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Emanuela Patti
Royal Holloway, University of London
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7 · 2013
P I S A · R O MA
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MMXI I I
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saggi
Guido Santato, Il futuro in Pasolini : un ‘non-tempo’
11
Roberto Chiesi, Un ‘uomo nuovo’ del presente, ‘venuto su dal niente’. Pasolini e il
ritratto della borghesia nell’episodio contemporaneo di Porcile 23
Laureano Nuñez García, La diffusione e la traduzione della poesia di Pasolini
in Spagna 35
Mahmoud Jaran, Pasolini, Fanon e l’umanesimo transnazionale 49
Giovanna Trento, Il corpo popolare secondo Pasolini 65
Mathias Balbi, Fariseo quanto alla società. Pasolini e il sogno del San Paolo (1966-
1975) 79
Emanuela Patti, Pasolini, intellettuale mimetico 89
rassegna
Roberto Chiesi, Francesca Fanci, Lapo Gresleri, Bibliografia pasoliniana
internazionale (2007-2013) 103
recensioni
Adalberto Baldoni Gianni Borgna, Una lunga incomprensione. Pasolini fra
Destra e Sinistra, Firenze, Vallecchi, 2010 (Matteo Marelli) 143
In Danger. A Pasoliny Anthology, edited by Jack Hirschman, San Francisco, City
Lights Books, 2010 (Francesco Marco Aresu) 145
Hervé Joubert-Laurencin, « Salò ou les 120 journées de Sodome » de Pier Paolo
Nell’opera pasoliniana ‘mimesis’ è stato il concetto chiave per scardinare l’ordine simboli-
co borghese ed il neorealismo. Dalla letteratura al giornalismo tale desiderio mimetico si
è espresso come atto performativo con l’intento di mistificare le visioni aprioristiche della
realtà. In questo percorso Dante ha rappresentato il principale modello autoriale ispirando in
Pasolini la figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’. La sua doppia natura di auctor / actor
sintetizzava infatti quel rapporto dialettico con la realtà ricercato dallo scrittore impegnato
del dopoguerra. Se negli anni cinquanta Pasolini ha creduto possibile una forma di ‘realismo
dantesco’ basata su un plurilinguismo mimetico-regressivo, la crisi dell’ideologia e dello strut-
turalismo lo hanno di nuovo messo di fronte alla natura schizofrenica del suo Sé autoriale,
irrimediabilmente diviso tra auctor e actor.
In Pasolini’s work ‘mimesis’ has been the key-concept used to disrupt the bourgeois symbolic order and
Neo-realism. From literature to journalism this mimetic desire has been expressed as a performative act
with the aim to mystify aprioristic visions of reality. Along this way Dante represented the main au-
thorial model for Pasolini and inspired the figure of the ‘mimetic poet/intellectual’. His double nature
as auctor / actor synthesized indeed the dialectical relationship with reality which committed writers
sought in post-war times. Yet, if in the 1950s Pasolini believed in the possibility to realize a ‘Dantean re-
alism’ based on a mimetic-regressive plurilingualism, the crisis of ideology and structuralism made him
face the schizophrenic nature of his authorial Self, irremediably divided between auctor and actor.
C ome ricorda René Girard nell’introduzione di un suo saggio del 1982, Peter’s de-
nial and the question of mimesis, almeno fino al postmoderno il principio teorico
di base della creazione estetica, mimesis (imitazione della realtà), è stato il significan-
te numero uno della teoria letteraria occidentale. 1 Numerose sono state tuttavia le
metamorfosi che ha subito il significato attribuito al termine. Per Platone il processo
artistico di imitazione era copia di una copia, essendo già la realtà percepita come
una falsa illusione, mentre per Aristotele la mimesis era invece essenzialmente dram-
matica e teatrale : di fatto, il mimo era un attore che imitava l’azione e il discorso di
Emanuela Patti, Italian Studies, Department of Modern Language, Ashley Building, University of Bir-
mingham, Edgbastan, Birmingham, B15 2TT, empatti@gmail.com
1
Cfr. René Girard, Peter’s denial and the question of mimesis, « Notre Dame English Journal », 14, 3, 1982,
2
Pur condividendo l’idea che la pura mimesis fosse quella in cui il poeta cancella completamente la sua
voce e rappresenta l’azione solo nelle voci imitate dei personaggi, Platone credeva che questo processo
imitativo avesse un impatto negativo sulla società e non fosse dunque da incoraggiare (iii libro della Re-
pubblica), mentre Aristotele sosteneva il suo valore ludico e pedagogico. Per ulteriori approfondimenti, cfr.
