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La scuola che prese avvio con il Irnerio è conosciuta con il nome di “scuola dei
glossatori”, di cui Irnerio fu appunto il fondatore, la quale proseguì e rimase in auge fino
all’avvento della scuola del commento. Dopo la “lucerna iuris”67 e fino ad Accursio si
susseguirono ben cinque generazioni di studiosi che sempre in Bologna portarono avanti
il loro lavoro esegetico. Va sottolineato, perché di notevole importanza, che questa scuola
nacque per forza propria, cioè dalla semplice volontà degli studiosi del tempo, senza che
nessuno avesse preparato loro il cammino; come sappiamo infatti furono i primi a
cimentarsi nello studio vero e proprio del diritto come autonoma materia, non vi erano
deriva, come ben si comprende, dal principale strumento esegetico usato da questi
doctores, ossia la glossa. Questa consisteva in un chiarimento che il docente faceva alla
litera del testo durante la lectura di questo, è proprio da qui che deriva il termine lezione,
essa è una postilla volta a chiarire, con una parola o un’espressione, una parola o
un’espressione contenuta nei testi analizzati che secondo il docente deve essere
sono poste all’interno dei testi si dividono in interlineari ovvero marginali; invece, si
semplicemente chiariscono qualche contenuto del testo, come una parola a cui viene
relazione passi paralleli dei testi presi in esame, li comparano e rilevano la concordanza
o la discordanza tra di essi. Queste ultime sono strumento molto più importante delle
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Così Odofredo definisce Irnerio quando scrive di lui.
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F. C. de’ Savigny. Storia del diritto romano nel medioevo., cit., p. 349
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semplici grammaticali, in quanto legano i vari istituti presenti nei Libri legales
realizzando dei collegamenti logici all’interno del Corpus, i quali portano ad un corpo
organico di norme. Ma non solo, vi sono anche delle glosse marginali interpretative, che
contenuto in quello specifico titolo; infatti, queste glosse di norma non si trova apposte a
singoli passi o a leggi, ma all’inizio del titolo stesso. Quelli appena descritti furono gli
strumenti utilizzati dalle prime generazioni di glossatori, ma più proseguirono con il loro
lavoro più gli strumenti utilizzati si moltiplicarono. Per meglio comprendere la differenza
ciascuna delle quali riflette un distinto aspetto sotto cui quel punto può essere
forma di tabella.”
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Tra quelli di cui abbiamo notizia troviamo gli apparati completi al Codice di Azone e Ugolino e
l’apparto al titolo delle Pandette, intitolato De regulis iuris, di Bulgaro, al quale vi furono fatte delle
aggiunte dal Piacentino.
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Sono note quelle di Pillio e Azone.
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• I casus, “in partenza raffigurazioni di fattispecie pratiche, a titolo esemplificativo,
cui la norma può essere applicata; in seguito vera e propria palestra per la
proposte dai vari maestri in merito ai più noti e problematici temi di discussione.”
che militano a favore (pro) di una soluzione e di quella opposta (contra), espone
• Infine, le summae72, “si tratta di opere in cui viene condensata in modo pregnante
operazione, il Codex presta una intelaiatura precostituita nella quale viene però
racchiusa una vera e propria trattazione generale che deriva dalla messa a frutto
Da ciò ben si comprende che lo scopo dei glossatori e della loro scuola non era quello di
rappresentare la pratica dei loro tempi, non vollero creare una scuola per i pratici del
diritto ma per i teorici, essi difatti concentrarono il loro lavoro e il loro insegnamento
sull’analisi dei testi giustinianei e sull’interpretazione di questi, alla pratica, cioè a tutti
quei soggetti che applicavano alle fattispecie concrete il diritto romano, quali giudici e
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Tali furono le Quaestione DD. Bononiensium e il Liber magnus quaestionum.
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Summae al Codice furono redatte da Rogerio, dal Piacentino e da Azone; alle Istituzioni dal
Piacentino e da Azone; ai Digesti da Ugolino; ai Tres Libri da il Piacentino e da il Pillio; all’Authenticum
da Giovanni.
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Cavanna A., Storia del diritto moderno in Europa., cit pp. 109-111
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notai, spettava il compito di volgere a propria utilità il lavoro dottrinale portato avanti
dagli studiosi. Anche se i glossatori focalizzarono la loro opera sul testo, ossia sulla
dalla giurisprudenza, essendo tuttavia uomini che spesso rivestivano anche pubbliche
cariche.74
Intorno alla metà del secolo XIII la fama di Bologna in qualità di centro internazionale di
studi superiori di diritto sia civile che canonico aveva raggiunto l’apice e il lavoro
scientifico svolto aveva portato alla produzione di innumerevoli opere. Fu così che
all’inizio degli anni 20 il doctor legum Accursio decise di raccogliere il meglio del lavoro
esegetico compiuto sulle diverse partizioni del Corpus iuris civilis dalla scuola bolognese.
