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‘RES IUDICATA’

a cura di
LUIGI GAROFALO

tomo secondo

estratto

JOVENE 2015
DIRITTI D’AUTORE RISERVATI
© Copyright 2015
ISBN 978-88-243-2399-4
JOVENE EDITORE
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Printed in Italy Stampato in Italia


Paola Lambrini

ASSOLUZIONE INGIUSTA,
‘ACTIO DE DOLO MALO’ ED ‘EX INTEGRO AGERE’

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Labeone, la collusione processuale e l’azione di


dolo. – 3. Labeone, lo spergiuro e l’azione di dolo. – 4. Giuliano tra azione di
dolo e actio restitutoria. – 5. Paolo e l’ex integro agere. – 6. Azione di dolo o ex
integro agere? La proposta di Marcello.

1. Introduzione.

Il principio dell’inattaccabilità tra le parti di una sentenza che fosse


stata emessa rispettando tutti i presupposti di ordine formale1 cominciò
a essere superato all’inizio dell’epoca classica per i casi in cui la sentenza
fosse stata ottenuta tramite comportamenti scorretti; i rimedi erano
diversi a seconda delle varie situazioni possibili, ma si richiamavano
tutti al concetto di dolo.
1
Più fonti attestano che tra le parti la sentenza, anche se emessa per errore del giu-
dice, manteneva la propria efficacia: Tryph. 8 disp. D. 20.6.13: Si deferente creditore
iuravit debitor se dare non oportere, pignus liberatur, quia perinde habetur, atque si iudicio
absolutus esset: nam et si a iudice quamvis per iniuriam absolutus sit debitor, tamen pignus
liberatur; Ulp. 44 ad ed. D. 38.2.12.3: Si quis, cum esset exheredatus, pronuntiatus vel per-
peram sit exheredatus non esse, non repellitur: rebus enim iudicatis standum est ; Ulp. 35 ad
ed. D. 27.9.3.3: Idemque erit dicendum et si fundus petitus sit, qui pupilli fuit, et contra
pupillum pronuntiatum tutoresque restituerunt: nam et hic valebit alienatio propter rei iu-
dicatae auctoritatem. Sul problema in generale dell’ingiustizia della sentenza per iniuria
iudicis si vedano i fondamentali lavori di G. Pugliese, Cosa giudicata e sentenza ingiusta
nel diritto romano, in Conferenze romanistiche, Milano, 1960, 225 ss., ora in Scritti
giuridici scelti, II, Napoli, 1985, 5 ss. e Note sull’ingiustizia della sentenza nel diritto
romano, in Studi in onore di E. Betti, III, Milano, 1962, 727 ss., ora in Scritti, cit., 29 ss.
228 PAOLA LAMBRINI

In caso di sentenza di condanna era possibile utilizzare l’exceptio


doli nei confronti dell’actio iudicati 2.
Qualora alla condanna ingiusta fosse seguito l’adempimento del-
l’obligatio iudicati, pur partendo dal presupposto che non era possibile
la ripetizione di ciò che fosse stato pagato in esecuzione del giudicato3,
neppure quando il giudicato era nullo4, in alcuni casi si giunse, per vie

2
V. Paul. 7 ad Sab. D. 24.3.17.2: Si in iudicio dotis iudex ignorantia iuris lapsus
condemnaverit maritum in solidum, Neratius Sabinus doli exceptione eum uti oportere aiunt
eaque tutum fore; Paul. 32 ad ed. D. 44.4.9: Si procurator rei pecunia accepta damnari se
passus sit et cum domino iudicati agatur, tuebitur se doli mali exceptione. …; Imperator An-
toninus A. Stellatori C. 7.52.1: Rebus quidem iudicatis standum est. sed si probare poteris
eum cui condemnatus es id quod furto amisisse videbatur recepisse, adversus iudicati agentem
doli exceptione opposita tueri te poteris (a. 213). Sul tema cfr. F. La Rosa, L’‘actio iudicati’
nel diritto romano classico, Milano, 1963, 115 ss.; M. Marrone, Eccezione di dolo generale
ed eventi sopravvenuti alla ‘litis contestatio’, in L’eccezione di dolo generale. Diritto romano
e tradizione romanistica, a cura di L. Garofalo, Padova, 2006, 435 ss.
3
La motivazione più probabile è da individuare nel fatto che è negata la condictio
indebiti ogni volta che l’azione a tutela del credito sia una di quelle in cui il convenuto
può incorrere in infitiatio ed essere condannato al doppio, se nega infondatamente la
pretesa dell’attore; la regola si applica, infatti, anche al caso dell’erede onerato di legati
obbligatori, il quale, com’è noto, se non adempie spontaneamente e viene condannato
con l’actio ex testamento, paga il doppio. Cfr. L. Wenger, Zur Lehre von der ‘actio iudicati’,
Graz, 1901, 28 s.; J. Paoli, ‘Lis infitiando crescit in duplum’, Paris, 1933, 235 ss.; H.
Apelt, Die Urteilsnichtigkeit im römischen Prozess, s.l., 1937, 122 ss.; M. Marrone, L’ef-
ficacia pregiudiziale della sentenza nel processo civile romano, in AUPA, XXIV, 1955, 188;
G. Gandolfi, In tema di «auctoritas rei iudicatae» (Giuliano in D. 5,1,74,2), in Studi in
onore di G. Grosso, IV, Torino, 1971, 138 ss.; R. Mentxaka, ‘Stellionatus’, in BIDR, XCI,
1988, 296 s. Per una completa disamina di tutte le posizioni dottrinali sul punto v. A.
Salomone, Sentenza invalida, sentenza ingiusta ed irripetibilità del ‘solutum ex causa iu-
dicati’, in Diritto e giustizia nel processo. Prospettive storiche costituzionali e comparatistiche,
a cura di C. Cascione e C. Masi Doria, Napoli, 2002, 26 ss.; ‘Iudicati velut obligatio’.
Storia di un dovere giuridico, Napoli, 2007, 508 ss.
4
Sembrerebbe sufficiente anche una causa iudicati putativa: Paul. 2 quaest.
D.10.2.36: Cum putarem te coheredem meum esse idque verum non esset, egi tecum familiae
erciscundae iudicio et a iudice invicem adiudicationes et condemnationes factae sunt: quaero,
rei veritate cognita utrum condictio invicem competat an vindicatio? et an aliud in eo qui
heres est, aliud in eo qui heres non sit dicendum est? respondi: qui ex asse heres erat, si, cum
putaret se Titium coheredem habere, acceperit cum eo familiae erciscundae iudicium et con-
demnationibus factis solverit pecuniam, quoniam ex causa iudicati solvit, repetere non potest.
sed tu videris eo moveri, quod non est iudicium familiae erciscundae nisi inter coheredes ac-
ceptum: sed quamvis non sit iudicium, tamen sufficit ad impendiendam repetitionem, quod
quis se putat condemnatum… . Alla fine dell’epoca postclassica si ammette la ripetizione
nel caso in cui il condannato possa provare che la sentenza era basata su prove false: v.
Imperator Gordianus A. Herennio C. 7.58.4: Iudicati exsecutio solet suspendi et soluti dari
repetitio, si falsis instrumentis circumventam esse religionem iudicantis crimine postea falsi
illato manifestis probationibus fuerit ostensum.
ASSOLUZIONE INGIUSTA 229

traverse, a dare tutela al danneggiato5; in un testo si afferma che si po-


trebbe incriminare di stellionato chi abbia ricevuto il denaro oggetto
di un’obbligazione da giudicato con la consapevolezza dell’inesistenza
del debito erroneamente riconosciuto dal giudice6.
In questa sede si esaminerà il caso opposto, in cui l’attore sia stato
danneggiato dall’ingiusta assoluzione ottenuta dal convenuto per
mezzo di un inganno. In tale ipotesi, essendo inverosimile che il con-
venuto adempisse spontaneamente l’obbligazione naturale che sembra
residuasse dopo l’ingiusta assoluzione7, si cercò di procurare altrimenti
un ristoro all’attore defraudato concedendogli l’actio de dolo malo.
Non era di ostacolo alla concessione di tale azione il fatto che la
scorrettezza avesse avuto luogo in un processo concluso con una sen-
tenza, perché formalmente il giudicato non veniva toccato: in presenza