Federico Bertoni, Realismo e letteratura. Una storia possibile, Torino, Einaudi, pp. 37-55.
90 emanuela patti
dia borghese di avere un’arte che rispecchiasse la sua percezione del mondo, il suo
interesse per gli oggetti materiali ; quindi, una letteratura in cui gli scrittori dovevano
esprime nelle più varie modalità di rappresentazione e del discorso : da quelle let-
terarie della poesia e della narrazione mimetica (uso dei dialetti, discorso indiretto
libero) alle soluzioni meta-narrative adottate nelle arti propriamente performative
(cinema, teatro), nel suo giornalismo e nelle sue opere postume.
Se l’idea pasoliniana di mimesis è stata, in modi diversi, una costante nella sua poe-
tica, le forme di realismo in cui essa si è di volta in volta incarnata non hanno invece
avuto un’‘identità discorsiva stabile’. Come ha giustamente messo in evidenza Mau-
rizio Viano in A certain realism. Making use of Pasolini’s film theory and practice, Pasolini
ha attraversato come un pirata le posizioni discorsive della modernità ; 4 e così ha
fatto la sua nozione di ‘realismo’ che si è sviluppata insieme alle categorie estetiche
ed epistemologiche da lui adottate nel corso della sua carriera (stilistica, marxismo /
gramscismo, linguistica strutturale, semiologia, ecc.). Il concetto di realismo pasoli-
niano ha infatti subito le metamorfosi più diverse : prima influenzato dalla stilistica di
alismo figurale e creaturale di Auerbach come migliore espressione nel suo cinema,
proprio quando lo strutturalismo stava discreditando il suo realismo mimetico in
letteratura ; infine, è stato ripensato in chiave cognitivista (Petrolio è probabilmente
romanzi romani, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), principalmente con-
siderati nel contesto di un dibattito su letteratura e marxismo negli anni cinquanta
e sessanta e successivamente in relazione ai suoi film e la relativa teoria sul cinema
come ‘lingua scritta della realtà’, 2 alla luce del dibattito sulla semiotica, la psicoanalisi
lacaniana e le teorie post-marxiste. Più recentemente, la rilevanza dell’eredità auer-
bachiana nell’opera pasoliniana è emersa in tre importanti studi, 3 suggerendo che
un’attenta analisi filologica, una ‘microscopia filologica’ per dirla come Ernst Ro-
bert Curtius, può aiutare a ricostruire ed enfatizzare l’influenza di Mimesis sull’ope-
ra pasoliniana. Una disamina dell’evoluzione del concetto pasoliniano di ‘realismo’
sarebbe dunque incompleta senza considerare la sua saggistica critica. Non a caso, è
stato solo dopo la pubblicazione di alcuni scritti inediti come, per esempio, Dante e i
poeti contemporanei (1965), ora incluso nei Meridiani Mondadori curati da Walter Siti
e Silvia De Laude, che è stato possibile ricostruire il discorso pasoliniano sulla ‘realtà
rappresentata’.
