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Les Dossiers du Grihl


02 | 2009 :
Dissidence et dissimulation

Modernità e ortodossia:
strategie di conciliazione e
dissidenza nell'insegnamento
della filosofia nei collegi
gesuitici del primo Settecento
ANNA RITA CAPOCCIA
https://doi.org/10.4000/dossiersgrihl.3678

Abstracts
Français Italiano English
La contribution d'A. R. Capoccia s'appuie sur l'analyse des manuscrits de philosophie naturelle
(phisica) de Giulio Gori et d'autres professeurs jésuites du Collège Romain au cours des deux
premières décenniesdu XVIIIe siècle. L'auteure s'attache à mettre en évidence l'opposition,
“disimulée” mais bien réelle, des professeurs aux prescriptions officielles de l'Ordre en matière
d'enseignement. Elle s'emploie en particulier à décrire l'une des stratégies d'introduction de la
philosophie moderne, atomiste et cartésienne, qui sapaient en fait les bases des propositions
doctrinales constitutives de l'orthodoxie doctrinale de la Compagnie de Jésus.

Il contributo di A. R. Capoccia è basato sull’analisi dei manoscritti di filosofia naturale


(phisica) di Giulio Gori e di altri professori gesuiti al Collegio romano nel primo ventennio del
Settecento; in esso si descrivono la ‘dissimulata’ opposizione dei professori alle prescrizioni
ufficiali dell’Ordine in materia d’insegnamento e una delle strategie d’introduzione della
filosofia moderna, atomistica e cartesiana in particolare, che scardinavano gli assunti dottrinali
a fondamento dell’ortodossia nell’Ordine dei gesuiti.

Anna Rita Capoccia's contribution is based on the analysis of manuscripts created by Giulio
Gori and other Jesuit professors at Roman College in the first twenty years of eighteenth
century.
There are here described professors' "hidden" opposition to official precepts by the Order
about teaching and an introduction strategy to Atomist and Cartesian modern philosophy;
these strategies unhinged doctrinal tasks that were the theoretical structure of Jesuit Order's
orthodoxy.

Index terms
Mots-clés : atomisme, cartésianisme, Collège Romain, dissimulation, ENBaCH, Gori (Giulio),
jésuites, Maignan (Emmanuel, orthodoxie, transubstanciation
Keywords : atomism, Cartesianism, Collegio romano, dissimulation, Gori (Giulio), Jesuits,
Maignan (Emmanuel), orthodoxy, Roman College, transubstantiation

Author's notes
Saranno usate le seguenti abbreviazioni:
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana = BAV; Roma, Biblioteca Nazionale Centrale
= Roma, BNC; Roma, Biblioteca Casanatense = Roma, BC; Roma, Archivum Romanum
Societatis Jesu = ARSI.
A.DE MARI, Physica P. Augustini de Mari, 1682, in Roma, APUG, segnato FC, 55; manoscritto
cartaceo, di 200x145mm; 256 cc.; sul piatto anteriore le precedenti segnature: 10, 6, 49.
Bianche le cc. 254r-256v. L’indice è presente alle ultime 4 cc. Verso della c. 4r, bianco.
Frontespizio: “Physica P. Augustini de Mari” Incipit del ms.: (c. 1r) “In Libros Physicorum
Aristotelis”. Explicit: (c. 253v) “in quantum his naturalis opponit violento atque hic in
praesenti anno dicta sufficiant” = DE MARI, Physica.
I. GUARINI, Philosophiae pars secunda, seu disputationes de physico auditu quas ab admodum
reverendo patre Ignazio Guarini ex Societatis Jesu philosophicum triennium in Collegio
Senense praelegente audivit ac scripsit Joannes Philippus Buoninsegni. Anno Domini 1706, in
Roma, APUG, segnato F C, 2261; manoscritto cartaceo; mm. 200x150; legatura e copertina
contemporanee. Al verso del piatto anteriore le altre precedenti segnature: 10; 6; 49, 558cc.;
bianche le cc. 275 v.-276; 440-498v.; 551v. 558v; scrittura di mano di Ioannes Philippus
Buoninsegni = GUARINI, Philosophiae pars secunda.G. GORI, Introductio Phisicae Aristotelicae
Dictata in Collegio Romano Lectore Reverendo Patre Giulio Gori et scripta (ab) Innocentio
Massa Anno Domini MDCCXXIII, in Roma, BC, segnato: 572, (già F.IV.5); manoscritto
cartaceo, mm. 194x133; cc. I+407 non numerate; bianche le cc. 1v, 54v, 180r-182r, 202r-206r,
236v-238r, 285r-286r, 300r-304r, 319r-320r, 391r-392r, 393v, 404r-407r; scrittura di mano
di Innocenzo Massa = GORI, Introductio.
G. B. TOLOMEI, Philosophia mentis et sensuum secundum utramque Aristotelis methodum
pertracta metaphysice et empirice.A Joanne Baptista Ptolomeo Societatis Jesu, in Collegio
Romano, Romae, Ex Typographia HOME Reverendae Camerae
CATALOGUEApostolicae,
OF 5841696,JOURNALS
in folio, 731 p, in OPENEDITION SEARCH
Roma, BNC, segnato 7. 4. F. 12;
II edizione: Augustae Vindelicorum et Dilingae, J. C. Bencard, 1698, in Roma, BNC, segnato
14. 4. R. 13; 14. 3. G. 9;
III edizione, Romae, Sumptibus J. Sangermani Corvi, 1702, in Roma, BNC, segnato 7. 4. F. 9 ;
in Roma, BC, segnato L. I. 40 = TOLOMEI, Philosophia.

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Credits : Photo Jean-Pierre Cavaillé
1 Il lavoro svolto nel corso della redazione della tesi di dottorato su “L’insegnamento
della filosofia naturale al Collegio romano”1, su cui è in parte basata questa relazione, si
costituisce come un tentativo limitato di cogliere i contenuti dell’insegnamento della
filosofia durante la prima metà del XVIII secolo attraverso l’analisi di diversi documenti
inediti redatti dai professori che hanno tenuto la cattedra nel periodo. La precisazione
dell’ambito è ascrivibile sia alla scelta di analizzare una base documentaria ristretta, ma
in sé completa, quali sono i corsi dettati dai professori che abbiamo considerato e che, a
differenza delle Theses, pur reperibili2, relative al Collegio Romano, presentano
maggiore articolazione interna in quanto restituiscono mirabilmente la vivacità, la
complessità e, a volte, anche la farraginosità della lezione di filosofia in aula, sia alla
scarsità di studi utilizzabili ai fini di un lavoro che voglia cogliere dall’interno tali
argomentazioni: ciò ha comportato la mancanza di un quadro di riferimento
metodologico e contenutistico.
2 I documenti per intraprendere una ricerca che non si fermi ai programmi ufficiali
sono costituiti dai corsi manoscritti che, secondo una prassi tipicamente gesuitica,
erano dettati (nel senso letterale del verbo) dai vari professori che si sono succeduti
nell’insegnamento della materia al Collegio romano, a partire – per quanto riguarda il
periodo preso in esame – dalla fine del Seicento e per tutto il primo ventennio del
secolo successivo. I corsi risultano integralmente scritti sotto dettatura dagli studenti e,
pur essendo stata incoraggiata da parte dell’Ordine la stampa di manuali che
sostituissero gli appunti, l’uso della dettatura prevalse fino alla soppressione della
Compagnia, per diverse ragioni, tra le quali è ravvisabile anche quella dell’affermazione
di una certa indipendenza didattica da parte dei professori, per quanto fosse possibile
in sede di lezione pubblica.
3 La necessità di circoscrivere il campo d’indagine è, infatti, anche dovuta alla vastità
della documentazione disponibile relativa alla didattica presso i gesuiti. Tali documenti,
a nostro avviso, hanno ricevuto una scarsa attenzione sia rispetto alla loro importanza
nella pratica educativa, sia rispetto alla loro ricezione – talora rielaborazione – di
alcune tra le principali tematiche che agitavano la comunità scientifica del periodo, fino
all’eterodossia di diverse tesi in essi proposte rispetto agli assunti teologici e dottrinali
della Chiesa. La ragione di questa situazione, come è stato osservato, è frutto di
un’aprioristica tesi di partenza che ha attribuito a questi testi la connotazione
generalistica di ‘fisica scolastica’, ‘fisica peripatetica’ o ‘aristotelismo’, presupponendo
che si trattasse di scritti dei quali già si conosceva il contenuto3.
4 Ho tentato di descrivere uno dei non facili percorsi di diffusione e affermazione delle
idee dei Novatores, partendo dalla tesi, ormai sostenuta da diversi storici4, della non
omogeneità delle nuove idee conseguenti alla Rivoluzione scientifica (che non si
presentano come complesso monolitico di dottrine da accogliere o rifiutare in blocco) e
della loro diffusione secondo modalità diverse e contrastanti: la nuova scienza,
contrariamente a quanto affermato da una storiografia di matrice positivistica5, si è
imposta anche in ambienti che l’avevano ufficialmente bandita e lo stesso aristotelismo
sostenuto dai gesuiti, lungi dall’essere un corpo omogeneo nel periodo di cui ci
occupiamo, non è estraneo al processo di diffusione, riuscendo in alcuni casi ad
inglobare al suo interno le nuove idee.
5 Il principale interrogativo ha riguardato le diversificate strategie e la maniera in cui
in uno spazio di elaborazione del sapere, quasi unanimemente ritenuto la roccaforte
delle idee filosofiche aristotelico-scolastiche a sostegno di una teologia affatto
ortodossa, abbia circolato un tipo di cultura irriducibile rispetto all’aristotelismo e
difficilmente riconducibile alle linee programmatiche dell’Ordine.
6 Ritengo, infatti, che una delle principali costatazioni scaturenti dalla nostra analisi
consista nell’aver rilevato la presenza dei principali sistemi filosofici della modernità,
oltre che di idee affatto eterodosse e delle teorie scientifiche a lungo bandite – sia pur
solo ufficialmente- dagli ambienti ecclesiastici, nei manoscritti per le lezioni di filosofia
al Collegio.
7 La scelta di limitare l’analisi all’ambito della filosofia naturale è dovuta soprattutto
alla costatazione del singolare ruolo occupato dalla physica all’interno di un
insegnamento unanimemente connotato come aristotelico, a causa delle prescrizioni
della Ratio in materia6: la fisica aristotelica, come è noto, costituisce, anche secondo
svariate tesi storiografiche relative alla formazione della ‘modernità’, il principale
ostacolo alla diffusione della scienza moderna e la fisica insegnata nei collegi gesuitici è
stata a lungo configurata come complesso di dottrine affatto atte a contrastare le idee
innovative nostrane o provenienti d’oltralpe.
8 L’analisi dei tesi ha preso avvio dalla costatazione della presenza nei manoscritti
gesuitici per le lezioni, di determinate problematiche filosofiche e scientifiche
contemporanee che circolavano negli ambienti culturali romani, oltre che europei, ma
che erano tuttavia considerate non proponibili nelle aule dei collegi.
9 In riferimento al problema del tipo di fonti utilizzate ai fini della diffusione della
cultura moderna in ambito gesuitico, la storiografia degli ultimi vent’anni, pur non
assumendo quale oggetto specifico degli studi il Collegio romano e le fonti di carattere
pedagogico, presenta, tuttavia, diversi lavori che propongono sia un’interpretazione
globale e relativa allo statuto storico-culturale delle istituzioni gesuitiche nel momento
in cui, in Europa, andava lentamente affermandosi la ‘modernità’, sia gli autori ed i
problemi di filosofia naturale maggiormente discussi. In questo senso, hanno una
particolare rilevanza gli studi relativi alla storia delle accademie del periodo e al ruolo
assunto dall’apostolato insegnante gesuitico, dunque al tipo di insegnamento impartito
alle élites romane ed europee.
10 Secondo le più recenti interpretazioni7, il contributo attivo della Compagnia al
processo di elaborazione e di diffusione della ‘nuova scienza’ ha conosciuto il suo
apogeo nella prima metà del Seicento, con la creazione di quel polo d’eccellenza – il
Collegio romano – che doveva servire da modello referenziale ad altre strutture dello
stesso tipo, a Roma ed altrove. Il ruolo detenuto dagli uomini della Compagnia, agli
inizi del XVII secolo sul piano scientifico, è quasi unanimemente riconosciuto quale
posizione di portata internazionale, grazie a uomini pienamente inscritti nella serie di
relazioni di quella che è stata definita la sociabilitas scientifica8 del periodo9.
11 Le accademie all’interno dei collegi sono considerate i mezzi maggiormente evidenti
attraverso i quali i gesuiti costituivano la loro rete di rapporti con gli ambienti
intellettuali e scientifici del Sei-Settecento. La doppia modalità di questa instaurazione
è riposta, oltre che nelle accademie, anche nella partecipazione esterna da parte dei
gesuiti, ai lavori di importanti istituzioni laiche europee10, quali, ad esempio, la Royal
Society11, o attraverso la loro attività di redattori nell’ambito della stampa periodica
romana.

Esposizione del contenuto dei


documenti su cui è basata
l'interpretazione delle strategie
d'introduzione della filosofia moderna
12 All’interno della documentazione disponibile per lo studio della pratica didattica del
Collegio romano12, sono stati considerati alcuni manoscritti di filosofia naturale redatti
dagli alunni del Collegio e conservati presso i fondi della Biblioteca Casanatense di
Roma o presso l’Archivio della Pontificia Università Gregoriana.
13 Uno dei punti focali del lavoro è costituito, in primo luogo, dall’analisi del
manoscritto di filosofia naturale di Giulio Gori13, quindi, in secondo luogo, da quella
degli inediti di alcuni professori di filosofia operanti al Collegio romano. La lettura
analitica del manoscritto dal quale la nostra indagine ha preso le mosse (l’Introductio...
di G. Gori), è tesa all’individuazione delle fonti delle varie problematiche esposte e al
rilievo delle strategie di presentazione e diffusione di idee affatto conformi con le
prescrizioni ufficiali in materia di contenuti dell’insegnamento della disciplina. Una
direzione particolarmente feconda è apparsa quella del confronto tra il manoscritto di
Gori e quello di A. De Mari14, risalente al 1681-82 (Physica P. Augustini de Mari), che
presenta un impianto affatto tradizionale, pur attribuendo largo spazio agli
esperimenti15.
14 Pur non essendo stato possibile tracciare una linea evolutiva continua, a partire dal
1683-84 fino al 1723, a causa delle lacune documentarie, si può sostenere, in base alla
documentazione consultata, che il primo, rilevante cambiamento attuato
nell’insegnamento della disciplina risale agli anni nei quali Giovanni Battista Tolomei16
tenne il corso di filosofia al Collegio (1692-1696).
15 Precedentemente, infatti, come si evince dal citato manoscritto di De Mari, la stessa
considerazione della physica era identificabile in un esame di una regione della realtà,
in stretto rapporto con la metafisica. Tale scelta avrebbe, inoltre, determinato lo statuto
stesso delle discipline matematiche all’interno della physica, poiché avrebbe posto i
concetti primari della matematica (grandezza, estensione, unità, numero, ecc.) sotto
una tutela filosofica17.
16 I contenuti dell’insegnamento della disciplina, tuttavia, pur seguendo un ordine
‘tradizionale’, poiché riscontrabile in diversi testi destinati allo stesso scopo, potevano
includere anche scelte deliberate, come è il caso del manoscritto di A. De Mari, e della
Disputatio, stampata e risalente allo stesso anno (1682), sostenuta pubblicamente da
un alunno del Collegio18.
17 L’ordine delle argomentazioni, di origine scolastica, identifica l’oggetto precipuo della
physica con lo studio di entità naturali incorruttibili ed immobili (i principi della
sostanza, la materia, la forma, i modi del mutamento, il moto, lo spazio, il tempo), cui fa
seguito lo studio delle sostanze semplici e incorruttibili, ma mobili (il cielo), quindi
degli elementi principali dei corpi corruttibili, dei vari ‘misti’ (generazione e
corruzione), dei ‘misti inanimati’ (metereologia). L’ordine logico di esposizione è
corrispondente ad un certo ‘ordine spaziale’ poiché, a partire da concetti che si
estendono all’intera realtà naturale, si giunge, in senso discendente, dagli spazi astrali
alla terra.
18 A partire dalla fine del XVII secolo, tale proposta di suddivisione delle argomentazioni
subì un rilevante cambiamento che investiva non solo l’ordine logico della disciplina,
ma aveva anche un suo significato epistemologico in quanto consentiva una diversa
configurazione, rispetto a quella precedentemente enunciata, del rapporto tra fisica e
matematica: in questo periodo, infatti, nell’uso didattico si distingueva nettamente la
physica generalis, da una seconda parte, detta physica particularis. In quest’ultima i
docenti introducevano i nuovi contenuti scientifici in misura crescente e se questo, in
diversi casi, non intaccava l’ordine “logico-aristotelico delle sostanze” e le varie
concezioni esposte nella prima parte, tuttavia, produceva una considerevole
attenuazione della dipendenza tra questi ultimi e i nuovi contenuti esposti. La fisica
generale, infatti, era considerata come studio delle ‘sostanze’ naturali, non dei
fenomeni. La distinzione riguardava essenzialmente una filosofia naturale speculativa,
altamente astratta e puramente mentale e una serie di contenuti della scienza fisica in
senso moderno19.
19 Nell’esposizione della filosofia naturale aristotelica20, si adottava per la prima metà
del XVIII secolo un procedimento comune, basato sulla contrapposizione netta dei due
sistemi filosofici del peripatetismo e dell’atomismo. Le quaestiones trattate si
concludono, quindi, con le risposte, riaffermanti le idee aristotelico-tomistiche, alle
obiectiones delle sententiae Athomistarum precedentemente esposte21. Il sistema
atomistico è considerato soprattutto in riferimento alla filosofia di Eraclito, Epicuro,
Democrito22 e tra i recentiores, Pierre Gassendi.
20 Nel primo Settecento, dunque, la filosofia naturale aveva ristretto il campo della
speculazione astratta, riducendolo a nozioni ritenute essenziali soprattutto in
prospettiva dell’impianto teologico ortodosso, ma completamente scisse dalla pratica
concreta della ricerca in filosofia naturale e inglobava in maniera significativa i recenti
sviluppi della sperimentazione.
21 Una delle questioni di maggior attrito tra aristotelismo e nuova scienza, nell’ambito
della filosofia naturale, fu quella cosmologica.
22 La nuova cosmologia contraddiceva la tesi della incorruttibilità e solidità dei cieli:
nell’Ordinatio di Piccolomini, tuttavia, la fluidità e la corruttibilità risultano opinioni
sostenibili in quanto il documento proibisce la mera adesione alla dottrina copernicana,
non facendo alcun cenno alle due tesi ricordate23.
23 La scelta del sistema ticonico24, antitolemaico, antiaristotelico e anticopernicano, pur
differendo notevolmente dalla cosmologia copernicana, permise ai membri dell’Ordine,
secondo Corrado Dollo25, di accettarne l’astronomia. A partire dai primi anni del
Seicento, infatti, diversi astronomi della Compagnia contribuirono, con i risultati delle
loro ricerche, alla decadenza della visione cosmologica medievale e aristotelica.
Giovanni Battista Riccioli26 e Christop Scheiner27, ad esempio, mostrarono nelle loro
opere – l’Almagesto28e la Rosa Ursina29, in particolare – una riconosciuta modernità
tecnico-osservativa, pur essendo entrambi sostenitori, in ambito cosmologico, del
geocentrismo. Il rifiuto del copernicanesimo, infatti, non implicava la chiusura nei
confronti dell’astronomia moderna: nei testi per le lezioni consultati, il sistema
copernicano trova un largo spazio di esposizione, pur accanto ai vari sistemi
geocentrici.
24 Un recente lavoro sulla diffusione del copernicanesimo, suggerisce sia di non
prendere alla lettera le dichiarazioni di geocentrismo che provenivano da più parti,
soprattutto dall’ambiente religioso, in primis gesuitico, pur essendo affiancate dalla
teoria opposta e da una dichiarata ammirazione per gli astronomi e scienziati che la
sostenevano; sia di interpretare i diversi testi nei quali è affermata la fedeltà al
geocentrismo, anonimi o autografi o redatti da ecclesiastici, in un generale contesto di
‘dissimulazione’30.
25 L’importanza del tentativo compiuto da Giovanni Battista Tolomei, a partire dal
1692, di modificare profondamente l’assetto didattico e di ripartizione dei contenuti
tradizionalmente condiviso ed adottato, assume rilievo soprattutto se considerata
all’interno delle strutture concettuali della scolastica e dell’aristotelismo gesuitici, che
avevano organizzato i programmi e i contenuti disciplinari del più grande sistema
scolare esistente a quei tempi ed avevano determinato la suddivisione degli argomenti
dei manuali di diverse discipline, non solo filosofiche31.
26 Il gesuita Giulio Gori (1686-1764)32 nel 1726, in due delle sue Lettere filosofiche
delineò a tratti incisivi la figura di questo professore del Collegio romano, suo
predecessore nella cattedra di filosofia, poi Cardinale e, tracciando la biografia
intellettuale di quest’uomo magnanimo e di straordinaria erudizione, ne rivelò il
profondo sentimento di ripulsa nei confronti di un’epistemologia fondata
sull'astrazione dai dati sensibili e di un “sapere meramente concettuale”:

La Seconda Censura l’ebbe da certi nostri Vecchioni che l’averebbon voluto, o


tutto peripatetico, che giurasse [...] di veder co’ gl’occhi le forme sostanziali di
tutti i misti; benché sieno invisibili; o tutto Atomista scoperto per Caricarlo di
ingiurie, e di censure, colla qual sorta d’arme più che colla Ragione Si
combattono i Corpuscolari dall’ignoranti [...]. E vaglia il vero; Quel dichiarossi
apertamente co’ Suoi scolari non esservi dentro i termini della sola naturale
filosofia, argomento che vaglia a provar gli accidenti da ogni Sostanza distinti
[...]. Questo, e un Simil parlare gli levò voce di stravagante nell’Opinare. Ma
guai ad esso se avesse veduto sol come gli altri comunemente, non averebbe
avuti altri occhi che come s’han dal Comune. Egli hebbe questo di proprio: che
poco faceva conto di ciò che dal Comune dicevasi; Sicuro dal paragone che la
vista da Lince è di pochi33.

