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1_; amicizia

Guerriero, Laiti, Raguz, Rong,


Soding, Ventorino, Vitiello, Zama

:,:'m-Vista Internaziona e
+\:/)feologia e Cultura •

mun10
<J~kmero 237, luglio-agosto-settembre 2013

m. 11 Jaca Book Il
itài16Jrci1 dlverso provenienza lingulstlco. culturale e disciplinare. stanno reoliZzando, in edizione lto-
·jj(ìfib/pcilacca. spagnolo e tedesco, una se~e completo di manuali per l'Insegnamento dello teolo-
:~gki lr{f'ocoltò, Seminari, Istituti di scienze religiose e corsi per laici. Gli autori hanno come riferimento
'boml'.ii'ìel'opera di Henrl de Luboc e Hons Urs von Bolthasor, con l'Intento d1 tornire un'esposizione or-
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Ws6Hkuinana. Antropologia teologica, Angelo Scola (Pontificia Università Late~
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{Rbìrianus Cessario (Teologia morale, Washington),€ 18,08 i
'§file del cristiano, a cura di Livio Melina (Teologia morale, Roma),€ 23,00
io sociale della Chiesa, Reinhold Marx, Udo Zelinka (Dottrina socialè

.~&~~~~ -DIO E UOMO NELLA GLORIA !J


'ifel§ignore nella Gloria, Candido Pozo (Teologia dogmatica, Granadà)_;
Indice

Editoriale, di Aldino Cazzago ·3


Johannes Vermeer (Delft, 1632-1675), Cristo in casa di Marta Maria, e
1655 circa, Edimburgo (riproduzione) 8
L'amicizia di Gesù con Marta e Maria (Johannes Vermeer), di Maria
Antonietta Crippa 9
L'amicizia con Gesù, di Thomas Soding 10
Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo: un'amicizia al vaglio della
fede, di Giuseppe Laiti 23
.«Ecce ego et tu, et spero quod tertius inter nos Christus sit.». Aelredo
di Rievaulx sull'amicizia, di Ivan Raguz 32
L'esperienza dell'amicizia in san Tommaso d'Aquino, di Francesco
Ventorino 42
Il trattato Dell'Amicizia di Matteo Ricci, di Rong Hengying 51
J:: amicizia fra Manzoni e Rosmini, di Rita Zama 62
Jacques Maritain. L'amicizia di un cristiano, di Giovanni Grandi 71
Eros e Agape. Il contributo di Benedetto XVI, di Salvatore Vitiello 81
·pn padre della Chiesa tra gli Elvezi, di Elio Guerriero 90

Rivista fondata da
Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac, Joseph Ratzinger
/H>< .· .· Redazione italiana
'~4 Inter1t1Jzionale Ji'Teolcgia e Cultura. Communio
:yia:Frua, 11 - 20146 Milano, Italia - tcL 02.485615 25/fax 02.4984592/4819.3.3 61
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(tlfìidit: ·communio@jacabook.it; serviziolettori@jacabook.it
/f;.dimtato di redazione: Inos Biffi, Aldino Cazzago (Direttore), Maria Antonietta Crippa, Gianfraneo Dal-
:'#iasso; Pierluigi Fiorini, Libero Gerosa, Andrea Gianni, Elio Guerriero, Silvano Petrosino, Giuseppe Re-
:;g&ZO!ii (Responsabile della redazione), Walther Ruspi, Antonio Sicari, Natale Spineto, Dorino Tuniz, An-
i~ Zambarbieri.
fb/mii4to d.ei consulenti: Ellero Babini, Nicola Bux, Francesco D'Agostino, Adriano Dell'Asta, Livio
'\Méliiii.•Luigi Negri, Jacques Servais, Roberto Vignolo.

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INOS BIFFI
RIFORMA E RITI DEL NUOVO
MESSALE AMBROSIANO
PAG. 560, €64 100
ISBN 978-88-16-41221-7

Il Jaca Book Il

:·.In copertina: Manzoni e Rosmini seduti a un tavolo, nell'atto di scambùzrsi il Nuovo saggio sull'origine delle idee
e Il Cinque Maggio. Disegno cli anonimo (particolare). Brusuglio, Villa Manzoni.

:.:.Composizione, impaginazione e stampa: settembre 2013, New Press, Cermenate


Editoriale
di
Aldino Cazzago

Se vi è un'esperienza, che è parte integrante della vita dell'uo-


mo e che ha trovato espressione nei vari ambiti del sapere, da
quello filosofico a quello religioso, da quello artistico a · quello let-
terario, questa è certamente I'amicizia. Secondo Pavel Florenskij
l'amicizia è uno dei modi che gli uomini hanno usato per contem-
plare «la profondità dell'esistenza>>. E poco prima, ancora nelle
splendide pagine sull'amicizia che costituiscono l'undicesima lettera
de La colonna e il fondamento della verità, egli aveva scritto:
«L'amicizia non è solo etica e psicologica, ma prima di tutto on-
tologica e mistica>> 1•
Simone Weil ha affermato che, al pari della «carità verso il prossimo»,
«l'amicizia pura>> racchiude «qualcosa di simile a un sacramento» e a so-
stegno della sua affermazione riportava le parole di Gesù quando dichiara
di voler essere presente in coloro, «due o tre», che si riuniscono nel suo
nome (dr. Mt 18,20) 2 •
È pertanto nella prospettiva indicata dalle parole di Pavel Florenskij e
di Simone Weil che il presente quaderno di Communio intende gettare
uno sguardo sul tema dell'amicizia. Com'è evidente dall'esperienza, gli uo-
lllini cercano l'amicizia perché desiderano essere felici ma oggi - come di-
venta sempre più manifesto - a questa amicizia e alla sua paziente costru-
zione si è sempre meno disposti a dedicare tempo e spazio, illusi anche

1 P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, Rusconi, Milano1974, p.504.


2 S. Weil, Attesa di Dio, Rusconi, Milano 1972, p.162.
dall'idea di poter rispondere all'intatto desiderio di felicità con virtuali e
impalp~bili forme di amicizia 3 •
Questo diverso modo di considerare l'amicizia non è ovviamente legato
all'avvento dell'informatica. Nel 1960 C. S. Lewis descriveva così la diver-
sa stima in cui era tenuta l'amicizia presso il mondo greco-romano e presso
il mondo moderno: <<Per gli antichi l'amicizia era il più felice e il più com-
pleto degli affetti umani, coronamento della vita, e scuola di virtù. Il mon-
do moderno, in confronto l'ignora>>. Per quest'ultimo l'amicizia «è un fat-
tore del tutto marginale; non è la portata principale nel banchetto della
vita, ma semplicemente una tra i tanti contorni: è qualcosa che serve a
riempire i momenti vuoti del nostro tempo» 4•
Come si può constatare ogni giorno, l'amicizia è anche esperienza di
preferenza, di scelta, di condivisione di ideali 5 . Tra compagni di scuola di-
vento amico solo con·alcuni di loro e alcuni o uno di loro scelgono di di-
ventare miei amici. Ha scritto Florenskij: «Per il cristiano ogni uomo è
prossimo, ma non ogni uomo è amico. Il nemico, colui che ci odia, che
ci calunnia,· è sempre prossimo, ma perfino chi ci ama non è sempre amico,
perché i rapporti di amicizia sono profondamente individuali ed esclusivi.
Perfino il Signore Gesù Cristo chiama "amici" i suoi apostoli soltanto pri~
ma del distacco, alla soglia della sua passione e morte (Gv 15,15)» 6 .
<<Non ogni uomo è amico»: è ciò che accade tra Gesù e Giuda. Nel
Getsemani, vedendo Giuda avvicinarsi, Gesù lo saluta con l'appellativo
che in italiano è reso con «amico» (Mt 26,50), ma nel testo greco è reso
con hetairos, compagno, anziché con phflos come avviene quando tra i
due vi è un nesso di reciproco amore (cfr. Le 11, 5-8; Gv 11,11) Il cam-
biamento non è di poco conto perché con questa scelta si chiarisce che alla
volontà di Gesù di stabilire con Giuda un certo rapporto, anche nel mo-
mento del tradimento, non corrisponde un analogo desiderio di quest'ul-
timo e anzi egli è mosso dalla volontà di non prenderlo in considerazione
o, peggio ancora, di disprezzarlo 7 • E nella <<simulazione d'amore e di ve-

3 Cfr. L. Bruni, Il mercato e le relazioni umane. Ci serve tutto un altro film, in:
"Avvenite", 5 maggio 2013.
4 C.S. Lewis, I quattro amori. Affetto, amicizia, eros, carità, Jaca Book, Milano 19902,
pp.59-60. .
' Anche l'amore tra uomo e donna è esperienza di preferenza, di scdta e di
condivisione. Se l'amicizia di tanto in tanto si può trasformare in amore, molto più
difficilmente accade il contrario.
6 P. Florenskij, La colonna, cit., p.477.
7 Cfr. K.H. Rengstorf, in GLNT, Paideia, Brescia 1967, vol. 3, coli. 1003-1010. Lo
stesso si deve dire del lavoratore della vigna che si lamenta dd salario ricevuto dopo
che era stato pattuito e a cui il padrone si rivolge chiamandolo appunto «hetairoS» (Mt
20,13) e dell'ospite che si presenta al banchetto senza veste nuziale e al quale il re si
rivolge con l'appellativo di «hetairoS>> (Mt 22,12).
nerazione>> 8 del bacio si nasconde tutta la distanza del cuore di Giuda dal
cuore di Cristo. ·
Non è senza importanza poi ricordare che i discepoli di Cristo si con-
cepirono sempre come suoi servi, douloi e mai come hetairoi, compagni,
amici occasionali. Dovendo poi specificare i rapporti interpersonali, gli
· stessi cristiani lo fecero impiegando sempre il termine di adelphoi, fratelli
e mai quello di hetairoi. «E ciò si spiega, scrive K.H. Rengstorf, in quanto
essi [i cristiani] hanno sentito e accolto la loro reciproca comunione come
qualcosa di indipendente dai loro desideri e dalla loro volontà, e che per-
ciò li accomunava più strettamente>> 9. Non per nulla Gesù ha ricordato ai
suoi discepoli che «non voi avete scelto me, ma io ho · scelto voi>>
(Gv 15,16).
Commentando non senza un tocco di ironia questo versetto del Van-
gelo, Lewis ha scritto: «L'amicizia non è una ricompensa per il discerni-
mento e il buon gusto che abbiamo dimostrato di possedere trovandoci
vicendevolmente>> io.
Non possiamo dimenticare la novità portata da Cristo quando si tratta
di definire i rapporti che egli ha inteso stabilire con i suoi discepoli e, tra-
mite loro, con tutti gli uomini: «Non vi chiamo pz'ù servi, perché il servo
non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15).
Infine, un'ultima considerazione sulla quotidianità come elemento es-
senziale per la costruzione dell'amicizia. Comnientando il famoso testo
di Giovanni: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita
per i propri amici (Gv 15,13)», F1orenskij ha scritto: <<La potenza e la dif-
ficoltà dell'amicizia non si esprimono in un pirotecnico attimo di eroismo,
ma nella placida fiammella della pazienza di tutta una vita». E alcune pa-
gine più avanti così proseguiva: <<Il massimo amore agapico è realizzabile
soltanto nel rapporto con gli amici, non con tutti gli uomini, non "in ge-
nerale". Ma sarebbe troppo semplicistico pensare che dare la propria vita
per gli amici" significhi morire per loro. Morire per gli amici è soltanto il
grado ultimo (e non il più difficile) nella scala dell'amicizia, ma prima di
. morire per gli amici, bisogna essere loro amico e questo si raggiunge
con uno sforzo ascetico lungo e difficile» 11•
Il dilemma dell'amicizia è ancora racchiuso in un cambiamento verba-
le: dall'avere, all'essere amici. Si è amici solo se l'altro, l'amico appunto, è
. cercato e voluto per quel che è e non anzitutto per quel che ha. Le parole
di Paolo ai Corinzi possono essere lette in questa direzione: <<Non cerco i

s G. Stah.lin in GLNT, Paideia, Brescia 1984, vol. 14, coli. 1182-1186; qui alla col.
1186.
9 K.H. Rengstorf, in GLNT vol. 3, col. 1008.
10 C.S. Lewis, I quattro amori, cit., p. 85.
11 P. Florenskij, La colonna, cit., pp.501e521- 522.
vostri beni, ma voi>> (2Cor 12,14). In un procedimento inverso, l'amico
cerca il mio io e non le cose che possiedo. L'amicizia nasce solo quando
l'io che si offre trova spazio nell'io che accoglie e così «ciascuno vive del-
1'altro, o meglio la vita dell'uno e dell'altro scaturisce da un unico e comu-
ne centro che gli amici con sforzo ascetico creativo pongono davanti a
sé» 12• Lewis l'ha fatto notare con la sua solita precisione: gli innamorati
stanno <<laccia a faccia», gli amici «fianco a fianco; i loro occhi sono rivolti
in avanti>> 13 •

Che differenza vi era nella concezione dell'amicizia nel mondo greco e


in quello biblico? Quale novità ha portato la Scrittura a proposito dell' a-
micizia? Il lungo e documentato contributo dell'esegeta tedesco Thomas
Soding dà una interessante risposta a questi interrogativi. Le figure di Gre-
gorio di Nazianzo e Basilio Magno occupano un posto di rilievo nella sto-
ria della teologia. Lo scritto di Giuseppe Laiti illustra con precisione i trat-
ti della loro amicizia, che si è trasformata in un servizio alla Chiesa. La
letteratura teologica medievale, portando con sé molta della tradizione fi-
losofica classica, ha lasciato profonde meditazioni sull'amicizia, sulla sua
origine e sulla sua meta finale. Lo scritto di Ivan RagtiZ sul trattato dell' a-
micizia del monaco cistercense Aelredo di Rievaulx e di Francesco Vento-
rino sul pensiero di Tommaso d'Aquino offrono una ricca testimonianza e
interessanti spunti di riflessione, proponendo un pensiero che ha ancora
molto da dire a noi postmoderni.
Per molti lettori sarà una piacevole scoperta il contributo con il quale la
cinese Hengying Rong fa conoscere il Trattato sull'amidzia che il famoso
missionario gesuita Matteo Ricci scrisse nel 1595. Le antologie di lettera-
tura non ne parlano affatto, ma il grande Alessandro Manzoni visse una
intensa amicizia con il filosofo Antonio Rosmini. Nelle pagine che Rita Za-
ma dedica a questo tratto della vita del grande letterato milanese e del fi-
losofo di Rovereto è possibile scorgere anche un originale incontro tra let-
. teratura, filosofia e riflessione teologica. Aiutati da una serie di amicizie, in
particolare quella dei coniugi Bloy, Raissa eJacques Maritain scoprirono la
fede cristiana. La loro casa divenne poi un foyer di amicizie, capace di le-
g~ assieme persone assai differenti. Anche da queste circostanze, come
ricorda Giovanni Grandi .nelle sue pagine, nacque la riflessione di Mari-
tain sull'amicizia. Il quaderno si chiude con le pagine che Salvatore Vitiello
dedica agli intrecci tra eros e agape nel pensiero di Benedetto XVI.

12 lbid., p. 499.
13 C.S. lewis, I quattro amori, cit., p. 66.
L'amicizia di Gesù
con Marta e Maria

L'amicizia di Gesù con Marta e Maria è stata oggetto di molte rappre-


sentazioni pittoriche, nella maggior parte dei casi rispondenti a uno sche-
ma compositivo caratterizzato da evidente richiamo al testo evangelico di
Luca (10, 38-42), nella messa in scena di un dialogo fra le due sorelle e Ge-
sù che, rivolto verso Marta, le addita Maria. In qualche caso i pittori si so-
no concessi rappresentazioni di interni molto accurati, talvolta persino ric-
chi di selvaggina, di pesci o di prodotti dei campi, i più vari, per la
preparazione di pranzi e cene, quasi a decantare il rimprovero di Gesù a
Marta, nel fasto di un'ospitalità generosa, testimone anche di concreto fa-
vore a Maria e alla sua intima e profonda amicizia con il maestro. Johannes
Vermeer, vissuto come Rembrandt nel secolo d'oro della pittura olandese,
ha voluto invece, in questo quadro conservato a Edimburgo, dare risalto
assoluto allo schema compositivo di matrice evangelica concentrando l'at-
tenzione su volti e gesti dei tre protagonisti. Li ha collocati nel suo studio
di pittore con quadri ovunque appesi, come sfondo appena accennato alla
loro luminosa presenza attorno ad un piccolo tavolo, coperto dalla tovaglia
bianca riverberante luce, al cui centro sta un cesto con un solo, grande pa-
ne. Le due donne sono attentissime al maestro: Maria ferma su uno sgabel-
lo ai suoi piedi, col volto in penombra, Marta al suo fianco, in piena luce e
in atto di muoversi con il cesto. Pittore capace di straordinarie trasparenze
e di sottili vibrazioni formali grazie anche alla personale tecnica e a un uso
molto raffinato dei pigmenti, protestante convertitosi tardi al cattolicesimo
e poco awezzo a rappresentazioni di carattere religioso, Vermeer in questo
quadro punta soprattutto a cogliere un'atmosfera, un clima amicale nel
quale il maestro, dai tratti di uomo semplice, può parlare in libertà, sicuro
di una reciprocità che gli consente riflessioni e ammonimenti che possono
non essere di facile o immediata comprensione. Per questo sul volto di
Marta non rintracciamo indizi di disappunto, piuttosto vi si legge la sor-
presa, lo stupore che interroga e che vuole capire il senso di un mistero
che il Maestro porta con sé e che attrae e affascina.

Maria Antonietta Crippa


L'amicizia con Gesù
di
Thomas Soding

1. Un tema neotestamentario

Può esserci vera amicizia tra gli uomini? L'antichità ne è convinta, e


anche la modernità 1• Il desiderio di amicizia è qualcosa di profondo,
non soltanto per i bambini: esiste tra uomini, tra donne, tra uomo e donna
un amore governato non dalla sessualità, ma dalla solidarietà, senza essere
in concorrenza con l'amore genitoriale, filiale, coniugale? Esiste un'affinità
elettiva che si fondi sulla libertà, sul coinvolgimento e sull'affetto senza ri-
nunciare alla propria felidtà, ma anzi con una vita più piena? Né l'antichi-
tà, né la modernità vogliono fare a meno della felicità che può offrire l'a-
micizia; per questo sia i libri antichi che quelli nuovi narrano e consigliano
a piene mani come trovare questa felicità.
Può esserci, poi, vera amicizia tra Dio e gli uomini? L'antichità non ne

1 K. Treu, «Freundschaft», Reallexikon far Antike und Christentum, vol. vm, a cura
di T. Klauser, Hiersemann, Stuttgart 1972, pp.418-434, A. Miiller, «Freundschaft»,
Historisches Worterbuch der Philosophie, vol II, a cura di J. Ritter, K. Grilnder, G.
Gabriel, Schwabe, Base! 1973, pp.1105-1107; J.-C. Fraisse, Philia. La notion d'amitié
dans la philosophie antique, Vrin, Paris 1974; O. Kaiser, Lysis oder von der Freundschaft
(1980), in Id, Der Mensch unter dem Schz'cksal. Studien zur Geschichte, Theologie und
Gegenwartsbedeutung der Weisheit, in: "Bcihefte zur Zeitschrift fiir elle alttestamen-
tliche Wissenschaft" 161, de Gruyter, Berlin 1985, pp.206-231; John T. Fitzgerald (a
cura di), Flattery and Frankness of Speech. Studies on Friendship in the New Testament
World, in: "Novwn Testamentum · Supplements", 82, Brill, Leiden 1996; Id. (a cura
di), Graeco-Roman Perspectives on Friendship, in: ''Resources for Biblica! Study'', 34,
Scholars Press, Atlanta 1997.
è affatto convinta, e anche la modernità è scettica. Gli dei non sono forse
capricciosi? Dio non è forse troppo lontano dall'uomo, troppo sublime,
troppo grande, per essere un buon amico degli uomini? E gli uomini
non sono forse troppo egoisti per diventare amici di Dio? Fino a che pun-
to Dio si interessa della vita di un uomo? Fino a che punto gli uomini sono
disposti a far avvicinare Dio a sé? Quella dell'amicizia con Dio è una te-
matica di grande intensità, capace di far magnificamente vedere una vita
che metta assieme amore di Dio e amore del prossimo, imago Dei e gioia
di vivere. Ma l'amicizia con Dio è un sogno o qualcosa di più? E l'amicizia
umana non è forse in concorrenza con l'amore di Dio? O le due sono in-
vece legate, magari addirittura unite? 2 Ma allora in che modo lo sono, sen-
za violare né la divinità di Dio né l'umanità dell'uomo?

2. Gli amici in Grecia

·Aristotele dedica diversi libri dell'Etica nicomachea all'amicizia (Eth.


Nich. VIII-X) 3 • Il filosofo greco sa quanto sono importanti l'impegno in po-
litica, la vita in famiglia, un buon mestiere, un'economia prospera. Ma sa-
peva anche quant'è importante per gli uomini avere buoni amici. L'amici-
zia, ritiene, è una virtù d'importanza vitale. «Senza amicizia nessuno
sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni» (VIII 1
1155a 5s.). Ma che cos'è la vera amicizia?

a) Tre tipi di amicizia

Aristotele cita alcuni detti che, con leggere variazioni, sono rimasti
uguali fino ad oggi: <<ll simile va col simile>> (Eth. Nich. VIII 2 1155a
34); un cuore e un'anima sola (Eth. Nich. IX 8 1168b 8), «gli amici hanno
tutto in comune>> (Eth. Nich. IX 8 1168b 8), <<le cose degli amici sono co-
muni>> (Eth. Nich. VIII 11 1159b 3 ls.); gli amici condividono «gioie e do-
lori>> (Eth. Nich. IX 4 1165a 8s.). È questo il suo punto di partenza. Tut-
tavia, Aristotele noff sarebbe un filosofo se si limitasse ad avvalorare le
massime quotidiane. Egli, invece, le critica e le modifica, e come Platone
nel Lz'side, scava in profondità la questione dell'amicizia.

2 È la tesi dell'enciclica Deus caritas est, in cui tuttavia Benedetto XVI non prende
tanto in considerazione l'amicizia, ma scrive, con gli occhi puntati su Gesù Cristo, dove
è fondata l'unità tra l'amore di Dio e l'amore del prossimo: «ll suo amico è mio amico»
, (n.18).
3 Cfr. F. Ricken, Ist Freundscha/t eine Tugend? Die Einheit des Freundschaftsbegriffi
der «Nikomachischen Ethik», in: "Theologie und Philosophie", 75, 2000, pp. 481-492.
Aristotele distingue fra tre tipi di amicizia: la prima ha per fine il dilet-
to, la seconda l'utilità e la terza l'edificazione. Tutte e tre le fonne sono
caratterizzate dall'uguaglianza e dalla comunione: «amicizia è uguaglian-
za» (Eth. Nich. IX 8 1168b 9). Ma il peso e la fonna dati all'uguaglianza
e alla relativa amicizia sono molto diversi. Ci si può incontrare con persone
affini per praticare insieme uno sport o occuparsi dei propri hobby; in
questo caso, se non c'è un'evoluzione, si resta insieme solo finché se ne
ha voglia. Ci sono anche gli «amici d'affari», dei quali va coltivato il favore
se si vuole restare nel giro. I compagni di battaglia devono essere come le
dita di una mano, altrimenti non c'è speranza; dopo la guerra ognuno va
per la propria strada, e si ritrovano al massimo agli incontri tra veterani. I
colleghi di lavoro sono più produttivi se non c'è proprio assoluta antipatia
tra loro, ma in azienda il loro non è che un patto di convenienza. Sono
tutte amicizie fragili, sono tutti amici interscambiabili. Le amicizie più a
rischio, e quelle più pericolose per gli altri, sono quelle politiche. Il sillo-
gismo <<nemico - acerrimo nemico - compagno di partito» non suonereb-
be strano neppure nell'antichità. Le amicizie politiche servono a conserva-
re il potere, a gestire gli interessi, a far valere le proprie ambizioni. È un
caso raro e felice che ciò non accada a danno di altri e sia accompagnato
da mutua simpatia, destinata anche ai molti che sono estranei alla cerchia.
Altrimenti l'amicizia è solamente egoismo camuffato.
Diversa è la terza tipologia di amicizia, l'unica vera: quella interessata al
bene. I buoni amici hanno un senso del bene, per sé e per l'altro 4 • Che si
tratti di cultura o gioia di vivere, di arte e scienza o tecnica ed economia,
ciò che è buono favorisce la comunione fra gli uomini e nella comunione è
sentito e favorito con più intensità. La vera amicizia può svilupparsi anche
tra amici d'affari e compagni di partito, tra colleghi di lavoro o tra i mem-
bri di un'associazione: tanto meglio per l'amicizia, e anche per la capacità
di far legittimamente valere i propri interessi. In un certo senso, l'amicizia
stessa è un bene prezioso. Esiste di per se stessa, ma non sotto forma di
uno stadio più elevato di egoismo da condividere con gli altri, bensì come
scoperta reciproca e supplemento di umanità, senso della bellezza, giusti-
zia. A differenza di quelle che servono soltanto al piacere, al profitto e al
potere, queste amicizie non fanno male a nessuno.

b) Amicizia nella libertà

La vera amicizia è caratterizzata dalla libertà. Amiche e amici li cerchia-

4 Cfr. E. Peroli, Le bien de l'autre. Le role de la <philia» dans l'ethique d'Aristote, in:
"Revue d'ethique et de theologie morale", 242, 2006, pp. 9-46.
mo e li trovi.amo, non sono beli' e pronti. Certo, l'amicizia va curata; biso-
gna investirci tempo ed energia. Ma se si prova solo avversione l'amicizia
non può decollare. Se però le si resta fedeli, ci si rende felicemente conto
che gli altri non sono concorrenti, ma partner che gioiscono e soffrono con
noi; e altrettanto felicemente ci si scopre disponibili al coinvolgimento, ca-
paci di amare, destinati alla comunione.
La vera amicizia presuppone un mettere in comune. Non che si debba
per forza passare molto tempo insieme. Ma senza una profonda affinità
d' anime, senza un fitto scambio di idee, senza che si pensi di continuo al-
1'altro, senza compassione l'amicizia non nasce. Gli interessi comuni sono
una gran cosa, ma l'amicizia è più di un patto di convenienza a tempo.
Quando è fondata sulla simpatia, un'amicizia ha la forza di superare i con-
fini tra ricco e povero, padrone e servo. E tuttavia, l'amicizia è contraddi-
stinta dalla reciprocità; in caso contrario si violerebbe il principio di ugua-
glianza. Quello che l'uno fa per l'altro, lo farebbe anche questi per il
primo, se necessario. Le amiche e gli amici devono aiutarsi a vicenda, sen-
za chiedersi che cos'è mio e che cos'è tuo, ma dando ciò di cui l'amica o
l'amico hanno necessità. La vera amicizia si vede nel momento del biso-
gno. Nell'antichità era convinzione comune che gli amici dovessero anche
essere pronti a sacrificare la vita l'uno per l'altro. Die Burgschaft [«La ga-
ranzia»] di Schiller ne è un grandioso inno 5 .

e) Amicizia con Dio?

Per lo stesso motivo per cui è convinto assertore dell'amicizia tra gli
uomini, Aristotele dubita che esista amicizia tra Dio e gli uomini (Eth.
Eud. 1244B 5ss.; Eth. M. 1208 ecc.), dal momento che non può esserci
uguaglianza, che pure è un elemento essenziale dell'amicizia. Gli dei pos-
sono senz'altro fare qualcosa per gli uomini, e gli uomini per gli dei. Dei e
uomini possono entrare in contatto. I Greci conoscono i prediletti degli
dei, e conoscono i capricci del destino (Hom. Il. 1, 196 ecc.). Platone parla
senza dubbio di un'amicizia tra dei e uomini, ma soltanto uomini buoni,
virtuosi (Symp. 193b. 212A ecc.); Isocrate (Or. 9,70) e Senofonte (Mem.
lv 8,3) si accodano. Epitteto cita uno che rispetta gli dei, un «amico degli
dei» (Diss. II 17,29). Ma Aristotele è più rigido. Con il motore immobile
non ci possono essere rapporti di amicizia. E gli dei, per quanto possano

5 L'esempio di Damone e Finzia [Diod. X 4,3-6; Jambl., Vit. Pyth. 235s.} è


particolarmente noto. La luminosa traccia di una radicale etica dell'amicizia, che non
esclude nemmeno il sacrificio della propria vita per l'amico, è molto più vasta, da
Platone (Symp. 7 179b) a Seneca (Ep. 9,10) ed Epitteto (Diss. ll 7 ;2.s.); cfr. Philostr.,
Vit. Ap. VII 14; Diog. Laett. VII 130; x 121; Luc., Tox. 6,36s.; P. Herc. 1044.
avere tr!).tti umani, sono separati dagli uomini, devono tenersi a distanza;
non può esserci un vero mettersi in comune con essi: ne va della loro stessa
divinità. Viceversa, l'amicizia tra gli uomini è necessaria anche perché al-
trimenti le disgrazie sarebbero pressoché insopportabili.
La problematicità dell' ~cizia con Dio ha a che fare con la hbertà uma-
na.L'amicizia con Dio potrebbe darsi solamente se non ci fosse alcuna con-
correnza tra Dio e uomo. Ma gli dei della Grecia fanno parte dello stesso
cosmo degli uomini, ed è per questo che nasce il mito di Prometeo. Gli uo-
mini non possono essere amici di coloro - gli dei - ai quali devono estor-
cere la propria libertà. Solo gli uomini che hanno ricevuto la propria libertà
in dono da Dio possono diventarne amici senza rinunciare a se stessi.