In questo percorso appena delineato Dante è stato il principale modello autoriale
per Pasolini ispirando la figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’. Nel contesto sto-
rico dell’Italia del dopoguerra, il poeta della Commedia ha rappresentato l’ideale pro-
totipo del poeta popolare che si muoveva tra le due culture, quella popolare e quella
borghese, e che poteva dunque colmare la distanza esistente tra cultura e popolo, tra
conoscenza e vita popolare. La sua doppia natura di auctor/actor sintetizzava inoltre
quel rapporto dialettico ricercato dallo scrittore impegnato del dopoguerra, conteso
tra estetica crociana e materialismo storico, tra teoria e prassi, tra ruolo trascenden-
tale e partecipazione fisica nella realtà. Una sintesi che, in Pasolini, non è tuttavia
sopravvissuta alla crisi dell’ideologia e dello strutturalismo : se negli anni cinquanta
celebre Qu’est-ce que Les Lumières (1984), che concentrandosi sulla mutua interazione tra la verità di ciò che
è reale e l’esercizio della libertà va oltre l’alternativa fuori-dentro ed analizza e riflette sui limiti : in ciò che
ci viene dato come universale, necessario, obbligatorio, che posto occupa ciò che è singolare, contingente
ed è il prodotto di vincoli arbitrari ? Cfr. Michel Foucault, Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste.
2
Cfr. Pier Paolo Pasolini, La lingua scritta della realtà, sla i, pp. 1503-1540.
3
I tre studi seguenti sono parte di un importante volume di atti del convegno sull’eredità di Auerbach
tenuto nel 2007, dal titolo Mimesis. L’eredità di Auerbach. Atti del xxxv Convegno Interuniversitario (Bres-
sanone - Innsbruck, 5-8 July 2007), a cura di Ivano Paccagnella, Elisa Gregori, Padova, Esedra, 2009 : cfr.
Corrado Bologna, Le cose e le creature. La divina e umana Mimesis di Pasolini, in Mimesis. L’eredità di Auer-
bach, cit., pp. 445-466 ; Silvia De Laude, Pasolini lettore di Mimesis, ivi, pp. 467-482 ; Lisa Gasparotto, Anna
1
Pier Paolo Pasolini, Dante e i poeti contemporanei, sla i, pp. 1648-1649.
2
Come ha enfatizzato Zygmunt Barański nel suo saggio seminale The power of influence (1986), in un
contesto culturale fortemente influenzato dalla dialettica marxista e dal materialismo storico, la lingua di
Dante – sperimentale, auto-riflessiva, strutturalmente e linguisticamente eclettica – era dunque esempio
di una critica culturale anti-fascista verso il soggettivismo estremo, l’individualismo e lo stile assoluto, tra-
dizionalmente associati all’Ermetismo ed al Simbolismo degli anni venti e trenta. Rispetto a questa linea
petrarchesca della tradizione italiana, per gli intellettuali del dopoguerra Dante rappresentava il poeta della
ragione, dell’oggettività, dello sperimentalismo e della riflessione critica del reale, concetti già in parte
introdotti nella precedente ‘Introduzione’ continiana alle Rime dantesche (1939). Cfr. Zygmunt Barański,
The power of influence. Aspects of Dante’s Presence in Twentieth-Century Italian Culture, « Strumenti Critici », i,
nobody before Dante – ‘nemo ante nos’ – has dealt with linguistic diversity in such an elabo-
rate way or developed such a deep understanding of the historicity and variability of langua-
ge, because nobody before Dante – ‘nemo ante nos’ – has lived the problem of the plurality
of languages in such a vital way as Dante’. 1
È a partire da questa prospettiva che Pasolini delinea, in una sua personale elabo-
razione ideologica del plurilinguismo di Dante, la figura del’‘poeta / intellettuale
mimetico’. L’espressione viene usata la prima volta solo nel 1965, 2 ma il concetto era
stato già elaborato nell’opera pasoliniana dai primi anni cinquanta. Mettendo insie-
me il plurilinguismo di Dante con la questione dell’alterità in termini di ideologia
gramsciano/marxista, per Pasolini il plurilinguismo dantesco significò innanzitutto
mimesis della lingua e delle modalità espressive dell’altro attraverso una ‘regressione/
oggettivazione’ di sé nel parlante. Si trattava di una vera e propria sfida nei confronti
delle strutture retoriche della cosiddetta ‘Lingua del Padre’, 3 ovvero quella borghese,
e reinterpretava il ruolo dello scrittore realista in termini nuovi rispetto al neoreali-
smo. Per quanto, infatti, dai tempi di Dante il neorealismo letterario fosse il primo
movimento letterario a dare una forma scritta all’italiano parlato e ai dialetti, come
ricorda Calvino nella prefazione dell’edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno,
gli scrittori neorealisti furono di fatto dei formalisti compulsivi. 4 Non diversamente,
come sottolinea Walter Pedullà, il realismo socialista non si era dimostrato troppo
favorevole verso lo sperimentalismo linguistico, 5 caratteristica, invece, fondamentale
del ‘realismo dantesco’. Contrariamente a queste posizioni, Pasolini si preoccupò di
portare la lotta di classe nel cuore della lingua borghese mettendo a fuoco le implica-
zioni sociali ed ideologiche della contaminazione linguistica tra lingua/cultura alta
e lingua/cultura bassa.