27 Giovanni Battista Tolomei34 fu personaggio di un certo rilievo all’interno della


Compagnia, nato nel 1653, a 35 anni procuratore generale dell’Ordine, dal 1692 al 1696
professore di filosofia al Collegio romano, nel 1712 creato Cardinale da Clemente XI e
morto nel 1726. Tolomei, ‘attore minore’ della Repubblica letteraria, tuttavia coinvolto
nell’ambito dei dibattiti scientifici e filosofici contemporanei, è da Gori ritenuto l’unico
professore in grado di contrastare l’ideologia vigente e, ad un tempo, di proporre una
valida alternativa di pensiero al peripatetismo.Le lezioni di filosofia naturale che
Tolomei tenne al Collegio romano e che furono date alle stampe, come raramente
accadeva, rappresentano una delle principali fonti dell’Introductio di Gori.
28 Dal confronto delle argomentazioni della Physica di Agostino De Mari con le
tematiche introdotte nell’insegnamento da Tolomei, che insegnò al Collegio dal 1692 al
169635, si riscontra una certa evoluzione che va nel senso di una più ampia apertura
verso le problematiche filosofiche contemporanee, non solo dal punto di vista della
fisica particolare, ma soprattutto per lo spazio teorico attribuito ai diversi sistemi
filosofici, quali quello cartesiano.
29 Tolomei pubblicò La Philosophia mentis et sensuum secundum utramque Aristotelis
methodum pertracta metaphysice et empirice, edita più volte, a partire dal 1696.
30 La posizione polemica nei confronti della filosofia ‘scolastica’ da parte di Tolomei e i
suoi rapporti con Leibniz, sono stati evidenziati anche dalla storiografia interna
dell’Ordine (l’unica lettera riscontrata tra i due è quella del 16 giugno 1712, nella quale
Leibniz si congratula con Tolomei per la sua elevazione al cardinalato36). Riguardo ai
rapporti tra Leibniz e Tolomei37, un’importante contributo è costituito dallo studio di
André Robinet sul viaggio italiano di Leibniz38: lo studioso documenta, infatti, la
conoscenza personale dei due eruditi, avvenuta durante la partecipazione di entrambi
alle riunioni dell’Accademia fisico matematica di Roma39.
31 Tale dato storico40 apre una prospettiva relativa all’analisi delle fonti delle lezioni di
Tolomei. Il confronto diretto tra i resoconti dei lavori dell’Accademia, conservati nella
Biblioteca Vaticana di Roma41 e le Dissertationes della Philosophia di Tolomei, dedicate
al problema del vuoto e degli esperimenti barometrici, arreca un importante contributo
anche al problema dei rapporti tra il Collegio romano e le istituzioni culturali, laiche ed
ecclesiastiche, che agivano nell’ambiente romano ed europeo.
32 Le lezioni di Giovanni Battista Tolomei, dove è dato ampio spazio alla filosofia
naturale, rispetto alla logica, alla metafisica e alla teologia naturalis, che pur espone nel
trattato, furono abbastanza note ai contemporanei connazionali42 e d’oltralpe43 e lodate
per avere l’autore in esse dimostrato che all’interno del sistema dello Stagirita potevano
essere isolati due metodi filosofici compatibili, ma differenti, essendo il primo
metaphysicus, proprio di una scienza speculativa, avente come oggetto le dottrine
dell’essere; l’altro empiricus, proprio di una scienza a carattere dimostrativo, con
procedimento matematico, che parte da fatti rigorosamente stabiliti e risale a principi
generali. I due metodi sono dunque riferibili a due diversi spazi epistemologici (la
metafisica e la filosofia naturale), e, per quanto riguarda la filosofia della natura, egli
assume il “metodo geometrico dei sapienti”44.
33 Uno di caratteri originali della Philosophia consiste proprio nella ripartizione degli
argomenti, il cui mutamento rispetto a precedenti testi ha anche un significato
teoretico. La novità più radicale del testo di Tolomei è, forse, la collocazione della
metafisica (Logico-metaphysica45) tra la logica e la fisica: ciò mostra che egli tende a
trasformare questa parte della filosofia da studio di enti concepiti quali reali, secondo la
tradizione filosofica gesuitica, a studio di concetti e nozioni puramente mentali. Il
campo di analisi della metafisica è, infatti, affatto separato da quello della realtà
naturale, come suggerisce anche il titolo dell’opera, Philosophia mentis et sensuum: le
relazioni empiriche tra oggetti e fenomeni divengono, così, un campo distinto e del
tutto irriducibile a quello delle relazioni logiche esistenti tra vari concetti e nozioni
puramente mentali.
34 La suddivisione che egli dava alla fisica sovvertiva quella tradizionale46: introducendo
una Physicometaphysica47, egli poteva relegare in quest’ambito nozioni generali quali
quelle di spazio, tempo, continuo, ecc., interpretate come nozioni puramente mentali e
distinte dallo studio delle reali quantità e delle relazioni di successione tra eventi dati
presenti in natura. Quest’ultimo, infatti, è componente precipua della Physica
particularis, trattata in larga parte secondo metodi e risultati moderni, con una piena
adesione alla scienza sperimentale48. Tale suddivisione permetteva a Tolomei di
relegare la metafisica in una zona estranea ai concetti e metodi della filosofia naturale:
si tratta di un’importante evoluzione, soprattutto qualora si confronti il nuovo assetto
argomentativo dell’opera di Tolomei e i nuovi contenuti introdotti con la tradizione
gesuitica precedente per l’insegnamento di questa materia, subordinata all’ortodossia
teologica. Tolomei risolveva così la contaminazione, tipicamente gesuitica, degli
argomenti teologici nel discorso fisico, relegandoli in due differenti spazi epistemici,
mentis et sensuum, intraducibili l’uno rispetto all’altro.
35 La sovversione radicale del rapporto tra fisica e metafisica implicava il definitivo
abbandono di ogni nesso tra i due ambiti e di ogni possibilità di impiegare la metafisica
per risolvere problemi fisici.
36 Il problema della conciliabilità tra le due opposte concezioni della realtà naturale
(quella dei moderni e dei peripatetici), inoltre, è individuato sia nei differenti metodi
applicabili ai diversi ambiti della speculazione filosofica (fisico e metafisico,
‘metaphysice et empirice’)49, sia nella ‘contaminazione’ da parte degli interpreti latini di
Aristotele e nella non corretta interpretazione del testo aristotelico50. Un certo sforzo di
conciliazione ed il sincretismo che egli adotta nell’esposizione di varie concezioni
filosofiche desunte sia dagli ‘antiquiores’ sia dai ‘recentiores’ non implicano la
trasposizione dei primi nei secondi, ma la dimostrazione che non vi sia contraddizione
tra i due, in quanto riferibili a due diversi spazi epistemologici.
37 I contenuti scientifici del manuale di Tolomei ed alcune sue proposte di discussione
dei sistemi della modernità saranno accolte dai successivi professori, ma il rapporto tra
fisica e metafisica, così come si era prospettato nella Philosophia, quale rapporto
concettualmente decisivo, non ebbe una ricezione sufficientemente documentabile, a
prescindere, tuttavia, dall’Introductio di Gori.
38 Le lezioni di Ignazio Guarini51, ad esempio, che si pongono quale primo documento
completo analizzabile, in base allo spoglio effettuato, attestante lo statuto
dell’insegnamento al Collegio romano nei primi anni del Settecento, recepiscono solo
alcune delle innovazioni, sia dal punto di vista contenutistico, sia metodologico,
apportate da Tolomei. La differenza tra il modo di condurre la discussione
relativamente ai sistemi filosofici non considerati ortodossi tra Tolomei e Guarini è
riscontrabile, in primo luogo, nell’ampio spazio attribuito da Guarini alla filosofia
cartesiana, dunque nelle numerose obiectiones che egli vi apporta, in secondo luogo in
una minore sistematicità dell’esposizione.
39 Il sistema cartesiano, in effetti, è considerato da Guarini emblematico della
modernità, in contrasto con i pilastri teologici dell’ortodossia cattolica, ed è ascritto tra i
sistemi ‘atomistici’, non riscontrando la notevole differenza tra il corpuscolarismo
cartesiano e l’atomismo gassendiano. La gran mole di obiectiones mosse al sistema è
attribuibile ad un certo irrigidirsi dell’Istituzione nei confronti di una troppo libera
speculazione: le lezioni di Guarini, infatti, sono immediatamente successive al decreto
proibitivo del cartesianesimo e del malebranchismo emanato nel 170652.
40 Le ampie dissertazioni che il professore dedica al commento della filosofia cartesiana,
testimoniano una puntuale conoscenza delle opere di Descartes, dai Principia (primo
scritto che egli commenta) a Le monde, dalle Meteore alla Diottrica, diffusamente
esposta nella II parte del manoscritto, relativa alla fisica particolare.Le obiezioni mosse
al filosofo di La Flèche sono numerose ed il sistema è impugnato sin dai suoi basilari
fondamenti. Pur non potendo supporre una certa adesione da parte del professore
gesuita alle diverse idee della filosofia cartesiana, in base alla diffusa, puntuale
esposizioni delle concezioni cartesiane relative alla realtà naturale, si può affermare che
dalla sua cattedra annuale di filosofia naturale, Guarini abbia esposto agli alunni del
Collegio il sistema cartesiano, a danno di quello peripatetico che trova un minimo
spazio di discussione in queste lezioni: il nuovo universo dell’estensione e del
movimento è narrato nella sua integralità, ma proposto in forma di
obiectiones.Nell’economia generale del trattato, i concetti di forma sostanziale, di
accidente, di causa finale, i moti naturali e violenti e la concezione finalistica e
antropomorfica della natura, sui quali, tradizionalmente, si strutturavano le lezioni di
filosofia naturale, non danno luogo alle sottili e metafisiche speculazioni, ma sembrano
essere posti in serio dubbio da alcune idee basilari della filosofia moderna, della quale
egli considera emblematica quella cartesiana, pur in una dichiarata adesione alle tesi
ortodosse.
41 L’ “intento polemico”, sulla base dei documenti consultati e soprattutto dei testi di
Tolomei, Guarini e Gori, andrebbe interpretato come un doppio atteggiamento, una
polemica dissimulata e ‘strategica’, adottata in aula ai fini di poter insegnare, discutere
e ampiamente trattare una filosofia che era stata bandita definitivamente dalla Chiesa,
dunque dall’Ordine attraverso varie direttive ufficiali53.
42 L’impostazione e la strutturazione della physica di Tolomei sono pienamente
assimilate da Giulio Gori, pur in una rielaborazione originale di alcuni aspetti del
pensiero di Tolomei e pur in una ripartizione delle argomentazioni all’intero di ogni
quaestio che prescinde dalla Philosophia, nell’esposizione di nuove problematiche ed in
un più ampio spazio attribuito alla discussione di autori e di testi, in alcuni casi,
fortemente eterodossi: la Philosophia mentis et sensuum e l’Introductio, tuttavia, non
presentano problemi di filosofa naturale che non siano discussi in una prospettiva
sperimentale54.
43 In Gori il ricorso all’esperimento rappresenta il punto focale di quella filosofia da egli
definita: “da cucina e da botteghe” e “atta a far cuochi, speziali, e medici, e non teologi”,
agli antipodi della metafisica in quanto si pone quale spiegazione della mera realtà
empirica e dello svolgersi dei fenomeni naturali; questa filosofia basata sulla
sperimentazione è da Gori opposta alla ‘sottigliezza’ propria della scolastica ed è
ritenuta l’unica proponibile nelle aule dei collegi.
44 La sperimentazione si pone quale didattica ‘ostensiva’ che sovverte il verbalismo
scolastico. Essa, infatti, si costituisce in opposizione alla spiegazione dei fenomeni
naturali mediante i procedimenti sillogistici e si pone quale alternativa ad una
spiegazione magica ed occultistica, sorretta da un’interpretazione antropomorfica della
natura dei fenomeni. All’esperimento è spesso affidato un ruolo cruciale: nell’ambito
della suddivisione attuata, ad esempio, da G. B. Tolomei tra le idee filosofiche fondate
metaphysice e l’indagine delle cause dell’accadere sensibile, l’esperimento raggiunge lo
statuto di “risposta fattuale.
45 L’esperimento nella sua utilizzazione didattica – contrariamente a quanto affermato
da alcuni storici55 - non si presenta dunque quale dato ‘neutro’, non implicante alcuna
conseguenza dal punto di vista teorico, o quale fenomeno avulso da un programma
epistemologico specifico e univoco ma, a partire dall’interrogazione programmata della
natura, si ricavano dei dati che mettono in discussione la spiegazione causale ‘per
essentiam’ e qualitativa, tradizionalmente attribuita ai fenomeni che si propongono.
46 Tolomei e Gori, ad esempio, nello sforzo di mostrare la compatibilità, basata
sull’autonomia reciproca, del campo della ragione e di quello dell’esperienza56, erano
dunque propensi a privilegiare una concezione sperimentalistica, utilitaristica e
metafisicamente neutrale della nuova scienza; tuttavia, contrariamente a quanto
suggeriscono diversi studi relativi allo sperimentalismo della cultura scientifica
gesuitica a partire dai primi anni del Seicento57, negli scritti di Gori e Tolomei, il ricorso
all’esperimento va, invece, considerato all’interno del “connubio”, di matrice baconiana,
tra “la facoltà sperimentale e la facoltà razionale”58 e nell’ambito di quella ‘cultura
dell’esperimento’ inteso quale “metodo sistematico per generare conoscenza naturale”,
in cui “le pratiche sperimentali furono istituzionalizzate” e i dati di fatto “assunti tra i
fondamenti di ciò che poteva considerarsi come conoscenza scientifica in senso
proprio”59.
Un esempio di problematica teologica
che invalida alcune idee basilari della
scolastica: il sistema atomistico di
Maignan, il dogma della
transustanziazione e la presentazione
che Gori fa della 'Philosophia sacra'
nelle sue lezioni al Collegio romano
47 La storia della diffusione delle dottrine atomistiche, se in un primo momento
risultava inserita in un ambito filologico, letterario e morale60, in seguito venne
interpretata quale alternativa di pensiero utilizzata per la critica dell’aristotelismo e
come modello, sia letterario sia filosofico, che faceva da supporto alle nuove teorie sui
sistemi del mondo in contrasto con il geocentrismo. L’idea dell’infinità dei mondi, della
fluidità dei cieli, del movimento, della costituzione della materia e la critica alla dottrina
dei ‘luoghi naturali’ o a quella dei ‘quattro elementi’ della filosofia della natura del XVII e
XVIII secolo hanno spesso trovato nell’atomismo antico un punto di riferimento
fondamentale e le stesse critiche rivolte al sistema (il caso di Descartes è
emblematico61) fanno supporre la fecondità di alcune concezioni, conducendo ad
un’interpretazione generale della dottrina che, per sfuggire a tesi spesso troppo
limitative, preferisce supporre l’esistenza e diffusione di una filosofia non sistematica e
monolitica, ma di una ‘molteplicità’ di atomismi62. Seguendo questa prospettiva,
l’adattamento della dottrina ai dogmi cristiani avrebbe consentito la sua diffusione, sia
pur ostacolata e ‘clandestina’ o, secondo le nostre tesi ‘dissimulata’, per quanto riguarda
il Collegio romano, anche in ambienti perfettamente ortodossi che, a causa di diverse
motivazioni legate a dogmi teologici incompatibili con una concezione atomistica della
materia, l’avevano ufficialmente bandita. I rapporti della Compagnia di Gesù con
l’atomismo, infatti, secondo Romano Gatto63, furono caratterizzati dalla totale
avversione dei gesuiti alla dottrina.
48 La presentazione del sistema atomistico nel manoscritto di Gori64 è emblematica
della strategia di dissimulazione adottata per proporre in aula quelle tematiche in
contrasto con l’ortodossia ideologica imposta dall’Ordine. Il contenuto della Quaestio
sull’atomismo è suddivisibile in tre parti. Nella prima, l’autore si sofferma sul sistema
dell’atomismo antico secondo un excursus storico delle varie dottrine. La seconda parte
ha un carattere ‘ostensivo’ e l’esposizione è fondata su esperimenti, che confermano la
concezione atomistica della materia. Nell’ultima parte Gori presenta e sviluppa
ampiamente le obiezioni teologiche opposte al sistema, riconducibili alle tre tematiche
del problema dell’anima dell’uomo e del rapporto tra grazia e libero arbitrio e a quello
dell’eucaristia: i tre dogmi, infatti, risultano conciliabili solo con una mera concezione
ilemorfica della materia, costituita da una forma sostanziale cui si aggiungono, non
costituzionalmente, gli accidenti, quindi affatto opposti alla dottrina atomistica.
49 Le obiezioni rivolte all’atomismo, tuttavia, contrariamente a quanto avveniva per le
argomentazioni tendenti a scardinare l’eliocentrismo nel manoscritto di Gori, non
potevano fondarsi sulle Sacre Scritture: negli scritti di numerosi autori, infatti, l’origine
della dottrina era fatta risalire ai profeti dell’Antico Testamento, come Gori stesso
suggerisce nella premessa di carattere storico posta, appunto, al fine di introdurre le
recenti teorie atomistiche di Gassendi, di Maignan e di Saguens e le conseguenti
problematiche che ne scaturivano, seguendo e citando testi di autori quali Daniel
Sennert65. Nel Tractatus de consensu et dissensu Galenicorum cum Chymicis (1619) e
nelle Hypomnematum Physicorum (1639) Sennert presentava un excursus storico delle
dottrine atomistiche e faceva risalire questa filosofia ad un certo fenicio di nome
Mochus il cui nome fu identificato in Moschus, quindi nello stesso Mosé, da Johannes
Arcerius Theodoretus, filologo e traduttore della Vita di Pitagora di Giamblico
(1598)66, contrariamente a quanto si asseriva negli scritti di John Selden che, nel De
Iure naturali et Gentium (Strasburgo, 1665) attestava che Mochus e Moschus erano,
invece, due personaggi distinti: il primo, uno storico mentre il secondo, uno dei primi
assertori dell’atomismo in fisica67. La tesi che affermava che Mosé era il primo
sostenitore dell’atomismo era seguita, tra gli altri, sia da Comenio che, come è
documentato da Jean-Robert Armogathe68, nella Physica ad lumen divinum
reformatae Synopsis (pubblicata a Leipzig, nel 1633 e tradotta in inglese nel 1651)
sosteneva che Mosé, segretario di Dio, all’inizio della creazione aveva posto un caos
incomposto di atomi e, per avvalorare la teoria atomistica, apportava una serie di passi
scritturali a sostegno della teoria69; sia da Conrad Aslach (1554-1624) nella Physica et
ethica mosaica ut antiquissima, ita vere Christiana (1613) che, tra le altre cose,
costituiva una delle fonti dello stesso Comenio; sia da Theophile Gale, che dal 1669 al
1677 pubblicò a Oxford, in 4 volumi, The Court of the Gentiles, dove si afferma che
Mosé costituiva la principale fonte cui si rifacevano gli assertori delle teorie
atomistiche.
50 Gori non assume un atteggiamento di “neutralità metafisica” ma, dimostrando una
certa propensione all’approfondimento teorico dei principi primi che sorreggevano una
nuova concezione quantitativa del corpo naturale, alla luce delle più recenti teorie,
affronta anche le problematiche meno ortodosse che scaturivano da quest’ultime, in un
atteggiamento di dissimulazione che, se da un lato ostenta un rifiuto pubblico,
presentando – talvolta in maniera ironica – le obiezioni ricorrenti e comuni a diversi
autori, rivolte contro il sistema atomistico; dall’altro si addentra in una spiegazione
talmente particolareggiata degli scritti di autori condannati dalla Chiesa – Saguens, ad
esempio e il maestro Maignan – da far presupporre il privilegio della dottrina
eterodossa piuttosto che di quella aristotelica.
51 Le motivazioni del rifiuto del sistema atomistico sono di natura prettamente
teologica e, rilevante a tale proposito è che, nonostante ciò, Gori non si sottrae ad una
presentazione delle stesse e non propone in aula il sistema in una forma che si potrebbe
definire ‘controversistica’, ma affronta anche problematiche quali quella della
transustanziazione.
52 La concezione ilemorfica aristotelico-tomistica che considera il corpo naturale quale
composto di materia e forma, di sostanza e accidenti costituiva la base dottrinale della
spiegazione tomistico-ortodossa, dunque tridentina, del dogma della
transustanziazione. Il dogma, sancito dal Concilio Lateranense nel 1215, stabilisce che
nel pane e nel vino consacrati i fenomeni sensibili (colore, odore e sapore) rimangono
identici, mentre le sostanze del pane e del vino subiscono un cambiamento radicale.
L’autorità della Chiesa è intervenuta diverse volte condannando ogni singola tesi che
non avesse presupposto la spiegazione ortodossa dell’eucaristia, quindi affermando,
nella XIII sessione del Concilio di Trento, l’idea tomistica della transustanziazione. La
concezione cartesiana e quella atomistica della materia, opposte all’ilemorfismo,
avevano teoricamente delegittimato le idee di origine aristotelico-scolastica della
“forma sostanziale” e dell’ “accidente reale”. Il concetto di corpo naturale costituito da
una materia prima cui è impressa la “forma sostanziale” ed al quale aderiscono, non
costituzionalmente, gli accidenti è affatto incompatibile con quello del corpo naturale
costituito da atomi o da corpuscoli, dai quali derivano le “qualità primarie” e
“secondarie”, e con quello della sostanza quale pura estensione. Queste due concezioni
vennero a scontrarsi proprio con il dogma della transustanziazione, basilare per la fede
cattolica in quanto “conséquence nécessaire de la foi en la présence réelle”70.
53 Il problema è da Gori discusso in base agli scritti di Maignan e Saguens soprattutto -
oltre che quelli di Wycliffe, di J. Hus e di altri – e scandagliato nelle svariate
implicazioni, più o meno importanti, quindi analizzato sulla base delle difficoltà
implicazioni, più o meno importanti, quindi analizzato sulla base delle difficoltà
conseguenti dalla negazione dell’esistenza degli accidenti reali.
54 L’esposizione delle dottrine atomistiche nel manoscritto di Gori è emblematica del
modo di proporre, da parte di Gori, le tesi dei ‘Recentiores’, dell’avvalersi del ricorso a
esempi tratti dalla realtà quotidiana, anche in questa parte teorica relativa alle
concezioni generali della filosofia atomistica, quindi del trascendere gli schemi del
discorso sillogistico: l’apparato formale disputatorio, infatti, è evidente solo dalla
suddivisione esteriore in quaestiones, articula e numeri.
55 Il problema del rifiuto dell’idea degli accidenti reali da parte degli atomisti e della
teorizzazione di dottrine non ortodosse concernenti il dogma dell’eucaristia è esposto in
riferimento alle tesi di J. Wycliffe, espresse nel trattato De Eucharistia del 1379, dove
l’autore critica duramente la dottrina di S. Tommaso relativa all’assenza “di sostanza
della quantità del vino e del pane” consacrati affermando che gli scritti di Tommaso
sono stati falsificati71; alle tesi di E. Maignan, diffusamente trattate da Gori e, in alcuni
casi anche parafrasate, sulla base della vasta opera (4 volumi in folio) dell’atomista
dell’Ordine dei Minimi72 nella quale lo scienziato-teologo si oppone all’opinione
tomistica, nonché alla tesi cartesiana relativa all’eucaristia (di cui considera soltanto la
risposta alle IV Obiezioni di Arnauld), adottando quale principale argomentazione il
problema (risalente a Duns Scoto) della corruzione e della generazione di nuove
sostanze dall’ostia. Gori tratta ampiamente anche della difesa delle innovazioni
apportate dal teologo da parte di uno dei suoi più fedeli seguaci, Joannes Saguens73.
56 Gori interpreta nel seguente modo la dottrina di Maignan relativa alla
transustanziazione: le specie del pane e del vino sono azioni, che agiscono sui nostri
sensi e sono prodotte da Dio al fine di occultare il mistero dell’eucaristia. La spiegazione
atomistica del sacramento eucaristico, tuttavia, non è unitaria e si possono riscontrare
differenze, anche sostanziali, tra i principali assertori della teoria corpuscolare quali
Gassendi, Cartesio, Maignan e Saguens, suo discepolo. La spiegazione dei cosiddetti
‘magnanisti’ è incentrata sulla differenza tra la specie ‘qua’ e la specie ‘quae’: la prima è
quella che provoca sensazioni ed è presente negli organi di senso; la seconda inerisce
soltanto ‘a parte obiecti’ e si identifica in un’azione dell’oggetto sui nostri organi di
senso. I seguaci di Maignan, infatti, affermano che le specie del vero pane e del vino che
rimangono dopo la consacrazione sono semplicemente ‘azioni’ che intervengono sui
nostri organi di senso: le specie eucaristiche non sono altro che azioni di Dio finalizzate
‘ad misterium occultationis’74. La dottrina tomistica, al contrario, obietta Gori, insegna
che Dio potrebbe certamente compiere tali azioni sugli organi di senso, tranne che nel
caso dell’eucaristia e Maignan, affermando che le specie del pane e del vino eucaristici
sono mere apparenze, dimostra il suo rifiuto della dottrina tradizionale75.
57 L’esposizione di Gori, tuttavia, sembre essere una ‘dissimulata’ difesa del teologo
dell’Ordine dei Minimi sia perché le obiezioni, pur rigorose, che egli rivolge a Maignan
si avvalgono di argomentazioni tradizionali – contrariamente alla maniera, propria di
Gori, di sviluppare il discorso filosofico contrastando alcune dottrine con
argomentazioni originali, senza avvalersi del ricorso ad alcuna ‘auctoritas’ –, sia per
l’ampiezza dell’esposizione, quindi per il largo spazio che egli concede non solo alla
dottrina di Maignan, ma anche agli opuscoli censurati che Saguens redasse in difesa del
maestro. La dottrina degli accidenti eucaristici, secondo Gori, è un’opinione che i
Teologi, a seconda della scuola filosofica da cui provengono, hanno interpretato in
diverse maniere, ma che è impossibile ammettere quale conclusione stabile e
indiscutibile76. La dottrina eucaristica di Maignan, tuttavia, come era stato riscontrato
da diversi teologi quali il gesuita Théophile Raynaud o il domenicano Nicolaus
Gennarus Maria77, risulta contraria alle diverse proposizioni del Concilio di Costanza
relative alla permanenza degli accidenti nel pane e nel vino e riguardanti la condanna di
Wycliffe, avvenuta nella Sessione VIII (4 maggio 1415) del Concilio che nelle prime due
proposizioni tratta della dottrina degli accidenti sensibili78. La condanna di queste
asserzioni eretiche contro gli accidenti fu ribadita da Martino V che approvò i decreti
del Concilio di Costanza, nella Bolla Inter Cunctas del 20 febbraio 1418. La bolla
del Concilio di Costanza, nella Bolla Inter Cunctas del 20 febbraio 1418. La bolla
contiene l’interrogatorio di Wycliffe e di Jan Hus ed espone 45 articoli del primo, 30
dell’altro. Tali decreti, ai quali si aggiunse il titolo di De Comunione sub unica specie,
furono poi ancora riconfermati da Martino V nella bolla In Eminenti apostolicae, del 1
settembre 142579.
58 Gori espone la difesa di Maignan80, contro le accuse che gli erano state rivolte, di
mancata attinenza ai decreti dei concili, oltre che tridentino, di quello di Costanza e
fiorentino81, sottolineando nuovamente la contraddittorietà delle argomentazioni di
accusa rivolte a Maignan e assumendo, quindi, una dissimulata difesa di quella dottrina
eucaristica, fortemente eterodossa, che egli espone con grande dovizia di particolari.
59 Secondo Gori, infatti, il principale capo d’accusa della condanna delle idee di
Wycliffe, non è rivolto alla sua dottrina degli accidenti, ma alla tesi secondo la quale
questi sono inseparabili dalla sostanza e, di conseguenza, tutti coloro che accusano
Maignan di seguire la dottrina degli accidenti di Wycliffe cadono in un grave errore82:
avvalendosi del procedimento sillogistico, il gesuita espone la contradditorietà di queste
asserzioni affermando la poca pregnanza di tali argomentazioni ai fini di rigettare
l’eretica, ma erroneamente supposta, concezione degli accidenti, prima di Wycliffe,
dunque di Maignan83.
60 Il seguito della trattazione verte sulla dottrina degli accidenti di Wycliffe e sulle
motivazioni per le quali Maignan è contrario alla dottrina tradizionale84, sulla base
dell’interpretazione di testi canonici, quali, ad esempio, quelli riportati dal breviario
romano; Gori analizza, inoltre, le varie soluzioni che i filosofi citati precedentemente
avevano dato al problema della divisione del corpo di Cristo (art. XII De fraxione, et
sacramento in Pixide clauso), nel momento in cui il sacerdote divide l’ostia. Secondo la
trattatistica eucaristica ortodossa, l’integrità del corpo di Cristo in tutte le parti
dell’ostia divisa, infatti, può essere spiegata solo attraverso la dottrina degli accidenti
separabili dalla sostanza in quanto solo questi ultimi subirebbero una frantumazione85.
61 La dottrina degli accidenti proposta da Wycliffe, secondo Gori non è né atomistica né
peripatetica, ma ‘aristotelica’ e di conseguenza costituisce un falso problema poiché la
controversia intorno alla posizione di Wycliffe dovrebbe avere quale principale
argomentazione l’asserzione relativa alla permanenza della sostanza del pane
nell’eucaristia non quella della inseparabilità degli accidenti dalla sostanza86, che, pur
trattandosi di sentenza eretica, non è presente quale proposizione di Wycliffe
condannata dal Concilio di Costanza87.
62 Le altre argomentazioni usate contro Maignan sono tratte dal Concilio tridentino e le
obiezioni di Gori al sistema ribadiscono, come è ovvio supporre a causa dell’uso
pubblico cui il manoscritto è destinato, la spiegazione tridentina della dottrina degli
accidenti eucaristici, pur avendo precedentemente mostrato tutto il suo consenso ad
un’argomentazione di difesa, tratta da Saguens, nei confronti dell’accusa mossa a
Maignan asserente la contrarietà di questa dottrina rispetto ai canoni del concilio di
Costanza, dunque quella di cadere negli stessi errori di Wycliffe, oltre che di altre
risposte alle diverse obiezioni contro Maignan che, avvalendosi dell’autorità del
Breviario Romano, sono usate da Saguens per il medesimo fine e incentrate sull’idea
che afferma che dal breviario non sono desumibili indicazioni in merito alle opinioni
filosofiche da sostenere. Come si evince da più luoghi, le diverse autorità patristiche
apportate dal testo canonico (Agostino, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Crisostomo, Cirillo,
Tommaso ecc). possono essere, oltre che non uniformi tra di loro, anche contrarie l’una
all’altra e di conseguenza:

Omnes autem isti sancti non sequebantur eamdem philosophiam unde non
omnium idem erat sensus philosophicus de speciebus. Non potest ergo Ecclesia
super eadem re habere plures sensus, eosque contrarios; sed Ecclesia et
Breviarium nullum ex his facit suum; sed ab huius modi explicationibus
omnino praescindit88.

63 L’esposizione della dottrina di Maignan si chiude con il riferimento ad uno dei luoghi
maggiormente dissacratori dell’opera del teologo, nel quale si tratta dei diversi effetti,
di natura fisica89, che intervengono nell’ostia90 e nel vino consacrati91 qualora siano
soggetti l’uno a putrefazione, l’altro ad ebollizione: fenomeni che, secondo Maignan,
sono inspiegabili con il ricorso alla dottrina degli accidenti separabili dalla sostanza92.
La stessa dottrina, infatti, non può rendere conto della corruzione del pane consacrato,
della combustione dello stesso che risponde alle leggi fisiche di ogni altro corpo
naturale esposto al fuoco e, soprattutto, non può spiegare né i vapori che conseguono
all’ebollizione del vino consacrato né la generazione dei vermi che interviene nell’ostia
consacrata qualora questa si deteriori, con tutti gli effetti che tale putrefazione
comporta. Il pane ed il vino, pur avendo subito un radicale cambiamento di sostanza, in
queste circostanze assumono le medesime modificazioni di natura fisica cui è
sottoposto ogni altro corpo: essi conservano, infatti, sia la proprietà nutrizionale, sia la
facoltà di generare un’altra sostanza – è il caso della produzione dei vermi dal pane
consacrato putrefatto – che, secondo le leggi della fisica – anche peripatetica – non può
essere prodotta dagli accidenti, ma, necessariamente, da una sostanza diversa da essa.
Tale argomentazione riportata da Gori, costituisce una delle principali tesi adottate da
Maignan sia a sostengo della propria dottrina eucaristica sia quale confutazione della
dottrina tomistico tridentina degli accidenti. Gori, infatti, emblematicamente e per
concludere l’esposizione del sistema di Maignan suggerisce ai suoi allievi laici e gesuiti
di non accontentarsi dell’esposizione da egli compiuta poc’anzi di queste dottrine, ma di
consultare la fonte originaria – la Sacra Philosophia, un testo affatto eterodosso, ma
mai censurato – soprattutto per quanto riguarda il problema della corruzione dell’ostia
e della generazione dei vermi, proponendo loro la lettura di una delle argomentazioni
più persuasive atta a contrastare la spiegazione eucaristica tradizionale.

Le principali fonti di Gori sul problema


dell’eucaristia
64 Il problema della spiegazione eucaristica basato sul modello corpuscolare della
costituzione della materia, è da Gori affrontato anche in riferimento a Pierre Gassendi,
accomunato, per alcune tesi, a Maignan.
65 Gassendi93, tuttavia, dedica poco spazio alla trattazione specifica del problema
eucaristico, avendo premesso la sua volontà di attinenza ai decreti conciliari: l’autore
del Syntagma, infatti, non elabora una spiegazione personale del mistero dell’eucaristia
ma, tenendo distinto l’ambito puramente fisico e sperimentale della speculazione
filosofica da quello teologico e soprannaturale, che considera inaccessibile alla
penetrazione della ragione umana, afferma che la transustanziazione è un mistero
affatto avulso dalle leggi di spiegazione fisica del comportamento della materia.
66 Il passo del VI libro del Sintagma, tratto dal capitolo 3, intitolato De Magnitudine,
Figura, Subtilitate, Hebetudine, Laevore, et Asperitate, tuttavia, può essere
considerato emblematico della posizione di Gassendi circa la transustanziazione in
quanto egli, oltre a non nominare mai esplicitamente il termine ‘eucaristia’, parlando di
uno dei Mysteria divini non sottoposti alle leggi della filosofia naturale, lo colloca
immediatamente dopo l’affermazione dell’identificazione tra quantità ed estensione del
corpo, dottrina affatto contraria all’idea basilare supportante il mistero eucaristico della
quantità quale accidente separabile dalla sostanza:

Notum est autem Quantitatem, seu magnitudinem corporis nihil esse aliud,
quam huiusmodi Extensionem; et compositam quidem ex singularis
extensionibus partium, quarum si aliquae detractae, additaeve intelligantur,
tandumdem intelligatur detractum, additumve totius corporis extensionis, [...].
Ex lege autem naturae dico, quia si divina virtus spectetur, alio modo
sententium est. Quippe Deus Naturae autor eam talem constituit, qualem esse
sententium est. Quippe Deus Naturae autor eam talem constituit, qualem esse

voluit; neque quam legem naturae dixit, eandem praescripsit suae potentiae.
Hoc vero insinuo ob sacra Mysteria, in quibus docemur, atque profitemur esse
et corpus sine extensione, et extensionem corporis sine corpore ipso
consistentem. Nempe demonstrat illeic Deus solutum se esse legibus naturae,
utpote quasi ipse pro arbitrio suo constituerit; neque ademisse se sibi
facultatem id peragendi, quoties lubet, quod repugnare ipsis videatur. Neque
obiiciant fugere captum, atque idcirco absurdum esse, fierique omnino non
posse, ut aut corpus remaneat extensione privatum, aut extensio privata
corpore [...]. Quod dico heic porro occasione extensionis sine corpore, aut
corporis sine extensione; id intelligi dictum debet de corpore cum extensione;
quod cum non possit vi naturae esse simul in eodem spatio, in quo corpus aliud
cum sua extensione similiter sit; inficiandum tamen non est, quin possit virtute
divina94.

67 In riferimento a tale spiegazione Gori cita quale fonte il noto Abregé de la


Philosophie de Gassendi di François Bernier95 che, contrariamente a quanto egli
suggerisce, non commenta in alcun modo il passo di Gassendi in cui si accenna al
mistero della transustanziazione, traducendo e sintetizzando il luogo del Syntagma
relativo alla grandezza e estensione dei corpi96. Il problema dell’eucaristia in Gassendi,
infatti, è risultato essere poco o affatto trattato sia da parte della recente letteratura
critica sull’atomismo, sia dalle fonti coeve. L’unico testo che abbiamo riscontrato
affrontare la tematica e che potrebbe, dunque, essere indicato quale fonte indiretta
della quaestio sull’atomismo, è quello di Jean Baptiste La Grange97, in quanto, oltre a
riferirsi esplicitamente al problema della quantità dell’ostia consacrata, cita la presunta
spiegazione di Gassendi accanto a quella di Maignan e a quella cartesiana. Lo stesso
procedimento è, infatti, riscontrabile in Gori; probabilmente è dallo scritto di La
Grange che deriva l’assimilazione della teoria eucaristica di Maignan a quella di
Descartes, indipendentemente dalle obiezioni che Maignan ha rivolto al filosofo di La
Flèche.
68 Tale assimilazione sarà mantenuta, oltre che nei testi di trattatistica eucaristica
ortodossi che si scagliavano contro il teologo dell’Ordine dei Minimi, anche dalla, sia
pur scarsa, storiografia su Maignan.
69 L’opera di La Grange, un vero e proprio manuale di fisica in forma controversistica,
muovendo dalla costatazione delle implicazioni teologiche delle dottrine dei novatores
che conseguono dalla negazione del concetto di forma sostanziale e di accidente
spirituale, si addentra in un discorso propriamente filosofico-naturale per rigettare la
nuova filosofia, proponendo argomentazioni quali quella del movimento98, della
pesanteza dei corpi99, della leggerezza100, della spiegazione della forza attrattiva dell’
‘Aiman’101, di alcuni minerali, dell’antipatia e simpatia di vegetali e animali102, del
Resort (elasticità o elaterio dei corpi)103, dello spazio e del vuoto104, della durezza dei
corpi, della secchezza, delle qualità sensibili, del suono e della luce105, quindi riserva gli
ultimi capitoli a contrastare l’opinione di Gassendi circa la natura della luce, dei colori e
la teoria della visione dei ‘cartisti’, – i corpuscolaristi- che comprendono, oltre che
Gassendi e Maignan, anche i discepoli di Descartes106.
70 Il problema degli accidenti eucaristici e delle opinioni dei “Cartisti” circa la
transustanziazione occupano due ampi capitoli dello scritto107. Nella prefazione108,
infatti, l’autore si scaglia contro le opinioni teologiche di Descartes e di Gassendi109 che
ritiene, tuttavia, meno pericolose rispetto a quelle di Maignan110, nonché contro le
concezioni proprie del meccanicismo cartesiano, quali quella dell’anima degli animali e
del corpo-macchina, dell’identificazione tra quantità ed estensione111, e infine anche
contro la dottrina morale cartesiana112. L’attacco non risparmia Rouhault113, Regius 114,
Gassendi115 e Maignan116.
71 Il problema dell’eucaristia in Gassendi è affrontato dopo aver rifiutato le tesi dei
“cartisti”, sullo sfondo di una conoscenza minuziosa dell’opera di Maignan, non solo per
quanto riguarda la parte teologica, ma anche quella relativa alla filosofia naturale. Il
denominatore comune tra i tre filosofi, consiste nell’aver sostenuto la medesima idea
circa l’identificazione tra quantità ed estensione. Tale idea, duramente criticata in
Maignan117, oltre a costituire il punto focale della spiegazione del mistero eucaristico in
Gassendi, che egli interpreta, in senso occasionalistico, quale ricorso continuo
all’intervento miracoloso di Dio che determina il radicale cambiamento della sostanza
del pane ogni qual volta il sacerdote pronunci le parole della consacrazione, non avendo
presente, o volutamente omettendo la premessa che Gassendi compie alla sintetica
esposizione della sua idea al riguardo che, più che soffermarsi sul continuo intervento
di Dio nella transustanziazione, si basa sulla ‘Toute-puissance’ divina in virtù della
quale un corpo può sfuggire alle comuni leggi della fisica:

Gassendi avouë dans la Page 305 de l’Impression de Lyon, que le Mystere de


l’Eucharistie nous persuade que la matiere peut estre par la toute-puissance de
Dieu sans quantité et sans étenduë, et que la quantité peut aussi exister sans la
matiere [...].
Mais si Gassendi est meilleur Theologien que les Cartistes sur ce point de
doctrine, il fait paroistre dans la Page precedente qu’il n’est pas grand
Philosophe, en disant que la Quantité est un Mode de la Matiere, ou bien la
Matiere mesme, en tant qu’elle ne se trouve pas dans un point [...].
Gassendi ne peut pas encore s’excuser de ne pas reconnoistre que la Quantité
soit une Forme Accidentelle118.

