» che poi è lo
Spirito di Dio: è un passo di consapevolezza che non sterilizza la compo-
nente spirituale di un'amicizia tra diversi, ma certo la libera da wi'impro-
pria volontà di verifica di ciò che accade nell'interiorità dell'altro quanto
alla sua lotta con lo Spirito di Dio.
Per quanto la riflessione teorica di Maritain sull'amicizia possa apparire
contratta, è probabile che anche a questo proposito si possa dire di lui
quello che ha scritto un altro suo grande amico, Paolo VI, all'indomani del-
la sua morte: «Davvero Wl grande pensatore, maestro nell'arte di pensare,
di vivere, di pregare. Muore solo e povero, associato ai Petits Frères di pa-
dre Foucauld. La sua voce, la sua figura resteranno nella tradizione del
pensiero filosofico e della meditazione cattolica».
Nota biografica
Giovanni Grandi è ricercatore in Filosofia Morale presso il Dipartimento di
Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell'Università degli Studi di
Padova e docente di Antropologia applicata presso il Corso di Laurea Magistrale in
Scienze del Servizio Sociale del medesimo Ateneo. È stato Presidente del Centro Studi
Jacques Maritain (Portogruaro, VE) e dell'Istituto Jacques Maritain (Trieste). È
membro del Consiglio Scientifico dell'Istituto Internazionale Jacques Maritain e del
SOUQ (Centro Studi Sofferenza Urbana, Casa della Carità, Milano). Fa parte del
comitato di direzione dell'annuario di filosofia "Anthropologica" (Ed. La Scuola) e
della direzione della rivista "Dialoghi" (Ed. AVE). Tra le sue pubblicazioni: Essere
2.5 J. Maritain, La personne et le bien commun, Desclée de Brouwer 1946; tr. it.: La
persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1995 10, p.28.
utili. L'znvisibile negli interventi di aiuto, Edizioni Meudon, Portogruaro, 2011;
Persona, felicità, educazione, La Scuola, Brescia 2010; Decidersi. Scegliere e decidere di
sé secondo una prospettiva antropologica cristiana, Edizioni Meudon, Portogruaro 2009.
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Il contributo di Benedetto XVI
di
Salvatore Vitiello
4 Ivi, n.3
' Ibidem.
6 Ivi, n.2.
tiva, "liberarsi" della Chiesa, con il suo insegnamento e i suoi precetti?
Non dovrebbe, forse, più apprendere ciò che è vero e buono, per poi se-
guirlo umilmente? È giunto, forse il momento perché proprio l'uomo di-
venga arbitro, anzi "creatore", del vero, del buono e, quindi, di se stesso?
La risposta che Benedetto XVI offre a tali domande è la medesima che
ha attraversato, di fatto, tutto il suO magistero, facendosi carico delle istan-
ze contemporanee più "insistenti'', purificandole da ogni falsa pretesa e
orientandole alla verità di Cristo e dell'uomo. Basti pensare, tra i tanti in-
terventi, alla Lectio divina, tenuta nel 2009 agli alunni del Pontificio Semi-
nario Romano Maggiore, nella quale ha affermato: «Proprio questa asso-
lutizzazione dell'io è [. ..] degradazione dell'uomo, non è conquista della
libertà: il libertinismo non è libertà, è piuttosto il fallimento della libertà» 7 •
E ancora, in risposta al desolante "appello alla disobbedienza" pro-
mosso da alcuni ecclesiastici di area germanica, nell'omelia della Messa cri-
smale del 2012 ha affrontato nuovamente, con disarmante chiarezza, il
rapporto tra libertà e obbedienza. Anzitutto, ha posto la domanda crucia-
le: «La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa?» 8 • Quindi, dopo
aver mostrato come, effettivamente, Cristo Signore avesse purificato la
Legge di Dio dai vincoli delle tradizioni umane, ha indicato come, però,
Cristo stesso concentri in Se stesso tutta la verità dell'uomo e, con ciò, l'u-
nico vero rinnovamento: «La conformazione a Cristo è il presupposto e la
base di ogni autentico rinnovamento». E non vi può essere conformazione
a Cristo che esuli dalla Comunione con Lui, cioè dalla comunione sacra-
mentale, gerarchica e dottrinale con il Suo Corpo, che è la Chiesa. Solo
in Cristo l'uomo può trovare la vera libertà, perché in Lui solo dimora tut-
ta la verità, ogni vero compimento, l'unica e vera pace. E della Presenza
viva di Lui la Chiesa, per divina volontà, è custode e strumento.
