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Storia del diritto medievale e moderno, libro “Tempi del diritto”


e appunti del prof. D. Rossi
Storia del diritto medievale e moderno - i mod. (Università degli Studi di Trieste)

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Università degli Studi di Trieste


Dipartimento di Scienze Giuridiche, del Linguaggio, dell’Interpretazione e
della Traduzione

Storia del diritto medievale e moderno

Prof. Davide Rossi

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“PRIMA LEZIONE DI DIRITTO”


Paolo Grossi

Che cos’è il diritto?


(Cap.1)

1. Il diritto tra ignoranza, fraintendimenti, incomprensioni


Non si può ricollegare il diritto al mondo dei segni sensibili (es: se possiedo un fondo rustico, rischio che esso si
confonda con quello del mio vicino se non vi appongo una recinzione). Ma, il diritto fa ricorso a dei segni sensibili
solo per un’efficace comunicazione, ma anche senza di essi (ritornando all’esempio di prima) il mio fondo rustico
resta realtà caratterizzante e differenziata del marchio immateriale del diritto.
Questa immaterialità porta alle incomprensioni del diritto, che lo rende sgradevole all’uomo moderno, in quanto il
diritto si caratterizza per due aspetti fondamentali che non contribuiscono a renderlo benaccetto:

• Viene posto dallo Stato, un’entità autoritaria e lontana dalla società;

• È un comando autoritario.

Ecco perché si viene a caratterizzare come una realtà ostile, estranea che l’individuo sente distante da sé e dalla sua
vita. Con un risultato doppiamente negativo per il cittadino e per il diritto stesso:

1) il rischio della separazione del diritto dalla società.

2) cittadino più povero perché gli sfugge di mano uno strumento del vivere civile

2. Le ragioni storiche di fraintendimenti e incomprensioni


Il risultato menzionato altro non è che il risultato di scelte operate nello scenario della storia giuridica del nostro
continente durante gli ultimi secoli e che si sono consolidate in un nuovo strettissimo vincolo tra potere politico e
diritto.

Il potere politico, divenuto sempre più uno Stato (cioè una entità totalizzante tendente a controllare ogni
manifestazione del sociale), ha riconosciuto nel diritto un elemento importante per la creazione della sua stessa
struttura; tanto da arrivare, alla fine del Settecento, ad una vera e propria monopolizzazione della dimensione
giuridica tramite la legge.

La legge, espressione del potere sovrano, viene identificata nell’espressione della volontà generale, come
unico strumento produttivo del diritto meritevole di rispetto. Proprio in questo ultimo passaggio si capisce
come identificando la legge nella volontà generale, si identifica il diritto nella legge stessa e ne consegue la
sua completa statalizzazione.

Il processo di involuzione del diritto moderno è stato inarrestabile: la legge è come un comando indiscutibile
(autorevole e autoritario), al quale bisogna prestare obbedienza. Da questo deriva la sua propensione a consolidarsi
in un testo scritto alla portata di tutti; un testo immobile che invecchia sempre più in relazione alla vita che continua
a scorrergli intorno.

→ Con lo spostamento forzato del diritto nella società, il giurista si rende conto che il diritto è stato sottoposto ad
una operazione riduttiva fuori dal divenire quotidiano, portandolo così alla consolidazione in una realtà di comandi
imperativi: un corpo estraneo e ostile per tutta la società.

3. L’avvio di un recupero: umanità e socialità del diritto


Proponendo un recupero del diritto nelle varie deformazioni moderne, bisogna sapergli ritrovare una dimensione più
obiettiva come si è avuta nel passato in altri paesaggi storici e come si ha nella consapevolezza dei giuristi più
sensibili e aperti. Itinerario dei tratti essenziali della realtà giuridica:

➡ Umanità del diritto: il diritto si è originato, sviluppato e consolidato hominium causa (nato con l’uomo); è scritto
(inserito) nella storia che gli uomini hanno costantemente tessuto con le loro idealità ed i loro interessi → Il che

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vuol dire che è nato con l’uomo e per l’uomo, inscindibilmente collegato alla vicenda umana nello spazio e
tempo.

➡ Socialità: il diritto è espressione di relazioni fra più soggetti. Infatti il diritto è nato non per un unico uomo, ma
per una realtà plurale di uomini, in quanto finché resta solo, l’individuo non ha bisogno del diritto.
→ Il diritto, è infatti dimensione intersoggettiva, è relazione fra più soggetti e si contrassegna per una sua
essenziale socialità. Può trattarsi di una società universale (come la comunità internazionale) o di due soggetti.

4. Sulla genesi del diritto nella in distinzione del “sociale”


A questo punto ci si può chiedere: “ogni agglomerato sociale può, di per sé, considerarsi anche giuridico?”. Chi è
stato plagiato dalla percezione del diritto quale comando imperativo, crederà di doverlo legare al potere (in
particolare a quello più agguerrito e totalizzante: quello politico)

Una prima risposta che si può dare: “è che dovunque si verifichi un incontro fra più uomini, ci può essere diritto”. Il
“può” provocare però un’ulteriore domanda: “ci può essere, ma quando c’è?”. E’ chiaro che il “sociale” è la fonte
imprescindibile del diritto, ma non ogni manifestazione sociale è di per sé giuridica; se così fosse il diritto di
confonderebbe nella sociologia (scienza che studia la società come realtà globale e che assume a proprio oggetto
ogni fatto sociale)

Per meglio capire, proponiamo un esempio: una fila di fronte ad un ufficio pubblico: ci troviamo di fronte ad un breve
agglomerato casuale di persone senza alcun collegamento tra loro; agglomerato che sembra non avere alcuna rilevanza
sociale. Occasionalmente accomunate in uno minimo spazio per una frazione di tempo. Se, però, in mezzo alla fila, un
soggetto intraprendente fa alcune proposte per una migliore organizzazione, e tutti i componenti ritengono giuste tali
proposte e le osservano, ecco che (in quella minima unità di tempo e in quel piccolo spazio) si ha la genesi del diritto: la
fila è diventata comunità giuridica produttrice di diritto.

Riassumendo, i fattori che rendono una manifestazione sociale giuridica sono:

1) organizzazione o meglio, auto-organizzazione;

2) osservanza spontanea delle regole organizzative.

5. Un primo recupero: il diritto esprime la società e non lo Stato


Non necessariamente si deve collegare il diritto ad una entità socialmente e politicamente autorevole; e lo Stato
moderno non è suo referente necessario, in quanto questi è costituito dalla società, con le sue articolazioni ognuna
capace di produrre diritto (anche la fila all’ufficio pubblico).

→ Il referente necessario del diritto è soltanto la società.

6. Un recupero rilevante: il diritto come ordinamento del “sociale”


Organizzazione: il diritto che organizza il sociale è innanzi tutto ordinamento (termine frequentemente usato perché
evocativo di una nozione corretta e ricuperatrice del fenomeno giuridico). Lo specificare che l’essenza del diritto sia
nell’atto di ordinare, opera uno spostamento di attenzione dal soggetto produttore, all’oggetto bisognoso di
organizzazione.
Col “mettere ordine” si intende fare i conti con la società nel cercare di ordinarla, rispettandone la complessità
sociale in modo tale da evitare una valutazione soggettiva (arbitrio).

Possiamo intendere per organizzazione anche la coesistenza di più soggetti (diversi tra loro) coordinati ad uno
scopo comune; questo può anche concretarsi in una scansione in gradini con posizioni di superiorità ed inferiorità.
Queste ultime, tuttavia, possono essere attenuate e assorbite dal coordinamento collettivo che porta al
superamento delle posizioni singole e il conseguimento dell’ordine necessario alla vita della comunità.

Il diritto non piove dall’alto, ma appartiene alla natura stessa della società (alla sua fisiologia). Tuttavia non potrà mai
essere una realtà mite perché questo gli viene impedito dalla sua dimensione ordinante.

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Un diritto concepito come una serie di comandi autorevoli rischia sempre di separarsi dalla società che, invece,
sfugge alla rigidità dei comandi, è svincolata da imposizioni che ne soffocano lo spontaneo adeguamento e accoglie
una misura in grado di rispettare la sua storicità.

→ Ecco, quindi, il recupero che ci siamo prefissati: la società si deve riappropriare di ciò che da sempre è stato suo,
come ineliminabile dimensione esistenziale e che alterazioni storiche contingenti le avevano tolto.

7. E come “osservanza”: il diritto come ordinamento “osservato”


Bisogna precisare che il diritto non è solo ordinamento, ma ordinamento osservato (l’osservanza è anche
l’obbedienza passiva ad un comando autoritario).

Si staglia qui l’esempio dell’assolutismo giuridico moderno con le sue leggi ripugnanti alla coscienza comune,
interiormente rifiutate dall’uomo di buonsenso ma osservate per evitare le reazioni del potere costituito (es. le leggi
razziali).

Per meglio capire, ritorniamo all’esempio della fila: l’osservanza fisiologica che ne fa un ordinamento giuridico, si
fonda sulla consapevolezza del valore che lo sorregge. Le proposte ordinatrici fatte dal membro intraprendente,
vengono osservate dagli altri membri perché ritenute oggettivamente buone per trasformare il disordine presente in
ordine futuro.

Questo ordine (giuridico) attinge allo strato dei valori: il valore è un principio o un comportamento che la coscienza
collettiva ritiene di sottolineare, isolandolo dal fascio indistinto dei tanti principi e comportamenti: quindi, lo
costituisce come un modello. Stiamo parlando dell’ethos (costume) che caratterizza un ethnos (popolo), con due
precisazioni:

‣ non è mai scritto, ma vive nella storia, dalla quale ne trae vitalità;
‣ è un modello (altrimenti non sarebbe osservato), ma aperto alle trasformazioni dei tempi.

Va sottolineato un altro punto: abbiamo detto che il diritto è forma che riveste una sostanza sociale (la società).
Questa affermazione la si può accettare parzialmente perché, in realtà, la forma è solo la manifestazione più esterna
della società che, invece, pesca a quella realtà radicale costituita dai valori.
Da questo punto di vista, l’esempio della fila è fuorviante perché la fila è collocata in un momento di tempo limitato
(effimero), e in questa analisi la scansione dei tempi brevi non si addice al diritto (i grandi alberi hanno bisogno della
lunga durata per radicarsi adeguatamente).
In tal modo, definendo il diritto realtà di radici, individuiamo il modo più significativo che ha una comunità per vivere
la sua storia.

8. Ancora sulla osservanza del diritto: il diritto, regola imperativa?


Finora si è sempre parlato di osservanza e non di obbedienza, a causa della passività psicologica che
“obbedienza” esprime: obbedire significa inchinarsi passivamente ad un atto di comando.

Se il diritto è ordinamento osservato, è ovvio che ne derivano delle regole (che contengono un grado di
imperatività). Però, esso si origina nell’osservanza e l’osservanza si origina nel valore connesso all’ordinamento
attuato: ecco perché il diritto non è immediatamente e direttamente un comando, ma nasce prima della regola (è già
nella società auto-ordinatesi).

Non stiamo riducendo la sua dimensione normativa, ma la sua portata: nella sua genuinità, soggettività ed
imperatività sono attenuate dalla prevalenza di una dimensione oggettiva. L’ordine, che vuol dire costruzione
superpartes (al di là delle posizioni individuali) ha, quindi, la sua base nella totalità e complessità dell’organismo
sociale.

→ il diritto diviene un complesso di regole imperative quando si inserisce in un apparato di potere (es. lo Stato),
dove la dimensione politica ha il sopravvento sulla dimensione sociale e dove l’ordine sociale fa i conti con l’ordine
pubblico (che è governato dall’alto, da un carattere potestativo).
Per occhi superficiali, lo Stato può sembrare la nicchia naturale per il rigenerarsi e il vivere del diritto; invece lo Stato
è soltanto un accidente storico a fronte di quel recupero del diritto che è valso a restituirlo alla società.