72 Il principale obiettivo dello scritto controversistico, tuttavia, sembra essere non tanto
la dottrina cartesiana e quella gassendista, quanto quella di Maignan, a causa, forse, di
alcune delle principali argomentazioni, strettamente teologiche, contenute negli scritti
del filosofo e a causa del suo intento precipuo di voler elaborare nuovi dogmi teologici,
che sovvertivano affatto quelli ortodossi, in base alla sua dottrina fisica e atomistica del
corpo naturale. Maignan, infatti, è considerato il principale avversario della filosofia
delle scuole in quanto, beffardamente, si prende gioco dell’aristotelismo. L’intento
precipuo di La Grange, dunque, può essere raggiunto combattendo quello che egli
considera uno dei novatores più pericolosi e le sue requisitorie contro lo scienziato,
filosofo e teologo, mostrano una puntuale conoscenza dei suoi scritti, dei quali La
Grange, intenzionalmente e strategicamente, mette in evidenza soltanto alcuni aspetti
selezionati e adattati all’intento polemico, tralasciando il contesto in cui sono inseriti:
ad esempio, riferendo l’opinione eucaristica di Maignan, affronta principalmente
l’argomentazione relativa alla ‘quantità’ del corpo di Cristo nell’eucaristia119, non
inserendola nell’ambito del rifiuto, da Maignan più volte ribadito, della dottrina degli
accidenti peripatetici, ma trattando di una presunta confusione in cui il teologo sarebbe
incappato, tra la ‘quantità locale’ e ‘interna’ dell’eucaristia e quella reale del corpo di
Cristo120. Il problema degli accidenti eucaristici, tuttavia, è direttamente affrontato
nello scritto e supportato da alcune delle argomentazioni comuni sia alla trattattistica
teologica ortodossa aristotelico-tomistica, quindi alla quaestio di Gori: La Grange,
infatti, ricorre alla tematica controversistica che accomunava le tesi eretiche di Jan Hus
e di Wycliffe121, alle opinioni dei “Cartisti”, non riscontrando, nuovamente, la notevole
differenza tra la dottrina di Maignan delle “specie eucaristiche quali mere apparenze” o
delle “specie intenzionali” e quella cartesiana122. Le due diverse spiegazioni cartesiane
dell’eucaristia e quella di Maignan, sono accomunate anche sulla base di una diffusa
argomentazione polemica affermante che sia Descartes sia Maignan asseriscono
opinioni contrarie al concilio di Costanza. La dottrina di Maignan, secondo La Grange
simile alla prima spiegazione cartesiana dell’eucaristia contenuta nella Risposta alle IV
obiezioni di Arnauld, è, inoltre, ritenuta affine a quella luterana a causa della negazione
degli accidenti sensibili e non per la dottrina della consustanziazione, che,
tradizionalmente, era associata al luteranesimo: il polemista espone minuziosamente le
ragioni della sua obiezione, tratte sia dal Concilio di Costanza, sia dai padri della
Chiesa, sia da argomentazioni di puro ragionamento supportate dall’opinione
tomistico-aristotelica di spiegazione del mistero eucaristico123. I riferimenti pertinenti
all’idea di Maignan circa l’eucaristia si riducono, quindi, a quello relativo alla
all’idea di Maignan circa l’eucaristia si riducono, quindi, a quello relativo alla

spiegazione atomistica delle qualità sensibili, non inerenti al corpo naturale, che,
tuttavia, La Grange riferisce essere proprio anche di Descartes e all’idea di Maignan
relativa al ‘mysterium occultationis’, quindi ad un presunto inganno dei sensi da parte
di Dio che nasconde la vera natura, dunque la ‘sostanza’, del pane e del vino
consacrati124 - idea affatto contraria alle opinioni dei Padri antichi e dei teologi recenti
oltre che al Concilio di Costanza che ha condannato Wycliffe e Hus125- mentre,
nuovamente, non interpreta correttamente i luoghi dell’opera di Maignan nei quali si
asserisce un unico intervento divino (‘actio divina’) finalizzato ad assicurare la presenza
reale del corpo di Cristo nell’ostia consacrata126 affermando che sia la spiegazione di
Maignan, sia quelle dei Novatores richiedono una ingente quantità di miracoli per la
transustanziazione127.
73 Il problema della transustanziazione, infatti, è emblematico del modo di affrontare,
da parte di Maignan, le questioni teologiche in riferimento alle leggi della filosofia
naturale: l’eucaristia è tematica ampiamente trattata nelle due edizioni della
monumentale Sacra Philosophia128.
74 Secondo Maignan, Dio interviene due volte nell’ambito del sacramento eucaristico:
una prima volta per cambiare il pane e il vino in corpo e sangue di Cristo; una seconda
perché, percependo obiettivamente lo stesso pane e lo stesso vino dopo e prima della
consacrazione, i nostri sensi, guidati dalla fede, possano riconoscere che si tratti
veramente del Cristo Uomo e Dio.
75 Le specie eucaristiche, secondo Maignan, non sono altro che pure impressioni
sensoriali prodotte dalla causalità divina sui nostri organi di senso129. Maignan
modifica profondamente la nozione del sacramento che, dopo Agostino, era
considerato, al pari degli altri, quale segno oggettivo e sensibile della grazia divina.
76 Violentemente attaccato e ammalatosi nel 1664, Maignan ripubblicò l’opera nel 1672.
In questa seconda edizione aggiunse, in appendice, cinque risposte indirizzate ai suoi
detrattori: quattro sul problema della cicloide, la quinta scritta in occasione delle
polemiche avute con il teologo Théophile Raynaud130 e con i domenicani Vincent Baron
e Nicolas Arnu, che avevano attaccato la sua opinione circa la transustanziazione131.
77 La tradizionale concezione realistica del sacramento eucaristico, era stata rielaborata
da Descartes, la cui idea circa la transustanziazione potrebbe definirsi quasi
nominalistica poiché il sapore, il colore e l’odore sono considerati quali valori ontologici
trans-soggettivi e, al di fuori del soggetto, le qualità sensibili si risolvono in puri
movimenti meccanici. L’“idealismo eucaristico”, tuttavia, trova in Maignan la sua piena
formulazione: egli, infatti, spoglia di ogni realismo oggettivo le specie eucaristiche,
rigettando perspicacemente le idee cartesiane contenute nella risposta alle IV obiezioni
data da Descartes ad Arnauld132.
78 Contrariamente a quanto affermato da alcuni studiosi133 che accomunano la
spiegazione del mistero eucaristico di Maignan con quella cartesiana, il teologo
dell’Ordine dei Minimi non solo ne prende le distanze, ma la ritiene essere affatto
incoerente sia con i presupposti fondamentali della fisica cartesiana, sia con quelli del
dogma ortodosso della transustanziazione, così come erano stati formulati da Tommaso
e rielaborati nei vari decreti conciliari134.
79 La prima obiezione di Maignan a Descartes, infatti, riguarda quelle “particelle della
superficie media” cartesiana presenti nell’ostia consacrata a contatto con i nostri sensi
che, secondo l’interpretazione di Maignan, devono necessariamente essere mescolate
con quelle del corpo e sangue di Cristo – in questo caso, tuttavia, Descartes cadrebbe
nel grave errore luterano della consustanziazione – o essere identificate negli stessi
accidenti peripatetici: questi ultimi, però, “repugnant rationi naturalis superficiebus et
substantiis tenuibus naturalis ac simul theologica contradicit”135. Le altre obiezioni, di
carattere fisico, che egli muove alla tesi cartesiana, riguardano sia la ‘natura’ intrinseca
delle particelle dell’ostia e del vino consacrati a contatto con il nostro corpo, affatto
diverse da quelle del pane e del vino comuni, sia il peso del pane consacrato che rimane
identico a quello che aveva prima di essere ‘transustanziato’, nonostante l’ulteriore
identico a quello che aveva prima di essere ‘transustanziato’, nonostante l’ulteriore
porzione di materia a contatto con i nostri sensi. Gli spazi vuoti tra le materie
consacrate e le superfici, inoltre, contrastano con l’ipotesi ‘plenistica’ della concezione
cartesiana del corpo naturale: qualora la superficie media cartesiana non sia un’entità
successivamente aggiunta, ma consista in una porzione di sostanza del pane e del vino
precedenti la consacrazione, si incapperebbe in un’ipotesi contraria allo stesso concetto
di ‘transustanziazione’, che implica un cambiamento radicale e totale della materia
sacramentale136. La tesi cartesiana, inoltre, non può fornire un’attendibile e sensata
spiegazione di quello che avviene nel momento in cui il sacerdote spezza in diverse parti
l’ostia consacrata e distribuisce il vino: la “superficie media”, infatti, non è inerente alle
porzioni profonde e interne della materia del corpo a causa, appunto, del suo costituirsi
quale realtà “media” tra l’aria circostante i corpi e le particelle del pane e del vino. La
superficie di cui parla Descartes, dunque, non è continuativa né terminativa e i lati
interni dei frammenti di ostia consacrata, in questa prospettiva, non dovrebbero
contenere nulla al di fuori del corpo di Cristo137.
80 Alle obiezioni di carattere filosofico mosse a Descartes, seguono quelle teologiche,
riconducibili ad un’unica, generale argomentazione: qualora permangano le ‘tenui
sostanze’ di cui parla Descartes, la formula della consacrazione “hoc est corpus meus”
che indica la parte sensibile del sacramento percepita dall’uomo ed implica che le
materie siano transustanziate, dovrebbe essere falsa138.
81 I due principali aspetti del problema della transustanziazione, secondo Maignan,
consistono, da un canto, nella maniera in cui Dio, attraverso una ‘actio’ può fare in
modo che Cristo sia presente in cielo, alla destra del padre e, contemporaneamente, nel
pane e nel vino consacrati; dall’altro nella natura delle specie sensibili (gli accidenti
eucaristici della filosofia peripatetica) sotto cui Dio si presenta al cristiano. Maignan,
infatti, sintetizzando le precedenti spiegazioni del mistero del contenimento del corpo
di Cristo in tutte le sue parti nell’ostia consacrata, rigetta le tradizionali idee di
‘adduzione’ e ‘nuova produzione’. Secondo queste due tesi, la sostanza del pane e del
vino non è annientata, ma convertita in corpo e sangue di Cristo in virtù delle parole
della consacrazione. Il modo in cui Cristo è presente nella materia sacramentale,
tuttavia, non può essere spiegato con il ricorso all’ipotesi dell’azione riproduttiva in
quanto, essendo già in cielo, il corpo e il sangue di Cristo non hanno bisogno di essere
ricreati; ipotesi che, inoltre, implica l’annichilazione del pane e del vino. La teoria
dell’azione adduttiva, considerata da Maignan, fu proposta da Duns Scoto e ripresa da
Bellarmino e da de Lugo: come nell’uomo è presente un’anima spirituale, assieme ad un
forma inferiore, chiamata forma della corporeità139, così il termine formale della
transustanziazione del pane è il corpo di Cristo, composto di materia e forma di
corporeità140. L’anima spirituale è sotto la specie del pane solo per ‘concomitantiam’141,
il sangue, invece, che non è ‘informato’ dall’anima di Cristo, è ‘informato’ da una ‘forma’
che gli è propria142. La presenza di Cristo nel sacramento è una relazione estrinseca che
appartiene alla categoria ‘ubi’: tale relazione implica un cambiamento solo esteriore143
poiché la presenza sacramentale dipende dalla presenza naturale dell’umanità di Cristo
in un dato luogo. Sotto le specie sacramentali il corpo di Cristo possiede una sua
quantità interna, ma non estensione locale144. Questo modo di esistere senza quantità
dimensiva costituisce l’Ubi sacamentale. Un corpo, infatti, secondo Scoto, per virtù
divina può essere in più luoghi145. In Scoto la nozione di ‘Azione’ di Dio è diversa da
quella dell’agire fisico, che comporta un ‘patire’ da parte del corpo sul quale l’azione è
esercitata146, poiché gli agenti creati non hanno azione che su corpi che sono
‘circumspective’ in un luogo, di conseguenza, quando l’ostia consacrata cambia luogo, il
corpo di Cristo la segue, come una realtà ad essa incatenata, anche se indipendente
dalle creature materiali; malgrado ciò, il corpo di Cristo e la sua presenza nel
sacramento è intimamente legata alla presenza degli accidenti eucaristici, per i quali
Scoto segue la dottrina comune della separazione.
82 Secondo Maignan, invece, si tratta di un’ “unicam simplicem actionem”, non avente
carattere continuativo, né frammentario – contro coloro che, come La Grange, ad
carattere continuativo, né frammentario – contro coloro che, come La Grange, ad
esempio, gli obiettavano una posizione di matrice occasionalistica che ricorreva al
continuo intervento divino per render conto della transustanziazione –, ma unitario ed
univoco. L’azione divina, infatti, determina una volta per tutte la presenza del Cristo
alla destra del padre e nelle specie eucaristiche147. L’unicità e l’irripetibilità di questa
azione è paragonata a quella dell’atto di creazione: come attraverso un’unica ‘actio’
creativa Dio dà luogo ad una svariata molteplicità di oggetti, così, nello stesso modo,
tale azione “circumspective et definitive”, in diversi luoghi e tempi, determina il
miracolo della transustanziazione. Il problema della ‘quantità’ del corpo di Cristo
nell’ostia, coerentemente e sistematicamente, è risolto con il ricorso alla tesi dell’azione
divina univoca che, nello stesso momento in cui crea il corpo di Cristo, fa in modo che le
particelle che lo costituiscono siano presenti in ogni singola parte del pane e vino
consacrati148: l’azione divina, infatti, sovrasta le determinazioni categoriali della
sensibilità umana di spazio e tempo da cui prescinde.
83 Nel rifiuto della dottrina degli accidenti eucaristici tomistico-peripatetici, Maignan,
oltre ad avvalersi delle tradizionali argomentazioni dei teologi che, precedentemente, li
avevano rifiutati, - consistenti nell’affermazione dell’adesione all’atomismo da parte di
alcuni Padri della Chiesa; in quella asserente che la dottrina degli accidenti era stata
improntata dai Peripatetici non sui testi di Aristotele, ma sugli interpreti arabi; in
quella che sosteneva che Wycliffe non aveva negato gli accidenti assoluti e, soprattutto,
nell’interpretazione dei decreti del Concilio di Trento, nei quali la parola ‘specie’
avrebbe unicamente designato la sensibilità del pane eucaristico, non l’accidente,
riprendendo la tesi di Honoré Tournely149 secondo la quale solo il corpo e il sangue di
Cristo e le impressioni sensoriali costituiscono i segni sensibili del sacramento -, si basa
sull’osservazione delle proprietà fisiche del pane e del vino che, anche dopo la
consacrazione, conservano le precedenti caratteristiche di corruttibilità e di ‘vis
alimentitia’150. Secondo la dottrina peripatetica, infatti, gli accidenti non dovrebbero
conservare le proprietà delle sostanze cui inerivano prima della consacrazione, ma
soltanto l’apparenza sensibile di quest’ultime: nella realtà, al contrario, accade che il
pane, anche dopo la consacrazione, qualora non sia adeguatamente conservato,
deteriorandosi, può produrre i vermi, così come il vino consacrato, se esposto
lungamente al fuoco, può bollire.
84 Maignan contrasta sia l’opinione tomistica relativa alla corruzione delle ostie151,
basata sulla dottrina degli accidenti e della quantità separata dalla sostanza152, in
quanto essa non può rendere conto della generazione dei vermi e della produzione di
nuova sostanza153 sia quella scotistica che, invece, spiega l’alterazione del pane e del
vino dopo la consacrazione affermando che gli accidenti che permanevano conservano
tutta l’attività reale e intenzionale che era propria ad essi quando inerivano alle
sostanze (del pane e del vino). L’alterazione e corruzione delle specie, secondo Scoto, è
la causa occasionale della non presenza del corpo di Cristo, ma è senza alcun miracolo
che questa avviene: Dio, senza miracolo, ad un certo momento produce, al posto del
corpo di Cristo, una nuova sostanza, che è quella richiesta dagli accidenti risultanti
dall’alterazione154.
85 Le due materie sacramentali, invece, secondo Maignan, conservano non solo le
caratteristiche accidentali, ma le diverse proprietà del pane e vino comuni mostrandosi
al cristiano sia quali accidenti “sensibilia immediate et ut Quo”, sia quali accidenti
“sensibilia mediate et ut Quod”155. La dottrina delle “operationes obiectivae sensibiles
impressae”, cioé quella delle “specie intenzionali”, da egli sistematicamente elaborata
sin dal 1652 nel Cursus Philosophicus tenendo conto delle implilcazioni teologiche e
della portata innovativa156, quindi ripresa nella prima edizione della Sacra Philosophia,
è coerentemente basata sul concetto dell’univocità e dell’irripetibilità dell’ ‘actio divina’.
Si tratta di un miracolo che, secondo questa tesi, produce le ‘operationes obiectivae
sensibiles impressae’ del pane e del vino consacrati sui sensi dell’uomo157, ritenendo che
sia il problema della gravità del pane, sia quello della quantità dell’ostia e della capacità
di contenere il corpo di Cristo, nonostante la differenza delle dimensioni, sia quello
di contenere il corpo di Cristo, nonostante la differenza delle dimensioni, sia quello
della proprietà nutrizionale che il pane conserva anche dopo la transustanziazione e
quello della possibilità che da esso si generino i vermi, possano essere risolti per il
tramite della stessa teoria che rende conto non solo delle proprietà accidentali sensibili
‘ut quo’, ma anche di quelle ‘ut quod’158. Maignan, inoltre, risolve le obiezioni, supposte
o effettivamente mosse alla sua teoria, avvalendosi dapprima dell’idea secondo la quale
la ‘lex divina’ non deve necessariamente seguire le leggi “physicae vulgaris”159, quindi di
quella asserente la ‘circolarità’, il carattere di “ipotesi ad hoc” della dottrina metafisica
degli accidenti peripatetici160. Le risposte alle diverse obiezioni mosse a Maignan da
parte dei teologi più ortodossi che si avvalevano di argomentazioni tratte dai decreti
conciliari lateranensi, fiorentini e tridentini161, oltre che da Tommaso e da altri teologi,
sono, invece, basate sulla costatazione del carattere meramente fisico e filosofico della
dottrina peripatetica degli accidenti162. La dottrina, secondo Maignan, non può
appartenere ai misteri della fede, in quanto quest’ambito speculativo propriamente
fisico è separato da quello teologico163, nonostante la dottrina delle ‘operationes
sensibiles obiectivae’ scaturisca necessariamente dalla diversa spiegazione, rispetto a
quella ammessa nelle scuole, che Maignan fornisce relativamente alla struttura della
materia. Egli conferma la sua idea sull’eucaristia con diversi passi delle Sacre
Scritture164 e la ritiene affatto rispondente “ad modum loquendi ab Ecclesia receptum
de accidentibus in Sacramento Eucharistiae”165.

