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L

Legal

The International Journal of Roman Law,


Legal History and Comparative Law

2019
LR Legal Roots
The International Journal of Roman Law,
Legal History and Comparative Law
Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2019
pp. VIII+576; 24 cm
ISBN 978-88-495-3668-3 ISSN 2280-4994

© 2019 by Edizioni Scientifiche Italiane s.p.a.


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LR – Legal Roots è un’iniziativa del Network ELR – European Legal Roots© – The International
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Autorizzazione del Tribunale di Catania n. 14 del 13 aprile 2012. La Rivista ha sede presso l’Istituto di
Diritto Romano del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania, Via Gallo,
24. Tutti i diritti riservati in tutti i paesi del mondo.
CINECA: Codice rivista: E214880 - Titolo rivista: LR - LEGAL ROOTS - ISSN 2280-4994.
Direttore Responsabile prof. Salvatore Randazzo.
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The International Journal of Roman Law, Legal History and Comparative Law

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COMITATO SCIENTIFICO – EDITORIALE


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COORDINAMENTO
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COMPONENTI
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DIREZIONE
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DELEGATO PER LE “LETTURE ROMANISTICHE”: PAOLA LAMBRINI
CONDIRETTORE DELLA COLLANA «LRC - LEGAL ROOTS COLLECTION»: PATRIZIA GIUNTI
DELEGATO PER IL PROCESSO EDITORIALE: FEDERICA DE IULIIS

CONDIRETTORI: ERNEST METZGER (GLASGOW) – MICHAEL PEACHIN (NEW YORK)


DIRETTORE RESPONSABILE: SALVATORE RANDAZZO (BARI)
Indice

LE INTERVISTE DI LEGAL ROOTS


Storia antica, storia romana e Tarda Antichità
Francesco Arcaria incontra Mario Mazza 3

FOCUS
Cose e appartenenza. I «beni comuni» nel diritto romano 25
di Alessandro Corbino

SAGGI
Critical Comments on the Ownership of Land and Agricultural Laws
in Ancient Greece 43
di Aikaterini Mandalaki

Una problematica lettura dioclezianea in tema di principio


di utilizzazione negoziale ed interpretazione conservativa
della iusta causa traditionis 95
di Riccardo Fercia

Peculium duplicis iuris.


Sulla responsabilità de peculio del dominus
in D. 15.1.19.1-2 (Ulp. 29 ad ed.) 107
di Aleksander Grebieniow

Diritto romano e studi romanistici, tra storia e dogmatica.


La situazione tedesca vista in una prospettiva europea 159
di Filippo Ranieri
2019 L 8 Indice

Riflessioni intorno al consensus a fondamento


della ‘società’ romana 193
di Vincenzo Mannino

Leggere la quarta trebelliana, ovvero dal diritto romano


agli insulti siciliani, passando dal notaio 217
di Alfio Lanaia

L’OCCHIELLO
Marchesi «romanista» 225
di Luciano Canfora

LETTURE ROMANISTICHE
I Resoconti delle Letture romanistiche I 229
a cura di Paola Lambrini

LR CONFERENCES & EVENTS


Societas e Societates
Indirizzi di saluto 277
di Vincenzo Donativi

Societas e Societates.
Presentazione del progetto di ricerca. 279
di Salvatore Puliatti

Introduzione ai lavori 283


di Pietro Cerami

Preistoria linguistica dei termini latini ‘socius’ e ‘societas’ 291


di Giancarlo Schirru

La flessibilità dello schema societario nell’exercitio negotiationum


nel diritto romano della tarda repubblica e del principato 309
di Aldo Petrucci
Indice L 8 2019

Il ruolo della fides nei fenomeni aggregativi in Roma antica 341


di Paola Lambrini

Nota minima sull’appartenenza a città e impero nel Principato 357


di Tiziana Chiusi

La ‘parte’ del leone: intorno a D. 17.2.29.2 (Ulp. 30 ad Sab.) 369


di Pia Starace

OSSERVATORIO ROMANISTICO 395


a cura di Massimo Miglietta e Francesco Arcaria

AUCTORES 557
Il ruolo della fides nei fenomeni aggregativi
in Roma antica

Paola Lambrini

Abstract. – Fides was a fundamental normative parameter in every kind of association:


already in societas omnium inter omnes there was a natural law that required compliance with
the agreed commitments, but even more important was the principle of fides for the regulatory
framework of populus Romanus, called societas civium. In the archaic period fides was the
reference criterion for the effects arising from important interpersonal relationships, such as
clientela or sodalitates. Finally, societas contract found its first rules in the bona fides, a
normative criterion that originated from the new commercial context and which affected all
aspects of the contract: origin, structure, distribution of profits and losses, partners’ liability,
bond’s dissolution and judicial action.