La figura del ‘poeta/intellettuale mimetico’, associata all’idea di mimesis come re-
gressione/oggettivazione del sé nel parlante, emerge già nel lavoro delle antologie
Poesia dialettale del Novecento (1952) e Poesia popolare italiana (1955), scritte mentre Pa-
solini era impegnato contemporaneamente a tradurre gli stessi concetti sul piano ar-
tistico nel suo primo romanzo romano, Ragazzi di vita (1955) ed, in poesia, ne Le ceneri
di Gramsci (1957). 6 Le due antologie sono ispirate rispettivamente al plurilinguismo
dantesco e alla figura di poeta/intellettuale popolare, in cui è facile, ancora una volta,
rinvenire l’esempio di Dante. 7 Nella prima antologia, Poesia dialettale del Novecento,
1
Sara Fortuna, Manuele Gragnolati, Jürgen Trabant, Dante’s Plurilingualism : Authority, Knowled-
dell’Università di Cagliari), vol. 13, Roma, Aracne, novembre 2011, pp. 269-280.
7
Non a caso, quando in Poesia popolare italiana Pasolini descrive il ‘poeta popolare’, il migliore esempio
94 emanuela patti
il concetto di mimesis sottende una prima demistificazione del realismo, ovvero il
falso pregiudizio che questo coincida con il dialetto. Scrivere in dialetto o avere come
oggetto della propria poesia il popolo non vuol dire necessariamente ‘realismo’, se
la lingua riflette la visione borghese o aristocratica del poeta. Di fatto, l’equazione
popolare/realistico non ha un valore assoluto, proprio perché il popolo non si auto-
rappresenta non avendo una coscienza sociale e poetica. Non era realismo dunque
se ai poeti mancava esperienza diretta e la loro poesia usava descrizioni ed immagini
poetiche aprioristiche della realtà ; in questi casi, si trattava piuttosto di quella che
dall’italiano al dialetto.
Per Pasolini questa falsa concezione del realismo fu un principio chiarissimo sin
dalle sue prime esperienze dirette nelle borgate romane. Quattro mesi dopo il suo
trasferimento a Roma nel 1950, egli pubblicò su Il Quotidiano un articolo dal titolo
Romanesco 1950 in linea con la ricerca di quegli anni. L’intento era quello di dimostrare
che l’effetto di pastiche realizzato in molta letteratura contemporanea, come nei film
neorealisti in cui il dialetto romano era diventato « colonna sonora », 2 era lontano
In questo articolo, così come in Poesia dialettale del Novecento, Pasolini interpreta
dunque il plurilinguismo dantesco come identificazione ed empatia nei confronti del
parlante : il bilinguismo non era solo una differenza linguistica, ma innanzitutto una
che trova è proprio quello del poeta del Trecento in grado di colmare distanza tra cultura alta e bassa,
creata di fatto quando nel xiv e xv secolo l’élite letteraria e filosofica si era separata dalla borghesia com-
merciale, manifatturiera e finanziaria. Come specifica Pasolini, il poeta popolare appartiene alla cultura in
evoluzione della borghesia, così come a quella tradizionale del popolo (Cfr. Pier Paolo Pasolini, Poesia
popolare italiana, sla i, p. 888).