3. Gli amici di Israele

L'ethos amicale dell'Antico Testamento coincide in gran parte con


quello dell'antichità 6-. L'amicizia con Dio diventa un problema e una pos-
sibilità nell'orizzonte del monoteismo.

a) La saggezza dell'amicizia

La più nota coppia di amici è quella formata da Davide e Gionata 7 • I


due non sono sullo stesso piano. Davide è il paroenu, mentre Gionata è il
figlio del re. Ma con colui che in seguito sarà erede di suo padre il figlio
conclude un'alleanza (1 Sam 18,3) per proteggerlo da Saul (cfr. 1 Sam
20,8). Così facendo, senza saperlo, si inserisce nel piano divino di salvezza.
Gionata è colui che dà, Davide colui che riceve 8 . Gionata si affeziona a
Davide e lo ama «come se stesso» (1 Sam 18,1.3; 20,17), dimostrandolo
fattivamente. Nello stringere l'alleanza, egli gli dona il mantello e ogni
sua arma (1 Sam 18,4): non avrebbe potuto mostrare con più chiarezza
la fiducia nei confronti dell'amico. Benché Saul, suo padre, attenti alla vita
di Davide, Gionata gli resta fedele (1 Sam 19,1-7; 20). Da parte sua, Da-
vide non si limita alla gratitudine, ma piange disperatamente la morte del-
1' amico, il cui affetto gli è stato più dolce dell'amore di una donna (2 Sam
1,26). La storia ben si adatta al senso dell'amicizia enucleato negli scritti

6 Cfr. R. Scoralick, Freundschaft in der Bibel. Ansatzpunkte zum Weiterdenken, in:


"Diakonia", 33, 2002, pp.392-399.
7 Cfr. O. Kaiser, David Ùnd Jonathan, in Id., Studien zur Literaturgeschichte des Alten
Testaments, in: "Forschungen zur Bibel" 90, Echter, Wiirzburg 2000, pp.183-199.
8 Cfr. P. K. Tull, Jonathan's Gi/t of Friendship, in: "Interpretation", 58, 2004,
pp.130-143. -
sapienziali. Essa dev'essere fedele (Pr 18,24) e affidabile (Pr 17,17), resi-
stere nei momenti di crisi, non serbando rancore per le altrui colpe (Pr
10,12; 17,9), né dando sempre ragione all'amico (Pr 27,5s.). È così anche
nel Siracide 9, che sa che cosa accomuna e a quali prove sottopone la vera
amicizia (Sir 6,5-17; 12,8-12; 37,1-6), ma sa anche, in concreto, che la via
migliore per giungervi è quella del timor di Dio e della fedeltà alla legge.
La vera amicizia è fondata sulla saggezza, e chi è saggio va alla ricerca di
buoni amici.

b) Amore di Dio come amicizia con Dio?

Tutto questo è forse valido anche nel rapporto con Dio? 10 L'Antico
Testamento è piuttosto cauto. Dio va temuto e amato «con tutto il cuore,
con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dn 6,4s.). Dio, infatti, ama il suo
popolo. Ma può Dio, l'Unico, essere amico degli uomini? E un uomo ami-
co di Dio? Non sarebbe forse una banalizzazione? L'Antico Testamento
ha buone ragioni per essere cauto. Dio non si mette sullo stesso piano de-
gli uomini, e gli uomini sono tenuti a riconoscere l'unicità di Dio. Forse
che si può conciliare tale unicità con i rapporti di amicizia? Questi posso-
no, certo, essere asimmetrici; ma non è proprio il monoteismo a far cadere
il principio di reciprocità?
Nonostante questo, ci sono alcuni testi, veterotestamentari e risalenti al
primo giudaismo, che parlano di amicizia con Dio: sono quelli apertisi al
pensiero e alla lingua dei Greci, pur restando imperniati sulla Bibbia. Sono
tutti incentrati sul problema di come Dio, l'Unico, possa intrattenere delle
relazioni con gli uomini. In altri termini: se e' è vero amore tra Dio e gli
uomini - cosa che l'Antico Testamento testimonia ampiamente - allora
non ci sarà forse anche una particolare forma di amicizia?
Ne è convinto, nella sua saggezza, il re Salomone. Secondo il Libro del-
la Sapienza, lo scritto più recente dell'Antico Testamento, egli loda la so-
phia, alla quale spetta onnipotenza, e che dunque <<tutto rinnova e attra-
verso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti>>
(Sap 7,27; cfr. 7,14). Due sono qui gli elementi determinanti: che senza
una figura di mediazione come la sapienza non è possibile alcuna amicizia
con Dio, e che questa amicizia è posta in essere da Dio stesso, il quale si

9 Cfr. F. V. Reiter (a cura di), Freundschaft bei Ben Sira, in: "Beihefte zur Zcitschrift
fUr die alttestamentliche Wissenschaft", 244, de Gruyter, Berlin 1996; J. Corley, Ben
Sira's Teaching on Friendship, in: "Brown Judaic Studies", 316, Brown University,
Providence (RI) 2002.
10 CTr. E. Peterson, Der Gottes/reund, in: "Zeitschrift fUr Kirchengeschichte", 42,
1923, pp.161-202.
serve cl.ella sapienza per stringere amicizia. Giocare l'unicità di Dio contro
l'idea dell'amicizia con Dio significa trascurarne l'onnipotenza. E tuttavia
il Libro della Sapienza non chiarisce che cosa significhi, in esso, «amicizia>>
se non prossimità e amore a Dio; e viene spontaneo chiedersi chi sia mai
questa «signora Sapienza», se non una divinità.
Prosegue su questa strada Filone Alessandrino, che ha davanti agli oc-
chi Abramo 11 • Egli si ricollega forse ad alcune - pur tuttavia ambigue -
locuzioni di Is 41,8 e 2 Cr 20,7 (dove la Vulgata, a differenza dei Settanta,
scrive amicus); in ogni caso è collocato in una tradizione giudaica un po'
più ampia 12 , che lascia tracce anche in Giacomo (2,23) e in Clemente Ro-
mano (1 Clem 10,1; 17,2). Di solito si tratta né più né meno che del par-
ticolare rapporto di fiducia che si fonda sull'elezione divina e sulla fede di
Abramo. Filone, da parte sua, riflette sulla modalità in cui questa amicizia
si rende possibile 13 • Egli risolve il problema di comunicazione posto dal
monoteismo astratto ricorrendo a una rielaborazione biblica della teologia
neoplatonica, secondo cui Dio, nella sua filantropia 14 , prende contatto con
gli uomini in modo non diretto, ma indiretto, con la mediazione del Logos
(Decal. 33 ); e gli uomini che trovano Dio sono condotti al di là di se stessi,
e al contempo in profondità insospettate della loro anima, profondità che
non saranno mai in grado di misurare con la propria coscienza 15 • L'ami-
cizia con Dio porta dunque fuori dal mondo, benché al contempo in
una più salda obbedienza alla legge. Anche se può mostrare che la speran-
za che avevano in mente i Greci, quella di essere buoni amici del divino, il
Dio vero non la delude, Filone lascia aperte due questioni, una relativa al
rapporto tra Dio e il Logos e laltra all'unità, nell'uomo, tra corpo, anima e
spirito.

11 Abr. 89.273; Sobr. 56; Men. 53ab; Prob. 42; Quaest. gen. 4,33; cfr. Praem. 26s.;
Abr. 123. In Praem. 24 e Abr. 50 cita tutti e tre i patriarchi insieme; Giacomo da solo in
Ios. 167 200 (cfr. Praem. 43s.); Abele in Det. 50 (cfr. Det. 78); Enos, Enoch e Noè in
Abr. 46, ma soprattutto e assai spesso Mosè: Leg. 1,41; 4,175; Virt. 77; All. 1,176;
2,88.90; 3,129; Plant. 62; Sobr. 19; Conf 92; Cher. 49; Sacr. 77; Migr. 67; Mos. 1,67;
2,163; Imm. 156; cfr. Mos. 1,156; Sacr. 130; Ebr. 94; Migr. 45; Her. 21; Alt. 3,204.
12 Jub. 19,9; cd 3,2; ApkA.br 9,6; 10,6.
13 Cfr. Y. Amir, Die hellenistische Gestalt des Judentums bei Pbtlon von Alexandri~,
in: "Forschungen zum judisch-christlichen Dialog", 5, Neukirchener Verlag,
Neukirchen-Vluyn 1983, pp. 207-219.
14 Cfr. C. Spicq, Notes des Lexirographie néo-testamentaire, in: "Orbis biblicus et
orientalis" 22, Éditions Universitaires, Fribourg 1978, Il pp. 922-927.
15 Cfr. G. Sellin, Gotteserkenntnis und Gotteserfahrung bei Philo von Alexandrien, in
H.-J. Klauck (a cura di), Monotheismus und Christologie. Zur Gottesfrage im
hellenistischen Judentum und im Urchristentum, "Quaestiones disputatae" 138,
Herder, Freiburg iB.-Basel-Wien 1992, pp.17-40.
4. Gli amici di Gesù

Nel Nuovo Testamento, quello dell'amicizia è un tema attinente non


tanto ali' etica, quanto ali'ecclesiologia; ha il suo fondamento nella cristolo-
gia. L'amicizia con Gesù, il Figlio di Dio divenuto uomo, può esistere, ed è
l'incontro tra amicizia umana e amicizia divina, dal quale risultano le ami-
cizie nella Chiesa.

a) Amicizia nella Chiesa

Il Nuovo Testamento non nega l'ethos dell'amicizia; la domanda, piut-


tosto, è dove si possa trovare la vera amicizia 16 , e la risposta decisiva è:
nella comunità. Gesù profetizza che i suoi discepoli dovranno essere tra-
diti dai loro amici (Le 21,16). Il fatto che Erode e Pilato, il giorno dell'e-
secuzione capitale, diventino «amici>> (Le 23 ,12) mostra tutto il loro cini-
smo. C'è, certamente, ospitalità (Rm 12,13; 1Tm3,2; Tt 1,8; Eb 13,2; 1 Pt
4,9}, come è ovvio anche al di fuori della comunità dei discepoli; la mis-
sione gesuana punta su di essa, invitando i discepoli a non portare con
sé nulla nel cammino e a bussare alle prime porte che trovano (Mc
6,6b-13 e par.} 17 • E gli Atti degli Apostoli non dimenticano di ricordare
che Paolo era amico di persone non cristiane, tra cui alti funzionari della
provincia d'Asia (At 19,31; cfr. 28,7}.
Ma in un'epoca in cui i cristiani erano una minoranza perseguita-
ta, sospettati di fanatismo, denigrati e accusati di pazzia, la coesione
interna delle comunità era di estrema rilevanza. Non sono fattori et·
nici, sociali o culturali a tenerli uniti, ma solo la comune fede e la
comune speranza (Tt 3,15). La conversione è un atto di libertà.
Chi crede dice con la stessa intensità «io» e <<noi>>. Ecco perché la
comunità dei credenti è detta - per quanto, nel Nuovo Testamento,
raramente -, non a caso, «amicizia». Per qualificare la convivenza al-
l'interno delle comunità, Paolo cita alcune massime tipiche dell'etica
amicale: «Portate i pesi gli uni degli altri>> (Gal 6,2} 18 ; «Rallegratevi

16 Cfr. L. T. Johnson, Making Connections. The materia! Expression o/ Friendship, in:


"Interpretation", 58, 2004, pp.158-171.
17 Cfr. G. Hotze, Jesus als Gast. Studien zu einem christologischen Leitmotiv in
Lukasevangelium, in: "Forschungen zur Bibel'', 111, Echter, Wi.irzburg 2007.
18 Cfr. Gal 6,6. Si trovano dei paralleli in Neuer Wettstein. Texte zum Neuen
Testament aus Griechentum und Hellenismus, Wl. Texte zur Brie/literatur, de Gruyter,
Berlin-New York 1996, pp. 580s.; Xenoph., Mem. ii 7,1; Socrate ammoniva gli amici di
<<SOstenersi a vicenda a seconda delle ricchezze»; Menand., Sent. 534: «Comprendi che
gli amici mettono ogni cosa in comune».
con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pian-
to» ~ 12,15) 19; abbiate «i medesimi sentimenti» (Fil 2,2) 20 • Per
Luca, la comunità primitiva realizza l'antico ideale della comunione
amicale, essere <<Un cuore solo e un'anima sola>> e avere «ogni cosa»
in comune (At 4,32) 21 • Anche la comunità giovannea si concepisce
come gruppo di amici (3 Gv 15) 22 •
Ci si può chiedere se soltanto i piccoli gruppi degli inizi considerassero
plausibile l'idea di amicizia, che è in effetti qualcosa di personale, inconci-
liabile con l'anonimato. I gruppi di amici corrono facilmente il rischio di
isolarsi dagli altri. Ma le radici dell'amicizia ecclesiale sono profonde, e af-
fondano nella concezione neotestamentaria della comunione. Koinonia è
un termine chiave dell'ecclesiologia paolina 23 • La saldezza della comunio-
ne tra i fedeli è dovuta alla presenza originaria del terzo protagonista, Ge-
sù Cristo, che dà ai fedeli la possibilità di aver parte a lui e sta così a fon-
damento della loro unità, cosa che accade con particolare efficacia
nell'eucarestia (1 Cor 10,16s.) 24 • Giovanni inserisce il tema dell'amicizia
nella grande linea della sua teologia dell'agape, fondata sull'amore tra il
Padre e il Figlio, per fare in modo che i fedeli, nella forza dello Spirito,
partecipino di questo amore 25 •

b) Gesù come amico

La cristologia si rivela così la chiave per comprendere l'ecclesiologia


dell'amicizia. Il quarto evangelista la riconduce, coerentemente, all'attività
stessa di Gesù. Il fatto che Gesù stringa amicizie è particolarmente eviden-

19 Menelao dice nell'Ifigenia in Aulide di Euripide: «Essere in lutto insieme all'amico


è dovere dell'amico» (408).
20 La preoccupazione comune dd malato Epafrodito è un atto di amicizia; cfr. R
Metzner, In aller Freundscha/t. Ein fruhchristlicher Fall freundscha/tlicher Gemeinscha/t
(Pbil. 2,25-30), in: "New Testament Studies", 48, 2002, pp.111-131.
21 Cfr. T. Soding, Blick zurnck nach vorn. Bilder lebendiger Gemeinden im Neuen
Testament, Herder, Freiburg i.B.-Basd-Wien 1997, pp. 81-88.
22 Cfr. H.-J. Klauck, Kirche als Freundegemeinscha/t. Auf Spurensuche im Neuen
Testament (1991), in: Id., Gemeinde zwischen Haus und Stadt. Kirche bei Paulus,
Herder, Freiburg i.B.-Basd-Wien 1992, pp. 95-123.
23 Cfr. T. Soding, Ekklesia und Koinonia. Grundbegri/fe paulinischer Ekklesiologie, in:
"Catholica", 57, 200.3, pp.107-123.
24 Per questo l'amicizia con Cristo è sempre caratterizzata dall'eucarestia: cfr. W.
Hagemann, Freundschaft mit Christus. Hin/Uhrung zu einem bewussten Leben mit Jesus
Christus, Verlag Neue Stadt, Miinchen 19906•
2:l Cfr. E. E. Popkes, Die Theologie der Liebe Gottes in den johanneischen Schri/ten.
Zur Semantik der Liebe und zum Motivkreis des Dualismus, WUNT II/197, Mohr
Siebeck, Tùbingen 2005.
te in Giovanni 26 • Uno dei suoi amici, estraneo alla cerchia più ristretta dei
discepoli, è Lazzaro, del quale piange la morte e che riporta indietro dalla
tomba (Gv 11,3.11). I suoi awersari lo calunniano, secondo i sinottici, ac-
cusandolo di essere <<amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19, par.
Le 7,34), senza immaginare quanto è vero quello che dicono.
Di fondamentale rilievo è che Gesù vede anche i discepoli come amici.
È un motivo che Luca conosce, benché in gran parte superficiahnente (Le
12,4). Giovanni lo affronta invece direttamente 27 • Il passo cruciale è il se-
condo discorso di congedo. Dopo aver lavato i piedi ai discepoli (Gv
13) 28 , nel primo discorso di congedo (Gv 14), autorivelandosi <<la via, la
verità e la vita» (Gv 14,6) li rassicura dicendo loro che salendo al Padre
non li lascerà soli (Gv 13,ls.). Più tardi-in seguito forse a un ampliamen-
to del testo giovanneo 29 - egli spiega loro come vivere nel mondo senza la
sua presenza corporale, ma mossi dallo Spirito (Gv 15). Di importanza de-
terminante è la perennità del suo amore, che ha da riflettersi nel loro amo-
re vicendevole: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli
altri, come io vi ho amati» (Gv 15,12)3°. Gesù è un modello nell'amare,
ma non è soltanto questo: il suo amore è a fondamento dell'amore dei di-
scepoli; di più ancora: dal suo amore risulta l'amore dei discepoli, il suo
amore si esprime in quello dei discepoli, anche se non si esaurisce in esso.
L'amore di Gesù cambia il loro status. Da servi che erano diventano amici:
«Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo pa-
drone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre
l'ho fatto conoscere a voi>> (Gv 15,15). Chiamando i discepoli non più
«servi>>, ma «amici», Gesù non si limita a definirli in modo diverso, ma
ne trasforma la vita. Essi sono «servi>> nella misura in cui devono ricono-
scere Gesù come Signore. Altrimenti non ci può essere alcuna missione
(Gv 13,16). D'altronde, il fatto che Gesù soltanto è il Signore rispecchia
lo stato di necessità, la miseria, la condizione mortale, il bisogno di reden-
zione che caratterizzano gli uomini. Ma Gesù chiama i «servi» suoi «ami-

26 Cfr. G. R. O'Day, ]esus as Friend in the Gospel o/ fohn, «lnterpretation», 58, 2004,
pp.144-157.
27 Cfr. R. Schnackenburg, Freundscha/t mit ]esus, Herder, Freiburg i.B.-Basel-Wien
1995.
2s Cfr. L. Abramowski, Die Geschichte von der Fuftwaschung aoh 13), in: "Zeitschrift
fiir Theologie und Kirche", 100, 2005, pp.176-203.
29 Cfr. J. Zumstein, Kreative Erinnerung. Relecture und Auslegung im ]ohannese-
vangelium, in: "Abhandlungen zur Theologie des Alten und Neuen Testaments" 84,
Theologischer Verlag, Ziirich 20042. Su Gv 15 cfr. K. Haldimann, Rekonstruktion und
Ent/altung. Exegetische Untersuchungen zu ]oh 15 und 16, in: "Beihefte zur Zeitschrift
fiir die alttestamentliche Wissenschaft", 104, de Gruyter, Berlin 2000.
30 Cfr. T. Soding, ]esus und die Kirche. Was sagt das Neue Testament?, Herder,
Freiburg i.B.-Basel-Wien 2007, pp.205s.
ci>> p~rché lo sono. Egli, <<maestro e signore» (Gv 13,13), ha lavato loro i
piedi, rendendoli, così, <<mondi>> (Gv 13, 10). Senza l'amicizia che Gesù
dona loro, essi non potrebbero aver parte alla sua missione, spiegata nella
frase immediatamente successiva (Gv 15,16); la partecipazione alla sua
missione, tuttavia, è necessaria non perché i discepoli si beino della magni-
ficenza dell'amore di Gesù, ma affinché gli uomini a cui portano la Parola
di Dio non abbiano alcun tipo di svantaggio rispetto a chi ha incontrato
Gesù personalmente. Tutti hanno bisogno dell'amore indiviso di Dio e de-
vono poterne fare esperienza. Gv 15,15 riconduce il mutamento di status,
che è anche un mutamento ontologico, al fatto che Gesù ha rivelato ai di-
scepoli ciò che gli ha mostrato il Padre (Gv 1,18); una rivelazione che non
è una mera informazione, ma una comunicazione dell'amore di Dio al
mondo, che si mostra nel dono del Figlio (Gv 3,16).
Essa include la morte di Gesù, anzi, è proprio la morte di Gesù ad
esprimerla perfettamente. Non è un caso che Gesù parli dell'amicizia
con i discepoli proprio nel discorso di congedo. La loro amicizia è con-
traddistinta dalla sua morte, e al contempo la oltrepassa. La frase chiave
è: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri
amici» (Gv 15,13) 31 • La frase cita un topos dell'etica amicale ellenistica,
facendolo tuttavia saltare. I Greci, come gli Ebrei, conoscono l'amicizia
di sostituzione escludente: un amico si sacrifica per I' altro in modo che
questi non debba morire. La sostituzione di Gesù è invece di tipo inclu-
dente: i discepoli muoiono con lui, ma resuscitano allo stesso modo con
lui, e hanno già ora, secondo Giovanni, la vita eterna. La morte di cui
muoiono gli amici che si sacrificano l'uno per laltro è dovuta in Grecia
al tragico fatto che i principali conflitti irrisolvibili degli dei sono risolti
sulla terra, con il coinvolgimento degli uomini. Per questo la morte di
cui muore lamico per I'amico non è che differita. Gesù, invece, l'ha supe-
rata. Egli è l'amico che muore per gli amici affinché essi vivano. È il buon
pastore che dà la vita per le pecore (Gv 10).
L'amore di Gesù non è rivolto soltanto a quelli che sono già suoi amici;
piuttosto, egli li rende amici nel misurare la sua parola sulla propria vita:
fino alla morte. Ecco perché il contrasto con la relativizzazione paolina

31 Cfr. J. Schroter, Sterben fur Freunde. Uberlegungen zur Deutung des Todes Jesu im
]ohannesevangelium, in A von Dobbeler, K. Erlemann, R Heiligenthal (a cura di),
Religionsgeschichte des Neuen Testaments. Festschri/t /Ur Klaus Berger z.um 60.
Geburtstag, Francke, Tubingen-Basel 2000, pp. 263-287; K. Scholtissek, «Bine groftere
Ii.ebe hat nie.mand, als wenn einer sein Leben hingibt /ur seine Freunde» (]oh 15,13).
Die hellenistische Freundscha/tsethik und das Johannesevangelium, in: J. Frey, U.
Schnell.e (a cura di), Kontexte des Johannesevangeliums. Das vierte Evangelium in
religions- und traditionsgeschichtlicher Perspektive, in: "Wissenschaftliche Untersu-
chungen zum Neuen Testament", 175, Mohr Siebeck, Tiibingen 2004, pp.413-439.
dell'etica dell'amicizia di Rm 5,5ss. è solo apparente. Qui l'Apostolo sot-
tolinea che tra gli uomini tutt'al più si può sperare che qualcuno muoia
per una persona buona, mentre Dio ha dato suo Figlio per gli uomini
quando erano ancora suoi nemici. La concezione giovannea enfatizza,
da parte sua, gli effetti della riconciliazione: l'amicizia con Dio, che si in-
fiamma nella persona di Gesù.
Nella teologia giovannea l'amicizia con Dio si fa presente sotto forma
di amicizia con Gesù. Il fatto che esista questa amicizia si basa non solo
sull'onnipotenza, ma anche sulla onnibontà di Dio: sull'amore, che egli
non solo dona, ma è (1Gv4,8.16). Ma nell'incontro con Gesù si accende
anche l'amicizia umana, graziè al 'contagio' di Gesù che fa amicizia con i
suoi. Si tratta di un'autentica reciprocità, tanto radicale quanto I'asimme-
tria del rapporto, dal momento che Gesù dichiara i discepoli suoi amici.
L'amicizia di Gesù, suggellata dalla sua morte, è tanto grande che egli ren-
de dei «servi>> uomini liberi, in grado di amare; uomini che nell'amare Dio
non sono solo oggetti, ina anche soggetti della Sua grazia, capaci dunque
di ricambiare e rafforzare l'amicizia.

e) «Mi vuoi bene?»

L'amicizia di Gesù con i discepoli è ricambiata? Giovanni prefigura


questa grande tematica ricorrendo all'esempio di Pietro. Quando Gesù,
nella sala della cena, annuncia la sua morte e indirettamente il martirio
di Pietro (Gv 13,36), questi dichiara con grande decisione, ma frainten-
dendo completamente la situazione: «Darò la mia vita per te!» (Gv
13 ,38). La locuzione giovannea va molto più in là della tradizione sinotti-
ca, secondo cui Pietro si dichiara disponibile a morire con Gesù (Mc 14,31
e par.). L'evarigelista ironizza sull'ideale dell'amicizia. Pietro riconosce che
Gesù si è dimostrato suo amico e vuole dare la vita per lui, e crede di po-
tergli ricambiare il servizio. Non potrebbe esserci fraintendimento mag-
giore sull'identità di Gesù e sulla sua stessa identità, su che cosa Gesù deb-
ba fare per lui e su che cosa Pietro possa ricevere da Gesù. Il finale è
presto detto: anche secondo Giovanni Pietro rinnega il maestro (Gv
13,.38, 18,15-18.25ss.).
Il fatto che questa triste fine non impedisca, tuttavia, un nuovo inizio lo
dobbiamo all'atto di amicizia di Gesù. Certo, l'elaborazione di questo
trauma dura fino alla terza apparizione di Gesù, quella sul lago di Tiberia-
de. Come Pietro ha rinnegato Gesù tre volte, così Gesù chiede per tre vol-
te al discepolo se lo ami (Gv 21,15ss.). L'evangelista gioca con i verbi. Ge-
sù formula due volte la domanda usando il verbo agapao; Pietro risponde
sempre con phz"léo. La differenza semantica è quasi inafferrabile. Ma agape,
nella lingua del Nuovo e dell'Antico Testamento, è in primo luogo l'amore
di Dio per il suo popolo, a cui replica l'amore del popolo nei confronti di
Dio è del prossimo; philia, invece, è l'amore d'amicizia. Gesù pone dun-
que a Pietro la questione della agape, poiché nell'amore di Pietro nei con-
fronti di Gesù deve dar prova di sé quell'amore di Dio al quale egli, colui
che Gesù chiama ad essere pastore, è vocato con particolare vigore. Nella
risposta di Pietro, nell'affermazione della sua philia, è contenuta l'impos-
sibile promessa di ricambiare l'estremo atto di amicizia, dare la sua vita per
Gesù. Solamente la terza volta si arriva alla completa concordia tra do-
manda e risposta: Gesù pone la domanda e Pietro, che non può nascon-
dere la tristezza per il proprio fallimento, ribadisce la sua amicizia per Ge-
sù. Come questi profetizza, Pietro sarà martire (Gv 21,18s.). Darà la
propria vita per Gesù, ma non per risparmiargli la morte, bensì per aver
parte alla sua morte e alla sua vita.
Pietro, il primo dei discepoli, non è solo il pastore del gregge di Gesù,
ma anche un modello per tutti coloro che sono alla sequela di Gesù. L' e-
sempio di Pietro rende evidente che lamicizia con Dio, dal punto di vista
cristiano, si concretizza nell'amicizia con Gesù, dal momento che il Verbo
di Dio è divenuto uomo e il Figlio di Dio ha dato la vita per salvare gli
uomini. È un'amicizia in cui tutto è giocato sull'affidabilità, la fedeltà, la
disponibilità. È un'amicizia in cui si mostra la libertà, dal momento che
è la verità di Gesù a liberare (Gv 8,32). È un rapporto di amicizia di ra-
dicale disuguaglianza, che però è infinitamente trascesa perché Gesù è
un uomo, e di radicale uguaglianza, che però è infinitamente trascesa per-
ché quest'uomo è «Dio», come professa Tommaso (Gv 20,28). È un'ami-
cizia che non può mettersi in concorrenza con le amicizie umane. Ma può
influire su queste amicizie e ne può essere una prefigurazione, a comincia-
re dalla comunità dei fedeli.

(Traduzione dal tedesco di Riccardo Nanini)

Nota biografica
Nato ad Hannover nel 1956, è docente di esegesi del Nuovo Testamento nella
Facoltà di teologia cattolica dell'Università di Bochutn (Germania); dal 2009 è anche
membro della Commissione teologica internazionale.
Basilio di Cesarea e
Gregorio di N azianzo:
un'amicizia al vaglio della fede
di
Giuseppe Laiti

«Quando era con me


"mi correggeva in molte cose,
"con la norma dell'amicizia
"e una legge superiore»
"(Gregorio, Or 43,2)

Gregorio di Nazianzo era ben consapevole che la sua amicizia con


Basilio era diventata "notizia": «eravamo una coppia non oscura in Gre-
cia» (Autob. 228; Elogio 43,22). Un'amicizia "invidiata e famosa" (Or.
10,2), che ha segnato in profondità la vita, tratto non secondario della
biografia dell'amico e di riflesso della sua. La liturgia ha onorato que-
st'amicizia come componente della loro santità, accomunandoli nella
memoria il 2 gennaio. Entrambi erano della Cappadocia, pressoché coe-
tanei; la loro alta estrazione sociale li aveva avviati al ciclo di studi abi-
tuali al loro livello, ciclo che aveva in Atene la sede del suo perfeziona-
mento. Le loro famiglie di origine erano cristiane: la madre di Gregorio,
Nonna, era cristiana fervente e di famiglia cristiana; il padre, dopo la
sua adesione alla fede cristiana era divenuto vescovo di Nazianzo. I non-
ni paterni di Basilio avevano subito la confisca dei beni e l'esilio durante
la persecuzione di Massimino Daia. Attraverso la nonna, Macrina se-
nior, la famiglia di Basilio vantava rapporti con Gregorio taumaturgo,
l'evangelizzatore della Cappadocia. Il loro tempo è quello che va da Co-
stantino a Teodosio, segnato dalla lunga controversia ariana e dalla ri-
cerca di una nuova collocazione della fede cristiana nel quadro dell'im-
pero romano, che fatta salva la breve parentesi di Giuliano (361-363),
amava ormai etichettarsi come "cristiano". Entrambi coltivarono l'ideale
della vita monastica e furono chiamati al servizio della chiesa, prima co-
me presbiteri, poi come vescovi.
È stato più volte rilevato che quella tra Basilio e Gregorio è un'amicizia
asimmetrica. L'asimmetria emerge già nella sproporzione della documen-
tazione che i due protagonisti ce ne hanno lasciato: ampia e appassionata
quella di Gregorio, assai contenuta quélla di Basilio 1• Più significativa è la
differenza secondo la quale i due amici ne hanno interpretato il pregio e le
esigenze. Più rilevante ancora è il modo con il quale hanno coniugato l'a-
micizia con la fede cristiana dentro le circostanze della vita e gli impegni
propri del ministero loro affidato. Occorre anche dire che nel panorama
della loro vita la loro amicizia non è un fiore nel deserto; di entrambi ci
è giunto un ricco epistolario (oltre 300 sono le lettere di Basilio, attorno
alle 250 quelle di Gregorio) che documenta una ampia rete comunicativa
nella quale è frequente il tratto amicale 2 •
Per seguire i percorsi di questa singolare amicizia possiamo servirci del-
la traccia che Gregorio ha depositato nell'Autobiografia e nell'Elogio fu-
nebre di Basilio 3 . Si tratta di due testi pressoché contemporanei, composti
attorno al 382; il tono che li accomuna è quello della retrospettiva che ab-
bina insieme, spontaneamente, il bisogno di tracciare un bilancio della
propria vita, di difendere i valori a cui è stata dedicata, di ringraziare
Dio. Lo scrivente è in un momento particolarmente sofferto della sua vita,
ha appena rassegnato le dimissioni dalla cattedra episcopale di Costantino-
poli per togliere pretesto a inutili dispute, pesante eredità della lunga con-
troversia ariana. Basilio l'amico della vita, era morto da tre anni, proprio
alla vigilia del concilio di Costantinopoli che ne aveva accolto la teologia
trinitaria come consona ad esprimere la fede ortodossa. I due documenti,
che consentono a tratti una lettura in sinossi, permettono di individuare
almeno tre fasi dell'amicizia: quella della sua nascita felice durante il sog-

1 Da parte di Gregorio abbiamo l'Autobiografia (ed. Italiana con testo greco a


fronte, Gregorio di Nazianzo, Autobiografia, Carmen de vt"ta sua, a cura di F. Trisoglio,
ed. Morcelliana Brescia 2005; abbr. Autob.), l'Elogio funebre di Basilio (Or. 43, ed.
italiana con testo greco a fronte, Gregorio di Nazianzo. Tutte le orazt'oni, a cura di C.
Moreschini, ed. Bompiani, Brescia 2000, pp.1030-1121; abbr. Elogio), i Discorsi 9,10
e 11 (ed. cit. a cura di C. Moreschini), e non meno di una quindicina di lettere inviate a
Basilio. Da parte di Basilio 6 lettere in tutto dirette a Gregorio.
2 Cfr. J.-R Pouchet, Basile le grand et son univers d'amis d'après sa correspondance.
Une stratégie de commumon, SEA 36, Istitutum Patristicum Augustinianum, Roma
1992.
3 Per lo studio della architettura retorica dell'Elogio di Basilio, architettura
particolarmente curata, ci si può servire di N. Mc Lynn, Gregory Na:danzen's Basi!:
The Literary Construction o/ a Christian Friendship, in SP .37(2001), pp.178-193; C.
Castelli, Gregorio di Nat.ianw nell'epitafio per Basilio il Grande, in lGualandri, F.
Conca, R. Passarella (a cura di), Nuovo e Antico nella cultura greco-latina di N-VI
secolo, Cisalpino, Milano 2005, pp.371-389.
giorno di studi ad Atene (Elogio 14-25, Autob. 211-236), quella della crisi
che contrassegna i passaggi cruciali della ricerca della propria strada nella
vita adulta e nel servizio ecclesiale (Elogio 26-59, Autob. 237-551), quella
della rilettura finale, che Gregorio stende a modo di ringraziamento e af-
fidamento a Dio (Elogio 70-82).

