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Pasolini, intellettuale mimetico

Article · September 2013

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1 author:

Emanuela Patti
Royal Holloway, University of London
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ST UDI
PASOLINIANI
rivista inte rnazionale

7 · 2013

P I S A · R O MA
F A B RI Z I O SERRA E D I T O R E
MMXI I I
Autorizzazione del Tribunale di Pisa n. 13 del 20/03/2007
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(ordini a: fse@libraweb.net).
Il capitolo Norme redazionali, estratto dalle Regole, cit., è consultabile Online alla
pagina «Pubblicare con noi» di www.libraweb.net.
SOMMARIO

saggi
Guido Santato, Il futuro in Pasolini : un ‘non-tempo’
  11
Roberto Chiesi, Un ‘uomo nuovo’ del presente, ‘venuto su dal niente’. Pasolini e il
ritratto della borghesia nell’episodio contemporaneo di Porcile 23
Laureano Nuñez García, La diffusione e la traduzione della poesia di Pasolini
in Spagna 35
Mahmoud Jaran, Pasolini, Fanon e l’umanesimo transnazionale 49
Giovanna Trento, Il corpo popolare secondo Pasolini 65
Mathias Balbi, Fariseo quanto alla società. Pasolini e il sogno del San Paolo (1966-
1975) 79
Emanuela Patti, Pasolini, intellettuale mimetico 89

rassegna
Roberto Chiesi, Francesca Fanci, Lapo Gresleri, Bibliografia pasoliniana
internazionale (2007-2013) 103

recensioni
Adalberto Baldoni Gianni Borgna, Una lunga incomprensione. Pasolini fra
Destra e Sinistra, Firenze, Vallecchi, 2010 (Matteo Marelli) 143
In Danger. A Pasoliny Anthology, edited by Jack Hirschman, San Francisco, City
Lights Books, 2010 (Francesco Marco Aresu) 145
Hervé Joubert-Laurencin, « Salò ou les 120 journées de Sodome » de Pier Paolo
   

Pasolini, Paris, Les Editions de la Transparence, 2012 (Roberto Chiesi) 147


The scandal of Self-contradiction. Pasolini’s Multistable Subjectivities, Geographies,
Traditions, edited by Luca Di Blasi, Manuele Gragnolati and Christoph F. E.
Holzhey, Wien-Berlin, Turia-Kant, 2012 (Paolo Rondinelli) 149
Pier Paolo Pasolini, My Cinema, a cura di Graziella Chiarcossi e Roberto
Chiesi, Bologna, Edizioni Cineteca di Bologna, 2012 (Lapo Gresleri) 151
Pasolini a casa Testori. Dipinti, disegni, lettere e documenti, a cura di Giovanni
Agosti, Davide Dall’Ombra, Cinisello Balsamo, Casa Testori-Silvana Edito-
riale, 2012 (Roberto Chiesi) 152
Notizie 2012-2013 157
Tavola delle sigle 171
Norme redazionali della casa editrice 173
I testi pubblicati in «Studi pasoliniani», vol. 6 (2012), sono stati preventivamente esaminati e
valutati da Marco Antonio Bazzocchi, Gian Piero Brunetta, Roberto Calabretto, Stefano Casi,
Roberto Chiesi, Gian Carlo Ferretti, Massimo Fusillo, Hervé Joubert-Laurencin, Armando
Maggi, Rinaldo Rinaldi, Colleen-Ryan Scheutz, Guido Santato, e conseguentemente accettati
per la loro pubblicazione.
PASOLINI, INTELLETTUALE MIMETICO
Emanuela Patti

Nell’opera pasoliniana ‘mimesis’ è stato il concetto chiave per scardinare l’ordine simboli-
co borghese ed il neorealismo. Dalla letteratura al giornalismo tale desiderio mimetico si
è espresso come atto performativo con l’intento di mistificare le visioni aprioristiche della
realtà. In questo percorso Dante ha rappresentato il principale modello autoriale ispirando in
Pasolini la figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’. La sua doppia natura di auctor / actor
sintetizzava infatti quel rapporto dialettico con la realtà ricercato dallo scrittore impegnato
del dopoguerra. Se negli anni cinquanta Pasolini ha creduto possibile una forma di ‘realismo
dantesco’ basata su un plurilinguismo mimetico-regressivo, la crisi dell’ideologia e dello strut-
turalismo lo hanno di nuovo messo di fronte alla natura schizofrenica del suo Sé autoriale,
irrimediabilmente diviso tra auctor e actor.
In Pasolini’s work ‘mimesis’ has been the key-concept used to disrupt the bourgeois symbolic order and
Neo-realism. From literature to journalism this mimetic desire has been expressed as a performative act
with the aim to mystify aprioristic visions of reality. Along this way Dante represented the main au-
thorial model for Pasolini and inspired the figure of the ‘mimetic poet/intellectual’. His double nature
as auctor / actor synthesized indeed the dialectical relationship with reality which committed writers
sought in post-war times. Yet, if in the 1950s Pasolini believed in the possibility to realize a ‘Dantean re-
alism’ based on a mimetic-regressive plurilingualism, the crisis of ideology and structuralism made him
face the schizophrenic nature of his authorial Self, irremediably divided between auctor and actor.

C ome ricorda René Girard nell’introduzione di un suo saggio del 1982, Peter’s de-
nial and the question of mimesis, almeno fino al postmoderno il principio teorico
di base della creazione estetica, mimesis (imitazione della realtà), è stato il significan-
te numero uno della teoria letteraria occidentale. 1 Numerose sono state tuttavia le
metamorfosi che ha subito il significato attribuito al termine. Per Platone il processo
artistico di imitazione era copia di una copia, essendo già la realtà percepita come
una falsa illusione, mentre per Aristotele la mimesis era invece essenzialmente dram-
matica e teatrale : di fatto, il mimo era un attore che imitava l’azione e il discorso di

un altro. 2 Diversamente, in fasi storico-culturali successive, come nel Rinascimen-


to, gli scrittori occidentali preferirono piuttosto imitare i loro predecessori greci e
romani ritenendosi a loro inferiori. Nel guardare a questa evoluzione nel corso del
tempo, Girard sottolinea come nel xix secolo l’associazione di mimesis con l’estetica
del ‘realismo’ e del ‘naturalismo’ abbia avuto origine dalla richiesta della classe me-

Emanuela Patti, Italian Studies, Department of Modern Language, Ashley Building, University of Bir-
mingham, Edgbastan, Birmingham, B15 2TT, empatti@gmail.com
1
  Cfr. René Girard, Peter’s denial and the question of mimesis, « Notre Dame English Journal », 14, 3, 1982,
   

pp. 177-189 : p. 177.


