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Accade nella storia del pensiero che piccole differenze iniziali vadano
sempre più accentuandosi fino a rendersi molto intense e palesi, ap-
prodando così a profonde diversificazioni. Ma il “pensiero unico” che
propugna la “fine della storia” vuole normalizzare le “divergenze”.
Porsi ai confini della cultura omologata significa ricercare, divergendo,
diversità di orizzonti di senso.
Piotr Zygulski,
Il meccanico del marxismo.
Introduzione critica al pensiero di Gianfranco La Grassa
ISBN 978-88-7588-???-?
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2016
editrice
petite plaisance
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petite plaisance
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Vita e opere
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Per il concetto di “rapporti di produzione” si rimanda ad Althusser (1968: 182-183).
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Per un tentativo di critica si veda Nicola Simoni (2008: 131 e sgg.); per quanto riguarda la
debole accusa di porre “di fatto sullo stesso piano forze produttive e rapporti di produzi-
one” (ivi: 132), anche qualora non fosse smentita dal medesimo testo, sarebbe sufficiente
sfogliare i saggi immediatamente successivi, ove si insiste molto sulla centralità teorica
dei rapporti di produzione.
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“Die Geschichte aller bisherigen Gesellschaft ist die Geschichte von Klassenkämpfen”
“La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi”
Marx-Engels (1848)
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“Ha scoperto che il capitale non è una cosa, ma un rapporto sociale fra persone mediato
da cose” (Marx 1872: I, VII, 25). Altrove Marx scrisse che un macchinario in sé è un sem-
plice macchinario: solo se inserito nel rapporto storico sociale di produzione capitalistico
diventa capitale (cfr. Marx 1849).
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Nella sottomissione (detta anche “sussunzione”) di tipo formale, in cui si generava
pluslavoro e plusvalore assoluti (ad es. da allungamento della giornata lavorativa; cfr.
La Grassa 2015a: 30) i lavoratori, pur non essendo proprietari dei mezzi produttivi, pos-
sedevano le conoscenze tecniche per produrre; nella sottomissione reale, in cui è divenuto
centrale il pluslavoro/plusvalore relativo (ad es. da innovazioni tecnico-organizzative
che aumentano la produttività del lavoro), i produttori hanno perso le conoscenze e si
pongono “in posizione realmente subordinata rispetto a chi possiede la preparazione tec-
nica e direzionale più complessiva” (La Grassa 1985a: 53).
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Nella superficialità del mercato vige “la più completa parità di diritti, sancita dalla leg-
ge; coloro che la conculcano o aggirano mediante inganni vari sono in linea di principio
passibili d’essere perseguiti legalmente e condannati senza riguardo al loro status” (La
Grassa 2013: 164).
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Pari al tempo di lavoro incorporato (cfr. Marx 1872: I, III, 5) nei beni necessari alla sus-
sistenza storico-sociale del lavoratore; esistono “attriti”, ma nell’ipotesi marxiana il salario
oscilla attorno alla media del valore della forza lavoro che ne giustifica il prezzo, pur
elevandosi tendenzialmente nel corso del tempo con lo sviluppo dei bisogni sociali (cfr.
La Grassa 2015a: 45-46).
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Riccardo Bellofiore (1996), molto opportunamente, vi ritrova una chiara ascendenza
aristotelica: “La forza-lavoro è potenza di lavoro; il lavoro vivo è capacità lavorativa in
atto, e insieme valore in potenza. Il valore, a sua volta, è atto del precedente, in quanto
lavoro astratto in fieri, e allo stesso tempo denaro in potenza”.
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Si fa riferimento alla celebre risposta di Proudhon alla domanda su cosa sia la proprietà:
“È un furto!” ([1840] 2002: 18).
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L’Anti-Dühring è opera di Friedrich Engels (1878). Nel capitolo IV della seconda sezione
si conclude appunto l’esame della stolta “teoria della violenza” del Dühring.
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“Si parte dal valore del prodotto merce (tempo del lavoro erogato per produrlo) e gli
si sottrae intanto il valore della forza lavoro che è stata impiegata in tale produzione per
quel dato tempo” (La Grassa 2015a: 41).