Le strategie
86 L’adesione di Gori, dichiarata nelle Lettere filosofiche166, altro suo scritto di carattere
privato, ad una filosofia empirica, che bandisce ogni concezione metafisica della realtà,
implica, tuttavia, un’apparente contraddizione di base che, invece, – come Gori
dimostra, attraverso il procedimento da egli seguito al fine di delegittimare il discorso
filosofico astratto e verbalistico, per sostituirlo con quello concreto della “filosofia da
cucina e da botteghe” –, rappresenta la strategia da egli escogitata a tal fine: mentre la
critica cartesiana delegittima, sia formalmente sia contenutisticamente, la “forza
epistemica” dello schema sillogistico e disputatorio del ragionamento, in Gori, ed in
altri autori prima di lui (Tolomei, ad esempio), tale critica è accolta nei suoi contenuti,
non nelle sue modalità. Gori, infatti, seguendo la strada precedentemente indicata da
Tolomei e non riscontrando contraddizione tra la filosofia moderna ed alcune basilari
idee del peripatetismo – relegate ad un ambito di mera speculazione astratta e
metafisica – ripropone, nei suoi manoscritti per le lezioni, le stesse modalità espressive
della filosofia da egli rigettata le quali, se considerate all’interno di questo rifiuto,
assumono la funzione di “nascondere la verità”, di occultare velatamente la mancata
adesione ad un’ortodossia filosofica, dunque teologica, per essere adepti di una filosofia
“atta a far cuochi, speziali, e medici, e non teologi”.
87 Le problematiche cartesiane e atomistiche, proposte nelle aule del Collegio romano
da Gori e dai altri professori, sono raggruppabili in quattro capisaldi del sistema del
filosofo francese: l’incompatibilità della concezione cartesiana dell’estensione, con la
dottrina della transustanziazione che si produce nel sacramento eucaristico; l’ipotesi
dell’infinità dei mondi dunque l’idea dell’indeterminatezza dei confini del mondo; la
teoria dei vortici; il sistema del mondo cartesiano- illustrati, più o meno ampiamente,
nelle lezioni dei professori gesuiti167, ma seguiti da un certo numero di obiectiones,
ascrivibili ad una preoccupazione di conformità ideologica - nel caso di Gori meramente
apparente e contestualizzabile nella sola “sfera pubblica”- nei confronti della filosofia
professata e difesa dai gesuiti, ed un tentativo di “fuga” e “differenziazione” rispetto alla
rigida codificazione dottrinale imposta ai membri dell’Ordine attraverso una rete di
organismi ben strutturata ed articolata.
88 Gli espedienti ai quali Gori, come altri professori gesuiti ricorrevano per proporre in
aula la filosofia cartesiana ed atomistica sono individuabili nelle stesse obiectiones
mosse ai sistemi oltre che nella predilezione per un tipo di didattica basata
sull’esperimento. La struttura dei testi consultati, infatti, se confrontata con i manuali
dei Conimbricenses – dove i problemi filosofici vengono dibattuti nella forma
sistematica della quaestio, e le possibili soluzioni date nel corso dei secoli allo stesso
problema, siano esse accolte o respinte, sono esposte in una successione di brevi sintesi
rappresentative – rivela ad un tempo, differenza d’esposizione e asistematicità168
rispetto a questi: il pensiero degli “avversari”, occupa una serie di lunghe quaestiones,
nelle quali si attribuisce, allo stesso sistema che si vuole impugnare, uno spazio di gran
lunga maggiore rispetto a quello di cui il professore si dichiara adepto. La serie di
obiectiones di carattere teologico, a seguito dell’esposizione, valuta la possibile
conformità delle idee esposte con le dottrine considerate ortodosse dalla Chiesa,
dunque dall’Ordine, ma sembra non ascrivere alla stessa conformità l’accoglimento o il
rifiuto del sistema quale spiegazione adeguata dei fenomeni del cosmo. Le quaestiones
trattate sono suddivise nei due “blocchi di idee”, dell’atomismo e del peripatetismo. Le
obiectiones al sistema atomistico, al quale è spesso assimilato il
cartesianismo,consentono, tuttavia, al professore di rientrare nei confini
dell’ortodossia, e giustificano l’ampiezza d’esposizione del pensiero “avversario”.
89 Il rapporto di subordinazione della filosofia naturale alla teologia, considerato dalla
recente storiografia quale preminente caratteristica dei testi destinati all’insegnamento
della physica nella Compagnia di Gesù, oltre che del sistema ideologico accolto
dall’Ordine169, risulta essere completamente sovvertito da Gori. Egli, infatti, opera una
contaminazione tra il discorso ‘fisico’ e gli assunti teologici, in dipendenza da un tipo di
fonti per l’esposizione dell’atomismo, quasi completamente ignorate dalla storiografia
sull’insegnamento nei gesuiti e, in generale, da quella sul pensiero filosofico e teologico
del Sei-Settecento170, ma largamente presenti nel circuito culturale del periodo, che
proponevano una teologia agli antipodi del tomismo e del peripatetismo, affatto
opposta a quella lex imposta subactis cui i membri della Compagnia, secondo le
prescrizioni ufficiali, avrebbero dovuto attenersi.

Notes
1 Cfr. A. R. CAPOCCIA, L’Introductio physicae aristotelicae di Giulio Gori SJ (1723) e
l’insegnamento della filosofia naturale al Collegio romano, tesi di dottorato, Roma, 2005.
2 Alcune theses stampate, provenienti dalla Biblioteca del Collegio romano, sono attualmente
conservate nella Biblioteca Casanatense di Roma.
3 Cfr. G. BARONCINI, L’insegnamento della filosofia naturale nei collegi italiani dei gesuiti
(1610-1670): un esempio di nuovo aristotelismo, in La Ratio Studiorum. Modelli culturali e
pratiche educative dei Gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, a c. di G. P. BRIZZI, Roma,
Bulzoni, 1981, p. 164.
4 La bibliografia riguardante il problema è vasta. Ci limitiamo a segnalare, oltre che i
fondamentali e noti lavori di P. Duhem e la tesi della continuità tra il Medioevo e la nuova
scienza, nell’ambito degli storici del pensiero filosofico e scientifico dei gesuiti, i lavori di
Smith, di Wallace, di Hilborn e di Lohr riguardanti l’aristotelismo gesuitico e l’influenza su
Galilei esercitata dai gesuiti del Collegio romano: Ch. LOHR, Latin Aristotle Commentaries, II,
Renaissance Authors, Firenze, Olschki, 1988 (indicazioni sulla produzione filosofica tra il 1500
e il 1650); Ch. LOHR, Metaphysics, in The Cambridge History of Renaissance Philosophy, a c.
di C. SCHMITT – Q. SKINNER – E. KESSLER – J. KRAYE, Cambridge, Cambridge University Press,
1988, p. 537-638, in part. p. 605-620 (dove si analizza il contributo dell’aristotelismo
rinascimentale al rinnovamento della metafisica gesuitica di Pereira e Suarez); L. HILBORN,
Electricity in the 17th and 18th Century, Berkeley, University of California Press, 1986; C. B.
SCHMITT, Problemi dell’Aristotelismo rinascimentale, trad. it. a c. di A. GARGANO, Napoli,
Bibliopolis, 1985; ID., Filosofia e scienza nel Rinascimento, a c. di A. CLERICUZIO, Firenze, La
nuova Italia, 2001; W. WALLACE, Galileo and his source; the Heritage of Collegio Romano in
Galileo’s Science, Princeton, Princeton University Press, 1984.
5 In riferimento a ciò, ci limitiamo a citare: E. BURTT, The Metaphysical Foundations of
Modern Physical Science (I ed: 1924), London, Routledge and Kegan Paul, 1932 nel quale,
contro le tesi positivistiche di Ernst Mach, si sostiene una certa influenza della metafisica nei
contro le tesi positivistiche di Ernst Mach, si sostiene una certa influenza della metafisica nei