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9. La qualità dell’osservanza nel diritto e una comparazione preziosa: diritto e linguaggio


La comparazione tra diritto e linguaggio si è rivelata frequente soprattutto dagli inizi dell’Ottocento con le
intuizioni della Scuola storica del diritto, corrente di pensiero che si sviluppa maggiormente in Germania ed ha come
maggiore esponente Federico Carlo di Savigny. La quale vuole liberare il diritto da una concezione razionalistica che
discende dall’illuminismo, infatti considera che anche gli elementi irrazionali possono produrre diritto (consuetudini).

Malgrado possano apparire distanti tra loro, diritto e linguaggio hanno in comune:

‣ natura intersoggettiva: il diritto regola rapporti tra più soggetti (es: un solo uomo vivente su un pianeta remoto,
finché resta in solitudine, non ha bisogno né dell’uno né dell’altro);

‣ strumenti che ordinano la dimensione sociale del soggetto: il linguaggio permette un’efficiente
comunicazione, il diritto permette una pacifica convivenza (es: chi parla in un modo idoneo e corretto, non per
forza lo fa per obbedire ad una regola ma perché è convinto di instaurare in tal modo un efficace rapporto di
comunicazione con i suoi simili. Questo è lo stesso atteggiamento dei membri della fila, che osservano le proposte
non per obbedienza ma perché sono convinti del loro valore organizzativo).

‣ Pari qualità dell’osservanza sia per l’utente di una regola linguistica, sia per l’utente di una regola giuridica
(normatività della regola)

Ecco perché viene utilizzato il termine osservanza al posto di obbedienza, proprio per sottolineare una convinzione
(consapevolezza) psicologica, come gesto spontaneo, e non un’accettazione passiva della regola.

Se si guarda ad un piano fisiologico, ciò non può essere smentito; ma se si passa ad un livello patologico, si
possono avvertire delle differenze: nell’ordine giuridico le sanzioni talvolta sono perentorie, arrivando a rendere nullo
un atto o a penalizzare una persona.
La sanzione (espediente estraneo alla struttura del diritto) è la misura messa in atto per assicurare l’osservanza e/o
castigare l’inosservanza. Questo vale ancor di più per la coazione, rappresentata dalla forza fisica messa in atto da
un ordinamento autoritario per la repressione dell’inosservanza (es: privare un soggetto della propria libertà con il
costringimento in un carcere).

10.Diritto e linguaggio come complessi “istituzionali”


Linguisti e giuristi parlano di linguaggio e diritto come complessi istituzionali.

La nozione di istituzione fa riferimento a una prassi sociale (opera superindividuale), basata sulla costante
ripetizione di un comportamento individuale, che è considerato ispirati al buon senso, e in quanto tale viene ritenuto
efficace e quindi osservato. Dunque un’istituzione non nasce dalle regole ma dalla spontanea auto-organizzazione
(es: istituito di compravendita non è stato ideato dal legislatore nel 1942, quando ha emanato il Codice civile, ma
l’ha solo riconosciuto).
Questo è rilevabile nelle società primordiali, dove il diritto si manifesta in consuetudini, comportamenti ripetuti in
modo costante poiché considerati vincolanti → normatività.

Al giorno d’oggi, il diritto è basato sul potere politico, ovvero sul controllo sociale che viene attuato tramite le leggi,
ovvero dei comandi sovrani che hanno sostituto quasi totalmente le consuetudini, le quali comunque devono essere
secundum legem (non contrarie alla legge).
Il controllo sociale esige il primato della legge e un rigorosissimo principio di legalità, accompagnato dal
contenimento delle forme spontanee di organizzazione giuridica (qual è il fenomeno consuetudinario).
Nello Stato-controllore, è sempre più marcato una dimensione penale, strettamente legata a violazioni
particolarmente rilevanti –patologia grave sfociante in attività repressiva e coattiva dell’apparato di potere.

L’ordinamento giuridico è un complesso di istituzioni, che sono espressione dell’esperienza della collettività, quindi
derivano da fatti concreti (le leggi invece sono astratte e sono nate in un momento successivo al compimento di un
atto). L’istituzione proprio perché legata allo spontaneo assestarsi e ordinarsi della società, ha una preziosa
vocazione pluralistica, al contrario di una visione legale e legalistica del diritto, che intimamente collegata a Stato e
sovranità, è portatrice di un oggi insopportabile monismo giuridico.

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11.Il diritto come “ordinamento giuridico” e la sua vocazione pluralistica


La società è il vero elemento referente del diritto, di conseguenza, per recuperare il diritto bisogna sottrarlo al
monismo dello stato, e rimetterlo al pluralismo della collettività.

Lo Stato, visto come un’entità tendenzialmente totalizzante, si realizza nella compattezza, qualità che consegue
grazie all’intolleranza.
Lo Stato dialoga solo con l’esterno (altre entità similari); al suo interno si limita a dettare le condizioni in base alle
quali una regola diventa giuridica; l’inosservanza delle condizioni genera l’illiceità o l’irrilevanza (qualora lo Stato non
ritiene troppo turbato il proprio ordine pubblico).

L’esperienza giuridica deve conformarsi ai modelli d’azione fissati dalla volontà sovrana, e perché il controllo sia
perfetto, la legge dovrà essere generale e rigida, ma anche chiara e certa; e sarà scritta in un testo aperto ad ogni
cittadino (sancendo che l’ignoranza dei suoi dettami non scusa). Insomma, lo statalismo moderno si traduce per il
diritto in un soffocante monismo giuridico che ben convive con il liberalismo economico).

Lo statalismo moderno si è affermato con l’assolutismo politico, a partire dal quale si ha avuto un assolutismo
giuridico che convive beatamente con il liberalismo economico.
Un universo sociale-politico-giuridico senza Stato, si ha avuto solo nell’età medievale, fino alla fine dell’antico
regime (si intende la realtà socio-economico-politico-giuridica della Francia prima della Rivoluzione del 1789, una
società cetuale, dove il diritto si fondava prevalentemente su consuetudini); era il mondo storico in cui vigevano
nello stesso territorio una pluralità di ordinamenti giuridici.

Complessità significa diversità, significa che all’interno della globalità possiamo riscontrare varie articolazioni a
seconda delle diverse comunità viventi e operanti (da quella politica a quella economica ecc..). Esempio: la Chiesa
romana ha sempre preteso non soltanto la produzione di regole giuridiche per i propri fedeli ma addirittura di edificare un
vero e proprio ordine giuridico (il diritto canonico) che gli altri Stati devono osservare e rispettare (es: art.7 Cost. It. ->
indipendenza tra Stato e Chiesa).

→ Questo per farci capire che accanto allo Stato (che con le sue leggi sembra essere l’unico produttore di diritto) ci
sono comunità che si auto-ordinano con regole, Codici e corti giudiziarie in nome di determinati valori. Il loro
carattere di ordinamento giuridico risalta se le si guarda dall’interno dei loro confini (da un punto di vista pluralistico).

Oggigiorno lo Stato è in crisi e con esso il vecchio legalismo: di fronte a tutto questo, l’impotenza e l’inefficienza
degli Stati porta alla formazione e allo sviluppo di diritti paralleli al diritto ufficiale statale, con l’invenzione di nuovi
istituti giuridici più congeniali a ordinare la nuova economia e le nuove tecniche. Spesso tali dirigi impongono valori
che lo Stato non riconosce e pertanto, le norme tecniche posseggono una tipicità esclusiva.

Questa è la cosiddetta GLOBALIZZAZIONE GIURIDICA che si mostra come un ordinamento giuridico privato. Oggi
più di ieri, l’universo giuridico è percorso da tensioni pluralistiche e frammentato in una crescente pluralità di
ordinamenti giuridici, ciascuno dei quali pretende la propria originarietà e anche la propria autonomia.

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La vita del diritto


(Cap.2)

1. Un conciso trattato del nostro itinerario


Il diritto si costituisce come un essere che vive una vita propria, inserito nel tessuto sociale economico politico.
Spostando l’attenzione proprio sulla vita del diritto, andremo da analizzare i tempi e gli spazi più diversi; le varie
manifestazioni che può avere a seconda delle diverse esigenze dei climi storici in cui il diritto si immerge,
manifestazioni che vanno interpretate ed applicate affinché divengano concreto tessuto storico.

Genesi, manifestazione, interpretazione, applicazione è diritto incarnato nella storia. Genesi e applicazione, sono
due momenti estremi del processo giuridico, ma non sono scomponibili, fanno parte di un processo unitario.
L’applicazione è creazione giuridica non meno della promulgazione di una legge.

→ Grazie alla comparazione temporale/spaziale, si arriverà ai 3 risultati desiderati di questo libro: 1) comprensione
del presente; 2) percezione del senso della linea in cui il presente si colloca e di cui costituisce soltanto un punto; 3)
capacità di avviare la costruzione del futuro.

2. I tempi storici del diritto. L’età antica: il diritto romano


Gli etnologi (cultori dell’etnologia giuridica) ci hanno spalancato le porte allo studio delle più diverse e antiche
costumanze giuridiche, magari relative a micro–organizzazioni sociali di indole tribale (dimensione orale
prevalentemente orale). Anche se perpetuatesi in tempi lunghi e giunte intatte fino a noi, queste manifestazioni
giuridiche non hanno affatto inciso nel solco profondo della storia.

L’età antica, invece, ci riserva manifestazioni culturalmente raffinate (es. diritto greco) messe, però, in ombra da
quell’esperienza durata un millennio che prende il nome di “diritto romano”. Si tratta di un sintagma:

• molto sbrigativo: se si pensa che non ci dà conto dello sviluppo complesso e variegatissimo che questo periodo
ha attraversato (dal V sec. a.C. al VI sec. d.C.);

• preciso e puntuale: perché restituisce al mondo romano il privilegio di aver costruito una delle più rilevanti civiltà
giuridiche della storia occidentale di ogni tempo.

→ È indubbio il fatto che la cultura greca abbia dato all’uomo occidentale una coscienza filosofica (Platone e
Aristotele) e una maturazione mentale di carattere scientifico (Euclide); così come è indubbio il merito per la cultura
romana di aver letto il mondo socio–economico–politico in termini giuridici.
È vero che nell’Oriente del Mediterraneo e nella Grecia le esperienze sociali cominciarono ad essere tradotte in
espressioni giuridiche, ma fu solo a Roma che queste espressioni divennero una compiuta grammatica in cui e con
cui ordinare e stabilizzare la riottosità dei fatti socio-economici.

Nell’antica Roma fu più importante, del legislatore e del magistrato, la figura del giurista, il quale creò la scienza
autonoma che considerava dal punto di vista giuridico la realtà socio-economica → i giuristi che operarono nell’età
classica (da II sec. a.C. al III secolo d.C.), dettero vita ad una attività scientifica di altissimo livello, basata sulla
metodologia: il diritto romano si caratterizza come un diritto scientifico.
Essi basarono il diritto romano sulla costruzione sistematica: il sistema (struttura organicamente unitaria sorretta da
una coerente ossatura logica) ben traduceva sul piano giuridico la stabilità del dominio politico romano. Da questo
ne scaturì un doppio modello per le civiltà successive:

• 1° modello: deriva dal suo proporsi come analisi scientifica -> modello di perfetta rigorosità argomentativa,
formalità ed eleganza sistematica, ammirato ed imitato anche nell’età moderna;

• 2° modello: riguarda il coinvolgimento dei giuristi nel tessuto politico romano e nella classe dirigente. Le loro
categorie formalizzavano una civiltà basata sull’avere e sui valori economici, riconoscendo l’individualismo
economico e i diritti reali (proprietà, contratti, obbligazioni ecc..), privilegiando così l’abbiente ed il possidente.

fondamentale per la futura età borghese (XVI-XIX sec.). malgrado l’enorme distanza di tempo.