1
Cfr. Franco Fortini, Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 8.
2
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Romanesco 1950, sla i, p. 341.
3 4
Cfr. ivi, p. 341. Cfr. ivi, p. 343.
5
Come Pasolini ebbe già modo di spiegare in un suo articolo del 1951, Dialetto e poesia popolare, per ri-
scattare il senso più profondo dell’esperienza dialettale, il poeta doveva compiere una doppia operazione :
« un regresso che il poeta per simpatia compirebbe nell’interno del parlante inconsapevole, e un recupero
verso il livello della coscienza » (cfr. Pier Paolo Pasolini, Dialetto e poesia popolare, sla i, p. 375).
pasolini, intellettuale mimetico 95
oggi definiremmo il ‘vero’ Reale in termini lacaniano/žižekiani. Allo stesso modo,
l’imitazione letteraria e linguistica doveva essere strettamente legata all’esperienza
fisica dell’altro (in quell’« agnizione dell’altrove » ben descritta da Vighi), 1 in modo da
è chiaro che ogni autore che usi una lingua “parlata”, magari addirittura allo stato naturale
di dialetto, deve compiere questa operazione esplorativa e mimetica di regresso – come
accennavo – sia nell’ambiente che nel personaggio, in sede, cioè, sia sociologica che psico-
logica. Vista marxisticamente la cosa si presenta come una regressione più che da un livello
culturale a un altro, da una classe all’altra. Io mi sento assolto in questa operazione da ogni
possibile accusa di gratuità, o cinismo, o dilettantismo estetizzante per due ragioni : la pri-
ma, di tipo, diciamo, morale (riguardante cioè il rapporto tra me e le persone particolari
dei parlanti poveri, proletari o sottoproletari) è che, nel caso di Roma, è stata la necessità
(fra l’altro la mia stessa povertà sia pure di borghese disoccupato) a farmi fare l’esperienza
immediata, umana, come si dice, vitale, del mondo che ho poi descritto e sto descrivendo.
Non c’è stata scelta da parte mia, ma una specie di coazione del destino : e poiché ognuno
testimonia ciò che conosce, io non potevo che testimoniare la « borgata » romana. Alla co-
azione biografica si aggiunge la particolare tendenza del mio eros, che mi porta inconscia-
mente, e ormai con la coscienza dell’incoscienza, a evitare incontri che causino possibili
1
Cfr. Fabio Vighi, Le ragioni dell’altro. La formazione intellettuale di Pasolini tra saggistica, letteratura e
cinema, Ravenna, Longo, 2001, p. 201.
2
In Poesia dialettale del Novecento Pasolini sottolinea che il poeta romano era in grado di rappresentare
« una Roma reale » perché « svolgendosi la reale esistenza di Roma, come in qualsiasi altra città italiana,
dentro il rione, è nel rione che il Belli compie il regresso nel suo parlante pigro e collerico, esibizionista e
filosofo » (Cfr. Pier Paolo Pasolini, Poesia dialettale del Novecento, sla i, p. 772).
3
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Romanesco 1950, sla i, p. 778.