Siffatto lavoro di raccolta prese il nome di Glossa ordinaria o Magna Glossa, fu terminata
nel 1234 con il commento alle Istituzioni e divenne da quel momento in avanti l’unica
redatte.75
Questa nuova scientia iursi attira innumerevoli studenti in Italia provenienti da tutta
Europa, in prima battuta verso Bologna, successivamente anche nelle altre città italiane
che seguendo il modello bolognese crearono delle proprie università di diritto. Le prime
lezioni non erano svolte in aule vere e proprie, come è noto i “quattro dottori”
insegnavano ognuno nella propria casa adibendo una stanza allo svolgimento dello studio,
e la prima fra tutte fu Bologna. Con il moltiplicarsi delle scuole si moltiplicò anche il
numero degli studenti, i quali iniziano a riunirsi in gruppi, primariamente gli studenti
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F. C. de’ Savigny. Storia del diritto romano nel medioevo., cit., p. 350
75
Arnaldi G., L’università di Bologna, in Le università dell’Europa. La nascita delle università.,
Milano, Amilcare Pizzi Editore, 1990 pp. 85
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forestieri, formando quella che prenderà il nome di natio, ossia una associazione di
studenti volta a creare una vita comune nella diversa realtà sociale in cui questi studenti
si trovano. Vennero così a formarsi numerose nationes di studenti che a loro volta diedero
piano a configurarsi l’università, ossia questo nuovo organismo che rappresenta la massa
studentesca di Bologna, il quale decide di darsi una struttura organizzativa eleggendo sia
un rectores sia degli organi di governo minori. Nei primi decenni del XIII secolo vengono
a configurarsi due distinte universitates, una che riunisce le nationes d’oltr’Alpe, al cui
interno troviamo studenti spagnoli, francesi, tedeschi, inglesi e molti altri, che prenderà
raggruppa invece gli studenti italiani, divisi in quattro nationes, cioè quella dei Campani,
dei Romani, dei Toscani e dei Lombardi. La carica di rettore diviene un vero e proprio
controllo dei rapporti tra studenti e professori assume di fatto il pieno controllo,
carattere generale, ma non solo, concordando con i docenti i corsi da svolgere, la loro
durata, gli orari, i periodi di vacanza e anche quelli concessi ai professori per potersi
Il compito dei professori consisteva nel tenere prelezioni, ripetizioni e dispute. Il corso
regolare di studio era di un anno, il 19 ottobre iniziavano i corsi sui decreti e il giorno
seguente tutti gli altri. L’inizio dell’anno accademico prendeva avvio con una messa
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Bellomo M., Breve storia della scienza giuridica., cit., pp. 65-67
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erano previste per due settimane a Pasqua e undici giorni a Natale, oltre i giovedì77, giorno
in cui non si tenevano lezioni, a meno che nella stessa settimana non cadesse altra
festività, in quel caso il giovedì perdeva il suo privilegio. Le grandi ferie iniziavano il 7
settembre, nelle quali non si poteva tenere o prorogare nessuna prelezione, ma era
parte la mattina e in parte la sera, la mattina dovevano iniziare dopo l’alba e finire alle
ore 9, la sera, le lezioni iniziavano secondo le materie e le stagioni, alle 19, alle 20, alle
21 e alle 22 e potevano durare anche due ore, ma sicuramente un’ora e mezzo. In queste
ore era fatto obbligo ai professori di spiegare, non potevano cioè semplicemente
consegnare quaderni o far leggere altri.78 Argomento delle prelezioni erano le cinque parti
del Corpus Iuris, infatti si tenevano cinque prelezioni principali, due considerate ordinarie
e le altre sempre straordinarie. La durata del corso, come anticipato, era di un anno per
ogni parte del Corpus. Ciascuno dei tre Digesti e il Codice venivano spiegati
così ogni professore compiva la sua mezza prelezione nello stesso corso di un anno, che
prima era destinato all’intera prelezione. In questo modo il tempo della prelezione era
raddoppiato, per questo fu previsto che gli studenti potessero udire in un anno tutto il
Digestum vetus e così via. Il Volume, invece, doveva essere letto da un solo professore e
per interno, se a fine corso non fosse stato spiegato tutto, il professore avrebbe dovuto
finirlo all’inizio del corso successivo. Le stesse procedure erano previste per le lezioni di
iniziavano la lezione con l’esposizione sommaria del contenuto di tutto un titolo, Summa,
77
Il giovedì secondo un antico costume era il giorno destinato alla cura della propria persona.