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3. I tempi storici del diritto. L’età medievale: il “diritto comune”


Il diritto medievale seguì la sorte della civiltà di cui era espressione: sepolta quest’ultima nella coscienza comune,
anche il diritto restò sepolto e ignorato.
Perché si ritornasse a parlarne bisognava che la mentalità borghese avviasse un moto di arricchimento della
consapevolezza storico-giuridica, che fino ad allora si era limitata a cogliere la mera continuità tra antico e moderno
rimovendo quasi mille anni di esperienza giuridica: la media etas (età di mezzo) o età di passaggio, e per questo non
meritevole di attenzione. Fu proprio questo moto a permettere, poi, ai giuristi novecenteschi di poter constatare
quanto il diritto medievale avesse un linguaggio ed una struttura tali da offrire un valido sostegno alla costruzione di
un nuovo edificio giuridico.

→ Il diritto medievale si origina, prende forma e si caratterizza nell’assenza dello Stato, sottraendo il diritto al suo
legame col potere politico e la sua funzione di controllo sociale; è un diritto designato poco dai legislatori ed è
principalmente consuetudinario.

Teorizzante del diritto non è più lo scienziato bensì chi lo applica, più del giudice il notaio, il quale era povero di
tecnica giuridica ma ricco di sensibilità e disponibilità ad introdurre nuove forme giuridiche rispondenti ai vari
bisogni.

La mancanza di un controllo centrale fece sì che il diritto divenisse l’espressione fedele di una società
frammentata in tante comunità (famiglia, corporazioni...) che, ponendosi quali strutture portanti dell’assetto socio-
politico-economico, miravano a proteggere l’individuo e a consentirgli la sopravvivenza -> molteplicità di
ordinamenti giuridici in un unico territorio.

→ Il primo Medioevo si delinea, quindi, come un’esperienza giuridica fattuale, consuetudinaria e pluralistica (con
fonti plurali produttrici di diritto nello stesso territorio).

→ Nel secondo Medioevo (XI secolo in poi) le linee del paesaggio giuridico formatosi precedentemente non
variano, nonostante perdurasse l’assenza statuale. Forse l’unica differenza sostanziale è che l’interpretazione del
tessuto consuetudinario passa nelle mani di uomini di scienza che insegnano nelle università.
Tuttavia, la società europea stava assumendo sempre più una struttura complessa e movimentata e, quindi,
risultava difficile ordinarla in base a fatti consuetudinari: occorrevano nuove categorie generali che dovevano essere
offerte dalla nascente scienza giuridica (universitaria); ecco perché si ha la definizione di diritto scientifico. Questa
nuova scienza giuridica:

- non dispregiò il vecchio materiale consuetudinario, ma se ne fece portatrice ponendo alla sua base antiche
fonti romane e aggiungendovi principi e regole che la Chiesa romana aveva elaborato e che si andavano
solidificando;

- appoggiandosi al diritto romano e a quello canonico, volle qualificarsi come interpretazione (ossequiosa delle
fonti) fra testi autorevoli e bisogni della società.

Molto importante fu anche il pluralismo giuridico dell’età di mezzo, che permise ed agevolò la convivenza tra i due
strati del diritto: iura propria (diritti delle autonomie locali) e ius commune (stato superiore-> chiamato così sia per la
sua proiezione geografica comune a tutte le terre civilizzate, sia perché costituiva l’unione tra giuridicità romana e
canonica).

Uno strumento efficace per l’opera di questi scienziati, fu la loro visione basata sull’equità: la coscienza della
mobilità dell’ordine giuridico a fronte dell’immobilità di un testo normativo; e, quindi, anche l’esigenza di verificare
questo testo nello scorrere della vita.
→ Sostanzialmente, il diritto della matura età medievale si presenta come costruzione scientifica, ma ha tratti diversi
dalla costruzione scientifica del diritto romano: in quest’ultimo vi è la presenza dello Stato, un rigido apparato di
potere che dette agli scienziati la sicurezza di poter fissare solide conclusioni; gli scienziati del medioevo non ebbero
questa sicurezza e, quindi, la loro fu una costruzione meramente teorica, sempre alle prese col rinnovamento
continuo dei fatti e dei bisogni ma nella consapevolezza di un ordine giuridico in continuo assestamento.

Il dietro medievale è un diritto comune:

- che ordina la realtà medievale e post-medievale;


- che in primo luogo è opera di scienziati, e in secondo luogo dei giuristi;
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- sottratto ai politici;
- riservato a chi è in grado di maneggiare il patrimonio tecnico delle categorie;
- è insofferente a confini nazionali.
Il suo unico DIFETTO di fondo è l’incertezza della disciplina giuridica: il progredire del corso storico la mette in
evidenza portando così il diritto comune ad una “crisi di certezza” che arriva fino al Settecento. Proprio questa crisi
farà sì che venga invocato un nuovo modo di concepire il diritto e di realizzarlo, magari ovviando all’errore
precedente.

4. I tempi storici del diritto. L’età moderna: il divario storico fra “civil law” e “common law”
La modernità giuridica consegue alla sempre più totalizzante presenza dello Stato, la cui assenza aveva consentito
l’affermazione dell’esperienza giuridica medievale trovando le sue fonti, prima in un consuetudini, e poi in una
grande scienza giuridica percettrice dei bisogni sociali.

→ Nel Trecento si ha una radicale trasformazione della sovranità che trova riscontro nell’identità del Principe
(soggetto detentore di un potere assoluto). Infatti, a differenza del Principe medievale, che produceva poche leggi
lasciando alla prassi e alla scienza l’ordinamento giuridico della società, il Principe moderno vede nel diritto un
potenziale fondamentale per la dimensione politica ed è, pertanto, determinato a controllarlo. Il sovrano inserisce la
produzione giuridica tra i suoi strumenti di potere, divenendo sempre più un legislatore (e il diritto diviene sempre
più legislativo).
Lo sviluppo di questa “concezione” porta a pesanti conseguenze:

• il diritto si statalizza;

• si particolarizza in una proiezione geografica limitata a quella del singolo Stato;

• dal pluralismo (o convivenza di ordinamenti diversi nello stesso territorio) ci si avvia sempre più al monismo, in
cui si afferma anche quello che è il primato della legge su ogni altra manifestazione giuridica. →Il risultato più
negativo fu un vincolo fra potere politico e diritto, risentendo quest’ultimo dell’unilateralità del primo. Inoltre,
congiungendosi sempre più con il crescente ceto borghese, il diritto ne assume una coloritura consequenziale,
fino a che la borghesia non impose una disciplina giuridica dove primeggiavano i valori borghesi.

L’evento più significativo della storia giuridica continentale: la codificazione del diritto ad opera di Napoleone I ->
tutto il diritto fu “catalogato” in articoli sistemati e contenuti in libri chiamati “codici”. Questa fu sì un’opera
grandiosa, ma fu anche un atto di presunzione perché si pretese di poter immobilizzare il diritto in un testo cartaceo.
Il codice tendeva a due risultati (anche se non conseguiti pienamente):

• essere norma esclusiva di uno Stato;

• proporsi come raffigurazione completa della dimensione giuridica di uno Stato (disciplinare tutte le situazioni).

La civiltà moderna credette nel codice, tanto che in altri Stati ci furono iniziative simili ad imitazione della Francia.
Tuttavia il codice portò la giuridicità vincolata alla statualità:

• lo Stato visto come unico soggetto storico in grado di trasformare una vaga regola sociale in una regola
giuridica;

• è solo nella voce dello Stato (la legge) che si manifesta il diritto;

• il pluralismo giuridico viene cancellato in favore dell’assolutismo giuridico.

Al cuore della società c’è il principio di legalità (corrispondenza di ogni manifestazione giuridica alla legge), il quale
era una garanzia del cittadino contro gli arbitrii dei pubblici poteri e di altri cittadini più forti.

La figura del legislatore è, invece, immune all’arbitrio e all’abuso di potere, in quanto proposto come interprete e
realizzatore del bene comune grazie alla sua scienza e onnipotenza.

Analizzando quanto finora detto, ci rendiamo conto di come il nostro sguardo sia sempre ristretto all’Europa
continentale e alle sue colonie. Volendo chiarire questo punto, ci rendiamo conto di come questo possa aiutarci a
definire anche i due sintagmi inglesi civil law e common law:
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➡ Civil law: agglomerato di Stati dell’Europa continentale dove gli effetti della Rivoluzione francese si fanno sentire
con più incisività; Stati dove regna lo statalismo giuridico e dove il diritto va incontro alla codificazione.

➡ Common law: agglomerato di Stati che derivano dalla tradizione anglosassone (Inghilterra e le sue colonie,
comprese USA) in cui è forte il diritto medievale. I tratti peculiari sono:

• Il diritto è cosa da giuristi, unici in grado di garantirne lo sviluppo in relazione ai bisogni della società;

• Importanza del diritto canonico con la sua valorizzazione dell’equità, e ciò è dovuto alla presenza di
ecclesiastici in molte corti giudicanti fino alla rottura di Enrico VIII (pieno Cinquecento);

• Nel Medioevo la produzione del diritto era affidata ai giuristi, che affermavano il primato della scienza
giuridica; nella visione inglese, tale primato è affidato al giudice immerso nella carnalità dell’esperienza.

A livello di fonti, diverse sono le scelte:

• modesto è il valore della legge, che in Gran Bretagna trova spazio solo a partire dal secondo dopoguerra con
l’instaurazione di uno Stato sociale;

• il diritto non ha conosciuto la codificazione, restando consegnato (ancora oggi) nelle mani di un ceto
giudiziale che diffida della cristallizzazione del diritto in un testo cartaceo: il Regno Unito non ha né Codici
scritti, né una Costituzione scritta.

5. I tempi storici del diritto. Oltre il moderno, fino alla odierna “globalizzazione giuridica”
Il tempo storico del diritto medievale si è esteso quasi per 1000 anni; mentre il tempo storio del diritto moderno
ha avuto una estensione temporale minore, infatti ricordiamo che è stato in vigore dal 1300 (secolo di passaggio) al
1900 (periodo di transizione con diverse incrinature -> la compattezza dello Stato e la sua proiezione giuridica si
sono incrinati e complicati).

Questo perché la civiltà moderna è diventata sempre più complicata: caratterizzata dalle lotte sociali, nelle quali
assumono più importanza le collettività prima represse e ignorate; di conseguenza l’ordine giuridico borghese
non poteva far fronte a queste avversità.

Il Novecento giuridico, si colloca oltre al tempo del diritto moderno e quindi viene considerato come un periodo di
transizione, perché c’è una progressiva presa di coscienza della complessità dell’universo giuridico. Il primo
percettore di quest’ultima è stato Santi Romano che, già nel 1909, la denuncia parlando di “crisi dello Stato
moderno” per il suo frazionarsi a causa di insorgenze sociali sempre più indomabili.

I fattori che hanno portato al tempo del diritto moderno sono:

‣ Tentativo di sopperire la complessità dell’ordinamento giuridico con l’attività legislativa: i Codici vengono
affiancati, soffocati ed espropriati da atti legislativi speciali occasionati da bisogni particolari.
Questa attività normativa:

• rivela che lo Stato è incapace di ordinare, con i soli strumenti legislativi, la crescita sociale;

• mortifica la chiarezza/certezza dei Codici, scavando un fossato di incomprensione tra potere politico e
cittadini.