5
In un’ipotesi, in cui manca qualunque inganno da parte dell’accipiens, si suggerisce
l’utilizzo dell’actio negotiorum gestorum: Iul. 5 dig. D. 5.1.74.2: Cum absentem defendere
vellem, iudicium mortuo iam eo accepi et condemnatus solvi: quaesitum est an heres libera-
retur, item quae actio mihi adversus eum competeret. respondi iudicium, quod iam mortuo
debitore per defensorem eius accipitur, nullum esse et ideo heredem non liberari: defensorem
autem, si ex causa iudicati solverit, repetere quidem non posse, negotiorum tamen gestorum
ei actionem competere adversus heredem: qui sane exceptione doli mali tueri se possit, si ab
actore conveniatur.
6
Ulp. 7 disp. D. 17.1.29.5: In omnibus autem visionibus, quae praepositae sunt, ubi
creditor vel non numeratam pecuniam accipit vel numeratam iterum accepit, repetitio contra
eum competit, nisi ex condemnatione fuerit ei pecunia soluta: tunc enim propter auctoritatem
rei iudicatae repetitio quidem cessat, ipse autem stellionatus crimine propter suam calliditatem
plectetur. Il passo giunge a conclusione di un’ampia descrizione di alcune fattispecie pa-
tologiche nei rapporti tra debitore principale e garante – richiamate tramite l’espressione
in omnibus autem visionibus la cui genuinità è fortemente sospetta – e afferma la possibilità
per il debitore che abbia versato ingiustamente una somma di denaro di esperire la
condictio indebiti, con esclusione del caso in cui il denaro sia stato pagato ex condemnatione:
l’unica possibilità nei confronti di un soggetto che abbia approfittato del pagamento in-
giustificato sembra essere l’accusa di stellionato. Secondo molti autori (cfr. E. Volterra,
‘Stellionatus’, in Studi Sassaresi, VII, 1929, 22 ss.; U. Zilletti, Annotazioni sul ‘crimen
stellionatus’, in AG, CLXI, 1961, 76, nt. 43; L. Garofalo, La persecuzione dello stellionato
in diritto romano, Padova, 1992, 107; P. Stein, Recensione a L. Garofalo, La persecuzione
dello stellionato in diritto romano, in Iura, XLIII, 1992, 200) il riferimento allo stellionato
sarebbe stato aggiunto dai compilatori giustinianei; vi è anche chi (R. Mentxaka, ‘Stel-
lionatus’, cit., 298) pensa all’intervento di un commentatore postclassico.
7
Cfr. Paul. 32 ad ed. D. 12.6.28: Iudex si male absolvit et absolutus sua sponte solverit,
repetere non potest; Paul. 3 quaest. D. 12.6.60 pr.: Iulianus verum debitorem post litem
contestatam manente adhuc iudicio negabat solventem repetere posse, quia nec absolutus nec
condemnatus repetere posset: licet enim absolutus sit, natura tamen debitor permanet: simi-
lemque esse ei dicit, qui ita promisit, sive navis ex Asia venerit sive non venerit, quia ex una
causa alterius solutionis origo proficiscitur.
230 PAOLA LAMBRINI

di una sentenza, infatti, non poteva operare la clausola restitutoria del-


l’actio de dolo malo 8. Tuttavia, per giungere al risultato di condannare
il raggiratore in una somma equivalente a quella cui avrebbe dovuto
essere condannato nel primo giudizio, nella sostanza si ritornava sulla
decisione già presa; l’apparente contraddizione tra l’intangibilità della
sentenza precedente e la sua rivisitazione all’interno del iudicium de
dolo malo «non è che un particolare riflesso della coesistenza fra ius
civile e ius honorarium»9.
A metà dell’epoca classica, si fece un salto qualitativo introducendo
la possibilità di riaprire il processo per mezzo della restitutio in integrum
della stessa azione che aveva portato all’assoluzione ingiusta; nei casi
in cui vi era la possibilità di agere ex integro, opponendo una replicatio
doli all’eventuale exceptio rei iudicatae sollevata dal convenuto, si co-
minciò a escludere l’utilizzabilità dell’actio de dolo malo per il principio
della sussidiarietà della stessa.
In tal modo si aprì la strada che «doveva condurre a distruggere
del tutto l’efficacia consuntiva della contestazione della lite e della re-
lativa eccezione e ad indebolire molto la stessa forza della sentenza»10.

2. Labeone, la collusione processuale e l’azione di dolo.

L’idea di concedere l’azione di dolo per le ipotesi di inganno avve-


nuto in sede giudiziale risale a Labeone, secondo quanto ci attesta Ul-
8
«La particolarità della fattispecie, cioè il fatto che il dolo di una delle parti o di
entrambe avesse avuto un influsso determinante sulla redazione della formula o sulla
pronuncia della sentenza, impediva il funzionamento della clausola restitutoria. … Lo
iussum de restituendo pronunciato dal giudice dell’actio de dolo non poteva dar luogo ad
un giudizio rescissorio rispetto alla lite entro la quale il dolo era stato commesso. Esso
non era sufficiente a porre nel nulla una formula regolarmente concessa dal magistrato
ed approvata dalle parti, né tanto meno una sentenza pronunciata da un altro iudex pri-
vato»: M. Brutti, La problematica del dolo processuale nell’esperienza romana, II, Milano,
1973, 327; nello stesso senso v., di recente, S. Viaro, L’‘arbitratus de restituendo’ nelle for-
mule del processo privato romano, Napoli, 2012, 56 ss.
9
Così M. Brutti, La problematica, I, cit, 319.
10
Così L. Landucci, in Fr. Glück, Commentario alle Pandette, IV, Milano, 1890,
121 sub a); v. anche M. Marrone, L’efficacia, cit., 364, nt. 717, il quale osserva che «tra
i testi classici non mancano altri esempi di fattispecie, in cui la preclusione processuale
viene sacrificata per motivi di equità, e ciò o per mezzo di una replicatio doli (C. 3.1.2)
o per mezzo di una restitutio in integrum (D. 44.2.2; 44.2.11 pr.; 44.7.15; 3.3.46.3; Gai
4.53.57.125)».
ASSOLUZIONE INGIUSTA 231

piano in due testi, il primo dei quali tratta un caso di collusione pro-
cessuale tra il rappresentante dell’attore e il convenuto, collusione che
porta all’assoluzione di quest’ultimo:

Ulp. 31 ad ed. D. 17.1.8 pr.-1: Si procuratorem dedero nec


instrumenta mihi causae reddat, qua actione mihi teneatur? et Labeo
putat mandati eum teneri nec esse probabilem sententiam existiman-
tium ex hac causa agi posse depositi: uniuscuiusque enim contractus
initium spectandum et causam. 1: Sed et si per collusionem procurato-
ris absolutus sit adversarius, mandati eum teneri: sed si solvendo non
sit, tunc de dolo actionem adversus reum, qui per collusionem
absolutus sit, dandam ait.

Ai fini della presente ricerca interessa il primo paragrafo; dal prin-


cipium – testo molto studiato dalla dottrina in tema di contratti inno-
minati11 – si ricava la risalenza a Labeone anche dell’opinione espressa
nel seguito.
Per il caso in cui un rappresentante processuale12 dell’attore si ac-
cordi con il convenuto in danno del suo dominus, portando in tal
modo a un’ingiusta assoluzione, la soluzione prospettata dal giurista
augusteo in prima battuta è quella di agire con l’azione di mandato

11
V., praecipue, R. Santoro, Il contratto nel pensiero di Labeone, in AUPA,
XXXVII, 1983, 215 ss.; C. A. Cannata, Contratto e causa nel diritto romano, in Causa
e contratto nella prospettiva storico-comparatistica. II Congresso internazionale Aristec, a
cura di L. Vacca, Torino, 1997, 35 ss., ora in Le dottrine del contratto nella giuris-
prudenza romana, Padova, 2006, 189 ss.; T. dalla Massara, Alle origini della causa
del contratto. Elaborazione di un concetto della giurisprudenza classica, Padova, 2004,
215 ss.
12
Parte della dottrina (G. Pugliese, Processo civile romano. II. Processo formulare,
339 s.; F. Serrao, Il ‘procurator’, Milano, 1947, 59 e 168; M. Brutti, La problematica,
I, cit., 253) ritiene che il testo originale avesse cognitor al posto di procurator, perché si
«presuppone che il sostituto processuale avesse consumato l’azione del creditore (altri-
menti, data la natura sussidiaria dell’actio de dolo, questa non gli sarebbe stata concessa);
e soltanto l’azione del cognitor avrebbe potuto precludere l’ulteriore azione, per lo stesso
rapporto, da parte del creditore» (così M. Marrone, L’efficacia, cit., 184, nt. 170). In
senso contrario v. G. Donatuti, Studi sul ‘procurator’. I. Dell’obbligo di dare la ‘cautio
ratam rem dominum habiturum’, in AG, LXXXIX, 1923, 190 ss.; F. Bonifacio, ‘Procu-
rator’ e preclusione processuale, in Studi economici-giuridici dell’Università di Cagliari,
XXXVIII, 1956, 151 ss.; ‘Cognitor’, ‘procurator’ e rapporto processuale, in Studi in onore
di P. de Francisci, IV, Milano, 1956, 534 ss.; V. Arangio-Ruiz, Il mandato in diritto ro-
mano, Napoli, 1965, 160 e nt. 1.
232 PAOLA LAMBRINI

conto il mandatario infedele13. Solo qualora costui fosse insolvente, il


pretore potrà concedere l’azione di dolo contro il convenuto.
Tutti i testi in cui si propone la concessione dell’azione di dolo solo
dopo aver constatato l’insolvenza del soggetto nei cui confronti era
esperibile un altro rimedio sono stati oggetto di critica interpolazioni-
stica a partire dal Pringsheim14 e molto nota è la discussione che sul
punto ha visto contrapposti, negli anni sessanta del secolo scorso, An-
tonio Guarino15, il quale ha affermato il carattere «non classico, anche
se non decisamente giustinianeo»16 di detta regola, e Bernardo Albane-
se17, che ha sostenuto con validi argomenti la genuinità dei molteplici
testi che presentano tale ipotesi.
Nel caso del nostro testo seguendo l’ipotesi interpolazionistica do-
vrebbe cadere tutto il paragrafo18, il quale riporta una regola che sembra
fosse diffusa e condivisa nella prima epoca classica; infatti, anche
Sabino e Celso concedevano l’azione di dolo per il caso di un’assolu-
zione ingiusta causata dalla collusione con l’avversario, come attesta il
seguente frammento:

13
Anche in caso di frode del tutore che porta all’assoluzione di un convenuto pu-
pillare la prima via da seguire, secondo un rescritto di Antonino Pio, è quella dell’azione
di tutela: Call. 1 ed. monit. D. 4.4.45.1: Imperator Titus Antoninus rescripsit eum, qui
fraude tutoris adversarium suum diceret absolutum et agere cum eo ex integro vellet, licentiam
habere prius cum tutore agere.
14
F. Pringsheim, Subsidiarität und Insolvenz, in ZSS, XLI, 1920, 254 ss., seguito
da G. Longo, Contributi alla dottrina del dolo, Padova, 1937, 69 s.; Sul regime
giustinianeo dell’‘actio de dolo’, in Studi in onore di G. Zingali, Milano, 1965, 770 ss.; T.
Mayer-Maly, ‘Collusio’ in Zivilprozess, in ZSS, LXXI, 1954, 250 ss.
15
A. Guarino, La sussidiarietà dell’‘actio de dolo’, in Labeo, VIII, 1962, 270 ss., ora
in Pagine di diritto romano, VI, Napoli, 1995, 281 ss., cui si riferiscono le successive ci-
tazioni.
16
A. Guarino, La sussidiarietà, cit., 284.
17
B. Albanese, La sussidiarietà dell’‘actio de dolo’, in AUPA, XXVIII, 1961, 173
ss.; Ancora in tema di sussidiarietà dell’‘actio de dolo’, in Labeo, IX, 1963, 42 ss. (ora in
Scritti giuridici, I, Palermo, 1991, 331 ss.); nello stesso senso v. G. Nocera, Insolvenza
e responsabilità sussidiaria nel diritto romano, Roma, 1942, 7 s.; A. Masi, Insolvenza del-
l’obbligato e sussidiarietà dell’‘actio de dolo’, in Studi Senesi, LXXIV, 1962, 40 ss.; M. Brut-
ti, La problematica, I, cit., 259 ss.; G. MacCormack, ‘Dolus’ in the Law of the Early
Classical Period (Labeo – Celsus), in SDHI, LII, 1986, 239.
18
Lo stesso F. Pringsheim, Subsidiarität, cit., 260 in relazione a questo testo ma-
nifesta qualche dubbio affermando «die Stelle könnte von sed si – dandam ait interpoliert
sein ohne das hier Sicheres zu sagen ist». Anche A. Guarino, La sussidiarietà, cit., 289
ammette che «è vano tentar di sostenere l’interpolazione del passo sulla base di indizi lo-
cali, che indubbiamente sono insufficienti».
ASSOLUZIONE INGIUSTA 233

Marcian. 5 reg. D. 8.5.19: Si de communi servitute quis bene quidem


deberi intendit, sed aliquo modo litem perdidit culpa sua, non est ae-
quum hoc ceteris damno esse: sed si per collusionem cessit lite
adversario, ceteris dandam esse actionem de dolo Celsus scripsit, idque
ait Sabino placuisse.

In questo caso non vi è la presenza di un sostituto processuale, ma


si tratta della vindicatio di una servitù comune esperita da uno solo dei
condomini, il quale, secondo la regola generale, rappresenta in giudizio
i contitolari della servitù; se egli perde la lite perché si è accordato con
il convenuto19, i condomini potranno agire nei suoi confronti con
l’azione di dolo per il danno che ne abbiano risentito.
Anche un passo tratto dal commento all’editto provinciale di Gaio
ci riferisce un’opinione di Sabino diretta a concedere l’azione di dolo
in un caso di dolosa accettazione di una rivendica da parte di un con-
venuto non possessore, allo scopo di far trascorrere il tempo necessario
affinché un terzo usucapisse20.
Una fattispecie analoga a quella trattata in D. 17.1.8.1 è esposta
in un altro testo ulpianeo, in cui però il giurista severiano mette in pri-
mo piano una terza possibilità di reazione contro l’assoluzione ingiusta,
che precede sia l’azione di mandato sia la sussidiaria azione di dolo:

Ulp. 11 ad ed. D. 4.3.7.9: Si dolo malo procurator passus sit vincere


adversarium meum, ut absolveretur, an de dolo mihi actio adversus
19
Più problematica l’interpretazione della prima parte del testo in cui la perdita della
lite è dovuta a colpa dell’attore e si afferma come iniqua l’eventualità che tale sentenza sia
di danno per gli altri condomini, senza però indicare gli strumenti per far venir meno tale
iniquità; secondo alcuni autori (E. Redenti, Pluralità di parti nel processo civile (Diritto ro-
mano), in AG, LXXIX, 1907, 47 ss.; A. Guarneri-Citati, Studi sulle obbligazioni indivisibili
in diritto romano, Palermo, 1921, 63 ss.; E. Betti, Trattato dei limiti soggettivi della cosa
giudicata in diritto romano, Macerata, 1922, 260 ss.; E. Ein, Le azioni dei condomini, in
BIDR, XXXIX, 1931, 141 s.; J. Gaudemet, Etude sur le régime juridique de l’indivision en
droit romain, Paris, 1934, 468, nt. 1) le parole non est aequum sarebbero interpolate perché
rifletterebbero la concezione giustinianea, secondo la quale «il contenuto della sentenza
non è opponibile ai terzi, legittimati in via esclusiva o cumulativa all’esercizio dell’azione,
su cui il giudice si è pronunciato» (così M. Marrone, L’efficacia, cit., 509). M. Brutti, La
problematica, I, cit., 269 ss. ipotizza che la frase non est aequum hoc ceteris damno esse volesse
riferirsi alla possibilità per i condomini danneggiati di proporre appello contro la sentenza.
20
Gai. 27 ad ed. provinc. D. 4.3.39: Si te Titio optuleris de ea re quam non possidebas
in hoc ut alius usucapiat, et iudicatum solvi satisdederis: quamvis absolutus sis, de dolo malo
tamen teneberis: et ita Sabino placet.
234 PAOLA LAMBRINI

eum qui vicit competat, potest quaeri. et puto non competere, si


paratus sit reus transferre iudicium sub exceptione hac ‘si collusum est’:
alioquin de dolo actio erit danda, scilicet si cum procuratore agi non
possit, quia non esset solvendo.

Il testo ha dato luogo a molteplici difficoltà interpretative; la lettura


classica vede un sostituto processuale21 dell’attore che con dolo per-
mette l’ingiusta assoluzione del convenuto22; contro di lui l’attore scon-
fitto non può esperire l’azione di dolo, perché nei suoi confronti ha a
disposizione un’alia actio, l’azione di mandato.
Tuttavia, poiché chi ha ricavato un vantaggio dalla vicenda è il con-
venuto ingiustamente assolto, si cerca una via per agire contro di lui e
si chiede al giurista se si possa usare l’actio de dolo malo appunto contro
il convenuto, che può essere considerato in re ipsa complice del dolo23.
La risposta è negativa solo se il convenuto assolto sia pronto a trans-
ferre iudicium sub exceptione hac ‘si collusum est’: secondo la maggior parte
degli autori in questo contesto il termine iudicium starebbe ad indicare
la formula24 e non si sarebbe trattato di una translatio iudicii in senso
tecnico25, ma si dovrebbe pensare piuttosto a una restitutio in integrum 26

21
V. le osservazioni riportate sopra a nt. 12.
22
Secondo A. Guarino, La sussidiarietà, cit., 287, l’autore del dolo sarebbe invece
il convenuto e la vittima il sostituto processuale; il dubbio in merito alla concedibilità
dell’azione di dolo nei confronti del convenuto sorgerebbe solo per la presenza della con-
corrente azione di mandato. Questa interpretazione costringe però l’autore a ritenere
che tutto il seguito del testo sia opera di un lettore postclassico poco acuto.
23
Così B. Albanese, Ancora in tema di sussidiarietà, cit., 51 s.
24
Così G. Sperl, Sukzession in den Prozess, Graz, 1895, 25, nt. 1; P. Koschaker,
‘Translatio iudicii’. Eine Studie zum römischen Zivilprozess, Graz, 1905, 16, nt. 1; E. Seidl,
Sulla ‘translatio iudicii’, cit., 369 ss.; F. Bonifacio, Studi sul processo formulare romano.
I. ‘Translatio iudicii’, Napoli, 1956, 7, nt. 21.
25
«Certamente è da escludere che si tratti di translatio in senso tecnico, perché il
processo si è già esaurito con l’assoluzione del convenuto»: F. Bonifacio, Studi, cit., 23,
nt. 9. Secondo Otto Lenel (Über Ursprung und Wirkung der Exceptionen, Heidelberg,
1876, 132, nt. 1 = Gesammelte Schriften, I, Napoli, 1990, 1 ss.), seguito da Th. Mayer-
Maly, ‘Collusio’, cit., 252, si sarebbe, invece, trattato del trasferimento dell’actio mandati,
che verrebbe esperita nei confronti del convenuto, anziché del mandatario, e l’eccezione
‘si collusum sit’ sarebbe una ‘Sachlegitimationsexception’ del convenuto.
26
«Hier bezeichet Ulpian mit transferre iudicium die im Wege der restitutio in in-
tegrum erfolgende Erneuerung des bereits durch Urteil abgeschlossenen Prozesses gegen
den frühen Beklagten»: così P. Koschaker, ‘Translatio iudicii’, cit., 15 s. Nello stesso
senso E. I. Bekker, Die prozessualische Consumption im classischen römischen Recht, Berlin,
1853, 306 s.; J. Duquesne, La ‘translatio iudicii’ dans la procédure civile romaine, Paris,
ASSOLUZIONE INGIUSTA 235

che «si attuerebbe con la ripetizione del iudicium e l’inserimento di una


exceptio insolitamente espressa in forma positiva»27.
Quindi, non si può usare l’actio de dolo contro il convenuto se questi
accetta di sottoporsi nuovamente al precedente giudizio; nel caso in cui
egli si rifiuti, l’attore dovrà esperire l’azione di mandato contro il rap-
presentante e solo nel caso in cui questi fosse insolvente28 sorge la pos-
sibilità di agire de dolo contro il convenuto assolto. L’andamento
piuttosto anomalo della frase finale – che prospetta per prima quella che
è in realtà l’ultima ed eventuale chance – si può spiegare, a mio parere,
piuttosto che con sospetti di interpolazioni29, osservando come il testo
sia collocato sistematicamente in materia di azione di dolo, sia nell’opera
del giurista che nella compilazione giustinianea: per questo motivo si
parte dalla concedibilità dell’actio de dolo, anche se in realtà essa è su-
bordinata alla duplice condizione del rifiuto del convenuto di sottoporsi
nuovamente al precedente giudizio e dell’insolvenza del mandatario.