Keywords: Fides, popolo, associazioni, bona fides, societas

341
1. Fides e societates. – Leggere in un quadro unitario concetti e istituti
giuridici che di solito vengono approfonditi separatamente permette di cogliere
importanti collegamenti e di individuare principi di fondo comuni ai vari
fenomeni aggregativi conosciuti dal diritto romano, dal contratto di societas al
populus, passando per le varie forme di associazione1.
L’elemento della socialità può essere considerato lo schema di base presente
nella maggior parte dei rapporti giuridici che si instaurano tra gli uomini2 e nel
pensiero romano la nozione di società assume «il rango di paradigma generale
della relazione ottimale tra gli uomini, in quanto corrispondente alla natura
umana e, addirittura, alla natura stessa degli esseri animati. Gli uomini, tutti gli
uomini sono o – comunque – devono essere ordinati nella grande serie di
società, che, in modo concentrico, vanno dal coniugium (la societas coniugalis)
alla societas hominum»3.

1
Il termine societas servì «ad indicare, fin dalle lontane origini, ogni rapporto associativo
che poteva legare più individui, indipendentemente dalla fonte che gli dava vita»: così BIANCHINI
1967, 111; per una visione unitaria della societas v. anche ONIDA 2012, 11 ss. e 2017, 389 ss.
2
«La comunione volontaria (societas) tra gli uomini è vista come espressione di un dato
naturale connesso al vivere»: così CARDILLI 2011, 194.
3
Così LOBRANO 2011-2012; cfr. ONIDA 2011-2012. V. CIC. off. 1.53 Gradus autem plures sunt

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Tra i principii che regolano il comportamento dell’uomo romano in tutti gli


aspetti della sua vita sociale, privata e pubblica, il più importante è senza dubbio
la fides, concetto non definibile in modo univoco e rigoroso, nel quale
convergono «le prospettive distinte e pur inseparabili dell’assicurare e del
rassicurare, della fedeltà e della fiducia, dell’affidamento e della confidenza»4.
La fides è la qualità di un soggetto che appare ‘affidabile’ rispetto ai suoi
comportamenti e alle sue parole5, è il fondamento di tutti le relazioni sociali,
è un presupposto fondamentale6 «alla base dei rapporti commerciali nel
Mediterraneo antico ben prima che i Romani creassero la giurisdizione del
praetor peregrinus»7.
Prima di essere bona fides essa è fides8, è la virtù cardine delle promesse
e dei giuramenti, definita da Cicerone come il fondamento della giustizia, quella
che garantisce la stabilità (constantia) e la sincerità (veritas) degli impegni e
degli accordi (dictorum conventorumque) 9; più tardi Quintiliano, la considera
supremum rerum humanorum vinculum10 e Aulo Gellio ci dice che il popolo
romano maxime atque praecipue fidem coluit sanctamque habuit tam privatim
quam publice e questo gli permise di raggiungere la grandezza che tutti
conoscono11.
I Romani associano alla fides la garanzia dell’ordine sociale e della
342 distribuzione del potere; essa è la base di tutte le relazioni di reciprocità, il

societatis hominum. Ut enim ab illa infinita discedatur, proprior est eiusdem gentis, nationis,
linguae, qua maxime homines coniunguntur. Interius etiam est eiusdem esse civitatis; multa enim
sunt civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges, iura, iudicia, suffragia,
consuetudines praeterea et familiaritates multisque cum multis res rationesque contractae. Artior
vero colligatio est societatis propinquorum; ab illa enim inmensa societate humani generis in
exiguum angustumque concluditur.
4
Così ALBANESE 1978, 115. Cfr. PAOLI 1955, 273 ss.; IMBERT 1959, 411; TALAMANCA 2003, 310 s.
5
Così FIORI 2008, 241.
6
«Fides ist eine der Grundkategorien römischen Normenverständnisses; sie verkörpert die
Erwartung normengerechten Verhaltens. Dabei kann es sich um ethische, juristische, religiöse
Normen handeln»: NÖRR 1990, 4. Cfr. WALDSTEIN 1976, 77 s.
7
Così GILIBERTI 2015, 11.
8
Secondo la tradizione romana fu Numa, re piissimo, a dedicare per primo, sul Campidoglio,
un tempio alla Fides Publica Populi Romani: LIV. 1.21.4; DION. HAL. 2.75.2; PLUT. Numa 16. Su
questi temi v. da ultimi FREYBURGER 1986, 228 ss.; PROSDOCIMI 2016, 142 ss.; MILANI 2017, 38 ss.
9
CIC. off. 1. 23 Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum conventorumque
constantia et veritas… Cfr. ATKINS, 1990, 268 ss.
10
Decl. min. 343.12 fides supremum rerum humanorum vinculum est.
11
GELL. 20.1.39… Omnibus quidem virtutum generibus exercendis colendisque populus
Romanus e parva origine ad tantae amplitudinis instar emicuit, sed omnium maxime atque
praecipue fidem coluit sanctamque habuit tam privatim quam publice.