2
  Pur condividendo l’idea che la pura mimesis fosse quella in cui il poeta cancella completamente la sua
voce e rappresenta l’azione solo nelle voci imitate dei personaggi, Platone credeva che questo processo
imitativo avesse un impatto negativo sulla società e non fosse dunque da incoraggiare (iii libro della Re-
pubblica), mentre Aristotele sosteneva il suo valore ludico e pedagogico. Per ulteriori approfondimenti, cfr.
Federico Bertoni, Realismo e letteratura. Una storia possibile, Torino, Einaudi, pp. 37-55.
90 emanuela patti
dia borghese di avere un’arte che rispecchiasse la sua percezione del mondo, il suo
interesse per gli oggetti materiali ; quindi, una letteratura in cui gli scrittori dovevano

mirare ad una rappresentazione fedele di una presunta ‘realtà’. 1


La prospettiva girardiana sulla differenza tra mimesis e realismo è qui utile per
comprendere in che modo, nell’accezione pasoliniana, mimesis sia stato piuttosto il
concetto chiave per scardinare proprio l’ordine simbolico borghese a partire dai suoi
linguaggi, generi e media fino alla sua visione del mondo. 2 In linea con Aristotele,
piuttosto che con Platone, per Pasolini mimesis è performatività ed immedesima-
zione nell’altro ed in letteratura si traduce nel rifiuto del realismo rappresentativo
e della « suggestione formale ». 3 Ecco, dunque, che la ‘performatività’ pasoliniana si
   

esprime nelle più varie modalità di rappresentazione e del discorso : da quelle let-  

terarie della poesia e della narrazione mimetica (uso dei dialetti, discorso indiretto
libero) alle soluzioni meta-narrative adottate nelle arti propriamente performative
(cinema, teatro), nel suo giornalismo e nelle sue opere postume.
Se l’idea pasoliniana di mimesis è stata, in modi diversi, una costante nella sua poe-
tica, le forme di realismo in cui essa si è di volta in volta incarnata non hanno invece
avuto un’‘identità discorsiva stabile’. Come ha giustamente messo in evidenza Mau-
rizio Viano in A certain realism. Making use of Pasolini’s film theory and practice, Pasolini
ha attraversato come un pirata le posizioni discorsive della modernità ; 4 e così ha  

fatto la sua nozione di ‘realismo’ che si è sviluppata insieme alle categorie estetiche
ed epistemologiche da lui adottate nel corso della sua carriera (stilistica, marxismo /
gramscismo, linguistica strutturale, semiologia, ecc.). Il concetto di realismo pasoli-
niano ha infatti subito le metamorfosi più diverse : prima influenzato dalla stilistica di

Gianfranco Contini, ha seguito il modello del plurilinguismo dantesco reinterpretato


alla luce dell’ideologia gramsciano-marxista ; si è successivamente incarnato nel re-

alismo figurale e creaturale di Auerbach come migliore espressione nel suo cinema,
proprio quando lo strutturalismo stava discreditando il suo realismo mimetico in
letteratura ; infine, è stato ripensato in chiave cognitivista (Petrolio è probabilmente

il migliore esempio di questa prospettiva). A partire da questi modelli culturali, per


Pasolini mimesis è stato di fatto sinonimo di imitazione di una realtà ‘altra’ ed esclusa,
desiderio di regressione nell’altro (il mondo di Casarsa, quello delle borgate, il Terzo
Mondo), superamento del medium per una partecipazione corporea alla realtà fisica
e sensuale. In breve, assumendo un foucaultiano ‘atteggiamento limite’, 5 per Pasolini
1
  Cfr. René Girard, Peter’s denial, cit., p. 177.
2
  Da un punto di vista terminologico, nell’opera pasoliniana le espressioni ‘mimesis’ e ‘realismo’ sono
spesso confuse, almeno fino alla prima metà degli anni sessanta. Questo è in parte dovuto al fatto che negli
anni cinquanta questi concetti erano spesso interscambiati e ad oggi la loro differenza si presta a frainten-
dimento nella teoria letteraria. Non a caso, la traduzione italiana dell’opera di Erich Auerbach, Mimesis.
Die Dargestellte Wirklichkeit in abenländishen Literatur in Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, è un
chiaro esempio dell’ambiguità semantica tra ‘realtà rappresentata’ e ‘realismo’. Se con ‘mimesis’ Auerbach
intendeva mettere in evidenza l’evoluzione del significato del processo di imitazione della realtà (di fatto, la
‘realtà rappresentata’), la traduzione del titolo con ‘realismo’ (Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale)
associava quest’opera ad una più ideologica interpretazione della realtà.
3
  Cfr. Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Torino, Bollati Boringhieri,
1998, p. 16.
4
  Cfr. Maurizio Viano, A certain realism. Making use of Pasolini’s film theory and practice, Berkeley and Los
Angeles, University of California Press, 1993, p. xi.
5
  Con ‘atteggiamento limite’ faccio riferimento all’atteggiamento critico suggerito da Foucault nel suo
pasolini, intellettuale mimetico 91
il concetto di mimesis è stato il principio guida per costruire e decostruire, in un’in-
stancabile sperimentazione attraverso diversi linguaggi, generi e media, i concetti di
‘realismo’, ‘realtà’ e ‘linguaggio’ del suo tempo.
Nonostante la centralità del paradigma ‘mimesis vs. realismo’ nella poetica pasoli-
niana e il ruolo fondamentale giocato da Contini e Auerbach in questo contesto, fino
ad oggi la maggior parte del lavoro critico si è concentrato su quelle che sono appar-
se singolarmente, alle diverse “comunità interpretative” degli ultimi sessanta anni, 1
come le più esplicite manifestazioni del suo ‘realismo’, utilizzando, in diversi casi, le
stesse categorie epistemologiche che Pasolini tentava di scardinare : innanzitutto, i  