1. Eravamo un'anima sola: del tutto l'uno per l'altro (Elogio 19)

Così, con il vocabolario tipico della tradizione greca per qualificare l' a-
micizia, Gregorio sintetizza il legame che aveva instaurato ad Atene con
Basilio, nel quadro del perfezionamento dei loro studi. «Mentre cercavo
l'eloquenza, trovai la felicità>> (Elogio 14). Con questa esclamazione, a di-
stanza di trent'anni, il nazianzeno comunica ancora l'eco festoso dell'insor-
gere di quella amicizia. L'amicizia rende felici perché consente la condivi-
sione e con ciò il poter essere l'uno motivo di gioia per l'altro. Non a caso
Aristotele aveva collocato la trattazione dell'amicizia tra le virtù morali e la
beatitudine contemplativa (Etica a Nicomaco VIII-IX). Essa infatti consente
l'attuazione della natura sociale dell'uomo, diviene sollecitazione alla virtù
in vista del divenire bene l'uno per l'altro. Comunanza di ideali, di senti-
menti, libertà comunicativa, condivisione di vita, gioia dell'incontrarsi, fa-
cevano dell'amicizia una ragione di felicità, di vita saggia e bella. Così la
tradizione filosofica forniva ai due studenti poco più che ventenni il voca-
bolario per nominarne le componenti e il quadro interpretativo per custo-
dirne il pregio 4 :
«Tutto era assolutamente comune, eravamo un'anima sola che connetteva due cor-
pi separati. Quello che ci condusse ad un'eccezionale unità fu questo: Dio e il de-
siderio delle realtà migliori. Da quando giungemmo ad una fiducia così coraggiosa
da comunicarci pienamente anche le intime profondità del cuore, ci sentimmo an-
cor più stretti l'un l'altro dalla simpatia. L'identità delle convinzioni costituisce in-
fatti un'attendibile spinta verso una coesione di vita» (Autob. 228-236).
Del suo forte e gioioso prendere forma Gregorio ricorda nitidamente
tre momenti:.giunto ad Atene poco prima poco prima di Basilio, si era fat-
to premura di fargli trovare una buona accoglienza, liberandolo dall'inizia-
zione goliardica riservata in genere alle matricole. Era poi intervenuto
spontaneamente al suo fianco in una gara di retorica tra studenti, in modo
che fosse chiaro che la ricerca della verità contava più della abilità di pa-
rola; soprattutto aveva condiviso con I'amico il gusto per la sapienza e la
virtù, piuttosto che per le schermaglie della competizione. In un ambiente

4 Si veda L. Pizzolato, L'idea di amicizia nel mondo antico classico e cristiano, ed.
Einaudi, Torino 1993.
che agli occhi di Basilio risultava "una allegria senza fondamento" per la
quale ·non riusciva a sentire attrattiva (Elogio 18) i due amici diedero vita
ad uno "spazio" diverso: si costituì attorno a loro una sorta di "confrater-
nita" dagli interessi più profondi, tale da influire non poco sul clima della
scuola, spesso in preda alla "mania della sofistica" (Elogio 15 e 22). In mo-
do particolare legava i due amici la ricerca di come si potessero intrecciare
tra di loro la fede cristiana e l'eredità della tradizione classica, entrambe
già respirate in famiglia, ora in evidenza come centro di interesse in vista
della fisionomia da dare alla vita:
«Entrambi avevamo wi'unica meta, la virtù[. ..]. Eravamo l'wio per l'altro[. .. ] nor-
ma e regola secondo cui distinguevamo il giusto e l'ingiusto[. ..]. Non sceglievamo
gli studi più piacevoli e facili, ma quelli migliori; per mezzo degli studi infatti i gio-
vani vengono formati alla virtù o al vizio [...]. Gli uomini hanno diversi titoli: li
ereditano dal padre o li conseguono da soli per le loro qualità e azioni; a noi però
importava solo una realtà e Wl nome: essere ed essere chiamati ·cristiani» (Elogio,
20-22).
Come ha acutamente osservato L. Lugaresi 5 , qui I'amicizia divenne
spazio di formazione, poiché il suo contenuto fondamentale era la ricerca
e lo scambio attorno a ciò che può dare forma autentica, bella e fondata,
alla vita. Dalla comune passione per "Dio e le realtà migliori" venne la
franchezza comunicativa, la libertà di mettere in gioco uno con l'altro an-
che le pieghe del cuore. E questo produsse un rafforzamento della simpa-
tia e della condivisione del modo di vivere. Il loro legame fu del tutto li-
bero dalla gelosia che segnava in profondità l'ambiente ateniese ove
ciascuno metteva le premesse per la propria carriera (Elogio 20). Ciascuno
cercava che fosse piuttosto l'altro ad emergere, a ottenere apprezzamento.
In questo contesto, ancora privo di responsabilità dirette, le differenze di
Basilio e Gregorio sembravano comporsi spontaneamente: Il "saggio e
grande Basilio" (Elogio 16) teneva l'iniziativa, Gregorio accompagnava
non certo passivamente, portato come era alla considerazione della plura-
lità degli aspetti di ogni tema e ai passi possibili. L'impegno di rinvigorire
la fede, in vista del battesimo, l'approfondimento culturale, il gusto della
vicendevole compagnia co.stituivano aspetti del tutto armonici della loro
vita (Elogio 21).

2. La crisi: amicizia e obbedienza allo Spirito

Il ritorno in Cappadocia dei due amici, il loro battesimo, tra il 255-

5 L Lugaresi, Studenti cristiani e scuola pagana, in CrSt 25(2004), pp. 779, 832, part.
813-829.
258, coincide con l'esigenza di determinare il modo di vivere, la loro col-
locazione nella vita adulta. Si erano accordati per accomiatarsi insieme da
Atene. Qui la diversità di indole e di temperamento affiora decisa: Basilio
è più rapido nelle determinazioni, Gregorio più sensibile a valutare le al-
ternative, gli appelli dell'ambiente. Entrambi, dopo la loro adesione espli-
cita alla fede e alla vita ecclesiale, esitano tra la ricerca di "vita filosofica",
intesa come stile di vita appartato, legato alla meditazione e alla obbedien-
za alle esigenze della sequela, e tlll inserimento sociale ed ecclesiale nel
quale offrire il loro contributo, di cui erano richiesti. In questo clima di
ricerca non semplice i due amici si trovano alternativamente separati e riu-
niti. Basilio lasciò per primo Atene, Gregorio lo seguì tre anni dopo. Esito
della loro disponibilità verso le esigenze del servizio ecclesiale fu l'ordina-
zione presbiterale attorno al 361-362 e i compiti che ne conseguirono.
Gregorio, angustiato dal timore di non essere all'altezza, inizialmente si
sottrasse, poi si pose in aiuto del suo anziano papà, vescovo di Nazianzo;
Basilio, dopo difficoltà con il vescovo di Cesarea che lo indussero a tllla
parentesi monastica, fu sempre più coinvolto nella elaborazione della dot-
trina trinitaria in risposta al problema sollevato da Aria e che chiedeva ora
la elaborazione della retta interpretazione del concilio di Nicea. La vita
monastica fu certamente per Basilio e Gregorio anche occasione per me-
ditare sul nesso delicato tra amicizia e fraternità in nome del Signore.
L'ampia regola VII, dedicata alla vita comune suggerisce sapientemente co-
me il discepolato del Signore - la ricerca della pratica della sua parola -
possa avvalorare i doni di ciascuno, favorire lo scambio e, al tempo stesso,
sollecitare a riconoscere nel vangelo il luogo dell'incontro e della liberazio-
ne dell'umanità di ciascuno dai residui di egoismo che compromettono al
tempo stesso le relazioni amicali e la fraternità. Viene il momento in cui
l'amicizia ha bisogno dell'agape, per vivere come una delle sue possibilità
e al suo servizio.
Frutto della loro comune ricerca di vita monastica, che li vide insieme a
tratti tra il 360 e 365, fu una fortllllata antologia- la Filocalia - composta
di estratti dalle opere di Origene, dedicati all'ermeneutica biblica, a temi
particolarmente sensibili nel confronto tra cristianesimo e cultura, al rap-
porto tra libero arbitrio e volontà di Dio. Essa attesta come i due amici
fossero seriamente interessati e impegnati nell'approfondimento della fede
attraverso il ricorso alla riflessione che li aveva preceduti 6•
Il momento di maggiore tensione tra i due amici intervenne attorno al
374 quando Basilio, da quattro anni vescovo di Cesarea, nell'intento di as-

6 Dell'importanza attribuita a questo lavoro fa fede il fatto che Gregorio di Nazianzo


l'abbia inviata al suo metropolita, Teodoro di Tiana, in memoria dell'amico Basilio da
poco defunto.
sicurarsi una maggioranza di vescovi ortodossi nella provincia di cui era
metropolita (e di proteggere la sua autorità su zone a giurisdizione contro-
versa), d'accordo con il vescovo di Nazianzo, padre di Gregorio, forzò l'a-
mico ad accettare di essere vescovo di Sasima, poco più che un villaggio di
confine, che non chiedeva particolari competenze culturali, ma era in com-
penso zeppo di grattacapi amministrativi per i quali Gregorio non aveva
attitudine. Ancora a quasi dieci anni di distanza (Autob. 409), Gregorio
descrive pittorescamente il comportamento di Basilio come quello di un
leone che tratta l'amico come uno scimmione, ai limiti dell'imposizione
autoritaria rispetto alla mite arrendevolezza dell'amico. Semplicemente co-
me un "utensile", di un semplice supporto, Basilio si era servito del più
caro dei suoi amici (Lettera 48).
Nei Discorsi 9,10 e 11 Gregorio ci ha lasciato una documentazione me-
ditata di quel momento di fatica e della elaborazione spirituale che essa
provocò:
«Tu non ammettesti che fosse assegnato allo Spirito il secondo posto dopo l'ami-
cizia: infatti noi ti siamo forse più cari degli altri, ma lo Spirito ti è molto più caro di
noi. Non ammettesti che il talento venisse nascosto e ricoperto di terra (Mt 25,18).
Non ammettesti che la lampada rimanesse più a lungo nascosta sotto il moggio (Mt
5,15par), poiché è così che tu consideri la mia luce e la mia attività. Cercasti di por-
re accanto a te che sei Paolo, anche Barnaba {Gal 2,1). Cercasti di unire a Silvano
(At 15,40) ed a Timoteo (At 16,1) anche Tito (Gal 2,1), «affinché la grazia corresse
per merito di coloro che ti mostrano una sincera sollecitudine e tu portassi com-
piutamente il Vangelo da Gerusalemme all'Dlirico andando tutto intorno» (Rm
15,19). Per questo motivo tu conduci in presenza di tutti e prendi per mano e
fai sedere al tuo fianco un uomo che cerca di sottrarsi, questa è la tua ingiustizia,
tu mi potresti dire, per farmi partecipe delle tue preoccupazioni e delle tue coro-
ne» (Or 10,3).

Gregorio sembra qui riprodurre al vivo gli estremi della sua discussio-
ne con Basilio che gli chiedeva di diventare vescovo di Sasima. Alle sue
obiezioni che in nome dell'amicizia reclamavano rispetto per i suoi timori
di non essere adatto, alla denuncia delle pressioni non appropriate ad
una relazione amicale come la loro, in aggiunta a quelle di suo padre, ve-
scovo di Nazianzo, in nome della età avanzata, - <<l'amicizia mi ha sotto-.
messo e la canizie di mio padre mi ha ridotto in suo potere» (Or 10,2) -,
Basilio aveva replicato con franchezza.invocando l'obbedienza allo_ Spiri-
to che diveniva l'urgenza di spendere il talento, di organizzare le risorse
per il servizio del vangelo, sullo stile di Paolo. La ricchezza dei rimandi
neotestamentari lascia intravedere come la discussione tra amici si intrec-
ciasse spontaneamente con la meditazione delle Scritture che era loro
abituale, e come, attraverso di essa, i due abbiano ritrovato convergenza
nella pratica del discernimento, nella comune obbedienza allo Spirito.
Facendo il bilancio della meditazione che ne era seguita Gregorio con-
clude:
«Guardo con mitezza questa mano che mi ha tiranneggiato, sorrido allo Spirito. Il
mio cuore si calma [. ..] torna l'amicizia, come una fiamma, spenta e quasi comple-
tamente consumata, torna a vivere e divampa a partire da una piccola scintilla» (Or
10,2).
Difficile non essere conquistati dal "sorriso allo Spirito" che dice l'ap-
prodo di Gregorio dopo il difficile discernimento, che forse non ha trova-
to i due amici del tutto d'accordo tra di loro, ma in accordo nella urgenza
di obbedire allo Spirito. Si tratta di una obbedienza che può lasciare uno
spazio di dubbio e tensione circa una determinazione concreta che chi è in
autorità, nel caso Basilio nella sua veste di metropolita, ritiene di dover
prendere. La tensione tra i due amici dovette essere particolarmente sof-
ferta, se ancora nell'elogio funebre Gregorio sente il bisogno di attestare
la sua distanza da quella scelta di Basilio con un'espressione piuttosto
energica: «in questo non posso lodarlo» (Elogio 59). L'impressione di aver
patito una forzatura che l'amicizia gli avrebbe dovuto risparmiare gli rima-
se; Gregorio non ha mai taciuto la ferita, fino a fame una sorta di lamento
ricorrente, quasi estrema difesa da parte dell'amico non del tutto ascoltato
nella sua debolezza.
E tuttavia quando sul finire del 3 78 si fece pressante l'appello a recarsi a
Costantinopoli per prendere le difese della fede ortodossa, fino a diventar-
ne poi vescovo, sarà ancora al consiglio di Basilio che Gregorio si piega
(Elogio 2). Ed è mentre è in cammino verso Costantinopoli che lo raggiun-
ge la notizia della morte dell'amico. Sorprendentemente, proprio mentre la
corsa di Basilio si concludeva, certo anche per il modo straordinariamente
dispendioso dell'esercizio del suo ministero, Gregorio si avviava a diventar-
ne anche gerarchicamente superiore, lui che ne aveva patito l'autorevolezza
e l'autorità. I due amici avevano modalità diverse, o forse tempi diversi, di
comporre le proprie propensioni con i compiti del ministero e di valutare
ciò che le condizioni di vita della chiesa esigevano. Basilio metteva in primo
piano le responsabilità della fede e della guida delle chiese, anche resisten-
do alle ingerenze del potere imperiale. Gregorio lo aveva ben ammirato in
questo (Elogio 43-58), ma si chiedeva come alla sua persona, al suo impasto
umano, fosse possibile assolvere i compiti che gli venivano messi davanti.
·Forse non si coglie nel segno se si ipotizza che l'uno accordasse il primato
alla fede e al ministero, l'altro alle istanze della propria umanità. Per tutti e
due il primato è del Vangelo, che chiede di essere servito con la propria
umanità e nelle circostanze che la comunità cristiana sta attraversando.
Ma modalità e tempi per farlo erano differenti. Basilio sembra rendersene
ben conto in una lettera indirizzata ali' amico, ove protesta che non è l'ami-
cizia a venire meno, ma piuttosto è il tempo a farsi tiranno e a non permet-
tere di elaborare insieme adeguatamente il cammino:
«Abbiamo deciso di rendere il nostro amore per te più forte di ogni rammarico
[. ..] e preghiamo il Dio santo che durante i giorni e le ore che ci restano, conser-
viamo verso di te i medesimi sentimenti che in passato [. ..] . Se noi potessimo pas-
sate insieme la maggior parte dell'anno, non daremmo alcuna possibilità a chi ci
calunnia [. ..].Accetta tuttavia di essere richiesto di prendere parte alle mie fatiche»
(Lettera 71).
C'è chi ritiene di poter mettere i due amici vescovi in contrasto tra di
loro sulla dottrina circa lo Spirito Santo, stralciando frasi dai loro contesti.
Nella lettera appena citata Basilio riconosce a Gregorio il merito d'essere
in materia guida dell'ortodossia. Il sorriso allo Spirito matura anche tra fa~
tiche e l'amicizia rimane tra i due spazio di conversione che li rinvia oltre
se stessi.

3. La rilettura: un'amicizia iniziata nel mondo


e progredita nello Spirito (Disc. 10,2)

Forse questa espressione rende bene la rilettura che Gregorio si era


trovato a fare più volte della amicizia con il "suo grande Basilio". Essa dice
che l'impasto dell'amicizia era quello della loro umanità e cu!tura, di ciò
che avevano ereditato e di cui si erano progressivamente appropriati e resi
consapevoli, il "loro mondo". Però si trattava ormai del loro mondo visi-
tato dalla fede, dal soffio dello Spirito, che ritesse la stoffa dell'umano e
del patrimonio culturale, liberandolo dalle sue strettoie e donandogli il re-
spiro del Vangelo, il che significa anche la premura per l'umanità di tutti,
appunto la dimensione ministeriale. La loro amicizia era stata esperienza
di singolare sintonia , che però si reggeva sul fatto d'essere generata e di
crescere sullo stesso ceppo (symphuia), insieme la cultura e la fede (Elogio
19). Nel vincolo a questo ceppo essa aveva avuto la sua forza e la sua sfida.
Gregorio non fu presente alle esequie di Basilio, morto il 1 gennaio del
379. La notizia lo raggiunse sulla strada verso Costantinopoli. Soltanto tre
anni dopo, il 2 gennaio del 3 82 si recò a Cesarea per tenerne la comme-
morazione, <<non prima che voce e pensiero abbiano avuto modo di puri-
ficarsi>> (Elogio 2). Consegnando alle generazioni future l'elogio di Basilio
«legge vivente per tutte le chiese e le anime» (Elogio 80), Gregorio prende
anche l'occasione per rileggere la sua amicizia con lui. Riconosce cordial-
mente il suo debito verso l'amico: «In vita quell'uomo ha giovato alla mia
virtù, in morte alla mia buona fama>> (Elogio 22); con dolcezza ricorda
d'essersi più volte fatto bello di ciò che gli veniva da lui (Elogio 77). Po-
tersi proporre come il suo amico più caro era stato un buon biglietto da
visita! Si era certo trattato anche di un'amicizia straordinariamente impe-
gnativa, poiché:
«Basilio subordinava tutto allo Spirito e pur essendo solito rispettare l'amicizia, vi
passò sopra soltanto là dove bisognava onorare Dio prima di tutto e dove le cose
sperate dovevano valere di più delle cose caduche» (Elogio 59).
«Ormai separato da quell'uomo, tengo dietro all'educazione da lui segnata:lui an-
cora mi dà istruzioni e moniti in visioni notturne, se mi sono allontanato dal cl6vec •
re» (Elogio 80). .
<<Possa tu vegliare dall'alto su di noi [...] e la tn"bolazione della carne, d~thldi
Dio per essere di insegnamento, possa tu arrestarla con la tua intercessione; o fori>
vincerci a sopportarla con coraggio; guida tutta la nostra vita, perché possiamo ot~
tenerne il maggiore profitto» (Elogio 82).
Gregorio, provato dalla vita, dalla complessità della situazione ecclesia-
le patita nel concilio di Costantinopoli, deciso a servire la pace delle chiese
fino a dimettersi dalla prima cattedra episcopale in Oriente, prende qui
per l'ultima volta la parola anche sulla sua amicizia con Basilio. Ora è in
grado di comprenderne meglio le pressioni usate nell'esercizio della sua
autorità, con le urgenze e i rischi connessi. Il servizio dello Spirito non è
sempre agevole, esso ha a che fare con le "tribolazioni della carne", con
le nostre fragilità e la fatica di valutare i cammini possibili. La vita dell' a-
mico rimane una "lezione" di vita. E però, in obbedienza allo stesso Spi-
rito, Gregorio può ascoltare l'appello alla vita contemplativa che aveva
sempre avvertito e dedicarvi gli ultimi anni della sua vita, nella persuasione
che pure questo è servizio ecclesiale, che Basilio avrebbe capito e rispetta-
to.
Il ricordo dell'amico rimane illuminante e prezioso conforto: lamicizia
porta con sé una norma che rassicura, quella della fedeltà, della reciproca
accoglienza, dello scambio. Il Vangelo la nutre e la sollecita ad una aper-
tura che impedisce agli amici di divenire un piccolo mondo senza il mondo
e senza il respiro dello Spirito. Essa assume così i tratti del servizio condi-
viso, senza che esso faccia copia l'uno dell'altro. Fede e amicizia così cam-
minano insieme; senza alcuna fusione, esse rimangono insieme, come gli
aID.lCl.

Nota bi"ografica
Giuseppe Laiti, presbitero della diocesi di Verona, insegna patrologia e teologia
patristica nello Studio Teologico San Zeno e nell'Istituto Superiore di Scienze religiose
S. Pietro martire (VR). Si occupa in particolare di ecclesiologia e catechesi patristica.
<<Ecce ego et tu, et spero quod
tertius inter nos Christus sit»
Aelredo di Rievaulx sull'amicizia
di
Ivica Raguz

Molti grandi spiriti hanno scritto bellissime pagine sull'amicizia. Basta


ricordare Aristotele, Cicerone, Tommaso, Montaigne, Derrida etc. Oggi la
teologia e la filosofia riflettono e si occupano principalmente di questi stu-
di, dimenticando forse uno dei migliori trattati medievali sull'amicizia del
monaco cistercense Aelredo di Rievaulx «De spirt"tuali amk:itia». La sua
meditazione non è di grande importanza solo per la teologia e la filosofia,
ma anche per la spiritualità, per vivere meglio i rapporti umani, per il ma-
trimonio. Inoltre De spirituali amicitia di Aelredo è attuale per altre tre ra-
gioni: in primo luogo rappresenta la sintesi delle riflessioni dei grandi filo-
sofi greci e romani; in secondo luogo mostra la novità della comprensione
cristiana; in terzo luogo essa è pratica, in quanto presenta consigli pratici
come stringere e vivere l'amicizia. Forse quest'ultima dimensione è mag-
giormente trascurata nelle riflessioni teologiche e filosofiche.
In questa breve analisi non possiamo esporre tutti gli aspetti della
meditazione di Aelredo. Faremo una sintesi delle idee che ci sembrano
importanti per la comprensione cristiana dell'amicizia al giorno d'oggi.
Speriamo che la nostra esposizione possa invitare il lettore a leggere il
trattato di Aelredo, ad "assaggiare" le sue idee per vivere meglio l'ami-
cizia.

1. Vera amicizia - «humani pectoris sensus»

Aelredo inizia la sua meditazione con la definizione di Cicerone sull' a-


micizia: <<L'amicizia è l'accordo, pieno di benevolenza e carità, sulle cose
umane e divine» 1. In quest'accordo, scrive Aelredo, un amic6 ~tcògliè}i]f(i
altro, lo gode, l'abbraccia e diventa «custode dell'amore viceridevdi6;à{
dello stesso animo» dell'altro 2 • Dialogando con il suo confratelloGiòvàhj;
ni, Aelredo fa una distinzione fra amicizia e amore. L'amore concerne tl.itti.
gli uomini, l'amicizia, invece, solo coloro ai quali si può confidare il pro~ •
prio cuore e i suoi segreti, con i quali siamo legati dalla legge della fiducia
e della sicurezza: «Noi però chiamiamo amici solo quelli cui non temiamo
di affidare il nostro cuore con tutto quello che ha dentro, e così fanno an-
che loro, stringendosi a noi in un legame che ha la sua legge e la sua sicu-
rezza nella fiducia reciproca>> 3• Però questa distinzione è per il nostro
autore conseguenza del peccato originale, perché prima del peccato non
esisteva questa distinzione fra amicizia e amore.
La vera amicizia va meditata nel contesto delle altre amicizie. Aelredo
distingue tre generi d'amicizia: carnale, mondana e spirituale. La vera ami-
cizia è solo quella spirituale, perché la prima consiste nel vizio e la seconda
si basa sul profitto. L'amicizia carnale conosce soltanto il godimento car-
nale ed esclude la ragione: non conosce i limiti, non pensa alle perdite e ai
guadagni, si orienta verso tutte le cose in modo sconsiderato, indiscreto e
smoderato. Essa è irragionevole in quanto in essa prevalgono solo le emo-
zioni: «L'amicizia carnale nasce dal solo sentimento, cioè da quel tipo di
emotività che, come una prostituta, allarga le gambe davanti a tutti quelli
che le passano accanto, seguendo il vagare di occhi e orecchi verso l'impu-
rità>> 4 • Così l'amicizia carnale, che Aelredo più avanti chiamerà anche pue-
rile, si stringe con facilità e con la stessa facilità si dissolve: «Questa non è
un'amicizia, ma piuttosto il veleno dell'amicizia, dato che in essa non si
può mai conservare la giusta misura di quell'amore che lega un animo al-
l'altro, infatti, quella onestà di fondo che anch'essa possiede è offuscata e
corrotta dalla passionalità; cosi, abbandonato lo spirito, si è trascinati ver-
so desideri impuri»'. L'amicizia mondana, d'altro canto, è interessata. Si
diventa amici solo per interesse o profitto mondano. Anche quest'amicizia
non può durare, perché gli interessi e i profitti vengono e passano. Essa è
così incerta, instabile, perché per essa vale la seguente massima: «Se togli
la speranza di guadagnare, subito sparirà anche l'amico» 6 •
L'amicizia vera presuppone la somiglianza di vita, di abitudini e di
aspirazioni e può nascere solo tra i buoni. La causa dell'amicizia non viene

1 Aelredo di Riveaul:x:, De spirituali amicitia (trad. italiana di P. Antonio Atzeni), I,


11.
2 I, 20.
3 I, 31.
4 I, 39.
' II, 57, anche I, 41.
6 I, 42.
più dall'esterno ma dall'interno. Aelredo chiama questa causa interna il
sentimento umano, il «sentimento del cuore umano». (<<humani pectoris
sensus») 7 Questo vuole dire che solo l'amicizia spirituale è proprio «uma-
na», cioè in essa si diventa umani, perché l'altro amico viene voluto per se
stesso, non per un altro motivo esterno. Questo non avviene nell'amicizia
carnale, dove si diventa amico a causa di sentimenti egoistici, e neanche nel-
1'amicizia mondana, guidata dalla ragione e dal profitto. Invece la causa e il
frutto dell'amicizia spirituale può essere solo lamicizia stessa, in quanto l' a-
micizia spirituale non deve essere lo strumento per un altro fine. Potremmo
dire che la prima amicizia carnale è irragionevole e troppo emotiva a causa
della libidine carnale; la seconda, mondana, è razionale, ma razionalistica,
perché conosce soltanto gli interessi. Solo lamicizia spirituale è umana e ci
fa umani, perché nasce dal <<pectoris humani sensus», dal «senso del cuore
umano». Quel <<humani pectoris sensUS>> è la capacità dell'uomo di vivere le
relazioni con l'altro al di là delle emozioni egoistiche e della ragione interes-
sata. «Humani pectoris sensus» unisce corpo e spirito, emozioni e ragione:
«L'amicizia spirituale deve avere come base iniziale la purezza dell'inten-
zione, la guida della ragione e il freno della temperanza. La gioia profonda
che si aggiungerà ad esse sarà certamente sperimentata come dolcezza, sen-
za per questo cessare di essere un affetto ordinato» 8 . Dunque, con l'amici-
zia spirituale diventiamo sempre più umani.

2. Vera amicizia: "santissimo affetto)) di Cristo

La seconda parte del libro considera lo scopo e i vantaggi dell'amici-


zia. Si tratta del dialogo di Aelredo con due confratelli, Walter e Grazia-
no, dopo il decesso del loro confratello Giovanni. Aelredo scrive una bel-
lissima frase che descrive la sua amicizia con Giovanni prima e anche
dopo la sua morte: <<li ricordo del carissimo Giovanni, anzi, l'abbraccio
costante del suo affetto mi è sempre così presente che, anche se ora ci
è stato tolto, nel mio cuore è più vivo che mai. Lui è sempre con me.
Più mi vedo splendere davanti l'intensità spirituale del suo volto; più
mi sorride la dolcezza dei suoi occhi; più le sue parole piene di gioia
mi danno un tale gusto che mi sembra di essere stato con lui in paradiso,
o che lui stia ancora conversando con me su questa terra>> 9• Walter si do-
manda quali siano i vantaggi dell'amicizia. Aelredo menziona i seguenti
vantaggi: supera i vizi, pacifica le inimicizie, modera i successi. Senza

7 I, 45.
8 Il, 57.
9 II, 5~
un amico l'uomo è simile agli animali, è solo e non può godere nella sua
felicità. L'amico ci dona la felicità propriamente umana che consiste in un
mutuo donarsi e fidarsi senza alcuna vergogna e senza riserve 10 • L'amici-
zia poi raddoppia la nostra gioia, i nostri successi e i nostri insuccessi ven-
gono sopportati più facilmente.
Dopo aver menzionato i vantaggi dell'amicizia Aelredo sottolinea che
questi vantaggi possono essere realizzati solo con Gesù Cristo. Con questa
tesi il monaco cistercense mette in rilievo la novità e specificità dell'amici-
zia cristiana. Essa deve sempre iniziare da Cristo, progredire verso Cristo
ed essere compiuta in Cristo 11 • Questo presuppone che l'amicizia può ri-
manere vera solo se gli amici superano se stessi nell'amicizia con Cristo,
oppure solo se l'amicizia non perde la sua dimensione "ex-statica". Que-
sto superamento "exstatico" significa che gli amici devono vivere l'amici-
zia fuori da se stessi, al di là dal loro cerchio amicale, "ex-statici" verso il
Cristo. L'amicizia dunque non comincia da se stessa, da un amico verso un
altro amico e viceversa. La vera amicizia comincia da qualcosa che è fuori
dal cerchio amicale, che è la bontà. Per i cristiani, però, l'amicizia non co-
mincia solo dalla bontà come tale, perché la bontà è astratta, e con essa
l'uomo non può stringere amicizia. Solo con una bontà personale, cioè
con la bontà incarnata che è Gesù Cristo, questa dimensione exstatica del-
1'amicizia può essere realizzata e concretizzata. Più gli amici diventano
amici con Gesù, più loro sono exstatici e fuori se stessi con Gesù, più di-
ventano amici tra di loro: «L'amico, dunque, che nello spirito di Cristo en-
tra in sintonia con un altro amico, diventa con lui un cuor solo e un'anima
sola, e così, salendo insieme i diversi gradini dell'amore fino all'amicizia di
Cristo, diventa un solo spirito con lui in un unico bado» 12 •
Aelredo in questa frase introduce il bacio come immagine dell'amicizia.
Ci sono tre generi di bacio: corporale, spirituale ed intellettuale. Per Ael-
redo il bacio che esiste fra amici è prima di tutto il bado spirituale. Il bacio
spirituale significa l'unità delle anime, intimità, un modo di «fondere delle
anime>>. Questo bacio spirituale è il bacio di Cristo, perché Cristo <<ispira
in quelli che si amano quello santissimo affetto che li fa sentire uniti al
punto da sembrar loro che in corpi diversi abiti una sola anima» 13 • La pa-
rola <<il santissimo affetto» è cruciale. La vera amicizia rimane tale solo se
custodisce, si orienta e si fa ispirare da questa tensione verso «il santissimo
ilietto» che dona solo Cristo. Qui incontriamo l'idea che la vera amicizia
deve essere exstatica, cioè cristologica. Dove non esiste questo slancio,

io II, 11.
.il II, 20.
;Ù II, 21.
ù II, 26. Abbiamo modificato la traduzione, perché in latino sta <<Sacratissimus
llffectuS», non «infinitus affectus.»
questa tendenza verso <<il santissimo affetto» di Gesù, l'amicizia perde la
sua iÙtensità e la sua forza, l'unità e intimità fra gli amici pian piano spari-
sce. Però il bacio spirituale non rappresenta il bacio perfetto che è intel-
lettuale. Il bacio intellettuale è un bacio escatologico, quando gli amici ba-
ceranno Cristo e saranno amici di Cristo direttamente 14 • Questa
dimensione escatologica dell'amicizia rafforza maggiormente l'amicizia
umana.