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frutti (cfr. Marx 1872: I, VII, 21) – a definire il nucleo del rapporto so-
ciale capitalistico (cfr. La Grassa 2004: 26), il quale viene continuamente
prodotto e riprodotto (cfr. Marx 1871: I, VII, 21), giacché garantisce il
potere sui mezzi di produzione (e del plusvalore) ad una specifica classe
minoritaria (cfr. La Grassa 2013: 152) in sæcula sæculorum. Senz’altro non
si esclude qualche forma di scontro, per il fatto che il lavoratore intende
appropriarsi del plusvalore da lui generato, o perlomeno di una sua
parte; si tratta però di un conflitto di tipo distributivo, “sindacalistico/
tradeunionistico” direbbe Lenin (cfr. [1902] 1970).
Si ricordi che il capitale, per Marx, è una relazione sociale storica-
mente determinata; a sentire La Grassa, siffatta concezione è ancor oggi
“anni luce avanti” rispetto a chi ne vede “solo gli aspetti cosali: tecnici,
economici, finanziari, ecc.” (La Grassa 2013: 84). Va da sé che neppure
una redistribuzione dei redditi sarebbe in grado di determinare la tra-
sformazione dei rapporti sociali capitalistici; da una parte resterebbe il
datore di lavoro con la sua fabbrica, dall’altra i proletari, privi dei mezzi
produttivi.
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altri” (Marx 1872: I, VII, 24) – perde i mezzi produttivi e può vendere
solo la capacità di direzione che, sebbene sia maggiormente qualificata
rispetto alla manodopera semplice, rientra nella classe salariata che
mette sul mercato la propria forza-lavoro quale merce. I proprietari
si trasformano in “puri e semplici capitalisti monetari” e i dirigenti in
amministratori “di capitale altrui” (Marx 1872: III, V, 27).
Pertanto, la dinamica strutturale del capitalismo consocerebbe tutti
i lavoratori collettivi cooperativi “realmente attivi nella produzione dal
dirigente fino all’ultimo giornaliero” (Marx 1872: III, V, 27) in un corpo
sempre più cosciente di rappresentare la totalità della produzione e
contrapposto a “pochi usurpatori” sempre più inutili al fine della pro-
duzione. L’aggregazione qui descritta, non esente da contraddizioni,
farebbe emergere a livello di fabbrica una sorta di operaio combinato
– caratterizzato dalla non proprietà dei mezzi – che include sia le po-
tenze manuali, sia quelle mentali (la “direzione tecnica”) del processo
lavorativo; esso, rendendosi conto dell’intera ricchezza complessiva
da lui generata, facilmente riuscirebbe a scalzare l’esigua “aristocrazia
finanziaria” per restituire finalmente piena padronanza degli strumenti
produttivi ai lavoratori, ora riuniti in forma associata. Questa sarebbe la
base economico-sociale del modo di produzione socialistico, che Marx
già vedeva in modo lampante:
“La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del
lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro
involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della
proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati”
(Marx 1872: I, VII, 24).
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di asserire che “non c’era alcun utopismo in Marx” (La Grassa 2002a:
53) perché scienza e rivoluzione, fuse insieme, conducono entrambe alla
formazione di quel soggetto che plasma i rapporti sociali in senso non
più capitalistico (cfr. La Grassa 2005c: 55).
Il principio del minimax – minimo mezzo dato un risultato, oppure
massimo risultato dato un mezzo – sulla base del quale nel capitalismo si
estrae sistematicamente il plusvalore relativo, sarebbe rimasto anche nel
nuovo modo di produzione, pur finalizzato ad altri scopi. Perciò, dopo
il rovesciamento dei rapporti sociali precedenti, l’efficienza minimax,
nel distribuire consapevolmente il tempo di lavoro tra i vari usi produt-
tivi, avrebbe garantito l’abbondanza nel comunismo, permettendo un
completo sviluppo della libera individualità umana (cfr. La Grassa 2011:
55); si sarebbe quindi impiegata la medesima razionalità economica del
Robinson, ma in modo “collettivo” (cfr. La Grassa 2015a: 55-58), al fine di
soddisfare i bisogni di ciascuno. La competizione per le cose futili forse
non sarebbe venuta meno in assoluto, ma sarebbe svanita quella per la
sopravvivenza. In fin dei conti, sarebbe stato il medesimo minimax, nel
coordinare e socializzare le forze produttive (centralizzazione dei capita-
li), a creare le summenzionate condizioni oggettive della trasformazione
del modo di produzione.