romanzi romani, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), principalmente con-
siderati nel contesto di un dibattito su letteratura e marxismo negli anni cinquanta
e sessanta e successivamente in relazione ai suoi film e la relativa teoria sul cinema
come ‘lingua scritta della realtà’, 2 alla luce del dibattito sulla semiotica, la psicoanalisi
lacaniana e le teorie post-marxiste. Più recentemente, la rilevanza dell’eredità auer-
bachiana nell’opera pasoliniana è emersa in tre importanti studi, 3 suggerendo che
un’attenta analisi filologica, una ‘microscopia filologica’ per dirla come Ernst Ro-
bert Curtius, può aiutare a ricostruire ed enfatizzare l’influenza di Mimesis sull’ope-
ra pasoliniana. Una disamina dell’evoluzione del concetto pasoliniano di ‘realismo’
sarebbe dunque incompleta senza considerare la sua saggistica critica. Non a caso, è
stato solo dopo la pubblicazione di alcuni scritti inediti come, per esempio, Dante e i
poeti contemporanei (1965), ora incluso nei Meridiani Mondadori curati da Walter Siti
e Silvia De Laude, che è stato possibile ricostruire il discorso pasoliniano sulla ‘realtà
rappresentata’.
In questo percorso appena delineato Dante è stato il principale modello autoriale
per Pasolini ispirando la figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’. Nel contesto sto-
rico dell’Italia del dopoguerra, il poeta della Commedia ha rappresentato l’ideale pro-
totipo del poeta popolare che si muoveva tra le due culture, quella popolare e quella
borghese, e che poteva dunque colmare la distanza esistente tra cultura e popolo, tra
conoscenza e vita popolare. La sua doppia natura di auctor/actor sintetizzava inoltre
quel rapporto dialettico ricercato dallo scrittore impegnato del dopoguerra, conteso
tra estetica crociana e materialismo storico, tra teoria e prassi, tra ruolo trascenden-
tale e partecipazione fisica nella realtà. Una sintesi che, in Pasolini, non è tuttavia
sopravvissuta alla crisi dell’ideologia e dello strutturalismo : se negli anni cinquanta

celebre Qu’est-ce que Les Lumières (1984), che concentrandosi sulla mutua interazione tra la verità di ciò che
è reale e l’esercizio della libertà va oltre l’alternativa fuori-dentro ed analizza e riflette sui limiti : in ciò che

ci viene dato come universale, necessario, obbligatorio, che posto occupa ciò che è singolare, contingente
ed è il prodotto di vincoli arbitrari ? Cfr. Michel Foucault, Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste.

1978-1985, a cura di A. Pandolfi, traduzione di S. Loriga, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 9.


1
  Cfr. Stanley Fish, Interpreting the Variorum, in Modern criticism and theory : a reader, a cura di David

Lodge, Harlow, Longman, 1988, pp. 311-329 : p. 304.


2
  Cfr. Pier Paolo Pasolini, La lingua scritta della realtà, sla i, pp. 1503-1540.
3
  I tre studi seguenti sono parte di un importante volume di atti del convegno sull’eredità di Auerbach
tenuto nel 2007, dal titolo Mimesis. L’eredità di Auerbach. Atti del xxxv Convegno Interuniversitario (Bres-
sanone - Innsbruck, 5-8 July 2007), a cura di Ivano Paccagnella, Elisa Gregori, Padova, Esedra, 2009 : cfr.  

Corrado Bologna, Le cose e le creature. La divina e umana Mimesis di Pasolini, in Mimesis. L’eredità di Auer-
bach, cit., pp. 445-466 ; Silvia De Laude, Pasolini lettore di Mimesis, ivi, pp. 467-482 ; Lisa Gasparotto, Anna
   

Panicali, Conversazione su Auerbach e Pasolini, ivi, pp. 483-508.


92 emanuela patti
la figura del poeta/intellettuale mimetico aveva potuto condensare quel progetto
ideologico del plurilinguismo che andò dalle antologie ai romanzi romani, a partire
dai primi anni sessanta, guardandosi allo specchio come fece ne La volontà di Dante a
essere poeta (1965) e La Divina Mimesis (1975), quella stessa figura non poté che risco-
prirsi irrimediabilmente dissociata. A quel punto, Pasolini si sarebbe riconosciuto
solo nella figura di actor inscenando invece una serie di morti simboliche e demisti-
ficazioni per la sua controparte autoriale, l’auctor. È a partire da questa prospettiva
che prenderò ora in considerazione alcune fasi del percorso autoriale pasoliniano in
nome di Dante.
Come anticipato, Pasolini non si identificò né con il neorealismo né con il realismo
di Lukács, ma, almeno negli anni cinquanta, si impegnò ad elaborare un nuovo reali-
smo letterario in modo tanto originale quanto complesso per via della sua articolata
riflessione ideologica e meta-linguistica. Condividendo con queste culture solo la
motivazione iniziale, ovvero dare voce al mondo degli umili, il realismo pasoliniano
prendeva piuttosto le mosse dalla Stilkritik, trovando, in particolare, in un saggio di
Contini, Preliminari sulla lingua del Petrarca (1951), e nella sua precedente Introduzione
alle Rime (1939) di Dante la sua principale fonte d’ispirazione. Come ricorda Pasolini
in un’intervista radiofonica del 1965, Dante e i poeti contemporanei,
C’è stata negli anni cinquanta, presso un gruppo di addetti ai lavori, molto impegnati in que-
sto, sulla scorta di un ormai famoso saggio di Contini, una specie di assunzione di Dante
a simbolo. Il suo plurilinguismo, le sue tecniche poetiche e narrative, erano forme di un
realismo che si opponeva, ancora una volta, alla Letteratura. Sicché io, nel mio operare di
quegli anni, avevo in mente Dante come una specie di guida, la cui lezione, misconosciuta o
mistificata nei secoli, era ricominciata ad essere operante con la Resistenza. Ora quell’idea di
realismo degli anni cinquanta pare ed è superata e con essa si stinge l’interpretazione dante-
sca della ‘compagnia picciola’ che dicevo. 1
Consacrando il noto paradigma letterario ‘dantismo vs. petrarchismo’, il testo con-
tiniano inaugurava per Pasolini ed altri suoi illustri contemporanei, quali Edoardo
Sanguineti e Franco Fortini, una fase di ‘realismo dantesco’, basato su un plurilin-
guismo che si opponeva allo stile assoluto, selettivo e puro del monolinguismo di
Petrarca. Non si trattava, tuttavia, di una semplice questione di stile fine a se stessa,
bensì di un’opportunità che Contini offriva agli scrittori del dopoguerra per ripen-
sare politicamente il rapporto tra realtà e linguaggio in un momento storico in cui
l’emergere dei dialetti presentava una situazione di plurilinguismo simile a quella
vissuta dal poeta della Commedia. 2 Come sottolineano Fortuna, Gragnolati e Trabant

