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DANTE POP
La Divina Commedia nella letteratura e nella
cultura popolare contemporanea
VECCHIARELLI EDITORE
Comitato scientifico del volume:
Alberto Casadei (Università degli Studi di Pisa)
Yves Clavaron (Université Jean Monnet, Saint-Étienne)
Jérôme Dutel (Université Jean Monnet, Saint-Étienne)
Manuele Gragnolati (Université de Paris-Sorbonne)
Stefano Lazzarin (Université Jean Monnet, Saint-Étienne)
Agnès Morini (Université Jean Monnet, Saint-Étienne)
Giuseppe Sangirardi (Université de Lorraine, Nancy)
Pierluigi Pellini (Università degli Studi di Siena)
vecchiarellieditore@inwind.it
www.vecchiarellieditore.com
ISBN 978-88-8247-407-2
INDICE
3 Cfr. U. ECO, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di mas-
sa, Milano, Bompiani, 1964. Per una rassegna della critica recente è utile il capitolo
di S. BRANCATO, Il magnifico bastardo. Critica e fumetto, connubio imperfetto, in F. GIRO-
MINI, M. MARTELLI, E. PAVESI, L. VITALONE (a cura di), Gulp! 100 anni a fumetti.
Un secolo di immagini, avventure, fantasia, Catalogo della Mostra (Ferrara, 3 aprile-30
giugno 1996), Milano, Electa, 1996, pp. 31-36. È sempre Brancato a individuare
nel fumetto un mezzo innovativo di comunicazione: «Il fumetto è un autentico
novum [...], [poiché] istituzionalizza il proprio linguaggio utilizzando le esperienze
che lo hanno preceduto. Si differenzia da queste ma, insieme, le incorpora nella
propria economia produttiva in quanto preesistenze, repertorio, magazzino. Si
tratta di un meccanismo attraverso cui il linguaggio del fumetto deposita
un’intensa complicità segnica con il lettore» (S. BRANCATO, Fumetti. Guida ai comics
nel sistema dei media, prefazione di A. Abruzzese, Roma, Datanews, 1994, p. 29). Per
quanto riguarda la distinzione tra fumetto e graphic novel, il secondo presenta una
storia completa, in sé conclusa, pubblicata in volume, caratterizzata da complessità
strutturale e contenutistica, da un «intreccio tra mezzo artistico e bisogni profondi»
(C. GRECO, Con la china in testa. Fumetto e memoria culturale. Per una lettura di «Maus» e
«Palestina», Padova, Libreriauniversitaria.it, 2009, p. 20), da un rapporto testo-
immagine sbilanciato a favore del primo elemento, infine dalla volontà di persegui-
re un ‘effetto di realtà’ (cfr. C. GRECO, L’effetto di realtà e l’illusione referenziale, in EA-
DEM, Graphic Novel: confini e forme inedite nel sistema attuale dei generi, Roma, Edizioni
Nuova Cultura, 2014, pp. 50-113; cfr. in particolare ivi, pp. 50-58).
4 Sono parole di un addetto ai lavori quale Daniele Panebarco, riportate da Ser-
gio Brancato in un’intervista con Davide Occhicone pubblicata sul blog «Lo spa-
zio bianco. Nel cuore del fumetto»: «Il fumetto riemerge in nuove forme [...], co-
me sostiene Daniele Panebarco, leggendario comic-maker degli anni ’70, introducen-
do nella cultura di massa quella modalità di racconto ipertestuale, basata sul co-
stante rimando tra diversi codici di comunicazione, che è alla base dei linguaggi
digitali. In altri termini, senza la preesistenza del fumetto, difficilmente si sarebbero
sviluppate le forme di comunicazione attualmente in voga presso i giovani» (D.
OCCHICONE, Sergio Brancato: il fumetto, chiave di lettura della storia culturale, intervista
del 5 gennaio 2011, sito http://www.lospaziobianco.it/sergio-brancato-fumetto-
chiave-lettura-storia-culturale/).
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zione e cura di B. Jugaku, Tōkyō, Shueisha, 1974-1976. Per una panoramica delle
traduzioni dantesche sono utili: la voce Giappone, redatta da Giuliano Bertuccioli
per l’Enciclopedia dantesca (cfr. G. BERTUCCIOLI, Giappone, in Enciclopedia dantesca
[1970], III, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1984, pp. 155-157, ora dispo-
nibile sul sito http://www.treccani.it/enciclopedia/giappone_%28Enciclopedia-
Dantesca%29/); T. KENMOCHI, Shinkyoku honyakushi josetsu [‘Introduzione alla sto-
ria della traduzione della Commedia in Giappone’], in IDEM, Kata no bunka, koshi no
bunka: hikaku bungaku hikaku bunkaron [‘Letteratura comparata’], Tōkyō, Sōbunsha
Shuppan, 1988, pp. 223-237; nonché – limitatamente alla sezione giapponese – E.
ESPOSITO (a cura di), L’opera di Dante nel mondo. Edizioni e traduzioni nel Novecento,
Atti del Convegno (Roma, 27-29 aprile 1989), Ravenna, Longo, 1992.