Ovviamente non si sottovalutava l’energica resistenza che avrebbe
posto la classe borghese, tuttavia essa – che per divertirsi nei propri
giochi finanziari avrebbe drenato la liquidità necessaria alla produzione
complessiva – sarebbe stata un ostacolo allo sviluppo delle forze produt-
tive, che oggettivamente prima o poi avrebbe dovuto essere rimosso (cfr.
La Grassa 2015a: 71). Marx era convinto che tale processo sarebbe stato
più rapido di quello che aveva portato il feudalesimo a trasformarsi in
capitalismo.
Infine sarebbe rimasto un ostacolo, ovverosia lo Stato, tetragono nella
difesa degli interessi dei proprietari-azionisti, ormai rentier assenteisti;
questa istituzione appunto sarebbe stata da abbattere perché garante
dei “diritti” borghesi. Le tattiche per perseguire la comune strategia
si biforcarono tra quella riformistica e quella rivoluzionaria. La prima
puntava numericamente al controllo parlamentare per adottare prov-
vedimenti legislativi in direzione di una trasformazione dei rapporti
di produzione; l’altra, invece, identificando gli apparati statali con gli
strumenti coercitivi, mirava all’abbattimento della macchina borghese
da sostituirsi con una dittatura della maggioranza proletaria.
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“non rivoluzionarietà della classe operaia, pur ritenuta ancora, dal mas-
simo dirigente del comunismo russo, la classe fondamentale del modo
di produzione capitalistico, quella classe che si supponeva sarebbe
divenuta numericamente maggioritaria nel corso dello sviluppo di
detto modo di produzione” (La Grassa 2005c: 59).
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utilizzazione del tutto irrazionale delle risorse” (La Grassa 1999a: 74).
Se nel tempo presente vigono ancora i rapporti sociali capitalistici non è
tanto per la vittoria dei “cattivi” controrivoluzionari – Marx sin dall’ini-
zio si esime dal colpevolizzare i “padroni”, che sono semplicemente
“maschere” di rapporti economici (cfr. Marx 1872: I, I, 2) – quanto per
alcuni limiti di fondo insiti nelle tesi marxiane con i quali occorre fare i
conti, se si è intenzionati a recuperare lo spirito scientifico di quella che,
nell’opinione di La Grassa, “rimane tuttora la più avanzata teoria della
società” (2010a: 91).
Accettando la sfida posta dall’epistemologo liberale Karl R. Popper,
che stabilì criteri di falsificabilità16 per discriminare le teorie scientifiche
da quelle non controllabili, La Grassa prova a ribaltarne le conclusioni:
il comunismo di Marx sarebbe scientifico in quanto “fallibile”, cioè “fon-
dato su una teoria passibile di falsificazione di alcune delle sue ipotesi
di base” (La Grassa 1998b: 6), una su tutte l’intermodalità della classe
dominata, in altre parole la capacità di porsi come classe universale in
grado di aiutare la transizione da un modo di produzione all’altro (cfr.
La Grassa 1998a: 102; 1999b: 22).
L’economista di Conegliano precisa che non sono da imputare errori
di valutazione allo scienziato di Treviri, il quale “ha compiuto nel mi-
glior modo possibile, tenuto conto dei suoi tempi, l’analisi del modo di
produzione capitalistico” (La Grassa 1998b: 24), mentre sarebbero molto
meno scusabili i dogmatici marxisti che cristallizzarono quelle teorie,
senza rendersi conto che la società stava procedendo in una direzione
differente e si stava delineando una forma di impresa non assimilabile a
quella di fabbrica. Se è vero che il lavoro dipendente è, oggi più di ieri,
ampiamente diffuso, è doveroso riconoscere che esso non si è coagulato
nel lavoratore collettivo cooperativo accomunato dalle medesime con-
dizioni; insomma, la società non è andata polarizzandosi tra una classe
proprietaria – dal punto di vista formale – parassitaria borghese e una
salariata produttiva proletari(zzat)a all’interno della quale si sarebbero
ricomposte potenze manuali e mentali, quest’ultime chiamate marxiana-
mente “general intellect”. All’opposto, sono fioriti i ceti medi e la “classe”
che non dispone dei mezzi di produzione si è disarticolata in tutta una
serie di strati sociali intermedi maggiormente differenziati per mansioni
e status sociale; i processi oggettivi di controllo reale dei mezzi da parte
dei produttori associati non si sono affacciati all’orizzonte della storia
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Popper (1963) è tuttavia assai debitore nei confronti di Charles Sanders Peirce, del quale
estremizza la formulazione.
