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Bacchini Lo Sviluppo Morale 23 Pag.
Bacchini Lo Sviluppo Morale 23 Pag.
LO SVILUPPO MORALE
Kohlberg negli anni 60 elaborò una teoria sistemica dello sviluppo morale.
Concetti chiave:
L’universalità (caratteristiche comuni in tutto il genere umano)
Il principio gerarchico (livelli più avanzati e maturi)
La stadialità (il pensiero morale progredisce per stadi)
Il primato della cognizione (strutture che sottendono una presa di decisione)
Il conflitto sociomorale (dilemmi morali)
Primato delle analisi delle strutture o forme del pensiero morale (analisi delle strutture pensiero)
Rifiuto del relativismo culturale ed etico
Il concetto di self (concetto di identità)
Il role taking (assumere la prospettiva dell’altro)
Il punto di partenza: Il dilemma di Heinz (1969); rubare la medicina (non avendo tutti i soldi dato che il
farmacista la vendeva dieci volte in più di quella che gli costava) per salvare la moglie dalla morte per una
particolare forma di cancro. In base alle risposte Kohlberg identificò tre livelli di ragionamento morale,
ognuno suddiviso in 2 stadi – 3 livelli – 6 stadi
Il modello bifasico di Gibbs: autore che ha sviluppato maggiormente il modello di Kohlberg in riferimento
all’anti-socialità adolescenziale nella sua opera principale: Moral Development and reality. Critiche a
Kohlberg: stadi più elevati ad appannaggio di una ristretta popolazione in possesso di particolari
caratteristiche culturali e di istruzione; ciò mina l’aspirazione universalistica del modello.
Gibbs distingue due dimensioni dello sviluppo morale:
1. Fase standard
2. Fase esistenziale
La fase standard comprende i processi base della comprensione morale e presiedono all’azione morale.
La fase dello sviluppo esistenziale riguarda le abilità di riflessione contemplative e metaetiche, che
consentono di elaborare filosofie e principi morali.
Lo sviluppo morale standard è suddiviso in 2 stadi: immaturi e maturi.
Gli stadi immaturi, che emergono nella prima infanzia e declinano con l’adolescenza, comprendono 2
sottostadi:
1. Il primo sotto-stadio è definito anche della centrazione e riguarda lo sviluppo morale
2. Il secondo sotto-stadio è quello dello scambio pragmatico (nuove abilità cognitive; perspective
taking, inferenze logiche di tipo pragmatico ecc.)
Gli stati maturi compaiono nella tarda fanciullezza e nell’adolescenza; basi ideali intangibili (fiducia
reciproca, cura, rsipetto), relazioni sociali regolate secondo principi morali. Concetto guida: reciprocità.
Il passaggio agli stadi più maturi è reso possibile dalle abilità meta-cognitive (pensare
sull’oggetto/contemplazione).
Il terzo stadio è definito delle mutualities, ossia della reciprocità tra individui.
Il quarto stadio dei sistemi: estensione dalla dualità verso la condivisione di valori accettati da tutto il
sistema sociale.
La quarta fase: lo sviluppo esistenziale. Non è presente in tutti gli individui, ma non è considerata
un’evoluzione dell’ultimo livello della fase standard. E’ come una sorta di valore aggiunto. Richiede il
raggiungimento di elevate competenze cognitive, empatiche e logiche, coinvolge una contemplazione
ipotetica, riflessioni meta-etiche, principi morali o filosofie, ricerca spirituale.
Cap. 2 La teoria degli ambiti
Alcuni studiosi (Nucci, 2001/02, Smetana 1995, Turiel 2002/6) hanno proposto un. Modello dello sviluppo
morale alternativo a quello di Kholberg denominato teoria degli ambiti. Secondo questro approccio, il
mondo sociale è regolato è regolato da una serie di attese e regole che si presentano in contesti differenti.
Ma non tutte le regole sociali sono morali. Diversamente da quanto sostenuto da Piaget e Kohlberg, essi
sostengono che i giudizi dei bambini sulla condotta morale non sono basati sul rispetto o sulla riverenza
verso l’adulto, ma sulle conseguenze che l’atto offensivo potrebbe avere sulla vittima.
L’assunto fondamentale di questa teoria è che i bambini distinguano precocemente fra i vari domini sociali,
e che quindi differenti schemi o strutture cognitive sovraintendano il giudizio in un ambito o in un altro.