1
  Pier Paolo Pasolini, Dante e i poeti contemporanei, sla i, pp. 1648-1649.
2
  Come ha enfatizzato Zygmunt Barański nel suo saggio seminale The power of influence (1986), in un
contesto culturale fortemente influenzato dalla dialettica marxista e dal materialismo storico, la lingua di
Dante – sperimentale, auto-riflessiva, strutturalmente e linguisticamente eclettica – era dunque esempio
di una critica culturale anti-fascista verso il soggettivismo estremo, l’individualismo e lo stile assoluto, tra-
dizionalmente associati all’Ermetismo ed al Simbolismo degli anni venti e trenta. Rispetto a questa linea
petrarchesca della tradizione italiana, per gli intellettuali del dopoguerra Dante rappresentava il poeta della
ragione, dell’oggettività, dello sperimentalismo e della riflessione critica del reale, concetti già in parte
introdotti nella precedente ‘Introduzione’ continiana alle Rime dantesche (1939). Cfr. Zygmunt Barański,
The power of influence. Aspects of Dante’s Presence in Twentieth-Century Italian Culture, « Strumenti Critici », i,
   

3, 1986, pp. 343-375.


pasolini, intellettuale mimetico 93
nel loro recente Dante’s Plurilingualism : Authority, Knowledge, Subjectivity, Dante è sta-

to infatti il primo pensatore europeo della diversità linguistica :  

nobody before Dante – ‘nemo ante nos’ – has dealt with linguistic diversity in such an elabo-
rate way or developed such a deep understanding of the historicity and variability of langua-
ge, because nobody before Dante – ‘nemo ante nos’ – has lived the problem of the plurality
of languages in such a vital way as Dante’. 1
È a partire da questa prospettiva che Pasolini delinea, in una sua personale elabo-
razione ideologica del plurilinguismo di Dante, la figura del’‘poeta / intellettuale
mimetico’. L’espressione viene usata la prima volta solo nel 1965, 2 ma il concetto era
stato già elaborato nell’opera pasoliniana dai primi anni cinquanta. Mettendo insie-
me il plurilinguismo di Dante con la questione dell’alterità in termini di ideologia
gramsciano/marxista, per Pasolini il plurilinguismo dantesco significò innanzitutto
mimesis della lingua e delle modalità espressive dell’altro attraverso una ‘regressione/
oggettivazione’ di sé nel parlante. Si trattava di una vera e propria sfida nei confronti
delle strutture retoriche della cosiddetta ‘Lingua del Padre’, 3 ovvero quella borghese,
e reinterpretava il ruolo dello scrittore realista in termini nuovi rispetto al neoreali-
smo. Per quanto, infatti, dai tempi di Dante il neorealismo letterario fosse il primo
movimento letterario a dare una forma scritta all’italiano parlato e ai dialetti, come
ricorda Calvino nella prefazione dell’edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno,
gli scrittori neorealisti furono di fatto dei formalisti compulsivi. 4 Non diversamente,
come sottolinea Walter Pedullà, il realismo socialista non si era dimostrato troppo
favorevole verso lo sperimentalismo linguistico, 5 caratteristica, invece, fondamentale
del ‘realismo dantesco’. Contrariamente a queste posizioni, Pasolini si preoccupò di
portare la lotta di classe nel cuore della lingua borghese mettendo a fuoco le implica-
zioni sociali ed ideologiche della contaminazione linguistica tra lingua/cultura alta
e lingua/cultura bassa.
La figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’, associata all’idea di mimesis come re-
gressione/oggettivazione del sé nel parlante, emerge già nel lavoro delle antologie
Poesia dialettale del Novecento (1952) e Poesia popolare italiana (1955), scritte mentre Pa-
solini era impegnato contemporaneamente a tradurre gli stessi concetti sul piano ar-
tistico nel suo primo romanzo romano, Ragazzi di vita (1955) ed, in poesia, ne Le ceneri
di Gramsci (1957). 6 Le due antologie sono ispirate rispettivamente al plurilinguismo
dantesco e alla figura di poeta/intellettuale popolare, in cui è facile, ancora una volta,
rinvenire l’esempio di Dante. 7 Nella prima antologia, Poesia dialettale del Novecento,
1
  Sara Fortuna, Manuele Gragnolati, Jürgen Trabant, Dante’s Plurilingualism : Authority, Knowled-

ge, Subjectivity, Oxford, Legenda, 2010, p. 3.


2
  Cfr. Pier Paolo Pasolini, Intervento sul discorso libero indiretto, sla i, p.1364.
3
  Cfr. Stefano Agosti, La parola fuori di sé, San Cesario di Lecce, Manni, 2004, p. 46.
4
  Cfr. Italo Calvino, Prefazione, in Idem, Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1971, pp. 9-10.
5
  Cfr. Walter Pedullà, La letteratura del benessere, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1968, p. 64.
6
  L’influenza continiana nell’opera di Pasolini è rinvenibile già a partire dagli anni quaranta. A quest’al-
tezza il magistero continiano fu tradotto soprattutto nei termini di un anti-petrarchismo, inteso come
un’espansione della lingua poetica in direzione della realtà e maggiore ricerca di un senso di oggettività e
plasticità nelle immagini. Cfr. Emanuela Patti, Forme di dantismo e antipetrarchismo nella poetica pasolinia-
na degli anni quaranta, « Letterature Straniere » (Quaderni della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere
   

dell’Università di Cagliari), vol. 13, Roma, Aracne, novembre 2011, pp. 269-280.
7
  Non a caso, quando in Poesia popolare italiana Pasolini descrive il ‘poeta popolare’, il migliore esempio
94 emanuela patti
il concetto di mimesis sottende una prima demistificazione del realismo, ovvero il
falso pregiudizio che questo coincida con il dialetto. Scrivere in dialetto o avere come
oggetto della propria poesia il popolo non vuol dire necessariamente ‘realismo’, se
la lingua riflette la visione borghese o aristocratica del poeta. Di fatto, l’equazione
popolare/realistico non ha un valore assoluto, proprio perché il popolo non si auto-
rappresenta non avendo una coscienza sociale e poetica. Non era realismo dunque
se ai poeti mancava esperienza diretta e la loro poesia usava descrizioni ed immagini
poetiche aprioristiche della realtà ; in questi casi, si trattava piuttosto di quella che

Fortini definì la « coltivazione artificiale dei dialetti », 1 fatta di caricature e traduzioni


   

dall’italiano al dialetto.
Per Pasolini questa falsa concezione del realismo fu un principio chiarissimo sin
dalle sue prime esperienze dirette nelle borgate romane. Quattro mesi dopo il suo
trasferimento a Roma nel 1950, egli pubblicò su Il Quotidiano un articolo dal titolo
Romanesco 1950 in linea con la ricerca di quegli anni. L’intento era quello di dimostrare
che l’effetto di pastiche realizzato in molta letteratura contemporanea, come nei film
neorealisti in cui il dialetto romano era diventato « colonna sonora », 2 era lontano
   

da un’operazione mimetica, quindi non era ‘realmente’ popolare. Prendendo, nello


specifico, l’esempio di Tormarancio di Dell’Arco, considerato uno dei migliori esempi
del dialetto romano del xx secolo, Pasolini sosteneva che si trattasse di fatto di lin-
gua colta, ovvero quanto di più lontano da una ‘reale’ mimesis, in quanto « preziosità  

linguistica proprio italianeggiante, di gusto novecentesco, ricerca di parole rare, an-


tiquate, da incastonarsi in un tessuto linguistico assai limpido, tanto da giungere così
al pastiche ». 3 In altre parole, secondo l’autore mancava in Dell’Arco « l’oggettivazione
   

di sé nel parlante della borgata : l’immedesimazione, per esprimerci con un termine


più corrente », anche definito come « un ultimo e decisivo sforzo di pietà ». 4


     

