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STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO II

17/10/2022
XX

18/10/2022
L’età moderna (XVI/XVIII secolo) vede ancora come sistema giuridico di fondo il sistema di diritto comune
nato e formatosi nel tardo medioevo. Sta entrando in crisi per certi aspetti, ma continua a tenere. Il sistema
di diritto comune procede per stratificazioni successive: nulla viene abrogato, si aggiungono nuovi strati e
nuove opere, redatte con metodi nuovi e di giuristi successivi, ma resta sempre valido il fondamento del
diritto costituito da Corpus iuris civilis e canonici (e successivi apparati interpretativi).

Il sistema di diritto comune e le sue fonti: il Corpus iuris civilis


La definizione di Corpus iuris civilis si afferma solo in età medievale, che dunque è da tenere distinto dalle 4
compilazioni normative di Giustiniano (Digesto, Istituzioni, Codice, Novelle). Il Corpus è l’insieme delle fonti
civilistiche di diritto comune:
- 4 compilazioni giustinianee, organizzate in modo diverso;
- Altri corpi normativi = il Corpus non include solo fonti di diritto romano (in particolare giustinianee),
ma fonti normative medievali (diritto longobardo-franco, diritto medievale, etc.) e apparato
interpretativo della glossa ordinaria, che accompagna il testo ed è frutto dell’attività interpretativa
medievale (dottrina giuridica medievale).

Il sistema di diritto comune è un sistema giuridico che include fonti giuridiche diverse e lontane fra loro per
origine e per natura:
- Diritto romano giustinianeo = compilazioni promulgate da Giustiniano;
- Glossa ordinaria = interpretazione dottrinale, citata ancora nella piena modernità;
- Iura propria =
Non tutte le fonti sono contenute nel Corpus, altre fonti importanti appartengono ad altri ordini:
- Consuetudine, spesso redatta per iscritto nel medioevo per questioni di certezza e dimostrabilità
del diritto. Può essere redatta come consuetudini locali di una certa area geografica, oppure può
confluire negli statuti delle civitates, le città.

Si distingue fra diritti che hanno carattere universale e diritti che hanno carattere particolare:
- Universale:
 Diritto romano comune (Corpus iuris civilis), che regola l’ambito civilistico;
 Diritto canonico (Corpus iuris canonici), che regola l’ambito spirituale, seppur in certe materie si
intreccia con il diritto comune (es. matrimonio, diritto ereditario).
I due diritti, che fanno capo a due fonti distinte, sono in un rapporto osmotico: c’è uno scambio di
contenuti (es. le glosse del Corpus iuris civilis richiamano i decreti canonici; nel Decreto di Graziano
molte norme sono tratte dal diritto romano). I due diritti hanno una propria individualità, facendo
capo a due corpi diversi, ma vivono in un rapporto stretto, tanto che la laurea in diritto fino all’età
moderna è la laurea in utroque iure (anche se poi si specializzano).
Il diritto comune si applica all’intera cristianità senza confini, per questo entra in crisi nell’età
moderna quando i sovrani iniziano a rivendicare la propria autonomia giuridica: fonti normative da
applicarsi solo all’interno dei confini nazionali.
- Diritti particolari = diritti propri di alcune comunità. I diritti particolari possono riferirsi a comunità
data dalla natura dei suoi membri, oppure data dalla dimensione territoriale/geografica. Sono diritti
la cui applicazione è data da vari status giuridici personali: ad es., il diritto longobardo-franco si
applica alle genti di origine longobarda o franca, dunque la sua applicazione è data
dall’appartenenza a quest’ origine delle persone coinvolte nel giudizio. Così anche il diritto feudale,
diritto che si applica fa dominus, vassalli e sottoposti. Il diritto commerciale (ius mercatorum) si
applica in tutta Europa alle cause legate ai commerci, rispetto alla natura di mercator della persona
o persone coinvolte.
Il diritto locale che si incontra più frequentemente è il diritto statutario, cioè il diritto che il singolo
comune si è dato e che si applica solo all’interno delle mura di quella città. Ci sono poi anche le
norme regie, che diventeranno sempre più numerose nel corso dell’età moderna, dando vita al
diritto regio che poi diventerà il diritto nazionale.
Il diritto proprio è quello più applicato, in particolare il diritto statutario. Tuttavia capitava spesso
che il caso specifico non fosse normato in modo preciso dallo statuto, per una lacuna nello statuto
oppure per un problema di interpretazione delle norme statutarie: in questo caso si richiedeva
l’intervento del giurista dotto, il consilium sapientis iudiciale, che chiariva come a suo giudizio
dovesse essere regolato il caso specifico, decidendo sulla base della sua conoscenza del diritto
romano comune, cioè delle norme del Corpus iuris civilis (o talvolta, canonici). I diritti universali
avevano dunque una funzione sussidiaria: il giurista si forma sullo studio di questi diritti (il
programma di studi era lo stesso in qualunque università), poi, sulla base delle competenze che ha
acquisito, esercita e studia il diritto locale del luogo in cui si trova a lavorare.
Al centro di questo panorama sta la dottrina giuridica medievale, chiamata a risolvere i problemi delle
lacune dell’interpretazione dei vari diritti particolari. Il giudice medievale è un ufficiale comunale che non
ha una formazione giuridica alta, non si è formato in università: ha studiato il diritto particolare, ma non ha
le competenze per risolvere i problemi interpretativi. Inoltre il giudice è responsabile personalmente dei
danni eventualmente provocati da errori giudiziari.

L’attività che connota il giurista in età medievale è l’attività interpretativa: ci sono molti diritti diversi e
bisogna di volta in volta trovare una soluzione per la loro integrazione. Quest’attività non è la semplice
scelta di quale norma applicare: i diritti particolari sono molto lacunosi e parziali, dunque il giurista deve
ritrovare il diritto da applicare risalendo ai principi attraverso un’attività molto libera.
I pareri forniti dai giuristi dotti erano allegati agli statuti per essere osservato anche in tutti i futuri casi
analoghi: in questo modo il diritto statutario si accresce non solo per l’attività legislativa del comune, ma
anche grazie ai pareri legali rilasciati dai giuristi di scuola. Se poi lo statuto è riformato, il giurista incaricato
del lavoro inserisce formalmente nello statuto le norme nate dai pareri dei giuristi dotti.
Nel diritto medievale la funzione di ius dicere è un’attività da intendersi in senso più ampio, che in certi casi
finisce per sovrapporsi con l’attività legislativa: non c’è ancora la netta separazione dei tre poteri
giurisdizionale, normativo ed esecutivo.

La compilazione giustinianea
Power point!

La compilazione del Corpus iuris civilis è tradizionalmente attribuita al giurista Ernerio, che dà avvio alla
scuola dei glossatori.

19/10/2022
Non c’è una precisa gerarchia delle fonti: al vertice stanno i due diritti universali (civile e canonico), ma
questi non si applicano in modo immediato e diretto a tutti i soggetti, in quanto hanno funzione sussidiaria.

Fonte 1
Prima parte del Digestum vetus. Riproduzione di una copia del Corpus iuris civilis a stampa (cinquecentina).
Al centro si trova il testo giustinianeo, intorno si trova la glossa ordinaria di Accursio, che è una
razionalizzazione di tutte le glosse precedenti, che rimane poi cristallizzata in questo modo per tutti i secoli
successivi.
Edizione comune del Corpus iuris civilis, quella che circolava comunemente e su cui si formavano i giuristi.

La glossa apposta alla lex facturus (o prima). Il titolo II si occupa dell’origine delle magistrature e dell’
evoluzione della giurisprudenza romana.

Compare quasi subito il termine interpretatio, si parla del problema della legum vetustarum interpretatio:
interpretazione delle leggi antiche, concetto che importa molto alla scienza giuridica medievale (più che la
ricostruzione storica di come erano interpretate le XII tavole nel diritto romano), poiché il diritto romano
comune è perlopiù composto da leggi antiche, anche di sei/sette secoli.

La glossa interpretationem è la glossa numero r, in cui Accursio fa una sintesi su cosa si debba intendere per
interpretazione, in particolare delle leggi antiche.

Testo r. Interpretationem. Verbum interpretationis in proprio sensu denotat vocabuli apertam


significationem, hic tamen largius ponitur pro correctione, arctatione, et prorogatione: ut infra, ad
Tertullianum l. prima. §. qui operas.
Traduzione r. Interpretazione. Il termine ‘interpretazione’, in senso proprio [letterale], significa ‘dare
una spiegazione letterale’ [aprire il termine, interpretazione esplicativa] di un vocabolo; qui [dove si sta
parlando dell’interpretazione delle leggi antiche] tuttavia lo si usa in un senso più ampio [esteso], quello di
correzione (correctio), riduzione (arctatio) ed estensione (prorogatio) del portato di una norma: come si
legge più avanti (nel Digesto), in un passo di Tertulliano, legge I, paragrafo ‘qui operas’.

Siamo di fronte a un complesso di norme che è stato promulgato molti secoli prima per un’altra società e a
rigore non è propriamente diritto vigente nel Medioevo, anche se viene riguardato come tale: non c’è più
un soggetto che possa considerarsi legislatore e garante di questo testo normativo. Questo corpo
normativo è fondamentale per i medievali per motivi diversi da quello di una sua precisa vigenza nell’età
medievale. È il complesso normativo più ampio e meglio definito che giunge ai medievali da un’età passata:
questo è il prodotto più alto della traduzione giuridica precedente.

Il carattere di sacralità che circonda il CI canonici, in quanto formato anche da passi di testi sacri, si
comunica anche al CI civilis. All’epoca non c’era una separazione fra diritto e teologia, per cui il giurista
medievale riguarda il CI civilis come un testo sacro: i principi in esso contenuti hanno un carattere di
sacralità, in quanto è considerato l’unica testimonianza tangibile di un concetto di giustizia che affonda le
sue radici nella volontà divina. Dunque l’attività del giurista è anche quella di correzione delle norme, in
quanto il giurista medievale rivendica una propria libertà interpretativa, ma bisogna sempre tenere
presente che questo corpo normativo era considerato quasi alla stregua della Bibbia.
Per risolvere i contrasti fra norme si cercava di trovare delle specificità per entrambe le norme, in modo da
circoscrivere l’ambito applicativo dell’una e dell’altra norma.