Sulla base di ciò gli individui regolano il proprio comportamento sociale sulla basa di 4 distinti ambiti:
1. Morale (giustizia, benessere, diritti)
2. Convenzionale (autorità, tradizione e norme sociali)
3. Personale (personale valutazione)
4. Prudenziale (integrità fisica e psicologica)
Uno degli assunti basi di questa concezione è la specificità di dominio.
Essi concordano che non possa esserci un relativismo morale, in quanto i principi che definiscono la
moralità sono espressione di una proprietà naturale della mente umana.
Caratteristica fondamentale dei principi morali sono la prescrittività e l’universalità.
L’ambito morale ha queste caratteristiche:
Obbligatorietà (prescrittività intrinseca)
Generalizzabilità (valore universale)
Impersonalità (indipendente da autorità o gruppi che l’hanno istituita quindi non modificabile)
Per l’ambito convenzionale diversamente dalle regole morali sono:
Stabilite di autorità
Non universali
Non generalizzabili
Ambiti misti e controversie nella classificazione. Non sempre una regola è facilmente collocabile in uno
specifico ambito. I fattori che determinano questa difficoltà sono di 2 ordini: il primo riguarda il fatto che
nella realtà non tutte le situazioni sociali presentano una netta distinzione tra dominio morale e
convenzionale; il secondo è che le persone possono valutare diversamente l’ambito in funzione del proprio
status.
Divergenze genitori-figli nell’attribuzione degli ambiti. È soprattutto in relazione all’ambito personale che
si osservano maggiori contrasti. Durante l’adolescenza la conflittualità genitori-figli è molto accentuata in
relazione ai confini del dominio personale e la negoziazione risulta difficile perché i figli non riconoscono
più l’autorità dei genitori e i genitori non riconoscono ai figli una totale autonomia decisionale.
Sono stati condotti studi che forniscono interessanti indicazioni circa le strategie educative. Va ricordato
che sebbene le normo morali possiedono un’intrinseca superiorità rispettare le norme convenzione è
necessario per il mantenimento dell’ordine sociale e sono soprattutto queste ultime ad essere apprese nel
corso del processo di socializzazione.
Le implicazioni sul piano educativo
Nucci (2001) ritiene che un educatore, neo riguardi di una violazione, può intervenire in 5 modi:
1. Evidenziare che il comportamento è in sé dannoso ed ingiusto;
2. Indurre in bambino ad assumere la prospettiva dell’altro;
3. Ribadire la norma:
4. Evidenziare che il comportamento è fuori luogo;
5. Chiedere in modo perentorio di interrompere il comportamento.
Quando i rimproveri degli adulti sono pertinenti all’ambito della violazione, il bambino è agevolato nel
compito di distinguere chiaramente i due ambiti. In caso di trasgressione di regole convenzionali, ci si
attende quindi che la reazione dei genitori siano costituite da un’ingiunzione nell’interrompere quel
comportamento (smettila di disturbare!), mentre nel caso di violazioni di regole morali si porrà l’accento
sulle conseguenze delle azioni con espressioni del tipo: “pensa come ti sentiresti se fossi tu ad essere preso
in giro dall’altro bambino!”. I genitori sembrano preoccuparsi di più delle norme di tipo convenzionale,
funzionali al modo giusto di comportarsi in società. Immaginiamo 2 diverse situazioni in ambito scolastico:
1. Carlo prende in giro Maria per il suo abbigliamento
2. Mario si alza spesso dal banco durante la lezione
Nel primo caso si tratta di una violazione di una norma morale e le strategie più adeguate sono quelle di
evidenziare che il comportamento in sé e dannoso e ingiusto, invitando il bambino ad assumere un punto di
vista diverso dal suo.
Nel secondo caso non avrebbe senso mettere l’accento sulle conseguenze negative dell’azione su di una
vittima. Più efficace sarebbe un intervento volto a ribadire la norma secondo la quale in classe non ci si può
alzare quando si vuole e che è molto maleducato alzarsi senza permesso, oppure una severa ingiunzione:
“torna la tuo posto!”
Influenza della cultura sull’interpretazione degli ambiti sociali. Differenze osservate in diversi contesti
culturali. In alcune culture c’è una maggiore tendenza a moralizzare le convenzioni sociali, a considerarle
meno modificabili e a generalizzarle a contesti differenti.