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Il ruolo della fides nei fenomeni aggregaEvi in Roma anEca L 8 2019

criterio che rende vincolanti non solo i giuramenti12 e le promesse, ma anche


i patti e le alleanze, i negoziati e i commerci; sia nella vita pubblica13 che in
quella privata la violazione della fides è considerata atto di estrema gravità,
sanzionato con conseguenze religiose e giuridiche.
Dal momento che la fides è un fondamentale parametro non solo nel
sistema contrattuale della società, ma in tutti i fenomeni aggregativi, essa può
ben servire quale filo conduttore in questa breve disamina delle principali
relazioni a base sociale.

2. Popolo e fides. – Cominciando dal più ampio dei fenomeni aggregativi,


quello che Cicerone chiama a più riprese societas omnium inter omnes14, in
essa opera una legge di natura che impone a tutti di attenersi agli impegni
pattuiti, di mantenere la rerum contractarum fides; in questo contesto la fides
è considerata una delle basi dell’honestum, è il criterio decisivo per mantenere
unito il tessuto connettivo della hominum societas15.
Anche Livio osserva che con i popoli stranieri, anche se non vi è una societas

12
CIC. off. 3.39.104 Qui ius igitur iurandum violat, is Fidem violat. Iam enim non ad iram
deorum, quae nulla est, sed ad iustitiam et ad fidem pertinet. «La fides è evidentemente una
343
qualità percepita come se ci fosse una divinità che agisce tra gli uomini (precisamente, tra le
loro res) ogni volta che si fa un giuramento, il quale evidentemente vale più di una legge e
implica qualcosa in più che una semplice pena, se non viene rispettato. La Fides sembra proprio
essere la figurazione, in forma divina, di un insieme di relazioni basate sulla reciprocità, come
se, nel momento in cui si dà la propria parola, si stabilisse un patto sacro, infrangibile»:
BEVILACQUA 2016, 139 s. V. anche SACCHI 2007, 2383 ss.
13
«La presencia de la fides se puede advertir en todos los ambitos de la res publica romana.
Su vigencia se manifiesta, de una manera fluida y elástica en todos los niveles jurídicos, polìticos
y sociológicos»: DI PIETRO 2003, 505; cfr. VALVO 1992, 115 ss.
14
CIC. off. 3.69 …Societas est enim – quod, etsi saepe dictum est, dicendum est tamen saepius
– latissime quidem quae pateat, omnium inter omnes, interior eorum, qui eiusdem gentis sint,
proprior eorum, qui eiusdem civitatis. Itaque maiores aliud ius gentium, aliud ius civile esse
voluerunt: quod civile, non idem continuo gentium, quod autem gentium, idem civile esse debet.
Sed nos veri iuris germanaeque iustitiae solidam et expressam effigiem nullam tenemus, umbra
et imaginibus utimur. Eas ipsas utinam sequeremur! Feruntur enim ex optimis naturae et veritatis
exemplis. Cfr. off. 1.17, 1.20-22 1.50-51, 1.60; 1.153; 1.157-160; 3.21; 3.23; 3.28; 3.31; 3.52;
3.53. Sul testo cfr., da ultimi, GALLO 2003, 118 s.; BEHRENDS 2006, 483 ss.; FALCONE 2013, 259 ss.;
FIORI, 2016, 110 ss.
15
CIC. off. 1.15… Sed omne, quod est honestum, id quattuor partium oritur ex aliqua. Aut
enim in perspicientia veri sollertiaque versatur aut in hominum societate tuenda tribuendoque
suum cuique et rerum contractarum fide aut in animi excelsi atque invicti magnitudine ac robore
aut in omnium, quae fiunt quaeque dicuntur ordine et modo, in quo inest modestia et
temperantia… CIC. off. 2.24.84 nec enim ulla res vehementius rem publicam continet quam fide;
CIC. Balb. 34 magis fide quam aliquo publico vinculo religionis tenetur.

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basata su di un accordo espresso, ve ne è comunque una quam ingeneravit


natura16; tuttavia, vi è un limite a questa generica comunità che unisce tutti
gli uomini, in quanto con il pirata, considerato communis hostis omnium, nec
fides debet nec ius iurandum esse commune…17.
Nell’ambito di questa generica società di tutti gli uomini tra di loro, un ruolo
principe spetta al populus Romanus, definito societas civium o civilis societas,
per la regolamentazione della quale ancora più importante è il principio della
fides, valore fondante e irrinunciabile dei rapporti interni a un popolo, oltreché
ispiratore dei rapporti internazionali pubblici18.
Secondo la nota prospettiva ciceroniana19, la comunità politica repubblicana
si sarebbe organizzata proprio sul modello della consimile societas privatistica,
della quale conservava gli elementi strutturali, di modo che il consensus20 del
popolo era considerato fonte della obligatio societatis che vincolava