Il metodo delle distinctio


Il metodo esegetico privilegiato per risolvere i conflitti normativi è quello che sfocia in un enunciato, che ha
la forma della distinctio, una ‘distinzione’, che convalida entrambe le norme.
Questo metodo interpretativo procede attraverso la scomposizione della norma nelle sue parti, in una serie
di sotto-proposizioni particolari e autonome;
l’analisi di ciascuno di questi elementi, ognuno dei quali riflette un distinto aspetto sotto il quale la
questione giuridica può essere esaminata;
il rinvenimento della soluzione al conflitto normativo (che viene ‘negato’, perché si rivela un conflitto solo
apparente), con l’individuazione di un elemento specifico, presente in una delle due norme, che giustifica la
sua soluzione normativa diversa e orienta la scelta del giurista nella soluzione del nuovo caso specifico
sottoposto al suo esame.
Il procedimento della distinctio si rivela spesso innovativo e creativo di nuovo diritto

Questo metodo permette di salvare la validità di entrambe le norme, risolvendo il conflitto normativo. Il
processo passa per una scomposizione delle norme nei loro elementi e per un confronto fra le norme per
verificare quali elementi di differenza possano essere rinvenuti.
In questo modo si salvaguardia una coerenza interna del sistema normativo: infatti se le norme sono
discese dalla volontà di dio, non è ammissibile che si ritrovi un contrasto fra le norme. Dunque le norme
sono apparentemente in contrasto, ma è necessario analizzarle più approfonditamente per rinvenire la
necessaria armonia fra le norme.

BUON GOVERNO E TIRANNIDE


Temi al centro delle opere di Jean Bodin, teorico del moderno concetto di sovranità (potere assoluto e
perpetuo proprio dello Stato) e di Althusius. Secondo Althusius, invece, la sovranità appartiene alla
comunità politica nel suo insieme, cioè del popolo, il quale sceglie un proprio rappresentante e gli
conferisce alcune funzioni di governo, ma solo ed esclusivamente perché le eserciti nell’interesse della
comunità politica. Per questo, se chi governa esercita le funzioni che gli sono state attribuite dalla comunità
in modo iniquo o in vista di un interesse personale, è legittimo e doveroso da parte della comunità politica
mettere in atto una serie di misure di resistenza a questo comportamento, fino ad arrivare alla sua
destituzione o addirittura il tirannicidio (se necessario) (diritto di resistenza).
Althusius e Bodin sono due voci estremamente importanti all’interno di un dibattito dottrinale molto
ampio. A partire dalla pubblicazione dell’opera di Bodin, moltissimi giuristi riflettono e scrivono intorno al
problema della sovranità: come la si debba intendere, anche a seconda delle differenze storico-geografiche.

Bodin e gli altri autori che riflettono intorno al problema della sovranità continuano a citare una serie di
opere e luoghi celebri della scienza giuridica tardo-medievale, a partire da un complesso di trattati di
Bartolo da Sassoferrato (metà Trecento), in cui Bartolo sviluppa la sua riflessione intorno al governo della
civitas, alle forme di governo, al concetto di buon governo e di tirannide come governo degenerato.

Il tema del buon governo e della tirannide è uno dei grandi temi della cultura medievale, infatti ritroviamo
nell’arte molte testimonianze che hanno ad oggetto questi temi (cfr. allegoria del buon governo, Siena).
Il tema della tirannide è un classico su cui si era già esercitata la filosofia e la politica antica, in particolare
fra gli autori più importanti su questo tema troviamo Erodoto, Platone, Plutarco, Polibio: avevano riflettuto
sul problema delle forme di governo rette e delle forme di governo degenerate. Lo schema classico che si
era definito contemplava tre forme di governo rette, perché indirizzate al bene comune:
- Monarchia = governo di uno solo, che governa in modo retto e giusto;
- Aristocrazia = governo dei migliori (pochi ma buoni), che governano in modo retto;
- Democrazia = governo della comunità politica, che riesce in armonia ad autogovernarsi attraverso
un sistema di elezione delle magistrature, in particolare sul modello della polis greca, cioè della
piccola comunità. Questo è il modello di riferimento dei comuni medievali, che sotto certi aspetti
ambisce e riesce ad autogovernarsi in forma democratica.
A queste tre forme di governo rette corrispondo tre forme di governo degenerato, che si hanno quando la
forma di governo di base opera non più nella direzione del bene comune e della giustizia, ma in modo
iniquo;
- Tirannide;
- Oligarchia;
- Oclocrazia.
In questa tipologia classica, il concetto di tirannide indica una forma specifica di governo degenerato: il
governo di uno solo che governa in modo iniquo, nel proprio interesse o solo nell’interesse di una parte del
popolo. In questo senso in Aristotele (?) troviamo una netta contrapposizione fra i concetti di monarchia e
tirannide. Per Bartolo la tirannide diventerà la forma di governo iniquo per eccellenza: non solo il governo
iniquo di uno solo, ma anche di un gruppo ristretto o della comunità politica. Dunque la tirannide assorbe
oligarchia e oclocrazia.

24/10/2022
Bartolo II, la vendetta
Il pensiero di Bartolo sul comune medievale riprende per alcuni aspetti il concetto delle polis greche,
dunque eredita il pensiero filosofico greco. Bartolo è il primo giurista che prova a fare una riflessione di
taglio giuridico su concetti che erano già stati elaborati e definiti nella tradizione filosofica: Bartolo li
riprende in chiave strettamente giuridica.

Biografia
Bartolo nasce vicino a Perugia fra il 1313 e 1314, e muore a Perugia nel 1357. È fra i giuristi medievali di cui
ci rimane il complesso di opere più ampio: le sue opere sono considerate il momento più alto della
riflessione giuridica medievale. Il suo pensiero dà vita alla scuola giuridica del bartolismo (mos italicus), cui
si contrapporrà in seguito l’umanesimo (mos gallicus).
Bartolo intraprende gli studi di diritto presso lo Studio di Perugia (a soli 14 anni) sotto la guida di Cino da
Pistoia, che considerato l’iniziatore della scuola del Commento in Italia. In questo senso, Bartolo è il
maggiore esponente della Scuola del Commento. Cino importa il metodo orleanese, che presentava alcune
novità rispetto alla Scuola dei Glossatori/post-glossatori. Questo metodo partiva sempre dai due CI, ma si
discosta dall’interpretazione letterale delle norme, per concentrarsi soprattutto sulla ricerca delle rationes,
cioè il principi primi del diritto. Questo metodo ha un taglio più teorico e razionale. Il procedimento
interpretativo è dialettico: tesi, antitesi, sintesi. Si comincia a riflette non più solo sul significato della
norma, ma anche sui principi e le categorie teoriche.
Completa in seguito i propri studi giuridici a Bologna con i maestri Raniero Arsendi, Iacopo di Belvisio e
Iacopo Buttrigari; sotto la guida di quest’ultimo conseguirà il titolo dottorale nel 1334 (a soli 21 anni).

Bartolo inizialmente esercita funzioni giudiziarie come assessore del capitano del popolo di Todi e del
podestà di Cagli e poi a Pisa. Da questa esperienza trarrà molti motivi su cui rifletterà nei suoi trattati. In
seguito insegna come professore di diritto prima a Pisa (dal 1339) e dal 1343 a Perugia, dove rimarrà fino
alla morte, e dove avrà come allievo l’altro grande esponente della scuola dei Commentatori Baldo degli
Ubaldi (Perugia 1339 - Pavia 1400).
Bartolo entra a far parte del Consiglio della città di Perugia e collabora, in particolare, alla stesura delle
Riformagioni (espressione dell’attività legislativa del comune). Nel 1355 è inviato come rappresentante
della città di Perugia presso Carlo IV a Pisa: l’imperatore lo nomina proprio consigliere e gli concede vari
privilegi. In questi ultimi anni scrive i trattati politici e sviluppa i temi su cui ha riflettuto lungo la sua vita.

Bartolo muore nel 1357, a 43 anni, lasciando parecchi scritti incompiuti, in parte pubblicati in seguito,
completati e rimaneggiati da giuristi successivi (nel vasto corpus delle sue opere, raccolte a partire dal
Cinquecento in 10 corposi volumi, l’autenticità di molte è discussa).

Bartolismo
Bartolo è l’esponente principale dei commentatori civilisti: ancora in vita, raggiunge, una straordinaria
fama, anche fuori dall'Italia, e da lui prenderà il nome tutta una corrente del diritto europeo: il ‘bartolismo’.
Dopo la sua morte, saranno istituite cattedre apposite, per illustrare le sue opere accanto alla glossa
accursiana. Varie ordinanze, prima a Bologna (1463), poi anche a Padova (1544), a Torino (1570) e in altre
città, impongono che i corsi romanistici si tengano secondo il metodo ‘bartoliano’.
Il pensiero di Bartolo, con quello accursiano, diventa il punto di partenza obbligato dell'insegnamento
accademico e la sua opinione (opinio Bartoli) assume il valore di autorità indiscussa per i tribunali.
Dal 1454 anche in Portogallo, nel caso di pareri discordi fra i vari commentatori, si stabilisce che debba
prevalere in giudizio l’opinione di Bartolo. Anche in Brasile nel 1603 sarà adottata un’analoga disposizione.
L’autorevolezza di Bartolo arriva a dominare la scienza giuridica al punto che si diffonde il detto nullus
bonus iurista nisi sit bartolista (nessuno può essere un buon giurista se non è ‘bartolista’, se non segue il
pensiero e il metodo di Bartolo).