La teoria degli ambiti in un’ottica evolutiva. Secondo il percorso evolutivo proposto da Nucci (2001) il
giudizio morale si origina nei primi anni di vita, quando il bambino diviene consapevole delle conseguenze
negative di una determinata azione.
Fino a 7 anni: preservare il proprio benessere ed evitare di danneggiare gli altri.
Fra 8-10 anni: garantire una parità di trattamento improntata ai concetti ancora embrionali di
giustizia e reciprocità
10-12 anni: garantire l’equità di trattamento, considerata ora in maniera più evoluta
12-14 anni: integrare il concetto di equità con gli aspetti universali e prescritti dalla morale
14-17 anni: garantire ciò che è giusto. Approfondimento del concetto di giustizia.
17-20 anni: possibile concezione relativistica della morale.
20 anni in poi: agire nel rispetto dei principi universali di equità e giustizia che trascendono norme e
rapporti specifici. Applicazione di principi etici nel ragionamento sistema sociale.
I metodi di ricerca: vengono presentate delle situazioni prototipiche inerenti ai diversi domini e si chiede ai
bambini di formulare giudizi su ciascuna situazione.
Definizioni di empatia. Il termine empatia deriva dal greco. En= dentro e pathos = sofferenza o sentimento
e veniva usato per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo
pubblico. In ambito psicologico, gli studi sull’empatia risalgono a Titchener (1909), il quale conia il termine
empahty come traduzione dal tedesco Einfuehlung, letteralmente immedesimazione, usato in riferimento
al godimento estetico.
Le componenti principali del processo empatico sono tre: affettiva, cognitiva e fisiologica.
Nella dimensione affettiva va intesa come condivisione emozionale.
In termini cognitivi è intesa come comprensione dell’esperienza di un altro (perspective taking/role taking)
La componente fisiologica dell’empatia si riferisce al coinvolgimento di funzioni legate all’attività del
sistema nervoso autonomo, che operano nell’indurre un individuo a comportarsi e a sentire in modo
speculare a un’altra persona. Secondo Hoffmann l’empatia è l’attivazione di processi psicologici che fanno
si che una persona abbia sentimenti simili all’altra persona. Il focus viene posto sul processo che ha luogo
sul soggetto che empatizza piuttosto che sull’esito.
L’empatia è considerata da Hoffman l’origine, il processo e il motore che rende possibili il prendersi cura
dell’altro e, in definitiva la convivenza tra le persone. E’ un tipo di esperienza emotiva universale e si trova
in molte specie non umane.
Il modello teorico di Hoffman
Martin Hoffman è lo studioso che più di altri ha tentato di sistemare i diversi contributi relativi al ruolo
dell’affettività sullo sviluppo della vita morale, proponendo un coerente modello teorico.
Attività trentennale di ricerca sul tema pubblicata nel volume “Empathy and moral development” (2000)
Le modalità mature dell’attivazione empatica implicano il ricorso a più sofisticati processi cognitivi e ad
abilità metacognitive. Richiedono intermediazione di carattere cognitivo per differenziare il proprio punto
di vista da quello dell’altro.
1. L’associazione mediata: il potere che hanno le parole di evocare emozioni e stato d’animo.
L’osservatore deve codificare, nel senso di processare mentalmente ed interpretare, l’esperienza
della vittima, correndo il rischio di compiere errori di valutazione: le parole non sono l’esperienza
vissuta ma solo una loro rappresentazione.
2. L’assunzione di ruolo (role taking): in questa fase ci si immagina di essere al posto di un’altra
persona. Questa modalità richiede processi cognitivi più sofisticati e può avvenire in 2 modi. Nel
primo caso l’attività di perspective taking può essere centrata sul sé: l’osservatore immagina come
si sentirebbe se si trovasse nella situazione dell’altro. Nel secondo caso può essere centrata
sull’altro: l’osservatore immagina come si stia sentendo l’altra persona in quella particolare
situazione.
Gli stadi evolutivi del distress empatico.
Hoffman come Kohlberg ritiene che le fasi della moralità matura si raggiungano in adolescenza.
Diversamente da Kohlberg però Hoffman ritiene che le caratteristiche di uno stato precedente non siano
mai del tutto abbandonate né che costituiscano il fondamento per lo stadio successivo. In termini evolutivi
su può distinguere tra stati maturi ed immaturi dell’esperienza empatica.