3. Scelta dell'amico

La terza parte del trattato è forse la più interessante e la più attuale. Si


tratta di un tema, di cui oggi non si parla negli studi sull'amicizia. É il tema
dell'elezione: come scegliere un amico. Questo suona per noi troppo razio-
nalistico. Però noi abbiamo già visto che per Aelredo l'amicizia non ha
niente a che fare con il razionalismo. La questione dell'elezione intende
porre basi stabili per l'amicizia vera. Per il nostro autore ci sono quattro
gradini nel processo in cui nasce l'amicizia: scelta, prova, accoglimento e
accordo perfetto 15 • Cominciamo con la scelta.
Nella scelta degli amici, Aelredo afferma che dobbiamo essere consa-
pevoli che ci sono temperamenti completamente contrari oppure molto
difficili per una amicizia vera. I temperamenti sono i seguenti: irascibili,
instabili, sospettosi, chiacchieroni.
Le persone irascibili si arrabbiano facilmente, non sanno di che oosa
parlano e offendono facihnente gli amici. Con queste persone dobbiamo
essere pazienti, perché l'amicizia è possibile con esse: la persona irascibile
può essere guarita se impara la pazienza. Per quanto riguarda l'irascibilità,
Aelredo menziona le altre qualità che sono totalmente contrarie all'amici-
zia e la distruggono: l'ingiuria, in cui si offende l'amico in pubblico; il lo-
dare se stessi e denigrare gli altri; gli invidiosi che non vogliono ammettere
i propri errori, sono sfrontati nell'offendere e presuntuosi nel correggere;
lo svelamento dei segreti dell'amico. Per il nostro autore questa qualità è la
più detestabile: «Perché toglie dagli amici ogni amore, ogni grazia, ogni
dolcezza, riempie tutto di amarezza, contamina ogni cosa con il fiele del-
1'odio e del risentimento. ... E poi, svelare i segreti di un amico equivale a
portare alla disperazione un'anima infelice» 16 ; il tradimento come denigra-
zione dell'amico fatta di nascosto.
Gli instabili non danno nessuna sicurezza. Non sono sicuri di se stessi,

14 II, 26.
15 II, 8.
16 m, 24.
vacillano facilmente e dipendono sempre dall'opinione degli altri. Così se
qualcuno parla male del loro amico, essi si lasciano confondere. Secondo
Aelredo, gli instabili possono essere corretti se diventano seri, cioè noi di-
remmo, se si consacrano alla verità invece che alle opinioni degli altri. I
sospettosi sono gelosi: «Se lo vede trattare qualcuno con benevolenza e af-
fabilità, si lamenterà dicendo che lui è meno amato di quello. Se viene cor-
retto dirà che l'amico lo odia. Se invece viene lodato dirà che l'altro lo
prende in giro» 17 • La gelosia può essere guarita solo nella contemplazione
dell'amore. Alla fine i chiacchieroni sono difficili per l'amicizia, perché
non sono «seriosi>>, dice Aelredo. Si potrebbe dire che gli manca la serietà,
perché con la loro loquacità si pongono al centro dell'attenzione.

4. Prova dell'amico

Dopo la scelta viene la prova. L'amico deve essere messo alla ·prova per
vedere se è degno dell'amicizia. La prova concerne: la fedeltà, l'intenzio-
ne, la discrezione, la pazienza 18 • La fedeltà significa che un amico deve
cercare l'amicizia con l'altro solo a causa di lui stesso; della sua virtù, cioè
della sua bontà. Solo con questa persona si può vivere la fedeltà. Le altre
qualità dell'amico non sono importanti, come scrive Aelredo: «Va ad ab-
bracciare la virtù là dove la trova, tutto il resto rimane all'esterno, se ci so-
no altre cose non vi dà molto peso, se non ci sono non si affanna ad esi-
gerle» 19 • L'intenzione riguarda la cosa che l'amico cerca nell'altro, per
esempio, se cerca la ricchezza. Il nostro autore pensa che per l'amicizia
sia meglio essere poveri, perché un amico cercherà facilmente l'altro
non per la sua ricchezza, ma per lui stesso. Inoltre, l'uomo spesso non è
sincero con i ricchi, si presenta all'altro come non è in realtà: «Ai ricchi
si dona per cortigianeria; verso i poveri nessuno agisce per finzione» 20•
La discrezione è la misura di tutto nell'amicizia: nel fare o non fare, nel
sopportare, nel ringraziare e nel correggere. La discrezione include anche
l'idea che non dobbiamo domandare al nostro amico quello che noi stessi
non possiamo essere o dare. Alla fine la pazienza, che sottintende la capa-
cità di ricevere le critiche dell'amico senza arrabbiarsi.
Inoltre, la prova implica la somiglianza dei caratteri degli amici. I carat-
teri non devono essere troppo diversi. La somiglianza dei caratteri significa
anche avere gli stessi interessi. Se gli amici non hanno gli stessi interessi, se

!11 m, 29.
l:s m, 61.
.19 m, 62.
1o m, 70-71.
non sono «sensibili alle stesse cose» e non sono «d'accordo su cose identi-
che» l'amicizia non è stabile, e prima di tutto non c'è fiducia 21 • Perché? Se
uno non condivide gli interessi dell'amico, l'amico non desidera confidarsi
con lui, non si fida di lui, in quanto sa che l'altro non capisce oppure non
vuole capire le cose che sono per lui importanti. Senza questo non può es-
serci una comunicazione perfetta, che è il presupposto per una perfetta in-
timità e unità della vera amicizia. Per Aelredo la somiglianza è molto im-
portante nell'amicizia, perché l'amicizia è «il perfetto dono della natura e
grazia» 22 • Questo vuol dire che l'amicizia non si deve ridurre né alla natu-
ra né alla grazia. Essa presuppone i caratteri naturali, la loro somiglianza,
ma senza la grazia, la bontà degli amici e il loro amore verso Gesù Cristo,
essa non può esistere. In questo senso si può dire che nella «comprensione
dell'amicizia>> di Aelredo si può riconoscere un trattato teologico sulla gra-
zia realizzato nel concreto.
Il momento della grazia nell'amicizia trova espressione nei seguenti
consigli che Aelredo dà: quando un amico è in necessità, il suo amico lo
aiuterà prima che lui stesso domandi l'aiuto. In questo modo un amico
in necessità non sarà umiliato e l'altro sarà lieto di aver potuto aiutare il
suo amico. Capiterà un meraviglioso scambio tra il donatore e colui che
riceve il dono, dove il donatore dona e, a sua volta, riceve un dono, poiché
colui che riceve diventa, a sua volta, donatore: «Non aspettare neanche
che termini la sua richiesta, va' incontro a lui con benevolenza, così da
sembrare che sia tu a dargli quanto ha bisogno senza che neppure te lo
chieda. Così anche noi dobbiamo indovinare con delicatezza le necessità
degli amici, anticipare con il nostro dono una richiesta, e usare in questo
uno stile che dia a chi riceve l'impressione che sia lui a fare un favore, non
colui che offre il dono» 23 • Il donarsi mutuo degli amici testimonia che esi-
ste fra gli amici una "povertà santa", dove non si vive per se stessi ma per
gli altri: «L'amicizia spirituale riceve certo un fondamento molto solido
dalla scelta della povertà, che è santa proprio perché è volontaria. L'avidità
rovina mortalmente lamicizia, ed è certamente più facile conservare un' a-
micizia già iniziata quanto più l'animo è immune da questa peste>> 24 •
La grazia dell'amicizia si vede anche nella «correctio fraterna» fra gli
amici, perché l'amicizia vera si fonda sulla verità e sulla bontà. Se uri amico
si trova nella menzogna, se è colpevole, il suo amico lo deve ammonire e
correggere. Come dice sant' Ambrogio: «Le correzioni, infatti, sono buone,
e spesso sono meglio di un'amicizia troppo silenziosa. Anche se l'amico si
sente offeso, tu correggilo lo stesso. Anche se l'amarezza della correzione

21 m, 88.
22 m, 91.
23 III, 99-100.
24 m, 101.
gli ferisce l'animo, tu correggilo lo stesso. È meglio sopportare le ferite in-
flitte dagli amici, che i baci degli adulatori Correggi, dunque, l'amico che
va fuori strada» 25 • La correctio fraterna degli amici è sempre espressione
dell'amore, dell'umiltà e della compassione, perché un vero amico quando
corregge il suo amico lo fa come se correggesse se stesso: «L'amico deve
infatti entrare in simpatia con il proprio amico, essere condiscendente,
sentire come suo il clifetto dell'altro, correggere in modo discreto, facendo
propri i sentimenti dell'altro. Lo deve correggere con la tristezza del volto,
con parole che sanno di afflizione, anche con il pianto che interrompe le
parole» 26•
Si può accennare qui ancora a una dimensione dell'amicizia che sta a
cuore a Aelredo. La prova che l'amicizia non si basa sugli interessi è
che gli amici non stringono amicizia per ricevere qualche onore o incarico
dal proprio amico. Gli amici non hanno bisogno di qualcos'altro, dell' ono-
re oppure di un incarico per essere amici. Sono amici perché si amano co-
me sono: <<Diamo all'amico tutto quanto è in nostro potere in amore, gra-
zia, dolcezza, carità; diamo invece gli onori futili e gli oneri a quelli che ci
vengono suggeriti dalla ragione, sapendo che uno non amerà mai veramen-
te un amico se non gli basta l'amico così com'è, e vuole in più da lui queste
cose vili e spregevoli.>> 27 • Infatti, un vero amico non vuole che il suo amico
sia onerato dagli onori e dagli incarichi, come Gesù ha fatto con il suo
·amato discepolo Giovanni, quando «a Pietro affidò la sua Chiesa, a Gio-
vanni affidò la sua carissima madre» 28 •

5. Sdoglimento dell' amidzia

L'amicizia umana è manchevole e fragile. Aelredo è consapevole che le


amicizie umane possono e devono avere una fine, si devono sciogliere. Poi-
ché ognuno di noi ha provato quest'esperienza penosa, merita quindi di
vedere quali consigli ci dà il teologo cistercense. Il consiglio più importan-
te è che le amicizie non si devono rompere frettolosamente, perché in que-
sta maniera nascono le grandi inimicizie e i litigi fra quelli che una volta
erano amici. È meglio sciogliere I'amicizia poco a poco, ma anche dopo
lo scioglimento non smettere di amare il proprio amico: «Se tuttavia ti ca-
pita di soffrire tutte queste cose da parte di colui che avevi accolto nella
tua amicizia, non devi rompere subito il rapporto, ma scioglierlo con gra-

25 m, 106.
26 m, 107.
21 m, 118.
2s m, 117.
dualità, conservando pure un tale rispetto per l'antica amicizia che, anche
se non gli confidi più i tuoi segreti, non gli togli però né l'amore né l'aiuto,
e neppure gli neghi il consiglio. Se poi la sua follia dovesse spingerlo a pro-
ferire bestemmie e oltraggi, tu rispetta il patto, rispetta la carità, così la col-
pa sarà tutta di chi lancia l'ingiuria, non di chi la subisce» 29 • Si deve subito
rompere un'amicizia se si tratta di un bene comune, bene della società o
della Chiesa: «Se invece scopri che può essere pericoloso per i suoi fami-
liari, la collettività, i cittadini e gli amici, si deve rompere subito il vincolo
di familiarità, perché non si deve anteporre l'amore per una persona al ri-
schio di rovinarne tante altre» 30• Aelredo ribadisce con questi pensieri la
dimensione universale e sociale della vera amicizia, la quale non ha niente
a che fare con un «egoismo a due».

Conclusione

Le meditazioni del monaco cistercense non offrono tutte le risposte alla


questione della vera amicizia. Forse a noi sembrano troppo rigide e razio-
nalistkhe. Forse ci sono alcune esagerazioni razionalistiche, per esempio
quando Aelredo parla della scelta e della prova dell'amico. Però quest' e-
sagerazione ci pare un vantaggio proprio oggi quando l'amicizia è spesso
compresa e vissuta come troppo emotiva, impulsiva, e ancora peggio, in-
teressata. Inoltre Aelredo ha mostrato che l'amicizia non solo non deve es-
sere interessata, ma deve essere «ex-statica». In ogni amicizia deve esserci
il terzo, Gesù Cristo: «Eccoci qui, io e te, e spero ci sia un terzo in mezzo a
noi, il Cristo» 31 . Poiché è orientata fuori da se stessa, verso Gesù, la vera
amicizia è sempre particolare e universale, individuale e sociale, «universa-
le concretum>> 32 • Le meditazioni di Aelredo possono aiutare anche i gio-
vani non soltanto a stringere e vivere la vera amicizia, ma anche a trovare
l'amico o l'amica nel matrimonio.
Spero che questa piccola analisi della grande meditazione medievale
possa ispirare il lettore a cercare e trovare un amico o un'amica nell'ami-
cizia con Cristo. Se non lo trova, già in questa vita certamente può trovare
l'amico Gesù Cristo. Si concluda la nostra analisi _con i bellissimi pensieri
di Aelredo sulla preghiera che unisce gli amici, Gesù e tutti gli uomini:
«Oltre a questo poi c'è il pregare l'uno per l'altro, una preghiera che,

29 m, 57.
30 Ibid.
31 I, 1.
n San Tommaso d'Aquino approfondirà questa dimensione universale dell'amicizia,
affermando che l'amore è l'amicizia, cioè universale e particolare. Cfr. Summa
theologiae II-II, 23,1.
venendo da un amico, è tanto più efficace quanto più carica di affetto si
eleva a Dio insieme alle lacrime, generate dal ti.more o dall'affetto o dal
dolore. Così, un amico che prega Cristo per conto dell'amico, e desidera
essere esaudito da Cristo per amore dell'amico, finisce per dirigere su Cri-
sto il suo amore e il suo desiderio. Succede allora che rapidamente, in mo-
do impercettibile, si passi da un affetto all'altro e, con la sensazione di toc-
care da vicino la dolcezza di Cristo stesso, l'amico cominci a gustare e a
sperimentare quanto egli è dolce e amabile. In questo modo, da quell'amo-
re santo con cui si abbraccia il proprio amico, si sale a quello con cui ab-
bracciamo Cristo stesso: si afferra così, nella gioia, a piene mani, il frutto
dell'amicizia spirituale, nell'attesa di una pienezza che si realizzerà nel fu-
turo quando, eliminato quel ti.more che ora ci tiene in ansia e ci fa preoc-
cupare l'uno per l'altro, vinte tutte quelle avversità che ora dobbiamo so-
St:enere l'uno per l'altro, distrutto insieme alla morte il suo pungiglione
(cfr. lCor 15,54-55), che ora spesso ci sfianca e ci costringe a soffrire l'u-
no per l'altro, raggiunta la sicurezza, godremo per l'eternità del sommo be-
ne. Allora questa amicizia, alla quale ora ammettiamo solo pochi, sarà tra-
sfusa in tutti, da tutti rifluirà su Dio, e Dio sarà tutto in tutti
(lCor 15,28)» 33 •

Nota biografica
Ivica RaguZ, nato il 26 settembre 1973, è stato ordinato sacerdote nel 1998 nella
arcidiocesi Dakovo-Osijek (Croazia). È Laureato in teologia fondamentale presso la
Pontificia Università Gregoriana. Insegna teologia dogmatica alla Facoltà Teologica di
Dakovo, Università "Josip Juraj Strossmayer" a Osijek. È redattore di Con:ununio,
edizione croata. Ha pubblicato, tra I' altro:
- Sinn far das Gott-Menschlicbe. Transzendental-theologisches Gesprach zwischen
den Asthetiken von Immanuel Kant und Hans Urs van Balthasar, Echter, Wurzburg,
2003.
- Teologi.a del silenzio e dell'ozio (croato: Stnja - dokolica, KS, Zagreb, 2011.)
- Felici nella speranza. Meditazione teologiche sulla felicità (croato: Sretni u nadi.
Teoloska razmatranja o sreéi, Hilp, Zagreb, 2013).

:: . .

·:.•:,

33 III, 133.
L'esperienza dell'amicizia
in san Tommaso d'Aquino
di
Francesco Ventorino

L'amicizia, insegnava san Tommaso d'Aquino, non è un amore qualsia-


si, ma solo quello che ha la natura della benevolenza. Si ha amicizia, cioè,
quando amiamo qualcuno così da «Volergli bene». Spesso, invece, amiamo
gli altri in modo da <<Volere per noi il loro stesso bene>>, come quando
amiamo il vino o cose del genere. In questo caso non si ha amore di ami-
cizia, ma di concupiscenza, «infatti è ridicolo dire che uno ha amicizia con il
vino o con il cavallo» 1• Anzi bisogna dire che, perché ci sia amicizia, non
basta neanche la benevolenza, «ma si richiede l'amore scambievole: poiché
un amico è amico per l'amico. E tale mutua benevolenza è fondata su qual-
che comunanza» 2 •
Stabilita in questi termini la natura dell'amicizia, Tommaso si chiede se
è possibile a noi avere una qualche amicizia con Dio. La sua risposta è po-
sitiva, anche se essa è fondata su una «conversazione» che in questa vita è
imperfetta e che si «perfezionerà nella patria» 3 •
Esiste già, infatti, tra Dio e noi uno scambio naturale in forza della sua
azione creativa. Nella creazione si compie quel primo e fondanientale atto
di benevolenza per il quale veniamo fatti partecipi a nostro modo di quel-
1'essere che a lui appartiene per essenza. Infatti egli, essendo l'Essere, è
l'unica causa di tutte le cose, ma non appena nel momento in cui esse co-

1 Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II-II, 23, 1, c.


2 L.c.
3 Ibid., Il-II, 23, l, ad 1.
minciano ad esistere; egli è la causa anche del loro perdurare nell'essere,
ciascuna secondo il modo che le è proprio. «L'essere, poi, è ciò che nelle
cose vi è di più intimo e di più profondamente radicato [.. .]. Necessaria-
mente, dunque, Dio è in tutte le cose ed in maniera intima 4 . Nell'atto
creativo si realizza, dunque, tra Dio e l'uomo una comunicazione profon-
da nell'essere che stabilisce quella «connaturalità o compiacenza dell'a-
mante rispetto all'amato»:>, che è il fondamento di ogni vero amore o
amicizia.
C'è da notare, inoltre, che la creazione, categoria propria della tra-
dizione giudaico cristiana, riesce ben diversa dall'emanazione necessaria
teorizzata da alcuni filosofi, configurandosi come un atto gratuito e
perciò come un atto d'amore. San Tommaso intravede, dunque, nella
dinamica dell'atto creativo la stessa dinamica del formarsi di una ami-
cizia.
L'atto dell'amore tende sempre «verso il bene che si vuole a qualcuno e
verso colui al quale si vuole bene, perché amare uno vuol dire precisamen-
•te volere a lui del bene>> 6• Se uno ama se stesso, dunque, <<VUole a se stesso
. del bene e questo bene cerca di unirlo a se medesimo per quanto può» 7•
Per tale motivo l'amore si chiama innanzitutto forza unitiva, anche in Dio,
«perché quel bene che [Dio] vuole a se stesso, non è altra cosa che se me-
desimo, buono per essenza» 8• Quando poi uno ama un altro, vuol del be-
ne a quest'altro. E lo tratta come se stesso, rivolgendo a lui il bene come a
se medesimo. <<In questo senso l'amore si dice forza aggregativa; perché
uno aggrega un altro a se medesimo, e lo tratta come un altro se stesso.
In tal senso anche l'amore divino è una forza aggregativa senza che per
questo in Dio vi sia composizione [ma solo] perché rivolge ad altri i suoi
beni>> 9•
/ •·... Dio non ama, dunque, come amiamo noi. fl: nostro amore non causa
);essere in coloro che amiamo, anzi in qualche modo si può dire che è il
'ri:C>stro amore ad essere causato dalla bontà del loro essere. L'amore di
!Dio, invece, crea la bontà nelle cose 10• È per questo che Dio, creando il
·foto essere secondo la natura umana, ama anche i peccatori per la bontà
f~ritologica alla quale li chiama a partecipare 11 • L'amore creativo di Dio

I ~
Ibur. I, 1, e
~~· Ibid., I-II, 27, c.
:~1)! \~~·· I, 20, 1, ad 3.
;:•gc\r:c:
K~F/iibid., I, 20, 1, ad 3.
::10>.Cfr. Ibid., I, 20, 2, c.
:.~i (éfr. Ibid., I, 20, 2, ad 4.
risulta così essere un vero amore di benevolenza che pone nell'uomo,
creato a sua immagine, la potenzialità dell'amicizia, cioè la capacità di
quella corrispondenza, di quello scambio di amore che l'amicizia richie-
de.
L'uomo, infatti, è un essere capace di vera amicizia, cioè di quel dono
gratuito di se stesso che è l'amore di benevolenza. Per l'intelligenza e la
libertà ricevute può rapportarsi con il suo Creatore riconoscendo lamore
ricevuto e ricambiandolo con lofferta della propria vita perché ne compia
il disegno e la volontà. Anzi la dinamica stessa della conoscenza e della sua
libertà lo orientano a Dio come oggetto di quel suo desiderio naturale che è
il motore di ogni altro desiderio:
È naturale desiderio della creatura ragionevole di conoscere tutto ciò che ha
pertinenza con la perfezione dell'intelletto; e perciò le specie e i generi delle
cose e le loro ragioni, cose tutte che in Dio vedrà chiunque vedrà la sua es-
senza divina [ ... ].
Se dunque solo vedesse Dio, che è la fonte e il principio di tutto l'essere e della
verità, si compirebbe talmente il suo naturale desiderio di conoscere, che nient'altro
cercherebbe e sarebbe beata. Pertanto dice Agostino, V Confess.: "Infelice l'uomo
che conosce tutte quelle cose [cioè le creature], e non conosce Te: beato invece
l'uomo che conosce Te, anche se non conosce quelle. Chi conosce Te e pure quel-
le, non per quelle è più beato, ma per Te solo è beato" 12 •

Quella necessltà, per cui la volontà dell'uomo tende alla sua beatitudi-
ne, che consiste nella visione di Dio, è il fondamento della sua libertà ri-
spetto a tutto il resto, della sua decisione di amare Dio come l' unù:o suo
bene e di ricercarlo come tale in e sopra ogni cosa desiderata.
L'amicizia con Dio, pertanto, trova la sua realt'zzazione pt"ena nella carità.
Essa, secondo Tommaso, non è «un qualsiasi amor di Dio, ma è l'amore
con il quale si ama Dio quale oggetto della beatitudt"ne>> 13 ed è condz7.t"one
essenziale perché già in questa vita la volontà dell'uomo sfa unita al suo
fine ultimo 14 • Essa è possibile solo in forza della grazia della fede e della spe-
ranza.
La carità, infatti,
non dice soltanto amore di Dio, ma una certa amicizia verso di lui; amicizia che agé;
giunge all'amare un riamarsi scambievole, con una comunicazione reciproca, com~
spiega Aristotele in 8 Ethic [c. 2, lect. 2]. E che tale proprietà appartiene alla carità
è evidente da quel testo della I Ioan., N, 16 che dice: "Chi sta nella carità sta iii:
Dio, e Dio in lui". E san Paolo afferma nella 1 ad Cor., 1, 9: "Fedele è Iddid;
per opera del quale -siete stati chiamati alla società del Figlio suo". Ora, questa so~

12 lbid. I, 12, 8, ad 4.
13 Ibid., Hl, q. 65, a. 5, ad 1.
14 Cfr. Id. In II Sententiarum, ds. 38, q. 1, a. 2, se. 1.
cietà dell'uomo con Dio, che è un commercio familiare con lui, viene iniziata nella
vita presente mediante la grazia, e avrà compimento in futuro mediante la gloria; e
queste due cose noi ora le possediamo in forza della fede e della speranza. Perciò,
come non è possibile aver amicizia con qualcuno, se non si crede e non si spera di
poter avere con lui società o commercio familiare; così non si può avere amicizia
con Dio, ossia la carità, senza avere la fede per credere in codesta società e com-
mercio dell'uomo con Dio e senza avere la speranza di appartenere a codesta so-
cietà. Ecco quindi che in nessun modo la carità può sussistere senza la fede e la
speranza 15 .

È da notare che san Tommaso è stato il primo teologo che abbia con-
cepito la carità come amicizia:
Essendoci una certa comunanza dell'uomo con Dio, in quanto questi ci rende par-
tecipi della sua beatitudine, è necessario che su questo scambio si fondi un' amici-
zia. E di questa compartecipazione così parla san Paolo: «Fedele è Dio, per opera
del quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo» (I Cor, 1, 9). Ma l'a-
more che si fonda su questa comunicazione è la carità. Dunque è evidente che la
carità è un'amicizia dell'uomo con Dio 16•
Abbiamo già detto che la carità, cioè quella familiarità con Dio, che ini-
ziain questa vita e si compie nella vita eterna, non è possibile all'uomo se
non per la grazia della fede in Cristo, da cui scaturisce la speranza, cioè la
certezza di poterla vivere eternamente. Questa grazia ha il suo inizio e la
sua radice nell'Incarnazione del Figlio di Dio: ·
Siccome la beatitudine perfetta dell'uomo consiste nel godimento di Dio, fu neces-
. sario disporre l'affezione dell'uomo al desiderio di questa divina fruizione, proprio
perché vediamo che il desiderio della beatitudine è insito naturalmente nell'uomo.
Ora, il desiderio di godere di qualcosa è causato dall'amore verso di essa. Dunque
fu necessario che l'uomo, che tende alla beatitl.,ldine perfetta, fosse indotto ad ama-
re Dio. Nulla ci conduce talmente ad amare qualcuno quanto lesperienza del suo
. . amore per noi. Così l'amore di Dio verso l'uomo non si sarebbe potuto dimostrare
•.•·... in modo più efficace che con il fatto che Egli abbia voluto unirsi all'uomo in per-
. .. sona: è, infatti, proprio dell'amore unire lamante con l'amato fino a quanto è pos-
.•.. sibile. Fu, dunque, necessario all'uomo, che tende alla beatitudine perfetta, che Dio si
' ·facesse uomo 17 .
!< Secondo Tommaso, dunque, alla necessità con cui l'uomo tende a unir-
si a Dio, come al suo fine naturale, corrisponde un'altra necessità, che è
·~tjridla per la quale Dio inizia con l'uomo, nell'umanità di Cristo, una con-
!&d-furalità nuova per mostrargli tutta la bellezza di questa comunione e la
,$ti.a possibilità di compimento. Mai, però, come in questa affermazione to-
•:fuiSta necessità e libertà si baciano fino a coincidere: si tratta, infatti, della
;YÙcessità dell'amore.
tg
l1ìw )ù_ Summa Theologiae, I-II, q. 65, a. 5, c.
lal Jbid., II-II, 23, 1, c.
::~ef; (Id., Summa contra Gentiles, 4, c. 54, n.5.
L'~omo, dunque, è costituito dal desiderio naturale di vedere Dio, ma
questo desiderio si può adempiere solo per grazia, cioè per un libero e gra-
tuito dono di Dio: «Dio ha ordinato la natura umana a raggiungere il fine
della vita eterna non con la propria forza (non propria virtute), ma con
l'aiuto della grazia>> 18 • Infatti, l'intelletto creato non può vedere Dio nella
sua essenza, <<Se non in quanto Dio si unisce a lui con la sua grazia come
oggetto di conoscenza (ut intelligz'bile ab ipso)» 19•
L'affermazione che l'uomo ha come fine naturale la visione di Dio, un
fine, però, che solo per grazia può essere raggiunto, ha suscitato qualche
sospetto. T"Ommaso voleva forse sostenere che nella natura umana ci fosse
l'esigenza della grazia e quindi dell'ordine soprannaturale? Molti hanno
ravvisato la condanna di questa posizione in un passo della Humani gene-
ris di Pio XII (12 agosto del 1950) che suona così: «Al# veram 'gratuita-
tem' ordinis supernaturalis corrumpunt, cum autument Deum entia intellec-
tu praedita condere non posse, quin eadem ad beatzficam visz'onem ordinet et
vocet>> 20 (altri deformano la vera nozione della gratuità dell'ordine sopran-
naturale quando pretendono che Dio non possa creare esseri dotati di in-
telligenza senza chiamarli e ordinarli alla visione beatifica).
Il padre Henri de Lubac - personalmente coinvolto in questa polemica -
ha dato alla questione un notevole contributo. Commentando una lettera di
Etienne Gilson del 21 giugno 1965, faceva notare, sulla falsariga del suo Sur-
naturel del 1946:
Il rapporto tra l'uomo e Dio non potrebbe mai essere concepito, alla sua base, co-
me retto da una legge naturale o da una necessità qualsiasi, interna o esterna: Nel
dono che Dio vuol fare di se stesso e, di conseguenza, nel desiderio che ne risulta nella
nostra natura, tutto si spiega attraverso l'Amore. Non è un bene che si diffonda per
natura, necessariamente: è un Amore personale, è l'Amore in persona che, hbera-
mente suscita l'essere al quale vuole donarsi: Nulla limita l'indipendenza sovrana
del Dio che si dona 21 •
Successivamente lo stesso autore ha avuto modo di riprendere il pro-
blema in molte altre sue pubblicazioni. Ecco una formulazione mirabile
e sintetica:
Lo spirito non desidera Dio come l'animale desidera la preda; lo desidera come un
dono. Non cerca affatto di possedere un oggetto infinito: vuole la comunicazione
libera e gratuita di un Essere personale. Se dunque, per assurdo, potesse prendere
il suo bene supremo, immediatamente, non sarà più il suo bene. Si vuol parlare

18 Id., Summa Theologiae, I-II, 114, 2, ad 1.


19 Ibzd., I, 12, 4, c.
20 Denz. 3891.
21 Un dialogo fecondo. Lettere di Etienne Gilson a Henri de Lubac, Marietti, Genova
1990, p.63.
ancora di esigenza? In questo caso, si dovrà dire che l'unica esigenza dello spirito è
quella di non esigere nulla. Esige che Dio sia libero nella sua offerta, come esige di
essere libero esso stesso (in tutt'altro senso) nell'accettazione di questa offerta. Co-
me non vuole una felicità di cui impossessarsi, così non vuole una felicità solamente
da ricevere. Così la gratuità assoluta del dono divino appare tanto come una richiesta
della creatura per se stessa quanto per la grandez;:,a del suo Dio 22 •
Tutto scaturisce, dunque, dalla libera elezione con la quale Dio eleva
l'uomo ad un destino soprannaturale, cioè a vedere il Suo volto. In forza
di questa elezione l'uomo tende naturalmente ad un fine che con le- sue
forze non può raggiungere. Da qui la gratuita scelta di Dio di farsi uomo,
per rendere l'uomo capace di quella beatitudine perfetta cui il suo cuore è
stato fatto naturalmente anelante. È la suprema benevolenza di Dio, dun-
que, che chiama l'uomo e lo mette in grado, già in questa vita, di comin-
ciare a vivere con lui quell'amore scambievole e gratuito che si chiama
amicizia.
È da notare, poi, che l'amicizia vera è un amore così grande che si esten-
de a tutti quelli che appartengono all'amico e a tutti quelli che egli ama. Per-
tanto l'amicizia con Dio è il fondamento in noi di ogni altro amore, di quel-
1'amore che si estende verso tutti quelli che egli ama, anche verso i nostri
nemici. Infatti <<l'amore può essere così grande da abbracciare per l'amico
quelli che gli appartengono, anche se ci offendono e ci odiano» 23 •
Così Tommaso ci introduce nel cuore del mistero di ogni amore uma-
no, che è partecipazione all'amore con il quale Dio ama tutto e in modo
particolare ogni uomo in Cristo. Questa è la ragione per la quale qualun-
que amore vero ci apre al tutto, perché ci lega alla totalità della realtà at-
traverso quella parte che è da noi particolarmente amata. Ogni vero amore
nasce dalla profondità dell'Essere ed è rivolto alla sua totalità, almeno co-
me apertura e desiderio.
La vita cristiana realizza questa dimensione. Essa diviene un riversarsi
dell'amore di Dio nei nostri cuori 24 e perciò nei nostri rapporti, i quali so-
no fatti capaci di godere e di esprimere quella profonda gratuità che deriva
·dall'amicizia con Dio, iniziata nella fede e fondata nella speranza di una
«comunanza» perfetta. I rapporti umani che ne derivano costituiscono
nel mondo quella novità che convince il mondo: un'amicizia nella quale
si fa esperienza dell'amore di Dio, un legame particolare e contingente, con-
nesso con il tutto e con l'eterno. La fedeltà, dunque, a questo legame coin-
.cide con la fedeltà a Dio, a Colui dal quale sgorga l'essere e la capacità di

22 H. De Lubac, Spirito e Libertà, Jaca Book, Milano 1980, p.257.


23 Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II-II, 23, 1, ad 2.
24 Cfr. Rm 5, 5.
amare. Afferma infatti san Tommaso che <<nell'amore del prossimo è inclu-
so anche l'amore di Dio» 25 • E aggiunge: «L'amore verso Dio unisce (est
congregatlvus), perché conduce l'affetto umano dal molteplice all'unità
[.,.]. Invece l'amore proprio (amor sui) disgrega l'affetto umano verso cose
disparate>> 26 .