‣ Moltiplicarsi/sovrapporsi di vari strati di legalità: la legalità dell’Ottocento aveva un solo significato, e cioè il
rispetto della volontà parlamentare (in quanto il Parlamento era l’unico organo a cui spettava il potere legislativo);
nel corso del Novecento tutto si complica:

• Sul piano intra-statuale appare la Costituzione: questa non è più un insieme di principi a carattere filosofico –
politico, ma è un complesso organico normativo che vincola i cittadini e gli organi dello Stato (primo fra essi il
Parlamento), facendo propri i valori circolanti nella società. La Costituzione è l’immagine della società che si
auto-ordina realizzando il suo primato sullo Stato;

• Sul piano trans-statuale appaiono norme derivante da strutture comunitarie internazionali: organismi
sopranazionali come ad esempio la Comunità Europea.

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• Sul piano delle fonti del diritto assistiamo ad un processo di privatizzazione e di frammentazione che trova il
suo aspetto più vistoso nella odierna globalizzazione giuridica; questo fenomeno globalizzatorio rappresenta
una auto-organizzazione dei privati di fronte all’impotenza e lentezza del diritto ufficiale degli Stato. Questi
privati, inventano strumenti mirati a regolare i loro traffici giuridici, dando vita ad un diritto parallelo a quello
dello Stato, prevedendo addirittura giudici privati chiamati arbitri). Ne sono un esempio l’UNIDROIT (Istituto
per l’Unificazione del diritto privato), e la Commissione per il diritto europeo dei contratti. Si tratta di esempi di
rilievo perché:

- Mostrano una scienza giuridica svincolata dal plagio psicologico statalistico, e che mira alla
costruzione di un futuro diritto europeo;

- Sino iniziative private che si collocano al di là degli Stati e della stessa Comunità Europea.

6. Gli spazi del diritto. Uno spazio geografico: il territorio


Siamo soliti pensare al diritto con una sua ben definita proiezione geografica, questa abitudine deriva dall’avere
immedesimato il diritto nello Stato e dal vederlo in connessione col potere politico -> siamo più connessi al ieri, al
moderno, più che all’oggi.

Infatti il diritto moderno insegna che la statualità del diritto esige una proiezione geografica, che viene
riscontrata nel territorio: elemento essenziale dello Stato. Questa è una conseguenza del fatto che lo Stato è
l’incarnazione del potere politico, il quale ha bisogno di un ambito geografico (con frontiere invalicabili e/o
controllabili) per poter esercitare la propria sovranità ed attuare i propri comandi. Anche volendo proiettare la
politica a livello mondiale, ci ritroveremmo comunque di fronte ad una somma di territori.

Lo spazio della politica risulta essere uno spazio essenzialmente fisico e il più possibile liscio (inteso non nel
senso della geografia fisica, ma come assenza di ingombri sociali e giuridici).

La compattezza che caratterizza lo Stato moderno esige anche una compattezza per la sua ombra (il diritto) che
non deve mostrarsi frazionata o articolata. A tal proposito si fa di tutto per eliminare le autonomie al suo interno.
→ L’assolutismo giuridico moderno è individuabile in una formula: 1 Stato; 1 territorio; 1 diritto.

7. Gli spazi del diritto. Spazi immateriali: la società


Se si sposta l’asse del diritto dallo Stato (diritto moderno) alla società, le prospettive cambiano di parecchio: la
società, realtà plurima ed eterogenea, si organizza a prescindere da una proiezione geografica (es: nell’età
medievale era solita la co-vigenza in uno stesso territorio di più ordinamenti giuridici; potevano vigere assieme un
diritto locale territoriale (consuetudine o statuto) con il diritto canonico, feudale, comune ecc.).

Il territorio, quindi, non è più l’oggetto necessario del diritto, questo perché il nuovo oggetto del diritto diviene
il complesso delle relazioni tra gli uomini a seconda dell’organizzarsi della società.

Oggi, una proiezione immateriale, ci viene offerta dalla de-territorializzazione della globalizzazione giuridica: la
dimensione primaria della globalizzazione è l’economia che, al contrario della politica, è insofferente a spazi
conchiusi e trova quindi congeniali spazi sempre più aperti (più globali). I moderni uomini d’affari vedono nello
Stato un nemico da eludere; questo spiega il carattere transnazionale (e in alcuni casi il carattere mondiale) dei
traffici da loro posti in essere.
I canali giuridici privati della globalizzazione giuridica non sono governati dalle norme imperative dello Stato,
ma da regole basate su princìpi derivanti da una scienza sensibile (es. i contratti) immune alle imposizioni
gerarchiche; tale scienza può essere vista come una fitta rete di regole in rapporti interconnessi originati in modo
spontaneo dal mercato.

Proprio l’immagine della rete viene evocata da giuristi, politici ed economisti per identificare i movimenti della
globalizzazione. Per meglio intendere, la loro vocazione è quella di volare al di sopra degli smembramenti della
politica; essere de-territorializzati e de-territorializzanti. Per raggiungere tale “obiettivo”, un utile supporto viene
offerto dalle moderne reti info-telematiche che consentono una maggiore libertà nei confronti delle barriere
geografiche: il loro è uno spazio virtuale, ripugnante per la politica, ma congeniale all’economia o anche per il
diritto nel momento in cui lo si svincola dal potere politico.

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8. Storicità del diritto e sue manifestazioni


Il diritto, se lo intendiamo come storia vivente, non galleggia su tempo e spazio, ma tende continuamente ad
incarnarsi entro i tempi e gli spazi più diversi: è questa una condizione necessaria perché scatti il meccanismo
dell’osservanza e l’organizzazione sociale si trasformi in diritto (osservato).

Alle manifestazioni che il diritto assume nelle varie esperienze storiche, i giuristi danno il nome di “fonti”: un nome
che però mostra un’eccessiva staticità e, quindi, incapacità a cogliere la dinamica giuridica (law in action).

Sotto un altro punto di vista, il termine “fonte” esprime bene l’essenza del fenomeno giuridico, visto come
manifestazione della superficie storica proveniente però da strati profondi: questo perché sappiamo che il diritto è
una realtà radicale, attinente alle radici della società (ecco perché può ordinare il sociale).

Il messaggio dato da questa metafora della “fonte” consente anche l’affondamento nell’esperienza di quello che
soltanto apparentemente viene racchiuso nella statica di un testo. → Se la si vede in questo modo, per il giurista il
nemico da battere è rappresentato dalla riduzione di una “costituzione” o di una “legge” in un testo cartaceo,
riducendo la giuridicità in ossequio a quel testo (infatti i paesi di civil law sono in grossa crisi).

9. Le manifestazioni del diritto. Il diritto naturale


Dall’antichità classica a oggi si è sempre parlato di diritto naturale, ma diverse appaiono le definizioni che gli sono
stati attribuite: c’è chi prende spunto dalla tradizione cristiana e lo identifica in un messaggio di Dio instillato nel
cuore di ogni uomo; chi lo riscontra nella struttura razionale del cosmo; e chi nella tradizione storica.
→ Partiamo dall’invito che faceva il giurista italiano Matteucci, quaranta anni fa, nel “rinunciare a vedere nel diritto
naturale qualcosa di mortificante” (il termine mortificante è da intendere come arretrato, sepolto e quindi senza
recupero). Si tratta, però, di un elemento che ha subito in continuazione sepolture e resurrezioni fino ai giorni nostri,
infatti il diritto naturale è in stretta connessione con i ricorrenti problemi della storia giuridica umana e che in essa
trovi la sua vitalità.

Il ricorso al diritto naturale va strettamente correlato il diritto positivo: la fiducia nel diritto naturale va di pari passo
con la sfiducia nel diritto positivo.

Il diritto positivo (ius positum) è il diritto posto e imposto da una autorità formalmente legittimata a esercitare
su un certo territorio poteri sovrani; nel mondo moderno è inteso come l’unico diritto possibile, esaurisce ogni
forma di giuridicità e si viene ad identificare con quello statuale.
Questo diritto veniva preso per buono purché derivante dall’autorità sovrana, senza controllo sui suoi contenuti,
ma solo un controllo sul soggetto di provenienza e sui procedimenti formali con cui si è consolidata la norma ->
monismo giuridico. Tuttavia il monismo giuridico può essere fonte di numerose disgrazie (dittature
novecentesche: nella Germania nazista e post-nazista, il diritto naturale appare come l’unica ancora di salvataggio a
fronte di un diritto positivo fatto di violenza e tirannia. Grazie a questo esempio possiamo vedere una legge positiva,
che per la sua iniquità non è diritto, ma è anti-diritto; la quale si oppone a un diritto autentico (diritto naturale) anche
se collocato al di sopra della positività statuale nazista; ed è singolare che in Germania oltre alla riflessione teorica vi
faccia ricorso anche la giurisprudenza pratica.

Questa testimonianza è utile per capire che il ricorso al diritto naturale, lo si fa per avere un diritto superiore,
di enorme versatilità e vaghezza, che funga da criterio di misura e di validità per un diritto positivo concretissimo
nei suoi comandi specifici e nei suoi testi normativi, ma ripugnante nella coscienza collettiva ispirata a comune
ragionevolezza.
Infatti il diritto positivo può ridursi in fanatismi razzistici e religiosi, tirannie, che richiedono l’intervento di un
diritto superiore, nel quale risiedono i valori che la scienza collettiva avverte e di cui ha nutrito la vicenda
storica -> Il diritto naturale non riesce a distinguere giuridicità formale e giustizia, che il diritto positivo ha
necessariamente diviso. Dunque ricorso al diritto naturale non è altro che un tentativo di soluzione (forse ingenuo
e/o illusorio) all’eterna problema umano di un diritto giusto (diritto naturale può indicare anche lo Stato di diritto).

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10.Le manifestazione del diritto. La Costituzione


Nel corso del Novecento, si ha avuto una manifestazione nuova e peculiare del diritto: la Costituzione.

Il termine “costituzione” può essere motivo di equivoci, infatti può indicare concezioni di Costituzione frutto della
modernità liberale, nel suo carattere statualistico, che non ha notato differenze per ogni costituzione. Lo Stato
liberale Ottocentesco era uno stato impegnato nel controllare il sociale, sapendo di poterlo fare impedendo
l’accesso diretto delle masse a disegnare i principi ordinativi della società (Stato elitario). Per questo motivo, i
fermenti popolari della rivoluzione del 1789 vengono spenti durante il XIX secolo e si afferma una concezione
meramente statualistica della Costituzione, mentre il potere costituente si identifica con la legislazione dello Stato.
Lo “Stato di diritto” che si afferma nell’800, riconosce i diritti di libertà dei cittadini, ma solo come un’auto-
limitazione nell’esercizio della propria sovranità: in quanto le libertà non sono più un complesso di valori pre-statuali,
bensì il risultato di una corretta applicazione delle leggi statali.

Alcuni esempi di costituzioni statualistiche:

• La “costituzione” del Regno di Francia durante l’antico regime prima della Rivoluzione francese
(partecipazione della massa al potere), la quale era un patrimonio di consuetudini non scritte ma vincolanti
per lo stesso sovrano;

• La “costituzione” inglese: un patrimonio consuetudinario con qualche affioramento scritto nei “Bills of
Rights”;

• La “costituzione” può indicare le carte rivoluzionarie e post-rivoluzionarie dell’Europa continentale, tenendo


presente che sancivano il primato del potere politico (lo Stato) sulla società, ed affermavano il ruolo della
legge come espressione della volontà generale, per non turbare la sovranità dello Stato visto come unità
centralizzata.

Guardando a tutti questi esempi, ci accorgiamo che le Costituzioni del secondo dopoguerra sono profondamente
diverse e tutte si ispirano alla Costituzione della Repubblica di Weimar. La Costituzione del Novecento è nuova e
particolare perché:

➡ È espressione del popolo sovrano e non dello Stato, e quindi della società che può esprimersi grazie ad un
potere costituente eletto dopo la guerra, con la caduta del regime autoritario e la struttura istituzionale
monarchica (art. 1 della Cost. It. indica che il popolo è ben più di quel semplice elemento costitutivo dello Stato,
così come veniva visto in ottica liberale).