protagonisti della nuova scienza; il principale avversario delle tesi di Burtt, Edward W. STRONG,
Procedures and Metaphysics: A study of the Philosophy of Mathematical-Physical Science in
16th and 17th Centuries (1936). Un completo quadro del problema in: Reappresails of the
Scientific Revolution, a c. di R. S. WESTMAN – D. C. LINDBERG, New York, Cambridge University
Press, 1990, p. 93-166.
6 Cfr. L. LUKÀCS, Monumenta paedagogica Societatis Jesu, 5 voll., Roma, IHSI, 1965 e segg.: il
V vol. (ibid., 1986) contiene i testi delle due principali redazioni della Ratio (1586, 1599); in
particolare, per l’insegnamento della filosofia naturale, cfr. ivi, p. 95-110; 279-284; 397-400.
7 Cfr. P. FINDLEN, Scientific Spectacle in Baroque Rome: Athanasius Kircher and the Roman
College Museum, in « Roma moderna e contemporanea », 3, 1995, p. 625-665; cfr., Jesuit
science and the Republic of Letters, a c. di M. FEINGOLD, Cambridge, The MIT Press, 2002; M.
FEINGOLD, Tradition versus Novelty: Universities and Scientific Societies in the Early Modern
Period, in Revolution and continuity, a c. di P. BARKER - R. ARIEW, Washington, Catholic
University Press, 1991, p. 45-59.
8 Sul concetto di ‘socievolezza’ nella scienza, connotazione storiografica tratta da M. Agulon,
che ha riscontrato le prime occorrenze del termine nel linguaggio del XVI secolo, nel suo lavoro
su La Sociabilité méridionale. Confréries et association en Provence Orientale dans la
deuxième moitié du XVIIIe siècle, Aix-en-Provence, 1966, cfr. A. ROMANO, Les Collèges jésuites,
lieux de sociabilité scientifique (1540-1640), in « Le bulletin de la S. H. M. C. », 1997/3-4, p. 6-
21.
9 Cfr. A. ROMANO, Les Jésuites dans la culture scientifique romaine (1630-1660), in Francesco
Borromini. Atti del Convegno internazionale, Roma, 13-15 gennaio 2000, a c. di C. L. FROMMEL
- E. SLADEK, Milano, Electa, 2000, p. 329-334.
10 Cfr. W. MÜLLER, Ordine dei gesuiti e movimento delle Accademie. Alcuni esempi dal XVII e
XVIII secolo, in Università, Accademie e Società scientifiche in Italia e in Germania dal
Cinquecento al Settecento, a c. di L. BOEHM – E. RAIMONDI, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 379-394.
11 Cfr. A. ROMANO, Les Collèges jésuites lieux de sociabilité, cit., p. 11.
12 Cfr. A. R. CAPOCCIA, L’Introductio…, cit., bibliografia fonti manoscritte.
13 Giulio GORI è nato a Siena nel 1686, primogenito di una nobile e facoltosa famiglia, ha
compiuto i suoi primi studi al Collegio Tolomei di Siena, pur avendo studiato la filosofia “in
saeculares”, al di fuori della Compagnia. Si è fatto gesuita il 14 giugno 1704 a Roma. Durante il
suo noviziato presso la casa di S. Andrea aveva il forte desiderio di recarsi in Cina come
missionario. Non essendo stato destinato alla missione cinese, si è dedicato agli studi e
all’insegnamento della filosofia in vari collegi gesuitici della Provincia Romana (Firmanum,
Senense, Perusinum). Prefetto degli studi al Collegio Germanico, ha poi insegnato filosofia
(1722-1725, 1743-1744) e diritto canonico (1743-1756) al Collegio Romano. È morto al Collegio
Romano il 24 ottobre 1764. Sulla biografia e sulle opere manoscritte di Gori, sui problemi di
datazione dei suoi scritti, sulla sua posizione all’interno della Compagnia e sui vari incarichi
che ricoprì, cfr. A. R. CAPOCCIA, Giulio Gori e le Dissertazioni epistolari sopra le Bugie, in
«Nouvelles de la République des Lettres», 98-I, p. 95-137; cfr., inoltre Giulio Gori, in DBI, 58,
p. 33-36. Sulla sua attività di insegnante di filosofia al Collegio romano, cfr. A. R. CAPOCCIA,
A.R., L’insegnamento della filosofia cartesiana nel Collegio romano agli inizi del XVIII secolo,
in Roma e la scienza (secoli XVI-XX), a c. di A. ROMANO,“Roma Moderna e Contemporanea”, VII,
3, sett.-dic. 1999, p. 499-535;A. R. CAPOCCIA, L’Introductio Phisicae Aristotelicae (1723) di
Giulio Gori SJ e l’insegnamento della filosofia naturale al Collegio romano, tesi di dottorato,
Roma, 25 Giugno 2005.
14 Agostino Maria DE MARI, nato a Genova, il 6 giugno 1646, divenne gesuita il 20 novembre
1682 e fece la professione dei quattro voti il 2 febbraio 1680 a Roma (ARSI, Ital 17, cc. 393r,
394r), morì nel 1705 (cfr. J. FEJER, Defuncti secundi saeculi S J, 1641-1740, III, p. 233, Roma,
Institutum Historicum S I, 1988). Insegnante di lingua ebraica (cfr. ARSI, Catalogi triennales
Provinciae Romanae, 1681, Rom. 64, c. 159v), tenne al Collegio romano, nel 1680-1681, il
corso di logica, (cfr. ARSI, Catalogi breves provinciae Romanae, Rom. 88, c. 5r); nel 1681-
1682, il corso di fisica (cfr. ivi, c. 35r); non svolse quello di metafisica, tenuto da Antonio Raffei
(cfr. ibid.). Nel 1685, fu mandato al Collegio germanico (cfr. ARSI, Catalogi triennales
Provinciae Romanae, Rom. 65, c. 31r). Su A. DE MARI, cfr. R. G. VILLOSLADA, Storia del Collegio
romano…, cit.,p. 326, 328, 330, 333. Villoslada documenta che A. de Mari abbia insegnato
metafisica nel 1682-83; fisica nel 1681-82; logica 1680-81.
15 Sull’importanza della sperimentazione in filosofia naturale attribuita dai vari professori
gesuiti all’insegnamento della materia, cfr. U. BALDINI, Boscovich e la tradizione gesuitica...,
cit., p. 83.
16 Giovanni BattistaTOLOMEI è nato a Gamberaia, nei pressi di Firenze, il 3 dicembre 1653, e si
è fatto gesuita il 18 febbraio 1673. Ha insegnato grammatica, umanità e retorica a Ragusa, ha
spiegato la Sacra Scrittura nella Chiesa del Gesù di Roma, è stato procuratore generale della
Compagnia di Gesù per 5 anni e insegnante di filosofia, ebraico e controversistica al Collegio
Compagnia di Gesù per 5 anni e insegnante di filosofia, ebraico e controversistica al Collegio
romano. Creato Cardinale da Clement XI il 18 maggio 1712, è morto al Collegio romano, il 19
gennaio 1726. Era membro degli Arcadi, sotto il nome di Filoteo Aridio. Per la biografia degli
scritti di Tolomei, SOMMERVOGEL, VIII, coll. 86-89. Elenchiamo i seguenti scritti, il primo non
documentato da Sommervogel: Puteus veritatis, seu in universam Philosophiam problemata
publice propugnata, Roma, I. de Lazaris, 1671, Roma, BC segnato: Misc. In fo l. Vol. 165;
Philosophia mentis, et sensum utramque Aristotelis methodum pertarcta Metaphysicae et
empiricae, Roma, J. Sangermani, 1702, in ivi, segnato: L. I. 40; Problemeta universam
Philosophiam, Roma, I. de Lazaris, 1671, in ivi, segnato: Misc. In fol. Vol. 187. Su Tolomei si
veda Moroni, LXXVIII, p. 3, 4. Si veda l’elogio del Tolomei nel Giornale de’ letterati d’Italia,
XXXVIII, 1727, parte I art. I, p. 1-98, riedito da: F. A. ZACCARIA, Bibliotheca Pistoriensis, Torino,
Tipografia Regia, 1752, p. 336-370. Su Tolomei e sui rapporti che intrattenne con Gori, cfr. A.
R. CAPOCCIA, L’Introductio Phisicae Aristotelicae (1723) di Giulio Gori SJ e l’insegnamento
della filosofia naturale al Collegio romano, tesi di dottotato, cit., p. 110-175.
17 Cfr. U. BALDINI, Boscovich e la tradizione gesuitica in filosofia naturale..., cit. passim.
18 Si tratta di Francesco Fitzherbert, come si evince dal foglio a stampa allegato al trattato di
A. De Mari: Cfr. DE MARI, Conclusiones Physicae.
19 Il cambiamento di ripartizione degli argomenti e la riduzione crescente dello spazio
attribuito alla fisica generale, in favore di una ‘fisico-matematica’, è ben espressa nella
prefazione al lettore del Magisterium... di F. Lana Terzi. Cfr. F. LANA TERZI, Magisterium
naturae et artis. Opus physico-mathematicum, Brixiae, G. M. Ricciardum, 1684-1692, 3 voll.,
I, p. I: “Arridebat in illo methodus, et rerum pertractandarum ordinata distributio; atque in
ipsis doctrinarum sententiis ut plurimum me cum ipso convenire animadvertebam.
Desiderabam nihilominus in eodem, copiosorem experimentorum, et observationum
numerum, quae cuilibet libro, seu materiae discutiendae praemittenda esse iudicabam;
materia plures non satis plene discussas, vel obiter tantum ab eo indicatas penitus
perscrutandas, et uberius explicandas esse existimabam; saepissime etiam ab illius
opinionibus mihi discedendum esse cognoscebam.”.
20 Sull’aristotelismo gesuitico, cfr. Ch. H. LOHR, « Les Jésuites et l’aristotelisme du
XVIe siècle », in Les Jésuites à la Renaissance..., cit., p. 79-91.
21 Cfr. infra.
22 Cfr. DEMARI, Physica, cc. 13r-14r: ‘‘Quaestio 3a: proponuntur et reiciuntur aliorum
sententiae de principio materiali, et formali in particulari reiciuntur plures antiquorum
sententiae. Proponitur sententia recentiorum atomistarum. Articulum 2. Docent preadicti
philosophi Deum creasse innumeras particulas, seu atomos, et has esse principium materiale
omnium corporum naturalium”.
23 Cfr. Cfr. F. PICCOLOMINI, Ordinatio pro studiis superioribus a R.. P. Francesco
Piccolomineo, Propositiones aliquot, quae non sunt docendae, in Institutum Societatis Jesu,
Florentiae, Ex Typographia Sanctissima Conceptione, Vol. III, 1893, p. 235-249, 244.
24 In Italia il sistema ticonico trovò un illustre propugnatore in Gian Domenico Cassini.
25 Cfr. C. DOLLO, Le Ragioni del geocentrismo nel Collegio romano (1562-612), in La
diffusione del copernicanesimo in Italia, a c. di M. BUCCIANTINI – M. TORRINI, Firenze, Olschki,
1997, p. 99-167; cfr. R. GATTO, Copernico tra i gesuiti del Collegio napoletano, ivi, p. 169-188.
26 Giovanni Battista Riccioli, noto come astronomo e geografo (1598-1671). La sua visione
cosmologica è geocentrica. Riccioli escogitò un sistema per spiegare le irregolarità del moto
della luna, che non ebbe alcun seguito; egli descrisse le macchie lunari e intravide l’anello di
Saturno.
27 Christop Scheiner (1573-1650), uno tra i primi osservatori delle macchie solari, nella Rosa
Ursina pubblicò le sue osservazioni contro Galilei e sostenne l’immobilità della terra nel libro
Prodromus de sole mobili…; descrisse poi, in un’altra opera, gli usi del pantografo.
28 Cfr. G. B. RICCIOLI, Almagestum novum Astronomia veterem novamque compleectens
observationibus aliorum, et propriis [...] in tres tomos distributa, auctore IoanneBaptista
Ricciolo, Bononiae, Ex typographia Victorii Benatii, 1651, Tomo II, p. 237, 318, riguardo al
problema della corruttibilità dei cieli; ivi, p. 216-220; 238-244 e p. 66. Il suo procedimento per
la dimostrazione della corrutibilità dei cieli è essenzialmente quello disputatorio della Quaestio
scolastica: egli, infatti, passa dapprima in rassegna tutte le opinioni a favore della
incorruttibilità, tra le quali quella di Aristotele, di Tommaso, di Arriaga, di Suarez, di Molina,
dei Conimbricenses, ecc., quindi passa ad enunciare tutti coloro che sono stati favorevoli
all’opinione della corruttibilità, a partire dagli autori classici: (Plutarco), i Santi Padri, i filosofi
greci (Anassagora, Democrito, Epicuro, Crisippo, Cleante, Posidonio); poi i luoghi scritturali;
infine i Padri della Chiesa. Dopo aver adottato argomentazioni desumibili dalle autorità,
affronta quelle evincibili dalla ragione, quella delle macchie solari, ad esempio.
29 Cfr. C. SCHEINER, Rosa ursina sive sol ex admirando facularum et macularum suarm
phoenomeno varius, nec non circa centrum suum et axem fixum ab occasu in ortum annua,
phoenomeno varius, nec non circa centrum suum et axem fixum ab occasu in ortum annua,
Bracciano, Andream Phaenum, 1626-1630, p. 658-666.
30 Cfr F. MOTTA, I criptocopernicani. Una lettura del rapporto fra censura e coscienza
intellettuale nell’Italia della Controriforma, in Largo campo di filosofare, Eurosymposium
Galileo 2001, 19-23 febbraio 2001, a c. di J. MONTESINOS e C. SOLÌS, La Orotava, Fundaciòn
Canaria Orotava de Historia de la Ciencia, 2001, p. 693-718.
31 Cfr. U. BALDINI, Boscovich e la tradizione gesuitica in filosofia naturale..., cit., p. 91
32 A. R. CAPOCCIA, Giulio Gori e le Dissertazioni epistolari sopra le bugie, «Nouvelles de la
République des Lettres» I, 1998 p. 95-137
33 Giulo GORI, Lettere Filosofiche, Roma, BNC, Fondo gesuitico 1034, c. 62v. I ‘vecchioni’ ai
quali Gori allude probabilmente sono i censori della Compagnia di Gesù, che risiedevano al
Collegio Romano, ed erano quattro. Durante gli anni nei quali G. B. Tolomei (cfr. infra)
insegnò filosofia al Collegio Romano, l’incarico di revisori dei libri era stato affidato ai seguenti
gesuiti: Domenico Egidio, censore generale per i libri italiani; Francesco Leytan, censore dei
libri per la provincia della Lusitania; Giovanni Germano Chrestier, Censore Generale dei libri
per la Provincia Galliae, Giuseppe Alpharus, censore generale per i libri spagnoli; Ignazio
Tellinus e Matteo Drattemberg, censori generali per i libri della Germania. Cfr. ARSI, Catalogi
breves Provinciae Romanae, Rom. 95 (anni 1696-1699), c. 95 (anno 1697). Nel 1698, l’incarico
fu ricoperto dagli stessi padri, tranne per i libri che avrebbero dovuto essere stampati nella
provincia della Gallia, dei quali fu incaricato come censore Francesco Malatrà (cfr. ivi, c. 133).
Nel 1699, l’incarico di censore per i libri della Provincia della Germania, fu ricoperto da
Adamus Erentreich (ivi, c. 186).
34 Cfr. A. R. CAPOCCIA, L’insegnamento della filosofia cartesiana nel Collegio romano agli
inizi del XVIII secolo, in Roma e la scienza (secoli XVI-XX) a c. di A. ROMANO, «Roma Moderna e
Contemporanea», VII, 3, sett.-dic. 1999, p. 499-535.
35 Cfr. ARSI, Catalogi breves Provinciae Romanae, Rom. 94, cc. 74 v, 111 r, 151 v, 204 r;Rom.
95, c. 3r; cfr. R. G. VILLOSLADA, Storia del Collegio romano…, cit., p. 236, 237; 328, 330, 333,
334.
36 Cfr. B. JANSEN, Deutsche Jesuiten-Philosophen des 18. hrhundeserts in ihrer Stellung zur
neuzeitlichen Naturauffassung, in «Zeitschrift für Katholische theologie»,
Siebunundfünzigster Band, 1933, p. 385-388. Una delle aspettative di Leibniz nei confronti di
Tolomei era quella di vedere pubblicate le annotazioni che Tolomei fece alle Controversiae del
Cardinal Bellarmino, ma tale scritto, consistente in sei volumi in folio manoscritti, è stato edito
solo nel XIX secolo: Miscellaneorum ex manuscriptis libris Bibliothecae Collegii romani S. J.
Series altera. J. B. Ptolomaei e S. R. E. Cardinalis, de Romano B. Petri pontificatu
dissertationes polemicae, Romae, 1866.
37 Cfr. G. W. LEIBNIZ, Opera omnia in sex tomos distributa, Genevae, apud fratres de Tournes,
1748. Ristampa anastatica: Hildesheim – Zurich – New York, Georg Olms Verlang, 1989, vol I,
Opera theologica praefatio illustrius Leibnitii ad tentamina theodicaeae, p. 58; vol. II, Logica
et Metaphysica, p. 265, 272: vol. V, Opera Philologica, p. 561; vol. VI, Philologicorum
continuationem – Collectanea etymologica, p. 173, 178, 190, 194.
38 Cfr. A. ROBINET, G. W. Leibniz. Iter Italicum (mars 1689-mars 1690). La dynamique de la
République des Lettres, Firenze, Olschki, 1988, p. 132, 133. Lo studioso, sulla base dell’analisi
della corrispondenza tra Leibniz e il gesuita Des Bosses, tra Leibniz e Ciampini, tra Leibniz ed
il gesuita Tommaso Fantoni, che faceva da tramite tra il professore ed il filosofo, è riuscito a
stabilire che i due si fossero visti durante una seduta dell’Accademia fisico-matematica (lettera
del 13/23 marzo 1691 in Leibniz, Sämtliche Schriften und Briefe, Akademie-Ausgabe, I, VI,
414, tratto da A. ROBINET, cit., p. 132).
39 Lo studioso documenta, oltre che la diretta conoscenza tra Tolomei e Leibniz, anche i
rapporti tra Leibniz ed altri gesuiti del Collegio romano, quali, ad esempio, Tommaso Fantoni e
Grimaldi (cfr. ivi, p. 69, 125, 130, 135).
40 Cfr. ivi, p. 132, 133.
41 Cfr. Roma, BAV ms. Vat. Lat. 11757, piatto anteriore, c. 1r: “Registro dell’azzioni
academiche Fatte Nell’Academia dell’Esperienze Naturali Filosofiche, e Matematiche tenute In
tutto l’anno XDCLXXVII Adunate, et ordinate dal Segretario G. T. Archidiacono di Reggio”. I
lavori sono dedicati a Cristina di Svezia: “Alla Sacra Real Maestà della Regina di Svecia
Benignissima protettrice L’Academia dell’Esperienze profondamente s’inchina et implora la
continuazionedel suo Real Patrocinio”,cfr. ivi, c. 2r.
42 Cfr. G. GIGLI, Diario Sanese, Lucca, Leonardo Venturini, 1723, parte I, p. 321: “Onde
propriamente ha quell’opera per titolo Philosophia mentis et sensuum juxta utramque
methodum Aristotelis e fu veramente invenzione di questo grande ingegno il ritrovare in uno
stesso filosofo questo doppio metodo di filosofare”.
43 Cfr. Acta eruditorum Lipsiae, 1698, mensis augusti, Lipsiae, apud John Grossii Haeredes
43 Cfr. Acta eruditorum Lipsiae, 1698, mensis augusti, Lipsiae, apud John Grossii Haeredes
et J. T. Fritschium, Typis Johannis Georgii, 1698, p. 367.
44 Cfr. R. G. VILLOSLADA, cit., p. 237.
45 Cfr. TOLOMEI, Philosophia, Logico-metaphysica, p. 209-233.
46 Cfr. ivi, Physiologia seu physica generalis, p. 323-472; Physica particularis, de Mundo,
p. 473-521; Physica Particularis, de Elementis, p. 523-546; Physica particularis, De mixto
inanimi, p. 547-564; Physica particularis, De corpore animato, p. 565-645.
47 Cfr. ivi, II. De scientia rerum naturalium, Physico metaphysica, p. 237-319: De idea et
essentia corporis naturalis, p. 238-244; De ortu et mutatione corporum naturalium, p. 244-
251; De ente existente, p. 251-260; De non ente, et non existente, p. 260-271; De modis, p. 27-
284; De loco, p. 285-300; De tempore, p. 300-309; De quantitate rerum, p. 310-322.
48 Cfr. ivi, p. 473-645.
49 Cfr. ivi, p. 1, 2.
50 Cfr. ivi, p. 367-369. Secondo Tolomei, è proprio di Aristotele il separare il piano fisico da
quello metafisico: la confusione attuata tra i due è dunque da attribuire alle interpretazioni,
come quella che considera le forme sostanziali qualcosa di reale, verso la quale, Tolomei,
mostra la sua disapprovazione: “V. In hypotesi quod formae materiales substantiales sint quid
respectivum clarissime intellegitur; quae docet Aristotelis de materia prima quaque definit de
generatione, et alteratione [...]. Praeter caetera aristotelica placita de forma substantiali, et
reliquis phaenomenis corporis naturalis, quae omnia nimis cruda, et captu difficilia videntur
retentis formis materialibus absolutis”.
51 IgnazioGuarini, Lupinensis (di Lecce) nato il 31 luglio 1675, (cfr. ARSI, Rom. 68, c. 11v,
n. 29) entrò nella Compagnia il 19 febbraio 1693 (cfr. ARSI Rom. 94, c. 162v) e fece la
professione dei quattro voti il 2 febbraio 1710 (cfr. ARSI, Ital. 22, cc. 355r, 356r). Insegnò
filosofia al Collegio Tolomei di Siena nel 1705 (cfr. ARSI, Catalogi triennales Provinciae
Romanae Rom. 67, c. 225r, n. 8). Dal Secundus Catalogus Collegii Ptolomei (1705), i seguenti
giudizi su Ignazio Guarini: “Ingenium bonum, Iudicium optimum, prudentia multa,
experientia rerum non parva, profectus in litteris ingens, naturalis complexio pacata, talenta
ad legendum” (cfr. ivi, c. 278r, n. 8). Morì a Roma, il 28 aprile 1748 (cfr. ARSI, Rom. 105, c.
192r). Su Ignazio Guarini, cfr. SOMMERVOGEL, III, 1842, col. 1899. I. GUARINI pubblicò i seguenti
scritti, Oratio in faustissima inauguratione Augusti II Polonorum Regis, habita in aula
maxima Romani Collegi [...]Romae, D. A. Hercules, 1699; Montis Atho in Alexandri statuam
efformati dimensiones geometricae [...] in Collegio Romano 1712, Romae, P. Komarek, 1712;
A. M. D. G. Hieronis Navis in mare deducta Problema exponens quarum rerum notitia
requiratur a magna pondera loco movenda, Habitum ab uno ex patribus Societatis Jesu in
Collegio Romano Anno 1713, Romae, P. Komarek, 1713; Panegirico in nome del B. Andrea
Conti detto in Roma nella Chiesa de’ SS. Apostoli, Roma, G. Mainardi, 1724.
52 Le trenta proposizioni che, nel 1706, proibiscono l’insegnamento del cartesianesimo, sono
discusse in C. De ROCHEMONTEIX, Le Collège Henri IV de la Flèche, Le Mans, I, 1889, p. 60-89;
un accenno ad esse in F. BOUILLIER, Histoire de la philosophie cartésienne, Paris, Tolmer, 1845,
2 voll., II, p. 567. Cfr. ARSI, Congregationes Generales, Vol. 3, cc 212r-212v: “Propositiones
Cartesianae de quibus Congregatio Generalis egit. Actione 23°”.
53 Cfr. A. R. CAPOCCIA, L’insegnamento della filosofia cartesiana nel Collegio romano agli
inizi del XVIII secolo, in Roma e la scienza (secoli XVI-XX), cit., p. 499-535, in part. p. 506-511.
54 Cfr.TOLOMEI, Philosophia, De quantitate rerum, p. 310-319, sulla triplice accezione del
termine ‘quantità’, in senso fisico, metafisico e matematico; I parte della Fisica, Physiologia,
p. 386-389; sul moto p. 445-448; cfr. la dissertatio XXIII, De qualitatibus actuosis, p. 466-
472. Per quanto riguarda la fisica particolare, cfr. la Dissertatio sugli elementi, che si conclude
con sette esperimenti (p. 528). Si passa poi a trattare dell’aria, dunque, a p. 532, si ha
l’esperimento del tubo torricelliano sul vuoto; l’esperimento di Magdeburgo (p. 535); dei due
marmi congruenti (p. 536); dei tubi capillari (p. 537). Si passa poi al fuoco (p. 539); dunque
alla terra, per la quale si riferisce anche l’ipotesi cartesiana (p. 545). Cfr., inoltre, la dissertatio
De corpore animato, dove si indaga sulla riproduzione delle piante, attraverso esperimenti
(p. 573) per poi verificare le osservazioni di Marcello Malpighi; mentre è nella parte relativa
alla vista che Tolomei (p. 630-632, dove accoglie la teoria cartesiana della visione e p. 632-637)
analizza l’ipotesi cartesiana sulla natura della luce, sulla propagazione della stessa, e, a
proposito di questo, l’esperimento del litosforo, o Lapide Bononiensis.
55 Secondo Baldini, infatti, i gesuiti ebbero una diversa concezione rispetto a quella moderna
dell’esperimento, che non avrebbe dato luogo ad una quantitavizzazione dei fenomeni
osservati, ma sarebbe rimasto un esperimento puramente mentale, cfr. U. BALDINI, Legem
impone subactis. Studi su filosofia e scienza dei gesuiti in Italia 1540-1632, Roma, Bulzoni,
1992, p. 10-15.
56 Cfr. TOLOMEI, Philosophia, p. 48: “Propterea bipartitam physicam damus: unam Physico-
metaphysicam, alteram Physiologiam, seu Physicam generalem inscribimus: illa logicae
continuatur: haec sinceram, et quantum esse poterit a metaphysica separatam rerum
continuatur: haec sinceram, et quantum esse poterit a metaphysica separatam rerum
corporearum tractationem, generalem tamen, persequitur”.
57 A. ROMANO, I problemi scientifici scientifici nel Giornale de’ Letterati (1668-1681), in
Dall’erudizione alla politica. Giornali, giornalisti ed editori a Roma tra XVII e XX secolo, a c. di
M. CAFFIERO – G. MONSAGRATI, Milano, Angeli, 1997, p. 17-37, p. 27.
58 Cfr. M. FATTORI, Experientia-experimentum: un confronto tra il corpus latino e inglese di
Francis Bacon, in: Experientia, a c. di M. VENEZIANI, X Colloquio Internazionale Roma, Lessico
Intellettuale Europeo, 4-6 gennaio 2001, Firenze, Olschki, 2001, p. 246.
59 Cfr. S. SHAPIN – S. SCHAFFER,S. SHAPIN – S. SCHAFFER, Il Leviatano e la pompa all’’aria.
Hobbes Boyle e la cultura dell’esperimento, Oxford, Princeton University Press, 1985, trad. it.:
Scandicci, La Nuova Italia, 1994, p. 3, 4.
60 La storia della diffusione dell’atomismo nel Rinascimento, infatti, è legata a quella della
scoperta (1417) e della fortuna del De rerum natura di Lucrezio che è definito da René Pintard
quale “fécond exicitateur de pensée”.
61 Cfr. S. ROUX, Descartes Atomiste ? in Atomismo e continuo nel XVII secolo, a c. di R. GATTO -
E. FESTA, Napoli, Vivarium, 2000, p. 211-273.
62 Robert Halleux riprende la tesi di Charles Smith, che aveva parlato, per quanto riguarda i
sistemi filosofici dei gesuiti e l’aristotelismo rinascimentale, di una ‘molteplicità di
aristotelismi’. Cfr. A. PERFETTI, Études sur l’atomisme (XVI-XVII siècles. Introduction, « Revue
d’histoire des sciences », 55, 2, 2002, p. 139-142.
63 Cfr. R. GATTO, Tra scienza e immaginazione. Le matematiche presso il collegio gesuitico
napoletano, Firenze, Olschki, 1994, p. 223-262; R. GATTO, La Struttura della materia nel
Physico-mathesis de Lumine di Francesco Maria Grimaldi, in Atomismo e continuo nel
XVII secolo, Atti del Convegno Internazionale, Napoli, 28-30 Aprile 1997, a c. di E. FESTA – R.
GATTO, Napoli, Vivarium, 2000, p. 33-54.
64 Cfr. GORI, Introductio, cc. 55r-95r
65 Cfr. GORI, Introductio, c. 55v: “Qui fuerit eius primus Autor omninò incertum est. Constat
eiusmodi philosophiam ante belli Troiani tempora docuisse moscum, seu mochum quemdam
phenicium quem arcerius, teodoretus saldenus, alijquei ipsum Moisen fuisse existimant. Imò
prodijt anno 1722 libet, et mundi diczon, quo probatur in libro geneseos, rerum produxionem
per hanc philosophiam exponi, quapropter per hunc Autorem huiusmodi philosophia vix distat
à revelatis”.
66 Cfr. ibid.
67 Cfr. ivi, p. 22, 23.
68 Cfr. J. R. ARMOGATHE, La Soif des Écritures, in Le Grand Siècle et la Bible, Paris,
Beauchesne, 1989, p. 22.
69 Proverbi, 8, 26; Genesi, 3, 14; Giobbe, 4, 19; Isaia, 26, 19; Salmi, 104, 29.
70 Cfr. J. R. ARMOGATHE, Theologia cartesiana, La Haye, 1977, p. X, cfr., inoltre, Physique
cartésienne et eucharistie dans les documents du Saint-Office et de l’Index romain (1671-1676),
« Nouvelles de la Republique des Lettres », 2005-II, p. 7-24.
71 La dottrina di Wycliffe, condannata nella Sessione VIII del 4 maggio 1415 del Concilio di
Costanza, è esposta in I. WYCLIFFE, De Eucharistia tractatus maior. Accedit tractatus de
eucharistia et poenitentia sive de confessione, a c. di I. LOSERT, London, Published for the
Wycliffe Society by Trubner et co., 1892, in part. p. 3-72, 76-81, 139, 199, 210-221.
72 Cfr. Philosophia sacra, sive de entis tum supernaturalis, tum increati, Tolosae, apud
Arnaldum Colomerium, Regis et Academiae Tolosanae Typographum, 4 voll., I, 1661, cap.
XXII, De Christo in Eucharistia, p. 825-888.
73 Cfr. Systema eucharisticum Patri Maignani vindicatum ab impugnationibus contentis in
opuscolo dogmatico, quod scripsit nuper R. P. Gennarus Ordinis Praedicatorum, Sacrae
Theologiae Magister..., Tolosae, apud J. Ialar, 1705, pars II, Dialogus primus, An Gennarus
satis intellexerit Systema Maignani Eucharisticum, p. 175-212.
74 Cfr.GORI, Introductio, , cc. 82r-82v: 202. “Porrò in his casibus Spiritus Sanctus et Christus
non assumserunt, ut comuniter docent, illa accidentia realia VG coloris, odoris etc. sed solum
erat Christus sub speciebus Ortulani, Peregrini etc. Esse autem sub speciebus Ortulani, et
Peregrini nil aliud nisi Ortulanum, aut peregrinum sese exibere, et apparere. Ita prorsus
contendunt Christum esse sub speciebus panis nil esse nisi Christum esse panem aperentem
seu panem aperere; adeoque quidquid docent alij dixi de sagramento docent Magnanistae illud
dici vel de Christo, vel de apparentia panis, seu de speciebus panis, et vini. Apud ipsos autem
duae sunt species. Alia etiam est species qua, alia species quae. Species qua est illa qua
sentimus VG videmus etc. et est in ipso oculo, et respective in organo proprio cuiuscumque
sensus, et species se senet ex parte potentiae. Alia species quae se tenet ex parte obiecti est
quedam axio ipsius obiecti qua agit in nostros sensus, et ideo vocantur eae species, sive
actiones obiectivae”.
actiones obiectivae”.