96 emanuela patti
(e sia pur molto leggeri, come m’insegna l’esperienza), traumi di sensibilità borghese, o di
borghese conformismo. 1
Non stupisce dunque che fu lo scandalo la principale reazione della critica. Dietro
l’apparenza di un’operazione letteraria in nome di Dante e di un’impostazione ideo-
logica in nome di Gramsci, di fatto Ragazzi di vita portava il segno evidente di quello
che Adorno definisce il « tabù mimetico ». 2 Era il sintomo di un represso sociale che,
Cecchi, 1955) – « un gusto morboso dello sporco, dell’abbietto, dello scomposto e del
torbido » (Carlo Salinari, 1955) ; « morboso compiacimento degli aspetti più torbidi
trasgressiva rispetto alla visione della realtà comunemente accettata, o attesa, come
nel caso dei comunisti ortodossi, e rompere, di conseguenza, con un certo ‘reali-
smo’. In altre parole, in Ragazzi di vita mimesis rendeva il desiderio di oggettivazione
nell’altro epitome di una realtà sociale sepolta, quella del sottoproletariato, e faceva
emergere attraverso le sue immagini l’esperienza visiva, acustica, olfattiva, tattile di
quella realtà. In questo modo, Pasolini liberava il represso, il cosiddetto Reale laca-
niano/žižekiano, inaccettabile nella società, così come nel linguaggio. La battaglia
linguistica era dunque una battaglia civile e sociale e dietro il formalismo della lingua
borghese, la Lingua del Padre, Pasolini colpiva il cuore di quella cultura fascista e
democristiana che aveva represso il suo ‘osceno’ desiderio mimetico. Un paio di anni
dopo, ne Il metodo di lavoro, avrebbe infatti giustificato la sua operazione linguistica
nei seguenti termini :
Perché questa selezione linguistica mimetizzante ? Per poter dare, come scriveva Contini,
che la preistoria”. Il mio realismo io lo considero un atto d’amore : e la mia polemica contro
1
Idem, Il metodo di lavoro, in Ragazzi di vita, Torino, Einaudi, 1972, p. 209.
2
Theodor w. Adorno, Teoria estetica, Torino, Einaudi, 2009, pp. 58-59.
3
Cfr. Emilio Cecchi, Romanzi e novelle, « Corriere della sera », 28 giugno 1955 ; Carlo Salinari, Re-
censione a Ragazzi di vita, « Il contemporaneo », 5 luglio 1955 ; Giovanni Berlinguer, Il vero e il falso delle
borgate di Roma, « L’Unità », 29 luglio 1956 ; Gianfranco Contini, Parere su un decennio, « Letteratura », 17-18,
4
settembre-ottobre 1955. Pier Paolo Pasolini, Il metodo di lavoro, cit., p. 210.
pasolini, intellettuale mimetico 97
alle aspettative, il secondo romanzo romano, Una vita violenta (1959), non ebbe lo
stesso impatto scandalistico, segnale di un’ « istanza progressiva », 1 di un certo com-
promesso con l’ordine simbolico borghese. Nella sua evoluzione morale e politica,
Tommaso Puzzilli rappresentava di fatto l’integrazione culturale e linguistica del
sotto-proletariato nella piccola borghesia perdendo automaticamente la sua natura
‘Reale’, in quanto propria dell’altro. Non troviamo infatti, né sul piano narrativo né
su quello socio-culturale, quella stessa resistenza alla borghesizzazione che Pasolini
aveva invece enfatizzato nei suoi ragazzi di vita.
Non a caso, l’anno successivo il poeta avrebbe dichiarato ufficialmente la morte di
quello « stile mimetico e oggettivo - la grande ideologia del reale » che aveva guidato
la sua attività critica ed artistica per tutto il decennio. 2 La sera del 27 giugno, durante
la presentazione dei finalisti del Premio Strega, vinto poi da Carlo Cassola con La
ragazza di Bube, Pasolini lesse un poemetto ispirato all’orazione funebre del Mar-
cantonio shakespeariano, In morte del realismo, che puntava il dito contro tutti que-
gli scrittori che, sottovalutando il potere politico rivoluzionario del plurilinguismo,
l’avevano rinnegato per le ragioni del bello stile. Con i suoi toni drammatici, l’invet-
tiva pasoliniana inscenò la morte dello « stile misto, difficile, volgare », il quale « diede
alla lingua un numero infinito di parole che di nuovi apporti di realtà riempirono il
vuoto senile dell’Erario » ; 3 in realtà, il vero tradimento di quel progetto mimetico era
stato compiuto da Pasolini stesso con il romanzo tout court e con la lingua scritta. Era
quella la vera morte simbolica che veniva celebrata in quella solenne occasione.