In che senso l'amore di Dio unisce a tutti? La risposta va cercata in


quello che Tommaso stesso afferma a proposito della causa dell'amore.
Egli dice che essa consiste nel bene:
oggetto proprio dell'amore è il bene: poiché l'amore importa una connaturalità, o
compiacenza dell'amante rispetto ali'amato; e per ciascun essere è bene quanto ad
esso e ~nnaturale e proporzionat~. Perciò si deve concludere che il bene è la causa
propria dell'amore 'Zl.

Il bene partecipato, innanzitutto in forza dell'atto creativo di Dio, co-


stituisce in ogni creatura, specialmente in quella umana, la ragione per cui
essa può essere amata. Anzi si può dire che esso costituisce il.fondamento
di una possibile amicizia fra gli uomini in forza di quella connaturalità che
fra essi ne deriva.

È la somiglianza, infatti, che causa l'amore di amicizia o di benevolen-


za: l'aver quasi una «forma unica>> rende come «una cosa sola», perciò
genera un affetto dell'uno verso l'altro «come se fosse tutt'uno con se me-
desimo», tanto che all'altro l'uno vuol bene «come a se medesimo» 28 • È il
n:conoscimento, quindi, del bene che si condivide in forza dell'amore con
cui veniamo amati da Dio, il principio di ogni vero amore fra gli uomini.
Per cui si può dire che in ogni vero amore c'è un atto di adorazione della
presenza dell'Essere nell'altro e un giudizio che afferma che è bene che
l'altro ci sia.

In questa affermazione, in conseguenza della connaturalità che ci lega


gli uni agli altri, c'è, più o meno implicito, un giudizio buono anche sulla
nostra esistenza. <<L'amore richiede una percezione del bene che si
ama>> 29 • Chi, pertanto, «ama un altro con amore di amicizia, vuole a lui
del bene come a se medesimo. Perciò si dice che l'amico è un altro se stesso;
e sant'Agostino scrive: "Disse bene colui che chiamò l'amico la metà della
propria anima" (Confess. 4, 6)»3o

25 Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I-II, 99, 1, ad 2.


26 lbid., I-II, 73, 1, ad 3.
27 Ibid., I.II, 27' 1, c.
28 lbid., I-II, 27, 3, c.
29 Ibid., I-II, 27, 2, c.
30 Ibid., I-II, 28, 1, c.
Nell'amicizia cristiana, po~ c'è una connaturalità nuova che unisce o che
tende a unire gli uomini fra di loro: essa sgorga dalla partecipazione all'unica
realtà; che è il Corpo mistico di Cristo. Questa unione tende ad esprimersi
nell'unità degli affetti, cioè nella carità vicendevole. La gratuita iniziativa
dello Spirito di Dio, facendoci uno in Cristo n, realizza quella unità che l'af-
fetto umano non potrebbe mai creare, quella unità cui ogni amore umano
tende senza mai raggiungerla:
Questa è l'unione reale, che chi ama cerca con la cosa amata. Codesta unione cor-
risponde ad un'esigenza dell'amore; infatti, come riferisce Aristotele, "Aristofane
ha scritto che gli amanti desiderano fonnare di due una cosa sola" (Politic. 2, 1,
3); ma poiché "da questo si avrebbe la distruzione di uno o di entrambi" (L.c.),
allora cercano l'unione conveniente e possibile, e cioè la vita in comune, la conver-
sazione e altre fonne di comunicazione reciproca 32 .

La vita cristiana risulta così essere la risposta gratuita e imprevedibile a


questa esigenza, cioè la possibilità offerta per grazia di vivere la virtù del-
1'amicizia nella sua perfezione ideale, cioè come unione reale e affettiva.
Nella comunione cristiana, infatti, si realizza quella somiglianza in Cristo
fra coloro che vi partecipano che è la causa profonda del loro amore e del-
la loro amicizia:
dall'esser simili, cioè dall'avere quasi una forma unica, due individui sono come una
cosa sola sotto detta forma [...].Perciò l'affetto dell'uno tende verso l'altro come
fosse tutt'uno con se medesimo; e gli vuole bene come a se medesimo 33 •

Da questa somiglianza deriva la possibilità di quel/'amore alle stesse co-


se che è proprio dell'amicizia e, in modo particolare, dell'amicizia cri-
.Stiana:
chi ama si trova nell'amato, in quanto considera e il bene, e il male, e la volontà
stessa dell'amico come cose sue proprie, così da sembrare che egli stesso senta e
subisca il bene e il male nel proprio amico. Per questo è caratteristica degli amici
"volere le stesse cose, e delle m.edesime dolersi e godere", come dice il Filosofo
.. (Ethic. 9, 3, 3). Cosicché, colui che ama, per il fatto che considera sue proprie le
>· . cose del!' amico, sembra essere nel!'amato, e come identificato con lui. Al contrario,
per il fatto che si vuole e si agisce per l'amico, come per se stessi, considerandolo
una cosa sola con se stessi, è piuttosto l'amato che viene a trovarsi in colui che
. ama34.
:.··

( Questa identificazione degli uni negli altri è la sublime prova della po-
{tenza ·del Signore Risorto e quindi la massima testimonianza che i cristiani
·sono chiamati ad offrire al mondo 35.
w:::·.

li)11 Gal3~8.
d:i Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I-II, 28, 1, ad 2.
i;}f i~~, I-II, ;~· ~· c.
O:;} Cfr.'~~rrl7, zo:2~·.
Nota biografica
Francesco Ventorino (Catania 1932) ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale nel
1954. Ha conseguito nel 1963 il dottorato in Filosofia alla Pontificia Università
Gregoriana di Roma end 1975 la laurea in Filosofia all'Università di Perugia. Già
ordinario di Storia e Filosofia nei Licei, è docente emerito di Ontologia e di Etica
presso lo Studio Teologico "S. Paolo" di Catania.

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Tn'i'n'.asensir.:Lt
Il Trattato Dell)amicizia
di Matteo Ricci
di
Rong Hengying

1. Dall'amicizia universale all'amicizia «sotto zl cielo»

·Nel 1595 il padre gesuita Matteo Ricci, missionario in Cina, redasse su


richiesta di un principe locale un saggio sull'amicizia, prima opera scritta
in cinese da un occidentale 1. Questo libro venne apprezzato dalla maggior
parte dei letterati dell'epoca ed anche dalla famiglia imperiale, tale succes-
so favorì in seguito la missione dei Gesuiti in Cina.
L'opera in cui Ricci dà prova di grande competenza sulla retorica con-
fociana è costituita da un centinaio di sentenze sull'amicizia ispirate alla
tradizione greco-romana, tanto che in ogni pagina troviamo echi di Aristo-
tele e Cicerone.
. . Per introdurci a questo esemplare caso di scambio intellettuale fra
l'Occidente e la Cina, questa prima perorazione a favore degli Europei
\hl. quello che si chiama "Impero di Mezzo" e per comprendere la notevole
.Portata di questo felice e inatteso incontro fra le concezioni occidentale e
~inese dell'amicizia, è necessario innanzitutto precisare il contesto storico
'della redazione dell'opera e cogliere esattamente la natura di questo gene-
·,J:e letterario. Occorre poi considerare il suo contenuto e vedere quale va-
)ore Ricci attribuisce alla vera àmicizia e al suo intrinseco rapporto con la
·:Yttt:ù. Dobbiamo infine domandarci come sia stato possibile stabilire una
:~,~bmunicazione fra la concezione greco-romana dell'amicizia e quella dei

~j,~;p.,. l'edmone it""""'


\Q\iocllibet 2005 (NdR).
Matteo Riai, DelfAmkkia, a rura di Filippo Wgnln\
letterati cinesi confuciani e, ancora, quale attualità possano avere queste
idee.

2. Contesto e genere letterario:


necessità di una svolta con/uciana per Ricci

Esiste una opinione molto diffusa secondo cui "lo spirito cinese", nella
misura in cui questa espressione è pertinente, sarebbe particolarmente re-
sistente alle religioni, di conseguenza poco aperto al Cristianesimo, come,
per esempio, pensava Montesquieu che riteneva "che è quasi impossibile
che il Cristianesimo si stabilisca mai in Cina 2' '.
Tale opinione è sostenuta dal fatto che la lingua cinese è molto lontana
dalle lingue indoeuropee per la sua struttura lessicale e grammaticale e
questo rende molto difficile la comunicazione delle idee non solo religiose,
ma anche filosofiche o letterarie. Tuttavia, a differenza dei suoi predeces-
sori, Ricci era giunto alla padronanza di questa lingua, riscuotendo l'am-
mirazione di tutti i letterati dell'epoca.
Certamente le difficoltà non sorgono solo dalla lingua in sé, ma anche e
soprattutto dalla cultura, dal quadro di riferimento culturale veicolato dal-
la lingua stessa. È quindi necessario ricordare il contesto politico-culturale
(quello della dinastia Ming, 1368-1644) per rendersi conto della prospet-
tiva in cui doveva porsi Ricci. Egli vedeva <<la Cina come un impero retto
da un sovrano sottomesso alle 'leggi celesti', ma governato da una 'setta di
letterati'» 3 • Tale constatazione non è priva di coerenza nella misura in cui
la dinastia Ming, subentrando alla dinastia Song (960-1276), si inseriva in
quel rinnovamento del Confucianesimo che viene comunemente chiamato
"neoConfucianesimo". Questa sintesi di Confucianesimo, taoismo e bud-
dismo è caratterizzata da uno spirito sistematico e razionale 4, anche se vi si
individuano forti tensioni. Sotto la dinastia Ming il Confucianesimo vive
un inequivocabile ritorno di favore, in reazione al taoismo e al buddismo
che esso giudica di minaccia per i valori confuciani fondamentali riguardo
alla famiglia (per esempio la pietà filiale), di discredito delle attività mon-
dane, soprattutto dell'attività politica, e di sconvolgimento dei criteri mo-
rali del giusto e dell'ingiusto.
Per quanto riguarda l'amicizia, come scrive Michel Cartier nella sua

2 Lo spirito delle leggi, XIX, 18.


3 Introduzione di Miche! Cartier alla traduzione francese del Dell'amicizia di
Philippe Che, Traité de l'Amitié, Edition Noé, 2006, p. 10.
4 Nella sua lezione inaugurale al Collège de France dal titolo "La Chine pense-t-
elle?", Anne Cheng ha citato uno dei grandi autori di qud periodo, Zhu Xi, della
dinastia: Song, quale equivalente di Tommaso d'Aquino nella tradizione occidentale.
introduzione all'edizione francese dell'opera, ricordando che <<i senti-
menti hanno una storia», sappiamo che negli ambienti letterari della di-
nastia Song (960-127 6), «quando l'amministrazione inizia a privilegiare
il reclutamento dei mandarini a scapito dell'ereditarietà>>, l'amicizia ricu-
pera considerevolmente favore rispetto alle dinastie precedenti. Gli in-
tellettuali arrivano a costituire sempre più una comunità di "amici", ten-
denza che si rafforza sotto la dinastia Ming. Il rinnovamento confuciano
vede allora nascere il suo grande teorico Wang Yangming (1472-1529),
fondatore della scuola Yangming. Mentre nella tradizione confuciana
l'amicizia era originariamente concepita come l'ultima delle cinque rela-
zioni sociali e fu, di conseguenza, per lungo tempo marginalizzata ed
eclissata, questa scuola pare aver realmente rovesciato la gerarchia delle
cinque relazioni'. Da notare che, sebbene senza il favore delle autorità
ufficiali, le sue idee si sono largamente diffuse fra i letterati verso la fine
della dinastia Ming.
È in questa prospettiva storica del doppio ritorno di favore in Cina del
Confucianesimo e dell'amicizia che occorre leggere Ricci. Se i Gesuiti suoi
predecessori avevano incontrato grandi difficoltà nei loro infruttuosi ten-
tativi di convertire il popolo cinese, il suo primo tentativo fu anch'esso in-
felice: imitare ciò che era riuscito in Giappone adottando gli abiti e le re-
gole del monaco buddista, non era conveniente in Cina. Ricci comprese
presto che non era conformandosi ai letterati confuciani, adottando i loro
abiti, i loro riti e il loro linguaggio che avrebbe potuto accedere allo spirito
cinese. La grande svolta dcl.la sua missione si verificò curiosamente dopo
che venne espulso da Nanchino, vicecapitale dove lautorità non era favo-
revole agli stranieri. Obbligato a fuggire a Nanchang, capitale della provin-
cia diJiangxi, vi si stabilì per cinque anni e venne qui introdotto nell'am-
biente dei grandi letterati da un amico cinese, Qu Taisu, che attirò
l'attenzione sulla sua virtù e la sua erudizione. Venne anche ricevuto ami-
chevolmente alla corte del principe di Nanchang, capo di una delle linee
cadette nate dal fondatore della dinastia, che lo invitò a scrivere un trattato
sull'amicizia - 'sottolineiamo che si tratta di un invito rarissimo in tutta la
storia della Cina imperiale.
Anzi l'opera fu persino inserita più tardi nella biblioteca imperiale delle
dinastie successive 6• In questo senso, il libro scritto in seguito a un presti-

5 Qui ci si riferisce principalmente a una recente pubblicazione accademica: Journal


· of Hunan University o/ Science and Engeering, 2012, gennaio, vol. 33, l, pp. 80-83, 88,
. Liu Cong, Le lien entre Le traité de l'amitié de Ricci avec l'école Yangming, 2012, 33 .
.'.6 È stato incorporato nel catalogo delle quattro riviste, «un monumento
bibliografico compilato per ordine dell'imperatore Quianlong (1736-1796)», come
opera cinese «approvata dal potete politico». Michel Cartier, Introduzione, op.a't.,
p.22.
gioso ..invito e tenuto in considerazione dall'alta società cinese, segnò la fe-
lice svolta della missione di Ricci in Cina.
Per quanto concerne il genere letterario, il trattato non ha niente di re-
ligioso; il nome di Dio compare solo due volte, nelle massime 14 e 56, tra-
dotto con il termine «Sovrano del Cielo» (Shangdz"). Si tratta di un termine
cinese molto generale e molto antico che è possibile ritrovare già negli
scritti della prima antichità incisi in caratteri oracolari 7 ; nei suoi scritti re-
ligiosi successivi Ricci lo sostituisce con il termine più specifico di «Mae-
stro del Cielo» (Tianzhu). È evidente che egli voleva parlarci qui solo del
mondo umano. Questo punto è fondamentale se lo si inserisce nella pro-
spettiva confuciana, perché il carattere precipuo del Confucianesimo è il
non definirsi in rapporto a un centro (che sarebbe segnato dalla persona
di Confucio) come è per il Cristianesimo. Si tratta di un paesaggio contra-
stato composto da diverse tradizioni che avrebbero una caratteristica co-
mune nella preoccupazione per il mondo umano - il Ren, che si traduce
con senso dell'umanità ..:. a differenza, per esempio, dal taoismo che ha co-
me centri di interesse il Cielo e la Via.
Oltre a ciò il trattato è redatto in un linguaggio perfettamente confu-
ciano, strutturato nell; forma e nel contenuto dalle nozioni fondamentali
del Confucianesimo (]unzi - l'uomo di valore; Tianxia - tutto ciò che vive
sotto il cielo, etc). Il modo con cui Ricci si adatta al suo lettore è tahnente
sorprendente che si sarebbe quasi tentati di dire che ha adottato il Confu-
cianesimo. L'opera stessa, trattato o discorso, risale a una pratica tradizio-
nale confuciana, che consiste nel discorrere su un dato soggetto che pare
degno di interesse e, per qualche aspetto, problematico.
Insomma Ricci qui si pone sul terreno dell'umanesimo e, pur senza
aver a disposizione una biblioteca occidentale, confida nella sua memoria
per presentare una raccolta di massime che uguaglia il livello delle grandi
tematiche del Confucianesimo. Sarebbe interessante precisare quali sono
gli autori occidentali a cui Ricci fa riferimento e notare che alcuni fra loro
sono molto "cinesi", ma pur sottolineando i riferimenti a Platone, Aristo-
tele o Cicerone, sembra più interessante vedere che abbiamo a che fare
con un uomo, sicuramente venuto dall'Occidente, ma impregnato dalla
cultura cinese e che si è legato di intensa amicizia con l'alta società cinese
sul piano culturale ma anche, in una certa misura, politico. Quest'uomo
ricorda e scrive dell'amicizia non come oggetto di studio, ma còme qual-
checosa che si vive e si sperimenta, con difficoltà e sapore estremi.

7 · Questo termine attraversa i Cinque Oassici del Confucianesimo: Il classico dei


documenti, Il classico dei versi, Il libro dei riti, Gli annali delle primavere e degli autunni
e Il libro dei mutamenti, alcuni passi dei quali possono risalire fino a circa il 1000 a.C.,
all'inizio della dinastia Zhou.
3. Il valore del!'amicizia e il suo intrinseco legame con la virtù

Verso la metà del Dell'Amicizia, nella sentenza 57, Matteo Ricci ci dice
con singolare concisione e sorprendente forza: «Se nel mondo non ci fosse
amicizia, non vi sarebbe gioia». Questa sentenza pare racchiudere il punto
essenziale dell'opera, di cui tutte le altre sarebbero solo commenti. «Il
mondo» traduce il termine usato da Ricci, "Tianxia", «tutto ciò che vive
sotto il cielo», una delle parole chiave del Confucianesimo. Pur tenendo
presenti i quadri di riferimento diversi in cui si inseriscono questi due ter-
mini, è forse più importante vedere come questa affermazione supponga
l'accettazione senza riserve della condizione umana in quanto tale.
Agli occhi di Ricci ci sono tre ragioni principali per dare così grande
valore ali' amicizia. In primo luogo l'amicizia addolcisce le difficoltà della
vita. La sentenza 11, per esempio, recita: «Nell'avversità mi rallegro al so-
lo vedere il volto di un amico. Ma, sia nell'avversità sia nella buona for-
tuna, quando mai un amico non ci è di aiuto? Quando siamo tristi, dimi-
nuisce la tristezza; quando siamo gioiosi, aumenta la gioia». Oppure la
sentenza 26: «Metto alla prova e scopro l'amico, che non cambia, nelle
mie cose che cambiano», o ancora la sentenza 51 che delle opere dell'uo-
mo dice: «Possono prosperare solo le imprese di chi ha degli amici» - «il
singolo uomo non può compiere ogni cosa>> (sentenza 16). Se queste sen-
tenze non ei paiono molto entusiasmanti nella misura in cui non sembra-
no attingere a una concezione gloriosa dell'umanità nella sua libertà, nella
sua determinazione o nella sua indipendenza, siamo pur tuttavia tentati di
approvare la constatazione lucida della fragilità e della precarietà delle co-
se umane che vi è sottesa e che spiega il valore infinitamente prezioso del-
1'amicizia.
L'amicizia, poi, dà sapore alla vita. Ricci considera l'aspetto affettivo
dell'amicizia e questo conferisce un tono ancora più umano al suo saggio,
perché non propone una visione semplice o semplicistica dell'amicizia che
vi vedrebbe solo una consolazione, o persino un'assicurazione. Certamen-
te un amico condivide e accresce la vostra gioia e soprattutto consola la
vostra sofferenza e il vostro dolore, come abbiamo visto; ma la sentenza
47 dice anche esattamente che «se gli amici sono pochi, avrò poca gioia;
ma avrò in tal modo anche poca tristezza>>. Perché l'amicizia, in quanto
affetto umano, è soggetta ai rischi della condizione umana, può persino
degradarsi o perdersi, senza contare che può dover affrontare la più gran-
de delle perdite, umanamente parlando, la morte dell'amico. Nella sua
opera Ricci parla solo due volte della morte, nelle sentenze 15 e 43, am-
bedue degne di nota 8• Osserviamo semplicemente che egli non considera

8 Sentenza 15: «Ricordo gli axnici morti senza tristezza, perché quando c'erano li
la morte da un punto di vista religioso, ciò che domina qui è un affetto
molto umano.
Infine, ed è un punto molto importante e che può stupire nel generale
.orizzonte morale e intellettuale della Cina antica, Ricci afferma nella sen-
tenza 50 che l'amicizia comporta qualcosa di superiore a tutte le altre re-
lazioni, comprese quelle familiari, essenziali agli occhi dei Cinesi, proprio
perché è un'affezione: «L'amicizia prevale sulla parentela solo per questo: i
parenti possono non amarsi reciprocamente, gli amici no. Infatti le relazio-
ni di parentela restano anche senza amore tra i parenti; ma se togliete I'a-
more reciproco tra gli amici, come potrebbe sussistere l'essenza dell'ami-
cizia?».
Tuttavia l'affezione non esaurisce il discorso dell'amicizia, di quella, al-
meno, di cui fa l'elogio Ricci: esistono amicizie indegne di rispetto e di am-
mirazione, come quelle fra <<le persone più basse e i ladri» che «si uniscono
in gruppo come amici e così possono esercitare il loro mestiere>> (sentenza
42); o quelle imprudenti: «Le vicissitudini umane sono imprevedibili; dun-
que è difficile contare sull'amicizia: l'amico di oggi forse in seguito cambie-
rà e diventerà nemico; il nemico di oggi forse anche cambierà e diventerà
amico. Come potremmo non essere cauti!» (sentenza 13). Questa cautela è
essenzialmente di ordine etico o, secondo il vocabolario classico degli An-
tichi, non esiste amicizia autentica senza virtù.
La "virtù" nel senso forte del termine è ciò che fa dell'uomo un uomo
di valore e ciò che fonda le regole di condotta necessarie per la conviven-
za che è la peculiarità dell'amicizia; è la finalità dell'amicizia ideale. Secon-
do la sentenza 90: <<La virtù duratura è ottimo elemento per un'eterna
amicizia. Tutto, senza eccezione, alla lunga diventa noioso per gli uomini;
solo la virtù, quanto più dura, tanto più commuove i sentimenti degli uo-
mini. Se la virtù è amabile perfino nel nemico, quanto lo sarà nell'ami-
co?». Si avvera nelle virtù necessarie al rapporto di amicizia, come la fi-
ducia, perché «prima di contrarre amicizia, bisogna osservare; dopo
averla contratta bisogna fidarsi» (sentenza 7), come il disinteresse - Ricci
insiste sul fatto che la vera amicizia non deve essere confusa con le rela-
zioni di interesse -, come il rispetto della giustizia - non si può chiedere a
un amico di commettere cose ingiuste (sentenza 96) e così di seguito. Ben-
ché Ricci non neghi l'aspetto affettivo dell'amicizia, è significativo I' accen-
to che egli pone sulla virtù perché senza di essa non è possibile realizzare
una comunità di amici.

avevo come se potessi perderli; ora che sono morti li ricordo come se fossero ancora·
vivi». ~
Sentenza 43: «Quando si considera l'amico come se stesso, allora il lontano si
avvicina, il debole si rafforza, chi ha subito disgrazie torna nella prosperità, l'ammalato
guarisce e - che bisogno c'è di tante parole? - il morto è come se fosse vivo».
Infine lopera propone un'amicizia ideale o un ideale di amicizia che
considera come sua finalità la virtù: gli amici sono coloro che correggono
i vostri difetti, vi insegnano la virtù, vi incitano alla giustizia. Ricci ripren-
de un'idea classica presso gli Antichi e afferma: <<li fine dell'amicizia non
è altro che questo: se l'amico mi è superiore, lo imito e apprendo; se io
sono superiore lo miglioro». Questo significa «impara e insegna, insegna
e impara», le due azioni si completano. Se le qualità del mio amico non
meritano di essere prese ad esempio, o se il mio amico non riesce a cor-
reggersi, che differenza ci sarebbe fra la nostra relazione e quella fra per-
sone che passano le loro giornate a giocare e a scherzare perdendo inutil-
mente tempo? («Un amico che non mi fa nessun bene è un ladro di
tempo; la perdita che ho subito per il furto del tempo è peggiore del furto
delle ricchezze: queste si possono riacquistare, il tempo no!») (sentenza
69).
Allora, solo un'amicizia concepita, vissuta e orientata dalla e nella virtù
è degna di essere oggetto del massimo rispetto e di essere perseguita dagli
"Junzi" (<<gli uomini di valore»). Ma in quale misura questa concezione
· dell'amicizia propone un modello in grado di attraversare sia il tempo
sia lo spazio; se ha potuto coinvolgere i letterati confuciani al tempo di Rie-
. ci, può ancora trasmetterci un messaggio oggi?