Gli stati immaturi che compaiono già nel primo anno di vita, sono caratterizzati da una superficiale
distinzione sé-altro e dall’assenza della mediazione linguistica. Essi comprendono:
1. Stadio 0: il pianto reattivo del neonato (contagio emotivo predisposizione innata all’isomorfismo
tra i membri della stessa specie;
2. Stadio 1: distress empatico egocentrico (intorno ai 6 mesi, il neonato non ha del tutto chiaro se a
soffrire è l’altro oppure lui e cerca di consolare soprattutto sé stesso);
3. Stadio 2: distress empatico quasi egocentrico (intorno ai 2 anni, distingue tra sé e l’altro ma non è
ancora in gradi di comprendere i reali bisogni dell’altro.
Secondo Kohlberg, a differenza di Piaget, già alla fine del secondo anno di vita il bambino abbandona la
prospettiva egocentrica infantile in quanto comincia a distinguere tra sé e l’altro, ciò dà l’avvio a quella
trasformazione dell’esperienza empatica che Hoffman descrive come passaggio dall’empatia egocentrica a
quella simpatetica, nel senso che il bambino desidera aiutare l’altro perché oltre a condividere
empaticamente la sofferenza della vittima, prova un reale dispiacere (compassione) per l’altro. Il nesso tra
empatia e moralità segue 2 percorsi distinti: il primo di tipo egoistico (alleviando la sofferenza dell’altro di
conseguenza si allevia pure quella dell’osservatore), il secondo di tipo altruistico (la condivisione empatica
si associa a un sentimento di cura e sollecitudine).
Gli stati maturi comprendono:
1. Stadio 3: distress empatico in risposta alla situazione di un altro (empatia veridica: aderente alla
reale situazione) dal consolidamento della teoria della mente fino ai 12-13 anni con l’ingresso
nell’adolescenza, si diviene consapevoli che lo stato d’animo di una persona non è sempre legato
alla situazione contingente.
2. Stadio 4: distress empatico per la condizione esistenziale dell’altro. E’ lo stato più maturo e implica
capacità astratte di pensiero. Non si attiva solo di fronte al disagio dell’altro, ma avviene in
rapporto alle condizioni generali di vita dell’altra persona (es. vista di un mendicante per strada).
Questo livello di attivazione empatica richiede una valida abilità immaginativa e si consolida
durante l’adolescenza grazie alle maggiori capacità di astrazione proprie di questo periodo.
Le limitazioni dell’empatia
Senza i correttivi cognitivi, l’empatia potrebbe non essere in grado di condurci ad azioni moralmente
corrette. Hoffman inquadra questo fenomeno come limitazioni all’empatia suddivisi in 2 principali
categorie: quelle concernenti il fenomeno dell’over-arousal empatico e quelle che riguardano i cosiddetti
bias empatici.
3.3.5. Dall’empatia alla moralità – Ruolo delle attribuzioni casuali e delle inferenze sull’ingiustizia
La cognizione svolge un ruolo decisivo nel trasformare o meno l’empatia in simpatia per la vittima e nel
motivare all’azione prosociale. Il primo meccanismo è quello dell’attribuzione casuale; processi semi-
automatico attraverso cui gli individui tendono a dare una spiegazione (ad individuarne le cause) degli
eventi relativi al sé e ad altre persone. Le analisi causali possono essere classificate come interne o
esterne al soggetto e controllabili o incontrollabili. Un fattore che favorisce la trasformazione
dell’empatia in simpatia è che le cause de distress siano percepite esterne alla vittima e da questa non
controllabili. La regola generale è dunque che se si ritiene che la vittima sia in qualche modo
responsabile della sua situazione, il distress empatico che si prova sarà inferiore, ma se si ritiene che la
vittima abbia subito ingiustamente un torto, il distress empatico tenderà ad incrementarsi. I percorsi
dell’empatia possono essere vari. Essa può trasformarsi in rabbia empatica rivolta ad una terza persona
ritenuta responsabile della sofferenza della vittima. L’attribuzione casuale è determinante anche ai fini
di quel fenomeno che Hoffman chiama: ingiustizia empatica che si attiva quando si ritiene che la
vittima ha ricevuto un danno senza aver fatto del male a nessuno. Il concetto di reciprocità ha molta
importanza nella formulazione dei giudizi morali e ciò da una spinta motivazionale per ristabilire una
condizione di equilibrio dinamico fra le parti.
