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Vorrei aggiungere però una cosa. Nulla muore mai in una vita. Tutto
sopravvive. Noi, insieme, viviamo e sopravviviamo. Così anche ogni cultura è
sempre intessuta di sopravvivenze. Nel caso che stiamo ora esaminando, ciò
che sopravvive sono quei famosi duemila anni di imitatio
Christi quell'irrazionalismo religioso. Non hanno più senso, appartengono a un
altro mondo, negato, rifiutato, superato: eppure sopravvivono. Sono elementi
storicamente morti ma umanamente vivi che ci compongono. Mi sembra che
sia ingenuo, superficiale, fazioso negarne o ignorarne l'esistenza. Io, per me,
sono anticlericale (non ho mica paura a dirlo!), ma so che in me ci sono
duemila anni di cristianesimo: io coi miei avi ho costruito le chiese romaniche,
e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono mio patrimonio, nel
contenuto e nello stile. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me: se
lasciassi ai preti il monopolio del Bene.
«Prima gli uomini e le donne delle borgate non sentivano nessun complesso
d’inferiorità per il fatto di non appartenere alla classe cosiddetta privilegiata.
Sentivano l’ingiustizia della povertà, ma non avevano invidia del ricco,
dell’agiato. Lo consideravano, anzi, quasi un essere inferiore, incapace
d’aderire alla loro filosofia. Oggi, invece, sentono questo complesso
d’inferiorità. Se osserva i giovani popolani vedrà che non cercano più di imporsi
per quello che essi sono, ma cercano invece di mimetizzarsi nel modello dello
studente, addirittura si mettono gli occhiali, anche se non ne hanno bisogno,
per avere un’aria da “classe superiore”».