L’associazione realismo-romanzo e realismo-lingua italiana emerge chiaramente
nel lapsus della seconda edizione del testo, nel quale Pasolini scrisse « sono qui a
seppellire il romanzo italiano » invece di « il realismo » e poche righe dopo « son venuto
io qui a parlare della morte della lingua italiana » e non « del realismo italiano », come
venne pubblicato nell’ultima versione. L’identificazione non poteva essere più sinto-
matica : il romanzo e la lingua italiana erano, come il realismo, delle strutture formali
borghesi, nella fattispecie proprio quelle strutture che Pasolini intendeva scardinare
con una ‘diversa’ interpretazione di mimesis. La contraddizione del progetto mime-
tico pasoliniano risiedeva dunque nel voler ‘formalizzare’ nella struttura retorica del
romanzo borghese qualcosa che per come era concepita non poteva che eludere
qualunque integrazione al suo ordine simbolico. Con In morte del realismo Pasolini
dichiarava dunque la fine di « quell’idea di realismo degli anni Cinquanta » che aveva
1
Per un approfondimento sull’evoluzione dell’altro tra mito, storia e dopostoria, Cfr. Guido Santato,
“L’abisso tra corpo e storia”. Pasolini tra mito, storia e dopostoria, « Studi pasoliniani », 1, 2007, pp. 15-36.
2 3
Cfr. Pier Paolo Pasolini, In morte del realismo, tp i, p. 560. Ivi, p. 557.
4
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Dante e i poeti contemporanei, sla i, p. 1649.
98 emanuela patti
poeta (1965) e la sua più o meno coeva imitazione della Commedia dantesca, La Divina
Mimesis, pubblicata postuma nel 1975. Nel primo saggio la dualità auctor/actor viene
problematizzata attraverso un’analisi di quel doppio punto di vista di Dante, ancora
una volta ispirato da un saggio continiano di qualche anno prima, Un’interpretazione
di Dante (1958) : secondo questa prospettiva, la figura autoriale del poeta della Comme-
lica. Mentre il periodo compreso tra Mimesis e Studi su Dante coincide per Pasolini
con la morte del realismo letterario ed il suo approccio ad un realismo creaturale nel
cinema, il concetto di ‘figura’ inaugura una nuova fase di realismo che trova nella
riscrittura la migliore riflessione pasoliniana su testo, sceneggiatura e film. La Divina
Mimesis troverà la sua ‘integrazione figurale vivente’ proprio nel cinema, in quella
connessione orizzontale tra la figura del pellegrino e le altre figurae autobiografiche
dei suoi film.
Pasolini impiegherà di fatto due strategie di auto-rappresentazione nelle sue ope-
re successive. Da un lato, il viaggio simbolico del sé autobiografico iniziato ne La
Divina Mimesis si svilupperà nel realismo figurale dei suoi film. Le figurae autoriali
più significative sono, in questo senso, Orson Wells ne La ricotta (1963), Gesù ne Il
Vangelo secondo Matteo (1964), il corvo in Uccellacci e uccellini (1965), il marionettista
in Che cosa sono le nuvole ? (1967), San Paolo nel Progetto per un film su San Paolo (1968),
1
Cfr. Idem, La volontà di Dante a essere poeta, sla i, p. 1390.
2
Cfr. Idem, Lo ripeto : io sono in piena ricerca, sla ii, p. 2447.
3
Idem, La Divina Mimesis, rr ii, p. 1075.
4
Cfr. Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino, cit., p. 15.
pasolini, intellettuale mimetico 99
rendere la parola del ‘poeta/intellettuale mimetico’ azione vivente attraverso corpi,
suoni ed immagini.