Secondo Hoffman l’empatia da sola non sarebbe sufficiente ad intraprendere un’azione morale senza
l’intervento dei principi morali o ideali filosofici la cui principale funzione è quella di porre rimedio ai
limiti dell’empatia. (over/under arousal empatico).
Secondo la tesi di Hoffman i principi morali svolgono la funzione di stabilizzare gli affetti empatici, sia
nel senso ridurne l’intensità sia di aumentarla. I valori morali si legano dunque all’empatia e
costituiscono uno script morale (Gibbs 2003), dapprima si attiva il distress empatico, successivamente
entrano in azioni i principi morali individuali che, a loro volta, vengono caricati empaticamente. La
risposta empatica diviene così meno dipendente dallo stato d’animo della vittima.
Principi generali: le varie teorie dello sviluppo morale concordano sull’idea che gli esseri umani
possiedano una disposizione innata a dare vita a emozioni, apprendimenti, cognizioni e azioni inerenti a
quel campo dell’esperienza che chiamiamo morale. Ci sono 3 principali filoni di ricerca sul rapporto tra
sviluppo morale e biologia. Il primo si colloca sul paradigma evoluzionistico, focalizzandosi in
particolare su meccanismi di natura affettiva, che spingono i membri di una specie a mettere in atto
comportamenti prosociali e ad avere cura gli uni degli altri. Il secondo si concentra sulla dimensione
cognitiva della moralità differenziando la specie umana da quella animale ed il terzo si focalizza sui
correlati neuroanatomici, biologici e temperamentali della moralità. Obiezione che lo sviluppo morale
abbia una base del tutto biologica: l’esposizione ai principi morali della comunità è responsabile della
diversità, mentre il substrato biologico può essere considerato il fattore alla base delle strutture
invarianti, affettive e cognitive, dello sviluppo morale.
La base evoluzionistica della preoccupazione degli altri
I principali argomenti a sostegno di un’origine naturale della morale sono:
Varie specie animali condividono con gli esseri umani una propensione a prendersi cura degli
altri attraverso comportamenti che possono definirsi prosociali e altruistici;
Vi sono evidenze che i bambini iniziano a preoccuparsi molto precocemente degli altri
Nella cornice teorica darwiniana esisterebbero due tipi di comportamento altruistici, quelli self-serving o
self-destructive, i primi servono solo ad un guadagno personale, i secondi invece un guadagno solo alla
specie. I comportamenti altruistici si manifestano anche al di là della parentela in base al principio di
reciprocità. L’altruismo tra i membri di una specie non legati geneticamente aumenta le probabilità di
riproduzione e sopravvivenza della specie intera.
In altri termini, l’empatia, la simpatia e il comportamento prosociale emergono dai processi basici delle
emozioni nei mammiferi primitivi, sono inizialmente legati al legame di parentela, ma tendono ad
estendersi a una rete più vasta di relazioni sociali nelle quali l’essere umano è inserito, fino a coinvolgere
tutti gli individui con i quali sente di condividere qualcosa come la religiosità, l’etnia, lo status
socioeconomico, le personalità, fino all’idea di umanità intera (Rusthon 1989).
I correlati biologici
Influenze genetiche
Nel valutare le 3 diverse componenti dell’empatia quali la simpatia, la perpective taking e il personal
distress, è stato riscontrato che l’ereditarietà agisce su 2 componenti a maggiore valenza affettiva (simpatia
e personal distress), ma non su quella cognitiva, questo in accordo con la teoria evoluzionistica, secondo cui
ad essere trasmessa per via genetica è soprattutto una propensione spontanea a prendersi cura degli altri,
che trova il suo radicamento in parti più arcaiche del cervello umano come il sistema limbico (geni deputati:
dopamina). Componente ereditaria molto forte nei primi 20 mesi di vita attenuandosi per affetto di
socializzazione ed apprendimento.