In questo articolo, così come in Poesia dialettale del Novecento, Pasolini interpreta
dunque il plurilinguismo dantesco come identificazione ed empatia nei confronti del
parlante : il bilinguismo non era solo una differenza linguistica, ma innanzitutto una

differenza socio-culturale e psicologica esistente tra il poeta borghese di cultura alta


ed il popolo di cultura bassa. Lontani, dunque, dall’operazione documentaria del Ve-
rismo, le migliori forme di plurilinguismo per Pasolini erano quelle in cui la contami-
nazione tra queste due culture, prima ancora che tra le due lingue (italiano e dialetto)
avveniva attraverso una regressione sociale ed emotiva del poeta borghese nella re-
altà dell’altro (il popolo), 5 così da poter esprimere ciò che sfugge dalle consuete rap-
presentazioni borghesi del popolare – ovvero quel nucleo irrazionale di sacralità che

che trova è proprio quello del poeta del Trecento in grado di colmare distanza tra cultura alta e bassa,
creata di fatto quando nel xiv e xv secolo l’élite letteraria e filosofica si era separata dalla borghesia com-
merciale, manifatturiera e finanziaria. Come specifica Pasolini, il poeta popolare appartiene alla cultura in
evoluzione della borghesia, così come a quella tradizionale del popolo (Cfr. Pier Paolo Pasolini, Poesia
popolare italiana, sla i, p. 888).
1
  Cfr. Franco Fortini, Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 8.
2
  Cfr. Pier Paolo Pasolini, Romanesco 1950, sla i, p. 341.
3 4
  Cfr. ivi, p. 341.   Cfr. ivi, p. 343.
5
  Come Pasolini ebbe già modo di spiegare in un suo articolo del 1951, Dialetto e poesia popolare, per ri-
scattare il senso più profondo dell’esperienza dialettale, il poeta doveva compiere una doppia operazione :  

« un regresso che il poeta per simpatia compirebbe nell’interno del parlante inconsapevole, e un recupero

verso il livello della coscienza » (cfr. Pier Paolo Pasolini, Dialetto e poesia popolare, sla i, p. 375).

pasolini, intellettuale mimetico 95
oggi definiremmo il ‘vero’ Reale in termini lacaniano/žižekiani. Allo stesso modo,
l’imitazione letteraria e linguistica doveva essere strettamente legata all’esperienza
fisica dell’altro (in quell’« agnizione dell’altrove » ben descritta da Vighi), 1 in modo da
   

restituire ai versi il senso della partecipazione alla dimensione concreto-sensuale del-


la realtà. Il caso di Gioachino Belli è in questo senso paradigmatico : 2 come Pasolini  

avrebbe ulteriormente chiarito nell’Introduzione a Il fiore della poesia romanesca (1952)


di Leonardo Sciascia, nel poeta romano fondamentale era la differenza tra ‘essere in
un ambiente’ ed ‘esistere in un ambiente’. In quest’ultimo caso, la connessione con la
realtà del luogo e delle persone, prima ancora che essere linguistica, non poteva che
essere di natura sentimentale e necessariamente esperita dal contatto fisico e diretto
con essa. Per Pasolini questo era l’unico modo per sfuggire da immagini astratte o
stereotipate della realtà.
Rileggere il ‘realismo’ di Ragazzi di vita in questa prospettiva non può che confer-
mare quanto questo fosse non solo estraneo alla cultura del neorealismo, ma asso-
lutamente coerente con quell’idea di mimesis che Pasolini aveva teorizzato nei suoi
scritti critici della prima metà degli anni cinquanta : espressione di quel desiderio

mimetico che univa senso di empatia, come profonda ‘connessione sentimentale’ o


‘pietà’ per il sottoproletariato delle borgate e motivazione ideologica, come atto per-
formativo di superamento della barriera retorico-linguistica tra l’autore e l’oggetto
del desiderio. Un’empatia realmente vissuta da Pasolini nei suoi primi mesi romani,
ma anche manifestazione di un eros provato per queste figure ai margini della società
che finalmente poteva esprimersi liberamente dopo i tempi di Casarsa. Ecco allora il
senso di quel plurilinguismo che nasceva dall’esperienza in loco della lingua dell’altro,
secondo l’esempio di Belli citato in Romanesco 1950, 3 ma che a questo aggiungeva un
trasgressivo desiderio fisico di ‘oggettivazione del sé nell’altro’. Come Pasolini scrive
a tale proposito in Il metodo di lavoro :  

è chiaro che ogni autore che usi una lingua “parlata”, magari addirittura allo stato naturale
di dialetto, deve compiere questa operazione esplorativa e mimetica di regresso – come
accennavo – sia nell’ambiente che nel personaggio, in sede, cioè, sia sociologica che psico-
logica. Vista marxisticamente la cosa si presenta come una regressione più che da un livello
culturale a un altro, da una classe all’altra. Io mi sento assolto in questa operazione da ogni
possibile accusa di gratuità, o cinismo, o dilettantismo estetizzante per due ragioni : la pri-  

ma, di tipo, diciamo, morale (riguardante cioè il rapporto tra me e le persone particolari
dei parlanti poveri, proletari o sottoproletari) è che, nel caso di Roma, è stata la necessità
(fra l’altro la mia stessa povertà sia pure di borghese disoccupato) a farmi fare l’esperienza
immediata, umana, come si dice, vitale, del mondo che ho poi descritto e sto descrivendo.
Non c’è stata scelta da parte mia, ma una specie di coazione del destino : e poiché ognuno  

testimonia ciò che conosce, io non potevo che testimoniare la « borgata » romana. Alla co-
   

azione biografica si aggiunge la particolare tendenza del mio eros, che mi porta inconscia-
mente, e ormai con la coscienza dell’incoscienza, a evitare incontri che causino possibili

1
  Cfr. Fabio Vighi, Le ragioni dell’altro. La formazione intellettuale di Pasolini tra saggistica, letteratura e
cinema, Ravenna, Longo, 2001, p. 201.
2
  In Poesia dialettale del Novecento Pasolini sottolinea che il poeta romano era in grado di rappresentare
« una Roma reale » perché « svolgendosi la reale esistenza di Roma, come in qualsiasi altra città italiana,
     

dentro il rione, è nel rione che il Belli compie il regresso nel suo parlante pigro e collerico, esibizionista e
filosofo » (Cfr. Pier Paolo Pasolini, Poesia dialettale del Novecento, sla i, p. 772).