3. Labeone, lo spergiuro e l’azione di dolo.

Il secondo testo ulpianeo si riferisce a un caso di spergiuro che


porta ad un’ingiusta assoluzione:

Ulp. 11 ad ed. D. 4.3.21: Quod si deferente me iuraveris et absolutus


sis, postea periurium fuerit adprobatum, Labeo ait de dolo actionem
in eum dandam: Pomponius autem per iusiurandum transactum vi-
deri, quam sententiam et Marcellus libro octavo digestorum probat:
stari enim religioni debet.

Ulpiano espone innanzitutto l’opinione di Labeone, diretta a con-


cedere l’azione di dolo per il caso in cui l’attore abbia deferito un giu-

1910, 56 e nt. 1; M.F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’ e il problema del danno meramente
patrimoniale, Napoli, 2008, 44.
27
Così M. Brutti, La problematica, II, cit., 480 s., il quale prosegue ritenendo
«assai verosimile che su questo punto – legato a problemi di tecnica formulare – vi sia
stata una sostanziale manipolazione del testo in epoca postclassica o giustinianea».
28
Sul punto v. la letteratura citata sopra ntt. 14 e 17.
29
Cfr. F. Pringsheim, Subsidiarität, cit., 260; G. Longo, Contributi, cit., 154; F.
Serrao, Il ‘procurator’, cit., 168; Th. Mayer-Maly, ‘Collusio’, cit., 154; M. Marrone,
L’efficacia, cit., 184 ss. e nt. 175.
236 PAOLA LAMBRINI

ramento e il convenuto abbia giurato il falso, ottenendo in tal modo


un’ingiusta assoluzione30.
Controverso è il momento in cui si sarebbe collocato tale giura-
mento: vi è chi ritiene che esso fosse stato prestato nella fase in iure e
avesse dato luogo all’esperimento di un’exceptio iurisiurandi 31 e chi pen-
sa invece che esso si collocasse apud iudicem 32; tuttavia, la questione
non ha particolare incidenza sul problema esaminato da Labeone, il
quale «mira a colpire il falso giuramento e a neutralizzarne gli effetti,
quale che sia il posto da esso occupato nella concreta vicenda proces-
suale alla quale appartiene»33.
Quando viene accertata la falsità del giuramento34, secondo La-
beone l’attore potrebbe esperire nei confronti del convenuto ingiusta-
mente assolto l’actio de dolo per ottenere quanto avrebbe ricavato dal
primo processo. Il Pernice evidenzia come il fondamento dell’azione
di dolo sia da individuare nella lesione della fides riposta nella contro-
parte cui era stato deferito il giuramento35.
La posizione di Labeone sembra essere stata superata a metà del-

30
Dubita della genuinità della connessione tra sentenza e giuramento O. Graden-
witz, Interpolationen in den Pandekten, in ZSS, VII, 1886, 82.
31
Cfr. G. Demelius, Schiedseid und Beweiseid im römischen Civilprozesse, Leipzig,
1887, 93; E. Jobbé-Duval, Etudes sur l’histoire de la procédure civile chez les Romains,
Paris, 1896, 150; L. Amirante, Dubbi e riflessioni in tema di ‘iusiurandum in iudicio’, in
Studi in onore di E. Betti, III, Milano, 1962, 25 s.
32
In questo senso F. L. Keller, Der römische Civilprozess und die Aktionen in sum-
marischer Darstellung zum Gebrauche bei Vorlesungen 6, Leipzig, 1883, 332 s.; B. Biondi,
Il giuramento decisorio nel processo civile romano, Palermo, 1913, 80; P. Huvelin, Etudes
sur le ‘furtum’ dans le très ancien droit romain, II, Lyon-Paris, 1915, 544; M. Brutti, La
problematica, I, cit., 284 ss.; A. Izzo, Il giuramento deferito dal giudice nel processo for-
mulare, in Parti e giudici nel processo. Dai diritti antichi all’attualità, a cura di C. Cascione,
E. Germino, C. Masi Doria, Napoli, 2006, 102 ss.
33
Così M. Brutti, La problematica, cit., I, 284 ss.
34
Come sottolinea G. Papa, La ‘replicatio’. Profili processuali e diritto sostanziale,
Napoli, 2009, 240: «la falsità del iusiurandum non rappresenta … il fine cui tende
l’azione, ma il suo presupposto» e perciò è plausibile ritenere che l’opinione di Giuliano
riportata in D. 44.1.15 (4 ad Urs. Fer.: Adversus exceptionem iurisiurandi replicatio doli
mali non debet dari, cum praetor id agere debet, ne de iureiurando cuiusquam quaeratur)
non fosse in contrasto con la sententia di Labeone, perché il giurista adrianeo negava la
concessione della replicatio doli avverso un’exceptio iurisiurandi soltanto per l’«ipotesi in
cui con essa si invocasse un accertamento sulla veridicità del giuramento e sulla buona
fede del giurante» (238).
35
«Man wolle sich auf das ‘verstärkte Wort’ (fides firmata) des anderen verlassen»:
A. Pernice, ‘Labeo’. Römisches Privatrecht im ersten Jahrhundert der Kaiserzeit, II, 12,
Halle, 1895, 218.
ASSOLUZIONE INGIUSTA 237

l’epoca classica tramite l’idea per cui un giuramento provocato dalle


parti dovrebbe essere considerato analogo a un accordo transattivo36 e
come tale non potrebbe in alcun modo essere oggetto di nuova discus-
sione37: in questo senso si esprime Pomponio, seguito da Marcello nel
libro ottavo dei digesta 38. I due giuristi rifiutano di sottoporre a giudizio
il comportamento processuale del convenuto in base al ragionamento
per cui l’attore col deferire il giuramento aveva in qualche modo affi-

36
L’idea che il giuramento contenga una sorta di transazione e per questo motivo
possa avere una forza ancora maggiore di quella del giudicato è dichiarata espressamente
in un testo di Paolo: D. 12.2.2 Paul. 18 ad ed.: Iusiurandum speciem transactionis continet
maioremque habet auctoritatem quam res iudicata. Un ragionamento analogo pare essere
alla base del rescritto di Caracalla riportato in Imp. Antoninus A. Herculiano C. 4.1.1:
Causa iureiurando ex consensu utriusque partis vel adversario inferente delato et praestito
vel remisso decisa nec periurii praetextu retractari potest, nisi specialiter hoc lege excipiatur
(a. 213), in cui è messo in evidenza l’elemento consensuale alla base del giuramento che
fonda la decisione giudiziale, elemento che impedisce qualunque impugnazione della
stessa, compreso il caso dello spergiuro. Sul tema v. C. Bertolini, Della transazione se-
condo il diritto romano, Torino, 1900, 324 ss. Si può ricordare anche un passo tratto dal
commento all’editto provinciale gaiano (Gai. 30 ad ed. provinc. D. 12.2.31: Admonendi
sumus interdum etiam post iusiurandum exactum permitti constitutionibus principum ex
integro causam agere, si quis nova instrumenta se invenisse dicat, quibus nunc solis usurus
sit. sed hae constitutiones tunc videntur locum habere, cum a iudice aliquis absolutus fuerit
(solent enim saepe iudices in dubiis causis exacto iureiurando secundum eum iudicare qui
iuraverit): quod si alias inter ipsos iureiurando transactum sit negotium, non conceditur ean-
dem causam retractare), in cui si opera una differenziazione tra il giuramento giudiziale,
che può essere revocato in presenza di nuove prove, e un giuramento stragiudiziale
tramite il quale le parti abbiano transatto l’affare, in relazione al quale non si concede di
causam retractare; Gaio ci informa dell’esistenza di alcune costituzioni imperiali che ave-
vano stabilito la possibilità di agire nuovamente per il caso in cui fossero state trovate
nuove prove decisive, possibilità ammessa anche per il caso in cui il processo si fosse con-
cluso grazie a un giuramento exactum a una delle parti, con la precisazione che tali co-
stituzioni si applicano soltanto al caso di giuramento giudiziale che porti all’assoluzione
del convenuto e non anche alle ipotesi in cui le parti abbiano transatto l’affare per mezzo
di un giuramento.
37
Sembra che un accordo transattivo, analogamente al giudicato, impedisse la ri-
petizione di quanto fosse stato versato a tale titolo, benché si trattasse di indebito: cfr.
Paul. 2 quaest. D. 10.2.36 (… quod si neuter eorum heres fuit, sed quasi heredes essent ac-
ceperint familiae erciscundae iudicium, de repetitione idem in utrisque dicendum est, quod
diximus in altero. plane si sine iudice diviserint res, etiam condictionem earum rerum, quae
ei cesserunt, quem coheredem esse putavit qui fuit heres, competere dici potest: non enim trans-
actum inter eos intellegitur, cum ille coheredem esse putaverit) ove si afferma che nulla im-
pedisce la condictio per la restituzione di ciò che è stato dato in base a un accordo divisorio,
perché esso non deve essere configurato come una transazione.
38
Libro che secondo O. Lenel, Palingenesia iuris civilis’, I, Leipzig, 1889, c. 607 e
II, c. 469 n. 1 avrebbe trattato del furto; da ciò l’autore ricava la supposizione che il testo
in origine trattasse di un giuramento da parte del ladro.
238 PAOLA LAMBRINI

dato la decisione proprio al convenuto, accettando tutte le possibili


conseguenze e rinunciando a rimettere in discussione quanto accaduto
durante il procedimento39.
Nella conclusione di D. 4.3.21, a mio avviso attribuibile a Ulpia-
no40, sembra esservi un ulteriore spostamento di visuale, in quanto il
giurista di Tiro, per negare l’utilizzabilità di strumenti processuali
diretti a ritornare sulla decisione, fa leva sul valore religioso del giura-
mento, piuttosto che sulla forza dell’elemento transattivo.
Nella compilazione giustinianea il testo è seguito da un frammento
di Paolo, ricavato dal libro undicesimo del commento all’editto, in cui
si afferma che contro lo spergiuro dovrebbe bastare la pena prevista a
sanzione di tale illecito41, pena che in genere era di carattere sociale42.
Qui la prospettiva che porta a negare l’utilizzabilità dell’azione di dolo
appare ancora diversa, in quanto si fa leva piuttosto sul carattere di
sussidiarietà del iudicium de dolo.
Il principio della perseguibilità dello spergiuro mediante actio de
dolo sembrerebbe riaffermato da Gaio, all’incirca nello stesso periodo
in cui operavano Pomponio e Marcello:

Gai. 4 ad ed. provinc. D. 4.3.23: Si legatarius, cui supra modum legis


Falcidiae legatum est, heredi adhuc ignoranti substantiam hereditatis
ultro iurando vel quadam alia fallacia persuaserit, tamquam satis

39
«Where the parties had agreed that the matter be settled by oath, the swearing
of the oath concluded it. Should there be perjury, the defendant must be left to non-
legal sanctions, if any»: G. MacCormack, ‘Dolus’ in mid-classical Jurist (Julian-
Marcellus), in BIDR, XXXV-XXXVI, 1993-1994, 89.
40
In questo senso E. Stolfi, Studi sui ‘libri ad edictum’ di Pomponio. I. Trasmissione
e fonti, Napoli, 2002, 375, nt. 195; A. Izzo, Il giuramento, cit., 103; G. Papa, La ‘repli-
catio’, cit., 239. A. Pernice, ‘Labeo’, II.1, cit., 218, seguito da M. A. Fino, L’origine della
‘transactio’. Pluralità di prospettive nella riflessione dei giuristi antoniniani, Milano, 2004,
194, ritiene che la chiusa vada attribuita all’elaborazione di Marcello; per M.F. Cursi,
L’eredità, cit., 41, essa sarebbe di Pomponio. Dubitano, invece, della genuinità dell’inciso
finale S. Di Marzo, Le ‘quinquaginta decisiones’, I, Palermo, 1899, 80, nt. 2; B. Biondi,
Il giuramento, cit., 80, nt. 1; G. Provera, Contributi allo studio del ‘iusiurandum in litem’,
Torino, 1953, 103, nt. 46; K.-H. Schindler, Justinians Haltung zur Klassik. Versuch
einer Darstellung an Hand seiner Kontroversen entscheidenden Konstitutionen, Köln-Graz,
1966, 104, nt. 109.
41
Paul. 11 ad ed. D. 4.3.22: Nam sufficit periurii poena.
42
Cfr. G. Pugliese, Il processo formulare, cit., 165; G. Provera, Contributi, cit.,
103. Sul tema in generale v. F. Zuccotti, Il giuramento nel mondo giuridico e religioso
antico. Elementi per uno studio comparatistico, Milano, 2000.
ASSOLUZIONE INGIUSTA 239

abundeque ad solida legata solvenda sufficiat hereditas, atque eo modo


solida legata fuerit consecutus: datur de dolo actio.

Un legatario, al quale era stata attribuita una disposizione che su-


perava il limite previsto dalla legge Falcidia, convince l’erede, tramite
un giuramento43 o con altra astuzia, del fatto che l’eredità fosse suffi-
ciente a coprire per intero i legati; in tal modo egli ottiene il pagamento
dell’intero legato. In questo caso è esclusa la condictio indebiti perché
l’azione ex testamento è una di quelle in cui il convenuto che neghi in-
fondatamente la pretesa dell’attore può incorrere in infitiatio ed essere
condannato al doppio44; di conseguenza, l’unica possibilità per l’erede
sembra essere quella dell’azione di dolo. La fattispecie che Gaio ha di
fronte è però piuttosto diversa da quella labeoniana, in quanto il giu-
ramento qui non sembra affatto richiesto dall’erede, ma appare piut-
tosto come una delle modalità tramite le quali si esplica la fallacia del
legatario.

4. Giuliano tra azione di dolo e ‘actio restitutoria’.

Il titolo del Digesto dedicato al dolo conserva due passi di Paolo,


tratti entrambi dal libro 11 del commento all’editto, che prospettano
due casi apparentemente analoghi45: è mancato un pagamento che do-
veva esserci, perché il convenuto è stato assolto in conseguenza di un
suo inganno perpetrato, dopo la litis contestatio, ai danni dell’attore.
La soluzione proposta nei due casi è però diversa: nel primo, Paolo
riporta solo l’opinione di Giuliano, secondo il quale si doveva con-
cedere l’azione di dolo; nel secondo, il giurista severiano rigetta l’idea

43
«I termini del discorso di Gaio sono … così generali che esso risulta applicabile
a qualsiasi tipo di giuramento prestato dal legatario all’erede, allo scopo di ingannare
quest’ultimo, sia nell’ambito di una lite sia in sede extra processuale, purché di fatto
abbia arrecato danno alla controparte»: così M. Brutti, La problematica, cit., I, 292;
cfr. anche A. Calore, La rimozione del giuramento. ‘Condicio iurisiurandi’ e ‘condicio
turpis’ nel testamento romano, Milano, 1988, 174.
44
V. sopra nt. 3.
45
«Le due formulazioni del giurista severiano ci appaiono … in termini così
generali (e l’uso della prima persona così idoneo a descrivere casi immaginari) da farci
pensare a due quaestiones sostanzialmente identiche di cui si riportano soluzioni diverse»:
M. Brutti, La problematica, II, cit., 446, nt. 145.
240 PAOLA LAMBRINI

di utilizzare l’actio de dolo per ottenere ciò che non è stato pagato, per-
ché l’attore avrebbe a disposizione un altro rimedio, cioè la possibilità
di agire di nuovo con la precedente azione, opponendo una replicatio
(doli) all’eventuale esperimento dell’exceptio rei iudicatae.
Cominciamo dal primo testo:

Paul. 11 ad ed. D. 4.3.20.1: Si persuaseris mihi nullam societatem


tibi fuisse cum eo, cui heres sum, et ob id iudicio absolvi te passus sim:
dandam mihi de dolo actionem Iulianus scribit.

Tizio, erede di Caio, esperisce l’actio pro socio contro un presunto


socio del suo dante causa, ma nel corso del giudizio questi lo convince
falsamente che in realtà non vi era nessuna società tra lui e Caio, in
modo tale che l’attore ne favorisce l’assoluzione non sostenendo le pro-
prie ragioni. L’unica possibilità di recuperare quanto non è stato pagato
è, a detta di Giuliano, l’esperimento di un’azione di dolo. Anche in
questo caso il giudicato, formalmente corretto, non viene direttamente
intaccato, ma Giuliano ritiene di sanzionare il convenuto che ha com-
messo l’illecito, stimando presumibilmente la condanna dell’actio de
dolo nella somma cui sarebbe stato condannato nel primo giudizio, se
non vi fosse stato l’inganno.
Da altri testi sappiamo che Giuliano proponeva, in diverse ipotesi
di dolo processuale, l’utilizzo di meccanismi restitutori; per esempio
nel caso seguente suggerisce la concessione di un’ actio restitutoria:

Iul. 2 dig. D. 2.10.3 pr.-1: Ex hoc edicto adversus eum, qui dolo fecit,
quo minus quis in iudicium vocatus sistat, in factum actio competit
quanti actoris interfuit eum sisti. in quo iudicio deducitur si quid
amiserit actor ob eam rem: veluti si reus tempore dominium rei
interim sibi adquirat aut actione liberatus fuerit. 1: Plane si is, qui
dolo fecerit, quo minus in iudicio sistatur, solvendo non fuerit, aequum
erit adversus ipsum reum restitutoriam actionem competere, ne propter
dolum alienum reus lucrum faciat et actor damno adficiatur.

Il titolo 2.10 del Digesto (De eo per quem factum erit quominus quis
in iudicio sistat) era dedicato all’ipotesi in cui un terzo avesse dolosamente
impedito la comparizione in giudizio del convenuto; il pretore concedeva
contro tale terzo un’apposita actio in factum, diretta al quanti actoris in-
ASSOLUZIONE INGIUSTA 241

terfuit eum sisti, cioè a reintegrare l’interesse positivo dell’attore al corretto


svolgimento del processo, tenendo conto di tutto ciò che egli avesse perso
in conseguenza dell’attività dolosa del terzo, come per esempio un bene
di cui il convenuto avesse nel frattempo usucapito la proprietà ovvero
un credito che si fosse estinto per prescrizione dell’azione.
Nel primo paragrafo del frammento in esame si prospetta l’ipotesi
in cui il terzo legittimato passivo all’actio in factum fosse insolvente46;
per evitare l’iniquità che potrebbe derivarne, in quanto il convenuto
godrebbe di un vantaggio a scapito dell’attore47, Giuliano ritiene che
si potrebbe agire con un’actio restitutoria nei confronti del convenuto.
In questo caso, il giurista adrianeo non concede l’azione di dolo per il
caso dell’insolvenza del terzo, forse perché il convenuto non aveva com-
messo alcuna attività scorretta, ma permette all’attore di esperire nuo-
vamente l’azione perduta a causa dell’attività dolosa del terzo48.