Il ruolo del temperamento: è un elemento delle personalità legato allo stile comportamentale del soggetto
piuttosto che alle sue abilità o al contenuto stesso del comportamento. Si ritiene che abbia una forte base
costituzionale e che le differenze temperamentali siano di natura genetica. Secondo Rothbart il
temperamento riguarda le diversità tra individui in relazione a 2 dimensioni: la reattività e le funzioni auto-
regolatorie, presenti su base costituzionale ma influenzabili nel corso del tempo dalla maturazione e
dall’esperienza. Gli studi che hanno indagato il rapporto fra temperamento e morale si sono focalizzati
soprattutto su come alcune caratteristiche fondamentali possono influire sullo sviluppo della
preoccupazione per gli altri e sul comportamento morale in generale. Nessun autore sostiene una diretta
relazione fra temperamento e morale, solo talune caratteristiche del temperamento vengono integrate
nell’ambiente di riferimento. Rothbart parla di bambini con stile temperamentale di tipo inibito che l’autore
classifica come soggetti con scarsa autoregolazione emozionale. Questi bambini di fronte a situazioni nuove
faticherebbero a mettere in atto giuste risposte di coping e specie in situazioni tempestive di aiuto si
rivelano scarsamente prosociali. Tuttavia se sono in presenza di una figura familiare la loro risposta diviene
più adattiva e prosociale. I bambini con temperamento difficile, caratterizzato da emozionalità negativa,
mostrano generalmente scarsa empatia e poche azioni prosociali. Sono stati fatti pochi studi e soprattutto
sul temperamento difficile.
Il ruolo del sistema nervoso autonomo
L’esperienza empatica e le condotte prosociali attivano il sistema nervoso autonome (SNA) come accade
per l’esperienza emozionali. In linea generale da alcuni studi risulta che l’accelerazione cardiaca sia
associata e alti livelli di personal distress e connessa a una ridotta sensibilità prosociale; al contrario una
decelerazione cardiaca sembra essere associata a una più elevata disposizione empatica e a condotte
prosociali. Alta conduttività cutanea associata a personal distress, bassa associata ad azioni prosociali.
I correlati neuroanatomici e i neuroni specchio
Le regioni prefrontali interagiscono con molte altre strutture cerebrali nella valutazione dei segnali e del
comportamento; in particolare i poli frontali, le aree temporali, il cingolato anteriore, l’insula e soprattutto
l’amigdala, contribuiscono ad una rete neuronale ampiamente connessa implicata nei diversi aspetti della
cosiddetta “cognizione sociale”. La recente scoperta dei neuroni “specchio”, individuato per la prima volta
da un gruppo di ricerca italiano guidato da Giacomo Rizzolatti sono un tipo di neuroni collocati nella neo-
corteccia, nel percepire un’azione o uno stato emotivo di un altro individuo. Essi si attivano in modo del
tutto speculare ai neuroni del soggetto che compie l’azione. Grazie a questi meccanismi neurali possiamo
immaginare, come se li compissimo noi stessi, l’azione di un’altra persona. Gli studi sul contagio emotivo
(Hatfield, Cacioppo, Rapson 1994) hanno dimostrato come le persone tendano spontaneamente a imitare
le espressioni altrui di dolore, imbarazzo, gioia e che tale attitudine ha una forte valenza comunicativa
perché l’altro ha la sensazione di essere stato capito. Molti studiosi ritengono che i neuroni specchio
svolgano un ruolo sia nella comprensione delle emozioni altrui che nel porsi in empatia con esse. È stato
empiricamente dimostrato che i soggetti più empatici sono quelli le cui aree dei neuroni specchio si
attivano più intensamente.
Neuroetica: una nuova frontiera?
La neuroetica è il programma di ricerca che tenta di coniugare le scoperte provenienti dalle neuroscienze
con quelle derivanti dallo studio dei processi affettivi e cognitivi soggiacenti alla comprensione e all’azione
morale. È un campo emergente di ricerca nell’ambito degli studi sulla moralità e consente di gettare nuova
luce su alcuni punti controversi relativi al rapporto tra ragionamento e intuizione morale, cognizione ed
emozione, forme implicite ed esplicite di ragionamento. Gli studi di neuroscienze hanno arricchito le
conoscenze sulla moralità in 3 modi:
1. Hanno dimostrato che il funzionamento morale richiede l’integrità del funzionamento cerebrale; si
è visto che alcuni tipi di danno cerebrale causano disfunzioni morali nell’ambito di un normale
funzionamento psicologico.
2. Hanno gettato nuova luce sui processi di base che presiedono al funzionamento morale, talvolta
validando alcuni concetti tradizionali, altre volte contraddicendoli.
3. Hanno aperto la strada all’ipotesi che alcuni interventi correttivi sulle funzioni cerebrali attraverso
dispositivi di tipo chirurgico, farmacologico o altro possono essere utilizzati per correggere un
malfunzionamento morale.
Gli studi condotti dalle neuroscienze hanno evidenziato che quelli che consideriamo ragionamenti e giudizi
morali non sarebbero governati da processi razionali, ma da molteplici sistemi inconsci che operano in
parallelo, spesso automaticamente al di fuori della consapevolezza.