3
  Cfr. Pier Paolo Pasolini, Romanesco 1950, sla i, p. 778.
96 emanuela patti
(e sia pur molto leggeri, come m’insegna l’esperienza), traumi di sensibilità borghese, o di
borghese conformismo. 1
Non stupisce dunque che fu lo scandalo la principale reazione della critica. Dietro
l’apparenza di un’operazione letteraria in nome di Dante e di un’impostazione ideo-
logica in nome di Gramsci, di fatto Ragazzi di vita portava il segno evidente di quello
che Adorno definisce il « tabù mimetico ». 2 Era il sintomo di un represso sociale che,
   

non a caso, molti critici si affrettarono ad etichettare come un profondo attaccamen-


to verso gli aspetti più osceni dell’umanità. La critica si divise, infatti, principalmente
su due posizioni : quella che definì il romanzo « morboso » o « Cuore in nero » (Emilio
         

Cecchi, 1955) – « un gusto morboso dello sporco, dell’abbietto, dello scomposto e del

torbido » (Carlo Salinari, 1955) ; « morboso compiacimento degli aspetti più torbidi
     

di una verità complessa e multiforme » (Giovanni Berlinguer, 1956) – e quella che lo


definì come espressione di un amore per le borgate – « un’imperterrita dichiarazione  

d’amore » (Contini, 1955). 3


Questo suggerisce che persino ad un livello simbolico-linguistico il desiderio mi-


metico di oggettivazione di sé nell’altro era socialmente e moralmente inaccettabile
per il canone letterario del tempo. Eppure, proprio in questo consisteva il valore po-
litico del linguaggio in Ragazzi di vita : mettere in atto un’operazione completamente

trasgressiva rispetto alla visione della realtà comunemente accettata, o attesa, come
nel caso dei comunisti ortodossi, e rompere, di conseguenza, con un certo ‘reali-
smo’. In altre parole, in Ragazzi di vita mimesis rendeva il desiderio di oggettivazione
nell’altro epitome di una realtà sociale sepolta, quella del sottoproletariato, e faceva
emergere attraverso le sue immagini l’esperienza visiva, acustica, olfattiva, tattile di
quella realtà. In questo modo, Pasolini liberava il represso, il cosiddetto Reale laca-
niano/žižekiano, inaccettabile nella società, così come nel linguaggio. La battaglia
linguistica era dunque una battaglia civile e sociale e dietro il formalismo della lingua
borghese, la Lingua del Padre, Pasolini colpiva il cuore di quella cultura fascista e
democristiana che aveva represso il suo ‘osceno’ desiderio mimetico. Un paio di anni
dopo, ne Il metodo di lavoro, avrebbe infatti giustificato la sua operazione linguistica
nei seguenti termini :  

Perché questa selezione linguistica mimetizzante ? Per poter dare, come scriveva Contini,

“un’imperterrita dichiarazione d’amore”. Il fondo sentimentale e umanitario, appartiene è


vero, alla mia preistoria : ma, si dice, “la nostra storia è tutta la storia” e io aggiungerei “an-

che la preistoria”. Il mio realismo io lo considero un atto d’amore : e la mia polemica contro  

l’estetismo novecentesco, intimistico e para-religioso, implica una presa di posizione politica


contro la borghesia fascista e democristiana che ne è stata l’ambiente e il fondo culturale. 4
Nella carriera pasoliniana Ragazzi di vita rappresenta la più compiuta realizzazione
formale di quella illusione letteraria della mimesis, paradosso che non tardò a rivelare
i suoi limiti, in quanto esercizio filologico forzato ed innaturale. Contrariamente

1
  Idem, Il metodo di lavoro, in Ragazzi di vita, Torino, Einaudi, 1972, p. 209.
2
  Theodor w. Adorno, Teoria estetica, Torino, Einaudi, 2009, pp. 58-59.
3
  Cfr. Emilio Cecchi, Romanzi e novelle, « Corriere della sera », 28 giugno 1955 ; Carlo Salinari, Re-
     

censione a Ragazzi di vita, « Il contemporaneo », 5 luglio 1955 ; Giovanni Berlinguer, Il vero e il falso delle
     

borgate di Roma, « L’Unità », 29 luglio 1956 ; Gianfranco Contini, Parere su un decennio, « Letteratura », 17-18,
         

4
settembre-ottobre 1955.   Pier Paolo Pasolini, Il metodo di lavoro, cit., p. 210.
pasolini, intellettuale mimetico 97
alle aspettative, il secondo romanzo romano, Una vita violenta (1959), non ebbe lo
stesso impatto scandalistico, segnale di un’ « istanza progressiva », 1 di un certo com-
   

promesso con l’ordine simbolico borghese. Nella sua evoluzione morale e politica,
Tommaso Puzzilli rappresentava di fatto l’integrazione culturale e linguistica del
sotto-proletariato nella piccola borghesia perdendo automaticamente la sua natura
‘Reale’, in quanto propria dell’altro. Non troviamo infatti, né sul piano narrativo né
su quello socio-culturale, quella stessa resistenza alla borghesizzazione che Pasolini
aveva invece enfatizzato nei suoi ragazzi di vita.
Non a caso, l’anno successivo il poeta avrebbe dichiarato ufficialmente la morte di
quello « stile mimetico e oggettivo - la grande ideologia del reale » che aveva guidato
   

la sua attività critica ed artistica per tutto il decennio. 2 La sera del 27 giugno, durante
la presentazione dei finalisti del Premio Strega, vinto poi da Carlo Cassola con La
ragazza di Bube, Pasolini lesse un poemetto ispirato all’orazione funebre del Mar-
cantonio shakespeariano, In morte del realismo, che puntava il dito contro tutti que-
gli scrittori che, sottovalutando il potere politico rivoluzionario del plurilinguismo,
l’avevano rinnegato per le ragioni del bello stile. Con i suoi toni drammatici, l’invet-
tiva pasoliniana inscenò la morte dello « stile misto, difficile, volgare », il quale « diede
     

alla lingua un numero infinito di parole che di nuovi apporti di realtà riempirono il
vuoto senile dell’Erario » ; 3 in realtà, il vero tradimento di quel progetto mimetico era
   