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Insieme eterogeneo (discorsi, istituzioni, decisioni, oggetti) di punti di intersezione tra
vettori che stabiliscono reti di relazioni di potere e di sapere. Il dispositivo prende tali
relazioni, le “dispone”, le rende possibili e fornisce loro i “circuiti” su cui possano sta-
bilirsi.
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L’insieme delle tecniche e delle procedure utilizzate per dirigere il comportamento
umano.
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mente economica che ha assunto la parola “ciclo” (cfr. La Grassa 1996b: 148).
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“Personalmente non credo che la realtà abbia senso, che sia veramente
sistematica e solidamente strutturata, che si muova in direzioni de-
terminate […] le ipotesi teoriche sono comunque i nostri sensori, sono
indispensabili al nostro muoverci e agire nel mondo, con l’alternanza
di successi e fallimenti in questa azione (la «prassi»). Le teorie debbono
dare stabilità e determinatezza allo squilibrio e all’ambiguità; altrimenti
ne consegue la paralisi d’ogni attività” (La Grassa 1996b: 11-12).
È con l’anno 2013 che il tema viene posto come aspetto oggettivo
alla base dell’aspetto superficiale del conflitto strategico, che sarebbe la
manifestazione dello squilibrio sottostante (cfr. 2013: 58). Per compren-
dere meglio quanto si è affermato, un’altra citazione è assai significativa:
“Lo squilibrio spiega il motivo per cui, malgrado i desideri e le aspi-
razioni degli umani, il conflitto (con il corredo delle strategie, cui è
subordinata la razionalità del minimo mezzo) è l’elemento dominante
nelle azioni dei «soggetti» (individui, gruppi sociali, formazioni par-
ticolari), mentre la cooperazione esiste solo in quanto funzionale alla lotta.
Lo squilibrio situa ogni «soggetto» in posizione dissimmetrica rispetto
agli altri quanto a rapporti di forza, generando reazioni tese a recuperare
la simmetria” (La Grassa 2013: 49).
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Analisi critica
3. Influenze e confronti
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Utilizziamo questa espressione di Jean-François Lyotard (1979) per sottolineare, a pre-
scindere dalle finalità quasi opposte, un rimarchevole parallelismo tra i due autori.
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sinistra, che entrambe sarebbero venute meno – mentre l’aggettivo speculativo rimanda
all’auto-contemplazione del concetto, come in uno specchio (cfr. Zygulski 2012).
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Parimenti, La Grassa non risparmia critiche a chi “ama tanto il Bene, il Giusto, il Meglio
e non so quali altri fanfaluche da «teste nelle nuvole»” che nella storia avrebbero creato “i
più grandi disastri” (La Grassa 2008c).
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nanti, che può essere accettata anche dal piemontese; essa sarebbe “per-
fetta per iniziare una prassi politica, favorire il multipolarismo, inserirsi
nello scontro tra i dominanti, svelare le strategie che sono alla base delle
scelte politiche”. Nondimeno, si può sempre adombrare il pericolo di
una “metafisica del conflitto” forte di una “volontà di potenza” analoga
a quella di Friedrich Nietzsche o di Carl Schmitt; nel caso di La Grassa,
questi si potrebbe salvare di striscio mediante le ipotesi dello squilibrio
immanente alla realtà e di un “centro regolatore” che intervallerebbe fasi
policentriche. Eppure, La Grassa non riesce a fornire adeguata risposta a
numerosi interrogativi, proprio perché non risolvibili scientificamente;
uno su tutti: “Perché opporsi ad alcuni dominanti e non ad altri?”. Tali
vicoli ciechi si potrebbero scansare pensando contemporaneamente al
conflitto e alla cooperazione “quali modalità fondamentali e inscindibili
secondo cui si modellano le relazioni umane”, ma soprattutto tenendo
ferma “l’idea di una società diversa”.
Gli verrebbe in aiuto Costanzo Preve, il cui comunismo comunitario
deve essere liberato da un doppio travisamento: egli non intendeva
riproporre “un generico umanitarismo ed universalismo”, e nemmeno
un tribalismo “basato sulla priorità delle singole comunità, con tutte
le ristrettezze di vedute che esso comporta”; si trattava invece di ri-
percorrere l’intera storia della filosofia per scoprirne a fondamento la
“comunità umana pensata come ente naturale generico”. Se per La Grassa
la politica coincide con lo scontro, con la scienza e con il materialismo,
il pensatore torinese invece preferiva un’altra equazione: “filosofia =
idealismo = comunità”. Entrambi i punti di vista sarebbero necessari e
complementari; Preve avrebbe sbagliato ad escludere il conflitto dalla
comunità umana, mentre l’errore dell’economista veneto starebbe nel
pensare il conflitto, seppur strategico, senza inserirlo “all’interno dello
sviluppo dell’intera comunità”.