La produzione scientifica di Bartolo comprende una vasta raccolta di:


- Commentaria = commentari a gran parte del Corpus iuris civilis, in particolare al Digesto, al Codice,
al Volumen. Celebre il commento alle Lex omnes populi, su cui Bartolo fonderà l’idea che ogni
comunità locale ha una propria autonomia normativa, cioè può darsi le proprie norme;
- Lecturae e repetitiones = lezioni di spiegazione e di approfondimento, sui Digesti, sul Codice, sulle
Istituzioni e sulle Costituzioni Autentiche;
- Quaestiones = quesiti giuridici sviluppati a lezione, casi di scuola o de facto emergentes, suscettibili
di soluzioni diverse, che il maestro esaminava e risolveva a lezione oppure affidava alla discussione
degli allievi;
- Oltre un centinaio di consilia (anche se non di tutti la paternità è certa), rilasciati soprattutto nell’
ambito dell’amministrazione della giustizia nella città di Perugia;
- Tractati = molti importanti trattati ciascuno su un tema particolare, che viene affrontato qui in
modo complessivo e unitario, come non era possibile fare a lezione o nei commentari.

Fra i trattati di Bartolo, grande rilevanza hanno i cd. trattati politici, che hanno come orizzonte e modello le
istituzioni repubblicane del comune, e sono composti tutti verso la fine della sua vita:
- De represaliis, dedicato all’istituto della rappresaglia (27 febb. 1354);
- De Guelphis et Gebellinis, sul tema delle fazioni politiche (1355). La divisione della città in fazioni è
il presupposto per la degenerazione dell’ordinamento delle città;
- De regimine civitatis, dedicato all’ordinamento costituzionale delle città (datato 1355 precedente
di poco la composizione delle glosse alle costituzioni pisane di Arrigo VII). La realtà cittadina si
evolve e si modifica in modo sostanziale in questo periodo. Il modello ideale per i giuristi medievale
è il comune delle origini (XI secolo): un comune che si compone di un numero limitato di abitanti e
si dota di istituzioni che hanno un carattere latamente repubblicano. La legittimazione politica viene
dalla comunità, in quanto elegge le magistrature cittadine. Queste magistrature hanno delle regole
che consentono un ricambio frequente nelle persone che rivestono le cariche: la durata è molto
limitata (6 mesi, 1 anno, 2 anni al massimo) e una volta usciti di carica i magistrati possono essere
sottoposti a sindacato sul loro operato, e se dovesse emergere che hanno utilizzato la carica in
modo scorretto sono chiamati a rispondere giuridicamente.
A partire dai primi del XIII secolo il governo diventa più un governo monocratico (prima reggevano
la città due o più consoli), non c’è più una vera elezione popolare: o si perde o diventa un’elezione
puramente formale. Negli anni ‘20 del 1300 si afferma la prassi del riconoscimento di governa una
civitas da parte di uno dei due poteri, il papa o l’imperatore: si tratta del vicariato papale/imperiale.
In alcuni casi intervengono sia l’uno che l’altro perché entrambi hanno interesse a rivendicare una
propria supremazia sulle varie realtà locali. La concessione del vicariato porta all’affermazione del
concetto che quel governante governa su quella civitas non più con il consenso della comunità
cittadina, ma perché ha ricevuto questo incarico da un potere superiore. La legittimazione politica e
giuridica da questo momento anche formalmente non viene più dal basso, dalla sua cittadinanza,
ma dall’alto. L’età delle signorie locali, che si impone al governo di una civitas, cambia radicalmente
il senso della propria legittimazione e si perdono tutte le altre caratteristiche dei comuni delle
origini. La carica diventa non solo a vita ma anche ereditaria.
Bartolo vede nelle signorie locali la perversione dei governi dei comuni medievali (questa opinione
era diffusa fra i giuristi dell’epoca), considera questo governo tirannico;
- De tyranno, dedicato al problema della tirannide (sine data, probabilm. 1355).

De regimine civitatis
Nel trattato De regimine civitatis (= Del governo / della costituzione cittadina), Bartolo affronta il problema
della forma di governo ottimale. Prende forma qui una teoria bartoliana della costituzione politica, che si
presenta come un originale adattamento della dottrina aristotelico-tomista delle forme di governo alla
situazione costituzionale delle città italiane di metà del Trecento. Questo è il quadro nel quale si inscrive
anche il tema più specifico della tirannide.

La tradizione aristotelico-tomista giunge a Bartolo, in particolare, attraverso:


- Egidio Romano (teologo e filosofo della seconda metà del Duecento – inizi del Trecento) e la sua
opera De regimine principum, composta per incarico di Filippo III di Francia e a questi dedicata
(1277-1279). Per Egidio la forma di governo migliore era la monarchia;
- Tolomeo da Lucca, il teologo che aveva portato a termine il De regimine principum [o De regno] di
san Tommaso, intorno al 1300. Prendeva forma in quest’opera, l’idea di una ‘libera aristocrazia’;
un’idea ripresa e rielaborata dalla dottrina giuridica dei decenni successivi, come rimedio per ridare
stabilità e ordine al governo di una comunità politica, sconvolta nei suoi fondamenti costituzionali
dall’affermazione della Signoria (incarnazione del principio monarchico, e, inquanto tale, governo
‘contro natura’ nel contesto comunale italiano, ed anzi governo per definizione tirannico)
Bartolo riprende e analizza queste fonti per raggiungere conclusioni in gran parte diverse (?).

La riflessione sulle forme di governo affonda le sua radici nell’antichità fra V e IV sec. a.C. (Erodoto, Platone,
Aristotele). La tipologia classica delle forme di governo si basa sul principio numerico (quanti sono al
governo), e individua tre forme di governo pure o rette, cui corrisponde una forma corrotta o deviata:
- La monarchia ovvero il governo di uno solo ≠ la tirannide;
- L’aristocrazia ovvero il governo di pochi ≠ l’oligarchia;
- La democrazia ovvero il governo di tutti ≠ la demagogia.
Per Platone le forme di governo rette e quelle degenerate si distinguono in base ad un preciso criterio: le
forme di governo rette sono quelle in cui si governa secondo le leggi, nelle forme degenerate si governa
contro le leggi.

Polibio giunge in modo meglio definito all’idea che ci sia una sorte di ciclicità nel modo in cui le forme di
governo si susseguono (anaciclosi): una forma di governo retta degenera nel suo corrispettivo corrotto, il
che causa una reazione che porta all’istaurazione di una nuova forma di governo retto. Questa degenera
etc. etc.

Aristotele parte dal principio per cui la vera polis è «una comunità di uomini liberi» (Pol. III, 6) e il fine
ultimo della polis è quello di garantire «la vita migliore», il «vivere bene» (Pol. VII, 1). In questo senso, le
forme di governo rette sono quelle in cui chi governa ha di mira il bene della comunità, le forme di governo
deviate sono quelle in cui chi governa ha di mira il proprio interesse individuale.
In questo quadro, per Aristotele la miglior forma di governo è la politía o politéia, che ha alla sua base il
ceto medio e si basa su un consenso ampio della comunità, grazie al quale la politía in grado di realizzare la
giustizia. La giustizia è intesa come bilanciamento dei principi della eguaglianza aritmetica e di quella
geometrica.
È comune ai maggiori scrittori politici dell’antichità (Erodoto, Platone, Aristotele e in seguito soprattutto
Polibio) anche l’idea secondo cui le tre forme buone tendono fatalmente a degenerare nelle rispettive tre
forme cattive. Questa degenerazione può essere evitata o almeno dilazionata nel tempo da una “governo
misto”, una sorta di ulteriore forma di governo complessa, che combini e contemperi i principi positivi delle
tre forme buone, realizzando una maggiore stabilità della costituzione.
Fonte 2: De regimine civitatis
I trattati bartoliani si aprono con un preambolo.
Il trattato è organizzato in tre quaestiones:
- Quali sono le forme di governo;
- Qual è la forma di governo migliore;
- Qual è la forma di governo peggiore.

25/10/2022
Appunti su fonte

26/10/2022
Fonte 3: De tyranno
Il proemio non è certo che sia di Bartolo o se sia stato aggiunto negli anni successivi da un trascrittore.

Il delitto di lesa maestà era stato adoperato soprattutto per punire chi attentava alla vita del governante,
quindi per punire i delitti dei cittadini nei confronti di chi rappresenta il potere. Bartolo sovverte questo
paradigma dicendo che il delitto di lesa maestà è quello rivolto verso il popolo romano, e questo lo
possiamo intendere anche in senso stretto, non solo come reato verso chi rappresenta il popolo romano. In
questo senso, colui che governa contro bene comune commette egli stesso un delitto di lesa maestà. Perciò
afferma che chi diventa un tiranno può essere perseguito attraverso la lex Iulia come reo del delitto di lesa
maestà.

Bartolo afferma il principio generale della nullità per tutti gli atti emanati durante la tirannide, perciò ci
sono alcuni casi in cui porre nel nulla gli atti (es. quando la tirannide è durata molto a lungo) si rivelerebbe
di danno alla comunità stessa. ci sono poi una serie di cause che possono essere decise in tempo di
tirannide e che non sono influenzate dal fatto che sono decise sotto tirannide (es. chi ha ucciso un
concittadino).

II Gregorio magno, nella sua prospettiva teologico-morale è attratto di più dalla questione della coscienza
dell’individuo.
Bartolo concorda che il tiranno è colui che non governa secondo diritto e che in senso proprio è il tiranno
nell’impero, ma che può esserci un tiranno nelle comunità politiche inferiori. Bartolo non si occupa
particolarmente della provincia che nel medioevo non ha più molta importanza, ma si occupa della
tirannide nell’impero, nella civitas, nella vicinia e nella famiglia. Su queste parti accoglie il pensiero di
Gregorio magno, mentre si distanzia sul problema del tiranno nel foro interno.

07/11/2022
XXX

08/11/2022
Nel pensiero della scienza giuridica della metà del Trecento, alla base del ragionamento sulla tirannide c’è
una precisa ideologia della civitas medievale, una tradizione latamente democratica, una riflessione che
vede il governo della cosa pubblica fondata su una serie di valori morali e giuridici. Il giurista non può
sindacare e sanzionare il pensiero (ciò che attiene il foro interno), sul piano del diritto positivo c’è una
separazione molto precisa fra i due campi, ma quando si tratta del ragionamento sui valori fondativi della
civitas è allo stesso tempo un ragionamento politico, giuridico e morale. Alla base c’è un’idea di politica
come arte di vivere in comune, che deve tendere al bene comune. Il tiranno si presenta dunque come
l’antitesi di questa visione della politica, latamente democratica. Bartolo considera tirannide non solo la
forma di governo monarchica degenerata, ma include tutte e tre le forme di governo degenerate (tirannia,
oligarchia e oclocrazia).