stato compiuto da Pasolini stesso con il romanzo tout court e con la lingua scritta. Era
quella la vera morte simbolica che veniva celebrata in quella solenne occasione.
L’associazione realismo-romanzo e realismo-lingua italiana emerge chiaramente
nel lapsus della seconda edizione del testo, nel quale Pasolini scrisse « sono qui a  

seppellire il romanzo italiano » invece di « il realismo » e poche righe dopo « son venuto
       

io qui a parlare della morte della lingua italiana » e non « del realismo italiano », come
     

venne pubblicato nell’ultima versione. L’identificazione non poteva essere più sinto-
matica : il romanzo e la lingua italiana erano, come il realismo, delle strutture formali

borghesi, nella fattispecie proprio quelle strutture che Pasolini intendeva scardinare
con una ‘diversa’ interpretazione di mimesis. La contraddizione del progetto mime-
tico pasoliniano risiedeva dunque nel voler ‘formalizzare’ nella struttura retorica del
romanzo borghese qualcosa che per come era concepita non poteva che eludere
qualunque integrazione al suo ordine simbolico. Con In morte del realismo Pasolini
dichiarava dunque la fine di « quell’idea di realismo degli anni Cinquanta » che aveva
   

creduto possibile ‘incorporare’ il Reale nella forma romanzo. 4


Se da un lato questo poemetto segna quel passaggio dalla letteratura al cinema che
negli anni di Officina (1955-1959) era già stato in qualche modo anticipato dalla scoper-
ta del realismo figurale di Auerbach, dall’altro segna anche in Pasolini la dissociazione
tra auctor e actor, tenuta insieme in quella figura di poeta/intellettuale mimetico ispi-
rata a Dante che aveva la sua ragione d’essere in letteratura. La scissione della figura
autoriale trova le sue più sintomatiche rappresentazioni in due nuovi ‘travestimenti’
danteschi : il saggio scritto in occasione del centenario, La volontà di Dante a essere

1
  Per un approfondimento sull’evoluzione dell’altro tra mito, storia e dopostoria, Cfr. Guido Santato,
“L’abisso tra corpo e storia”. Pasolini tra mito, storia e dopostoria, « Studi pasoliniani », 1, 2007, pp. 15-36.
   

2 3
  Cfr. Pier Paolo Pasolini, In morte del realismo, tp i, p. 560.   Ivi, p. 557.
4
  Cfr. Pier Paolo Pasolini, Dante e i poeti contemporanei, sla i, p. 1649.
98 emanuela patti
poeta (1965) e la sua più o meno coeva imitazione della Commedia dantesca, La Divina
Mimesis, pubblicata postuma nel 1975. Nel primo saggio la dualità auctor/actor viene
problematizzata attraverso un’analisi di quel doppio punto di vista di Dante, ancora
una volta ispirato da un saggio continiano di qualche anno prima, Un’interpretazione
di Dante (1958) : secondo questa prospettiva, la figura autoriale del poeta della Comme-

dia conciliava perfettamente una ‘posizione teologico-universalistica’ trascendentale,


che consentiva uno sguardo ampio sulla realtà (quella dell’auctor), ed una ‘coscienza
sociale’, che garantiva la mimesis linguistica (quella dell’actor). Per Pasolini questa
unità non era più possibile : persa quell’« ideologia di ferro » che teneva insieme fun-
     

zione trascendentale e funzione partecipativa, l’unico ruolo in cui il poeta sentiva di


identificarsi era in quello performativo dell’actor. Anche il plurilinguismo dantesco
risultava, in questa rilettura, nient’altro che una forma diversa di monolinguismo,
per la precisione un « monolinguismo tonale ». 1
   

La stessa dualità e crisi ideologica trova una più esplicita auto-rappresentazione ne


La Divina Mimesis. Scritta principalmente negli anni compresi tra la pubblicazione di
Studi su Dante (1963) di Auerbach e La volontà di Dante a essere poeta (1965), l’imitazio-
ne pasoliniana della Commedia è figura di quel percorso dall’identificazione alla disi-
dentificazione nell’unità del modello letterario dantesco che va dagli anni cinquanta
agli anni sessanta. In questo viaggio inverso, ben illustrato nell’Iconografia ingialli-
ta, dal ‘paradiso’ di un’Italia plurilinguista all’‘inferno’ neo-capitalista della Lingua
dell’Odio, Pasolini si scopre irrimediabilmente dissociato ed « in piena ricerca » : 2 « in-
       

torno ai quarant’anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia


vita ». 3 Sul piano dell’autorialità, questo testo svolge un’importante funzione simbo-

lica. Mentre il periodo compreso tra Mimesis e Studi su Dante coincide per Pasolini
con la morte del realismo letterario ed il suo approccio ad un realismo creaturale nel
cinema, il concetto di ‘figura’ inaugura una nuova fase di realismo che trova nella
riscrittura la migliore riflessione pasoliniana su testo, sceneggiatura e film. La Divina
Mimesis troverà la sua ‘integrazione figurale vivente’ proprio nel cinema, in quella
connessione orizzontale tra la figura del pellegrino e le altre figurae autobiografiche
dei suoi film.
Pasolini impiegherà di fatto due strategie di auto-rappresentazione nelle sue ope-
re successive. Da un lato, il viaggio simbolico del sé autobiografico iniziato ne La
Divina Mimesis si svilupperà nel realismo figurale dei suoi film. Le figurae autoriali
più significative sono, in questo senso, Orson Wells ne La ricotta (1963), Gesù ne Il
Vangelo secondo Matteo (1964), il corvo in Uccellacci e uccellini (1965), il marionettista
in Che cosa sono le nuvole ? (1967), San Paolo nel Progetto per un film su San Paolo (1968),

tutte tese a problematizzare la figura dell’auctor. Dall’altro lato, Pasolini cercherà


di eludere la mediazione simbolica della sua autorialità come auctoritas. In questa
prospettiva, La Divina Mimesis corrisponde ad un punto di svolta nella poetica pa-
soliniana : se Dante era stato prima assunto come esempio di mimesis letteraria, ora

il suo capolavoro, la Commedia, diventa il pre-testo, o l’ultimo testo residuale, 4 per

1
  Cfr. Idem, La volontà di Dante a essere poeta, sla i, p. 1390.
2
  Cfr. Idem, Lo ripeto : io sono in piena ricerca, sla ii, p. 2447.