➡ È un ordinamento giuridico al di sopra dell’ordinaria struttura legale, perché si fonda sulle radici della
società, e quindi attinge ad uno strato di valori e li manifesta a cominciare dal potere legislativo.
→ L’ordinamento giuridico italiano, inoltre, ha nella Costituzione i suoi confini assoluti: grazie a essa l’identità
politica (che tende ad immedesimarsi nello Stato) diventa qualcosa di più ampio e complesso, diventa identità
giuridica del popolo italiano, che ha in essa un ordinamento giuridico fatto di regole e principi che ne
costituiscono le radici identificatrici.
Indubbiamente la Costituzione appartiene ad una dimensione giuridica, perché ordina giuridicamente la società
civile: non si tratta, però, di comandi secchi e imperativi, bensì di principi e regole (dalla valenza ordinativa) che,
per essere specchio di valori circolanti, si connotano di una normatività di qualità superiore e alla quale
corrisponde un’osservanza degli utenti basata su una sostanziale adesione. Il testo costituzionale, pertanto, non
è una carta che si impone dall’alto sulla società, ma è in essa radicata.

Per questi la Costituzione – in uno Stato costituzionale – rigida: ovvero può essere modificata solo con procedure
speciali ed ha una valenza superiore alla legge ordinaria del Parlamento, la quale non può violare i dettami
costituzionali (come invece avveniva sotto il regime monarchico, quando lo Statuto Albertino era una costituzione
flessibile e poteva essere modificata dal Parlamento). Per salvaguardare questo aspetto, le costituzioni moderne
prevedono espressamente l’istituzione di una magistratura suprema che si pone come giudice di leggi, è cioè
chiamata a giudicare la coerenza tra le disposizioni di una legge e i valori contenuti nella Costituzione.
In Italia questo compito è affidato alla Corte Costituzionale (divenuta effettiva nel 1956) che fa da mediatore tra
pluralismo dei valori della società e sordità dei testi legislativi. L’esempio più lampante è l’elaborazione del principio
di ragionevolezza, adoperato per misurare l’attività del legislatore: il suo arbitrio, fino a ieri insindacabile (in una
visione assolutistica della potestà parlamentare), trova ora un limite nella ragionevolezza dell’atto; in questo modo il
diritto legale non sfugge alla verifica della coscienza collettiva e dei suoi valori.

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11.Le manifestazione del diritto. La legge


Partiamo col dire che la Costituzione è legge suprema. Ci riferiamo, però, alla legge ordinaria, lo strumento che
permette al Parlamento di manifestare la sua volontà.

Nella MODERNITÀ GIURIDICA, abbiamo assistito alla nascita di un vero e proprio legicentrismo, che porta con sé la
formazione di un modello di Stato imperniato sull’assoluto protagonismo della legge e su un dominante principio di
legalità, cioè di conformità alla legge di ogni atto (che può essere un atto della pubblica amministrazione, di giudici,
di privati…) -> Si parla anche in questo caso del cosiddetto Stato di diritto, inteso come “continentale”, cioè
assume il significato che gli è stato attribuito nell’Ottocento sul continente europeo, è uno Stato:
✦ è sovrano: perché munito di ogni potere che la sovranità conferisce;

✦ è parlamentare: perché assume il Parlamento (onnisciente e onnipotente) come organo centrale e


caratterizzante, e perciò insindacabile;

✦ principio della divisione dei poteri: stabilisce il monopolio parlamentare nella produzione del diritto e si esprime
mediante la legge (voce del Parlamento), la fonte più democratica perché pretesa manifestazione della volontà
generale;
✦ legalitario: perché vede l’assoluto primato della legge, la quale è una norma impersonale, assoluta, astratta,
uguale per tutti e di fronte alla quale tutti sono uguali; di conseguenza il principio di legalità è una garanzia
formale suprema del cittadino, affiancato al principio della certezza della legge. La legge deve essere rispettata a
prescindere dal suo contenuto.

✦ protegge i diritti individuali di libertà con la propria auto-limitazione nell’esercizio della sua sovranità.

Tuttavia, al giorno d’oggi si ha una CRISI GENERALE DEL LEGALISMO che sta portando ad un sempre maggiore
SCETTICISMO, per le seguenti cause:

1) Le leggi: troppo spesso abdicano alla vecchia “virtù” della generalità e, quindi, sono mirate a tutelare
interessi particolari; sono leggi malfatte, improvvisate, talvolta incoerenti e linguisticamente oscure;

2) Il Parlamento: impotente nella sua divisione/contrapposizione partitica, e pertanto incapace nel rispondere
alle richieste della collettività.
In Italia, un risultato lo si può riscontrare nella legge annuale di bilancio (legge finanziaria) che ha il compito di
celare i provvedimenti più disparati con la scusante che, separatamente, il Parlamento non sarebbe stato in grado
di affrontarli ed approvarli. Accanto a questo risultato “interno”, si generano anche contraccolpi esterni: un
esempio può essere una crisi di fiducia alla quale fa riscontro, in positivo, l’emergere ed il consolidarsi di altre
forze a integrare, a supplire e a sostituirsi;

3) L’ingigantire il ruolo dei giudici: punto a sfavore del principio della divisione dei poteri che porta
all’affermazione di un vero e proprio “diritto vivente”, espressione dell’orientamento concorde dei giudici
superiori;

4) L’ingigantire il ruolo della prassi: avvocati, notai... non badano alla sordità del Parlamento e si danno da
fare in seno ai loro interessi;

5) L’ ingigantire il ruolo della scienza giuridica.

Queste ultime tre forze (ingigantimento del ruolo dei giudici, della prassi, della scienza giuridica) possono anche dar
luogo ad un canale autonomo di produzione giuridica, parallelo a quello ufficiale: la globalizzazione giuridica.

Ulteriori problemi vengono dati dai tanti strati di legalità sovrastanti a quella ordinaria, ad esempio:

• lo strato comunitario: produce normative che incidono direttamente nell’ordinamento italiano;


• lo strato costituzionale: in presenza di una Costituzione lunga e rigida come la nostra, rappresenta un livello
superiore normativo; inoltre la Corte costituzionale produce sentenze con effetti normativi.

La legge ordinaria oggi è in profonda crisi, data la sua incapacità a ordinare giuridicamente la società civile e
soprattutto a governare il mutamento socio-economico che viviamo (e vivremo domani). Conseguenza logica di
tutto questo è che anche il sistema delle fonti normative soffre una crescente dispersione.

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12.Le incarnazioni del diritto: parole liminali


Sappiamo che il diritto si annida alle radici della società ma, essendo vocato ad ordinarla, non può non manifestarsi.
Infatti è proprio la sua vocazione che lo spinge a diventare trama della società, in quanto manifestazioni ed
esperienze costituiscono un processo unitario non scomponibile; e il momento dell’incarnazione del diritto compie e
realizza proprio questa unità.

Si tratta di una verità assoluta perché strettamente connessa alla natura stessa del diritto; chi lo coglie come norma,
comando... è portato a valorizzare solo il momento e la qualità del comando trascurando il distendersi della regola
nello spazio e nel tempo. Quest’ultimo è un atteggiamento non giustificabile, giacché l’ordinamento si intride con la
materia sociale da ordinare, e il tessuto sociale assume carattere giuridico, diventando esperienza/storia vivente.

Due strumenti essenziali per l’incarnazione delle manifestazioni giuridiche: la consuetudine e l’interpretazione-
applicazione.

13.Le incarnazioni del diritto: la “consuetudine”


Tra le fonti giuridiche, alla consuetudine spetta un primato cronologico, essendo di stampo consuetudinario il
formarsi di un ordine giuridico nelle civiltà primitive.
La consuetudine è un fatto umano che viene ripetuto nel tempo, perché in esso la coscienza collettiva rinviene un
valore da serbare ed osservare (non obbedienza passiva ma adesione).

Tra le sue dimensioni necessarie:

dimensione plurale: trova la sua espressione spaziale nella comunità e quella temporale nella tradizione;

dimensione della durata: in quanto il diritto è una realtà radicale incapace di maturarsi nell’effimero e, quindi, ha
bisogno di più tempo per poter venire ad esistenza;

dimensione dell’osservanza: ha bisogno di rispetto ed adesione (no obbedienza passiva).

La consuetudine è la fonte che meglio rispecchia il diritto nella sua purezza originaria; e forse questo è uno dei
motivi che la rende la sua matrice storica, destinata però ad essere soppiantata appena la civiltà diviene complessa
o inglobata in un sistema politico (in quanto incapace di ordinare la complessità); in quanto la società complessa
necessita di schemi generali ordinanti, di categorie, che solo la legge e la scienza possono fornire.

Dall’essere un fatto durevolmente ripetuto, la consuetudine trae il suo particolarismo: nasce dal particolare; il fatto
si colloca sempre nel particolare, anche se poi trova adesioni diffuse e si estende -> questa fonte nasce dal basso
ed esprime bisogni che provengono dal basso: Savigny direbbe che esprime lo “spirito del popolo”.
Esempio: la globalizzazione è un movimento di prassi, indole all’inizio essenzialmente consuetudinaria, che poi si
trasforma in principi grazie alla scienza (extrastatuale: perché non si ricorre alla legge. ma alla scienza che disegna i
principi regolatori necessari alla complessità della vita del mercato).

Per questo motivo si configura come la più incontrollabile delle fonti, impossibile da racchiudere in un programma
unitario e centralizzante; e di conseguenza nell’età moderna, quando il diritto diviene cemento dello Stato, il diritto
si fonda principalmente sulla legge, dunque la consuetudine si pone all’ultimo gradino della scala gerarchica, in una
posizione ancillare (di secondo piano) rispetto alla legge.

In un momento di crisi delle fonti ufficiali come quello che stiamo vivendo, la consuetudine avrà un ruolo di maggiore
rilevanza; infatti molti nuovi istituti trovano nell’uso la loro origine e le prime applicazioni.

La Costituzione e la legge ordinaria sono semplici manifestazioni in attesa di diventare esperienza vissuta (in
attesa che la interpretazione/applicazione consenta la loro incarnazione), invece nella consuetudine manifestazione
ed incarnazione sono tutt’uno: questo perché la consuetudine non è un principio/previsione, bensì un fatto che si
manifesta nel momento in cui una collettività lo vive.

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14.Le incarnazioni del diritto: l’interpretazione/applicazione


Il diritto possiede una propria antinomia: è al tempo stesso storia vivente (come ordinamento) e valore
(ordinamento osservato).

Il più delle volte, nella nostra esperienza quotidiana, non sorgono problemi relativi all’applicazione del diritto. Il
primo applicatore si può parlare dell’utente/osservatore con le sue applicazioni quotidiane (comprare, vendere,
mutuare...). Unica limitazione è che egli vive questi atti come delle semplici esperienze di vita; questo ne riduce la
giuridicità, che viene sepolta dal fatto della spontanea vita associata -> prima ancora che una regola scritta, l’utente/
osservatore segue un costume e/o buonsenso a cui il costume stesso si ispira.

Discorso analogo lo si può fare per la consuetudine (fonte orale per eccellenza) che da una scrittura non può soffrire
che di una profonda snaturazione; ma la storia giuridica ci insegna che il diritto è stato spesso immobilizzato in un
testo.

Questo per vari motivi:

• fisiologico: il valore deve essere noto universalmente per poter essere osservato (testo scritto=certezza);
• patologico: il potere politico si è impossessato del diritto e lo ha trasformato in un comando imperativo, tanto
più obbedito quanto più conosciuto (e la scrittura non consente scusanti all’ignoranza).