16
LIV. 5.27.6 nobis cum Faliscis quae pacto fit humano societas non est: quam ingeneravit
natura utrisque est eritque. sunt et belli, sicut pacis, iura, iusteque ea non minus quam fortiter
didicimus gerere. «Prima che esistano leggi e trattati, prima persino che la sacralità abbandoni
il suo stadio primordiale, l’idea di fides si afferma come fondamento essenziale di una certa
società italica. Nel momento stesso in cui due uomini si porgono la destra in segno di un’intesa
344
che entrambi intendono rispettare nasce il più antico sodalizio civile: koinonia tra individui e
tra gentes… Proprio il senso di questa communitas societatis humanae costituisce la base per
il più antico dei vincoli: si possono distinguere, in sostanza, due livelli della fides: una fides
generale che, senza bisogno di alcuna formalizzazione, governa i contatti tra gli uomini, e una
più ristretta, definita e limitata insieme, per esempio, dai termini di un foedus, di un trattato»:
così BRIZZI 2013, 25 s.
17
CIC. off. 3.107 Est autem ius etiam bellicum fidesque iuris iurandi saepe cum hoste
servanda. Quod enim ita iuratum est, ut mens conciperet fieri oportere, id servandum est; quod
aliter, id si non fecerit, nullum est periurium. Ut, si praedonibus pactum pro capite pretium non
attuleris, nulla fraus est, ne si iuratus quidem id non feceris. Nam pirata non est ex perduellium
numero definitus, sed communis hostis omnium; cum hoc nec fides debet nec ius iurandum esse
commune. Sulla questione v. ZIEGLER 1980, 93 ss.; TARWACKA 2009, 58 s.; TARWACKA 2012, 69 s.
18
In merito ai quali cfr., da ultimi, TURELLI 2011, 37 ss.; CURSI 2013, 197 ss.
19
CIC. re publ. 1.39 Est igitur, inquit Africanus, res publica res populi, populus autem non
omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et
utilitatis communione sociatus. Sul testo, notissimo, v., inter multos, CANCELLI 1973, 223 ss.; ARICÒ
ANSELMO 1983, 614 s.; MANCUSO 1984, 609 ss.; PEPPE 1985, 319 ss.; PEPPE 1990, 315 ss.; VARVARO
1998, 447 ss.; CASCIONE 2003, 65 ss.; TURELLI 2007, 163 ss.
20
Com’è noto, qualche secolo più tardi si negherà alle comunità municipali la capacità di
esprimere un consenso: D. 41.2.1.22 (Paul. 54 ad ed.): Municipes per se nihil possidere possunt,
quia universi consentire non possunt; cfr. D. 10.4.7.3 (Ulp 24 ad ed.); D. 38.3.1 pr. (Ulp 49 ad
ed.). «Nell’ottica strettamente privatistica, non si può accedere all’idea di un gruppo in quanto
tale… che esprime un consentire»: così CASCIONE 2003, 164; v. anche CATALANO 1990, 179 s.;
CASCIONE 2007, 49 ss.

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reciprocamente i cives21. L’elemento alla radice della comunità politica sarebbe


il pactum societatis e proprio attraverso il consensus il populus si porrebbe
quale soggetto produttivo di ‘ordinamento’:
«il contratto di società… segna in modo indelebile la storia e il sistema delle
istituzioni giuridiche anche pubbliche. Lo specificamente articolato processo di
formazione della volontà pubblica tra potere sovrano/legislativo e potere
esecutivo/di governo… passa esclusivamente e necessariamente attraverso la
invenzione giuridica romana del contratto di società…»22.

Il consenso tra i cittadini era a tal punto importante che, sempre secondo
Cicerone, la res publica sarebbe divenuta nulla alla radice quando un tiranno
prendesse il potere, proprio perché egli eliminava quell’accordo che è elemento
essenziale dell’aggregazione tra i cittadini23: come diceva già Ennio, in presenza
di un monarca non si dà alcuna sancta societas nec fides24.

3. Associazioni e fides. – Passando a forme di aggregazione più ristrette,


sappiamo che nell’epoca arcaica la fides era il criterio di riferimento per
determinare gli obblighi scaturenti da importanti relazioni interpersonali, come
la clientela o le antiche sodalitates; nell’età più antica i rapporti associativi si
fondavano «su una prestazione di fides, ossia su un vincolo giuridico-religioso 345
che aveva valore normativo, potendo tanto costituire quanto regolare
successivamente un rapporto»25.