Dopo la morte del realismo dantesco e la conseguente dissociazione dell’unità
auctor / actor, la funzione regressiva ed empatica del poeta/intellettuale mimetico (il
Pasolini-actor) assume una nuova forma di espressione performativa nella ‘partecip-
azione’ di Pasolini stesso nei suoi testi, film, reportage, articoli giornalistici. Questa
forma di performatività viene principalmente intesa come interazione con l’altro
e co-presenza, nonché mistificazione meta-narrativa del proprio ruolo autoriale,
l’auctor. In quest’ultima sezione, prenderò dunque in considerazione alcuni atti per-
formativi attuati nella performance fisica, ma anche nel discorso, per capire in che
modo l’oggettivazione del sé nell’altro è stata reinterpretata dopo la crisi strutturale
dell’unità autoriale : esempi sono il suo ruolo di intervistatore nel reportage Comizi
a tutti gli effetti referenziale, così come gli oggetti e i corpi rappresentano veri e
propri referenti. Non esiste uno schermo simbolico tra le due parti che inscenano
una ‘mimesis vivente’.
In modo simile, la stessa interazione è cercata virtualmente anche nel giornalismo.
La collaborazione pasoliniana con la rivista settimanale Tempo (1968-1970) è partico-
larmente significativa a tale proposito. Pasolini aveva già lavorato come giornalista
per Vie Nuove dal 1960 al 1964, ma certamente il format dei ‘dialoghi diretti’ con i
lettori consentiva un alto grado di referenzialità. Come ha giustamente enfatizzato
Michael Caesar nel suo saggio Outside the Palace : Pasolini’s journalism (1973-1975), il
significato politico degli articoli giornalistici pasoliniani risiede non tanto nelle posi-
zioni individuali che lui assumeva di volta in volta, per quanto importanti potessero
essere, ma piuttosto nell’insolito rapporto che instaurava con i suoi lettori. 1 Pasolini
« si rifiuta di scomparire dietro al testo, dietro le maschere narrative e le rifrazioni
Il suo primo articolo per la rubrica inaugurò infatti l’enunciato demistificante del
suo ruolo autoriale nella rivista, del quale esplicitamente intendeva decostruire l’auc-
toritas ed annullare lo schermo che lo separava dai suoi lettori : « se una qualche au-
torità ho ottenuto, malamente, attraverso quella mia opera, sono qui per rimetterla
1
Michael Caesar, Outside the Palace : Pasolini’s journalism (1973-1975), in Pasolini old and new, edited by
Zygmunt Barański, Dublin, Four Courts Press, 1999, pp. 363-390 : p. 364.
2
Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino, cit., p. 12.
100 emanuela patti
del tutto in discussione ». In questa affermazione corsara meta-discorsiva Pasolini
1
il narratore scompare, per lasciar posto ad una figura convenzionale che è l’unica
che possa avere un vero rapporto con il lettore ». 4 Lo scrittore voleva piuttosto par-
lare con i suoi lettori direttamente, « in carne e ossa » ; voleva mettere l’oggetto libro
tra se stesso e i lettori per discuterne insieme. Ancora una volta, ciò che viene qui
problematizzato è l’ordine simbolico del romanzo e delle sue strutture retoriche, in
primis l’autorialità come questione formale. Non si tratta neppure del caso dell’auto-
re che dichiara di non essere tale. Pasolini rifiuta in toto il ‘giuoco’ della letteratura :
« Non ho più voglia di giuocare (davvero, fino in fondo, cioè applicandomi con la
più totale serietà) ». 5 Scoperte dunque le carte della finzione letteraria, in Petrolio la
blicato dopo la morte fisica dell’autore, ma perché è stato scritto dopo la sua morte
simbolica. Una morte scritta in origine.
1
Pier Paolo Pasolini, Da “Il caos” sul « Tempo » 1968, sps, p.1094.
2 3
Michael Caesar, Outside the Palace : Pasolini’s journalism, cit., p. 386.
Ibidem.
4 5
Pier Paolo Pasolini, Petrolio, rr ii, p. 1826. Ivi, p. 1827.
co mp osto in car atter e dan t e mon oty pe da l la
fabr izio serr a editore, p i s a · roma .
stampato e r ilegato n e l la
t ipo g r afia di ag nan o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) .
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Luglio 2013
(cz 2 · fg 13)
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