Allegoria del buon governo ?


Allegoria del cattivo governo uso del potere per i fini di chi governa e non per il bene comune. Il potere è
indirizzato agli interessi personali di chi governa o di solo una parte della popolazione.

Umanesimo giuridico
Si iscrive nella stagione dell’umanesimo, corrente culturale che investe molti campi del sapere. In campo
giuridico l’umanesimo si afferma un po’ più tardi, soprattutto nel corso del Cinquecento. L’umanesimo è
una corrente culturale che si afferma già nel corso del Quattrocento in campo letterario. Rimette al centro
l’interesse dell’individuo, rispetto alla tradizione precedente, dove al centro dell’interesse è sempre la
dimensione comunitaria, in particolare sulle manifestazioni del suo spirito. L’umanesimo giuridico si
sviluppa come riflessione sui problemi creati del diritto comune e sui tentativi di riforma.

Nella scienza giuridica del 1500/1600 domina in modo sostanzialmente incontrastato la vecchia scuola del
diritto, rappresentata dal suo massimo esponente Bartolo. Il letterato Lorenzo Valla nel 1433 dà avvio
all’Umanesimo giuridico quando pubblica l’Epistula contra Bartolum: un’epistola contro la scienza giuridica
del suo tempo. Accusa la scienza giuridica tradizionale di essere ignorante, di essersi soffermata ad
analizzare solo cavilli giuridici, di non conoscere le altre scienze e arti (non è frutto di una vera cultura), di
lavorare con un latino fortemente corrotto (medievale) avendo dimenticato il latino classico (lingua delle
fonti), non essendo dunque in grado di interpretare in modo corretto le fonti del diritto romano. Accusa la
scienza giuridica di essersi rinchiusa nello studio sterile del CI civilis, che Valla ritiene un prodotto in realtà
scadente, frutto di un lavoro frettoloso di “copia e incolla” da opere di giuristi classici completamente
decontestualizzate, e frammenti di costituzioni provenienti da contesti diversi, che hanno snaturato la ratio
per cui erano stati scritti.

Antitribonianesimo
Triboniano è il redattore del CI civilis. Il maggiore giurista di questa corrente è il francese Francois Hotman,
che scrive l’Antitribonianus nel 1567. L’opera non è particolarmente originale perché raccoglie riflessioni
che già circolavano da più di un secolo. In quest’opera Hotman attacca Triboniano. Il CI civilis è definito un
testo di scarsa qualità, composto in fretta e dovuto alle ambizioni di Giustiniano piuttosto che alle esigenze
del tempo storico, composta con metodi piuttosto discutibili.
Su queste basi aveva già preso avvio alla fine del 1400 il progetto di Angelo Poliziano di pubblicare il CI nella
sua edizione originale, senza la glossa (le c.d. pandette fiorentine). L’operazione giunge al termine nel 1553
con la pubblicazione della editio princeps dell’opera. Quest’opera apporta alcune novità importanti, ma la
contrapposizione fra sostenitori della tradizione giuridica precedente (mos italicus) e i sostenitori del nuovo
metodo (mos gallicus) non sono sempre così radicalmente separate e opposte. Alcuni giuristi si formano sul
mos italicus ma poi introducono nelle proprie opere elementi presi dall’umanesimo giuridico.

L’umanesimo giuridico impone di riflettere maggiormente sui principi e la ratio delle norme e sull’
organizzazione delle opere giuridiche, che non devono più basarsi solo su uno studio di tipo casistico, ma
deve arrivare ad affrontare i problemi dei principi del diritto. Gli umanisti tornano a un latino molto più
vicino a quello classico. La lingua dei giurista torna a essere non solo una lingua tecnica, piena di
abbreviazioni e tecnicismi, ma una lingua accessibile a tutti gli uomini di cultura anche se non sono giuristi.

Jean Bodin
Methodus: sostiene l’idea che il giurista dev’essere un uomo di cultura che conosce la tradizione letteraria,
la storia, la filologia, la filosofia. Il giurista deve ragionare sul diritto attraverso una cultura più ampia. Le
fonti del diritto devono essere contestualizzate nel proprio contesto storico, il che porta a una revisione
della posizione del diritto romano. Il CI civilis passa da essere il diritto per eccellenza al diritto dei romani,
prodotto di quella società e di quel contesto che non può essere elevato a valore assoluto: delle norme di
DR bisognerà vagliare se nella società contemporanea vanno ancora applicate. Per questo Bodin insiste
sulla necessità di studiare non solo il diritto romano ma anche il diritto degli altri popoli e delle altre
tradizioni, per riuscire attraverso il metodo della comparazione giuridica (diacronica e sincronica) a capire
quali siano i principi del diritto, quelli che si ritrovano in tutti i principali sistemi giuridici che gli uomini si
sono dati.

09/11/2022
Politica, Althusius
L’Europa, dilaniata dai conflitti religiosi e dalle persecuzioni delle minoranze religiose (calvinisti e ugonotti),
è attraversata da migrazione di massa di giuristi. In particolare moltissimi giuristi ugonotti nel sud della
Francia, che hanno aderito al programma umanista, portano avanti importanti istanze di riforma del diritto,
che si fondono con istanze di riforma religiosa. Molti giuristi umanisti sono anche giuristi che aderiscono al
protestantesimo o ad altre correnti minoritarie. La monarchia francese osteggia le minoranze religiose, in
quanto è alleata con la Chiesa di Roma, portando avanti anche vere e proprie stragi di ugonotti, che vedono
fra le vittime anche diversi giuristi e studenti (1572). Per questo, coloro che non muoiono fuggono in area
tedesca, nell’Impero dove c’è una maggiore accettazione del protestantesimo: molti stati hanno aderito alla
riforma (specialmente la versione luterana).

La Politica è organizzata in capitoli, con una struttura molto vicina ai testi contemporanei: ognuno affronta
un problema rappresentato nella tavola iniziale che illustra il piano generale della materia (?). Si parte dalle
consociationes inferiori: la struttura politica più piccola, la famiglia. Più famiglie insieme formano una
comunità più articolata

(per esame: Cap 1, 9, 10, 11, 18, 19, 21, 29, 30, 31, 38, 39)

Troviamo professato il principio secondo cui il diritto debba essere separato dalla teologia, ma la sua stessa
dottrina può sotto molti aspetti essere definita confessionale.

Il corpo politico maggiore è composto da tante entità minori. Gli individui, nella dottrina di Althusius (e altre
dottrine dell’epoca), non sono la cellula di questa entità, ma piuttosto le cellule minime sono le varie
comunità: città, province, corporazioni. C’è un’idea di stato che non corrisponde a quella teorizzata da
Bodin e che si affermerà in seguito di uno stato formato da individui. Questo è lo Stato “per corpi e per
ceti”. Gli efori sono i rappresentati dei vari corpi e ceti. Il corpo politico è spesso rappresentato e analizzato
usando gli stessi termini che si usano nella medicina per descrivere il corpo umano: lo Stato è come un
organismo che si compone di organi e membra, ciascuna delle quali è importante. C’è una testa (il sommo
magistrato/ principe), ma ci sono anche tutte le altre parti del corpo e sono tutte importante, per quanto
piccole.

14/11/2022
Capitoli di Althusius: o il 9 (problema della sovranità) o il 21 (problema della giustizia)
Jean Bodin
Bodin è il teorico del moderno concetto di sovranità, detta assoluta.
Negli stati monarchici si avvia un processo di accentramento non solo della produzione del diritto, che è di
produzione del monarca, ma anche sul piano dell’amministrazione della giustizia, che viene riorganizzata
nella sua gerarchia. Nell’età moderna restano molti corti locali ma si afferma l’idea che si può proporre
appello di fronte ai tribunali regi.
Il giurista di età moderna si trova sempre più spesso di fronte alla situazione di dover giudicare
l’applicazione della legge del sovrano. Si forma una gerarchia delle fonti, al cui vertice si pone in modo
chiaro e netto la legge del sovrano. Un dato evidente è la promulgazione dei codici: è una rivoluzione che
pone fine all’età comune. L’idea di poter racchiudere tutto il diritto di un codice, però, si realizza solo
all’inizio dell’età contemporanea, non nell’età moderna, perché implica un cambiamento di prospettiva che
è ancora in fieri durante l’età moderna e si conclude nell’età contemporanea. In questo senso, si nega che
si possa parlare di stato moderno nel corso dell’età moderna, perché resta importante il ruolo di una serie
di forze tradizionali che impediscono il pieno compimento dell’accentramento.

Unificazione del soggetto di diritto: per prevedere le norme, come sono inserite in un codice, bisogna
privare di valore o comunque costringere ai margini le norme locali. Questo in età moderna non è possibile,
perché ci sono dei regimi tradizionali che sono ancora in vigore. le norme nel codice sono pensate in
termini generali e astratti, sono valide per tutte, e questo è un concetto radicalmente diverso
dall’esperienza tardo-medievale ma anche moderna, dove le differenze di status sono all’ordine del giorno.
Il fatto di poter pensare a un destinatario unico e indistinto delle norme comincia a realizzarsi soltanto agli
inizi dell’Ottocento. È il termine ultimo di un lungo percorso che si avvia fra il Quattro e il Cinquecento.

Una serie di elementi moderni li troviamo in Bodin più sul piano teorico-concettuale che sul piano storico.
Bodin definisce in modo chiaro e netto il potere di un sovrano assoluto, anche se nella sua età il sovrano
assoluto deve comunque rispettare i limiti di Dio e della natura: assoluto solo nell’ambito della legge civile.