5. Paolo e l’‘agere ex integro’.

Veniamo ora al secondo testo paolino:

Paul. 11 ad ed. D. 4.3.25: Cum a te pecuniam peterem eoque nomine


iudicium acceptum est, falso mihi persuasisti, tamquam eam pecuniam
servo meo aut procuratori solvisses, eoque modo consecutus es, ut con-
sentiente me absolveris: quaerentibus nobis, an in te doli iudicium dari
debeat, placuit de dolo actionem non dari, quia alio modo mihi
succurri potest: nam ex integro agere possum et si obiciatur exceptio rei
iudicatae, replicatione iure uti potero.

46
Per i dubbi in merito alla genuinità di questo riferimento cfr. F. Pringsheim,
Subsidiarität, cit., 261 s.
47
S. Riccobono, Die Vereblichkeit der Strafklagen, in ZSS, XLVII, 1927, 90 difende
la genuinità sostanziale della frase ne propter dolum alienum reus lucrum faciat et actor damno
adficiatur contro l’opinione maggioritaria che la considera un’aggiunta compilatoria.
48
Anche nella fattispecie descritta in Iul. 4 ad Urs. Ferocem. D. 11.1.18 (Qui ex
parte dimidia heres erat cum absentem coheredem suum defendere vellet, ut satisdationis onus
evitare possit, respondit se solum heredem esse et condemnatus est: quaerebat actor, cum ipse
solvendo non esset, an rescisso superiore iudicio in eum, qui re vera heres erat, actio dari
deberet. Proculus respondit rescisso iudicio posse agi, idque est verum) al convenuto non è
addebitabile alcuna scorrettezza e quindi non si propone l’utilizzo dell’azione di dolo,
ma già Proculo prospettava la possibilità di agire nuovamente rescisso iudicio.
242 PAOLA LAMBRINI

In un giudizio intentato per chiedere la restituzione di una somma


di denaro, presumibilmente tramite l’esperimento di una condictio, do-
po la litis contestatio il convenuto persuade l’attore di aver già conse-
gnato a un suo schiavo o a un procurator la somma di denaro dovuta;
ammettendo l’attore la fondatezza della prova portata dal convenuto,
il processo si conclude con un’assoluzione49. Ci si chiede se sia esperi-
bile l’azione di dolo, ma la possibilità di utilizzare il iudicium doli è
negata facendo leva sull’argomento della sussidiarietà dell’azione, in
quanto nel caso in esame sarebbe possibile agere ex integro, opponendo
a buon diritto una replicatio all’exceptio rei iudicatae che venisse
sollevata dal convenuto.
L’interpretazione del passo presenta alcune difficoltà sia formali
che sostanziali.
Quanto alle prime, non pochi sembrerebbero gli indizi di un in-
tervento compilatorio; innanzitutto, va segnalata l’anomala espressione
doli iudicium; si nota poi il mutamento di soggetto tra il periodo ini-
ziale, espresso alla prima persona singolare, e l’inizio del secondo pe-
riodo, in cui si usa invece la prima plurale, per tornare poi ancora nel
finale alla prima singolare50. Tale cambiamento di persona stona se si
segue la lettura secondo la quale sarebbe il creditore ingannato a chie-
dere il parere (quaerentibus) al giurista (nobis), che risponde negando
la possibilità di utilizzare l’azione di dolo; si potrebbe però proporre
un’interpretazione alternativa, che meglio si attaglia alla lettera del
testo, ipotizzando che il richiedente sia lo stesso giurista (quaerentibus
nobis) che si rivolge all’imperatore, il quale risponde (placuit) indicando
come preferibile la via dell’agere ex integro; o meglio potrebbe essere lo
stesso Paolo a rispondere, ma in veste di funzionario imperiale51.
49
Così G. Papa, Noterelle, cit., 43; L. Amirante, Dubbi, cit., 37 riteneva che il giu-
dice avesse assolto il convenuto aderendo a una definizione transattiva della lite posta in
essere dai litiganti.
50
Cfr. E. Albertario, Elementi postgaiani nelle Istituzioni di Gaio, in Studi di diritto
romano, V, Milano, 1937, 446, nt. 3; Th. Mayer-Maly, ‘Collusio’, cit., 251 ss.
51
Si può ricordare l’interessante tesi di E. Samter, Nichtförmliches
Gerichtsverfahren, Weimar, 1911, 14 ss., per la quale le opere scritte in epoca post-
adrianea e in particolare in età dei Severi mescolerebbero spesso i responsa
giurisprudenziali e le sententiae rese dagli stessi giuristi in qualità di funzionari addetti
all’amministrazione della giustizia. Anche L. Raggi, La ‘restitutio in integrum’ nella
‘cognitio extra ordinem’. Contributo allo studio dei rapporti tra diritto pretorio e diritto im-
periale in età classica, Milano, 1965, 44, nt. 49 ritiene «innegabile un certo collegamento
tra l’attività giurisprudenziale e quella giurisdizionale, conseguente alla burocratizzazione
ASSOLUZIONE INGIUSTA 243

Dal punto di vista sostanziale, una prima difficoltà interpretativa


è rappresentata dal fatto che l’azione esperita sembra essere un’azione
in personam in ius concepta, per la quale dovrebbe operare la regola
della preclusione processuale automatica, che escluderebbe in partenza
la possibilità di replicare all’exceptio rei iudicatae. Sulla scorta di tale
osservazione vi è chi ha supposto la presenza di un’interpolazione52;
tuttavia, è inverosimile immaginare che siano stati i compilatori a in-
trodurre il gioco di exceptio e replicatio, tipici strumenti del processo
formulare. Si potrebbe pensare che nel processo effettivamente esperito
fosse presente uno di quegli elementi di ‘estraneità’ che lo rendevano
un iudicium imperium continens.
È probabile, inoltre, che la contrapposizione tra iudicia legitima
e iudicia imperio continentia avesse «sempre minore incidenza nel-
l’epoca severiana, tanto da determinare una sorta di accostamento tra
la consunzione ipso iure e quella realizzata attraverso l’eccezione. Con
l’ulteriore effetto di dare luogo a una sorta di generalizzazione di que-
st’ultimo rimedio, nel senso di prevederne il ricorso ogniqualvolta si
volesse infirmare – indipendentemente dal tipo di giudizio instaurato
– l’azione esperita malgrado l’esistenza di un valido giudicato de
eadem re»53.
In secondo luogo, problematica resta la ricostruzione del mecca-
nismo restitutorio descritto nel passo. La replica di cui vi si parla deve
essere indubbiamente ricondotta a una replicatio doli (generalis seu prae-

della giurisprudenza». Cfr. W. Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der römischen Ju-
risten, Weimar, 1952, 291 s.; T. Honoré, The Severan Lawyers: a Preliminary Survey, in
SDHI, XXVIII, 1962, 162 ss.; L. Solidoro Maruotti, Aspetti della ‘giurisdizione civile’
del ‘praefectus urbi’ nell’età severiana, in Labeo, XXXIX, 1993, 187; A. Lovato, Giulio
Paolo e il ‘decretum principis’, in Studi in onore di R. Martini, II, Milano, 2009, 507 s.
52
Secondo M. Marrone, L’efficacia, cit., 364, nt. 717 il testo (insieme a D.
26.7.46.5 e 27.10.7.2) sarebbe interpolato perché l’exceptio rei iudicatae sarebbe stata
superflua.
53
Così G. Papa, Noterelle, cit., 44 s. Nello stesso senso già G. Sacconi, La ‘pluris
petitio’ nel processo formulare. Contributo allo studio dell’oggetto del processo, Milano,
1977, 176; M. Brutti, La problematica, II, cit., 531 s.; M. Kaser - K. Hackl, Das rö-
mische Zivilprozessrecht2, München, 1996, 231, nt. 13 e 14; E. Levy, Die Konkurrenz
der Aktionen und Personen im klassischen römischen Recht, I, Berlin, 1918, 60 ss. H. An-
kum, Un problème relatif à l’‘exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae’, in Studi in
onore di A. Metro, I, Milano, 2009, 32 ipotizza anche che fosse stato il pretore a imporre
al convenuto l’inserimento dell’exceptio rei iudicatae (anziché procedere alla denegatio
actionis), in modo da permettere all’attore di superare la preclusione opponendo la re-
plicatio doli.
244 PAOLA LAMBRINI

sentis)54. Non si può accogliere l’ipotesi55 per cui si sarebbe trattato di


una replicatio ‘si collusum est’ diretta a far valere degli accordi collusori
che sarebbero intercorsi tra il debitore e il procuratore del creditore
perché, come giustamente osserva Giovanni Papa56, da un lato non vi
sono appigli testuali per accogliere tale ipotesi, dall’altro il riferimento
all’ingannevole persuasione esercitata dal convenuto nei confronti del-
l’attore rende chiaro che il comportamento sanzionato con la replica è
soltanto quello del debitore.
Gran parte della dottrina ritiene che tramite l’opposizione della re-
plicatio doli all’exceptio rei iudicatae si ottenesse una vera e propria re-
stitutio in integrum della lite57: in tal senso depone anche la collocazione
sistematica del frammento collocato nell’opera di Paolo appunto in
materia di restitutio in integrum propter dolum 58.
Alle osservazioni di chi ha invece negato il riferimento del nostro
testo al concetto classico di restitutio in integrum 59, si può rispondere
ricordando l’osservazione di Bekker 60 secondo la quale tale provvedi-
mento non aveva un preciso significato tecnico, ma stava a indicare