3
  Idem, La Divina Mimesis, rr ii, p. 1075.
4
  Cfr. Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino, cit., p. 15.
pasolini, intellettuale mimetico 99
rendere la parola del ‘poeta/intellettuale mimetico’ azione vivente attraverso corpi,
suoni ed immagini.
Dopo la morte del realismo dantesco e la conseguente dissociazione dell’unità
auctor / actor, la funzione regressiva ed empatica del poeta/intellettuale mimetico (il
Pasolini-actor) assume una nuova forma di espressione performativa nella ‘partecip-
azione’ di Pasolini stesso nei suoi testi, film, reportage, articoli giornalistici. Questa
forma di performatività viene principalmente intesa come interazione con l’altro
e co-presenza, nonché mistificazione meta-narrativa del proprio ruolo autoriale,
l’auctor. In quest’ultima sezione, prenderò dunque in considerazione alcuni atti per-
formativi attuati nella performance fisica, ma anche nel discorso, per capire in che
modo l’oggettivazione del sé nell’altro è stata reinterpretata dopo la crisi strutturale
dell’unità autoriale : esempi sono il suo ruolo di intervistatore nel reportage Comizi

d’amore (1963-4), il suo approccio all’attività giornalistica (particolarmente evidente


ne ‘Il Caos’ in Tempo) e l’ultima auto-rappresentazione autoriale ne ‘Lettera a Mora-
via’ in Petrolio.
Comizi d’amore è una delle migliori rappresentazioni propriamente performative
della mimesis pasoliniana, in quanto reale partecipazione fisica dell’autore/regista
nel documentario, co-presenza ed interazione vivente con i personaggi che diven-
tano co-autori, discorso libero indiretto, operazione linguistica e culturale basata
sull’empatia. Nel breve documentario il regista viaggia per l’Italia per intervistare
persone dai background sociali e culturali più diversi a proposito delle loro abitu-
dini sessuali e della loro idea dell’amore. Rievocando la figura di Dante-actor che
cammina per le strade del suo Paese, il regista incarna quella funzione partecipativa
nei suoi personaggi ; nel documentario il linguaggio verbale rappresenta una realtà

a tutti gli effetti referenziale, così come gli oggetti e i corpi rappresentano veri e
propri referenti. Non esiste uno schermo simbolico tra le due parti che inscenano
una ‘mimesis vivente’.
In modo simile, la stessa interazione è cercata virtualmente anche nel giornalismo.
La collaborazione pasoliniana con la rivista settimanale Tempo (1968-1970) è partico-
larmente significativa a tale proposito. Pasolini aveva già lavorato come giornalista
per Vie Nuove dal 1960 al 1964, ma certamente il format dei ‘dialoghi diretti’ con i
lettori consentiva un alto grado di referenzialità. Come ha giustamente enfatizzato
Michael Caesar nel suo saggio Outside the Palace : Pasolini’s journalism (1973-1975), il

significato politico degli articoli giornalistici pasoliniani risiede non tanto nelle posi-
zioni individuali che lui assumeva di volta in volta, per quanto importanti potessero
essere, ma piuttosto nell’insolito rapporto che instaurava con i suoi lettori. 1 Pasolini
« si rifiuta di scomparire dietro al testo, dietro le maschere narrative e le rifrazioni

d’identità, […] scommette su di un’impossibile “parola diretta” ». 2  

Il suo primo articolo per la rubrica inaugurò infatti l’enunciato demistificante del
suo ruolo autoriale nella rivista, del quale esplicitamente intendeva decostruire l’auc-
toritas ed annullare lo schermo che lo separava dai suoi lettori : « se una qualche au-
   

torità ho ottenuto, malamente, attraverso quella mia opera, sono qui per rimetterla

1
  Michael Caesar, Outside the Palace : Pasolini’s journalism (1973-1975), in Pasolini old and new, edited by

Zygmunt Barański, Dublin, Four Courts Press, 1999, pp. 363-390 : p. 364.

2
  Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino, cit., p. 12.
100 emanuela patti
del tutto in discussione ». In questa affermazione corsara meta-discorsiva Pasolini
1

trascendeva l’identità autoriale dell’opinion-maker o della guida per diventare, at-


traverso la sua affermazione e nella trasparenza del suo discorso, proprio la cosa di
cui stava parlando. Pasolini che parla della crisi ‘è’ la crisi, è la crisi nel momento in
cui viene riconosciuta. 2 In questo caso, il ruolo dell’intellettuale mimetico è dun-
que quello di un corpo parlante che ri-significa la sua identità nella performance
narrativa. Caesar illustra bene il valore di questa operazione quando afferma che è
esattamente in questa straordinaria impresa di mimetizzazione, nella sua incarnazio-
ne della crisi attraverso la lingua con la quale vedeva se stesso e gli altri che risiede
l’eccezionale posizione di Pasolini nella cultura del dopoguerra. 3
Un simile atteggiamento mimetico-performativo si può notare anche in Petrolio.
Nella lettera a Moravia alla fine del romanzo, Pasolini afferma a chiare lettere di non
voler scomparire dietro la figura convenzionale del narratore : « nel romanzo di solito
   

il narratore scompare, per lasciar posto ad una figura convenzionale che è l’unica
che possa avere un vero rapporto con il lettore ». 4 Lo scrittore voleva piuttosto par-

lare con i suoi lettori direttamente, « in carne e ossa » ; voleva mettere l’oggetto libro
     

tra se stesso e i lettori per discuterne insieme. Ancora una volta, ciò che viene qui
problematizzato è l’ordine simbolico del romanzo e delle sue strutture retoriche, in
primis l’autorialità come questione formale. Non si tratta neppure del caso dell’auto-
re che dichiara di non essere tale. Pasolini rifiuta in toto il ‘giuoco’ della letteratura :  

« Non ho più voglia di giuocare (davvero, fino in fondo, cioè applicandomi con la

più totale serietà) ». 5 Scoperte dunque le carte della finzione letteraria, in Petrolio la

funzione autoriale si rivela diametralmente opposta rispetto a quella di Ragazzi di


vita. Se nell’unità ideologica del primo, l’auctor tentava di scomparire dal testo ed
oggettivarsi nel personaggio attraverso la scrittura, in questo caso l’actor cerca la
complicità del lettore per liberarsi definitivamente dell’auctor. È in questo senso che
l’ultimo romanzo pasoliniano si rivela più che mai postumo : non perché è stato pub-

blicato dopo la morte fisica dell’autore, ma perché è stato scritto dopo la sua morte
simbolica. Una morte scritta in origine.

1
  Pier Paolo Pasolini, Da “Il caos” sul « Tempo » 1968, sps, p.1094.
   

2 3
  Michael Caesar, Outside the Palace : Pasolini’s journalism, cit., p. 386.
    Ibidem.
4 5
  Pier Paolo Pasolini, Petrolio, rr ii, p. 1826.   Ivi, p. 1827.
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Luglio 2013
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