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TUTELA PENALE DEL PATRIMONIO E PRINCIPI COSTITUZIONALI

Moccia

Capitolo I

Secondo Moccia, il patrimonio così come inteso e tutelato nel codice penale è anacronistico, rispecchiando
un’estrazione tardo-ottocentesca che privilegia la proprietà di “cose”. La caratteristica più evidente della
disciplina vigente è data dal fatto che essa si rivela, da un lato, come un complesso normativo che non
abbraccia tutte le condotte dannose in materia patrimoniale e, dall’altro, per i fenomeni regolati eccede
per ampiezza delle fattispecie e/o rigore della risposta sanzionatoria (vi è una sperequazione nel
trattamento sanzionatorio delle lesioni personali rispetto a quelle patrimoniali: es. il furto è punito con la
reclusione da 6 mesi a 3 anni e una multa da 154 a 546€ e ancor più aspramente in una delle trenta figure
di furto aggravato, mentre le lesioni gravi sono punite con la reclusione da 3 a 7 anni e addirittura i reati
contro l’ambiente sono sanzionati con contravvenzioni).

Il compito principale è una riformulazione dell’oggetto di tutela adeguato alle reali dimensioni del moderno
concetto di patrimonio nell’attuale assetto socio-istituzionale: la valorizzazione delle modalità di
aggressione serve soprattutto a soddisfare istanze di frammentarietà, consentendo per forme meno
pericolose di aggressione altri strumenti di controllo, tenendo conto anche della titolarità dell’interesse
protetto e le qualità del soggetto attivo.

Anche a livello costituzionale, il patrimonio non ha più la valenza ed il potere che aveva un tempo,
risultando ora caratterizzato da ipervalutazione per via di criteri repressivo-deterrenti, in contrasto con i
princìpi di proporzione e sussidiarietà: l’art. 41 Cost. sancisce la libertà di iniziativa economica privata, ma la
stessa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà e alla dignità umana, subendo comunque dei limiti in merito all’espropriazione, salvo indennizzo,
prevista nei successivi artt. 42, 43, 44 Cost. Dobbiamo quindi limitare il bene patrimonio, perché dal punto
di vista costituzionale, anche in sede sistematica, non rappresenta un bene dinamico e neanche vitale,
come l’art. 13 Cost., seppur prioritario.

Nel 1971 il procuratore di Siena, con un’ordinanza, investì la Corte costituzionale della questione della
compatibilità del trattamento sanzionatorio in tema di danni patrimoniali col principio rieducativo della
pena. L’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 624 e 625 c.p. nella parte relativa ai massimi
edittali riguarda le fattispecie che risultano maggiormente sproporzionate rispetto a quanto previsto in
altre parti del codice penale. La Corte dichiara non fondata la questione, essendo il problema della severità
delle pene attinente a scelte di politica legislativa sottratte al suo sindacato: nella sentenza la Corte
asserisce che il modo in cui il codice penale tutela e patrimonio non è problematico. Ovviamente Moccia va
a delineare questa inadeguatezza strutturale: quanto ai problemi della compatibilità del regime
sanzionatorio del furto con il principio rieducativo, contrariamente al parere della Corte, è fondamentale il
rispetto della proporzione, se non s’intende la rieducazione come mero ammaestramento, ma come
risocializzazione e non desocializzazione.

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Capitolo II

Moccia, tra tutti i titoli, ha deciso di analizzare quello relativo al patrimonio perché quello dove viene in
risalto il canone della frammentarietà. Per quanto riguarda le concezioni storiche sul patrimonio
distinguiamo:

• Concezione giuridica. Risalente a Binding, il patrimonio viene visto come un complesso di diritti ed
obblighi di carattere patrimoniale del soggetto e, di conseguenza, quando viene leso, è come se si
perdesse o si limitasse un diritto del soggetto Da questa concezione giuridica del patrimonio
derivano una serie di obiezioni: in primis, definire il patrimonio in questo modo è restrittivo, perché
limita la considerazione di varie componenti non concretizzate o non del tutto concretizzate con un
valore economico di scambio, come i risultati del patrimonio (es. lavoro), da cui si evince la
necessità di adozione di un autonomo concetto penalistico di patrimonio; inoltre, tale definizione è
restrittiva in termini di offensività, non offrendo punti di appoggio per valutare in termini di danno
patrimoniale la messa in pericolo di un diritto, in quanto essa lascia intatta la situazione giuridica,
quindi non rappresenta alcun danno.
• Concezione economica. Considera il patrimonio da un lato come un complesso unitario di situazioni
di valore economicamente valutabili (senza considerare se la posizione è concretizzata o
concretizzabile in un diritto, consentendo la possibilità di compensazione di diminuzioni
patrimoniali con vantaggi immediatamente acquisiti, secondo criteri di valutazione oggettivamente
economici), dall’altro, secondo la definizione della Corte suprema dell’Impero tedesco, come
concetto della vita economica, cioè capacità economica del soggetto. Questa concezione, secondo
Moccia, comporta due inconvenienti: l’idea di “bene economico” difetta di contorni certi e precisi,
estendendo eccessivamente l’ambito penale (non indicando un valore economico o valore
minimo), potendo però essere superato con un’interpretazione restrittiva; inoltre, è molto difficile
capire quali beni appartengano al soggetto sul piano dell’attribuzione del bene materiale anche
solo su fattuali rapporti di signoria. Il patrimonio risulta non come concetto unitario, ma come
somma di componenti eterogenee, nulla rilevando la posizione del soggetto.
• Concezione economico-giuridica. Opera di Birkmeier, guarda il patrimonio come diritto del soggetto
e come un valore economica valutabile, andando a mediare tra le due concezioni. Il patrimonio è
definito come un complesso di diritti che rappresentano valori economici, sembrando così una
definizione abbastanza completa. Secondo Moccia, però vi sono comunque dei problemi, perché se
il diritto penale riconoscesse come bene patrimoniale quel nesso tra diritti e valori
economicamente valutabili, si arriverebbe a delle soluzioni che contengono aporie, non
prendendosi sufficientemente in considerazione il soggetto. Tuttavia, parte della dottrina ritiene
che la disponibilità del bene tutelatile, non concretizzato in diritto soggettivo, debba comunque
trovarsi sotto la protezione dell’ordinamento giuridico, mentre altri ritengono sia sufficiente che la
disponibilità del bene possa essere realizzata almeno senza la disapprovazione dell’ordinamento. In
proposito, vale la pena di riportare un passo del Mantovani, secondo il quale il ladro, il quale sia a
sua volta derubato o al quale venga distrutta la cosa subisce sicuramente un pregiudizio, ma per
sostenere che oggetto giuridico possa essere una mera situazione di fatto, bisogna essere disposti
ad accettare delle incongruenza inaccettabili. Appare infatti contraddittorio che le medesime
norme che incriminano le varie fattispecie patrimoniali tutelino poi l’autore dell’aggressione contro
il soggetto offeso o terzi estranei e che il soggetto attivo del reato in seguito all’instaurazione in via
illecita della relazione con la cosa possa divenire a sua volta soggetto attivo di diritti patrimoniali.