Fonte primaria di problemi di applicazione del diritto è proprio la scrittura/cristallizzazione in un testo scritto:

➡ la norma è distante dell’applicazione a livello temporale/spaziale;

➡ i fatti sono profondamente diversi e quindi difficilmente disciplinabili dalla norma;

➡ problema di interpretazione: l’interpretazione si può avere solo nei confronti di un testo scritto. L’applicatore
per eccellenza è il giudice (limitato nell’area di civil law, più libero nell’area di common law), ma può esserlo
anche lo scienziato (doctor iuris).

Il problema è stato eluso, in un primo momento, confinando l’interpretazione/applicazione fuori dal processo di
produzione del diritto (perché già perfettamente compiuto e concluso nel momento della manifestazione di un testo
normativo); successivamente esorcizzandolo grazie alla divisione dei poteri; ma si risolveva anche con l’elusione del
problema rappresentato dalla non evitabile frizione tra testo e vita, fra immobilità del comando e mobilità della
società.

Oggi, tra i giuristi di civil law, circola la corrente di pensiero filosofico denominata “ermeneutica”, la quale è frutto
dell’incontro di quei giuristi con il filosofo tedesco Gadamer.
L’ERMENEUTICA consiste in un rinnovamento metodologico che supera i canoni dell’ermeneutica classica,
tentando di cogliere il rapporto reale tra testo scritto e suo interprete, individuando la cifra autentica di ogni
interpretazione. Sostiene che il testo non è un elemento autosufficiente, ma trova la sua compiutezza solo grazie
all’interpretazione; la quale non è soltanto conoscenza, ma anche comprensione -> l’interpretazione è
l’intermediazione fra il messaggio del testo (estraniato dalla storia per l’immobilizzazione della scrittura) e l’attualità
di chi la interpreta (con il patrimonio di conoscenze/convinzioni a lui attuali).
→ il messaggio ermeneutico viene a spostare l’attenzione sull’interprete, visto come attore primario di questa opera
di intermediazione.
Seguendo l’esempio di Gadamer, si deve andare all’interno dell’universo giuridico, dove il problema centrale risiede
nel rapporto tra regola e vita e nel ruolo svolto dall’interpretazione/applicazioni, per tradurre la vita in regola. Per
questo motivo si fa cenno a Gadamer: anello di connessione tra riflessione filosofia e riflessione giuridica.

Grazie alla coscienza ermeneutica, possiamo fare delle rilevanti precisazioni:

‣ il diritto consiste in un perenne rapporto di interconnessione tra “manifestatore” e interprete/applicatore, fra


norma ed esperienza giuridica;

‣ il “manifestatore” senza l’interprete/applicatore è privo di comunicazione con la società (parla a sé stesso),


perché l’interpretazione/applicazione priva la disposizione della sua astrattezza e la inserisce nel concreto,
rendendola storia vivente (diritto).

Ciò che ne consegue, è la consapevolezza:

• il testo normativo è indipendente dal caso concreto, che avrebbe dovuto disciplinare;
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• importanza dell’interprete/applicatore: la voce della società su cui incide la disposizione, con contenuti diversi
da quelli voluti dal “manifestatore”;

• incompiutezza della regola astratta, che si completa solo con l’interpretazione in un processo di previsione
universale e applicazione particolare;

• complessità del processo di produzione del diritto, che si perfeziona solo con l’interpretazione.

Quindi il DIRITTO POSITIVO non è quello imposto da un’autorità, bensì è quello che l’interprete/applicatore pone
nella società.
L’importanza primaria ricade sulla comunità, che non rappresenta più un gregge passivo destinatario di comandi
repressivi, ma una parte rilevante nel processo di produzione del diritto (e l’interprete è la voce di questa comunità).

Per questo motivo la giurisprudenza sta sempre più prendendo coscienza di dar vita ad un diritto vivente (della
società) che si affianchi al diritto ufficiale. -> Corte suprema di cassazione (1994): fa una distinzione fra la
disposizione, considerata parte di un testo non ancora confortato dal lavoro interpretativo, e la norma, intesa quale
testi già sottoposto ad elaborazione interpretativa rilevante.

Tutto questo si potrà conseguire grazie anche all’immersione dei giudici a dimostrazione della crisi della legge, con
la sua conseguente trasformazione da durissima a più elastica: il giurista dovrà riconquistarsi un ruolo rilevante nella
società, alla condizione che deponga la veste di interprete di un testo legislativo (quasi fosse un testo sacro) e si
senta realizzatore del diritto visto come storia vivente.

15.Una precisazione conclusiva: diritto e diritti


Per “DIRITTO”, al singolare, si intende il tessuto sociale ordinato, quell’assetto organizzato e osservato che
costituisce l’ordinamento giuridico. È una realtà oggettiva, fondata su interconnessione di situazioni e rapporti.

Per “DIRITTI”, al plurale, si fa riferimento ad una dimensione giuridica soggettiva, che concerne la situazione e
posizione di un soggetto in seno all’ordinamento, soprattutto la libertà in seno ad esso. Non si deve dimenticare
l’insegnamento di Ermogeniano: il diritto nasce ed esiste “hominum causa”, cioè tra gli uomini e per gli uomini.
I giuristi, nella loro grammatica giuridica parlano di “poteri”, “facoltà”, “diritti”, “interessi” di cui è e deve essere
titolare il soggetto, e di cui l’ordinamento deve essere garante.
Di conseguenza, il termine “diritti” induca tante situazioni di cui il soggetto ha bisogno per vivere la sua esperienza
giuridica e che merita adeguata -e variatissima – protezione.

Dell’aspetto soggettivo di parla nel mondo moderno e post-moderno da quando si è redatto delle Carte dei diritti. Di
questi diritti parla:

- con un alto linguaggio la nostra Costituzione del 1947,


- vi è un fitto dibattito nella Comunità Europea a causa di una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
approvata a fine 2000dal Parlamento europeo e dalla Commissione: chiamata Carta di Nizza, proclamata il 7
dicembre 2000, entrata in vigore il 29 ottobre 2004, parte del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.

L’insistenza sui “diritti” deve essere valutata positivamente, è il segno di una civiltà giuridica che intende rinnegare
aberrazioni di un passato prossimo contro il soggetto e le sue libertà (collegate spesso ad una dimensione morale
religiosa culturale); però ci si deve guardare dall’enfasi eccessiva che porta ad assolutizzare ogni diritto, non solo
quelli essenziali della persona, ma anche quelli di indole economico-sociale, ovvero alla proiezione socio-economica
della persona -> puntare sui diritti su un insegna di un'etica della responsabilità.

Non si deve dimenticare inoltre che i diritti sono conferiti al singolo in quanto soggetto inserito in una comunità
storicamente vivente; inoltre i diritti non vengono conferiti in solitaria, ma come un gruppo. Con due rilevantissime
conseguenze: 1) la situazione giuridica soggettiva si innerva in un tessuto di rapporti inter-soggettivi; 2) la situazione
non è da cogliersi come semplice posizione di profitto individuale, ma che si tratta sempre di una posizione
complessa generativa anche di situazioni di dovere → si parla di diritti, tuttavia a ciascuno di essi corrisponde un
dovere verso il pubblico o verso gli altri.

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Introduzione al corso
“Storia del diritto medievale e contemporaneo”

L’IMPORTANZA DI PERCEPIRE IL DIRITTO NELLA SUA STORICITÀ


Il diritto nella sua immaterialità viene percepito come “lontano”.

Lo studio della storia del diritto permette di capire che il diritto nasce dalla società e che questa sensazione di
distacco è dovuta ad un determinato periodo storico, in cui il potere politico si identifica con lo Stato, interessandosi
sempre più al diritto.

Negli anni della Rivoluzione francese tra le molte mitologie laiche si staglia quella legislativa: la legge identifica la
volontà generale, perciò il diritto si identifica nella legge e ne deriva la sua completa statalizzazione.

Lo Stato è solo una cristallizzazione della società ! il processo di involuzione del diritto moderno è inarrestabile: la
legge è un comando che una volta scritto, si solidifica, rimanendo ancorato al passato.

Il RECUPERO DEL DIRITTO dipende da due elementi:

• dall’umanità del diritto: il diritto si è originato hominum causa;


• dalla socialità del diritto: dimensione intersoggettiva del diritto, MA NON ogni manifestazione sociale è di per sé
giuridica.

Una realtà sociale diviene giuridica, nel momento in cui intervengono:

• il fatto dell’ORGANIZZAZIONE o meglio della AUTO-ORGANIZZAZIONE, nel senso che una comunità diviene così
produttrice di diritto;

• il fatto dell’OSSERVANZA spontanea delle regole organizzative.

Il referente necessario del diritto è solo la società (e non lo Stato) come realtà complessa che sottrae il diritto al
potere. Il diritto esprime il sociale in due modi:

• come “ordinamento del sociale”: realtà ordinanda che non piove dall’alto e così si ha la restituzione alla società di
quanto è stato allontanato da alterazioni storiche contingenti;

• come “ordinamento osservato”: l’ordine giuridico autentico attinge ai VALORI della comunità (valore = principio o
comportamento che la coscienza collettiva ritiene di sottolineare, isolandolo o selezionandolo tra i vari principi e
comportamenti). I VALORI STORICI costituiscono le radici di una società.

OSSERVANZA E NON OBBEDIENZA: il diritto è ordinamento osservato, perciò ne derivano regole. La regola si
origina nell’osservanza e l’osservanza si origina nel valore connesso all’ordinamento attuato. In queste regole vi è
sempre imperatività, ma filtrata dalla e nella complessità del fatto organizzativo.
“Osservanza”, anziché “obbedienza” -> accettazione non interamente passiva, bensì dotata di consapevolezza.

Il diritto nasce prima della regola, il diritto è già nella società auto-ordinantesi: il diritto diviene regola imperativa
quando si inserisce in un apparato di potere, come lo Stato, che però non è imprescindibile per l’esistenza del
diritto, bensì è solo un accidente storico. Il diritto va quindi recuperato e restituito alla società, ripulendolo da
quell’accezione storica potestativa ed imperativa.

Dai primi dell’Ottocento c’è una COMPARAZIONE TRA DIRITTO E LINGUAGGIO, infatti i due elementi costituiscono
una piattaforma comune (dal punto di vista fisiologico) in quanto:

1. Si basano sulla socialità, dimensioni intersoggettive;

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2. Sono strumenti che ordinano la realtà sociale del soggetto (il linguaggio permette così un’efficiente comunicazione
ed il diritto la pacifica convivenza);

3. la qualità dell’osservanza: normatività della regola.

DIFFERENZIAZIONI TRA IL PIANO DEL DIRITTO E QUELLO LINGUISTICO dal punto di vista patologico: a livello
giuridico, notevole ruolo hanno le sanzioni, che sono spesso aspre. La sanzione è un mezzo per assicurare
l’osservanza.
Concetto vicino a quello di sanzione è quello di coazione.

Linguisti e giuristi parlano di linguaggio e di diritto come di complessi istituzionali:

La nozione di ISTITUZIONE nasce dall’auto-organizzazione di antichissime comunità, dalla convinzione


dell’efficacia e quindi dell’opportunità di osservare determinati gesti e comportamenti, nasce cioè dalle
consuetudini, ossia da fatti collettivamente ripetuti, in quanto percepiti come vincolanti, da cui la nozione di
normatività.
≠ Nell’ambito della modernità, invece, vi sono degli apparati di potere (lo Stato è quello più perfezionato) e delle
gerarchie di comandi. Così, il diritto è divenuto strumento del potere politico e di controllo sociale con il
conseguente primato della legge e la consuetudine si è ridotta al non-ruolo di consuetudo secundum legem.