75 Cfr. ivi, cc. 83r-83v: “205.Nihilominus aliquid contra nos pro respontione dicunt quod
nimirum cum concilij ex verbis, aut sensu, et multo minus ex patribus, et scripturis erratur
conciliaris definitionis sensus esse quod nos dicimus concessus communis teologorum ita
oppinantium non sufficit ad faciendum quod ille sensus sit de fide, aut ex fide; sed ut probant
Magnanistae nec verba Concilij sonant explicationem nostram, et multo minus sensus qui
cognoscitur ex fide conciliorum, et eresibus damnatis, et multo minus ex patribus aut
scripturis nostra explicatio colligitur”.
76 Cfr. ibid.
77 Cfr. infra.
78 Cfr. Conciliorum oecomenicorum decreta, a c. di J. ALBERIGO, J. A. DOSSETTI PERIKLE – P.
JANNOU – C. LEONARDI – P. PRODI, Bologna, Istituto Scienze religiose, 1973, p. 411: “1. Substantia
panis materialis, et similiter substantia vini materialis, manent in sacramento altaris.
2. Accidentia panis non manet sine subiecto in eodem sacramento. 3. Christo non est in eodem
sacramento identice et realiter in propria persona”.
79 Le proposizioni della bolla, ribadiscono la reale presenza di Cristo nell’eucaristia: cfr. H.
DENZINGER, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationm de rebus fidei et morum,
ed. 34, Barcinone, Friburgi Brisgoviae, Romae, Neo Eboraci, 1967, p. 327, 328.
80 Cfr. E. MAIGNAN, Philosophia Sacra, ed. 1672, cit., appendice V, cap. 22, parte II, n. 100.
81 Concilio Fiorentino, Bolla Exsultate Deo, 22 Nov. 1439, D. 1321:
“Forma huius sacramenti sunt verba Salvatoris, quibus hoc confecit sacramentum; sacerdos
enim in persona Christi loquens hoc conficit sacramentum. Nam ipsorum verborum virtute
substantia panis in corpus Christi loquens hoc conficit sacramentum. Nam ipsorum verborum
virtute substantia panis in corpus Christi, et substantia vini in sanguinem convertiuntur, ita
tamen, quoa totus Christus continetur sub specie panis et totus sub specie vini. Sub qualibet
quoque parte hostiae consacratae et vini consecrati, separatione facta, totus est Christus”, cfr.
H. DENZINGER, Enchiridion Symbolorum, ed. Bologna, 1996, cit., p. 588.
82 Cfr. GORI, Introductio, c. 84r, 84v: “207.Intantum ex Concilio Constansiensi non constaret
dari nostra accidentia absoluta in quantum propositio absoluta tenenda à Chattolicis, et
contradictoria propositio damnatae esset ista accidentia non manent in sagramento cum
substantia; sed non est ista: ergo ex Constansiensi satis constat, et bene infertur existentia, et
remanentia horum accidentium absolutorum. Maior est doctrina Maignani in suaphilosophia
sacra capitulo 22, et in sua appendice 5: parte 2 n° 100, quod probat ex eo quod ea verba non
manent sine significent eque, ac manent cum unde propositionem Vuichefi sic exponit:
Accidentia manent cum substantia, cui contradicit per hanc aliam accidentia non manent cum
substantia. Hanc eamdem contradictoriam ut contradictoriam quatuor repetit inter duodecim
lineas Ioannes Saguenz in vindicatione systematis Eucharistici Patris Maignani parte
2a dialogo 6°, qui totus est circa Concilium Constansiensi”.
83 Cfr. ivi, cc. 87r, 87v.
84 Cfr. Catechismus romanus ex decreto sacrosanti Concilii Tridentini, Romae, Typis
Congregationis de Propaganda Fide, 1746, parte II, cap. IV, n. 26, p. 22: “Quid mysticae
Consecrationis virtute in hoc Sacramento potissimum efficiatu, p. 221-251.
85 Cfr.GORI, Introductio, cc. 98r-99v: “245. Superest ultimo loco dicendum de fraxione. Fit
enim fraxio vera veraque divisio; ea autem fieri non potest nisi de accidentibus absolutis; nam
actiones fraguntur, et multo minus frangitur corpus Christi: Nulla rei fit scissura ut canit
Ecclesia; deinde Sanctus Thomas ostendit tùm ex corpore Christi inpassibilitate, tùm ex eo
quod ubicetur sacramentaliter totum in toto loco, et totum in singulis partibus loci non posse
dividi. Porrò fraxio, sessio, scissio etc. sunt specie divisionum, et inter se differunt solum quo
ad modum dividendi: cum ergo corpus Christi certissime non dividatur; inde est quod nec
frangi potest”.
86 Cfr. ivi, c. 86r: “212.At vero neque ista est vere contradictoria propositionis Biclefianae;
quod ex duobus capitibus convincitur. 1°. Quia utraque potest esse de falso supposito; sicuti
non sunt contradictoriae istae duae, vel Chimera non volat in Caelo, vel volat cum alis quae
terminos habet dispositos sicuti Biclefiana, et ista alia, et chimera volat in Caelo, et volat sine
alis, quae habet terminos in contradixionem dispositos ut in superiori quae affertur ut
contradictoria’’.
87 Cfr. ivi, cc. 87r-88r: ‘‘218.4°. Quia idem concilium sexione 15 retrobat hunc Articulum
Ioannis Hus Fragensis Biglefi discipuli; estque ordine 17 inter ipsius malos Articulos in
processibus collectos = quod non esse determinatio Ecclesiae quod accidentia starent in
sagramento altaris sine subiecto = unde cum constet idem concilium docuisse esse
determinationem Ecclesiae quod in sagramento accidentia sint sine subiecto videtur in
damnatione 2i Articuli Biglefi hoc idem docuisse concilium”.
88 Cfr. ivi, c. 94v.
88 Cfr. ivi, c. 94v.
89 Cfr. ivi, cc. 94v-95v: “Probatur minor nam haec dicuntur 1°. Quod sit corpus Christi
sensibile. 2°. Quod per sagramentum habeatur hominis nutritio. 3°. Quod fiat corporis,
sanguinisque commistio. 4°. Quod sagramentum comedatur. 5°. Quod in sagramento fiat
divisio. 6°. Quod in sagramento fiat corruptio. Unde ex Ostia combusta cineres, ex vino ebullito
vapores. 7°. Quod ex eo vermes generantur. 8. Quod in eo tabes putredo marco, situs acciditas
etc. Sed haec non videntur bene explicari: ergo etc. Respondent quod circa harum rerum
explicationem non est una, eademque Peripateticorum explicatio, alijs aliam in probantibus;
dicunt itaque quod cum Christus per miraculum sit panis apparens ea apparenter fiunt in
pane, et vino. Quommodo autem hoc de singulis contingat res est nimis longa; nihilominus
cum sit etiam iucunda indico breviter singulorum explicationem iuxta principia Maignani”.
90 Cfr. ivi, c. 96r-96v: “Eodem modo acetum ex vino. Non tamen hoc modo vermes, qui non
nascuntur, nisi ex ovis. Quae ova vel de novo ponuntur ubi sunt species sacramentales à
vermibus, et muscis, vel eo deferuntur à vento, vel prius latitabant in pane; et cum panis ipsa
non sint non convertentur in Christi corpus. Sic eodem modo accidit, quod si consecretur
hostia qua sit vel acidula; vel capillus, cum non sint panis post consecrationem eadem
perseverant. De rebus huiusmodi habent etiam Peripatetici non minores difficultates”.
91 Cfr. ivi, cc. 96v-97r: “242. Quod vinum eucaristicum humedet pannum inficiat, coloret etc.
illud duplici modo explicatur; nam vel in ea humetatione, coloratione etc. remaneat verum
vinum consegratum; et dicunt tunc iuxta saepius dicta corpus Christi, et Deum aggere
sensibiliter in nostros sensus, ac aggere vinum humectans ita afficiendo oculos, nares etc. vel
per illam humectationem species destruuntur, et tunc per productionem vel reproduxionem
substantiae ut superius dictum est ista exibendum”.
92 Cfr. ivi, c. 97r-97v.
93 Cfr. GORI, Introductio, cc. 106v-108v: “Articulus XV.
Affertur, et refellitur explicatio Gassendi.
268.Modo longe diverso species eucaristicas explicat Gassendus. Licet Lebernier qui Gallica
Lingua Gassendi Philosophiam donavit sententia Maignani sit usus. Hic itaque ex Epicuro
libro 6 de qualitatibus rerum duplices assignant rerum species. Aliae sunt Sistasis hoc est
coagmentationes corpusculorum in aere de quibus hic non est sermo. Aliae aporrias hoc est
effluxiones iuxta sententiam Platonis, et Empedoclis, quibus res videntur 269 [...]. Posita ergo
hac doctrina iuxta Gassendum remanere species panis nil est nisi eas panis exuvias quae
sensus afficiat remanere quae tamen non sint substantia panis, et vini. Ex sententia nullo
modo miti probari potest, quia si heae exuviae non sint actu substantia panis fuerunt
nihilominus eius substantia cuius nulla pars remanet”.
94 Cfr. P. GASSENDI, Syntagma..., cit., p. I, l. VI, De qualitatibus rerum, cap. 1-9, p. 372-414.,
cfr. ivi, p. 380, 381.
95 Cfr. F. BERNIER, Abregé de la Philosophie de Gassendi, Lyon, J. B. Deville, 1676; II ed.
revue, et augmentée par l’Auteur, Lyon, chez Anisson, Posuel et Rigaud, 1684.
96 Cfr. ivi, I ed., p. 268, 269.: “Je dis selon la loy de la Nature; parce –que si on regarde la
Divine puissance, il nous faut avoir d’autres sentimens. Car comme Dieu est l’Autheur de la
Nature, il l’a crée et établie telle qu’il a voulu, et n’a pas prescrit à sa puissance la loy qu’il a
prononcée à la Nature. I’insinue ceci à cause des sacrez Mysteres dans lesquels nous sommes
enseignez, et professons que le corps est sans étendue, et que l’étendue du corps subsiste sans
le corps mesme. Car Dieu fait voir en cela qu’il n’est point attaché à la Nature, les ayant établies
luy-mesme, et qu’il n’est pas osté le pouvoir de faire toutes les fois qu’il le veut, ce qui semble
leur repugner”.
97 Cfr. J. B. LAGRANGE, Les Principes de la philosophie contre les nouveaux philosophes
Descartes, Rouhault, Regius Gassendi, le P. Maignan, etc., Paris, George Josse, 1675. Lo
scritto è dedicato al delfino.
98 Cfr. LA GRANGE, cit., p. 136-177.
99 Cfr. ivi, p. 177-229.
100 Cfr. ivi, p. 229-243.
101 Cfr. ivi, p. 243-298.
102 Cfr. ivi, p. 298-356.
103 Cfr. ivi, p. 356-378.
104 Cfr. ivi, p. 392-410.
105 Cfr. ivi, p. 417-579.
106 Cfr. ivi, p. 579-611.
107 I capitoli VII e VIII, cfr. ivi, p. 109-136.
108 Cfr. p. 1-49.
109 Cfr. ivi, p. 102: “Pour ce qui est de Gassendi et de Descartes, on peut dire que n’ayant pû,
ou n’ayant osé combattre par raison nostre Philosophie, il se sont contenté de luy insulter, en la
rejettant, et en faisant plusiers suppositions qui luy sont contraires”.
110 Cfr. ibid.: “XLIV. Le pere Maignan est autant opposé à la Philosophie ordinaire que les
philosophes dont j’ai parlé jusqu’à present, il se moque perpetuellement des formes
accidentales des Peripateticien; il croit comme Descartes et Gassendi, qu’il n’y a au monde que
des esprits et des corps, et la difference que nous mettons entre un Estre qui est seulement
spirituel ou corporel, et un esprit ou un corps, est selon sa pensée une supposition qui n’est pas
raisonnable. Il fait consister la nature de quelques qualités sensibiles dans le mouvement et
dans les differentes figures des parties”.
111 Cfr. ivi, p. 3.
112 Cfr. ivi, p. 26-30.
113 Cfr. ivi, p. 30-34.
114 Cfr. ivi, p. 34-36.
115 Cfr. ivi, p. 36-39.
116 Cfr. ivi, p. 39-41.
117 Cfr. ivi, p. 106-107.
118 Cfr. ivi, cap. VI, Des qualitez d’un Corps glorieux, et de la Quantité, p. 101, 102.
119 Su questo problema e sull’idea di Maignan al riguardo, cfr. infra.
120 Cfr. J. B. LA GRANGE, Les Principes de la philosophie..., cit., p. 106-108: “Ceux qui
soûtiennent les sentimens du Pere Maignan, sont obligés de répondre, non seulement à ce que
nous venons de dire contre Descartes et contre Gassendi dans ce chapitre, mais encore à tout
ce que nous avons dit jusqu’à present. Ce philosophe se moque perpetuellement des formes
accidentelles des Peripateticiens; il croit comme Descartes et Gassendi, qu’il n’ya au monde
que des Esprits et des corps; et la difference que nous mettons entre un Estre spirituel ou
corporel, et un Esprit ou un Corps, est selon sa pensée, une supposition qui n’est pas
raisonnable: Cela se voit par tous ses ouvrages.”.
121 Cfr. ivi, cap. VII, Des Accidens de l’eucharistie, p. 118, 119: “Les Apparences et les Espece
d’un objet, ne sont autre chose que son exterieur, ou les perfections qu’il a, par lesquelles nous
les connoissons et les distinguons des autres objets. C’est pourquoy ceux qui pretendent qu’il
ne reste rien aprés la Consecration de ce qui regarde le Pain, que les sentiments qu’il causoit en
nous auparavant qu’il fut converti au Corps du Fils de Dieu, ne peuvent pas soutenir que les
Accidents, que les Especes et Apparences du Pain demeurent dans l’Eucharistie sans sujet. Et
par consequent ils ne peuvent pas eviter la censure du Concile de Constance, lequel en
plusieurs endroit prononce anatéme contre tous ceux qui oseront enseigner, ou tenir
simplement aucune des propositions de Wiclef”.
122 Sulla dottrina di Maignan, infatti, afferma le seguenti cose, attribuendo la dottrina
cartesiana allo scienziato dell’Ordine dei Minimi; cfr. ivi, p. 122-125: “III. Mais n’est ce pas un
égrement d’esprit de dire que la superficie du Pain demeure, et de soûtenir en mesme temps
que ce n’est qu’une Entité Modale et non pas un Estre different de la substance du Pain? Car je
demande à Descartes ce que c’est cette superficie de Pain, aprés que le Pain est détruit: ou ce
n’est rien du tout, ou c’est un Estre; c’est, dit-il, une Entité Modale”. Cfr., inoltre, ivi, p. 109-
119.
123 Cfr. ivi, capitolo VIII, L’Opinion des Cartistes touchant les Accidents de l’Eucharistie est
de soy dangereuse, p. 120-135.
124 Cfr. ivi, p.129.
125 Cfr. ivi, p. 130-133, anche per quanto riguarda le accuse di luteranesimo rivolte ai
recentiores.
126 Cfr. infra.
127 Cfr. ivi, p. 128, 129: “Enfin la grande quantité de Miracles que l’Opinion des Cartistes
suppose, fait bien voir qu’elle rend le Mystere beaucoup plus difficile à croire, que l’Opinion
commune [...]. L’opinion des Cartistes suppose autant de Miracles qu’il y a de gens qui voyent
le Saint Sacrement: Car comme selon cette opinion il n’y a rien dans l’Eucharistie qui soit cause
des sentimens que nous en avons, il faut que Dieu agisse autant de fois, d’une maniere
extraordinaire, qu’il y a de gens qui voyent dans le Saint Sacrement de la Blancheur.”
128 E. MAIGNAN, Philosophia sacra..., ed. 1661, cit., I, cap. XXII, De Christo in Eucharistia,
p. 825-888.
Maignan premette alla trattazione una breve introduzione sul sacramento, seguendo il
catechismo romano, quindi anticipa i due punti cardine del problema che affronterà nel
seguito: “Quo sciliciat modo e qua virtute vel actione Christus non solum in omnibus altaribus
seguito: “Quo sciliciat modo e qua virtute vel actione Christus non solum in omnibus altaribus
toto orbe, ubi sacra Eucharistia vel conicitur; vel afferuatur, sit definitive praesens absque