Il Dizionario del Marxismo Contemporaneo di Jacques Bidet e Stathis
Kouvelakis ospita alcune righe di André Tosel (2008) consacrate a Preve
e altre a La Grassa. Di quest’ultimo si menzionano le numerose opere,
ispirate da Althusser e Bettelheim, nelle quali svolge una critica all’eco-
nomia politica e alla teoria economica. L’insufficienza esplicativa della
teoria del valore lo avrebbe portato a sviluppare una disamina del modo
di produzione in cui la centralità della proprietà nel capitalismo contem-
poraneo sarebbe stata rimpiazzata dal “conflitto strategico tra agenti
sociali dominanti”, con una lotta che si dispiega nell’economia, nella
politica, nell’ideologia e nella cultura, portando maggiori trasformazioni
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Eugenio Orso si mostrava particolarmente indignato per l’appoggio tattico che
Gianfranco La Grassa, nel segnalare lo sfacelo della sinistra italiana asservita agli inter-
essi statunitensi, ha temporaneamente accordato all’ex Presidente del Consiglio dei Mini-
stri Silvio Berlusconi, che sembrava capace di una maggiore autonomia sullo scacchiere
internazionale. La Grassa perse anche tale speranza dopo che Berlusconi tradì l’amicizia
con Muammar Gheddafi, avallandone l’uccisione e il bombardamento della Libia.
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Augusto Illuminati
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Augusto Illuminati,
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Manelli B., Nardelli M., Nobile M., Papagna M., Petrillo A., Proto M.
(1998e) Globalizzazione e transizione. Dalla trasformazione interna del capi-
talismo mondializzato dell’epoca presente alle possibili ipotesi di superamento
dell’attuale assetto mondiale. Analisi economica e sociale, discorso politico,
forme culturali. Milano: Punto Rosso.
La Grassa G. (1998f) “Oltre Marx, con le categorie di Marx”, Critica
Marxista, n. 5.
La Grassa G. (1999a) La tela di Penelope. Conflitto, crisi e riproduzione nel
capitalismo. Pistoia: CRT.
La Grassa G. (1999b) Considerazioni del dopoguerra. Insegnamenti dell’ag-
gressione USA (e NATO) alla Jugoslavia, Pistoia: CRT.
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tinuità e trasformazioni nel capitalismo contemporaneo. Milano: Unicopli.
La Grassa G., Coglitore M., Fullin G. (2000) Passo doppio. Le classi dirigenti
italiane nel passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica. Milano: Unicopli
La Grassa G. (2002a) Fuori della corrente. Decostruzione-ricostruzione di una
teoria critica del capitalismo. Milano: Unicopli.
La Grassa G. (2002b) L’ascia e lo scalpello. Scritti di teoria e congiuntura.
Carrara: Francesco Rossi Editore.
La Grassa G. (2003) L’imperialismo. Teoria ed epoca di crisi. Pistoia: CRT.
La Grassa G. (2004) Capitalismo oggi. Dalla proprietà al conflitto strategico.
Pistoia: Petite Plaisance.
La Grassa G. (2005a) Gli agenti strategici della trasformazione. Dentro e contro
il capitale. Milano: La Giovane Talpa.
La Grassa G. (2005b) Perché il conflitto strategico? Milano: La Giovane
Talpa.
La Grassa G. (2005c) Gli strateghi del capitale. Una teoria del conflitto oltre
Marx e Lenin. Roma: Manifestolibri.
La Grassa G. (2006a) La teoria come pratica. Critica del mercato e del (processo
di) lavoro. Contro destra e sinistra, correnti politico-ideologiche del capitalismo.
Carrara: Società Editrice Apuana.
La Grassa G. (2006b) Il gioco degli specchi. Destra e sinistra: due facce di una
politica in decomposizione. Potenza: Ermes.
La Grassa G. (2007) “Intervista” a cura di Graziani T., Eurasia. Rivista di
studi geopolitici, anno IV, n.3, pp. 161-174.
La Grassa G. (2008a) Contro. L’ideologia e la politica del capitalismo (sub)
dominante. Potenza: Ermes.