78
F. C. de’ Savigny. Storia del diritto romano nel medioevo. Volume I, cit., pp. 589-590
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dopodiché passavano alla lettura delle parti del testo che ritenevano meglio scritte ed
esponevano il caso. Una volta esposto il caso scioglievano le apparenti antinomie con gli
altri passi del testo, ricordavano le regole generali di diritto, brocarda, ed esponevano i
casi di diritto veri o figurati, quaestiones, che con queste potevano essere risolti. Se tale
ultima parte avesse richiesto troppo tempo sarebbe stata riservata alle ripetizioni.
in quelle mattutine, cioè quelle ordinarie, potevano interrompere solo qualche volta.79
La differenza tra le prelezioni ordinarie e straordinarie non stava solo nel fatto che si
tenessero in due distinti momenti della giornata, ma stava nel diverso contenuto oggetto
della lezione; infatti, i libri oggetto di studio si dividevano in ordinari e straordinari, per
il diritto romano erano ordinari il Digestum vetus e il Codex, per quello canonico, il
Decreto e le decretali, tutti gli altri erano appunto considerati straordinari. Le prelezioni
inerenti ai libri straordinari erano sempre prelezioni straordinarie, quelle invece inerenti
ai libri ordinari potevano essere sia ordinarie che straordinarie, a seconda che si tenessero
la mattina o la sera. Tutto questo meccanismo di divisione delle prelezioni portava anche
ad un’altra distinzione quella tra i lettori ordinari e straordinari, i primi erano quelli che
bolognesi, i secondi invece erano coloro che potevano tenere solo prelezioni straordinarie.
considerazione che i libri ordinari erano più importanti e necessari degli altri e come tali
a loro dovevano essere dedicate le migliori ore del giorno. Queste prelezioni erano poi
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F. C. de’ Savigny. Storia del diritto romano nel medioevo. Volume I, cit., pp. 728-735
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quelle più frequentate essendo appunto le più importanti, le altre erano frequentati a
discrezione degli studenti. Come anticipato oltre alle prelezioni si tenevano anche
ripetizioni e dispute.
Le dispute ruotavano intorno ad una particolare tesi giuridica posta sottoforma di quesito,
sia che fossero ipotetiche sia che fossero casi concreti presi dal foro e riportati nelle scuole
queste questioni avevano sempre carattere pratico. Le ripetizioni duravano da inizio anno
settimana doveva tenersene almeno una. Il testo oggetto di queste doveva essere
consegnato agli studenti alcuni giorni prima e la trattazione completa, che veniva fatta
al tempo il titolo di dottore. Agli inizi della scuola di Bologna il titolo di dottore, maestro
che venivano utilizzati nei confronti dei primi professori, dopo qualche tempo tale
appellativo, cioè quello di dottore veniva assegnato al candidato considerato degno dopo
il superamento dell’esame, il quale diveniva nuovo membro del novero dei professori.
Questo aspetto crediamo vada sottolineato, in quando il percorso di studi universitari non
portava come oggi al conseguimento di un titolo idoneo alla pratica forense, bensì al
conseguimento del titolo idoneo all’insegnamento, infatti per la pratica, come quella del
notariato furono create delle apposite scuole, quello che gli studenti apprendevano negli
anni di studio serviva a poter successivamente insegnare a loro volta. Dottori si poteva
diventare sia in diritto romano che in diritto canonico. I canonisti avevano un percorso di
studi della durata di 6 anni, mentre i civilisti della durata di 8, nei quali potevano rientrare
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F. C. de’ Savigny. Storia del diritto romano nel medioevo. Volume I, cit., pp. 595-599
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anche tre o quattro anni di studio di ius canonico. Gli esami previsti erano due, uno
dei quali gli veniva conferito un diverso grado. Per quanto concerne l’esame privato al
diritto canonico, oppure uno di diritto romano e uno di canonico, a seconda che il
candidato volesse essere promosso in entrambe le facoltà o in una sola di esse. Il dottore
presentava il candidato ad una commissione, la quale poneva delle domande sui testi
elaborati, finito l’esame, i dottori votavano e se il candidato fosse stato dichiarato idoneo,
avrebbe preso il nome di licenziato. Dopo l’esame privato, si passava a quello pubblico,
idoneo per ricevere il grado di dottore, il quale si teneva presso il Duomo, dove ci si
prelezione di diritto con la quale argomentavano direttamente gli studenti. A ciò seguiva
simboli del dottorato, ossia il libro, l’anello e la berretta, gli si assegnava un posto sulla
Dopo che presero avvio le università vennero appoggiate anche dai Comuni, a
dimostrazione di ciò sta il fatto che l’onere economico degli stipendi passerà appunto
riconosciuta all’università, sia per quando riguarda i docenti affermati, sia per gli studenti,
futuri docenti. Avendo infatti moltissima fama i professori universitari molto spesso
venivano interrogati su svariate questioni, dalle sentenze alle liti private, si chiedeva loro
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F. C. de’ Savigny. Storia del diritto romano nel medioevo. Volume I, cit., pp. 571-573
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il consilium, cioè il parere giuridico su una determinata fattispecie, denominato appunto
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Bellomo M., Breve storia della scienza giuridica., cit., pp. 67-68
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