Biografia
• Giurista e pensatore politico francese,
• Studia diritto a Tolosa, nel sud della Francia, dove viene a contatto con il programma di
rinnovamento scientifico e didattico dell’umanesimo giuridico.
• Oltre a dedicarsi agli studi, svolge le funzioni di avvocato del Parlamento di Parigi, di consigliere alla
corte di Enrico III di Francia, e in seguito quella di procuratore del re a Laon.
• Aderisce al cd. partito dei «politiques», considerati in certo modo i rappresentanti della ragion di
Stato in Francia, i ‘discendenti francesi’ di Machiavelli. Il nucleo forte della posizione dei politiques
francesi è l’idea di una urgente necessità di liberare la politica dall’ingerenza ecclesiastica e dalle
passioni confessionali; in sostanza, i «politiques» rivendicano l’autonomia della politica dalla
religione.
• Sul piano religioso è stato definito nicodemita. Il nicodemismo è l’atteggiamento di chi aderisce ad
una nuova fede o ideologia, ma senza professare le sue idee in pubblico. Il presupposto è la
convinzione che la fede una cosa del tutto personale, che riguarda la coscienza, non la vita
pubblica.
Le prime opere, in cui comincia a prendere forma il pensiero giuspolitico bodiniano, sono rivolte ad
interessi umanistici:
• Oratio de instituenda in Republica iuventute (1559), orazione dedicata ai suoi studenti di Tolosa, il
cui tema è la formazione intellettuale e morale dei giovani, nelle cui mani – dice Bodin – riposano le
sorti dello Stato.
• Methodus ad facilem historiarum cognitionem (1566), opera in cui Bodin riflette sui rapporti fra
diritto, politica, etica, religione, e delinea una dottrina delle forme di governo di stampo relativistico
(strada ripresa e proseguita quasi due secoli dopo da Montesquieu); la Methodus può essere
considerata il manifesto di una teoria del diritto d’impianto storico-comparatistico.

• Les six livres de la République (1576) è l’opera maggiore di Bodin

• appare in francese, a Parigi, nel 1576, il che è un segno del cambiamento in corso nell’età moderna.
Prima infatti la lingua scientifica per le opere di dottrina si utilizzava esclusivamente il latino. Bodin
è uno dei primi che sceglie di pubblicare la sua opera il francese (dato che è dedicata proprio allo
Stato).
• nel 1586 Bodin ne pubblica anche un’edizione in latino, con il titolo De republica libri sex, con
importanti aggiunte e precisazioni
• La traduzione italiana, in 3 voll., tiene conto di entrambe le edizioni, francese e latina, ed è
corredata da un ampio apparato critico: Jean Bodin, I sei libri dello Stato, I, a c. di M. Isnardi
Parente, Torino, Utet, 1964 (rist. 1988); II, a c. di M. Isnardi Parente e D. Quaglioni, Torino, Utet,
1988; III, a c. di M. Isnardi Parente e D. Quaglioni, Torino, Utet, 1997.
Il libro è dedicato al nuovo istituto politico dello Stato.

Altre principali opere di Bodin:


• Juris universi distributio, 1578, importante opera di metodologia giuridica, che tenta di
compendiare in una tavola con «metodo sistematico» i principi del diritto
• De la démonomanie de sorciers, 1580, opera criminalistica, in tema di stregoneria
• Colloquium Heptaplomeres (1587), ideata nella forma di un «colloquio fra sette saggi», è un’opera
dedicata alla ricerca della «vera religione» e all’idea della tolleranza fra le confessioni
• Universae naturae theatrum, 1597, opera di filosofia della natura

Pensiero di Bodin:
• Bodin è l’autore del primo ampio trattato giuspubblicistico, la «République» (1576), in cui egli
riflette sul contesto storico-istituzionale che si va affermando nel Cinquecento: lo «Stato
moderno».
• Elabora il più importante esempio di dottrina politica in difesa dell’istituzione monarchica (la
monarchia è per lui la miglior forma di governo). È un relativista, quindi non ritiene la monarchia la
miglior forma di governo in assoluto, ma solo per lo Stato di cui lui si occupa (la Francia).
• Bodin è considerato un teorico dell’assolutismo politico e giuridico: lo Stato deve essere uno Stato
forte, il monarca deve avere un potere forte e accentrato nel sue mani, per garantire i fini del buon
ordine e della pace interna, della sicurezza dei cittadini e della giustizia nello Stato.
• Egli ritiene che non sia compito dello Stato moderno occuparsi di fede, di religione e di tutti gli
aspetti della vita interiore degli uomini. In materia religiosa lo Stato non deve prendere parte alle
divisioni religiose (tanto meno deve imporre una fede con la forza e perseguitare le minoranze
religiose); il suo compito è di restare imparziale, di svolgere una «funzione arbitrale» fra le parti,
volta a realizzare una pacifica convivenza.

Bodin e la libertà di coscienza (Prof. Quaglioni)


Il libro di Bodin è uno dei libri che non si possono ignorare se si vuole comprendere l’esperienza giuridica
occidentale.
La stampa è la democratizzazione del potere. Un manoscritto era accessibile solo a patto di vivere in un
monastero, avere cospicue risorse o compiere imprese inenarrabili per copiare il testo da sé. Nell’età della
stampa, invece, chiunque può acquistare il libro. Il libro non è più di formato universitario, con ampi
margini per scrivere le glosse e fatto per stare sul banco (non era fatto per essere portato in giro).
La Republique di Bodin è un libro a stampa: è un libro di piccolo formato, destinato a un pubblico di dotti
che non necessariamente è un pubblico universitario. Infatti è scritto in francese e non in latino. Fino a
questo libro Bodin aveva scritto solo in latino, per i giuristi. Un’opera di enorme importanza dal punto di
vista della metodologia giuridica è la Metodus. Bodin dice che la parte migliore del diritto, cioè la sostanza,
è nascosta nella storia delle istituzioni. Non è più sufficiente consultare il CI di Giustiniano per comprendere
qual è il diritto di tutte le genti. Non basta studiare il diritto dei romani, ma bisogna studiarlo in una
prospettiva storica. La Republique è un’applicazione di questo metodo al diritto pubblico: il tentativo di dare
sistemazione (se non proprio sistematicità) al diritto pubblico come scienza.

Il diritto pubblico diventa oggetto di uno specifico studio nelle università tedesche.

Secondo Bodin, il potere pubblico non dev’essere secolare, soggetto ad una potestà spirituale superiore,
siamo fuori dalle problematiche del medioevo giuridico e politico. Lo Stato di Bodin ha bisogno della
religione, in quanto tutto ciò che appartiene al mondo della coscienza è importante per la società umana e
la sua organizzazione, ma nel suo libro non si parla mai di una subordinazione del potere secolare al potere
spirituale. Lo Stato viene sempre prima di ??. La salvezza dello Stato è posta in uno Stato ben ordinato, e
spetta al diritto pubblico ordinarlo. Lo Stato di Bodin ha il suo fondamento nella giustizia: “insieme giusto di
più famiglie”. La famiglia è una comunità naturale, mentre lo Stato è una comunità artificiale, ma è l’unica
che ha la caratteristica di essere sovrana, cioè l’unica in grado di dare ordine a una società articolata.
Bodin non si occupa di definire il sovrano come nella letteratura precedente, ma si chiede cos’è la
sovranità. La sua idea del potere è già fortemente istituzionalizzata e spersonalizzata: il potere si incarna
certamente in un soggetto, che può essere il popolo intero (democrazia), un gruppo (aristocrazia) o un
singolo (monarchia), ma è pur sempre il soggetto della sovranità. Bodin non si chiede chi sia il soggetto
della sovranità, ma discute della sovranità stessa distinguendo fra forme di Stato e forme di governo. Vede
forme istituzionali che possono essere esercitate in vario modo. Bodin esplora le prerogative della sovranità
e trova la principale nella capacità di imporre la legge ai propri soggetti senza il loro consenso. Questo è il
lato assolutistico della sovranità.
Il potere sovrano ha le caratteristiche della perpetuità e dell’assolutezza, cioè l’assenza di vincoli giuridici
che possono limitare il potere sovrano all’interno o all’esterno. È la sovranità degli Stati nazionali.

Bodin ridefinisce il concetto di tirannide e non accetta che una sovranità legittima possa essere giudicata
per i modi in cui si esprime una tirannide. Conserva l’idea di tirannide come potere illegittimamente
acquisito, rigetta l’idea che i sudditi possano giudicare un sovrano come tiranno e non riconosce l’idea del
diritto di resistenza. Le corti di giustizia devono obbedire alle leggi del sovrano, anche quando le leggi gli
paiano ingiuste (non può sindacare il volere del sovrano).
Il pensiero di Bodin è comunque molto articolato, per es. invoca già nel 1576 l’abolizione della schiavitù. Ci
sono diffusi principi di libertà in questo testo, che avvolte sembra contraddire se stesso.

Quest’età è caratterizzata da due grandi fatti storici: l’assolutismo politico e la riforma religiosa. Con la Pace
di Augusta si afferma il principio per cui i sudditi sono tenuti ad adottare la religione del proprio principe:
cuius regio eius religio.
Bodin è esponente di un partito che afferma che l’unico modo per salvare ?? è salvare lo Stato, uno Stato
che sia neutrale rispetto alla questione religiosa. Non è uno Stato che può disinteressarsi di come i cittadini
praticano il proprio credo, ma ha il diritto di intervenire solo sulle questioni esteriori della religione, non
sulle questioni di coscienza.
Secondo Bodin, il potere assoluto serve non ad annullare le differenze ma a mediarle, così come fa Dio
creatore della natura, che attraverso le contraddizioni crea l’armonia dell’universo. Così dovrebbe essere lo
Stato.

16/11/2022
Il discorso sulla sovranità è un importante elemento di continuità con l’epoca del diritto comune.

In senso lato, nel quale il concetto di sovranità è inteso come potere di ultima istanza in una qualsiasi
comunità, possiamo utilizzare il concetto di sovranità di come si configura il comando in ultima istanza in
ogni comunità politica. Questo concetto non è utilizzato tanto per definire il lato fattuale, chi di fatto
esercita il potere, ma è un concetto giuridico-politico utilizzato nella tradizione giuridica per discutere del
potere in termini giuridici. Capire quali sono le prerogative di questo potere di ultima istanza, provare a
definire l’essenza della sovranità, e in particolare fin dove arrivano questi poteri e prerogative, cosa e
incluso e cosa no. Fondamentalmente, discutere i limiti di quel potere. Il tentativo di una razionalizzazione
politica del potere.