54
V. già E. I. Bekker, Die processualische Consumption, cit., 307; cfr. D. Medicus,
Zur Urteilsberichtigung in der ‘actio iudicati’ des Formularprozesses, in ZSS, LXXXI, 1964,
270, nt. 141; P. Mader, ‘Dolus suus neminem relevat’, in ‘Ars boni et aequi’. Festschrift für
W. Waldstein, Stuttgart, 1993, 221.
55
Prospettata da F. L. Keller, Der römische Civilprozess, cit., n. 369 e da Th. Ma-
yer-Maly, Collusio, cit. 252.
56
Noterelle, cit., 47.
57
Leggono nel testo una restitutio in integrum H. Apelt, Die Urteilsnichtigkeit, cit.,
133 s.; M. Brutti, La problematica, II, cit., 531 ss.; G. Longo, Contributi, cit., 251;
Th. Mayer-Maly, ‘Collusio’, cit., 252; G. Papa, Noterelle, cit., 45, il quale afferma che il
giudice pronuncerebbe «allo scopo di dare vita ad una nuova lite, la rescissione della
prima sentenza, e con essa pure degli effetti preclusivi della litis contestatio».
58
V. O. Lenel, ‘Palingenesia’, I, cit., c. 984.
59
V. A. Wacke, Kannte das Edikt eine ‘restitutio in integrum propter dolum’?, in ZSS,
LXXXIII, 1971, 118: «unter dem ex integro agere in fr. 25 ist keine in integrum restitutio
zu verstehen. Ex integro agere bedeutet vielmehr schlicht eine ‘neue’ Klagerhebung. Bei
einer Wiedereinsetzung bedürfte es nämlich keiner replicatio doli»; cfr. M. Kaser, Zur
‘in integrum restitutio’, besonders wegen ‘metus’ und ‘dolus’, in ZSS, XCIV, 1977, 149: «das
ex integro agere hat mit in integrum restitutio im traditionellen Sinn nichts zu tun»; P.
Mader, ‘Dolus’, cit., 221.
60
Die Aktionen des römischen Privatrechts, Berlin, 1873, II, 76, ripreso da M.
Lauria, ‘Iurisdictio’, in Studi in onore di P. Bonfante nel XL anno d’insegnamento, Milano,
1930, 516 s., secondo il quale «l’in integrum restitutio non è un rimedio tipico, specia-
lizzato, ma è niente altro che uno dei tanti aspetti dell’infinito potere discrezionale rico-
nosciuto al magistrato romano. … L’in integrum restitutio non ha forme proprie: in
qualche caso … si nasconde sotto una finzione o un’eccezione».
ASSOLUZIONE INGIUSTA 245

tutta una serie di atti, tra cui la concessione di azione o la dichiarazione


d’invalidità di atti giuridici, che il pretore poteva porre in essere in pre-
senza delle circostanze per la concessione della restitutio in integrum.
Nel caso in esame, lo strumento tramite il quale si ottiene il
risultato di dare attuazione all’actio certae creditae pecuniae esperita ex
integro è la replicatio doli generalis: accertata la fondatezza delle pretese
attoree, attraverso la replicatio doli si negherà efficacia all’exceptio rei
iudicatae fondata sulla sentenza emessa nel primo processo e pertanto
non ci sarà più ostacolo per giungere alla condanna nel secondo pro-
cesso61. Osserviamo che il giudice, verificando l’esistenza del credito
attoreo, automaticamente accerta anche la scorrettezza del convenuto,
il quale ha sollevato l’eccezione di cosa giudicata pur sapendo che l’as-
soluzione nel precedente processo era stata ottenuta con l’inganno.
Il medesimo meccanismo è prospettato in altri testi62, nei quali la

61
Cfr. M. G. Zoz, Eccezione di dolo generale e ‘replicatio doli’, in L’eccezione di dolo
generale. Diritto romano e tradizione romanistica, a cura di L. Garofalo, Padova, 2006, 533.
62
Paul. 9 resp. D. 26.7.46.5: Tutelae iudicio tutor conventus edidit librum rationum
et secundum eum condemnatus solvit: postea cum a debitoribus paternis, quorum nomina
libro rationum non inerant, exigere vellet pupillus, prolatae sunt ab his apochae tutoris: quae-
situm est, utrum adversus tutorem an adversus debitores actio ei competat. Paulus respondit,
si tempore administrandae tutelae tutori tutelam gerenti debitores solvissent, liberatos eos ipso
iure a pupillo: sed si cum tutore actum esset, posse eundem adulescentem propter eam causam
tutelae experiri et adversus exceptionem rei iudicatae doli mali uti replicatione. Secondo P.
Cogliolo, Trattato teorico e pratico della eccezione di cosa giudicata secondo il diritto
romano e il codice civile italiano con accenni al diritto intermedio, I, Roma-Torino-Firenze,
1883, 374 vi sarebbe un dolo del tutore che nel precedente giudizio ha taciuto il credito
pupillare riscosso; «però, e perché sembrava troppa severità permettere che un minore
rendesse infame il suo tutore, e perché poteva darsi che questi non si fosse ricordato di
quella riscossione, l’imperatore Severo consiglia il minore a intentare di nuovo l’actio tu-
telae … e se il tutore eccepisse, come ne avrebbe il diritto (utilem) la res iudicata, in tal
caso non lo si può più scusare, e il minore faceva valere l’actio de dolo sotto la forma della
replicatio doli mali». Lo stesso Giuliano conosce e applica anche il meccanismo della re-
plicatio opposta all’exceptio rei iudicatae nel seguente passo: Iul. 21 dig. D. 27.10.7.2:
Cum dementis curatorem, quia satis non dederat et res male administraret, proconsul
removerit a bonis aliumque loco eius substituerit curatorem, et hic posterior, cum nec ipse sa-
tisdedisset, egerit cum remoto negotiorum gestorum, posteaque heredes dementis cum eodem
negotiorum gestorum agant et is exceptione rei iudicatae inter se et curatorem utatur:
heredibus replicatio danda erit: ‘aut si is qui egit satisdederat’. sed an replicatio curatori pro-
futura esset, iudex aestimabit: nam si curator sequens pecuniam, quam ex condemnatione
consecutus fuerat, in rem furiosi vertisset, doli triplicatio obstabit. V. anche Imperatores
Severus et Antoninus AA. Valerio C. 3.1.2: Licet iudice accepto cum tutore tuo egisti, ipso
iure actio tutelae sublata non est: et ideo si rursus eundem iudicem petieris, contra utilem
exceptionem rei iudicatae, si de specie de qua agis in iudicio priore tractatum non esse adlegas,
non inutiliter replicatione doli mali uteris (a. 210).
246 PAOLA LAMBRINI

replicatio doli serve a investire il giudice nel secondo processo del potere
«di giudicare se vi è stato un effettivo giudicato e inoltre se non è
doloso, ossia iniquo, che il convenuto invochi la preclusione processua-
le anche per quelle pretese che non sono state valutate nel corso del
primo giudizio. Nel caso il giudice pervenga ad una soluzione affer-
mativa per ambedue le questioni, egli non fa che attuare … una sorta
di restitutio in integrum a favore dell’attore»63.

6. ‘Actio de dolo’ o ‘ex integro agere’? La proposta di Marcello.

La dottrina si è da tempo impegnata nel tentativo di conciliare la


soluzione proposta da Giuliano in D. 4.3.20.1 e quella prospettata da
Paolo per il caso analogo in D. 4.3.25.
A chi64 ha evidenziato la diversa collocazione storica, ritenendo che
fino all’epoca di Giuliano non si sarebbe osato intaccare l’efficacia
estintiva della litis contestatio e della sentenza, si è replicato che in altri
casi Giuliano ammette la restitutio in integrum e altrettanto fanno giu-
risti suoi contemporanei65.
Chi evidenzia poi il carattere atipico del rimedio restitutorio che,
mettendosi in concorrenza con l’actio de dolo, avrebbe lasciato libera
la giurisprudenza «di valutare caso per caso il ricorso all’uno o all’altro
strumento»,66 non spiega perché in D. 4.3.20.1 Paolo presentasse solo
la soluzione giulianea; d’altronde, è difficile ipotizzare che D. 4.3.20.1
continuasse riportando un’opinione dissenziente di Paolo67, perché ciò
presupporrebbe un taglio che avrebbe creato la contraddizione rispetto
a D. 4.3.25 collocato dagli stessi compilatori dopo pochi frammenti68.
Si può immaginare piuttosto che in D. 4.3.20.1 i dettagli del caso,
non riportati nel testo, impedissero l’utilizzo di uno strumento resti-
tutorio, di modo che non restasse se non la possibilità dell’actio de

63
G. Sacconi, La ‘pluris petitio’, cit., 177.
64
L. Landucci, in Fr. Glück, Commentario, cit., 120 ss. sub a).
65
In questo senso M. Brutti, La problematica, II, cit., 446, nt. 145.
66
Così. M.F. Cursi, L’eredità, cit., 94, sulle orme di M. Brutti, La problematica,
II, cit., 616 ss.
67
In questo senso B. Biondi, Studi sulle ‘actiones arbitrariae’ e l’‘arbitrium iudicis’,
Palermo, 1913, 102, nt. 1.
68
Nello stesso senso M. G. Zoz, Eccezione, cit., 531.
ASSOLUZIONE INGIUSTA 247

dolo69; infatti, come si è visto, lo stesso Giuliano conosce e pratica, ove


possibile la restituzione dell’azione. Un ragionamento proposto da
Marcello, attivo pochi decenni dopo Giuliano, può meglio illuminarci
in merito alla questione dibattuta:

Marcell. 3 dig. D. 4.1.7.pr.-1: Divus Antoninus Marcio Avito


praetori de succurrendo ei, qui absens rem amiserat, in hanc
sententiam rescripsit: «etsi nihil facile mutandum est ex sollemnibus,
tamen ubi aequitas evidens poscit, subveniendum est. itaque si citatus
non respondit et ob hoc more pronuntiatum est, confestim autem pro
tribunali te sedente adiit: existimari potest non sua culpa sed parum
exaudita voce praeconis defuisse, ideoque restitui potest». 1: Nec intra
has solum species consistet huius generis auxilium: etenim deceptis sine
culpa sua, maxime si fraus ab adversario intervenerit, succurri opor-
tebit, cum etiam de dolo malo actio competere soleat, et boni praetoris
est potius restituere litem, ut et ratio aequitatis postulabit, quam ac-
tionem famosam constituere, ad quam tunc demum descendendum
est, cum remedio locus esse non potest.