L’accostamento di lingua e diritto ed il recupero della dimensione istituzionale giovano al ritrovamento di un ruolo
originario. L’ISTITUZIONE proprio in forza del suo naturale assestarsi ha una vocazione PLURALISTICA, lontana dalla
visione legalistica del diritto, legata alle nozioni di Stato ed di sovranità.

Se si prende come referente del diritto la società e non la sua cristallizzazione che è lo Stato, ne consegue che si deve
salvaguardare il pluralismo ed evitare di costringere la società nel monismo dello Stato.

Stato: compattezza ! dal momento che evidente è l’intolleranza. L’esperienza giuridica deve essere sempre
secundum legem.

Oggi però lo Stato è in crisi ed in crisi è il vecchio legalismo, perciò la direzione è quella del pluralismo. Si tende a
cercare una giustizia privata, legata al fenomeno della c.d. globalizzazione giuridica.

MEDIOEVO: è un unico periodo storico, caratterizzato dalla continuità e compattezza dell’esperienza giuridica, che
tuttavia viene distinto in 2 momenti per evidenziare delle differenze.

• Il primo Medioevo (476-1100 d.C.) risulta un esperienza giuridica fattuale, consuetudinaria, pluralistica.
• Nel secondo Medioevo (1100-1789 d.C.), si ha nuovamente una dimensione culturale, ma continua a mancare lo
Stato: il diritto consuetudinario viene ora interpretato nell’ambito delle nascenti Università, assumendo
autorevolezza grazie all’assunzione delle antiche fonti romane.
La società europea diviene dinamica e ad offrire un ordine ci pensa la scienza giuridica: statuti e consuetudini
convivono con un diritto scientifico universale -> PLURALISMO GIURIDICO.

Distinzione del Medioevo di Paolo Grossi (un giurista e storico italiano, che ha rivestito la carica di Presidente della
Corte costituzionale):

Alto medioevo (476-1000 d.C.) -> OFFICINA DELLA PRASSI: Il diritto non viene studiato e ricercato, ma viene
prodotto dalla quotidianità, tramite la prassi.
Protagonisti dell’alto medioevo sono il notarius, il iudex, lo scriba ed il causidicus che, nella loro OFFICINA,
affrontano i problemi legati alla PRASSI, alla realtà, riprendendo gli schemi dei formulari romani, ma adattati e
modificati sulla base dei nuovi bisogni, tenendo in considerazione usi e consuetudini.

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Basso medioevo (1000-1789 d.C.) -> LABORATORIO SAPIENZIALE: i giuristi lavorano dediti alle pagine del
Corpus iuris giustinianeo, nell’intento di creare soluzioni giuridiche innovative.
Nel XII secolo inizia a cambiare la società, in un mondo nel quale l’economia è lanciata nel pieno del suo
sviluppo, grazie soprattutto all’affermarsi di intensi traffici commerciali, ai quali si accompagna la nascita della
realtà comunale. In questo clima operano i glossatori, coloro che offrono alla società nuovi schemi ordinanti
nell’ambito del loro laboratorio sapienziale.
La scienza giudica è al centro del ragionamento e i giuristi medievali sono consci della immobilità di un testo
normativo autorevole (certezza del diritto che contraddistingue il diritto romano), di conseguenza si
contrappongono a quest’ultimo sostenendo la mobilità dell’ordine giuridico (incertezza del diritto che
contraddistingue il diritto medievale); quindi usano l’equità come strumento per adattare le fonti romane e
canoniche ai bisogni della società ! si professano interpreti delle fonti antiche, ma sono consci di creare in
realtà diritto -> età del sistema del diritto comune, proprio perché la parola “sistema” evidenzia il mutamento di
tale struttura.

Il sistema romano traduce sul piano giuridico la stabilità e la perpetuità del dominio politico romano, da cui:

• si propone come modello di analisi scientifica: un modello di straordinario rigore nelle argomentazioni e nella
forma;

• i giuristi romani sono bene inseriti nel contesto politico romano, caratterizzato dall’idea di individualismo
economico con il privilegio perciò dell’abbiente, del possidente: conservatorismo sociale.

La crisi del diritto comune è crisi di certezza. Il diritto medievale ha origine:

• nel vuoto statuale dovuto alla fine della struttura politica romana -> non c’è lo Stato, di conseguenza il diritto non
è legato all’idea di potere e di controllo sociale.

• e nel vuoto dovuto alla fine dell’aulica cultura giuridica ad essa legata.

In questo contesto, protagonista è non più il legislatore, ma il GIUDICE ed ancor più il notaio.

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LE FONTI DEL DIRITTO NELLA STORIA

Il DIRITTO vive una sua vita all’interno del tessuto sociale, economico e politico. A seconda dell’epoca e del contesto
sociale sono diverse le fonti del diritto che acquistano centralità.

La storia del diritto può essere analizzata:

• a partire dalle FONTI che contraddistinguono i diversi sistemi;

• o seguendo l’ORDINE CRONOLOGICO.

Inoltre, diversi sono anche i protagonisti della storia del diritto nei vari periodi storici:

• la dottrina;

• la giurisprudenza;

• il legislatore.

Delle varie forme che il diritto assume, quelle che costituiscono le incarnazioni del diritto sono:

➡ CONSUETUDINE: fonte del diritto cronologicamente più antica (legata a reicentrismo e comunitarismo; il diritto
viene percepito come qualcosa di fattuale, la consuetudine è, come affermano i filosofi, un “fatto normativo”):

‣ dimensione plurale del diritto;


‣ necessità di durata perché si crei diritto;
‣ l’osservanza.

La consuetudine nasce dal basso e dal particolare, di conseguenza è protagonista nel Medioevo, quando la
figura centrale è il notaio, ossia un uomo di prassi; tuttavia la società complessa necessita di schemi generali
ordinanti, di categorie, che solo la legge e la scienza possono fornire. È così che la consuetudine, in quanto
fonte incontrollabile, cade all’ultimo gradino della scala gerarchica, seppure nel clima attuale di crisi delle fonti
ufficiali, si sta creando spazio per nuovi istituti, che trovano origine negli usi.

La consuetudine è incarnazione del diritto, perché non necessita dell’attività di interpretazione/applicazione


come la Costituzione e la legge, bensì in essa manifestazione ed incarnazione sono un tutt’uno: la consuetudine
è un fatto che si manifesta in una collettività che lo vive.

➡ LA LEGGE: anche la Costituzione è legge, ma qui si intende la legge ordinaria, protagonista nello “Stato di
diritto” continentale (≠ Rule of Law anglosassone), incentrato sul principio di legalità, Stato che è:

A) uno Stato sovrano;

B) uno Stato parlamentare;

C) uno Stato in cui l’attività parlamentare risulta insindacabile;

D) uno Stato che detiene il monopolio della produzione del diritto, nelle mani del Parlamento (divisione dei
poteri), che esprime la volontà democraticamente generale;

E) uno Stato legalitario;

F) uno Stato che protegge i diritti individuali di libertà con la propria auto-limitazione nell’esercizio della
sovranità.

La legge offre ancora garanzie agli occhi di molti, ma si tratta di garanzie formali, in quanto va considerato
l’arbitrio del legislatore.

Durante l’ETÀ MODERNA nei Paesi di civil law:

• statualità del diritto;

• giuridicità vincolata alla statualità: unilateralità del diritto fino all’affermazione della borghesia e dei suoi
valori ! anni della codificazione e perciò dell’immobilizzazione del diritto;

• diritto = Stato = legge: PRINCIPIO DI STRETTISSIMA LEGALITÀ;


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• ruolo secondario di scienza giuridica e giudici;

• non più pluralismo giuridico, bensì assolutismo giuridico e liberalismo economico.

Problemi della legge:

1. il Parlamento non risponde alle esigenze degli italiani ! sfiducia, da cui crescita del ruolo dei giudici, della
prassi e della scienza giuridica (come detto, può derivarne un diverso canale di produzione giuridica:
globalizzazione giuridica);

2. diversi strati di legalità si sovrappongono ! quello comunitario, quello costituzionale e persino alcuni tipi di
sentenze della Corte costituzionale hanno effetti normativi.

N.B.: il bene pubblico è il bene di pochi, della borghesia, per cui vi è solo una pseudo-democrazia, di cui il
“quarto stato” non è partecipe, almeno sino alla Rivoluzione francese.

N.B.: la coscienza collettiva è plagiata dal mito della propaganda dell’unità politica sotto i Savoia e lo sono gli
stessi giuristi che creano giustificazioni alle espropriazioni.

PRINCIPIO DI STRETTISSIMA LEGALITÀ ≠ MODERNITÀ GIURIDICA nei Paesi di common law (Inghilterra e
colonie): vicino alla visione medioevale secondo la quale gli artefici del diritto sono i giuristi, ma: 1) primeggia il
DIRITTO CANONICO (l’EQUITÀ) sino alla rottura di Enrico VIII (nel Cinquecento); 2) non è tanto la scienza
giuridica a fare da protagonista quanto il GIUDICE.

N.B: il ruolo della legge è invece modesto: il Regno Unito non ha Codici né Costituzione scritta.

CONCETTI GENERALI
La storia ci concede di apprendere un’insieme di strumenti interpretativi per conoscere e capire il diritto.

DIFFERENZA PUNTO E LINEA= la norma positiva è un momento statico (punto), che si può conoscere benissimo ma
non si può capire l’evoluzione del diritto nel suo insieme (linea).

CONCETTO DI ESPERIENZA GIURIDICA= capacità di leggere il diritto attraverso il contesto economico, sociologico,
culturale; incardinando il dato normativo all’interno di un tessuto sociale (es: negli anni ’40 il codice penale e il codice di
procedura penale erano in vigore in Italia e nelle colonie italiane, come lo era la Libia. La Libia ha mantenuto lo stesso codice
penale fino alla caduta di Gheddaffi. Tuttavia un italiano si sente più al sicuro in Italia non in Libia, proprio perché c’è un
contesto economico, sociologico, politico e culturale diverso rispetto all’Italia -> il diritto deve essere letto in base al dato
normativo e in base ai vari contesti).
Pertanto i concetti sono sempre relativi e mai assoluti.

CAPACITÀ CRITICA= analizzare il significato e il contenuto della parola che ha cambiato senso nel corso del tempo.

ATTO DI EMULAZIONE= un soggetto copie delle attività che rientrano nelle sue facoltà con l’unico scopo ledere un altro
soggetto -> compie un comportamento che non è vietato ma che ha lo scopo di ledere un altro soggetto (es: un
soggetto vuole ledere il fondo successivo tramite l’inquinamento del fiume/condotto d’acqua).
Codice civile 1865 -> non prevede atti di emulazione perché il diritto di proprietà (diritto assoluto) non poteva avere
limiti;
Codice civile 1942 -> la commissione si divise in due parti, basandosi sulle stesse parti del Digesto, ma interpretandole
in modo diverso. Riconosce l’atto di emulazione che viene vietato.

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EPOCHE STORICHE

➡ ETÀ TARDO-ANTICA (IV – V sec. d.C.)