Alle origini della riflessione medievale intorno al potere e alla legittimità del potere ci sono alcuni luoghi
fondamentali del Corpus iuris giustinianeo.
Si tratta, da un lato, di due passi del giurista Ulpiano, riportati nel Digesto :
D. 1, 3, 31 (30)
Princeps legibus solutus est […].
Il principe è sciolto dalle leggi […].
Qui troviamo per la prima volta il termine solutus da cui deriva l’espressione sovranità assoluta: un potere
senza limiti, sciolto dal dovere di rispettare le leggi.

D. 1, 4, 1
Quod principi placuit, legis habet vigorem: utpote cum lege regia, quae de imperio eius lata est, populus ei
et in eum omne suum imperium et potestatem conferat. […]
Ciò che è gradito (vuole) il principe, ha il valore di legge; poiché con la legge regia, che è stata promulgata
sul suo potere regale, il popolo conferisce a lui e in lui tutto il suo potere e ogni sua potestà. […]
Il popolo si è spogliato del proprio potere e lo ha completamente trasferito al sovrano: il patto originario è
configurato come una donazione, l’ha conferito senza chiedere nulla in cambio (limiti/condizioni), perché è
comunque necessario che ci sia una persona che prenda le decisioni per il benessere della comunità.

… dall’altro lato di una costituzione imperiale, pubblicata nel 429 d.C. dagli imperatori Teodosio e
Valentiniano, poi inserita nel Codice giustinianeo
 
C. 1, 14 (17), 4:
Digna vox maiestate regnantis legibus alligatum se principem profiteri: adeo de auctoritate iuris nostra
pendet auctoritas. et re vera maius imperio est submittere legibus principatum. et oraculo praesentis edicti
quod nobis licere non patimur indicamus […]
È espressione degna della maestà del regnante che il principe si professi vincolato alle leggi. A tal punto
dall’autorità del diritto dipende la nostra stessa autorità. E in realtà è cosa più grande del potere
sottomettere il principato alle leggi. Coll’oracolo del presente editto facciamo sapere a tutti quello che non
vogliamo sia lecito a noi […]
La l. digna vox diventa per la dottrina giuridica medievale la norma fondamentale che limita il potere, il
punto d’appoggio di quello che possiamo chiamare una sorta di ‘costituzionalismo medievale’.
Questa costituzione non afferma un vincolo giuridico al rispetto delle leggi da parte di chi governa, quanto
piuttosto un obbligo morale: è degno del principe rispettare le leggi, però non afferma che è il principe è
giuridicamente vincolato e in caso di violazione il principe può essere sanzionato. Piuttosto, il principe ha il
dovere morale di auto-vincolarsi alle leggi. La sanzione è solo di ordine morale, non c’è una sanzione
giuridica, non c’è un’autorità che possa intervenire e destituire il principe che non rispetta le leggi. Nel
medioevo un obbligo morale era comunque molto importante.
La legittimazione e il fondamento del potere del principe stanno nel rispetto del diritto. Il potere di fatto è
qualcosa che vale poco in confronto al potere legittimo. L’autorità di chi governa dipende in gran parte dal
rispetto del diritto.

La concezione della sovranità medievale, nelle sue molte varianti, testimonia un costante tentativo di
armonizzazione di queste due opposte concezioni del potere . Ne nasce una concezione della sovranità
dalla doppia natura, divisa fra due istanze supreme, un’istanza assolutistica da un lato, un’istanza
legalitaria dall’altro, entrambe coesistenti nella figura del principe:
• L’istanza assolutistica porta a riconoscere al princeps una «potestas absoluta», [ma solo] come una
figura astratta di potere, confinata in una dimensione del tutto straordinaria ed eccezionale.
• L’esercizio ordinario del potere si ispira invece a esigenze legalitarie (di limitazione del potere), che
configurano la majestas come una «potestas ordinaria et ordinata», un potere che, nella sua
dimensione ordinaria e quotidiana, dev’essere esercitato nel rispetto delle leggi (di Dio e della
natura, ma anche civili).

Bodin nega la possibilità di una auto-obbligazione, quindi nega l’idea che il potere possa essere davvero
considerato vincolato alle leggi, anche nella sua dimensione ordinaria. Resta l’istanza assolutistica.
Chi ha un potere a tempo determinato è soggetto a una serie di condizionamenti per cui non gode di un
potere libero. Il potere è assoluto solo se si prospetta come perpetuo per la vita della persona che lo
detiene.

21/11/2022
Seminario prof. Malandrino
La crisi della democrazia si avvale di una serie di argomentazioni che possono rendere interessanti studiare
le suggestioni provenienti da Althusius.

Althusius è una figura della prima modernità, calvinista e giurista. Pensiero giuridico di Althusius:
- Riscoperta della giustizia come integrità, morale, un concetto etico di giustizia, e della sussidiarietà;
- Riscoperta di una definizione alternativa del “popolo”. Questa è una parola polisemica, bisogna
capire i significati con cui la usa Althusius, in particolare il significato della maiestas del popolo;
- Contributo alla teoria del federalismo. Althusius è forse l’unico autore del suo tempo (1500/1600)
che adopera i termini pactum, foedus, contractus con una precisione estrema. Altri autori usano
questi termini senza l’attenzione filologica di Althusius. Il termine confederatio utilizzato nel
trattato da Althusius in due modi alternativi: plena e non-plena.

Althusius non è moderno nel senso che la sua idea di sovranità è assolutamente opposta a quella del
1700/1800. Tuttavia può essere considerato un agente di modernizzazione: utilizza strumenti antichi e
medievali con una finalità estremamente modernizzatrice, talmente modernizzatrice che non è stato capito
a suo tempo e per questo è stato dimenticato. A. mette alla base della sua concezione politica la parola
“simbiotica”, che per lui è sinonimo di politica. Le consociationes sono simbiotiche.
Althusius parla di pactum implicito o esplicito: parla di pactum e non foedus, nel senso di patto stretto a
determinate condizioni che vincolano le parti. Foedus è utilizzano normalmente, invece, nel senso di patto
afferente alla politica internazionale (cfr. uso romano).
Fine dell’uomo politico simbiotico sono la simbiosi santa, giusta, vantaggiosa (commoda) e felice e una vita
che non manchi di nulla di ciò che è necessario o utile. “Giusta, vantaggiosa e felice” ci fanno pensare a
finalità molto materiali, saranno utilizzati dall’utilitarismo nel 1700. La vera rivoluzione, tuttavia, è “santa”.
Ci sono due riforme: quella di Lutero e quella di Calvino, ???????????? Althusius diventa uno dei personaggi
più influenti e importanti perché ha legami con i calvinisti olandesi. Queste battaglie portano Althusius a
privilegiare alcuni elementi modernizzatori che escono dal calvinismo politico (????). “Santa” è così
importante non perché è legata al concetto di santità del cattolicesimo: santo come uomo che nella sua vita
ha dato dimostrazione di possedere qualità eroiche nella propria fede. Per il calvinismo politico, santo ha a
che fare con l’appartenenza con esperienze in cui la santità è il partecipare in modo molto attivo a una serie
di lotte che danno una giustificazione del proprio destino umano. Si entra nell’ambito della dottrina della
predestinazione. Santo è colui che sente la chiamata di Dio in questa direzione e mette in pratica una serie
di attività per dare uno sbocco a questa predestinazione. Althusius era un seguace molto rigoroso di questa
dottrina: era un gomarista. Gomar e Arminio erano due teologi:
- Gomar era un supralapsalista = Dio aveva predestinato alla condanna o alla salvezza prima della
caduta;
- Arminio era un infralapsalista = gli uomini erano stati destinati alla condanna o alla salvezza dopo la
caduta del peccato originale.
La vocatio alla simbiosi è dovuto anche a un comportamento santo. Non è dovuto a una condizione umana
di incapacità. Althusius conta molto la convergenza degli aspetti del materiale e dello spirituale. Santa vuol
dire: mentre se Althusius avesse detto che è solo la condizione umana di debolezza e incapacità di
autosufficienza avrebbe ripreso l’aristotelismo, ma lui inserisce l’elemento santa che è dato dal suo
appartenere al calvinismo politico. Implica che la simbiosi riesce a realizzare una società giusta, vantaggiosa
e felice ma non basta la spinta materialistica, ma serve anche la spinta spirituale della chiamata, la vocatio.
Se non c’è la santità ben difficilmente si arriverà alle altre tre caratteristiche dell’associazione.

Althusius non è solo nel filone calvinista, si parla del convenant, traduzione inglese di pactum e foedus. Il
patto non è qualcosa che ha inventato l’uomo, ma l’ha inventato Dio: patto Dio-Abramo detto foedus operis
dai covenantalisti. Questo rappresenta una metodologia pattizia che Dio inventa fin dall’origine dell’uomo.
Questo si ripresenta con Noè. Althusius mette alla base della costituzione l’elemento della vocatio alla
santità, senza la quale gli uomini possono anche mettersi insieme, ma non raggiungono i risultati della
giustizia, della commoditas e della felicità.
Il patto simbiotico è un fattore costitutivo (come la teoria del patto hobbesiano) della simbiosi, cioè di una
consociatio simbiotica.

Tutte le consociazioni althusiane sono simbiotiche, le priva e le pubbliche (e tra queste le maggiori e le
minori). Tutte sono costituite da uomini simbiotiche che agiscono direttamente e personalmente nelle
minori private e in aggregazioni di popolo nelle pubbliche.