Nel principium il giurista riporta un provvedimento di Antonino


Pio rivolto al pretore Marcio Avito e relativo al caso di un convenuto
che non era comparso in giudizio; l’imperatore stabilisce che ubi ae-
quitas evidens poscit, subveniendum est, in particolare se l’assenza era in-
colpevole, di modo che il pretore sarà autorizzato a concedere una
restitutio in integrum al convenuto70.
Il rescritto è un chiaro esempio della perdita di indipendenza da
parte del pretore71, il quale avrebbe potuto già disporre la restitutio sulla
69
Secondo A. Wacke, Kannte das Edikt, cit., 116 ss. non sarebbe questione di re-
stitutio in integrum in D. 4.3.25 e d’altra parte in D. 4.3.20.1 non si sarebbe potuto nep-
pure proporre la contrapposizione della replicatio doli all’exceptio rei iudicatae, perché si
sarebbe trattato di un iudicium legitimum, la cui riproposizione era esclusa ipso iure.
70
Il testo si riferisce a un processo svolto secondo il sistema della cognitio extra ordinem
(cfr. P. Pétot, Le défaut ‘in iudicio’ dans la procédure ordinaire romaine, Paris, 1912, 37, nt.
3 e 105; ss.; L. Aru, Il processo civile contumaciale, Roma, 1934, 161, nt. 11), nel quale al-
l’epoca di Antonino Pio sembra essere stato recepito il principio della condanna automatica
degli assenti e «scopo della costituzione è appunto di permettere il superamento del
principio suddetto ogni qualvolta l’aequitas lo richiede»: così G. Cervenca, Osservazioni
sulla ‘restitutio litis’ a favore dell’assente nella ‘cognitio extra ordinem’, in Iura, XII, 1961, 200.
71
Cfr. M. Lauria, ‘Iurisdictio’, cit., 518; M. A. de Dominicis, I destinatari dei re-
scritti imperiali da Claudio a Numeriano, in Annali Univ. Ferrara, VIII, 1950, 210 ss.;
248 PAOLA LAMBRINI

base della clausola generale contenuta nell’editto che, prevedendo ‘si


qua alia mihi iusta causa esse videbitur, in integrum restituam’ 72, gli at-
tribuiva, anche dopo la codificazione dell’editto, il potere di concedere
la restitutio in integrum per casi non espressamente previsti. Malgrado
ciò, il magistrato preferisce rivolgersi all’imperatore per chiedere indi-
cazioni su come comportarsi.
Del resto, i nuovi casi di applicazione del rimedio restitutorio sono
sempre più spesso introdotti dalla cancelleria imperiale73, a dimostra-
zione anche del fatto che il rimedio pretorio viene fatto proprio dal
nuovo ordinamento e utilizzato talvolta in sostituzione o in alternativa
all’appello74.
Nel primo paragrafo, Marcello estende la decisione imperiale anche
ad altre fattispecie75, in particolare al caso in cui un soggetto sia stato,
senza sua colpa, ingannato dall’avversario76; certo, egli ricorda che per
quest’ipotesi sarebbe già disponibile l’actio de dolo malo, ma un buon
pretore dovrebbe evitare di concedere un’azione infamante quando è
disponibile un altro rimedio, e preferire dunque la restitutio litis 77.

G. Cervenca, Osservazioni sui rapporti fra il ‘praetor’ e la cancelleria imperiale in tema di


‘restitutio in integrum’, in Studi in onore di Emilio Betti, Milano, 1961, 225 s.; L. Raggi,
La ‘restitutio in integrum’, cit., 323 ss.; M. Brutti, La problematica, II, cit., 616 ss.; Id.,
Il diritto privato nell’antica Roma2, Torino, 2011, 628 s.
72
V. Ulp. 12 ad ed. D. 4.6.1.1.
73
V. Ulp. 12 ad ed. D. 4.6.26.9; Gai. 30 ad ed. provinc. D. 12.2.31; Call. 5 cogn.
D. 42.1.33. «Ciò denuncia tutta un’attività della cancelleria imperiale a carattere in-
terpretativo, che si svolge sopra una disposizione edittale formulata in modo generico,
sull’applicazione della quale dovevano essere sorte numerose controversie. Ed è la de-
cisione del princeps che può dirimere tali controversie, trasformando, per mezzo dei re-
scritti, dei casi dubbi in altrettanti casi tipici di applicazione della clausola, riportati
come tali dalla giurisprudenza. Per concludere, ci troviamo dinanzi a delle constitutiones
principum che si possono definire di attuazione rispetto a quanto si trova già espresso,
in forma generica, nel testo dell’Editto adrianeo»: G. Cervenca, Osservazioni sui rap-
porti, cit., 224.
74
Cfr. R. Orestano, L’appello civile in diritto romano2, Torino, 1953, 112 s.
75
Sull’atteggiamento estensivo assunto dalla giurisprudenza nei confronti di
rescritti imperiali v. L. Charvet, Evolution de la restitution des majeurs en droit privé ro-
main, Grenoble, 1920, 117 ss.; M.A. de Dominicis, I destinatari, cit., 11; L. Reggi,
Note anonime ai ‘digesta’ di Marcello, in Studi Parmensi, IV, 1954, 38.
76
«Manca al magistrato l’autorità necessaria per porre nel nulla una sentenza, anche
se in teoria potrebbe farlo. Ciò indica uno spostamento di potere: il princeps ora assume
una posizione centrale nell’amministrazione della giustizia e Marcello trae dalla sua volontà
un orientamento normativo di più ampia portata»: M. Brutti, Il diritto, cit., 628 s.
77
A. Wacke, Kannte das Edikt, cit., 118 ss. e M. Kaser, Zur ‘in integrum restitutio’,
cit., 149 s. avanzano dubbi in merito alla genuinità del testo.
ASSOLUZIONE INGIUSTA 249

La prassi ormai consolidata diretta a sanzionare l’inganno proces-


suale con l’actio de dolo malo deve ormai fare i conti con la nuova pos-
sibilità di utilizzare la restitutio: dal momento in cui si comincia ad
ammettere il rimedio restitutorio, esso risulta utilizzato di preferenza78
e si ricorre all’azione di dolo solo qualora la prima via sia impraticabile.
Per esempio, in materia di liti di libertà, ove non è ammessa la re-
stitutio in integrum nel caso in cui una sentenza abbia riconosciuto
erroneamente la libertà dell’attore79, si potrà agire solo con l’azione
di dolo, ove ve ne siano gli estremi80.
La preferenza per lo strumento restitutorio è presentata chiaramen-
te anche in un testo dell’epoca dioclezianea, relativo a una transazione,
la quale non può essere messa in discussione, neppure col pretesto del
rinvenimento di nuove prove; le cose cambiano, qualora si possa
provare che la decisione transattiva sia stata ottenuta grazie alla sottra-
zione di documenti fondamentali: in tal caso, se rimane ancora la pos-
sibilità di agire, si potrà replicare di dolo all’exceptio pacti con cui il
convenuto si richiami alla transazione; se, invece, l’azione sia ormai
prescritta, non resta che utilizzare l’azione di dolo81.
In conclusione, dal momento in cui si ammise la restitutio litis prop-
ter dolum risultò difficile concedere la sussidiaria actio de dolo: si ricorse
a quest’ultima solo quando non fosse praticabile la prima via; d’altra
parte, la restitutio litis attribuiva una tutela più adeguata, permettendo
di rescindere il precedente giudizio.

78
Anche nel caso di dolo del rappresentante processuale che abbia portato all’asso-
luzione del convenuto, descritto da Ulpiano e riportato in D. 4.3.7.9, che si è esaminato
in precedenza, la prima scelta è quella di agire nuovamente contro il convenuto.
79
V. D. 49.1.9 Macer 2 de appellat.: Illud sciendum est neque pupillum neque rem
publicam, cum pro libertate iudicatur, in integrum restitui posse, sed appellationem esse ne-
cessariam. idque ita rescriptum est ; Imperatores Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Ta-
tiano C. 2.30.4: In iudicio de liberali causa sententiam pro libertate latam ne quidem
praerogativa minoris aetatis sine appellatione posse rescindi ambigi non potest (a. 303).
80
Ulp. 11 ad ed. D. 4.3.24: Si dolo acciderit eius, qui verba faciebat pro eo, qui de li-
bertate contendebat, quo minus praesente adversario secundum libertatem pronuntietur, puto
statim de dolo dandam in eum actionem, quia semel pro libertate dictam sententiam
retractari non oportet.
81
Imperatores Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Irenaeo C. 2.4.19: Sub
praetextu instrumenti post reperti transactionem bona fide finitam rescindi iura non
patiuntur. sane si eam per se vel per alium subtractis, quibus veritas argui potuit, decisionem
litis extorsisse probetur, si quidem actio superest, replicationis auxilio doli mali pacti exceptio
removetur, si vero iam perempta est, infra constitutum tempus tantum actionem de dolo potes
exercere (a. 293).

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