Nella Deus Caritas est l'allora Sommo Pontefice si pronuncia nello stes-
so senso, individuando nel dinamismo della vita cristiana l'unica vera rea-
lizzazione dell'amore umano. « ...L'eros ha bisogno di disciplina, di purifi-
cazione per donare all'uomo non il piacere di un istante, ma un certo
pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto
il nostro essere tende» 9• Ma prima di addentrarsi dentro la novità di tale
dinamismo, compie un passo previo. Analizzando il mondo pre-cristiano -
mondo dal quale, per certi versi, non sembra troppo distante la società
contemporanea -, pone in rilievo come l'eros fosse, allora, inteso anzitutto
come "ebbrezza", <<la sopraffazione della ragione da parte di una "pazzia
divina" che strappa l'uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo
7 Id., Visita al Pontificio Seminario Romano Maggiore in occasione della Festa della
Madonna della Fiducia, Lectio Divina, 20 febbraio 2009.
8 Id., Santa Messa del Crisma, Omelia, 5 aprile 2012.
9 Id., Deus Caritas est, n.5.
essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta bea-
titudine>> 10 • Alla traduzione pratica di questo pensiero, all'istituto cioè del-
la "prostituzione sacra", si oppose con massima fermezza l'Antico Testa-
mento.
Da questa breve analisi, Benedetto XVI desume due realtà: l'intimo le-
game tra il Divino e l'amore, in quanto questo promette infinità, eternità,
cioè «una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del
nostro esistere» 11 , e, in secondo luogo, la necessità di purificare la "via
dell'amore", affinché l'uomo non si lasci, meramente, sopraffare dall'istin-
to, degradando la vita umana da fine a "mezzo", ma abbracci le necessarie
purificazioni e maturazioni, affinché l'eros possa guarire in vista della sua
vera grandezza. L'eros, l'amore ascendente e bramoso, ha bisogno, in ve-
rità, dell'agape, dell'amore discendente e oblativo, per maturare fino alla
sua vera grandezza u.
15 Ibidem.
16 Ivi, n. 7.
17 Ivi, n. 10.
o una grande idea, bensì l'incontro con un Avvenimento, con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» 18 •
Solo da qui, dall'incontro con l'Avvenimento, con la Persona di Gesù
di Nazareth, Signore e Cristo, è possibile comprendere ogni altra "questio-
ne" e, nello specifico, l'insegnamento cristiano sulla virtù teologale della
carità. Solo nella viva esperienza dell'amore di Dio, l'uomo viene radicato
nella perenne sorgente dell'amore, un amore, che si presenta come eros e,
insieme, agape. Eros, perché Dio ama in modo personale, elettivo ed ap-
passionato, muovendosi Egli per primo verso l'uomo e cercandolo con di-
vina ostinazione, al punto da. farsi Uomo Egli stesso; agape, in quanto, non
solo questo amore è donato in modo del tutto gratuito, senzà alcun merito
precedente, ma perché è un amore pronto sempre a perdonare, tanto
grande «da rivolgere Dio contro se stesso», come, in un altro punto del-
l'Enciclica, afferma ancora Benedetto XVI:
«La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa
di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito. [ ... ] Nella sua
morte in Croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nd quale Egli si do-
na per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale>> 19.
18 Ivi, n.1.
19 Ivi, n. 12.
20 Ivi, n.6.
21 Sallustio, De coniuratione Catilinae, xx, 4.
22 Benedetto Xvi, Deus Caritas est, n. 17.
Da questa immedesimazione, infine, scaturisce la vera unità dell'amore
e, quindi, della persona umana, sia in se stessa, nella sua duplice dimensio-
ne corporea e spirituale, sia con gli altri, in quanto
«.l'unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si
dona. Io non posso avere Cristo solo per me, posso appartenergli soltanto in unio-
ne con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi La comunione mi tira
fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l'unità con tutti i cristiani. Di-
ventiamo "un solo Corpo", fusi insieme in un'unica esistenza. Amore per Dio e
amore per il prossimo sono ora veramente uniti» 23 •
23 Ivi, n.14.
24 Cfr. Ivi, n.19.
Z5 Ivi, n. 25.