Simbiosi democratica: trattata nel XXXIX capitolo. Parla del fatto che tutte le consociazioni simbiotiche
possono avere un sommo magistrato che differisce a seconda delle consociazioni, che siano monarchiche o
poliartiche:
- Monarchiche = il sommo magistrato è ingaggiato con un contratto di mandato per mandare ad
effetto quanto viene deciso dal corpo consociato. La maiestas resta alla consociatio simbiotica, ma
il potere è trasferito a uno solo, il monarca (=/= no sovrano);
- Poliarchiche:
 Aristocratica;
 Democratica = il sommo magistrato è il popolo stesso, il corpo consociato, non viene delegata
questa funzione. Tuttavia viene demandata con contractus mandati la capacità amministrativa
concreta ad alcuni magistrati, che NON sono sommi magistrati, perché rimane il popolo.
Tutte le consociazioni simbiotiche sono uguali dal punto di vista della costituzione pattizia, per questo
Althusius non ha alcun pregiudizio sulla monarchia.

22/11/2022
La riforma si articola in molti rivoli diversi, ma la grande dialettica nell’età di Althusius è fondamentalmente
quella fra luterani, che si definiscono per scelta di Lutero stesso evangelici, e i calvinisti o riformati in senso
stretto. Riformato non solo nel senso di protestante, come contrapposto alla Chiesa romana, ma calvinista,
cioè la riforma nella sua variante più estrema.
La monarchia cattolica francese rivolge la propria violenza verso la minoranza calvinista ugonotta,
rimangono vittime anche diversi giuristi. Quelli che si salvano scappano nell’impero tedesco, ma anche in
Olanda, in particolare nella città di Enden dove Althusius opererà non solo come giurista teorico ma anche
come operatore del diritto, in particolare con l’incarico di capo civile e religioso della città di Enden. Viene
chiamato a svolgere questo incarico proprio per la teoria da lui esposta nella prima edizione della Politica
(1603). Resterà a Enden per tutto il resto della sua vita.
Alla seconda riforma appartengono diversi giuristi ugonotti francesi, e proprio in Francia troviamo le prime
opere in cui giuristi calvinisti (con le categorie concettuali e la formazione del giurista) protestano contro la
monarchia francese. Scrivono pamphlet che rivendicano la libertà di credere, producendo opere via via
sempre più strutturate.
A queste teorie si aggiunge un diverso filone di dottrine che si oppone all’opera di Bodin non solo sul piano
teologico, ma anche sul piano politico. La teoria bodiniana sostiene la monarchia francese dopo la strage di
San Bartolomeo, nonostante Bodin stesso sia a favore della libertà di religione; tuttavia la sua idea di
sovranità e dei poteri del sovrano giustifica la repressione degli ugonotti da parte della monarchia. Gli
autori sono tutti ugonotti, giuristi.
Alla base della comunità non c’è solo un patto fra gli uomini, ma anche un patto con Dio. Il patto con il
proprio governante è successivo e la cui legittimità riposa nel primo patto, quello di cui fa parte anche Dio.
In questo senso, disobbedire ai comandi iniqui di chi governa non è solo giusto ma necessario, perché prima
del patto con il governante è necessario rispettare il patto con Dio.

L’opera principale di Althusius è Politica metodice digesta atque exemplis sacris et profanis illustrata:
politica studiata con metodo, spiegata con esempi sacri e profani. In quest’opera tenta di costruire un
sistema compiuto di diritto pubblico, che anche lui nella prefazione afferma di voler chiarire il rapporto fra
diritto, teologia e politica, materie autonome e che hanno diritto ad avere i propri principi. Tuttavia, un
conto è questa affermazione di principio, altro è ritenere che il complesso dei principi politici debbano
rispettare i principi fondamentali teologici dati da Dio. Questi si desumono non dal diritto canonico, che
proviene dai pontefici la cui credibilità per la riforma protestante è fortemente discussa, ma dalle Sacre
Scritture. L’ossatura delle norme divine è data dalla legge per eccellenza (la Legge), cioè il Decalogo, che
fornisce la struttura fondamentale dei doveri dell’uomo verso Dio (prima tavola) e della vita associata, di
ogni individuo nei confronti dei propri simili (seconda tavola).
Nel concetto di esempi che si possano desumere dalla storia profana, rientrano esempi tratti dalla storia
umana, compresa la letteratura. Dall’altro il sistema del diritto pubblico dev’essere convalidato anche da
esempi tratti dalle sacre scritture. Le leggi umane hanno tutte un contenuto divino naturale che vincola tutti
consociati, compreso il sovrano

23/11/2022
Prof. Malandrino (cont.)
La costituzione materiali delle consociazioni simbiotiche avviene tramite patto, implicito o esplicito. Il
popolo ha una costituzione concreta, non è un popolo astratto. Si dice che Althusius sia un pensatore
organicistico, parla di gruppi e insiemi senza prendere in esame l’individuo. Non è vero, anzi nelle
consociazioni simbiotiche private sono solo gli individui a essere presi in considerazione, associandosi
attraverso i patti.
C’è sempre una distinzione fra i magistrati che governano e gli efori, cioè figure che accompagnano i
magistrati, controllando il loro operato e consigliandolo. Non sempre sono figure di nobili, ma molto
spesso, per le città e le province, figure direttamente elette dai singoli.
Il popolo, titolare degli iura maiestatis in tutte le consociazioni simbiotiche pubbliche, ha una costituzione
molto concreta.

Due potenzialità di Althusius:


- Stretto legame fra iura maiestatis e integrità e moralità con cui questi poteri devono essere gestiti.
Non può esserci il potere del sommo magistrato di fare ciò che vuole, dev’essere tutto finalizzato,
attraverso la sanctitas, per il benessere della comunità. Senza questa finalità l’agire del magistrato
non può essere giustificato. Legame fra moralità e fini della moralità nella politica;
- Il problema del popolo europeo è un problema fondamentale per l’UE, e in generale per tutto
quanto attiene a costituzioni di entità sovranazionali. Il problema fondamentale è capire se la
democrazia può essere realizzata a livello sovranazionale. La maggior parte degli scienziati politici
questo è impossibile: il meccanismo di legittimazione avviene storicamente a livello nazionale, a
partire dal livello di popolo, nazione e potere costituente. A livello sovranazionale, bisogna capire di
quale popolo parliamo. Il concetto di popolo di Althusius, pur essendo un concetto che deriva da
un’esperienza pre-moderna, può suggerirci qualcosa per la post-modernità. Il popolo di Althusius
mette insieme gli individui simbiotici e le costituzioni simbiotiche minori: città province, vescovati.
Queste popolazioni vengono messe insieme e costituiscono un popolo concreto. La sovranità è
sempre del popolo, tutte le forme di governo devono essere responsabili nei confronti del popolo,
poiché i iura maiestatis non sono delegabili (come in Bodin). Il popolo si è aggregato attraverso
passaggi dal basso in alto ed è rispettoso delle peculiarità delle singole componenti del tutto.
Ci sono tematiche che non possono essere risolti dagli Stati nazionali, ma devono essere risolti a
livello sovranazionale o addirittura globale.

Althusius prevede per la simbiosi democratica la possibilità della dittatura in momenti di emergenza come
nella repubblica romana.

28/11/2022
Il termine ottimati è spesso usato insieme a efori come rappresentanti della comunità, ma in altri casi ha il
significato di rappresentanti della comunità che emergono per ragioni di censo, o a volte di cultura. In
questo senso lo possiamo trovare in alcuni passaggi con questa diversa valenza, in riferimento a comunità
dove il censo è il motivo principe per cui alcuni si trovano in preminenza rispetto agli altri (governo
aristocratico).
La decisione su quali siano i limiti effettivi del mandato è rimandata agli efori.

In Althusius c’è sempre un richiamo alla Legge morale, che è in sostanza la legge divina: i doveri religiosi che
ogni individuo ha nei confronti di Dio. I Calvinisti dividono i doveri fra quelli che l’uomo ha verso Dio (prima
tavola) e i doveri dell’uomo verso gli altri (seconda tavola). Il Decalogo è la Legge fondamentale, la Legge
morale, da cui discendono tutte le altre norme. La politica si occupa dei problemi di relazione fra gli uomini,
la teologia invece dei problemi religiosi. Il principio fondamentale è che i doveri dell’uomo verso Dio hanno
comunque la precedenza sugli altri: la politica è autonoma dalla teologia soltanto tenendo presente che la
teologia (la fede) ha un valore fondamentale e questo ambito ha riflessi in tutti gli altri aspetti della vita
dell’uomo. Laddove si verificasse una sovrapposizione di ambiti, dev’essere sempre la teologia/fede ad
avere il sopravvento.
Chi governa in modo iniquo viola i doveri che ha verso Dio, quindi anche se gli efori non hanno ancora
stabilito che si tratta di un comportamento tirannico, l’individuo in base ai doveri che ha verso Dio ha non
solo il diritto ma il dovere di non obbedire. L’individuo non ha il potere di richiamare il magistrato, non ha il
potere di opporsi o di resistere attivamente (né tantomeno di ucciderlo), ma ha il diritto/dovere di porre in
essere questa forma di resistenza passiva di non obbedire.
Per poter esercitare il diritto di resistenza, non è necessario che tutti gli efori decidano all’unanimità che il
magistrato è un tiranno, Althusius ritiene sufficiente seguire il principio di maggioranza. Per evitare di
calpestare i diritti delle minoranze, tuttavia Althusius afferma che se solo una delle comunità sta subendo
iniquità (es. una provincia), e non riesce ad avere il rapporto delle altre, anche il singolo rappresentante di
quella comunità può attivare forme di resistenza attiva (invitare il magistrato a modificare le sue decisioni)
e potrà anche mettere in atto la secessione, una specifica forma del diritto di resistenza.

30/11/2022
Althusius contempla una comunità politica maggiore formata dell’aggregazione di tutte le varie tipologie di
consociationes che esistono, dalla famiglia (la più semplice) ai comuni, province, le corporazioni. La
provincia è intesa non nel senso della provincia romana, ma nel senso di tutte le realtà territoriali di
dimensioni maggiori rispetto alla civitas, che vanno consolidandosi nell’Europa del tempo, a partire dalla
Francia che si inizia definire in quel periodo come uno Stato moderno, ma anche le signorie italiane.

Diritto, teologia e politica hanno una relativa autonomia, i propri principi specifici, tuttavia in alcuni punti si
sovrappongono perché devono tutte seguire la legge morale, il Decalogo.