21
Questa l’interpretazione del testo proposta in particolare da MANCUSO 1984, 609 ss;
MANCUSO 1987, 339 ss.; MANCUSO 1991, 211 ss.; MANCUSO 1995, 73 ss. VARVARO 1998, 445 ss.
mette in guardia dall’intendere la terminologia ciceroniana come tecnicamente riferita al
contratto consensuale di società; per una disamina delle varie posizioni cfr. TURELLI 2007, 184 s.
22
Così LOBRANO, 2011-2012, che prosegue: «il contratto di società è l’unico strumento
mediante il quale è possibile conseguire l’obiettivo di trasformare i privati/sudditi (in lotta tra
di loro e subordinati ad un potere alieno) in cittadini (solidali e autonomi), realizzando la
combinazione della democrazia formale e della democrazia sostanziale. Ciò perché i soci
possono/devono partecipare alle decisioni comuni in quanto sono reciprocamente “obbligati”
proprio a definire e perseguire l’obiettivo del bene comune (la communio utilitatis)». V. anche
CATALANO 1974, 105, nt. 33; LOBRANO 1997, 457 s.; ONIDA 2012, 3 ss.
23
CIC. re publ. 3.31.43 ergo illam rem populi, id est rem publicam, quis diceret tum, cum
crudelitate unius oppressi essent universi, neque esset unum vinculum iuris nec consensus ac
societas coetus, quod est populus?… «Ergo ubi tyrannus est, ibi non vitiosam… sed… dicendum
est plane nullam esse rem publicam».
24
CIC. re publ. 1.32.49 ut ait Ennius, ‘nulla [regni] sancta societas nec fides est’. Cfr. CIC. off.
1.8.26.
25
Così FIORI 2018, 695. Cfr. FIORI 1999, 99 ss.; LANTELLA 2008, 10 ss.

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Molto nota è la norma decemvirale26 che avrebbe riconosciuto il diritto per


i membri delle sodalitates di determinare liberamente lo statuto
dell’associazione27, con il limite di non violare le leggi pubbliche: potestatem
facit lex pactionem quam velint sibi ferre, dum ne quid ex publica lege
corrumpant28. Tra le molteplici interpretazioni che ne sono state proposte, a
mio giudizio la più convincente è quella avanzata da Roberto Fiori, il quale ha
osservato come le antiche regole basate sulla fides, che esprimevano i valori
delle classi dominanti, potevano essere entrate in conflitto con gli interessi dei
plebei, i quali avrebbero dunque chiesto l’introduzione nella legge delle XII
Tavole di una norma che da un lato riconoscesse la facoltà dei sodales di darsi
regole pattizie, dall’altro disponesse che la vincolatività di tali norme trovasse
un limite «nelle regole fissate dal populus con lo strumento della legge
comiziale… Lo scopo della norma è… quello di rompere le strutture tradizionali
gentilizie al fine di indebolire il patriziato»29, senza peraltro (almeno a quel che
ci risulta) prevedere sanzioni.
Dal momento che tale norma è ancora riportata nel Digesto, si ritiene che
essa abbia continuato a regolare la vita delle associazioni per tutta la storia del
diritto romano, naturalmente reinterpretata alla luce delle nuove realtà
costituzionali: «nella statuizione del limite alla volontà dei sodales (perciò al
346 contenuto della pactio), l’antica menzione della lex publica simboleggiò
l’ordinamento tutto dello stato»30. In questo senso essa ben si collega ai
molteplici interventi pubblici intervenuti a partire dall’ultima Repubblica31 per
controllare le varie forme di associazioni in quanto potenzialmente pericolose
per l’ordine costituito. Sappiamo che l’intera materia trovò regolamentazione
con una disposizione dell’ultima epoca repubblicana32 che sciolse i collegi

26
Attribuita alla Tavola VIII.27.
27
Così COLI 1913, 43 ss. Ritengono invece che la norma si limitasse a riconoscere un diritto
esistente, ponendo un limite a esso DE ROBERTIS 1971, 45 ss.; FIORI 1999, 143 ss.; SERRAO 2006,
361.
28
D. 47.2.4 (Gai. 4 ad l. XII tab.) Sodales sunt, qui eiusdem collegii sunt: quam Graeci
hetaireian vocant. his autem potestatem facit lex pactionem quam velint sibi ferre, dum ne quid
ex publica lege corrumpant.
29
Così FIORI 2018, 696, che prosegue: «se ciò pare possibile in età decemvirale è perché nel
contesto culturale del quinto secolo a.C. la nuova fonte normativa costituita dalla lex ha
ridimensionato l’egemonia dello ius e le sue rilevanti connotazioni anche religiose: evidentemente
si riteneva che la logica di reciprocità e di autonomia del principio giuridico religioso della fides
non fosse così vincolante da non poter essere mutata con un atto normativo».
30
Così SERRAO 2006, 363.
31
Cfr. DE ROBERTIS 1971, 83 ss.; RANDAZZO 1991-1992, 49 ss.; BENDLIN 2002, 30 ss.
32
Lex Iulia de collegiis, CIL VI, n. = CIL 6, 4416. Nei municipi è probabile che gli statuti

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esistenti, eccetto quelli di più antica tradizione, e stabilì che la costituzione di


nuove associazioni dovesse avvenire dietro autorizzazione del Senato o del
Principe.
Emblematica della preoccupazione per l’ordine pubblico che suscitavano tali
assembramenti è una lettera di Traiano a Plinio il giovane, in cui l’imperatore
respinge categoricamente la proposta di costituire un corpo di vigili del fuoco
per prevenire futuri incendi a Nicomedia33 perché, qualunque nome o funzione
venisse attribuita a queste associazioni, esse finivano sempre per divenire delle
congregazioni politiche34.
In questo contesto sembra non ci sia più spazio per la fides, anche se bisogna
ricordare che i giureconsulti non prestano particolare attenzione al tema delle
associazioni35; nei testi giuridici conservatici non solo non si trova una
trattazione unitaria del fenomeno associativo, ma manca anche una
terminologia costante unitaria e una descrizione dei vari tipi di associazioni36.
Nel Digesto se ne tratta rapidamente solo per taluni aspetti, come a
proposito della clausola edittale che consentiva a civitates e collegia di stare
in giudizio tramite propri actores37 oppure in relazione alla necessità di