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Perseguire l’illecito, per poi tutelarne il prodotto come valore patrimoniale del reo è consacrare
l’assurdo etico di una legge che ad un tempo punisca e favorisca. Appare invece legittimo pensare
che la relazione di diritto non disapprovata dall’ordinamento sia il requisito logicamente
indispensabile, perché si possa far luogo a tutela patrimoniale. Per quanto concerne il fatto di
sottrazione commesso ai danni del ladro, questo è meritevole di sanzione penale: attualmente esso
viene punito a titolo di furto, ma secondo Moccia, se il riferimento più che dal primo ladro, a sua
volta vittima della ulteriore sottrazione, dev’essere dato dal reale titolare del bene oggetto delle
attività criminose, a ben vedere l’ulteriore sottrazione è caratterizzata, sul piano della dannosità
sociale, dall’ulteriore violazione del diritto del titolare legittimo del bene a disporne e inoltre dalla
maggior difficoltà di recupero del bene. Allora il tipo di riferimento per il fatto di furto al ladro
sembrerebbe dover essere dato dalla ricettazione, in quanto la nuova azione furtiva perpetua,
come nella ricettazione appunto, la situazione antigiuridica determinatasi con il primo fatto.
• Concezione personale. Si cerca di dare un ruolo ai rapporti sociali, a quello che è il soggetto titolare
di questi diritti economica valutabili: si è visto che, se questo patrimonio viene aggredito, ciò che
comporta non è solo una perdita economicamente valutabile, ma anche un disagio personale,
proprio del soggetto titolare del diritto, Quindi, secondo Moccia, non si può prescindere da
concezioni personali quando, inteso il patrimonio come attribuzione di situazioni di valore ad un
soggetto, andiamo a guardare al patrimonio come bene giuridico tutelabile dal punto div ista del
diritto penale.
• Concezione della potenzialità economica. Qui, tramite un concetto dinamico-funzionale del bene, si
concepisce il patrimonio come complesso di valori economici in grado di portare allo sviluppo della
persona (ex art. 2 Cost.).

Capitolo III

A livello definitorio, si pongono problemi dal punto di vista dei contenuti e per quei fatti dotati di lieve
lesività, cioè le microviolazioni. Se il bene patrimonio è un bene strumentale alla persona, questo nesso di
strumentalità non si può dire venga seriamente minacciato in occasione di un furto di oggetti superflui di
cui il soggetto passivo può fare a meno. Nel titolo sul patrimonio secondo Moccia si rinvengono molte
microviolazioni, ossia quei fatti che rappresentano una sorta di criminalità lieve, che possiamo distinguere
in microviolazioni autonome e non autonome. A parte la norma sui furti minori, per i quali è prevista la
pena della reclusione fino ad un anno e la multa fino a 206€, nonché la perseguibilità a querela, manca una
disciplina generale delle microviolazioni non autonome: queste sono le uniche che possono presentare una
sorta di lesività, offensività, in termini di dannosità sociale, che può andare da un mino ad un massimo, ma
sicuramente non potranno mai coincidere ad esempio con un reato d’omicidio. La differenza quindi sta nel
fatto che le autonome (es. reati contravvenzionali) non hanno nessun tipo di lesività, le non autonome
hanno un grado di lesività graduabile. Per quelle autonome si propende per una depenalizzazione,
affidandole all’illecito amministrativo o una soluzione intrasistematica, creando una norma di parte
generale che estenda la punibilità da affiancare ad ogni singola norma di parte speciale (gli indici di levità
della nuova categoria dovrebbero essere dati sul piano dell’illiceità dall’esigibilità dell’offesa, tipica del fatto
microviolatorio, e dallo scarso disvalore della condotta; viceversa, considerazioni attinenti alla colpevolezza
andrebbero tenute presenti nell’esame del singolo caso concreto per la scelta della sanzione) per quelle
non autonome non è possibile l’eliminazione dal codice penale, perché intrise di un grado di offensività da

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trattare a livello penale. Tuttavia per Moccia è assurdo a volte intervenire con lo strumento penalistico per
reprimere questi fatti, prospettando l’utilizzo di due modelli per trattare le microviolazioni non autonome,
riprendendo delle proposte di legge e di riforma in Germania nel ’73-’74:

• Giustizia aziendale. Quando siamo in un’azienda medio-grande, al cui interno esiste un


sottosistema di controllo operate più o meno efficacemente, che estende la sua competenza anche
a microviolazioni, ed un dipendente di tale azienda compie qualcosa di ingiusto, la situazione viene
risolta quasi sempre a livello aziendale. L’enorme vantaggio di affrontare in termini brevi problemi
di devianza nell’ambiente in cui sorgono e con la partecipazione in funzione giudicante di soggetti
espressione del medesimo ambiente evita rischi di desocializzazione. Ci si domanda quindi se si
possa applicare questo meccanismo piramidale tipico di un’azienda per trattare tutti i fatti dotati di
lieve criminalità.
• Furto in magazzino/supermercato. Per il furto nei grandi magazzini si prevede una soluzione
civilistica in senso stretto, che prevede che il soggetto che abbia rubato un oggetto sia condannato
civilisticamente alla restituzione del bene e a pagare il doppio del costo dell’oggetto. E’ vero che
parliamo pur sempre di una microviolazione non autonoma, ma questo progetto tedesco, che
prevedeva di punire nel suddetto modo i soggetti che rubano in un supermercato, poteva essere
una soluzione ottimale per alleggerire il carico penale.

Capitolo IV

Moccia decide di illustrarci una sistematica del titolo dei delitti contro il patrimonio, indicando un paio di
criteri che dovrebbero guidare il legislatore.

Il criterio dell’oggettività giuridica potrebbe essere usato nel momento in cui il legislatore va a creare la
fattispecie a tutela del patrimonio, ma in realtà è criticato dallo stesso Moccia, secondo il quale a livello di
oggettività giuridica possiamo distinguere due tipi di delitti contro il patrimonio:

• I delitti contro il patrimonio in senso ampio (o delitti contro diritti assoluti, cioè tutti quei delitti
contro il patrimonio inteso come proprietà);
• I delitti contro il patrimonio in senso stretto (cioè quelli che vanno a guardare al patrimonio dal
punto di vista economico).

Mentre il suddetto criterio può essere usato per i delitti contro il patrimonio in senso ampio, quando si
parla di delitti contro il patrimonio in senso stretto è una soluzione non adottabile, perché non tiene in
considerazione la modalità di aggressione al bene protetto, peccando dal punto di vista della
frammentarietà. Il diritto penale non interviene sempre per tutelare il patrimonio, ma solo quando viene
aggredito in un determinato modo (furto, danneggiamento), altrimenti la questione si risolve nell’ambito
del diritto civile, perché già questo ha degli strumenti in grado di sanzionare il soggetto che viola il
patrimonio (es. risarcimento del danno).

Il secondo criterio-guida è quello della modalità di aggressione. Unitamente a tale criterio, Moccia ritiene in
via integrativa che possano essere utilizzati anche i criteri attinenti al ruolo dei soggetti attivo e passivo:
questa è la strada seguita dal legislatore del 1930, che propone una sistematica fondata su criteri della
frode e della violenza, ma in maniera illogica già se si guarda al furto, inserito nell’ambito dei fatti

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caratterizzati da violenza, mentre sul piano naturalistico ciò che rileva è la clandestinità. Quando si parla di
modalità di aggressione, Moccia analizza la dannosità sociale, l’offensività, in termini di messa in pericolo o
effettiva lesione del bene. E bisogna partire da queste perché se il bene patrimonio viene aggredito in un
determinato modo, allora può intervenire il diritto penale; laddove il patrimonio non venga aggredito in un
determinato modo è inutile utilizzare lo strumento penalistico per la tutela di quei fatti. L’offensività è
un’ulteriore conferma dell’extrema ratio.

I quattro criteri secondo cui costruire una possibile sistematica del patrimonio sono i seguenti.

• Criterio dell’arbitrio unilaterale.