9 Cfr. T. KENMOCHI, Shinkyoku honyakushi josetsu, cit. Sull’argomento si possono
consultare inoltre: il saggio di M. FUJISAWA, Dante nella letteratura moderna del Giap-
pone, «Annuario dell’Istituto Giapponese di Cultura di Roma», II, 1964-1965, pp.
75-89; il volume di M. FUJITANI, Shinkyoku, il canto divino. Leggere Dante in Oriente,
introduzione di E. Banfi, Trento, Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche,
2000; e il sintetico ma denso saggio di H. TOMITA, Dante in Japan: Ein Überblick, «Il
Novo Giorno. Mitteilungsblatt der deutschen Dante Gesellschaft», giugno 2012,
pp. 24-28.
10 Al riguardo, Shigeichi Kure cita il pensiero di Hakuchō Masamune (1879-
1962), noto critico letterario giapponese, che legge Dante in traduzione inglese:
«egli non tralascia mai di ammirare la squisita bellezza e grandezza della fantasia di
Dante, rimanendo sorpreso dell’innata intuizione, della facoltà di rendere viva e
concreta ognuna delle scene della Commedia; [...] in Dante la visione soggettiva
dell’artista e il punto di vista obiettivo sono fusi in una immagine vivente» (S. KU-
RE, Dante in Giappone, «Il Giappone», rivista dell’Istituto Italiano per l’Africa e
l’Oriente [IsIAO], 5, 1965, p. 10).
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per esasperare la negatività della colpa umana. 11 Infine, nella lettura giap-
ponese della Commedia bisogna sottolineare gli influssi del buddismo: è de-
cisivo in tal senso il ruolo svolto dalla traduzione di Bunsho Jugaku, che
come osserva Tomotada Iwakura usa sistematicamente termini buddisti
per esprimere concetti cristiani. 12 Secondo Michio Fujitani, il pensiero
buddista serve a colmare l’inevitabile divario fra il mondo giapponese e o-
rientale e l’universo dantesco: la cultura di Dante – sostanziata di filosofia
medievale, teologia, pensiero scientifico, tradizione biblica e classica – è
infatti estranea al lettore giapponese. 13
Mi sono soffermata sulla ricezione nipponica della Commedia nell’ambi-
to della critica letteraria perché nel manga shōnen di Gō Nagai, prodotto di-
chiaratamente di massa e rivolto a un pubblico di adolescenti (come indica
l’aggettivo shōnen, che alla lettera significa ‘ragazzo’), sono comunque ri-
scontrabili le tre componenti su cui si è focalizzata la letteratura critica:
l’attenzione per il livello estetico; la drammaticità e problematicità del pec-
cato, soprattutto nell’Inferno; infine l’influenza del buddismo. In effetti, la
commistione fra popolare e colto è usuale nella cultura giapponese:
mandorla. Sguardi sul Giappone dei ‘cartoon’ e dei fumetti, prefazione di L. Raffaelli, Lati-
na, Tunuè, 2005, p. 5.
15 F. PRISCO, Go Nagai, il padre di Goldrake: «Devilman? È figlio del Lucifero di Dante»,
«Il Sole 24 ore», 27 aprile 2007, ora disponibile anche sul sito
126 DANIELA BOMBARA
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultu
ra/2007/04/intervista-nagai-prisco.shtml.
16 Alcune caratteristiche dei manga, quali gli occhi enormi dei personaggi o la let-
tura dall’ultima alla prima pagina, da destra a sinistra, sono universalmente note.
Per quanto riguarda i manga shōnen, essi «sono [...] caratterizzati da una fisicità stra-
ripante dei personaggi e dalla prevalenza del movimento sulla staticità [...]. Il do-
minio dell’azione e dell’adrenalina è graficamente reso tramite la profusione di li-
nee cinetiche e onomatopee visive, e da un montaggio serrato» (C. POSOCCO,
L’impero dei disegni, in R. PONTICIELLO, S. SCRIVO [a cura di], Con gli occhi a mandorla,
cit., p. 249). Nei manga shōnen domina uno stile ‘sopra le righe’, caratterizzato dalla
deformazione espressionistica dei personaggi in rapporto agli stati d’animo (in-
grandimento delle dimensioni, bocche spalancate) e dalla predilezione per la me-
tamorfosi, elementi che si ritrovano anche nell’Inferno di Gō Nagai. A ciò l’autore
aggiunge una sua personale tendenza a raffigurare gli aspetti oscuri del reale, come
conferma l’«universo di tenebra» di Devilman, abitato da un Dio «entità tirannica e
incomprensibile» (YUPA [pseudonimo di M. BALDIN], Dèi, dèmoni, angeli e messia, ivi,
p. 211). Anche la visione conflittuale del rapporto fra divinità e umani tornerà, in
altre forme, nella riscrittura dell’Inferno. Sul manga, cfr. almeno S. LUCIANETTI, A.