Critiche all’approccio neuroetico:
compiti cognitivi adatti ad adulti e non ai bambini che possiedono una rappresentazione del mondo
ed un linguaggio diversi da quelli degli adulti.
Gli studi non approfondiscono che cosa esattamente si intende per moralità
Gli studi interessati quasi sempre ad esplorare il processo di decisione morale, danno poco peso
alla motivazione sottostante una scelta invece che un’altra
Seguito uno studio pubblicato sulla rivista Nature sono stati sottoposti ai dilemmi del treno 6 pazienti con
danni bilaterali della corteccia prefrontale ventromediale, un’area deputata alla generazione di emozioni, in
particolare di quelle sociali come compassione, colpa ecc. questi pazienti non riscontravano differenze fra i
2 dilemmi (locomotiva che uccide 1 persona per salvarne 5 oppure uccidere una persona per salvarne 5
dalla morte) e rispondevano in maniera utilitaristica per cui sarebbe stato meglio sacrificare una persona
per salvarne 5. La conclusione a cui giunsero gli autori è che il danno avuto da questi pazienti ha
compromesso l’emozione per cui non sussiste alcuna differenza fra i 2 dilemmi al contrario delle persone
sane che hanno risposto negativamente allo scenario più coinvolgente e sconvolgente di spingere una
persona sui binari.
Tre orientamenti
Per sintetizzare i vari orientamenti presenti in letteratura sul rapporto tra sviluppo morale e contesto
culturale, si possono individuare schematicamente 3 punti di vista.
1. Un orientamento universalistico “puro”, che richiamandosi all’assunto kantiano dell’universalità
della morale, trova la sua più compiuta espressione in ambito psicologico nella teoria kolberghiana,
secondo cui la sviluppo della morale di dispiega in tutti gli individui in modo analogo, sia per le
tappe di sviluppo morale, sia per i contenuti e le strutture mentali specifiche di ogni fase di
ragionamento morale. Le differenze culturali agiscono solo per favorire o meno tutte le fasi dello
sviluppo morale ma strutture e forme del ragionamento non variano tra le culture.
2. Un orientamento culturalista che enfatizza le diversità trai i codici morali presenti nelle diverse
culture. Il paradigma teorico di riferimento è quello culturalista o del costruzionismo sociale,
secondo cui all’interno della cornice culturale di riferimento vengono elaborati i diversi significati.
Per cui il significato dei principi, validi per una determinata cultura, potrebbero non esserlo per
un’altra
3. Un orientamento misto, che tiene conto sia della presenza di alcune invarianti dello sviluppo
umano sia delle differenze culturali. Questo punto di vista parte dalla constatazione che i principi
morali sono declinati nei vari contesti culturali, ma al tempo stesso le forme con cui essi si
esprimono non sono infinite, bensì limitate da una serie di vincoli, soprattutto di ordine biologico,
che accomunano tutto il genere umano.
L’assunto universalistico. Tra le varie criticità della posizione kolberghiana 2 sembrano essere quelle
principali: 1) riguarda gli strumenti di misura utilizzati che secondo alcuni ricercatori non catturano
efficacemente l’oggetto del ragionamento morale da misurare (i dilemmi morali);
2) riguarda l’effettiva generalizzabilità del modello a diversi contesti; individui che vivono in contesti
occidentali, con più elevato livello di istruzione, raggiungono con maggiore frequenza li stadi più elevati di
ragionamento morale, mentre quelli appartenenti a una cultura non occidentale tendono a fermarsi
solitamente agli stadi 3 e 4. Per questo Kolbergh venne accusato di etnocentrismo.