4. Piena accoglienza allora, valore per il nostro tempo

.·...· · L'opera di Ricci in Cina non si è limitata a questo trattato sull'amicizia,


/ma cionondimeno esso occupa un posto particolare e, secondo il giudizio
\dell'autore stesso, è il suo libro più noto ai letterati cinesi. Questo felice
\illcontro fra amicizia universale e amicizia sotto il cielo si realizza in primo
Xiliogo, sicuramente, grazie all'accento che Ricci mette sulla virtù, che si
·#allaccia evidentemente alla grande tematica confuciana tradizionale del
WR.en, che possiamo tradurre con "senso dell'umano" o "virtù" secondo
ffh contesto. Ma ciò che è importante chiarire qui è la ragione per la quale
m1a. gerarchia delle relazioni umane proposta da Ricci e l'accento che egli
;i!itsone sull'amicizia rispetto ai legami di parentela, abbia potuto essere ac-
!'.\~ettata dal momento che tale concezione è a priori contraria al Confucia-
);'.~#simo.
@!% In realtà tale accento si incontra o raggiunge la corrente preponderan-
>\del neoConfucianesimo Ming rappresentato dalla scuola Yangming.
tardiamo che nel Confucianesimo tradizionale al centro di tutte le re-
'·\~ni ·umane vi è quella sovrano/sudditi, genitori/figli, seguita poi dalla
ione fra fratelli maggiori e minori e fra mariti e mogli. Queste quattro
< 'oni non sono egualitarie, solo l'amicizia, legame fondato sulla fidu-
,
~/lo è, ma è posta ai margini. La scuola Y angming rovescia totalmente
questo schema: in nome della virtù essa fa dell'amicizia il principio con-
duttore, il fondamento di tutte le altre relazioni L'amicizia è superiore
alla relazione fra genitori e figli o tra fratelli, poiché è fondata - e unica-
mente - sulla virtù; essa è il mezzo privilegiato del progresso morale di
ciascuno 9.
È così possibile comprendere la felice accoglienza dell'opera di Ricci
da parte dei letterati confuciani dell'epoca, chiaramente espressa nei com-
menti o nelle loro introduzioni 10• Sono impressionati dalla valorizzazione
dell'amicizia contenuta nel libro e anche presente nella personalità stessa
di Ricci. Feng Yingjin apre la sua introduzione all'opera dicendo: «Questo
saggio occidentale è arrivato in Cina da molto lontano per cercare la nostra
amicizia. Ciò che ne ha compreso è profondo e la sua ricerca dell'amicizia
è ardente, le sue relazioni con noi sono sincere e il suo discorso molto fe.
condo». Anzi, il primato conferito all'amicizia sulle altre quattro relazioni
umane, invece di sconvolgere una pretesa tradizione cinese o confuciana,
raggiunge tale tradizione in un preciso momento della sua evoluzione. Ce
lo conferma l'introduzione di Feng Yingjing quando scrive che le quattro
relazioni umane sono legami obbligatori ai quali non ci si può sottrarre,
ma che solo l'amicizia ci aiuta intensamente nella nostra ricerca della virtù.
Un commentatore, Chen Jiru, arriva ad affermare: <<Lo spirito dell'uomo
piegato nelle altre quattro relazioni, si apre soltanto nell'amicizia, si svilup-
pa liberamente, come la primavera si dispiega nei fiori, nel vento e nei tuo-
ni nel Qi; le altre quattro relazioni umane sarebbero slegate tra loro senza
l'amicizia>>.
Infine, il terzo punto di convergenza è quello che si potrebbe chia-
mare l'aspetto "laico" delle riflessioni di Ricci, il fatto che esse riguar-
dano le relazioni umane. Chen Jiru indirizzando le sue critiche verso i
taoisti e i buddisti cinesi, esclama: «Come potrebbe il Cielo abbando-
nare l'uomo!» Riconoscerà anche, con un certo letterato Zhu Ming-
chang, che l'opera di Ricci ha lo stile degli antichi saggi cinesi. Consi-
glia ai suoi contemporanei di tenerne una copia a portata di mano per
poter dire qualche cosa alle persone che si perdono nelle amicizie su-
perflue, pensando, nel contesto generale dell'epoca, a coloro che ap-
profittano "dell'amicizia" per una loro promozione nell'apparato buro-
cratico.
Teniamo tuttavia presente che sotto la dinastia Ming e sotto la dinastia
seguente, quella dei Qing, l'ultima della Cina antica, è stata conservata la

9 Liu Cong, Le lien entre Le Traité de l'Amitié de Ricci avec l'école Yangming, ibid.,
p.82.
10 Facciamo osservare che questi commentatori e amici di Matteo Ricci sono
pressoché tutti sotto l'influenza della scuola Yangming, come si può leggere
nell'articolo di Liu Cong.
gerarchizzazione di tutte le relazioni umane 11 ; quella della scuola Yaìig-
ming non è mai diventata corrente di pensz'ero ufficiale, ma solo corrente
di pensiero evidente sotto i Ming. Si può quindi affermare prudentemente
che la concezione dell'amicizia come rapporto di uguaglianza non ha co-
nosciuto convergenza o conflitto con la concezione cinese dell'amicizia,
ma un incrocio sfumato che concorda con la corrente Y angming, ma ri- ·
schia di essere considerato eretico rispetto alla visione ortodossa secondo
la quale l'ordine umano viene confuso con la sua gerarchizzazione.
Se all'epoca l'uguaglianza non era un valore in se stessa, oggi pare evi-
dente a noi, Occidentali o Cinesi inurbati in città grandi o piccole, in un
contesto di mondializzazione che vede svolgersi un processo di uguaglian-
za di condizioni. Non abbiamo più bisogno di questo testo per conoscere
il valore dell'amicizia e il suo nesso con la parità. Ma comporta per noi
un'altra estraneità, la sua straordinaria insistenza sull'importanza della vir-
tù. Questa nozione ci appartiene ancora?

Se questo testo, come tutti i libri antichi, suscita curiosità o addirittura


nostalgia, rischia anche di suscitarci un sentimento di estraneità: i tempi
cambiano, un libro del xvi secolo ha ancora un messaggio da trasmetterci?
A noi pare di sì, il libro di Ricci, nutrito dalla saggezza degli Antichi ci ten-
de la mano e ci illumina ancora oggi.
Anche se l'affezione è fondamentale in tutti i legami di amicizia, la "vir-
tù" non è un elemento accessorio, ma essenziale, se si vuole che l'amicizia
sia vera. Il trattato sull'amicizia ha qualcosa da dirci, in generale, nel con-
testo di mondializzazione di oggi, per la comunicazione fra le culture. Og-
gi non sono più solo alcuni missionari che si confrontano con le differenze
culturali, la questione di sapere come comportarci nell'incontro quotidia-
no con persone o amici provenienti da una cultura diversa dalla nostra, si
pone per ognuno di noi. In particolare come possono incontrarsi e cono-
scersi meglio l'Occidente e la Cina, superando le generalizzazioni arbitra-
rie sugli "Occidentali" o sui "Cinesi", oltre ai loro rispettivi presupposti o
pregiudizi? In breve, come comunicare?

Il caso di Ricci è uno straordinario esempio di riuscita in questo cam-


po, come è evidente nel procedimento di elaborazione e nella linee guida
del Dell'Amicizia. L'amichevole incontro fra Ricci e i suoi amici cinesi
•confuciani culmina nella richiesta rivoltagli di scrivere questo libro e nel-
l'aiuto che riceve per la sua pubblicazione e la sua diffusione. L'incontro
ha un fondamento di natura etica: le relazioni dei letterati dell'epoca mo-

11 V. Norrnan Kutcher, The fifth relationship: dangerous friendships in the con/ucian


context, in: "The American Historical Review'', 105, 5, 2000, pp.1615-1629.
strano bene che quando sono entrati in contatto con Ricci non sapevano
nulla della religione che professava, né della cultura da cui proveniva. So-
no attratti inizialmente dalla sua virtù e dalla sua erudizione e hanno poi
cominciato a interessarsi alla religione cristiana e alla scienza occidentale.
Qui la virtù ha avuto un ruolo fondamentale, nel senso che Ricci, senza
perdere di vista la sua missione e la sua volontà di condividere ciò che
lui ritiene vero e prezioso, è capace di grande coraggio e di un'impressio-
nante disponibilità di spirito; si è sforzato di entrare nel cuore stesso della
civiltà cinese, di impregnarsi totahnente delle sue tradizioni rituali e reto-
riche, dialogando così con sincerità e umanità con i Cinesi in un rapporto
di amicizia.
Siamo capaci di fare altrettanto? Siamo in grado di affermare e comu-
nicare ciò che noi riteniamo vero e prezioso e essere allo stesso tempo di-
sponibili a scoprire con pazienza e curiosità ciò che è vero e prezioso per
l'altro? È evidente che la sfida è grande, bisogna astenersi sia dalla forte
tentazione del relativismo, sia dall'angosciante pressione del consumismo.
Solo in questo modo è possibile non perdersi in uno scontro di civiltà che
alcuni ritengono inevitabile, o nel divertimento di ricuperare uno o l'altro
autore cinese nella rubrica di benessere orientale delle pubblicazioni alla
moda. Se non si vuole che la mondializzazione sia puramente e semplice-
mente inseguire degli interessi per quanto forti essi siano, occorre prende-
re sul serio il messaggio di Ricci, è importante per gli individui come pure
per le culture.

Nel Dell'Amicizia non incontriamo raffigurazioni venerabili e inamida-


te di Ricci, grande missionario di fronte agli eruditi confuciani o una sa-
piente compilazione di parole degli Antichi che oggi sarebbero superate,
veniamo invece introdotti in un dialogo sempre attuale anche se arriva
da lontano. Certamente la scuola di Y angming, in voga sotto la dinastia
Ming, ha preparato un terreno favorevole per Ricci che ha così potuto pe-
netrare nella cerchia dei letterati confuciani e· fare l'elogio dell'amicizia,
per poi in seguito scambiare con loro idee più ampie e più profonde sulla
scienza occidentale ed anche sulla religione cristiana. Questo felice incon-
tro fra l'amicizia universale e l'amicizia sotto il cielo ha probabilmente le
sue radici in un passato più lontano. Se risaliamo a prima dell'istituzione
del Confucianesimo, come insegnamento dottrinale, verso il iii secolo a.C.,
la "scuola confuciana" quando era vivo Confucio non era forse «come un
gruppo di amici cui piaceva dibattere insieme le questioni del loro tem-
po»? 12 • Ricordiamo l'inizio dei Dialoghi di Confucio: <<Il Maestro dice:

12 Anne Cheng, Les Entretiens de Con/ucius, Editions du Seuil, Paris 1981,


introdUZione, p. 13.
studiare e esercitarsi continuamente non è anche ciò un piacere? Condivi-
dere lo studio con amici che vengono da luoghi lontani, non è anche ciò
una gioia>> e sentiamo una voce lontana ma intellegibile che troverà la sua
eco nel Dell'Amicizia, una eco che ci parla ancora oggi.

(Traduzi"one dal francese di Ida Bonali)

Nota biografi.ca
Rong Hengying, è nata a Shanghai nel 1991. Allieva dell'Ecole Normale
Supérieure, Parigi, (Sélection Intemationale Lettres 2012), ha conseguito il master in
filosofia contemporanea ENS-EHESS.

RIVISTA TEOLOGICA DI LUGANO


numel"O 2/2013
Editoriale
Andro-Mule Jerumanis
Articoli
Réal Ttemblay. Ce que Joseph Rat<lngsr/Berwit XVI lògue à la postlritl
Stefano Violi. la rinuncia di Benedetto XVT. 7l'a srorla, dl,itto e coscien:a
Contributi
Pascal !de, Bonum dlffnslvum sui et ex!tus-redltus se/on Ballhasar. Une re/ecture à parUr de /'amour de don
lnos Biffi. Il Crocifissa risorta e gloriosa e l'umanità in lui predestinata
Miscellanea
·· Co&tante Marabelli,At!Ualltà detlajilosoflo dt san Tornmuso e Il castddelto «tomismo» analltfco
Valerio Lazzerl, Esperienza spirituale, prerii=ione e<:Cle$1ale e riflessione teologica
Artur Zuk, •1 cinque alk!rl" della connmttà coniuga le e familiare: un modello inno:oatlvo di spiritualità
Marcello Fld anzlo. Mooslro dove abiti? Apertu'a del V anno dei COI"$( a Gerusalemme, classe di Archoo!ogia •
geografia
Recensioni
L'amicizia fra
Manzoni e Rosmini
di
Rita Zama

Parlare dell'amicizia fra Alessandro Manzoni e Antonio Rosmini è mol-


to più che raccontare una vicenda storica: è entrare nel cuore pulsante del-
l'Ottocento, un cuore che, per tanti suoi aspetti, non ha smesso di battere
e, anzi, può ancora irrorare il nostro presente con la sua vitalità, il suo ca-
lore e le sue intuizioni.

1. Cenni biografici

Era il marzo 1826 quando Niccolò Tommaseo presentò il ventinoven-


ne sacerdote roveretano al già noto letterato quarantunenne nella casa in
via Morene a Milano, dove Manzoni risiedeva con la sua amata Enrichetta
Blondel, i figli e la mamma Giulia Beccaria. La mediazione di Tommaseo
non era casuale: pochi sanno che Rosmini lo aveva ospitato, qualche anno
prima, nel suo alloggio a Padova dove studiava teologia ed era stato tra i
primi a riconoscerne la genialità, pur dentro un carattere esuberante e in-
stabile.
L'incontro tra il giovane sacerdote-filosofo, che si apprestava a scrivere
il Nuovo Saggio sull'origine delle idee con l'intento di «ristorare le rovine
della filosofia per farla servire alla Religione» 1 e l'affermato poeta-lettera-
to che, fra l'altro, aveva composto gli Inni Sacri e la prima edizione della

1 Lettera al Tommaseo, 8 novembre 1827, Epistolario completo di Antonio Rnsmt"ni


Serbati prete roveretano, Tip. G. Pane, Casale Monferrato, 1887-1894, t. II, p.340.
Morale cattolica, non poteva essere più felice. Il legame tra loro li accom-
pagnò tutta la vita e fu caratterizzato da profonda amicizia e alto confronto
intellettuale sugli aspetti più rilevanti della temperie storica e culturale in
cui vivevano. Un confronto in cui le divergenze non erano poche, come
quelle sull'intuizione dell'idea dell'essere, sulla lingua unitaria da adottare,
sulla formula politica per l'Italia da unire, ma erano divergenze che trova-
vano una unità di fondo nella comune visione antropologica cristianamen-
te ispirata; visione che per loro fungeva da faro nelle rispettiva ricerche fi.
losofiche e produzioni letterarie, in aperta e chiara opposizione
all'ideologia sensista allora dominante che vedeva, tra Paltro, nell'utilitari-
smo economico una delle sue più evidenti espressioni.
Il primo luglio 1855 Manzoni era al capezzale di Rosmini e a lui il sa-
cerdote e futuro beato affida il suo testamento spirituale: "Adorare, Tace-
re, Godere".
Significativa, per lambire il rapporto di amicizia dei nostri autori, è la
dedica che Rosmini fa a Manzoni nell'opera Del divino nella natura; divino
che è <<Comun patrimonio della Poesia e della Filosofia»:
«Se non conoscessi per lunga esperienza quanto può l'amicizia nell'anima vostra, o
Alessandro, temerei di sembrarvi indiscreto ed intemperante rivolgendovi il discor-
so in iscritto, non contento de' lunghi colloqui, ne' quali voi condiscendete a meco
intrattenervi.
Ma d'una parte l'amicizia m'assicura di poterlo osare impunemente, dall'altra non
parrà strano a nessuno, se non fosse a voi solo, ch'io brami così di provocare il vo-
stro giudizio sopra queste mie ricerche intorno al divino nell'ordine della natura,
che riguardano cosa che si può dire comun patrimonio della P~a e della Filoso-
.fia. Qualora me lo negaste, io mi rivolgerei all'intera Italia, e le domanderei chi mai
sia colui, che tra tutti i suoi figli, abbia più altamente pensato e sentito il nesso e
l'intima unione di quelle due nobilissime figlie del pensiero umano, e glie! abbia
fatto sentire meglio di chicchessia e in modo novo e suo proprio; e credo per certo,
che a questo appello, voi vi turereste gli orecchi per non udire la risposta. Ma que-
sto movimento involontario vi tradirebbe, e io v'avrei, caro Alessandro, convinto se
non confesso. [ ...]
Queste mie ricerche in fatti si volgono intorno a ciò che chiamo divino nella natura
dell'universo [. ..]; e parmi che appunto da quello che, eccedendo i nostri limiti,
c'ingrandisce colla stessa maraviglia (voi certo non mel negate) tanto il Filosofo,
quanto il Poeta derivino ogni loro potenza e grazia, e prendano l'ali ad ogni volo
sublime. Ché ciò che è divino, e che luce nel seno del mistero, è come il loro co-
mune alimento, pel quale il poeta e il filosofo vivono immortali 2 .
È tina dedica molto ricca il cui commento potrebbe, da solo, occupare
lo spazio di un articolo. La ricerca del divino nella natura è la fonte prima
a cui attingono, con lo stupore e la meraviglia, il poeta e il filosofo, una
fonte che li fa innalzare alla contemplazione della verità («prendano l'ali

2 A. Rosmini, Del divino nella natura, a cura di P.P. Ottonello, Edizione Critica
Nazionale, Roma, Città Nuova, 1991, pp.19-21.
ad ogni volo sublime» 3) e solo da essa derivano la grandezza e l'immorta-
lità delle loro opere. Ma la distinzione tra poesia e filosofia non esprime
per Rosmini solo una distinzione tra lui e Manzoni; nella parte iniziale del-
la dedica, Rosmini riconosce a Manzoni il merito di aver «più altamente
pensato e sentito il nesso e l'intima unione [delle] due nobilissime figlie
del pensiero umano», in un modo diverso (<<in modo novo») e originale
(«suo proprio»). Basta guardare con meno distrazione tutto il corpus della
produzione manzoniana per rendersi conto di quanto Rosmini abbia ra-
gione e di come «Manzoni - con le parole di Garin - si poneva [. .. ]
con tutta chiarezza il problema della filosofia: di una filosofia originale co-
me critica dei fondamenti e delle opinioni>> 4 •
Ed è proprio in un'opera filosofica, Il Dialogo dell'invenzione, che
Manzoni, d'altro canto, scrive una delle pagine più belle sulla filosofia
di Rosmini di cui riporto solo un breve stralcio:
PRIMO: [. ..] Ché uno de' grandi effetti di questa filosofia [rosminiana] è appunto
di mantenere e di rivendicare all'umanità il possesso di quelle verità che sono come
il suo natural patrimonio, contro de' sistemi, i quali, se non riescono a levarle af-
fatto nemmeno dalle menti de' loro seguaci, fanno che ci rimangano come contrad-
dizioni. Qui vi rallegrerete di sentire un vero rispetto per l'intelligenza umana, una
fondata fiducia nella ragione umana, riconoscendo bensì come l'una e l'altra sia li-
mitata nella cognizione della verità, ma sentendovi sicuri che non sono, né possono
essere condannate a errori fatali; anzi ricavando questa sicurezza anche da quel ri-
conoscimento; giacché i limiti attestano il possesso, col circoscriverlo. Un vero e
alto rispetto, dico, per l'intelligenza e per la ragione comune, impresse da una bon-
tà onnipotente, in tutti gli uomini; e in paragone delle quali, la superiorità degl'in-
gegni più elevati, è come 1'altezze de' monti, in paragone della profondità della ter-
ra. E non c'è scapito se, scemando un poco l'ammirazione per alcuni, cresce la
stima per tutti» 5 •

Anche il commento di questo stralcio meriterebbe molto spazio; sotto-


lineo solo la comprensione profonda, da parte di Manzoni, del filo condut-
tore di tutta l'enorme ricerca filosofica rosminiana: la fiducia nelle poten-
zialità di una ragione non autoreferenziale, una ragione che interpreta i
suoi limiti come potenzialità e non come inibizioni. Ricerca filosofica
poi che, con la bella metafora della montagna e della terra, non si chiude

3 Sembra di leggere l'incipit dell'enciclica Fides et F.atio: «La fede e la r:igi.one sono
come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della
verità».
4 E. Garin, Manzoni e la filosofia, in Atti del Convegno di studi manzoniani: (Roma-
Firenze, 12-14 marzo 1973), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1974, pp. 91-
2:103.
5 A Manzoni, Dell'inven1.ione e altri scritti filosofici, Edizione Nazionale ed Europea
delle Opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani,
2002, pp.220-221 (da qui in poi, nel testo, con la sigla DI seguita da numero di
pagina):
in uno sterile intellettualismo elitario, ma ha come riferimento il senso co-
mune degli uomini.

2. Le divergenze

Le divergenze d' opinioni tra i due amici non furono poche e toccarono
alcuni tra i più significativi aspetti della temperie culturale in cui vivevano.
La prima divergenza è su due argomenti linguistici: uno, maggiormente
filosofico, sul ruolo del linguaggio nel processo conoscitivo, l'altro preva-
lentemente storico, riguardante il tipo di lingua da adottare per l'Italia.
L'altra divergenza è di carattere politico e concerne le visioni di un diverso
modello di unificazione nazionale.
L'entusiasmo manifestato da Manzoni nel 1830 alla lettura dei primi
due tomi del Nuovo Saggio di Rosmini tende a raffreddarsi alla lettura
dei successivi tomi, per la difficoltà a condividere due aspetti che, secondo
il roveretano, ineriscono all'idea dell'essere: l'innatismo e l'indeterminatez-
za. L'idea dell'essere è il fulcro del sistema filosofico di Rosmini: <<l'uomo
non può pensare a nulla senza l'idea dell'essere>>; ed è garanzia dell'ogget-
tività della conoscenza: <<l'aver [ ...] questa idea, equivale ad avere la pos-
sibilità di vedere le cose in sé» 6 • Da questi presupposti scaturiscono i re-
quisiti dell'idea dell'essere che consistono nell'innatismo e
nell'indeterminatezza. L'idea dell'essere è innata perché non derivata o ac-
quisita da altre idee ed è indeterminata perché universale e capace di de-
terminare tutte le cose. Sono proprio queste le caratteristiche che Manzoni
afferma di non capire, pur nella condivisione del ruolo generale assunto
dall'idea dell'essere. Egli sostiene l'incomprensibilità dell'innatismo di
una tale idea e l'impossibilità di farsi <<Wla idea d'una idea assolutamente
indeterminata>>. Accanto a questa pars destruens, Manzoni propone anche
una pars construens incentrata sulla teoria della 'virtù rivelativa' della pa-
rola; afferma Manzoni: «Le dirò o Le ridirò ch'io vo sospettando, arzigo-
golando, chimerizzando che la parola, con quella virtù sui generis con la
quale move la nostra mente ad atti che senza questo mezzo essa non po-
trebbe produrre, la porti anche a quel primo ed universale concetto del-
1'ente» 7• Le posizioni teoretiche tra i due amici sono molto diverse: per
Manzoni il linguaggio 'provoca' l'idea dell'essere e le singole idee e ne è

6 A. Rosmini, Nuovo Saggio sull'Origine delk Idee, a cura di G. Messina, Edizione


.Critica Nazionale, 3 voli., Città Nuova, Roma 2003-2005, II, pp.26;48.
•. 7 Lettera a Rosmini, 22 aprile 1830, in A. Manzoni, Carteggio Alessandro Manzoni -
Antonio Rosmini, Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di Alessandro Manzoni,
Centro Nazionale Studi Manzoniani, Milano 2003, pp.39-40 (da qui in poi, nd testo,
con la sigla MR seguita da numero di pagina).
parte attiva nel processo di formazione delle stesse, per Rosmini il linguag-
gio ha solo una funzione strumentale, è solo uno strumento che indica le
idee.
L'altra divergenza di carattere linguistico vede il rovesciamento delle
parti: se abbiamo appena visto Manzoni critico di un aspetto del cuore
della filosofia rosminiana (un aspetto che aveva creato anche tante incom-
prensioni con le accuse di ontologismo e panteismo), nella seguente trovia-
mo Rosmini altrettanto critico di alcuni aspetti del cuore della teoria lin-
guistica manzoniana sulla lingua unitaria per l'Italia. Il letterato, come
noto, dopo la pubblicazione dell'edizione del 1827 degli Sposi Promessi,
si trasferisce per qualche mese a Firenze al fine di 'risciacquare i panni
in Arno', per revisionare la lingua del romanzo secondo il fiorentino par-
lato dagli uomini colti. Soluzione, questa della lingua fiorentina parlata,
che Manzoni vede come risposta all'esigenza di dare unità linguistica (e
politica) alla Penisola.
Rosmini, pur riconoscendo il primato linguistico fiorentino, giudicava
troppo riduttiva la proposta manzoniana di assumere come unico criterio
di scelta l'uso sincronico orale della lingua, senza alcun riferimento né a
procedimenti logici della lingua come lanalogia, né alla sua storia come
letimologia, né al carattere scritto e, in particolare, alla parte scritta colta
e scientifica della lingua. Rosmini poi pensava ad una diffusione di questa
lingua non con metodi forzatamente impositivi, ma al contrario riteneva
«dover esser più facile, com'è più equo e più nazionale, il volere coopera-
tori nella formazione di questa lingua tutti gl'Italiani e principali i Fioren-
tini, anzi che affidar tutta l'opera a' soli Fiorentini» (MR, 83). Solo per in-
ciso, è interessante notare come questi rilievi di Rosmini siano
sostanzialmente gli stessi formulati da Graziadio Isaia Ascoli trent'anni do-
po nel Proemio all'«Archivio glottologico italiano», rilievi che costituiranno
il cuore dell' antimanzonismo linguistico di buona parte della critica suc-
cessiva.
L'ultima divergenza riguarda i diversi modelli di unificazione nazionale
a cui i due amici facevano riferimento. Entrambi avevano come riferimen-
to costante l'unità d'Italia, ma le modalità di realizzazione di questa erano
intese in modo differente: Rosmini era un cqnvinto confederalista e Man-
zoni un altrettanto convinta unitarista. I due amici, pur con sensibilità e
stili diversi, si spesero in prima persona per la causa risorgimentale.
Non a caso nel cruciale 1848 videro la luce opere tenute nel cassetto di-
versi anni come, per Manzoni, il Marzo 1821 («una d'arme, di lingua, d'al-
tare») e il Proclama di Rimini, e per Rosmini, Le cinque piaghe della santa
Chiesa. La corrispondenza fra i due amici testimonia poi la stretta vicinan-
za di Manzoni a Rosmini nella delicatissima missione diplomatica, affidata
a quest'ultimo da Carlo Alberto, presso il papa Pio IX allo scopo di stipu-
lare un concordato tra lo Stato piemontese e lo Stato della Chiesa e, so-
prattutto, di porre delle solide basi per la formazione di una stabile allean-
za politica, in forma di confederazione, fra gli Stati presenti sulla Penisola
con a capo proprio il papa. Rosmini affermava: <<L'unità nella varietà è la
definizione della bellezza. Ora la bellezza è per l'Italia. Unità la più stretta
possibile in una sua naturale varietà» 8, Manzoni vedeva invece nella con-
federazione «una nuova forma della nefasta divisione dell'Italia» 9 e non
credeva che il papa potesse avere forza aggregativa, al contrario, auspicava
la fine del potere temporale della Chiesa ("la spada nuoce al pastorale"),
pur continuando ad avere venerazione per il successore di Pietro e schie-
randosi a favore del dogma dell'infallibilità pontificia promulgato nel Con-
cilio Vaticano I del 1870. Nell'impossibilità di ripercorrere tutti i momenti
di questo acceso confronto, ricordo solo che i due amici vissero un ruolo
di primo piano nel panorama politico e si possono a pieno titolo conside-
rare come veri e propri padri del Risorgimento.

3. La comune antropologia

Queste divergenze, che mostrano tra l'altro l'enorme spessore specula-


tivo dei due amici, si ponevano su uno sfondo di pieno e condiviso impe-
gno culturale, e non ultimo spirituale, di sostanziale difesa e, soprattutto,
di riproposta in termini moderni, di una visione antropologica cristiana nei
rispettivi e vari campi del sapere quali la filosofia, la letteratura, l' econo-
mia, la storia... Ed è qui che, a mio parere, il cuore dell'amicizia tra Man-
zoni e Rosritlni, se ascoltato e valorizzato, può continuare a pulsare e ad
offrire all'annosa questione antropologica fecondi spunti di riflessione.
Manzoni aveva respirato a pieni polmoni, nella Parigi del primo Otto-
cento, la cultura sensista, con le declinazioni fisiologiste degli Idéologues, e
ne conosceva molto bene i limiti, soprattutto dopo la conversione al catto-
licesimo del 1810. Rosritlni, oltre al sensismo aveva confutato apertamente
il razionalismo kantiano e, in anticipo su tutti, l'idealismo hegeliano (cono-
scendo bene il tedesco era stato fra i primi a leggere e tradurre le opere di
Hegel), tutti sistemi che, pur nelle diverse articolazioni, avevano come co-
stante un riduzionismo antropologico in termini rispettivamente materiali-
sti, intellettualisti e spiritualisti.
L'impegno dei due amici era di riproporre tutta la validità e la forza di
una visione antropologica integrata e integrale cristiana.mente ispirata: in-

s A. Rosmini, Sull'unità d'Italia, in Scritti Politici, a cura di U. Muratore, Stresa,


Edizioni Rosminiane, 1997, p.256.
9 A. Manzoni, La Rivoluzione Francese del 1789 e La Rivoluzione Italiana del 1859.
Dell'indipendenza dell'Italia, Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di
Alessandro Manzoni, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2000, p. 285.
tegrata nella complessità delle sue facoltà fisiche, mentali e spirituali, con-
tro qualslasi riduzionismo biologista, razionalista e misticista, e integrale
nella completezza di una dimensione trascendente che evita di ridurre
l'uomo ad una visione puramente immanente e gli impedisce di ritrovare
delle verità oggettive, di esprimere chiari giudizi sul bene e sul male ogget-
tivamente fondati sulla conoscenza dell'essere, di poter conoscere la vera
essenza dell'uomo e .in essa essere pienamente liberi. È la situazione odier-
na denunciata tante volte da Benedetto XVI come «dittatura del relativi-
smo», la quale conduce .in ambito etico alla perdita del bene condiviso,
aprendo la strada a prevaricazioni di parte.
Non a caso, uno dei temi prioritari dei due amici è quello di ribadire la
coerente necessità di una filosofia .che contempli la metafisica, di una ra-
gione che si apra alla fede. Scrive Manzoni nel Dialogo dell'invenzione:
«E che? si vorrebbe forse, che, per esser razionale, per rimaner libera, una filosofia
dovesse pronunziare o ammettere a priori, che tra la ragione e la fede c'è repugnan-
za? cioè, o che l'intelligenza dell'uomo è illimitata, o che è limitata la verità? Que-
sto sì, che sarebbe anti-razionale, anti-filosofico, per non dir altro. Questa sì che
sarebbe servitù, e una tristissima servitù. [...] ·
Come gli errori scientifici possono, nella mente dell'uomo, essere ostacoli alla fede;
così le verità rivelate possono essere aiuti per la scienza; poiché, facendo conoscer
le cose nelle loro relazioni con l'ordine soprannaturale, le fanno necessariamente
conoscer di più; e quindi la scienza può procedere da un noto più vasto alle ricer-
che e alle scoperte sue proprie. Ora l'accrescere le forze d'una facoltà 10, è forse
uno snaturarla? Il somministrarle novi mezzi, è forse un distruggerla?» (DI, 225-
226).
Analogamente per Rosmini il superamento della visione di opposizione
tra fede e ragione può esserci solo con un attento e serio studio antropo-
logico da cui si evince che la persona, per la sua componente intellettuale,
è naturalmente aperta all'infinito, al soprannaturale e può trovare il vero
appagamento unicamente nell'.incontro con l'Essere infinito e reale:
«Tutte le facoltà degli animali si riducono al senso pel quale non s'esigono che degli
oggetti materiali. L'uomo fornito d'intelligenza può estendersi oltre tutto l'universo
materiale, può aver degli oggetti nobilissimi. Sarà dunque buono argomento di
escludere la comunicazione dell'uomo con Dio questo, che perché l'animale bruto
non può godere dell'essere infinito, limitato com'è ai sensi materiali per questo non
possa goderne né pur l'uomo fornito d'una intelligenza che non ammette confini?
Non è forse quest'essere infinito un oggetto così reale come qualunque altro? O più
tosto non è egli l'oggetto più reale cli tutti? E perché Dio si tiene nascosto, non potrà
mai rivelarsi alle sue creature? Sarà necessariamente fra queste e il loro Creatore un
tal muro filosofico di separazione? Se la filosofia è quella che erige un tal muro, è
migliore a dir vero la semplicità dell'uomo incolto d'una tale sapienza» 11 •

io Questa espressione richiama da vicino gli appelli di Benedetto XVI ad «allargare gli
spazi della ragione».
11 A. Rosmini, Antropologia soprannaturale, a cura di U. Muratore, Edizione Critica
Se la natura dell'uomo include la dimensione trascendente, un ruofo
tutto particolare lo detiene il trascendente cristiano proprio a motivo del-
l'incarnazione, del Logos che diventa carne e che fa in modo che il movi-
mento non è più solo quello dell'uomo che si apre verso Dio, ma anche di
un Dio che si apre verso l'uomo e gli fa conoscere la sua vera natura, il
senso profondo della sua vita e più in generale il senso ultimo degli avve-
nimenti pur tra loro contrastanti. Una tra le pagine più belle delle Ossera-
zioni sulla morale cattolica - un'opera purtroppo poco conosciuta - sem-
bra essere scritta dopo il Concilio Vaticano II e dopo l'enciclica Redemptor
Hominis di Giovanni Paolo II:
«Ciò che è, e ciò che dovrebb'essere; la miseria e la concupiscenza, e l'idea sempre
viva di perfezione e d'ordine che troviamo ugualmente in noi; il bene e il male; le
parole della sapienza divina, e i vani discorsi degli uomini; la gioia vigilante del giu-
sto, i dolori e le consolazioni del pentito, e lo spavento o l'imperturbablità del mal-
vagio; i trionfi della giustizia, e quelli dell'iniquità; i disegni degli uomini condotti a
termine tra mille ostacoli, o fatti andare a vòto da un ostacolo impreveduto; la fede
che aspetta la promessa, e che sente la vanità di ciò che passa, l'incredulità stessa;
tutto si spiega col Vangelo, tutto conferma il Vangelo. [...]E più s'esamina questa
religione, più si crede che è essa che ha riveleato l'uomo all'uomo, che essa suppo-
ne nel suo Fondatore la cognizione la più wriversale, la più intima, la più profetica
d'ogni nostro sentimento» 12 •
In modo analogo, per Rosmini solo il cristianesimo è la chiave erme-
neutica per la comprensione dell'uomo, di Dio e della storia, ma c'è qual-
cosa in più: la grazia sacramentale. Nello specifico del cattolicesimo, con
l'intervento della grazia, «azione divina che congiunge lo spirito umano
ad intima e reale unione con la divinità» (AS, 75) - «quella grazia che>>,
per Manzoni, <<non è mai dovuta, ma che non è mai negata a chi la chiede
con sincero desiderio, e con umile fiducia>> (OMC, 75) - il coinvolgimento
del divino nell'umano investe tutta la persona, la quale arriva così al suo
pieno compimento e alla sua piena felicità. Ed è proprio a tali altezze, teo~
logiche e antropologiche, piace concludere questo lavoro, che viene ideal-
mente dedicato a Benedetto XVI:
«Il sistema del cristianesimo tutto insieme preso, sistema che non può essere finto
da mente umana perché abbraccia il principio del mondo e si continua con tutta la
serie degli avvenimenti, è quel solo che spiega la storia dell'umanità, che dà ragione
di tutti i fatti più importanti avvenuti al mondo, che è conforme alla natura di Dio,
e che interpreta i bisogni dell'uomo e gli soddisfa pienamente. [. ..]
Ma a tanti argomenti illustrati dagli apologisti del cristianesimo nel sistema catto-

Nazionale, II voli., Roma, Città Nuova, 1983, I, p. 247 (da qui in poi, nel testo, con la
sigla AS seguita dal numero di pagina).
12 A Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica, a cura di Romano Amerio, 3 voli.,
Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1965, II, p.14 (da qui in poi, nel testo, con
la sigla OMC seguita dal numero di pagina).
lico ~praggiunge la grazia la quale finisce di vincere, e trionfa ragionevolemente
dell'uomo; dico ragionevolmente perché la grazia è luce interiore; e compimento
ddla sua stessa ragione: di che il sistema cattolico non può essere più uno, più coe-
rente e logico, più serrato e inattaccabile perché perfettamente più consentaneo
con se medesimo» (AS, I, 268-269).
«Coli' azione divina viene creata in noi una nuova potenza: questa comincia ad esi-
stere in noi, quando prima non esisteva; ed ella è un elemento, una parte della no-
stra essenza. [...} dee essere necessariamente insensibile questo primo effetto ddla
grazia in noi, perché la grazia agisce [. ..} in modo creatrice, non fa altro che creare,
che mettere in noi una potenza nuova, che ingrandisce la nostra essenza» (AS, I,
95).