26 Ivt', n . .34.
Nell'incontro con Cristo sta, allora, l'origine dell'essere cristiano e nel-
l'unione con Lui il nucleo della vita cristiana, la verità stessa della Chiesa e
l'essenza della fede e dell'amore, quell'essenza che il Santo Padre Benedet-
to, con inaudita profondità teologica e altissima sensibilità mistica, ci ha
ihcessantemente mostrato, innanzitutto, come strada ragionevole per ogni
uomo e che, ora, in questo Anno della Fede, guidati dal Santo Padre Fran-
cesco, siamo chiamati, con forza, a riscoprire ed accogliere, com'egli ha af.
fermato nella sua prima lettera enciclica Lumen Fidei: <<La fede trasforma
la persona ihtera, appunto in quanto essa si apre all'amore. [... ] La fede
conosce in quanto è legata all'amore. [... ] La comprensione della fede è
quella che nasce quando riceviamo il grande amore di Dio èhe trasforma
interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà» 27 •
Nota biografica
Salvatore Vitidlo è docente di Introduzione alla Teologia presso l'Università
Cattolica del Sacro Cuore Sede di Roma, di Teologia Sacramentaria presso l'Istituto
Superiore di Scienze Religiose di Torino e Coordinatore del Master di Il Livdlo in
Architettura, Arti sacre e Liturgia ddl'Università Europea di Roma.
Nota biografica
Elio Guerriero è curatore dell'edizione italiana delle opere di Hans Urs von
Balthasar presso Jaca Book.
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chiesa; 14: Teologia e magistero; 15: La missione alle genti; 16: Matrimonio e famiglia; 17:
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Creatore e signore del cielo e della terra; 26: La fedeltà; 27: Appanenere alla chiesa; 28:
Evangelizzazione e promozione umana; 29: Esegesi spirituale nella chiesa; .3 O: Esperienza religio-
sa; 31: Gesù Cristo «generato non fatt0»; 32: Comunità vive; 33: Sofferenza e guarigione; 34: La
morale cristiana; 35: I:eucarestia; 36: Diritt0 canonico; 37: Nato da Maria Vergine; 38: Giustizia e
Giustificazione; 39: I:evidenza interna della fede; 40: La penitenza; 41: La liturgia; 42-43: E il
Verbo si fece carne; 44: Catt0lici praticanti; 45: Il Demoniaco; 46: Educazione cristiana; 47 /48: La
storia della chiesa; 49: Fu crocifisso per noi; 50: Fortezza o violenza?; 51: Il matrimonio cristiano;
52: Il cristianesimo e le nuove religioni; 53: I:autorità del vescovo nella chiesa; 54: Il corpo; 55: La
discesa agli inferi; 56: La dottrina sociale e i diritti dell'uomo; 57: I consigli evangelici; 58: Parlare
di Dio; 59: Il sacerdote; 60: Paternità e misericordia; 61: La resurrezione; 62-63: Mistero e senso
della persona; 64: La cresima; 65: I: arte; 66: La Chiesa; 67: Catechesi e catechismi; 68: Pluralità e
pluralismo; 69: Ascese al cielo; 70: l:unzione degli infermi; 71: Redenzione e riconciliazione; 72: La
crisi contemporanea; 73: Siede alla destra del Padre; 74: Il lavoro dell'uomo; 75: I cristiani di fron-
te al potere; 76: La speranza cristiana; n: Rimetti a noi i nostri debiti; 78: Biologia e morale; 79:
Veni a giudicare i vivi e i morti; 80: L'infanzia; 81: L'eucaristia sacrificio di Cristo e del cristiano;
82: La preghiera del cristiano; 83-84: L'impegno del cristiano; 85: Credo nello Spirito Santo; 86:
Venga il tuo Regno; 87: Leggere la Sacra Scrittura; 88: Beati i poveri in spirito; 89: Famiglia cristia-
na; 90: I Laici nella Chiesa e nel mondo; 91: Credo la Chiesa «una»; 92: Beati i perseguitati; 93:
L'anima; 94: La verità; 95: Religiosità popolare e teologia popolare; 96: Santi e teologi; 97: La comu-
nione dei santi; 98-99: Riflessioni sul «Senso religioso»; 1DO: Cosmo e Creazione; 101: Cristianesimo
e/o Buddismo; 102: Beati i puri di cuore; 103: La remissione dei peccati; 104: Per costruire la pace;
105: Hans Urs von Balthasar; 106: La rivoluzione francese; 107: I miracoli; 108: L'immaginazione
religiosa; 109: La Resurrezione della carne; 110: Postmoderno? Il destino dell'uomo; 111: La mis-
sione di Cristo e del cristiano; 112: Identità e formazione del sacerdote; 113: Beati quelli che hanno
fame e sete della giustizia; 114: 25 anni dal Concilio. La riforma della Chiesa; 115: La vita eterna;
116: L'unità nella Chiesa universale. Il ministero del Papa; 117: Cento anni dalla Rerum Novanun.