In difesa del modello universalistico. Gibbs (2007) ritiene, che pur essendo necessari dei correttivi alla
teoria di base del metodo di indagine kolbeghiano, gli assunti fondamentali dell’approccio cognitivo
evolutivo mantengano la loro validità. L’aspirazione universalistica era dettata dal desiderio di fondere in
un unico modello teorico 2 principali fonti di ispirazione. La teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget e la
teoria morale di Dewey. Da quest’ultimo egli riprende una concezione tripartita del giudizio morale, basato
rispettivamente sull’impulsività, sul conformismo al gruppo e sulla riflessione. Gibbs ritiene che i risultati
delle ricerche longitudinali si adattino maggiormente al modello di Piaget, centrato sul passaggio da stati
immaturi a stati maturi. Poiché lo sviluppo standard coincide con lo stadio 4 di Kolbergh, (sistema sociale e
coscienza: rispettare gli impegni e le leggi) e in tutte le culture questo stadio viene raggiunto da una
discreta percentuale di individui, si può affermare l’universalità del modello. Rimane però la convinzione
che lo stadio 3 (orientamento del bravo ragazzo/vivere in conformità delle leggi) sia più adeguato a società
meno avanzate, tradizionali o di piccoli villaggi. La moralità esistenziale invece può essere ritenuta
un’espressione culture-centered tipica di alcuni tipi di società, specie quelle occidentali che raggiungono un
giudizio morale maturo in senso più pieno.
Una riformulazione critica del modello universalistico.
La revisione di Snarey del 1985 prese in esame 45 studi realizzati in 27 nazioni diverse. Tutte le ricerche
avevano fatto uso dei dilemmi morali, codificati in base alle norme previste dallo Standard Issue Scoring
della Moral Judgment Interview. Al termine della sua revisione Snarey confermò l’esistenza e l’universalità
dei primi 4 stai dello sviluppo morale, compresa l’età di comparsa e venne confermato anche la maggior
parte di gruppi culturali che vivevano nei villaggi fallivano nel raggiungere lo stadio 5 del livello
postconvenzionale. Egli non condivideva l’idea che un contesto culturale che raggiungeva gli stadi 5/6
doveva essere considerato più complesso o più avanzato, secondo l’interpretazione di Kolbergh; bensì ogni
tipo di società avrebbe dovuto essere un grado di consentire ad alcuni suoi membri di raggiungere i più
elevati stadi di ragionamento morale. La proposta di Snarey fu quella di riformulare lo stadio 5 di Kolbergh
includendo risposte compatibili con altre tradizioni filosofiche e per fare questo era necessario introdurre
delle modifiche nel manuale e nei sistemi di scoring.
Arsenio e Lemerise (2004) hanno coniugato i contributi che provengono dalla teoria degli ambiti i il modello
Sip. Gli autori riprendono dal modello Sip le strutture mentali latenti e il processamento in tempo reale
delle informazioni da cui dipende la scelta comportamentale e dalla teoria degli ambiti, gli ambiti morale,
convenzionale e personale; esse sono cioè associate ad uno specifico dominio e influenzano il
processamento in tempo reale dell’informazione in corrispondenza dei diversi step previsti dal modello Sip.
Rivestono un ruolo importante gli eventi cosiddetti “misti”, in cui sono presenti contemporaneamente
aspetti propri di ambiti diversi; le differenze individuali emergono soprattutto quando si ha a che fare con
situazioni in cui l’ambiguità non riguarda solo le intenzioni del trasgressore, ma anche la natura mista
dell’evento. L’utilizzo del paradigma integrato inoltre chiarisce in che modo la conoscenza morale e il
processamento dell’informazione ai diversi step, contribuiscono alla scelta di privilegiare un ambito
piuttosto che un altro oppure ad integrarli.
La socializzazione ha più probabilità di avvenire con successo in un clima familiare positivo caratterizzato da
calore e vicinanza affettiva fra i membri. Un buon clima agisce sulla:
Motivazione: perché i bambini tenderanno a comportarsi in modo conforme ai principi morali per
rendere felici i propri genitori;
Comunicazione: perché la maggiore prossimità tra genitori e figli favorisce un ascolto attento e
continuativo dei messaggi educativi;
Fiducia: che aumenta in base al senso di sicurezza e protezione percepito dai figli;
Autorevolezza genitoriale: perché se i figli riconoscono ai genitori un ruolo positivo nel fornire loro
sicurezza e protezione, è più probabile che li accettino come guida su questioni morali.
I teorici dell’attaccamento hanno dimostrato che un legame sicuro nella prima infanzia crea una relazione
genitori-figli armoniosa e supportiva che rende il bambino più obbediente, cooperativo e responsivo alle
iniziative di socializzazione dei genitori e danno luogo alla formazione di modelli operativi interni che
corrispondono a concezioni di sé, del mondo e della relazione fra sé e il mondo. La teoria dell’attaccamento
fornisce un interessante ponte concettuale tra il comportamento responsivo nelle prime fasi della relazione
con i genitori e la successiva internalizzazione dei principi morali nella coscienza.