La Grassa G. (2008b) Finanza e poteri. Roma: Manifestolibri.
La Grassa G. (2008c) La crisi: occasione per un nuovo pensiero e, possibilmente,
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3. Siglario
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E I
Engels, F. 23, 24, 26, 88, 89 Iacono, A. M. 84
Epicuro 59 Illuminati, A. 68, 75, 82, 84, 85, 88
Eraclito 2, 36, 52
K
F
Kautsky, K. 32, 33, 46, 47, 88
Finelli, R. 55, 85 Kojève, A. 59
Fiorani, E. 84 Kouvelakis, S. 66, 90
Fourier, C. 24
Fullin, G. 86
Fumagalli, A. 85 L
Labica, G. 14
G La Grassa, G. 2, 7, 9, 10, 11, 13, 14,
15, 16, 17, 18, 19, 20, 23, 24,
Galilei, G. 40 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32,
Garaudy, R. 58 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40,
Garroni, S. 89 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48,
Geymonat, L. 13, 16, 84 49, 50, 51, 52, 53, 55, 56, 60,
Geymonat, M. 13 61, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69,
Gheddafi, M. 71 70, 71, 72, 73, 77, 78, 79, 80,
Giancotti, E. 84 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 89
Giannoli, G. I. 84 Ledru-Rollin, A. 24
Giraldi, G. 24, 88 Leghissa, G. 39, 91
Gorbačëv, M. 16 Lenin, V. I. 29, 32, 33, 48, 86, 88, 90
Graziani, T. 86 Leonetti, F. 14, 16
Guevara, E. R. (Che) 57 Levrero, R. 85
Guidi, M. L. 88 Lipietz, A. 84
Lippi, M. 83
List, F. 70
H Lombardo Radice, L. 58
Havemann, R. 58 Lukács, G. 60, 83
Hegel, G. W. F. 59 Luporini, C. 14, 83
Heidegger, M. 59 Luxemburg, R. 47, 88
Hobbes, T. 59 Lyotard, J.-F. 59, 89
Hobson, J. A. 47, 88
94
M Pezzano, G. 90
Piccioni, L. 84
Macchioro, A. 16, 87 Pogge, T. 40
Machiavelli, N. 59 Popper, K. R. 34, 89
Manelli, B. 86 Preve, C. 5, 7, 9, 10, 18, 21, 56, 58,
Mangano, A. 84 59, 60, 61, 62, 63, 65, 66, 70,
Marx, K. 9, 10, 13, 14, 15, 16, 18, 20, 79, 80, 84, 85, 89, 90
23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, Prodi, R. 18
31, 32, 33, 34, 35, 36, 41, 42, Proto, M. 86
46, 48, 51, 58, 59, 61, 62, 63, Proudhon 24, 26
64, 65, 68, 69, 71, 77, 84, 85, Proudhon, P. 90
86, 87, 88, 89, 90
Mazzeo, S. 2, 7
Mazzone, A. 83
Meissner, O. von 89 R
Meszaros, I. 85
Mirone, G. 7 Ragona, G. 70, 71, 88
Moro, A. 69 Ricardo, D. 24, 41
Ricoveri, G. 85
Ripepe, E. 84
N Rodano, F. 89
Romani, R. 87
Napolitano, G. 69 Romano, V. 7
Nardelli, M. 86 Rossi-Landi, F. 14
Nietzsche, F. 66 Rothschild, K. 90
Nobile, M. 86 Rothschild, K. W. 43
Nussbaum, M. 40 Rousseau, J.-J. 59
O
Orso, E. 71, 89 S
Scala, G. 10, 65, 90
P Schaff, A. 58
Schiavone, A. 15, 83
Pantalano, R. 61, 69, 70, 88 Schito, M. 7
Panzieri, R. 17 Schmitt, C. 66
Papagna, M. 86 Schumpeter, J. 38, 42, 90
Pedone, A. 83 Schumpeter, J- A. 37
Pesenti, A. 13, 14, 55, 56, 77 Screpanti, E. 68
Petrillo, A. 86 Sen, A. 39
Petrosillo, G. 7 Sereni, E. 14, 90
95
T Z
96
Ringraziamenti 7
Abstract 9
INTRODUZIONE 11
BIBLIOGRAFIA 85
1. Pubblicazioni di Gianfranco La Grassa 85
2. Altre opere citate 89
3. Siglario 93