Nota biografica
Rita Zama è studiosa del pensiero di Manzoni e di Rosmini. Ha un assegno di
ricerca' presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove ha conseguito il
dottorato di ricerca sui rapporti tra il pensiero filosofico e qudlo letterario di Manzoni.
Ha la laurea in filosofia, con una tesi su La persona e la libertà in Antonio Rosmini
(Edizioni Sodalitas, 2006) e il diploma di magistero in Scienze Religiose.
Jacques Maritain
L'amicizia di un cristiano
di
Giovanni Grandi

. Tra i titoli riferibili a Jacques Maritain la parola "amicizia" ricorre


esplicitamente in un solo saggio, molto breve, pubblicato a margine del
Diario di Raissa 1 dal titolo Amore e amicizia 2 • Ben più noto è invece il va-
.lume I Grandi Amici 3, che non a caso non è a firma di Jacques ma proprio
della moglie Ralssa, che racconta in forma rimeditata le vicende di alcune
delle "grandi amicizie" - così vuole il titolo originale, Les Grandes Amitz'és
- che hanno segnato la vicenda biografica del filosofo francese, special-
mente nella prima metà del Novecento.
Piero Viotto ha offerto in tempi più recenti una recensione dei profili
di intellettuali e artisti che in tempi diversi hanno fatto riferimento ai Ma-
ritain 4 : lo spaccato è impressionante per il livello e la quantità delle fre-
quentazioni, e non vi è dubbio che la capacità di generare relazioni appas-
sionate e stimolanti sia stata una caratteristica portante del profilo di
Maritain.

i R. Maritain, Journal de Raissa, Paris, 1963; tr. it.: Diario di Raissa, Morcelliana,
Brescia 1966.
2 J. Maritain, Amor et amitié, in "Nova et Vetera", n.4, 1963, pp.241-279; tr. it.:
Amore e amicizia, Morcelliana, Brescia 19673 . .
3 R. Maritain, Les grandes amitiés, Desclée de Brouwer, Paris 1948; l'edizione
definitiva raccoglie in un unico volume la prima parte, ·uscita nel 1941, con il titolo Les
grandes amitiés, Souvenirs e la seconda, pubblicata nel 1946, con il titolo Les aventures
de la grJce. Tt. it.: I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 19912 •
4 P. Viotto, Grandi amicizie. I Maritain e i loro contemporanei, Città Nuova, Roma
2008. A questo notevole lavoro di raccolta potrà fare riferimento chi desiderasse avere
una panoramica complessiva delle frequentazioni dei Maritain.
Chi però si aspettasse di veder rifluire una così ricca esperienza nelle
pagine del piccolo saggio teorico-filosofico del 1963 rimarrebbe deluso:
qui il punto focale è piuttosto la relazione di donazione tra gli sposi, inqua-
drata nel riferimento all'amore di Dio e all'amore per Dio. Amore e ami-
cizia sono presentati - sulla scia di Tommaso d'Aquino~ - come due for-
me dell'amore di dilezione, diversificate nel fatto di essere il primo un
dono diretto e scoperto di sé, la seconda in dono coperto e indiretto.
Nell'amicizia, spiega Maritain:
«lamico, dando quello che ha, dona anche certamente in un certo modo e nello
stesso tempo ciò che egli è, la sua persona o la sua stessa soggettività [. .. ] si dona,
dunque, certamente e realmente, ma copertamente e indirettamente, mediante al-
tra cosa, o, in altri termini, mediante e grazie ad alcuni doni che nascondono sotto
dei segni il dono di se stesso e, più o meno, lo frammentano; [...].Nell'amore, in-
vece, nell'amore di dimensioni puramente umane, in cui è impegnato lo spirito [. ..]
la persona o soggettività si dà direttamente, scopertamente, o a nudo senza nascon-
dersi sotto le specie di alcun altro dono meno assolutamente totale» 6•

Lo spunto sarebbe senza dubbio meritevole di attenzione, e certo vale


come inquadramento generale del tema. Ci sono tuttavia alcuni aspetti
qualificanti di una concezione esigente ed originale dell'amicizia, che
emergono più facilmente attraverso alcuni scorci tratti dalle relazioni intes-
sute dal filosofo e che forse - ad uno sguardo forse meno condizionato dai
titoli - hanno trovato una codifica teorica in altre pagine.
Si può allora immaginare un breve percorso alla rkerca di affondi e di
sottolineature tratte dalla biografia, che consentano di restituire l'idea di
amicizia praticata da Maritain e poi consegnata - in una sintesi ormai ma-
tura - ad alcune riflessioni sulla possibilità di quelle buone relazioni tra i
diversi che potremmo collocare nell'idea classica di "amicizia civile".

1. Luoghi e atmosfere: dimore del!)amù:izia

Il periodo in cui maggiormente Maritain rappresentò un punto di at-


trazione intellettuale per il contesto francese (e non solo) è indubbia-
mente quello che va dal 1929 al 1939: in questi anni la casa di Meudon
è il ritrovo per la maggior parte delle personalità che esprimono la vi-
vacità culturale dell'epoca: il padre Garrigou-Lagrange, il futuro cardi-
nale Joumet, Nikolaj Berdjaev, Étienne Gilson, Georges Rouault, Gino
Severini, Charles Du Bos, Charles Maurras, Emmanuel Mounier, Arthur

5 Il rimando è in questo caso a Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Il-II, q. 23,


a. 1, Co.: «Respondeo dicendum quod, secundum philosophum, in vm
Ethic., non
quilibet amor habet rationem amicitiae, sed amor qui est cum benevolentia...».
6 J. Maritain, Amore e amicizia, cit., p.14.
Lourié... Casa Maritain rappresenta tuttavia un luogo di incontro fin da-
gli inizi degli anni Venti, nell'abitazione di Versailles. Jean-Luc Barré,
ricostruendo le vicende dell'epoca, annota così l'atmosfera singolare
che vi si respirava:
«Ciò che fa sì che uomini e donne di ogni età, origine, condizione e confessione,
filosofi, medici, poeti, musicisti, sia cattolici sia protestanti, ortodossi, ebrei o mis-
credenti, accorrano già la domenica pomeriggio a Versailles prima di affluire a
Meudon, è l'affascinante originalità dei loro ospiti, che si manifesta nella qualità
degli incontri e dei confronti che sanno dispensare intorno a loro e nel clima di
libertà su cui non pesa alcuna autorità apparente» 7.

Lo stesso J acques ha individuato nei suoi diari la formula che rendeva


così attraente l'ospitalità domestica:
«Non andavano a scuola e non si riunivano in una sala di un collegio o di un con-
vento per ascoltate l'insegnamento di un maestro o fare un seminario con lui; non
erano neppure gli ospiti di un intellettuale più o meno infagottato che li faceva se-
dere e offriva loro da bere prima di scambiarsi le idee. Venivano accolti nella casa
di una famiglia: erano gli ospiti di Raissa Maritain. Riunioni di questo tipo e un
lavoro come questo sono inconcepibili senza un'atmosfera femminile» 8 .

Un senso di calda accoglienza creava il contesto più adatto per accom-


. pagnare il confronto tra persone molto diverse tra loro. Ci sono dunque
anzitutto un tratto domestico e una familiarità nell'accostare i nuovi venu-
ti, qualcosa di spontaneo e certamente non costruito, che possono essere
considerati come la grande cornice entro cui le amicizie prendono vita,
vengono alimentate e custodite.

2. Intrecci biografici: l'amicizia come simmetria dei percorsi spirituali?

Un secondo tratto notevole emerge considerando le relazioni di cui


Rai:ssa riferisce con maggiore dettaglio e che naturalmente hanno coinvolto
. sia lei cheJacques ai primi del Novecento: quella con Emest Psichari e con
Charles Péguy.
Il sodalizio tra Emest e J acques risale probabilmente all'ottobre 1898,
con una reciproca adozione nelle rispettive famiglie: la sorella di Emest,
Henriette, dirà di Maritain che a parere di tutti «era l'amico perfetto» 9 .
Il primo contatto con il direttore dei Cahiers de la Quinzaine è invece
del marzo 1901 ed è tutt'altro che pacato: Jacques ne contesta le critiche

7 J.-L. Barré, ]acques et Raissa Maritain. Le Mendiants du Ciel, éditions Stock, Paris
1996; tr. it.: ]acques e Raissa M.aritain. Da intellettuali anarcbid a testimoni di Dio,
· Edizioni Paoline, Milano 2000, p. 200.
s Cfr. Ibidem.
9 Cfr. Ivi, p. 46.
a Jean Jaurès 10, ma tuttavia si accende una simpatia tra i due che sfocia
nella collaborazione alle iniziative editoriali.
Si tratta di due amicizie grandi, per quanto complesse e tonnentate, si-
gnificative per il fatto di essere precedenti alla conversione al cattolicesimo
dei Maritain, il cui battesimo avverrà nel 1906, avendo come padrino un
altro personaggio di rilievo come Léon Bloy. Il tema della conversione se-
gna infatti la storia di queste relazioni: in un certo senso si può dire che
Jacques abbia lottato costantemente perché questi amici lo seguissero
nel suo stesso itinerario spirituale, facendo di questo snodo - il ritorno alla
fede per Péguy e la nascita alla fede per Emest - quasi il baricentro della
loro relazione. È la stessa R.alssa a suggerire il nesso tra amicizia e attesa
della conversione:
«Se la conversione di Charles Péguy, dopo un momento di felice sorpresa e un pe-
riodo di pura gioia; dovette certamente diventare stranamente fra lui e noi una cau-
sa di dolorosa divergenza, fin al punto in cui della sua e della nostra amicizia non
restò che la feddtà, la conversione di Emest Psichari sarebbe stata per Emest e per
J acques un rinsaldarsi dei legami fraterni>> 11 •
L'itinerario di Psichari, che morirà sulla Marna nel 1914, è segnato da
una certa linearità: arruolato nell'esercito coloniale del Congo, via via sca-
vato nell'anima dall'esperienza del deserto, giungerà alla fede poco prima
cli partire per il fronte della Grande Guerra. Per quanto nella sua fase di
dedizione allo spirito delle anni avesse trattato con ironia l'amico, - che
auspicava di vederlo ancora in terra africana, ma missionario - il loro rap-
porto non fu mai conflittuale. Péguy invece, scomparso a sua volta sul
fronte a pochi giorni di distanza da Emest, fu protagonista di una vicenda
biografica più complessa, caratterizzata - tra l'altro - da uno scontro a
tratti acceso con la dimensione istituzionale ed intellettuale del cattolicesi-
mo; Jacques non mancava di sollecitarlo ad una adesione integrale alla
Chiesa, con modi piuttosto ruvidi talvolta, che probabilmente incisero
su una relazione che pure voleva essere franca e forte. È interessante il fat-
to che Ralssa, ricordando le circostanze che portarono alla rottura del le-
game - riannodato poco prima della morte del direttore del Cahiers - ab-
bia annotato che il marito si sia espresso in un messaggio <<in quei tennini
poco dolci di cui lui ha il segreto e che mi astengo dal riferire letteralmen-
te» 12 • Péguy non fu affatto docile alle pressioni di Maritain e certo questi
non rispanniò all'amico le spigolosità del neoconvertito.
Guardando a questi due legami intensi, sorti molto presto, si potrebbe
forse ritrovare una prima declinazione dell'idea portante di Amore e ami-

10 Politico e intdlettuale socialista, criticato da Péguy.


11 R Maritain, I grandi amici, cit. p. 296.
12 Jacques restituì al mittente L'Ordination, di Julien Benda, appena pubblicato da
Péguy tra i Cahiers. Cfr. Ivi, p. 272.
cizia: al fondo di ogni relazione autentica e non strumentale si riverbera in
qualche modo la presenza dello Spirito di Dio. Alla luce di questa persua-
sione verrebbe da pensare che Maritain, nel dispiegarsi delle relazioni di
più antica data, abbia cercato di far emergere questo fondamento in modo
intransigente, quasi che la similitudine tra gli amici - una similitudine nella
virtù, come voleva Aristotele 13 - dovesse esprimersi anche in una specula-
rità dei percorsi spirituali, in una conversione al modo diJacques e Riissa.

3. Nuove declinazioni: dall'ansia per la conversione all'attesa ospitale

Un'altra relazione decisamente significativa e altrettanto imperniata


sullo snodo della conversione è quella conJean Cocteau. I contorni in que-
sto caso sono diversi: l'amicizia nacque negli anni Venti 14, e conobbe una
fase di coinvolto approfondimento fino al 1927; i quattro anni successivi
furono tempo di scontro e di presa di distanza: Cocteau celebrò in modo
sempre più pubblico l'omosessualità trovando il fermo dissenso di Mari-
tain. Dal 1931 fino alla morte dello scrittore la loro relazione si sfilò dalle
luci della ribalta, ritrovando nella reciproca fedeltà un punto fermo: J ac-
ques ricorderà con commozione Cocteau raccolto in preghiera sul letto
di morte di Riissa nel 1960.
Dalla metà degli anni Venti Maritain appare già come un punto di ri-
ferimento nella cultura francese; Jean-Luc Barré annota che è ormai «un
uomo in grado di condizionare l'attività creativa del suo tempo, proprio
perché condivide da vicino l'esistenza di alcuni fra i suoi scrittori più im-
portanti. Con il più lontano tra loro, Andrè Gide, fino ai più vicini come
Jean Cocteau, Julien Green, a cui andrà ad aggiungersi ben presto Fran-
çois Mauriac, prenderanno l'avvio dialoghi e controversie a proposito del-
1'esercizio del romanzo che, tutto sommato, saranno indissociabili da un
dato essenziale della sensibilità e della vita di ciascuno di loro: l'omoses-
sualità» 15 •
L'amicizia con Cocteau va evidenziata in particolare per il momento
pubblico che conobbe nello scambio di lettere - concordato tra i due - dif-
fuso nel 1926 16• Al di là della riflessione sulla funzione del romanzo e del
romanziere che entrambi affrontano, un primo aspetto interessante è qui
la dimensione del confronto, che non è più solo quella privata: si fa strada

13 Aristotde, Etica Nicomachea, VIII (9), 3, 1156 b 7-8.


14 Cfr. M. Bressolette, Le /rère portier et l'acrobate, in Jean Cocteau • Jacques Maritain,
Gallimard, Paris 1993, p. 11.
15 J.-L. Barré, Jacques e Raissa Maritain. Da intellettuali anarchici a testimoni di Dio,
cit., p. 311.
16 Entrambi i testi sono ora raccolti in Jean Cocteau • Jacques Maritain, cit.
la questione della funzione pubblica dell'intellettuale e quindi anche del-
1'eco della sua spiritualità. Il tema della conversione rimane centrale ma
acquista una profondità diversa. Al tempo stesso, nella declinazione di
un'amicizia tra uomini che si riconoscevano nella loro diversità, si possono
notare toni più concilianti rlSpetto a quelli che hanno contraddistinto gli
scambi con Péguy, pur nel permanere della fermezza dei distinguo.
In molti hanno rimproverato qui a Maritain eccessiva ingenuità nel dar
credito alle aperture di Cocteau alla fede, essendo questi noto per la sua
incostanza. Tuttavia De Tonquédec ha probabihnente colto già all'epoca.
una nuova sfumatura nei modi di Jacques:
«Maritain - ha scritto a proposito dello scambio epistolare tra i due - è un com-
posto originale di intransigenza e di dolcezza, di intellettualismo sfavillante e di
profondo misticismo. È questo che affascina. E poi, a coloro che vengono a chie-
dergli aiuto svela ancora un'altra cosa: una carità fraterna, che interpreta tutto in
positivo fino ai limiti del possibile e un partito preso di indulgenza verso ogni de-
bolezza umana, congiunti, per alleanza naturale, alla preoccupazione di gettare i
malati nel bagno di luce pura che è il solo a. poterli guarire» 17.
Questa sorta di doppio registro tra il livello dello scambio intellettuale
e quello più radicale e affettivo della relazione di amicizia trova una codi-
fica celebre proprio nelle lettere del 1926. Scrive Maritain:
«Il nostro intento è di cercare il positivo in tutte le cose, di avvalerci del vero più
per guarire che per picchiare. C'è così poco amore nel mondo, i cuori sono così
freddi, così congelati, anche tra coloro che hanno ragione, gli unici che potrebbero
aiutare gli altri. Dobbiamo avere lo spirito duro e il cuore tenero. Senza contare gli
spiriti molli dal cuore arido, il mondo non è fatto pressoché d'altro che di spiriti
duri dal cuore arido e di cuori molli dallo spirito molle>> 18.
Nell'amicizia con Cocteau si potrebbe dire cheJacques abbia provato a
dare ancora più spazio alla tenerezza del cuore, quasi portando all'interno
della relazione di amicizia quella accoglienza e quell'ospitalità che fin da
principio avevano caratterizzato i luoghi dei Maritain, in particolare grazie
alla cura femminile di Ralssa. La fiducia nelle dichiarazioni dello scrittore
circa il suo trasporto spirituale - forse eccessiva ad uno sguardo asettico -
se riletta anche alla luce della fedeltà del rapporto dopo gli anni della crisi,
mostra forse una maggiore delicatezza proprio relativamente alle attese di
ordine spirituale. L'idealità di un'amicizia fatta di simmetrie di percorsi è
ormai superata: l'accoglienza dell'altro nella sua diversità e nel rispetto del-
le sue vie di ricerca appare invece come un tratto di primo piano nel rap-
porto interpersonale.

17 J. De Tonquédec, ]ean Cocteau et ]acques Maritain, in "Etudes", CLXXXVIII, 5


juillet, 1926; cit. in J.-L. Barré, ]acques e Rai'ssa Maritain. Da intellettuali anarchici a
testimoni di Dio, cit., p.264.
18 J. Maritain, Réponse à ]ean Cocteau, in ]ean Cocteau -Jacques Maritain, cit., p. 336.

76
5. Spunti per una sintesi teorica

Molte altre esemplarità si potrebbero naturalmente trarre dalla biogra-


fia maritainiana, tuttavia le relazioni ricordate sopra restituiscono efficace-
mente la maturazione del senso dell'amicizia di un cristiano appassionato
come lo fu Jacques.
Dopo la conversione, la questione della fede e un senso di missionarie-
tà rimasero per lui costantemente lo snodo centrale: Maritain non si espri-
merà mai esercitando una sorta di epoché sul proprio credo; con lucidità
ne Le Paysan de la Garonne denuncerà l'impossibilità di mettere tra paren~
tesi - o «in cassaforte>> come scriverà - le proprie convinzioni H>. Ma pro-
prio nel riconoscere questa impossibilità come un dato antropologico, si
può dire che abbia maturato l'idea che nei rapporti di amicizia tra persone
diverse sia necessario concedere maggiore spazio all'esplicitazione intellet-
tuale chiara delle persuasioni di ciascuno, procurando però di alimentare·
1n modo proporzionale sul piano affettivo la reciproca simpatia e acco-
glienza.
Questa idea non la ritroviamo esplicitata in Amore a amicizia, ma è pos-
sibile apprezzarla in alcuni passaggi di un altro saggio del 1957, Tolleranza
e verità 20• Qui si può dire che anche l'intuizione del valore pubblico delle
grandi amicizie tra intellettuali di diversa provenienza e realizzazione di vi-
ta - come lo furono appunto Maritain e Cocteau - trovi finalmente espres-
sione matura. La distinzione tra il piano intellettuale e quello affettivo è
ora declinata secondo una linea lievemente diversa, ma sempre ben rico-
noscibile: il giusto livello di incontro tra div~rsi, o meglio il livello in cui
può concretizzarsi quell'amicizia civile che sostiene di fatto una società, ri-
mane quello dei rapporti personali. È qui che entra in gioco la «tenerezza
di cuore», mentre sul piano dello scambio di idee va conservata la «durez-
za di spirito»:
«Non ci sarà allora tolleranza tra sistemi - un sistema non può tollerare un altro
sistema, perché i sistemi sono insiemi astratti di idee e hanno solo un'esistenza in-
tellettuale nella quale la volontà di tollerare o di non tollerare non ha parte di sorra
· - ma potrà esserci giustizia, giustizia intellettuale tra sistemi filosofici. E tra filosofi
potrà esserci tolleranza, e più che tolleranza: potrà esserci una specie di coopera-
zione e di buon compagnonnage, fondato sulla giustizia intellettuale e sul dovere
filosofico di comprendere il pensiero degli altri nel modo vero e migliore. Anzi,
meglio: non e' è giustizia intellettuale senza l'assistenza e la carità intellettuale» 21 •

19 Cfr. J. Maritain, Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, Bruger-Paris 1966;


tr. it.: Il contadino della Garonna, Morcelliana, Brescia 1969, pp.214-215.
20 J. Maritain, Tollerant.a e verità (1957), in Le philosophe dans la cité, Alsatia, Paris
1960; tr. it. in Il filosofo nella società, Morcelliana, Brescia 1976, pp. 61-79.
21 J. Maritain, TolleranZtz e verità, cit., pp. 69-70.
Il tema dell'amicizia ritorna esplicitamente poco dopo, e si coglie come
assuma ormai un respiro politico, in cui tuttavia è possibile ritrovare in fi-
ligrana proprio l'esperienza delle tante relazioni strette con personalità di-
verse, a cui Maritain ha saputo far posto e a cui probabilmente ha lasciato
qualcosa di significativo anche sul piano della testimonianza di un cristia-
no:
«Il termine /ellowship connota qualcosa di positivo nelle relazioni umane. Esso
evoca l'idea di compagni di viaggio che per caso si ritrovano riuniti quaggiù e
che camminano per le strade del mondo in buon accordo umano - per quanto fon-
damentali siano le loro opposizioni- di buon umore e in cordiale solidarietà, o, per
dire meglio: in amicale e servizievole disaccordo» 22 .

È a chiusura di questi passaggi che troviamo una traccia che potrà ri-
condurre anche ad Amore e amicizia:
«La base di un buon compagnonnage tra gli uomini di differenti credenze non è
dell'ordine dell'intelletto e delle idee, ma del cuore e dell'amore. È l'amicizia na-
turale, ma ancor prima e innanzitutto la reciproca dilezione in Dio e per Dio. L'a-
more non va alle essenze, né alle qualità, né alle idee: va alle persone; ed è il mistero
delle persone e della presenza divina in loro ad entrare qui in gioco. Il compagnon-
nage, di cui parliamo non è il compagnonnage delle credenze, è il compagnonnage
degli uomini che credono» 23. · ·

Non si tratta, ed è agevole comprenderlo, di una riflessione da restrin-


gere all'ambito delle relazioni tra persone appartenenti a diverse confessio-
ni religiose. Dopo l'esilio durante la guerra, dopo il ritorno in Europa e
l'esperienza di ambasciatore di Francia presso la Santa Sede e già da tem-
po inserito nel contesto americano, Maritain ha ormai maturato una visio-
ne ampia della convivenza civile. Già dalle pagine de Il significato dell'a-
teismo contemporaneo 24 del 1949 aveva osservato che l'ateismo è una
posizione teorica, mentre sul piano esistenziale e pratico ogni uomo è
un credente, ogni persona vive di convinzioni e di punti di riferimento.
In questo senso si coglie l'importanza che ancora una volta il filosofo rico-
nosce alla relazione interpersonale, anche nelJa prospettiva di un avanza-
mento nella direzione della giustizia intellettuale.
Le grandi amicizie si direbbe abbiano offerto a Maritain la possibilità
di comprendere sempre più a fondo la sorprendente possibilità della
prossimità affettiva tra i diversi, fino a vedere in questa possibilità il fon-
damento per una società rinnovata. Un società non certo estranea ai con-

22 Ivi, p. 72.
23 Ivi, p. 74.
24 Cfr. La signi/ù:ation de l'athéisme contemporain, Desclée de Brouwer, Paris 1949;
tr. it. in J. Maritain, Ateismo e ricerca di Dio, Massimo, Milano 1982, pp.206-207
(Testo ripreso da J. Maritain, Il significato dell'ateismo contemporaneo, Morcelliana,
Brescia 1950). .
flitti, ma capace di viverli intensamente e lealmente sul piano delle diver~ •
genze intellettuali, senza trascriverle in inimicizia sul piano delle relazioni
personali.
Anche dal punto di vista dell'amicizia di wi cristiano, che non mette
tra parentesi la questione della conversione di ciascwio, l'impressione è
che il filosofo francese abbia progressivamente dilatato lo spazio dell' at-
tesa dell'altro, dei suoi modi e dei suoi tempi. Nella riflessione della ma-
turità si ritrova sempre la chiarezza delle posizioni, ma non più quella
intransigenza e quasi quella fretta nel misurare i passi spirituali degli
amici più grandi dei primi anni, dettata certo anche dall'affetto fraterno.
In un bel passo de La persona e il bene comune possiamo scorgere l' e-
laborazione del ruolo di chi accompagna l'altro in un itinerario di ma-
turazione:
«In realtà, ciò che importa principalmente per l'educazione ed il progresso dell' es-
sere umano, nell'ordine morale e spirituale, è il principio interiore: vale a dire, qui,
la natura e la grazia. I nostri mezzi non sono che degli ausiliari, la nostra arte, un' ar-
te cooperatrice ministra rispetto a qm;sto principio interiore» 25 •
Il ruolo del testimone, anche nelle dinamiche della conversione perso-
nale, è subordinato all'iniziativa di quel «principio interiore» che poi è lo
Spirito di Dio: è un passo di consapevolezza che non sterilizza la compo-
nente spirituale di un'amicizia tra diversi, ma certo la libera da wi'impro-
pria volontà di verifica di ciò che accade nell'interiorità dell'altro quanto
alla sua lotta con lo Spirito di Dio.
Per quanto la riflessione teorica di Maritain sull'amicizia possa apparire
contratta, è probabile che anche a questo proposito si possa dire di lui
quello che ha scritto un altro suo grande amico, Paolo VI, all'indomani del-
la sua morte: «Davvero Wl grande pensatore, maestro nell'arte di pensare,
di vivere, di pregare. Muore solo e povero, associato ai Petits Frères di pa-
dre Foucauld. La sua voce, la sua figura resteranno nella tradizione del
pensiero filosofico e della meditazione cattolica».

Nota biografica
Giovanni Grandi è ricercatore in Filosofia Morale presso il Dipartimento di
Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell'Università degli Studi di
Padova e docente di Antropologia applicata presso il Corso di Laurea Magistrale in
Scienze del Servizio Sociale del medesimo Ateneo. È stato Presidente del Centro Studi
Jacques Maritain (Portogruaro, VE) e dell'Istituto Jacques Maritain (Trieste). È
membro del Consiglio Scientifico dell'Istituto Internazionale Jacques Maritain e del
SOUQ (Centro Studi Sofferenza Urbana, Casa della Carità, Milano). Fa parte del
comitato di direzione dell'annuario di filosofia "Anthropologica" (Ed. La Scuola) e
della direzione della rivista "Dialoghi" (Ed. AVE). Tra le sue pubblicazioni: Essere

2.5 J. Maritain, La personne et le bien commun, Desclée de Brouwer 1946; tr. it.: La
persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1995 10, p.28.
utili. L'znvisibile negli interventi di aiuto, Edizioni Meudon, Portogruaro, 2011;
Persona, felicità, educazione, La Scuola, Brescia 2010; Decidersi. Scegliere e decidere di
sé secondo una prospettiva antropologica cristiana, Edizioni Meudon, Portogruaro 2009.