347
contenessero una clausola analoga a quella che si legge nel capitolo 74 della lex Irnitana (e
nell’analogo cap. 106 della lex coloniae Genetivae), diretta a vietare le conseguenze negative
per l’ordine pubblico che si potevano produrre dall’assembramento di molte persone facenti
parte dei collegia. Nelle provincie il compito di sorvegliare sulle associazioni era affidato al
governatore. Sul punto cfr. LIU 2005, 306 ss.; GROTEN 2015, 302 ss.
33
Ep. 10.33.3 C. Plinius Traiano Imperatori Tu, domine, dispice an instituendum putes
collegium fabrorum dumtaxat hominum CL. Ego attendam, ne quis nisi faber recipiatur neve
iure concesso in aliud utantur; nec erit difficile custodire tam paucos. Sull’epistolario e i suoi
rapporti con la fides cfr. BARBUTI 1994, 280 ss.
34
Ep. 10.34.1 Traianus Plinio Tibi quidem secundum exempla complurium in mentem venit
posse collegium fabrorum apud Nicomedenses constitui. Sed meminerimus provinciam istam et
praecipue eas civitates eiusmodi factionibus esse vexatas. Quodcumque nomen ex quacumque
causa dederimus iis, qui in idem contracti fuerint, hetaeriae eaeque brevi fient. Sul punto cfr.
LIU 2005, 304; PERRY 2016, 144.
35
Ancora oggi l’ambito associativo è estremamente povero di indicazioni normative e vi è
chi ritiene che il miglior parametro di valutazione della condotta degli associati sia proprio la
buona fede: cfr. BASILE 1975, 253; FUSARO 2003, 99.
36
«Circa l’associazione in sé, come ente collettivo spontaneamente prodotto dal commercio
umano accanto all’ente individuo, è naturale che il legislatore romano non si perdesse a
sillogizzare sulle sue metafisiche qualità; ma, per quel mirabile e lucido processo per cui
considerava la obbligazione dal punto di vista dell’azione, fermasse a preferenza i diritti di
quell’ente da lato della sua attitudine giudiziale»: così COLI 1913, 20.
37
D. 3.4 Quod cuiuscumque universitatis nomine vel contra eam agatur. In proposito v.
BISCARDI 1980, 3 ss.; AUBERT 1999, 49 ss.; SIRACUSA 2018, 307.

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reprimere eventuali atteggiamenti che portassero a compromettere la sicurezza


e l’ordine38 e per alcuni aspetti fiscali e amministrativi.

4. Contratto di società e fides bona. – Veniamo infine al contratto di società,


il quale trova la sua prima regolamentazione nella fides bona, criterio normativo
che proprio dal nuovo contesto commerciale prende origine39 e tramite il quale
si riconosce all’archetipo civilistico dell’obbligazione la capacità di adattarsi ai
contatti tra tutti gli uomini40: «il rapporto tra fides Romana e bona fides
risponde… alla stessa ratio che fa del ius civile un ius proprium civium
Romanorum e del ius gentium un che di distinto e insieme di compreso in
esso»41.
La buona fede opera già a partire dall’origine del contratto di società,
fungendo da fattore di coagulazione tra il prototipo del consortium ercto non
cito dell’antico ius civile e le nuove figure commerciali nate nel ius gentium.
Essa appare poi particolarmente necessaria per governare una struttura
negoziale la cui identificazione era in gran parte lasciata all’autonomia privata42;
la fisionomia del contratto di società era infatti estremamente flessibile e
malleabile43: con l’accordo delle parti si potevano adattare alle esigenze proprie
dei soci tutte le obbligazioni scaturenti dal contratto.
348 L’assenza di uno schema rigido permetteva grande duttilità nell’impiego di
tale nuovo strumento, il quale riusciva così a soddisfare interessi socio-
economici molto diversi, ma poteva anche far sorgere alcuni inconvenienti, in