Nuove frontiere della questione sociale; 118: Il peccato originale; 119: Beati gli afflitti; 120: Solo
l'amore è credibile; 121: Io sono il Signore Dio tuo; 122: La pedagogia cristiana; 123: Le chiese
orientali; 124: La nuova evangelizzazione; 125: Individualismo e solidarietà; 126: Henri de Lubac;
127: Non nominare il nome di Dio invano; 128: Il Catechismo della Chiesa cattolica; 129: I:azione
liturgica; 130: I:etica; 131: Beati i misericordiosi; 132: Romano Guardini; 133: Ricordati di santifi-
care la festa; 134: Identità nazionale e bene comune; 135: La spiritualità del cristiano; 136:
Comunicare la fede; 137: La carità; 13 8: Le scuole di teologia in Italia; 13 9: Onora il padre e la
madre; 140/141: Chiesa e arte; 142: Yves Congar; 143: La Fede; 144: Ordine politico e laicità; 145:
Non uccidere; 146: La gioventù e il senso della vita; 147: Il Cristianesimo e le religioni; 148: La spe-
ranza; 149: La Conferenza Episcopale Italiana; 150: «Donaci santi sacerdoti»; 151: Il sesto coman-
damento; 152: Gesù Cristo; 153: Il pellegrinaggio; 154/155: La malattia; 156: La prudenza; 157:
Non rubare; 158: Lo Spirito Santo;159: Il Lavoro; 160/161: Il Giubileo; 162: La classicità nella
scuola del 2000; 163: La fortezza; 164: Il Padre; 165: Non dire falsa testimonianza; 166: I sacra-
menti nella vita del cristiano; 167-168: I: umanesimo cristiano per il terzo millennio; 169: Non desi-
derare. IX e X Comandamento; 170: Eucaristia e Trinità; 171: La musica; 172/17.3: Perdono e giu-
stizia.; 174: La parola di Dio; 175/176: Ferdinand Ebner; 177: Il Diaconato; 178: La trasmissione
della fede; 179: Letterarura e Cattolicesimo; 180: Scienza e Fede; 181: I misteri della vita di Cristo;
182: La comunità cristiana; 18.3-184: I: amore custodisce la città; 185: La Provvidenza; 186: Nuove
forme di santità; 187: L'incarnazione; 188: Essere cristiani oggi; 189: Il Rosario; 190-191: Giovanni
Paolo IL 25 anni di pontificato; 192: Dio Soffre?; 193: La vita nascosta di Gesù; 194: La confessio-
ne; 195: La gioia; 1%-197: Abitare; 198: La vita consacrata; 199: Il battesimo di Gesù; 200 Europa
e Cristianesimo; 201: Dio è amore; 202: Creazione e dono; 203-204: Hans Urs von Balthasar; 205:
Le no= di Cana; 206: La dignità dell'uomo; 207: I:educazione negata; 208-209-210: La vita di
Dio per gli uomini; 211: I:annuncio del Regno; 212: I:inquietudine; 213: Cristo e le religioni; 214:
La fedeltà; 215: La trasfigurazione di Gesù; 216: Julien Ries; 217: La bellezza; 218: Mito vei:sus
Fantasy; 219: L'ingresso di Gesù a Gerusalemme; 220: l:azione sociale della Chiesa; 221: Gesù
Cristo Salvatore e Giudice; 222: La Paternità; 223: Il Mistero Pasquale; 224: Il mistero di Israele;
225: Il diritt0 naturale; 226: Credo la Chiesa; 227: Ascensione e Pentecoste; 228: Lavoro e creati-
.. ~ .. ~. ~~Cli.T _ /""L! ___ . . 1• ...... ,.,, -r - • ... -- - -