detrimento praesentiae qua circumscriptive praesens in coelo sedet ad dexteram Patris: verum
etiam in qualibet hostia consecrata, et quovis calice consecrato sub speciebus panis et vini
totus et sub tota, et totus sub qualibet parte speciei. Alterum erit de ipsismet sensibilibus
speciebus, sub quibus ita est”, cfr. ivi,p. 826.
129 Cfr. ibid.
130 Cfr. T. RAYNAUD, Eucharistica, in Opera Omnia, VI, 3, Exuviae Panis et Vini: De veris
Accidentibus, non Corpusculis, in Eucharistia remanentibus, Appendix contra Magnanum et
alios, Lugduni, Sumptibus Horatii Boissat et Georgii Remeus, 1665, p. 147, 148:
Dopo aver esposto la dottrina eucaristica di Maignan, lo confuta con i seguenti argomenti:
“Sed facile est ex antedictis hunc autore refutare: Patet enim omnibus ictibus quibus spectrum
specierum intentionalium confundimus punct. 2, 3, et 4. habetque in sua philosophia ipse
novas difficultates; quia admittit sensus moveri per corpuscula et motum localem, quare aut
residuae erunt particulae in aere, sicque incidit in opinionem discussam sect. 3 huius tractatus;
vel si species sint aliquid distinctus a corpusculis, erunt actio quaedam Corporis Christi quae
apud hunc auctorem nequidem est modalis, quam ipse ab oculo et obiecto non distinguit, ergo
illae species seu sensu nova affectio non sunt aliquid panis, sed aliquid ei extrinsecum”.
131 E. MAIGNAN, Sacra Philosophia..., ed. 1672, cit., II, p. 400-435.
132 Nella conclusione delle Quarte Obiezioni alle Meditazioni di Descartes (AT VII, p. 214-
218), Arnauld identifica chiaramente le consequenze, di natura teologica, della negazione delle
qualità sensibili – estensione, figura, colore, odore, sapore – alla base della teoria della
percezione cartesiana che considera la superficie dei corpi come punto di partenza di tutti i
movimenti che colpiscono i nostri sensi.
Il filosofo, nella sua risposta all’allora giovane teologo (AT VII, p. 247-256), dichiarando
l’impossibilità di potersi convincere riguardo alla dottrina degli accidenti reali, afferma che a
suo avviso la superficie del pane consacrato a contatto con il nostro corpo, non è che il termine
medio che si frappone tra ciascuna delle particelle delle quali il corpo è composto e gli altri
corpi che lo circondano, e pertanto non costituisce la sostanza, né la quantità del pane.
133 J-R. Armogathe, ad esempio.
134 Cfr. E. MAIGNAN, Sacra Philosophia, ed. 1672, cit., prop. IV, Cap. XXII, De Christo in
Eucharistia, dove si contrasta la spiegazione cartesiana delle IV Obiezioni ad Arnauld, p. 865-
871: “Accidentia panis et vini, quae post consecrationem in Sacramento Eucharistiae
remanent, non sunt superficies aliquae ex eis conversis superstites: nec etiam substantiae
quaedam tenues, quae prius eorum poros replerent”.
135 Cfr. ivi, p. 867: “In primis D substantiae illae tenues, non aliae esse possunt, quam quae
sic permisceri solent passim vino et pani, ut non sint substantialiter, seu secundum formam
substantialem vinum et panis: unde cum a vino et pane abstractae fuerint, non erunt
substantialiter vinum et panis, licet quandiu pani et vino vel adhaerescunt, vel inhaerescunt
intus commistae, censeatur usu communi vinum et panis: ut quando aliquid aquae mixtum est
vino, iam id non reputatur aqua […]. Superficies E vero illa, quae dicitur esse media inter
singulas tum panis tum vini particulas, et corpora eas ambientia; non potest alia esse, quam
illa, quae extima est atque terminativa, seu panis seu vini superficies: nam et haec sola est,
quae ita est media, et non alia est, in qua fiat contactus etc. quod optat Cartesius.
Iam, ut haec impugnem simul. Evidens est non tantum substantiae esse in iis solis
superficiebus, vel in iis solis tenuibus pani aut vino permixtis substantiis seorsim a pane ac
vino sumendis post consecrationem; quantum erat prius in pane ac vino, sumendo simul hinc
eorum substantias, hinc superficies istas, tenuesque substantias. Atque insuper evidens est
substantiis istis tenuibus, et superficiebus proprietates inesse multum dissimiles iis quae
connaturaliter sunt substantiarum panis et vini: quandoquidem ut hi ipsi profitentur autores,
istarum illae sunt accidentia; proptereaque (ut sane hinc sequitur) necesse est diversas his et
illis esse conditiones essentiae, hoc est, non esse utrisque essentiam unam specie communem
et physice homogeneam. Ergo (quod hinc ulterius sequitur) diversae omnino sunt his et illis
proprietates, et consequenter operationes etiam diversae; ac praesertim in sensus”.
136 Cfr. ivi, p. 868: “Praeterea H. posito quod panis ante consecrationem habeat poris
interfectas alieni corporis particulas, ut odoris adventij, sive halitum spirituosorum etc.,
huiusmodi; quae facta consecratione, et recedente panis tota substantia, dicantur superesse
tanquam accidentia panis; experientia docet remanere, ut dicebam, pondus idem ac totum
quod erat prius. At sine dubio totum illud pondus quod erat prius, non erat solius intermitti
odorati corporis, vel aliorum huiusmodi; sed aliqua saltem eius portio, quae propria erat
substantiae panis [...].
Demum I superficies illa media inter particulas seu panis seu vini, et aerem ambientem, nempe
illa quae panis ac vini substantiam undique terminat. Caret omni profunditate, et cum iuxta
hanc sententiam, illa sola supersit post consecrationem: consequens est ut permaneat instar
folliculi, aut vescicae tenuissime excluso succo aut alia quavis intus contenta substantia”.
137 La tesi cartesiana, secondo Maignan, non può spiegare come giungano ai sensi le particelle
137 La tesi cartesiana, secondo Maignan, non può spiegare come giungano ai sensi le particelle
del pane e del vino, dopo che il pane è stato spezzato: non si tratta della medesima superficie
che il pane aveva subito dopo la consacrazione. Cfr. ivi, p. 868, 869.
138 Cfr. ivi, p. 869: “Quia enim de quacunque re sensibili, ut Quod, videlicet sensibili per
propriam a re impressam, suique directe rapraesentativam speciem; et eatenus sub ea aeque
directe secundum se demonstrabili, evidens est posse (demostrando ad sensum eam) dici Hoc
sive Haec res [...] unde consequenter de substantiis illis tenuibus, et superficiebus dici poterit
Hoc [...]. Quia vero forma consecrationis Hoc est corpus meum, eatenus tantum est vera;
quatenus hoc sensibile ut Quod ac directe demonstrabile, est ipsummet corpus Christi (ut patet
hunc esse eius sensum) consequens est non posse esse veram, si sensibile ut Quod
demonstratum directe ad sensum per particulam Hoc, est idem quod superficies, vel
substantiae quaedam tenues ex pane residuae: quatenus de facto eae non sunt, et absolute
nequeunt esse corpus Christi”.
139 Cfr. DUNS SCOTO, In IV Sententiarum, l. IV, dist. XI, q. 3., nn. 25-57.
140 Cfr. ID., Reportationes, l. IV, dist. XI, q. III, n. 22: “Dico igitur quod primus terminus
hujus conversionis est aliquod compositum ex materia et forma substantiali non intellectiva,
sed aliqua forma mixti per quod corpus est in proxima dispositione ut animetur”; cfr., inoltre,
ID. In IV sententiarum, loc. cit., n. 57.
141 Cfr. ibid., n. 19.
142 Cfr. ibid., q. VII, n. 4.
143 Cfr.ivi, l. IV, dist. 10, q. I, n. 10.
144 Cfr. ivi, q. I, nn. 14-17.
145 Cfr. ivi, q. 3, nn. 2, 7.
146 Cfr. ID., Reportationes, l. IV, dist. X, q. VI.
147 Cfr. E. MAIGNAN, Philosophia Sacra..., ed. 1661, vol. cit., p. 856- 858:
“Sed venio ad propositum. G. Cum in Phil. Nat. Cap. 19 prop. 2, ut iam citavi, ostenderim eam
actionem, qua Deus tribuit alicui rei esse; et eam qua tribuit eidem sive permanenter unum
locum ut A; sive successive continua plura loca ut B, C, D; sive etiam (quod inde sequitur)
plura successive non continua sed discreta quasi per saltum, ut B et D: esse unicam simplicem
actionem non vero duas aut plures: eo quod primo impossibile sit ut enti Deus tribuat esse
quin eidem simul necessario tribuat esse in loco; quatenus alioquin illud esse nullibi”.
148 Cfr. ivi, p. 859: “Igitur actio qua omnes corporis Christi particulae ponuntur in una
qualibet hostiae consacratae particula ut A, quae sit uni cuilibet corporis particulae aequalis;
non est aliud physice quam omnes partiales omnium corporis particularum creationes ut
exercitae in loco unius sub hostiae particula A. Et quia similiter actio, qua omnes iterum
corporis Christi particulae ponuntur in alia eiusdem hostiae particula, ut B, quae pari modo sit
aequalis uni cuilibet particulae corporis; non est aliud physice, quam omnes partiales omnium
corporis particularum creationes ut exercitae in loco unius sub hostiae particula B.
Consequenter componendo, actio qua singulae et omnes corporis particulae ponuntur sub
singulis et omnibus hostiae particulis; non sunt aliud, quam partiales tum singulae tum simul
omnes; id est, singularum et omnium corporis particularum creationes ut exercitae in loco
unius sub singulis et omnibus hostiae consacratae particulis”.
149 Nato ad Antibes, in Provenza il 28 agosto 1658, morto a Parigi, il 28 dicembre 1729
150 Cfr. E. MAIGNAN, Philosophia Sacra..., ed. 1661, cit., p. 873, 874: “Dices O hoc non esse
accidens panis et vini, sed eorum substantiam, ut nutrire possint, et converti in substantiam
aliti etc. non enim accidens est, sed substantia, quae in substantia vertitur. Ergo non est bona
sequela ab accidentibus sensibilibus panis, calore, sapore, odore, etc. ad vim alimentitiam,
quae est substantia ipsa: quasi consequens sit Christi corpus et sanguinem exercere
substantialiter loco panis, et vini, vim alimentitiam; ex eo quod per sua accidentia sensibilia
exerceat in sensus id quod suis sensibilibus exercent in eosdem panis et vinum. Sed contra, P.
quia vis alimentitia, eiusque effectus est quid sensibile, et sub experientiam ipsam sensatam
cedens: et in hoc convenit cum omni sensibili. Ergo quoad hoc quod est movere sensus, valet
ad eam sequela a caeteris sensibilibus, sive ea sint entitative accidentia, sive substantiae.
Et confirmatur, Q quia multo minus manet vis alimentitia panis, quam albedo panis. Cum ergo
nihilominus peracta consecratione non minus sentiatur effectus nutritionis, quam effectus
albedinis: necesse est loco panis alicui alteri agenti effectum utrunque tribuere. Si ergo corpori
Christi, qua album est, effectus panis qua albi tribuitur, eo quod corpus Christi sit loco panis:
consequenter est ut ob eandem rationem corpori Christi, ut vim habenti alimentitiam,
tribuatur effectus nutriendi, qui esset panis ut vim habentis alimentitiam. Quod si dicatur non
esse necesse, ut posterior hic effectus tribuatur Christi corpori; contendam ego non esse pariter
necesse, ut tribuatur ille prior. Et aliunde nullus non iudicabit multo magis esse rationi
consentaneum, ut si non unus ei tribuitur, nec alter sit tribuendus; sed sint in unam ambo
causam communem refundendi, ut sequenti prop. Fiet. Ex his tamen puto concludi optime
posse, ut fuit propositum, illa quae in Eucharistia post consecrationem etc”.
posse, ut fuit propositum, illa quae in Eucharistia post consecrationem etc”.
151 Cfr. ivi, p. 410, 411: “Iam vero explicata corruptione, facile ex eodem principio explicatur,
quomodo fit in hoc Sacramento, ratione specierum tabes, ut dixi, putredo, marcor fitus, aliaque
similia, si qua sint. Quodlibet siquidem ex illis est genus quoddam corruptionis. Nam in primis
tabes et corruptio qua res ex interno quodam vitio extenuatur. Erit igitur in speciebus panis at
vini tabes, corruptio qua ob infusum ex are, aut aliter, humidum dissolvuntur, aut e contra,
exarescunt ob aeris tum aridioris bibulam naturam, tum agitati motum, quo difflantur.
Putredo autem est similiter corruptio, propter externi calidi actionem in humidum internum,
dissipando et ita exsiccando. Marcor est idem quod tabes, aut putredo; secundum quod res
marcere dicitur, cum languescit, vel arescit deficiente humido. Situs autem vel est lanugo
quaedam ex humore creata, praesertim in locis sole carentibus: vel est idem quod foedus odor
ac teter: utrumque autem facile oritur ex humore adventitio; denique aciditas fit aut
evaporatione interni suavis humidi; vel accessu externi acris humidi alterantis internum. At
hoc modo situs et marcor ad eam corruptionem reducendi sunt, quae sit per quantitatis vel
additionem vel diminutionem”.
152 Cfr. ivi, p. 411, 412: “52. Quoad quantum, nempe quoad ea quae fiunt a Sacramento, seu
quae ad Sacramentum facit; ea quidem sunt varia et multa: sed omnium ratio est una ac
eadem; quia ut dicebat D. Th. Relatus ad secundum, accidentia vi consecrationis consequuntur
modum agendi et patiendi substantiae; vel etiam quia ut initio dicebam, accidentia, dum
aderat panis aut vinum, erant pani et vino ratio seu potentia agendi; hoc est agebat immediate,
quamvis ageret nomine panis et vini; quorum erant activae potentiae: nunc vero absente pane,
cum non amiserint vim agendi quam habebant, agunt etiam actione propria immutando
sensus; atque adeo sentiuntur ut talia, non minus quam si adessent panis et vinum”.
153 Cfr. ivi, p. 412: “53. Quo ad quintum, nempe quoad modum quo ex speciebus alteratis, aut
corruptis fiunt cineres, aut vermiculi generantur; aut enim nutritur communicans, ut agnoscit
D. Thomas q. 77 art. 6 in corp. His verbis, Homo diu sustentari posset, si hostias, et vinum
consecratum sumeret in magna quantitate. Et art. 5 in arg. Sed contra, Ad sensum videri
potest ex speciebus Sacramentalibus aliquid generari, vel cineres si comburuntur; vel
vermes, si putrefiant; vel pulveres, si conterantur. Cinerum autem et vermium generationes
huiusmodi. Sic explicat ut in corp. art. fateatur id esse difficile. Ac primo quidem quatuor
argumentis contendit impossibile esse, ut (quod ait a quibusdam dici) generationes illae fiant
ex aere circumstante. Secundo duobus argumentis contendit esse impossibile id quod, ut ait,
alij dixerunt, quod redit substantia panis et vini in ipsa corruptione specierum: et sic ex
substantia panis et vini redeunte generantur cineres, aut vermes, aut aliquid huiusmodi.
Tertio quamvis tandem fateatur sustineri posse praedictam positionem de pane et vini materia,
quae, ut ait, magis de novo creata diceretur, quam rediens: eandem tamen positionem reicit;
quia, ut ait, non rationabiliter videtur dici, quod miraculose aliquid accidet in hoc
Sacramento; nisi ex ipsa consacratione, ex qua non est, quoad materia creetur vel redeat.”.
154 Cfr. DUNS SCOTO, In IV Sententiarum, l. IV, dist. XII, q. VI, n. 4 e cfr. E. GILSON, Jean Duns
Scot, Paris, Vrin, 1952, p. 490-494.
155 Cfr. E. MAIGNAN, Sacra Philosophia..., cit., p. 874, 875: “ Explico me. E. si sint panis duo v.
g. sapores, quorum quidem unus sit per accidens tantum, et ut Quod sensibilis immediate per
se et ut Quo id est quorum unus sit panis intrinsecus, tanquam id quo intrinsece panis est
sapidus; alter vero sit eidem pani extrinsecu, tanquam id quo panis praebet se extrinsece
percepiendum sensu sub ratione sapidi: item si duae gravitates; nempe una intrinseca, ut
dictum est, quae sit per accidens tantum et ut Quod sensibilis; altera vero extrinseca quae sit
sensibilis per se, et ut Quo: item si duae quantitates, duae siccitates, duae albedines, et ita de
aliis. Ac similiter in vino, si duae sint humiditates quarum una extrinseca, ut dictum est sit
immediate sensibile per se ut Quo, et altera intrinseca et solum per accidens sensibilis etc. Ad
eum modum, quo Scotus de anima disp. I sect. 18 n. II ad obiectionem 9, ubi obiicitur ex
Conimbricensis gravitatem et levitatem esse potentias distinctas a subiectis, et consequenter
idem dicendum de potentiis animae: respondet antecedens verum esse de separabili levitate et
gravitate; non autem inseparabili”.
156 Cfr. E. MAIGNAN, Cursus philosophicus..., ed. 1673, cit., Cap. VI, De causa efficiente, p. 209,
“A sect. 9 transeo q ad 11, quia de 10 actum est ab initio. Ad 11 igitur, cui titulus est hoc modo
Refellitur Atomistarum doctrina ex mysterio Eucharistia; dico vigere in ea vel maxime
praeiudicium vetus cum tota eius credulitate, sub obtentu illo specioso fidei sanctissimae;
quod, ut certius intelligatur, opto ut lector, praeter alia, quae in Philos. Sacra cap. 22 prop. 6
opposui argumento ex Sacra Eucharistia ducto; appendice 5 meam recognoscat a num. 37; ibi
enim (ut caeperam ibidem num. 35) agnoscet argumentum tale omne esse fallax, et petere
principium; adeoque loco fidei certioris, nihil habere nisi plurimum credulitatis”.
157 Cfr. E. MAIGNAN, Sacra Philosophia..., cit., p. 876, 877: “Est autem evidenter sensibile
tantum mediate, quidquid non per se, sed per aliud a se distinctum est sensibile. Super ergo ut
sapor, albedo, figura, etc., ut dixi, secundi generis, nihil aliud sint quam species impresae
saporis, albedinis, figurae etc. primi generis: hoc est, ut dixi, substantiae ut sapidae, ut albae
etc. [...].
Deinde P. species istae impressae, immediate per se sensibiles ut Quo, seu per quas substantia
Deinde P. species istae impressae, immediate per se sensibiles ut Quo, seu per quas substantia
secundum suas illas dictas proprietates seu affectiones, exponit se (ut ita dicam) sensibus, et
facit se ut Quod sentiri, non aliud esse possunt, quam operationes obiectivae: quibus nimirum
substantia secundum praedictas affectiones, movet formaliter sensus, et ab eis facit se percipi”.
158 Cfr. ivi, p. 879, 880: “Aliunde E. vero, ut satis patet, contra eundem dicendi modum
hactenus expositum, non magis aliquid probatur; quam contra quantitatem accidentium
distinctam a quantitate materiae in sententia Nominalium, et Scoti num. 4 ut contra
resolutionem usque ad materiam primam; seu (quod idem est ad propositum) contra
remanentiam accidentium in cadavere secundum solam specificam, non autem secundum
individualem identitatem in sententia Thomistarum: aut contra eos qui communissime iam
tenent quantitatem, gravitatem, humiditatem, siccitatem, etc. non distingui a substantia, et
remanre solum apparenter (ut Arriaga num. I) hoc est per sui speciem, seu per accidens sui
rappresentativum, in Eucharistia: vel F denique contra vim nutritivam panis; quae quamvis de
se nihil aliud sit, quam ipsissima substantia panis, secundum quod per sui novam cum alito
coniunctionem (quae est ad generatio, et vocatur nutritio) sit substantia aliti, seu sit pars
substantiae eius totalis; quodenim de se substantia non est, nusquam firi potest vel esse de
novo substantia aliti: licet, inquam, ut ex his patet, vis nutritiva sit ipsamet limenti seu panis
substantia; manet nihilominus in Sacramento apparenter; quatenus in eo qui vescitur atque
nutritur pane consecrato, non minus apparet panem, qui non est, nutrire; quam appareat
panem, qui non est, album esse, et gravem, et rotundum, et sapium, quatenus non minus
percipitur effectus qui est alere, quam effectum qui est disgregare visum, et gravitare, et
moveri palatum etc”.
159 Cfr. ivi, p. 880: Solvuntur ea quae contra praecedentem doctrinam videntur posse obiici.
160 Cfr. ivi, p. 881: “Quemadmodum enim demonstratio in geometricis ex aliquo postulato
deducto, non valet ad probandam ipsum postulatum. Q. Et sicut v. g. Copernicanam hypotesim
de terrae mobilitate non probat concinna et idonea coelestium minimum phaenomenon
explicatio facta per eam hypothesim. Ita quantumvis optime explicarentur Eucharistica
phaenomena per hypothesim formarum accidentalium, quae sint amplius aliquid, quam
accidentia per se immediate sensibilia, et quam operationes obiectivae ac species: haec tamen
esset mera hypothesis, et gratuita hypothesis; nec probari efficaciter posse circulari regressu
per ipsammet ita concinnatam explicationem”.
161 Cfr. ivi, p. 882: “Dices 4. Y Accidentia cum dicantur manere; debent esse eadem numero,
quae prius erant in pane et vino: aliqui esset illusio. At non possunt operationes obiectivae
manere secundum identitatem numericam; cum non maneat idem operans nimirum panis:
implicat autem esse eandem numero operationem ab alieno operante [...].
Dices 5. B. Concilia Lateranense, Florentinum et Tridentinum definiunt accidentia remanere.
Respondeo. I. Ista C. Concilia nusquam habent nomen accidentium: retinent enim, ut
numero 9 dicebam Specierum antiquam vocem, quae significat non aliquid in obiecto existens,
sed aliquid ab eo impressum sensui: licet alioqui, ut et numero 32 dixi, hae species revera sint
obiecti accidentia, et qualitates. Respondeo 2. D. Ista Concilia ubi de speciebus loquuntur, et
remanere eas dicunt, seu supponunt ex ipsa sensuum experientia, quam nemo in dubium
vocavit unquam; non dicunt quid physice rei sint illae species: nempe id ad sacramenti Fidem,
seu quoad substantiam, seu quoad explicationem, nihil facit. Denique cum ut dixi ea Concilia
nusquam, ubi agunt de Eucharistia, usurpent nomen accidentium, longe abest ut ea definiant
manere sumpta in sensu de quo hic ambigitur”.
162 Cfr. ivi, p. 885.
163 Cfr. ivi, p. 886 “Adde S. quod, etsi Theologi aliqui doceant esse de Fide; non tamen eorum
autoritas se sola id facit esse de Fide; quatenus nec a priori, ut dicitur, est infallibilis sicut
autoritas Scripturae, Conciliorum, et Summi Pontificis; nec a posteriori ut est autoritas Patrum
communi consensu aliquid idem dicentium in materia religionis”.
164 Cfr. ibid.: “Et praeterea contra id fortasse posse obiici, videlicet illusionem futuram
sensuum in sententia sumente species pro iis accidentibus quae sunt operationes obiectivae,
non pro iis quae sunt quantitas, color, sapor etc., dicendum non magis fore illusionem iuxta
hanc sententiam in Eucharistia, quam fuerit iuxta communissimam et manifestam in aliis circa
Christum ipsum occasionibus. V. g. Quando ille discipulis in Emmaus visus est et auditus sub
specie peregrini; quamquam de peregrino nihil re eae esse in eo”.
165 Cfr. ivi, p. 888: “At vero species, quas ego pono, sunt solum ut Quo sensibiles, et eatenus
non possunt demonstrari ad sensum; quia non sunt sensibiles nomine sui sed solum nomine
obiecti; quatenus non habent sui speciem, qua possit ratione sui demonstrari; non habent
autem, quia ipsae sunt obiecti species, et non datur species speciei. Et aliunde cum sint
obiectivae operationes substantiae per eas sensibilis, seu quae per eas afficit sensus, necesse
est in hac sententia formae consecrationis esse veram et omni proprietate sermonis”.
166 Cfr. G. GORI, Lettere filosofiche, a c. di A. R. Capoccia, Firenze, Olschki, in corso di
pubblicazione.
167 In quelle di Ignazio Guarini, ad esempio. Cfr. introduzione, p. 54-57; cfr. A. R. CAPOCCIA,
L’Insegnamento della filosofia cartesiana..., cit.
L’Insegnamento della filosofia cartesiana..., cit.
168 Cfr. U. BALDINI, Legem impone subactis, cit., p. 38, 39.
169 Per la bibliografia sul problema, ci limitiamo a citare: U. BALDINI, Legem impone subactis,
loc. cit.
170 Ci riferiamo, ad esempio, alle opere di Maignan, agli scritti di Saguens e ai numerosi testi
polemici che ne sono conseguiti, quali, ad esempio, gli scritti di La Grange.

References
Electronic reference
Anna Rita Capoccia, « Modernità e ortodossia: strategie di conciliazione e dissidenza
nell'insegnamento della filosofia nei collegi gesuitici del primo Settecento », Les Dossiers du
Grihl [Online], 02 | 2009, Online since 15 February 2010, connection on 16 May 2022. URL :
http://journals.openedition.org/dossiersgrihl/3678 ; DOI :
https://doi.org/10.4000/dossiersgrihl.3678

About the author


Anna Rita Capoccia
Anna Rita CAPOCCIA si è laureata in filosofia nel 1996 presso l’Università degli Studi di Roma
"La Sapienza", con una tesi dal titolo Giulio Gori S.J. e le sue Lettere morali.Ha conseguito il
Diploma di specializzazione della Scuola di Archivistica, paleografia e diplomatica dell’Archivio
di Stato di Roma, nell’ottobre del 1999.
Ha ottenuto, nel dicembre del 2001, l’abilitazione all’insegnamento della filosofia nelle scuole
secondarie. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca il 25 giugno 2005, discutendo la tesi:
L’Introductiophysicae aristotelicae (1723) di Giulio Gori SJ e l’insegnamento della filosofia
naturale al Collegio romano” (corso di dottorato quadriennale in “Storia delle idee” presso
l’Università degli studi di Roma “La sapienza”). Ha pubblicato diversi articoli per riviste di
filosofia e storia delle idee e redatto alcune voci per il Dizionario Biografico degli Italiani,
(Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani); ha partecipato a vari convegni e seminari
in Italia e in Francia. In corso di pubblicazione le Lettere filosofiche di Giulio Gori (Firenze,
Olschki).

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