38
D. 47.22. De collegiis et corporibus, collocato nel libro dedicato ai delitti privati, al
penultimo titolo subito prima di quello intitolato alle azioni popolari; ma anche D. 48.19.28.3,
a proposito del quale v., da ultima, LAURENDI 2016, 263 ss.
39
«Quando… Roma si apre al confuso e mutevole mondo dei mercati e dei traffici
internazionali, i rapporti si realizzano tra persone che – non appartenendo alla medesima
comunità – non hanno contezza l’uno del ‘credito’ dell’altro. È possibile allora che la prassi
commerciale abbia sviluppato… un parametro oggettivo, astratto, desunto dall’esperienza
romana ma imposto anche agli stranieri che avessero chiesto una tutela entro la iurisdictio del
pretore romano. Questo parametro astratto è una fides fittizia, convenzionale, svincolata dalla
realtà concreta delle parti del rapporto, delle quali non si verifica – non può verificarsi – lo
status, l’affidabilità: si richiama invece un paradigma comportamentale espresso dalla figura del
bonus vir»: così FIORI 2008, 250. Cfr. RANDAZZO 2005, 154 ss.
40
Così CARDILLI 2011, 195. «Le preteur a l’audace d’introduire dans le domaine juridique
l’obligation du respect de la conception généreuse de la fides: la bona fides… Ainsi laïcisée et
canalisée la fides entrait dans le droit»: IMBERT 1959, 413; v. anche BECK 1955, 14 ss.; WIEACKER
1963, 20 ss.; SCHERMAIER 2000, 77 ss.
41
Così CORBINO 2013, 121.
42
Cfr. FREZZA, 1975, 12; SANTUCCI, 2003, 385.
43
Cfr. MEISSEL 2004, 61 ss.

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particolare in ordine alla liceità del contratto. Tale genere di problemi veniva
risolto proprio grazie al criterio della bona fides: in proposito, notissimo è il
testo in cui si afferma che la società è automaticamente nulla se conclusa con
dolo o a scopo di frode, perché la buona fede è contraria alla frode e al dolo44.
Tale rilevanza della bona fides può essere letta innanzitutto in una
prospettiva interna, nel senso della necessità che i rapporti tra i soci siano
improntati al principio della correttezza, altrimenti i loro accordi non saranno
produttivi di effetti tra i soci stessi45. È però prevalente il punto di vista
esterno46, in quanto alla buona fede deve rispondere l’oggetto per cui è stata
costituita la società47 e per conseguire il quale i singoli soci pongono in essere
atti a valenza esterna nei confronti di terzi.
Oltre alla questione dell’illiceità, molti sono gli aspetti del contratto di
societas in relazione ai quali la buona fede svolge un ruolo di primo rilievo:
essa è un principio che modella tutti i rapporti contrattuali e costituisce «il
criterio guida a cui ci si deve riferire durante la vita del rapporto e anche oltre,
come ben testimoniano le fonti in tema di responsabilità dei soci e quelle
relative alle fasi dello scioglimento del vincolo societario»48.
La buona fede aiuta a disciplinare l’assetto negoziale fra i soci in relazione
al tipo e all’entità dei conferimenti e degli obblighi49, in particolare allo scopo
349

44
D. 17.2.3.3 (Paul. 32 ad ed.) Societas si dolo malo aut fraudandi causa coita sit, ipso iure
nullius momenti est, quia fides bona contraria est fraudi et dolo. Si potrebbe dire che la nullità
discenda dall’applicazione della famosa clausola edittale in base alla quale il pretore promette
di tutelare solo i patti che siano stati conclusi senza dolo e che non contrastino direttamente
o indirettamente con provvedimenti normativi: D. 2.14.7.7 (Ulp. 4 ad ed.) Ait praetor: «pacta
conventa, quae neque dolo malo, neque adversus leges plebis scita senatus consulta decreta
edicta principum, neque quo fraus cui eorum fiat facta erunt, servabo».
45
Cfr. TALAMANCA 1990, 838, nt. 267.
46
In questo senso già POGGI 1930, 66: «noi crediamo… che il caso fatto dal giurista non
contempli una ipotesi di dolo dell’un socio verso l’altro nella conclusione del contratto, ma di
dolo di entrambi i soci verso terzi, come indica scopo di frodare i terzi il fraudandi causa. Non
è quindi il consenso viziato di un socio che è preso in considerazione, ma la illiceità della
conclusione stessa del contratto, che lo annulla tutto». Cfr. GUARINO 1972, 65 e nt. 203; SANTUCCI
2003, 363 ss.; GARBARINO 2013, 3 ss.
47
Nel Digesto si trovano altre affermazioni che sottolineano i confini tra liceità e illiceità
della societas avuto riguardo all’oggetto sociale concordato dai soci, ad esempio cfr. D. 17.2.57
(Ulp. 30 ad Sab.) Nec praetermittendum esse Pomponius ait ita demum hoc esse verum, si
honestae et licitae rei societas coita sit: ceterum si maleficii societas coita sit, constat nullam
esse societatem. generaliter enim traditur rerum inhonestarum nullam esse societatem.
48
Così SANTUCCI 2003, 385.
49
Cfr. C. 4.37.3 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. et C.C. Aurelio Victorino mil.) Cum
in societatis contractibus fides exuberet conveniatque aequitatis rationibus etiam compendia