ANTONINI, Manga. Immagini del Giappone contemporaneo, Roma, Castelvecchi, 2001, e
J.-M. BOUISSOU, Le manga. Histoire et univers de la bande dessinée japonaise, Arles, Édi-
tions Philippe Picquier, 2010 (nonché la tempestiva edizione italiana: cfr. J.-M.
BOUISSOU, Il manga. Storia e universi del fumetto giapponese, a cura di M. Pellitteri, Lati-
na, Tunué, 2011).
17 F. PRISCO, Go Nagai, il padre di Goldrake, cit.
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18 Cfr. Inf., rispettivamente: III 82-129 (incontro con Caronte); V 4-24 (Minosse);
V 73-142 (Paolo e Francesca); VI 13-33 (Cerbero); VII 1-15 (Pluto); XII 11-25 (il
Minotauro); XXI-XXIII (i diavoli di Malebolge); XXXI (i giganti); XXXIV 28 sgg.
(Lucifero).
19 Sulla sofferenza nei manga e negli anime come strategia di esorcizzazione del
sposto agli stessi pericoli, sofferente al pari dei dannati; non solo perde i
sensi come nella fonte, 23 ma prova una perenne e visibile sofferenza: suda,
ansima, non sopporta il fetore che emana dai cerchi infernali. Un ladro tra-
sformato in rettile, 24 nel momento in cui riprende la forma umana, lo apo-
strofa con queste parole: «Ehi! Tu che mi stai guardando! La prossima vol-
ta sarai tu a diventare un serpente» (II).25 Da luogo fisico l’inferno diventa
condizione dell’anima, secondo una linea interpretativa ben caratteristica
della poetica di Nagai, i cui personaggi – come accennato – sono sempre
contaminati dal male.
Il personale coinvolgimento del protagonista nella vicenda infernale
comporta la messa in discussione della struttura e ragion d’essere dei regni
dell’oltretomba, in un percorso di crescente consapevolezza e attitudine
critica che, ovviamente, è del tutto estraneo al progetto originale, per il
quale il disegno divino è indiscutibile: il Dante giapponese si chiede invece
quale sia il senso del peccato, e perché esso debba essere punito in modi
così efferati. Se il primo approccio ad avari e prodighi 26 è di disgusto e ri-
fiuto, la pena degli iracondi 27 pone già il problema della liceità della puni-
zione e della sussistenza della colpa: «È peccato che gli uomini siano in-
soddisfatti? È proprio per tale insoddisfazione che l’uomo va incontro al
mondo affrontandolo, no?» (I). Il discorso si amplia poi agli eretici: 28 «Che
davvero gli eretici siano peccatori? Anche le persone nate nelle terre del
sud che mai hanno incontrato il vero insegnamento, ma docilmente hanno
avuto fede nel credo del loro paese, sono forse peccatrici e devono subire
una tale sofferenza?» (I). Di fronte al tormento di Brunetto Latini, 29 Dante
pensa: «Quest’inferno che non comprendo... Cos’è la vita dell’uomo? Cos’è
la Provvidenza divina?» (II). Dopo aver ascoltato la storia di Mirra: 30 «Io
percepisco la difficoltà di condurre una vita senza perpetrare peccati.
L’uomo non finisce per peccare più e più volte durante la sua vita? Anzi!
Non è forse ciò che rende tale l’uomo?» (II). Ma alla fine del suo viaggio
Dante comprende finalmente il senso del peccato, in quanto prova cui è
sottoposto un essere dotato del libero arbitrio: «Se l’umanità si comportas-
dell’influenza (1999), in IDEM, Sulla letteratura, Milano, Bompiani, 2002, pp. 128-146.
37 Sul concetto di franchise transmediale, insieme di prodotti artistici che utilizza
«Mi chiamo Beatrice. Mia madre mi ha detto che significa “colei che rende beati”.
Ma quando ho studiato i classici, ho scoperto un’altra derivazione. “Beatrice” vie-
ne probabilmente da “viatrix”, che in latino significa “viaggiatrice”» (C. GAGE, D.
LA TORRE, Dante’s Inferno, Modena, Panini Comics, 2010, fasc. 1; poiché le pagine
del fumetto non sono numerate, faremo riferimento solo ai fascicoli). Risulta par-
ticolarmente straniante il rilievo conferito alla cultura di Beatrice, non solo rispetto
agli altri prodotti del franchise ma anche in relazione alla fonte dantesca, in cui la
donna si mostra come depositaria di superiore conoscenza solo dalla seconda can-
tica in poi (e comunque in ambito esclusivamente religioso). Ciò rende la riscrittu-
ra di Gage e La Torre particolarmente innovativa; un personaggio femminile è al
centro della narrazione non solo per emozionalità e passioni, come spesso avviene
nella storia letteraria italiana e mondiale, ma per dottrina e curiosità intellettuale:
Beatrice osserva infatti l’inferno, chiede ragione della sua struttura e della presenza
dei dannati, comprende i limiti della potenza di Lucifero.
132 DANIELA BOMBARA
Rizzoli, 1985).
47 Cfr. A. D’UVA, F. ROSSI, ASTRID [pseudonimo di A. LUCCHESI], Dante Alighie-