I diritti sovrani sono come l’anima del corpo politico, dunque come l’anima non può mai separarsi dal
corpo, così i diritti non possono mai essere separati dalla consociatio, neppure se la comunità lo volesse: un
contratto sociale che ponesse alla sua base la donazione dei diritti di sovranità sarebbe invalido. Il
magistrato è solo l’amministratore dei diritti della sovranità.
Il corpo politico è una comunità tenuta insieme dal diritto simbiotico, i diritti sovrani sono parte del diritto
simbiotico.

L’amministrazione è ripartita fra il sommo magistrato e gli efori, i rappresentanti del regno (embrione di
teoria della separazione dei poteri). Fra i compiti principali degli efori c’è quello di controllare e censurare. Il
compito di censura/sorveglianza rivolto da un lato verso i membri della comunità, ma dall’altro verso chi
governa: mutua censura degli efori e del sommo magistrato. Uno dei primi casi in cui si trova l’idea di una
limitazione reciproca fra le magistrature che governano.

Si intrecciano da un lato il concetto di una comunità politica che si forma per aggregazioni successive
secondo il modello aristotelico, cui si contrappone il modello hobbesiano di stato, che passa attraverso
l’idea che non tutto sia così naturale, ma che la costituzione della società civile sia qualcosa che ha
un’essenza diversa rispetto allo stato di natura. Le teorie giusnaturalistiche contemplano la società civile
come prodotto di un contratto, concetto astratto che dà forma all’idea che gli individui abbiano in qualche
modo dato il consenso all’entrata nella società civile. Questo contratto sociale distingue lo stato di natura
dalla società civile. L’elemento del contratto è un elemento chiave della storia del pensiero giuridico
moderno e cambia i presupposto del governo della società: l’idea che ci sia un contratto alla base della
società implica che ci siano dei soggetti di diritti che il contratto l’hanno stipulato, cioè che si sia ormai
concretizzata l’idea che l’individuo è titolare di diritti e di doveri.
Althusius si colloca agli inizi della riflessione giusnaturalistica moderna (il cui padre è Grozio, 1625).

05/12/2022
Il momento del patto è importante per definire il rapporto fra chi governa e la comunità. Per questo per
Althusius è importante il contratto di mandato, che secondo lui è alla base del incarico di governare.
Comporta una serie di diritti e obblighi per chi governa e per la comunità.
Althusius ha una concezione pattizia della legge. Ritroviamo il concetto importante della necessità di un
consenso della comunità sul contenuto delle leggi: alla base del diritto positivo non c’è la volontà di chi
governa ma del corpo politico nel suo insieme. Un altro aspetto, più direttamente legato alla questione del
diritto naturale, è il fatto che secondo Althusius nessuna legge, per quanto promulgata nelle forme previste,
può essere davvero vincolante se non ha un contenuto di diritto naturale o meglio “se non contiene
qualcosa dell’equità naturale”. Il diritto divino, a partire dal Decalogo e in tutte le sue possibili esplicazioni,
si riflette nella natura e viene in qualche modo a coincidere con il diritto naturale, tanto che Althusius
utilizza molto l’espressione “equità naturale”, fonde il concetto di aequitas della canonistica (su cui
Althusius non può basarsi interamente in quanto riformato) e di diritto naturale (?). la giustizia divina è
percepita dall’uomo attraverso la natura e in sintesi attraverso la propria coscienza. Fondamentale un passo
delle Lettere ai Romani di San Paolo spesso citato da Althusius, in cui si dice che la legge di Dio è iscritta nei
cuori degli uomini, i quali ascoltando la propria coscienza, in modo in parte istintivo in parte razionale, sono
in grado di distinguere l’equo dall’iniquo. In questo senso, il diritto è vincolante solo quando dà la possibilità
di mettere in pratica leggi divine naturali.

Si dice comunemente che il giusnaturalismo è un complesso di dottrine con sfaccettature diverse, la culla
da cui nasce poi l’illuminismo e il positivismo giuridico. l’idea che esista un complesso di norme
universalmente valido, che però deve informare di sé anche il diritto positivo, porta in un particolare
sviluppo del giusnaturalismo nella seconda metà del 1700 all’illusione di poter comprendere i principi di
diritto naturale attraverso la ragione e porli per iscritto, codificarli. Questo è il presupposto su cui nasce il
positivismo giuridico di matrice illuministica, con questa fiducia nella ragione umana che arriva a teorizzare
che sia possibile racchiudere in un codice i principi di giustizia, e che il codice in cui sono contenuti questi
principi di diritto naturale possa in qualche modo esaurire il complesso delle norme o comunque chiudersi
alla eterointegrazione. Finché il diritto positivo è interpretato come prodotto della volontà umana resta la
possibilità di integrazione attraverso altre fonti del diritto. Nel Sei-Settecento ci sono una serie di
compilazioni che rappresentano ancora razionalizzazioni del complesso normativo preesistente, spesso di
un unico piano normativo (es. le leggi e costituzioni reali), ma restano ancora aperte a un’eterointegrazioni
ad altri piani normativi.
Il piano di norme superiore e anteriore del diritto positivo, universale e onnipresente (c’era prima e ci sarà
dopo), questo piano di norme meta-positive non ha bisogno di un princeps, una persona che funga da
interprete/mediatore, che svolga non solo un ruolo politico ma anche di tramite fra Ido e gli uomini,
contiene principi di giustizia che l’uomo almeno in parte può riconoscere con la propria ragione. Questo è
uno dei punti chiave del giusnaturalismo moderno. In questo senso la ragione diventa l’elemento distintivo
rispetto alle riflessioni sul diritto naturale dei tempi più antichi. Grozio afferma che il diritto naturale è
razionale, comprensibile dall’uomo. Identificare il diritto naturale con la ragione umana significa
riconoscere a ogni essere vivente la propria razionalità e riconoscere l’individuo come soggetto razionale di
diritti.

?? Il diritto naturale è interpretato secondo una visione naturalistica che interpreta la legge naturale come
quella legge che si ritrova in natura.
Definizione di diritto naturale del CIC  “il diritto naturale è quello che la natura ha insegnato a tutti gli
animali. Infatti il diritto naturale non è proprio solo del genere umano, ma è di tutti gli animali che vivono in
cielo, in terra e nel mare. Da qui discende per esempio l’istituto della congiunzione fra maschio e femmina
che noi uomini chiamiamo matrimonio. Propri del diritto umano è il diritto civile, che è proprio di ogni
comunità.”
Definizione di Ulpiano.
Distinctium di Graziano distinzione fra leggi divine e leggi umane.
“Le leggi sono o divine o umane. Le leggi divine consistono nella natura, le leggi umane consitono nei
costumi.” Il diritto naturale coincide con il diritto divino, e questo concetto riprende Accursio nella glossa al
passo del CIC.

Accursio chiude dicendo che “natura è Dio”.

06/12/2022
Il giusnaturalismo moderno nasce a partire dall’affermazione di Grozio che “il diritto naturale esisterebbe
anche se (etiam si) si ammettesse (cosa che non si può fare senza commettere un sommo crimine) che Dio
non ci fosse”. L’affermazione non è così laica e razionale ma comunque avvia il giusnaturalismo moderno,
maturo. Questa affermazione si ritrova nel De iure belli ac pacis, un’opera non dedicata al diritto naturale
ma al diritto di guerra e di pace. Questa è la seconda tappa del discorso dottrinale moderno, la prima è la
questione della sovranità. Una prima opera importante sulla guerra è quella di Americo Gentili, De iure belli
libri tres (1500), ma molte altre si occupano di diritto di guerra negli anni successivi, fra cui l’opera di
guerra. Momenti chiave in questo percorso sono:
- Pace di Augusta del ??, prima volta che ai principi è riconosciuta la possibilità di scegliere quale
confessione religiosa debba essere adottata nel proprio Paese (cuius regio eius religio)
- ???

Nel dibattito intorno al diritto naturale e al diritto di guerra ha importanza anche la scoperta del novo
mondo, il fatto che l’Europa venga a contatto con nuove popolazioni. Questo aspetto funge da forte
impulso al dibattito sul diritto naturale, molte opere sono di autori della scuola di Salamanca che riflettono
in modo specifico ai diritti che si possono riconoscere alle popolazioni native, se il diritto naturale preveda
diritti inviolabili per tutti gli uomini.
Fra le opere che in modo più diretto si occupano di comparazione sul lungo periodo la più importante è La
democrazia in America di Tocqueville. Riflette sui problemi legati alla libertà di pensiero, libertà di stampa e
di come queste libertà abbiano un impatto formazione dell’opinione pubblica. L’opinione pubblica viene in
primo piano nella dottrina illuminista, la formazione dell’opinione pubblica è una delle grandi battaglie
dell’illuminismo attraverso il sostegno all’istruzione pubblica, aperta a tutti e fondamentale per la
formazione di un’opinione pubblica consapevole.
La seconda parte del libro, dedicato alle istituzioni, si apre con un capitolo molto breve in cui Toccqueville
introduce il problema del funzionamento delle istituzioni democratiche in America, e spiega perché si può
affermare che in America è il popolo a governare. È il popolo che decide, non solo con le proprie opinioni,
ma anche con i pregiudizi e gli interessi: tutti i moti dell’animo, anche quelli negativi, sono destinati a
riflettersi nell’opinione pubblica, che non fa altro che dilagare. Inoltre l’opinione pubblica può essere
influenzata e tirata da una parte o dall’altra dai partiti politici, che rappresentano solo l’interesse di una
parte.
Tocqueville è un liberale, ma afferma che non apprezza la libertà di stampa come si dovrebbero amare le
“cose sovranamente buone”, in relazione al ruolo non sempre positivo che i partiti politici esercitano
sull’opinione pubblica. La libertà di stampa è importante e fondamentale, va preservata, ma può avere
influenze negative. Va apprezzata più per i mali che essa impedisce che per i benefici che ha; sarebbe più
apprezzabile una posizione intermedia fra indipendenza della stampa e censura, ma non è possibile
trovarla. Quando si interviene sulla libertà di stampa si fa al contempo troppo e troppo poco: si lede un
principio importante (troppo), ma non si ottiene alcun risultato utile (troppo poco).

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