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di pervenire a un’eguaglianza sostanziale delle partes lucri et damni50,


soprattutto per il caso in cui la loro determinazione fosse affidata a un terzo
o a un socio stesso, i quali avrebbero dovuto decidere seguendo il criterio
dell’arbitrium boni viri51.
Essa permette poi di risolvere vari problemi centrali nell’interpretazione del
contratto, come quello della responsabilità dei soci, il criterio della quale può,
secondo la lettura più accreditata52, estendersi anche alla colpa proprio grazie
alla buona fede53.
Altra questione molto dibattuta è quella del recesso intempestivo di un
socio, il quale era sanzionato quando fosse fraudolento e perciò incompatibile
con la fides 54, che fonda e contrassegna l’intero rapporto sociale, nonché,
quando fosse oggettivamente intempestivo55 e perciò, ancora una volta
«incompatibile, alla stregua della fides bona, con un più stretto impegno di
cooperazione, volto alla realizzazione dell’oggetto sociale»56.
Infine, non si può non ricordare che nell’iudicium pro socio venit bona fides57,

aequaliter inter socios dividi, praeses provinciae, si patrem tuum salinarum societatem
participasse et non recepta communis compendii portione rebus humanis exemptum esse
reppererit, commodum societatis, quod deberi iuxta fidem veri constiterit, restitui tibi praecipiet.
350 50
Cfr. TALAMANCA 2012, 163 ss.
51
Cfr. D. 17.2.6 (Pomp. 9 ad Sab.); D. 17.2.76 (Procul. 5 epist.); D. 17.2.79 (Paul. 4 quaest.).
Per un’attenta analisi di questi testi v. SANTUCCI 2003, 367 ss.
52
Cfr. TAFARO 1987, 311 ss.; VOCI 1990, 58 ss.; DAJCZAK 1997, 185 ss.
53
Cfr. Ulp. 31 ad ed. (D. 17.2.52.1-2). Sul punto v. SANTUCCI 2003, 372 ss.
54
D. 17.2.65.3 (Paul. 32 ad ed.) Diximus dissensu solvi societatem: hoc ita est, si omnes
dissentiunt. quid ergo, si unus renuntiet? Cassius scripsit eum qui renuntiaverit societati a se
quidem liberare socios suos, se autem ab illis non liberare. quod utique observandum est, si dolo
malo renuntiatio facta sit, veluti si, cum omnium bonorum societatem inissemus, deinde cum
obvenisset uni hereditas, propter hoc renuntiavit: ideoque si quidem damnum attulerit hereditas,
hoc ad eum qui renuntiavit pertinebit, commodum autem communicare cogetur actione pro
socio. quod si quid post renuntiationem adquisierit, non erit communicandum, quia nec dolus
admissus est in eo. Per un’ampia disamina del problema v. già ARANGIO-RUIZ 1950, 151 ss.; BONA
1973, 79 ss.; SANTUCCI 1997, 193 s.; da ultimo LIVA 2016-2017, 1 ss.
55
D. 17.2.65.5 (Paul. 32 ad ed.) Labeo autem posteriorum libris scribsit, si renuntiaverit
societati unus ex sociis eo tempore, quo interfuit socii non dirimi societatem, committere eum
in pro socio actione: nam si emimus mancipia inita societate, deinde renunties mihi eo tempore,
quo vendere mancipia non expedit, hoc casu, quia deteriorem causam meam facis, teneri te pro
socio iudicio. Proculus hoc ita verum esse ait, si societatis non intersit dirimi societatem: semper
enim non id, quod privatim interest unius ex sociis, servari solet, sed quod societati expedit. haec
ita accipienda sunt, si nihil de hoc in coeunda societate convenit.
56
Così CERAMI 2007-2008, 120.
57
D. 17.2.52.1 (Ulp. 31 ad ed.); cfr. D. 17.2.78 (Proc. 5 epist.)… in proposita autem quaestione
arbitrium viri boni existimo sequendum esse, eo magis quod iudicium pro socio bonae fidei est.

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con la conseguenza che la condanna nell’azione di società sarà nei limiti delle
possibilità economiche di ciascun socio58; tuttavia, mancare alla fiducia nei casi
in cui più forte è il vincolo tra le parti ha una conseguenza processuale e sociale
molto pesante, la dichiarazione d’infamia59.

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geschichtliche Anmerkungen zu den Mustern sozialer Ordnung in Rom, in Religiöse
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58
Cfr. D. 17.2.63pr. (Paul. 32 ad ed.).
59
Cic. Rosc. comoed. 16 …Si qua enim sunt privata iudicia summae existimationis et paene
dicam capitis, tria haec sunt, fiduciae, tutelae, societatis. Aeque enim perfidiosum et nefarium
est fidem frangere quae continet vitam, et pupillum fraudare qui in tutelam pervenit, et socium
fallere qui se in negotio coniunxit. Cfr. Cic. Rosc. Amerino 40.116… In rebus minoribus socium
fallere turpissimum est… Ad cuius igitur fidem confugiet, cum per eius fidem laeditur cui se
commiserit?…socium cavere qui possumus? quem etiam si metuimus, ius offici laedimus. Recte
igitur maiores eum qui socium fefellisset in virorum bonorum numero non putarunt haberi
oportere.

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