Sotto questa categoria dovrebbero rientrare tutti quei fatti posti a tu tela del patrimonio che si
caratterizzano per la presenza di un’attività arbitraria unilaterale diretta ad invadere l’altrui sfera
patrimoniale, mentre il soggetto passivo si limita a subire la condotta del soggetto attivo (es. lo
spossessamento). Anche qui per Moccia possiamo trovare, in una compiuta sistematica, tutte quelle ipotesi
della categoria dell’infedeltà patrimoniale, perché anche questa si caratterizza per una violazione del
rapporto fiduciario tra soggetto agente e persona offesa in una fase statica, ove vi è una violazione di una
situazione soggettiva giuridica che funga da presupposto, residuando una sorta di spossessamento
unilaterale da parte del soggetto agente nei confronti della persona offesa. In un primo sottogruppo
possiamo far rientrare quei fatti connotati dalla violazione della detenzione senza appropriazione (es.
danneggiamento); nel secondo sottogruppo la violazione della detenzione con appropriazione (es. furto);
nel terzo sottogruppo la violazione della detenzione con appropriazione è accompagnata dalla violenza (es.
rapina); in un quarto sottogruppo quelle ipotesi caratterizzate dalla sola appropriazione (es. indebito).

• Criterio dello sfruttamento di una condizione di debolezza.

In questa categoria si annoverano tutti quei fati di reati posti a tutela del patrimonio in un fase dinamica,
ove c’è una necessaria partecipazione del soggetto passivo al fatto tipico mediante un atto di disposizione
decisivo per gli effetti patrimoniale. Tra i reati di sfruttamento, in cui Moccia fa rientrare anche la truffa, si
effettua un distinzione in base al fatto che si sfrutti una situazione di debolezza già esistente ed
indipendente dal comportamento del soggetto attivo (es. usura o circonvenzione di incapace) o che
l’agente crei una nuova situazione di debolezza nella vittima (es. reati con frode, come la truffa, o reati con
violenza, come l’estorsione).

• Criterio dell’infedeltà patrimoniale.

Questa categoria si caratterizza per le modalità di aggressione al bene protetto e per dei tratti
caratterizzanti il soggetto attivo, contenendo fattispecie che si caratterizzano per un carattere particolare di
quest’ultimo, ossia i cd. reati propri. Quella dell’infedeltà patrimoniale è una categoria molto più ampia
rispetto alle precedente perché all’interno di questa possiamo sussumere la stragrande maggioranza delle
fattispecie di reati posti a tutela del patrimonio. Moccia individuo secondo questo criterio tre sottogruppi:
infedeltà in rapporti di diritto privato non societario, che interessano singoli nei loro rapporti
interindividuali (es. rivelazione di segreti); reati concorsuali (es. bancarotta), che si qualificano per la
violazione di un rapporto di fiducia); reati societari di infedeltà (es. conflitto d’interessi). Addirittura, per
Moccia, la categoria dei reati che si basano sul criterio dell’infedeltà patrimoniale potrebbe essere usata
anche nell’ambito del diritto pubblico (es. peculato), potendo far comprendere meglio i rapporti tra diritto
penale, civile e costituzionale per al tutela di questa categoria patrimoniale.

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• Criterio della perpetuazione di una situazione antigiuridica.

La caratteristica di questa categoria viene fornita dalla perpetuazione di una situazione antigiuridica
relativamente ad un bene patrimoniale che già è stato precedentemente leso e che viene ancora aggredito.
I fatti di questa categoria hanno l’effetto di aggravare il danno per il titolare del bene, che subisce una
doppia lesione del bene, in quanto il passaggio da un soggetto ad un altro ne rende più complesso il
recupero (come nel caso del furto al ladro). Ovviamente non vi può essere ricettazione se non c’è già un
reato presupposto. Per Moccia questa categoria dovrebbe essere sanzionata con pene molto più gravi
rispetto alle precedente, in quanto i fatti di perpetuazione si connoterebbero di una rilevante dannosità
sociale in quanto, con l’ulteriore trasmissione del possesso illegittimo, o si conferma la posizione
dell’autore, o si fornisce al soggetto un sostegno ancora di più non tollerabile dal diritto.

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