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Il Jaca Book Il
Eros e Agape
Il contributo di Benedetto XVI
di
Salvatore Vitiello

Il tema dell'amore, sia dal punto di vista antropologico che teologico,


ha costituito uno dei "cardini" del Pontificato di Benedetto XVI. «Siccome
Dio ci ha amati per primo {cfr lGv 4, 10), l'amore adesso non è più solo
un "comandamento", ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci
viene incontro» 1• Infatti, il luminoso magistero di Benedetto XVI ha visto,
nell'analisi della virtù teologale della carità, il proprio esordio e, insieme, il
'proprio culmine: nella sua prima lettera enciclica Deus Caritas est, alla qua-
le il presente contributo farà precipuo, riferimento, lallora Pontefice ha
sviluppato il rapporto tra le varie dimensioni dell'amore, inteso come iden-
tità propria di Dio e intima chiamata dell'uomo e della Chiesa, facendone
un cammino ragionevole per l'uomo verso Dio, un uomo che attraverso
l'esperienza antropologica dell'amore intuisce che esso può compiersi solo
in Dio; nell'ultimo messaggio per la Quaresima 2 , fumato il 15 ottobre
2012, ha presentato nuovamente al mondo la realtà dell'amore quale "og-
getto" proprio della fede cattolica.
In tal modo, Benedetto XVI ha offerto un fondamentale contributo alla
contemporanea presentazione della vera concezione di Dio, <<in un mondo
in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta e perfino il dovere
dell'odio e della violenza» 3 , indicando il modo corretto di intendere la

1 Benedetto XVI, Deus Caritas est, Introduzione.


2 Id., Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2013, 15 ottobre 2012, Città del
Vaticano 2012.
~ Id., Deus Caritas est, n. 1.
realtà stess~ dell'amore, sottraendola ai riduzionismi, cui, dall'illuminismo
ad oggi, era stata sottoposta ed indicandola all'uomo quale unico, possibile
principio di unità dell'esistenza, nella sua duplice, ma inscindibile dimen-
sione corporea e spirituale.
· In particolare, prendendo le mosse dalla grande critica filosofica del se-
colo scorso al Cristianesimo, Benedetto XVI volge uno sguardo alla conce-
zione "pagana", sia antica sia contemporanea, dell'amore umano, per poi
presentare la grande e perenne novità cristiana. Il presente contributo si
articolerà analogamente in due parti: saranno presentati i passaggi fonda-
mentali del pensiero benedetti.ano, che si pone in dialogo con il pensiero
contemporaneo, ripresenta e testimonia la verità del Cristianesimo, offren-
do un'efficace risposta, nella prospettiva dell'Anno della Fede, all'emer-
genza dell'analfabetismo religioso.

1. Eros e agape: distinzione e unità

Nelle prime pagine della lettera enciclica, Benedetto XVI ha posto in


rilievo come la novità del Cristianesimo, rispetto al pensiero pagano pre-
cristiano, si sia immediatamente tradotta anche in una novità "linguistica".
Infatti, la parola eros, che nell'antica Grecia denotava <<l'amore tra uomo e
donna, che non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo s'im-
pone ali'essere umano» 4, soomparve nelle Sacre Scritture, in special modo,
nel Nuovo Testamento, per lasciare spazio alla parola agape, quale espres-
sione di una nuova, definitiva comprensione dell'amore, una comprensio-
ne che ha, nella Croce di Cristo Dio, la propria origine.
«Nella critica al Cristianesimo - afferma Benedetto XVI - che si è svi-
luppata con crescente radicalità a partire dall'illuminismo, questa novità è
stata valutata in modo assolutamente negativo. Il Cristianesimo, secondo
Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno alI'eroS>> 5 , inibendo-
ne l'espressione e, in certo qual modo, snaturandolo, con l'esito di morti-
ficare l'uomo e la sua libertà.
<<Ma è veramente così?». Veramente la Chiesa preclude all'uomo l'e-
sperienza vera e piena dell'amore? Davvero il Cristianesimo inquina una
dimensione così essenziale dell'esistenza, quale «l'amore tra uomo e don-
na, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all'essere uma-
no si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile» 6 ?
Davvero l'uomo, per essere "pienamente uomo", dovrebbe, in defini-

4 Ivi, n.3
' Ibidem.
6 Ivi, n.2.
tiva, "liberarsi" della Chiesa, con il suo insegnamento e i suoi precetti?
Non dovrebbe, forse, più apprendere ciò che è vero e buono, per poi se-
guirlo umilmente? È giunto, forse il momento perché proprio l'uomo di-
venga arbitro, anzi "creatore", del vero, del buono e, quindi, di se stesso?
La risposta che Benedetto XVI offre a tali domande è la medesima che
ha attraversato, di fatto, tutto il suO magistero, facendosi carico delle istan-
ze contemporanee più "insistenti'', purificandole da ogni falsa pretesa e
orientandole alla verità di Cristo e dell'uomo. Basti pensare, tra i tanti in-
terventi, alla Lectio divina, tenuta nel 2009 agli alunni del Pontificio Semi-
nario Romano Maggiore, nella quale ha affermato: «Proprio questa asso-
lutizzazione dell'io è [. ..] degradazione dell'uomo, non è conquista della
libertà: il libertinismo non è libertà, è piuttosto il fallimento della libertà» 7 •
E ancora, in risposta al desolante "appello alla disobbedienza" pro-
mosso da alcuni ecclesiastici di area germanica, nell'omelia della Messa cri-
smale del 2012 ha affrontato nuovamente, con disarmante chiarezza, il
rapporto tra libertà e obbedienza. Anzitutto, ha posto la domanda crucia-
le: «La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa?» 8 • Quindi, dopo
aver mostrato come, effettivamente, Cristo Signore avesse purificato la
Legge di Dio dai vincoli delle tradizioni umane, ha indicato come, però,
Cristo stesso concentri in Se stesso tutta la verità dell'uomo e, con ciò, l'u-
nico vero rinnovamento: «La conformazione a Cristo è il presupposto e la
base di ogni autentico rinnovamento». E non vi può essere conformazione
a Cristo che esuli dalla Comunione con Lui, cioè dalla comunione sacra-
mentale, gerarchica e dottrinale con il Suo Corpo, che è la Chiesa. Solo
in Cristo l'uomo può trovare la vera libertà, perché in Lui solo dimora tut-
ta la verità, ogni vero compimento, l'unica e vera pace. E della Presenza
viva di Lui la Chiesa, per divina volontà, è custode e strumento.
Nella Deus Caritas est l'allora Sommo Pontefice si pronuncia nello stes-
so senso, individuando nel dinamismo della vita cristiana l'unica vera rea-
lizzazione dell'amore umano. « ...L'eros ha bisogno di disciplina, di purifi-
cazione per donare all'uomo non il piacere di un istante, ma un certo
pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto
il nostro essere tende» 9• Ma prima di addentrarsi dentro la novità di tale
dinamismo, compie un passo previo. Analizzando il mondo pre-cristiano -
mondo dal quale, per certi versi, non sembra troppo distante la società
contemporanea -, pone in rilievo come l'eros fosse, allora, inteso anzitutto
come "ebbrezza", <<la sopraffazione della ragione da parte di una "pazzia
divina" che strappa l'uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo

7 Id., Visita al Pontificio Seminario Romano Maggiore in occasione della Festa della
Madonna della Fiducia, Lectio Divina, 20 febbraio 2009.
8 Id., Santa Messa del Crisma, Omelia, 5 aprile 2012.
9 Id., Deus Caritas est, n.5.
essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta bea-
titudine>> 10 • Alla traduzione pratica di questo pensiero, all'istituto cioè del-
la "prostituzione sacra", si oppose con massima fermezza l'Antico Testa-
mento.
Da questa breve analisi, Benedetto XVI desume due realtà: l'intimo le-
game tra il Divino e l'amore, in quanto questo promette infinità, eternità,
cioè «una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del
nostro esistere» 11 , e, in secondo luogo, la necessità di purificare la "via
dell'amore", affinché l'uomo non si lasci, meramente, sopraffare dall'istin-
to, degradando la vita umana da fine a "mezzo", ma abbracci le necessarie
purificazioni e maturazioni, affinché l'eros possa guarire in vista della sua
vera grandezza. L'eros, l'amore ascendente e bramoso, ha bisogno, in ve-
rità, dell'agape, dell'amore discendente e oblativo, per maturare fino alla
sua vera grandezza u.

2. Dall'Eros all'Agape: la novità cristiana

L'esigenza di tale guarigione-purificazione dell'amore è insita nella co-


stituzione stessa dell'essere umano, composto di anima e corpo: <<L'uomo
diventa veramente se stesso, quando corpo e anitJ:?.a si ritrovano in intima
unità; la sfida dell'eros può dirsi veramente superata quando questa unifi:
cazione è riuscita>> 13 • La separazione radicale, di fatto attuata nel mondo
contemporaneo, tra l'eros, inteso come amore possessivo, e l'agape, inteso
come amore oblativo, non è ravvisabile in una qualche diffidenza della
Chiesa nei confronti della corporeità, sebbene - afferma Benedetto XVI
- tendenze in questo senso ci siano sempre state 14, ma nella stessa ingan-
nevole esaltazion~ del corpo, cui oggi assistiamo e nella quale, in verità,
<<l'eros degradato a puro "sesso" diventa merce, una semplice "cosa"
che si può comprare o vendere, anzi l'uomo stesso diventa merce».
«In realtà - continua Benedetto XVI - questo non è proprio il grande sì dell'uomo
al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte
soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte, peraltro,
che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come una qualcosa che, a
modo suo, tenta di rendere insieme piacevole e innocuo [. ..]. La fede cristiana, al
contrario, ha considerato l'uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e
materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuo-

10Id., Deus Caritas est, n.4.


11Cfr. Ivi, n.5.
u Cfr. Ibidem.
13 Ibidem.
14 Cfr. Ibidem.
va nobiltà [.. .]. L'apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi lo.
odio verso la corporeità» 15.

Ponendo in luce la questione fondamentale, quale concezione cioè di


uomo sia in gioco, Benedetto XVI ha smascherato la grande illusione edo-
nista del nostro secolo, che, mentre promette di esaltare l'umano, liberan-
dolo da ogni legame, riduce l'amore - e con esso l'uomo - a "cosa", o,
nella migliore delle ipotesi, a un sentimento, che si impone all'uomo, senza
interpellarne né l'intelligenza, né la volontà. Mentre un corretto uso della
ragione, illuminata dalla fede, ci fa intravvedere una diversa prospettiva.
«Anche se l'eros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente fascinazione per
la grande promessa di felicità nell'avvicinarsi poi all'altro si porrà sempre meno
domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell'altro, si preoccuperà sem-
pre di più di lui, si donerà e desidererà "esserci per" l'altro. Così il momento del-
1'agape si inserisce in esso; altrimenti l'eros decade e perde anche la sua stessa na-
tura» 16.

Ma dove la Chiesa ha appreso - e sempre nuovamente può apprendere


- la verità sull'uomo e sull'amore? Come, nella storia, è stato possibile rea-
lizzare l'unità dell'amore e, quindi, l'unità dell'uomo? E come, con quali
:tnezzi, potrà realizzarsi ancora oggi?
La dottrina della Chiesa circa l'identità della persona umana e l'irriduci-
bile dignità che le è propria non nasce, anzitutto, da un particolare sistema
di pensiero, né si propone come ideale da raggiungere attraverso continui
sforzi. La via dell'amore vero, infatti, non è stata tracciata dall'uomo e da
lui "esplorata", ma è stata tracciata e intrapresa da un Altro, secondo un di-
segno che, attraverso la storia del Popolo eletto, culmina in Gesù Cristo, l' A-
more Incarnato e Crocifisso. Solo in questo Amore da parte di Dio, in que-
sto - arriva ad affermare Benedetto XVI- «Eros di Dio per l'uomo [che] è
insieme totalmente agape» 17 , l'amore umano può trovare l'unica, sempre
nuova radice, a partire dalla quale svilupparsi, anzitutto, come risposta all' a-
more di Dio e, solo così, come vera possibilità di amore al prossimo.
Si potrebbe affermare che il più grande contributo del Pontificato di
Benedetto XVI sia quello di aver ricondotto le grandi questioni teologiche,
filosofiche e giuridiche alla loro origine, di aver ricondotto i cristiani ali'o-
rigine della fede, un'origine sempre nuova, l'unica dalla quale, cioè, oggi e
sempre, fino alla consumazione della storia, potrà scaturire la vera fede e,
con essa, l'amore vero. Il Sommo Pontefice emerito ha cominciato quest' o-
pera di "ricapitolazione" proprio a partire dal primo numero della Deus
Caritas est: <<All'origine dell'essere cristiano non c'è una decisione etica

15 Ibidem.
16 Ivi, n. 7.
17 Ivi, n. 10.
o una grande idea, bensì l'incontro con un Avvenimento, con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» 18 •
Solo da qui, dall'incontro con l'Avvenimento, con la Persona di Gesù
di Nazareth, Signore e Cristo, è possibile comprendere ogni altra "questio-
ne" e, nello specifico, l'insegnamento cristiano sulla virtù teologale della
carità. Solo nella viva esperienza dell'amore di Dio, l'uomo viene radicato
nella perenne sorgente dell'amore, un amore, che si presenta come eros e,
insieme, agape. Eros, perché Dio ama in modo personale, elettivo ed ap-
passionato, muovendosi Egli per primo verso l'uomo e cercandolo con di-
vina ostinazione, al punto da. farsi Uomo Egli stesso; agape, in quanto, non
solo questo amore è donato in modo del tutto gratuito, senzà alcun merito
precedente, ma perché è un amore pronto sempre a perdonare, tanto
grande «da rivolgere Dio contro se stesso», come, in un altro punto del-
l'Enciclica, afferma ancora Benedetto XVI:
«La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa
di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito. [ ... ] Nella sua
morte in Croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nd quale Egli si do-
na per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale>> 19.

A partire da questa radice cristologica e sacramentale, da questo incon-


tro con l'Amore di Cristo, che abbraccia definitivamente l'uomo nel sacra-
mento del Battesimo e lo rinnova continuamente nel sacramento dell'Eu-
caristia, è possibile entrare nel grande processo dell'amore, un processo
sempre in cammino, un «esodo permanente dell'io chiuso in se stesso ver-
so la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di
sé, anzi verso la scoperta di Dio» 20•
Il processo dell'amore, infatti, non è mai concluso, ma matura in quella
progressiva immedesimazione con Cristo, immedesimazione nella quale -
ricorda ancora il Santo Padre - gli antichi scorgevano l'essenza propria
dell'amicizia: «1.dem velle atque idem nolle - volere la stessa cosa e non vo-
lere la stessa cosa» 21.
Da questa immedesimazione col Cuore di Cristo, la quale può accadere
solo come dono dello Spirito Santo, che l'uomo accoglie e custodisce, «il
nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di
Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi im-
pongono dall'esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all'esperienza
che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso» 22 •

18 Ivi, n.1.
19 Ivi, n. 12.
20 Ivi, n.6.
21 Sallustio, De coniuratione Catilinae, xx, 4.
22 Benedetto Xvi, Deus Caritas est, n. 17.
Da questa immedesimazione, infine, scaturisce la vera unità dell'amore
e, quindi, della persona umana, sia in se stessa, nella sua duplice dimensio-
ne corporea e spirituale, sia con gli altri, in quanto
«.l'unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si
dona. Io non posso avere Cristo solo per me, posso appartenergli soltanto in unio-
ne con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi La comunione mi tira
fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l'unità con tutti i cristiani. Di-
ventiamo "un solo Corpo", fusi insieme in un'unica esistenza. Amore per Dio e
amore per il prossimo sono ora veramente uniti» 23 •

Questa "inclusione" della realtà tutta - nello specifico, !'"inclusione"


di ogni fratello - nell'Umanità santissima di Cristo costituisce, di fatto,
il passaggio fondamentale, anzi, il "salto" vero e proprio dalla religiosità
veterotestamentaria alla nuova ed eterna Alleanza nel Sangue di Cristo.
Per il popolo di Israele, infatti, il rapporto col Dio vivo era necessariamen-
te mediato dalla Legge e quindi, in ultima analisi, consegnato alla "presta-
zione" religiosa del singolo, come emerge dalle domande degli interlocu-
tori di Gesù: <<Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita
eterna?» (Mc 10,17). Nella Nuova Alleanza, invece, Dio oltrepassa il velo
della Legge, divenendo inaspettatamente "prossimo" ad ogni uomo, ren-
dendo quell'umanità che Egli, per amore nostro, ha assunto - la nostra
umanità! - il "nesso" con il Mistero. Ogni fratello, infatti, per la grazia sa-
cramentale del Battesimo, o per la "chiamata" a questa grazia, viene tra-
sfigurato nel nesso con il Mistero dell'Unico Dio. In questo modo, i due
comandamenti dell'amore per Dio e dell'amore per il prossimo non sono
più separabili, ma divengono un'unica, radicalmente nuova, realtà: <<Que-
sto è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho
amati>> (Gv 15,12).
La Caritas quindi, come esercizio dell'amore da parte della Chiesa, cioè
di uomini afferrati dall'Amore trinitario 24 , è «espressione irrinunciabile
della sua stessa essenza» 25 , "esercizio" guidato dalla fede, che nell'amore
diventa operante.
«L'azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l'amore
per l'uomo, un amore che si nutre dell'incontro con Cristo. L'intima parteci-
pazione personale al bisogno e alla sofferenza dell'altro diventa così un parte-
cipargli me stesso: perché il dono non umili l'altro, devo dargli non soltanto
qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come perso-
na» 26,

23 Ivi, n.14.
24 Cfr. Ivi, n.19.
Z5 Ivi, n. 25.
26 Ivt', n . .34.
Nell'incontro con Cristo sta, allora, l'origine dell'essere cristiano e nel-
l'unione con Lui il nucleo della vita cristiana, la verità stessa della Chiesa e
l'essenza della fede e dell'amore, quell'essenza che il Santo Padre Benedet-
to, con inaudita profondità teologica e altissima sensibilità mistica, ci ha
ihcessantemente mostrato, innanzitutto, come strada ragionevole per ogni
uomo e che, ora, in questo Anno della Fede, guidati dal Santo Padre Fran-
cesco, siamo chiamati, con forza, a riscoprire ed accogliere, com'egli ha af.
fermato nella sua prima lettera enciclica Lumen Fidei: <<La fede trasforma
la persona ihtera, appunto in quanto essa si apre all'amore. [... ] La fede
conosce in quanto è legata all'amore. [... ] La comprensione della fede è
quella che nasce quando riceviamo il grande amore di Dio èhe trasforma
interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà» 27 •

Nota biografica
Salvatore Vitidlo è docente di Introduzione alla Teologia presso l'Università
Cattolica del Sacro Cuore Sede di Roma, di Teologia Sacramentaria presso l'Istituto
Superiore di Scienze Religiose di Torino e Coordinatore del Master di Il Livdlo in
Architettura, Arti sacre e Liturgia ddl'Università Europea di Roma.

Il FrancesCò, Lett. Enc. Lumen Fidei, 29 giugno 2013, n.26.


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Un padre
della Chiesa tra gli Elvezi
di
Elio Guerriero

Venticinque anni fa, due giorni prima dell'imposizione del cappello


cardinalizio, moriva Hans Urs von Balthasar, «Un padre della Chiesa
perduto tra gli Elvezi», secondo una spiritosa definizione di padre de Lu-
bac. Era questa l'impressione che faceva il teologo di Gloria, sempre trop-
po avanti perché gli Elvezi, che eravamo tutti noi, potessero stargli dietro.
Dopo una formazione di eccellenza tra musica, letteratura e teologia, si
era fatto gesuita e aveva scelto di iniziare il suo ministero tra i giovani stu-
denti cattolici dell'università di Basilea. Qui era entrato in contatto con
Adrienne von Speyr, una dottoressa in medicina che, dopo l'incontro
con l'assistente degli universitari, era passata alla confessione cattolica e
aveva ricevuto una serie stupefacente di grazie mistiche. Von Balthasar
si convinse della bontà di queste illuminazioni che indicavano la via della
chenosi come chiave della comprensione del mistero di Dio e della sua
opera creativa e salvifica.
Insieme, von Balthasar e Adrienne, diedero poi inizio a piccole comu-
nità poste sotto il patrocinio di san Giovanni, l'apostolo che nell'ultima ce-
na poggiò il capo sul cuore di Gesù.
Non vennero compresi. La dottoressa poteva far suo l'antico lamento
del beato cardinal Newm.an: «La Chiesa desidera le conversioni, ma poi
non sa che farsene». Il religioso dovette abbandonare l'amata compagnia,
cui fece immediatamente seguito un viaggio in Germania, al monastero di
Maria Laach, per rinnovare i voti, quindi dovette abbandonare la diocesi
di Basilea per essere incardinato, diversi anni dopo, a Coira. Da parte sua
si lasciò scappare solo qualche sommesso lamento che mai mise in dubbio
là sua obbedienza ecclesiale. Iniziò, invece, una sorta di pellegrinaggio del-
lo spirito per l'Europa alla ricerca dei luoghi della nuova presenza cristiana
nel mondo. Salì a Settignano sopra Firenze per incontrare don Divo Bar-
sotti, fu in corrispondenza con Chiara Lubich per informarsi sugli esordi
dei Focolari, ebbe contatti con l'Opera di don Escrivà de Balaguer, strinse
legami di amicizia con i discepoli di don Giussani.
Alla scrittura mai abbandonata affidò la spiegazione di questa sua ine-
sausta ricerca. Abbattere i bastioni era l'invito pressante ad abbandonare le
antiche fortezze per mostrare al centro del mondo la sorgente indifesa del-
1'amore, il cuore di Cristo che tutti vuole attirare e salvare. Solo l'amore è
credibile annunciava il secondo movimento, quello dell'edificazione di una
comunità cristiana basata esclusivamente sull'amore. Pubblicato nel 196.3,
in concomitanza con l'inizio del Vaticano II, il nuovo volume programma-
tico fu di stimolo per i padri. Al Concilio, tuttavia, von Balthasar, unico tra
i grandi teologi mitteleuropei, non venne invitato. Se ne restò nella sua Ba-
silea a portare avanti un'altra sfida, a scrivere la sua opera maggiore, la tri-
logia di Gloria, T eodrammatica, Teologica. Partiva dall'estetica, edificata
sul fondamento della bellezza di Dio, la sua gloria manifestata sul volto tu-
mefatto di Cristo in croce. Proseguiva con la drammatica, l'azione d'amore
avviata dal Padre con la generazione del Figlio e la creazione del mondo,
portata a compimento dal Figlio che per gli uomini discende nel mondo e
negli inferi prima che il Padre lo innalzi nuovamente alla sua destra. Con-
cludeva con la Logica che si interroga sulla verità del mondo e trova spie-
gazione e pienezza nell'amore dello Spirito.
Poi, nonostante le ripetute esclusioni, quando molti si precipitarono ad
abbandonare la Chiesa o a criticarla impietosamente, il solitario di Basilea
ricordò il caso serio del martirio, la sfida della fedeltà a Cristo e alla Chie-
sa. Come ricordava, però, lo stesso von Balthasar nel primo numero della
rivista Communio nel 1972: <<non si trattava di bravura, ma ora come sem-
pre del coraggio cristiano che rischia». Anche a costo di subire la sorte del
chicco di grano che solo dopo essere stato gettato nel terreno porta il suo
frutto.

Nota biografica
Elio Guerriero è curatore dell'edizione italiana delle opere di Hans Urs von
Balthasar presso Jaca Book.
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chiesa; 14: Teologia e magistero; 15: La missione alle genti; 16: Matrimonio e famiglia; 17:
Evangelizzazione; 18: Liturgia; 19: Credo in un solo Dio; 20: La pietà della chiesa; 21: Scienza e
comunicabilità della fede; 22: La problematica della morale cristiana; 23-24! Morte e morire; 25:
Creatore e signore del cielo e della terra; 26: La fedeltà; 27: Appanenere alla chiesa; 28:
Evangelizzazione e promozione umana; 29: Esegesi spirituale nella chiesa; .3 O: Esperienza religio-
sa; 31: Gesù Cristo «generato non fatt0»; 32: Comunità vive; 33: Sofferenza e guarigione; 34: La
morale cristiana; 35: I:eucarestia; 36: Diritt0 canonico; 37: Nato da Maria Vergine; 38: Giustizia e
Giustificazione; 39: I:evidenza interna della fede; 40: La penitenza; 41: La liturgia; 42-43: E il
Verbo si fece carne; 44: Catt0lici praticanti; 45: Il Demoniaco; 46: Educazione cristiana; 47 /48: La
storia della chiesa; 49: Fu crocifisso per noi; 50: Fortezza o violenza?; 51: Il matrimonio cristiano;
52: Il cristianesimo e le nuove religioni; 53: I:autorità del vescovo nella chiesa; 54: Il corpo; 55: La
discesa agli inferi; 56: La dottrina sociale e i diritti dell'uomo; 57: I consigli evangelici; 58: Parlare
di Dio; 59: Il sacerdote; 60: Paternità e misericordia; 61: La resurrezione; 62-63: Mistero e senso
della persona; 64: La cresima; 65: I: arte; 66: La Chiesa; 67: Catechesi e catechismi; 68: Pluralità e
pluralismo; 69: Ascese al cielo; 70: l:unzione degli infermi; 71: Redenzione e riconciliazione; 72: La
crisi contemporanea; 73: Siede alla destra del Padre; 74: Il lavoro dell'uomo; 75: I cristiani di fron-
te al potere; 76: La speranza cristiana; n: Rimetti a noi i nostri debiti; 78: Biologia e morale; 79:
Veni a giudicare i vivi e i morti; 80: L'infanzia; 81: L'eucaristia sacrificio di Cristo e del cristiano;
82: La preghiera del cristiano; 83-84: L'impegno del cristiano; 85: Credo nello Spirito Santo; 86:
Venga il tuo Regno; 87: Leggere la Sacra Scrittura; 88: Beati i poveri in spirito; 89: Famiglia cristia-
na; 90: I Laici nella Chiesa e nel mondo; 91: Credo la Chiesa «una»; 92: Beati i perseguitati; 93:
L'anima; 94: La verità; 95: Religiosità popolare e teologia popolare; 96: Santi e teologi; 97: La comu-
nione dei santi; 98-99: Riflessioni sul «Senso religioso»; 1DO: Cosmo e Creazione; 101: Cristianesimo
e/o Buddismo; 102: Beati i puri di cuore; 103: La remissione dei peccati; 104: Per costruire la pace;
105: Hans Urs von Balthasar; 106: La rivoluzione francese; 107: I miracoli; 108: L'immaginazione
religiosa; 109: La Resurrezione della carne; 110: Postmoderno? Il destino dell'uomo; 111: La mis-
sione di Cristo e del cristiano; 112: Identità e formazione del sacerdote; 113: Beati quelli che hanno
fame e sete della giustizia; 114: 25 anni dal Concilio. La riforma della Chiesa; 115: La vita eterna;
116: L'unità nella Chiesa universale. Il ministero del Papa; 117: Cento anni dalla Rerum Novanun.
Nuove frontiere della questione sociale; 118: Il peccato originale; 119: Beati gli afflitti; 120: Solo
l'amore è credibile; 121: Io sono il Signore Dio tuo; 122: La pedagogia cristiana; 123: Le chiese
orientali; 124: La nuova evangelizzazione; 125: Individualismo e solidarietà; 126: Henri de Lubac;
127: Non nominare il nome di Dio invano; 128: Il Catechismo della Chiesa cattolica; 129: I:azione
liturgica; 130: I:etica; 131: Beati i misericordiosi; 132: Romano Guardini; 133: Ricordati di santifi-
care la festa; 134: Identità nazionale e bene comune; 135: La spiritualità del cristiano; 136:
Comunicare la fede; 137: La carità; 13 8: Le scuole di teologia in Italia; 13 9: Onora il padre e la
madre; 140/141: Chiesa e arte; 142: Yves Congar; 143: La Fede; 144: Ordine politico e laicità; 145:
Non uccidere; 146: La gioventù e il senso della vita; 147: Il Cristianesimo e le religioni; 148: La spe-
ranza; 149: La Conferenza Episcopale Italiana; 150: «Donaci santi sacerdoti»; 151: Il sesto coman-
damento; 152: Gesù Cristo; 153: Il pellegrinaggio; 154/155: La malattia; 156: La prudenza; 157:
Non rubare; 158: Lo Spirito Santo;159: Il Lavoro; 160/161: Il Giubileo; 162: La classicità nella
scuola del 2000; 163: La fortezza; 164: Il Padre; 165: Non dire falsa testimonianza; 166: I sacra-
menti nella vita del cristiano; 167-168: I: umanesimo cristiano per il terzo millennio; 169: Non desi-
derare. IX e X Comandamento; 170: Eucaristia e Trinità; 171: La musica; 172/17.3: Perdono e giu-
stizia.; 174: La parola di Dio; 175/176: Ferdinand Ebner; 177: Il Diaconato; 178: La trasmissione
della fede; 179: Letterarura e Cattolicesimo; 180: Scienza e Fede; 181: I misteri della vita di Cristo;
182: La comunità cristiana; 18.3-184: I: amore custodisce la città; 185: La Provvidenza; 186: Nuove
forme di santità; 187: L'incarnazione; 188: Essere cristiani oggi; 189: Il Rosario; 190-191: Giovanni
Paolo IL 25 anni di pontificato; 192: Dio Soffre?; 193: La vita nascosta di Gesù; 194: La confessio-
ne; 195: La gioia; 1%-197: Abitare; 198: La vita consacrata; 199: Il battesimo di Gesù; 200 Europa
e Cristianesimo; 201: Dio è amore; 202: Creazione e dono; 203-204: Hans Urs von Balthasar; 205:
Le no= di Cana; 206: La dignità dell'uomo; 207: I:educazione negata; 208-209-210: La vita di
Dio per gli uomini; 211: I:annuncio del Regno; 212: I:inquietudine; 213: Cristo e le religioni; 214:
La fedeltà; 215: La trasfigurazione di Gesù; 216: Julien Ries; 217: La bellezza; 218: Mito vei:sus
Fantasy; 219: L'ingresso di Gesù a Gerusalemme; 220: l:azione sociale della Chiesa; 221: Gesù
Cristo Salvatore e Giudice; 222: La Paternità; 223: Il Mistero Pasquale; 224: Il mistero di Israele;
225: Il diritt0 naturale; 226: Credo la Chiesa; 227: Ascensione e Pentecoste; 228: Lavoro e creati-
.. ~ .. ~. ~~Cli.T _ /""L! ___ . . 1• ...... ,.,, -r - • ... -- - -

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