Tematiche:

‣ Mondo antico: evoluzione della struttura dell’Impero


‣ Fonti postclassiche (imperialis potestas; leges et iura)
‣ Corpus Iuris Civilis (i testi giustinianei nel tempo; revisioni in Oriente)
‣ Età postclassica (editti ed eventi storici)

➡ ALTO MEDIOEVO (V - X sec.: dal 476 al 1000)


Tematiche:

‣ il ruolo della Chiesa


‣ le invasioni barbariche (diritti germanici)
‣ la cultura giuridica dell’epoca

➡ BASSO MEDIOEVO (XI – XV sec.: dal 1000 al 1492)


Tematiche:

‣ DIRITTO COMUNE = UTRUMQUE IUS = UTRAQUE LEX


- glossatori
- Età “classica” del diritto canonico
- Transazione dalla glossa al commetto, e università, professioni legali e giustizia
- Commentatori
‣ DIRITTI PARTICOLARI: si devono ora approfondire, facendo a tratti un salto indietro nel tempo,
- si è già guardato al diritto feudale (e diritto longobardo) nell’ambito dell’Alto Medioevo
- ora va studiato il diritto mercatorio e i marcanti
- va posta attenzione ai comuni ed al loro diritto e la “legge” comunale (statuti)
- e si devono considerare i Regni ed il loro diritto

➡ ETÀ MODERNA (XV- XVIII sec.: dal 1492 al 1789)

➡ ETÀ CONTEMPORANEA (XVIII-XXI sec.: dal 1789 a oggi)

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IL DIRITTO, LE FONTI GIURIDICHE E GLI ELEMENTI DELLA MODERNITÀ

Il DIRITTO è basato sulla:

• Dinamicità: il diritto muta nel tempo-,

• Relatività: non può mai essere assoluto, esistono molteplici punti di vista;

• Storicità: proposte giuridiche che possono essere alternative alla nostra condizione.

Secondo Paolo Grossi, il diritto è un elemento carnale, in quanto fatto dall’uomo.

Fonti giuridiche del diritto:

➡ LEGGE: atto prescrittivo (in quanto prevede una condotta che deve essere rispettata), generale (rivolta a una
molteplicità di soggetti indeterminati) e astratto (rivolto a una serie di casi indefiniti). La generalità e l’astrattezza si
basano sul principio di eguaglianza, senza il quale non potrebbero esistere.
La legge è un provvedimento generale e astratto che ha un contenuto giuridico coattivo, il cui portato è collegato al
fatto che quella norma abbia correttamente seguito l’iter procedurale per la sua formazione.
La legge può essere emanata dal potere legislativo e quindi si basa sul: principio di separazione dei poteri e
principio di rappresentanza. Al giorno d’oggi la legge deve possedere un’appoggio popolare per consentire la sua
applicazione, se viene considerata ingiusta ci sarà una maggiore difficoltà di applicazione, anzi incoraggia la sua
violazione (es: università americana ha fatto un test, anno 1 ha messo il limite di velocità all’interno di un college di 45
miglia orarie, e le macchine mediamente non superavano mai le 50 miglia orarie; mentre anno 2 ha messo il limite di 25
miglia orarie nello stesso stratto, e le macchine superavano mediamente le 70 miglia orarie).

➡ CONSUETUDINE: comportamento sociale ripetuto in modo costante e uniforme nel tempo da una collettività, nella
credenza di rispettare un vincolo giuridico. Alla fine, il comportamento diviene vincolante, non perché il Parlamento
lo ha deliberato, ma perché il ripetere del comportamento lo rende nella coscienza della collettività un qualcosa di
fisso.
La consuetudine è supportata dal senso di obbligatorietà, dato che nasce spontaneamente da una comunità, e
dunque tutti la concepiscono come corretta.
La consuetudine cambia nel tempo con maggior facilità, anche se è un cambiamento lento; essa si adatta e non ha
bisogno di un cambiamento legislativo.
La consuetudine è stata la principale fonte del diritto fino alla Rivoluzione francese del 1789.

➡ GIURISPRUDENZA: è il complesso delle decisioni omogenee dei giudici. Infatti da una decisione del giudice, detta
sentenza, si produce sempre del diritto; dunque la giurisprudenza è una fonte particolaristica, ovvero nasce da un
caso particolare.

➡ DOTTRINA: è l’opinione degli studiosi di diritto. Al giorno d’oggi non ha nessun valore normativo.

Elementi che caratterizzano la nostra modernità:

➡ LEGGE
➡ CODICE: raccolta organica e completa/esaustiva di disposizioni nel Codice Napoleonico e del Digesto di
Giustiniano; tuttavia il significato di codice è cambiato nel corso del tempo, infatti il codice civile del 1942 non lo si
considera più completo, anzi racchiude solamente una serie di situazioni.
Ad oggi il codice civile si considera solamente come un insieme di vocaboli e significati. Il codice è diventato uno
strumento per capire come risolvere le situazioni non regolate -> permesso dall’approccio storico.

➡ COSTITUZIONE: è una fonte del diritto italiano, il quale è un documento scritto che riconosce i principi supremi
dell’ordinamento giuridico e disciplina l’organizzazione dei poteri.
In Inghilterra non esiste la Costituzione scritta, ma conosce una Costituzione che tutela i diritti tramite il common
law, ovvero tramite la giurisprudenza.

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➡ STATO: è un’entità complessa, costituita da un popolo, che risiede stabilmente su un territorio, ed è governato da
un’autorità. Al giorno d’oggi si considera lo Stato come l’autorità suprema su un territorio, il quale sceglie e
promulga le fonti giuridiche del diritto interno -> entità superiore che impone in modo autoritario delle leggi.

Questi 4 elementi devono essere dimenticati per poter studiare il diritto medievale, infatti la letteratura giuridica ha
studiato i vari periodi storici, e li ha considerati negativamente quando non avesse riscontrato questi elementi.

Nell’ultimo periodo, i 4 elementi che caratterizzano la nostra contemporaneità si stanno perdendo per riacquisire valori
medievali (es: consuetudine, il diritto internazionale privato è costituito maggiormente da consuetudini).

Nel Medioevo possiamo ricordare:

✦ Assenza di uno Stato e di un potere di sovranità; il Medioevo si sviluppa attorno alle corporazioni e ciascuna
di esse aveva le proprie regole, e una propria giurisdizione. Possiamo ricordare che che le corporazioni erano
molteplici, di conseguenza erano molteplici gli ordinamenti giuridici in uno stesso territorio (pluralismo giuridico).

✦ Assenza della separazione dei poteri: erano tutti mescolati tra loro e si dava più importanza alla sostanza che
alla forma (al contrario di oggi);

✦ Prevalenza della consuetudine e mancanza di un prodotto legislativo -> i principi del diritto erano i giuristi e
la loro dottrina, in quanto erano coloro che potevano capire quale era la giurisdizione da applicare (no
Imperatore, perché non arrivava alle corporazioni e c’era il Pontefice; no giudici, perché erano molteplici e non
esisteva il giudice tecnico;

✦ Contrattualizzazione: tutto il mondo medievale si basava su rapporti pattizi (volontari) e personali -> anche
l’imperatore era vincolato da una serie di rapporti personali e pattizi. Lo stato contemporaneo prevede una entità
superiore che impone in modo autoritario delle leggi (principio di sovranità), mentre nello stato medievale i
rapporti si basano su una base volontaristica.
Nello stato medievale si ragionava per facoltà: ovvero si compiva un ragionamento in base ad una possibilità/
convenienza -> si creavano vincoli di appartenenza, che partivano dal basso. Di conseguenza c’era un rapporto
di comunità: ovvero ciascuno esiste in quanto appartenente ad una comunità, e si poteva appartenere a più
comunità (pluralismo giuridico).
Infine c’era una diseguaglianza giuridica: ciascuno aveva un proprio ruolo e un proprio posto nella società,
quindi non presupponeva un’accezione negativa.

RIFLESSIONE

La Rivoluzione francese è definita anche la Rivoluzione della borghesia con una logica individuale che separa
nettamente il periodo precedente.
Illuminismo di Kant: l’uomo deve uscire dal buio e deve usare la propria mente -> mondo moderno.

Il precedente giurisprudenziale ha sempre fatto parte del diritto, tuttavia il codice napoleonico ha portato a una
differenza: common law, civil law.

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STORIA DELL’ANTICA ROMA

L'esperienza giuridica romana si svolge nell’arco di un millennio: dal V secolo a.C. al VI secolo d.C.

Diritto romano frutto dell’opera di legislatori e magistrati, ma anche della riflessione di generazioni di giuristi,
soprattutto tra la fine del II sec. a.C. e gli inizi del III sec. d.C.

La scienza giuridica romana è legata a una cultura essenzialmente civilistica: ordina istituti e situazioni che disciplinano
proprietà e diritti reali, contratti e obbligazioni, testamenti, legati e successioni. ! Lo sviluppo del diritto romano
accompagna la trasformazione dell’originaria città-stato (Roma) in un Impero di livello mediterraneo

Eventi storici rilevanti per l’Impero


Nel II sec. d.C. Roma raggiunge la sua massima estensione -> Impero tardo-antico
Attorno al 200 d.C.: la parte Orientale dell’Impero Romano risulta essere più fiorente, più potente e con una
cultura diversa dal mondo latino.

- l’economia del mondo d’Oriente ha sofferto molto meno di quella d’Occidente, che è persino regredita al
baratto;

- ad Oriente l’Impero riesce a controllare meglio i potenti locali e a non subire eccessive intrusioni della
Chiesa;

- l’Oriente è immerso nella cultura greca, diversamente dall’Occidente in cui domina il mondo latino. Con
la caduta dell’Impero d’Occidente, risulta evidente il carattere greco del rimanente Impero “romano”,
fondato su Costantinopoli e la cui lingua è il greco ed il cui sovrano viene spesso denominato l’imperatore
greco.
Si creano le basi per l’estraneità tra Europa dell’est e dell’ovest, tanto da adottare due alfabeti: quello
LATINO e quello CIRILLICO.

La diversità dei due Imperi pone le premesse culturali per lo scisma:

➡ cristianesimo greco od “ortodosso”: mondo pagano, politeista e tollerante -> Oriente;


➡ cristianesimo latino o “cattolico”: religione monoteista, che impone una sorta di totalitarismo dottrinale,
ciò risulta per la Roma ufficiale un atteggiamento anti-sociale, che porta a violente persecuzioni contro i
cristiani -> Occidente

212 d.C. Editto di Caracalla: estensione della cittadinanza a tutte le popolazioni che si trovavano sul territorio
dell’Impero Romano, 2 ragioni:

• Ragioni fiscali: applicare a un maggior numero di contribuenti le tasse di successione gravanti sui fondi
dei “cittadini”;

• Ragioni militari: i cittadini maschi devono sostenere la guerra per l’Impero

284-305 d.C. Diocleziano Imperatore -> periodo di massima estensione territoriale

Dal 293 d.C. Diocleziano organizza la TETRARCHIA, al fine di creare un diritto pubblicistico e di
organizzare meglio l’Impero. La Tetrarchia era una suddivisione dell’Impero in territori, tuttavia l’Impero
rimaneva uno e unico; quindi c’era solamente 1 Imperatore:

‣ L’Impero romano viene diviso in 2 parti (parte Occidentale con capitale Roma e parte Orientale ->
parti e non Imperi!), le quali erano governate da 2 Augusti (1 Occidente e 1 Oriente) e da 2 Cesari (1
Occidente e 1 Oriente) ! La successione è regolata secondo il meccanismo dell’adozione (no
eredità sanguigna): i due Augusti scelgono come Cesari, coloro che ritengono più idonei alla futura
successione, tuttavia il meccanismo non si rivela efficace a causa della competizione.

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‣ Le 2 parti d’Impero sono divise in 4 province (2 province per ciascuna parte d’Impero, 2 Oriente e 2
Occidente), delle quali i due Augusti affidavano la gestione ai governatori, i quali potevano essere i 2
Cesari (1 per parte d’Impero), oppure no.

‣ Le 4 province sono divise a loro volta in 12 diocesi (6 diocesi per parte d’Impero, 6 Oriente e 6
Occidente) diocesi in tutto nell’Impero), con a capo i vicari.

‣ Infine queste 12 diocesi sono divise in 104 unità (54 unità per parte d’Impero, 54 Oriente e 54
Occidente).

Impero -> 2 parti -> 4 province -> 12 diocesi -> 104 unità

Sul finire del III secolo, aumentano i cristiani.

312 d.C. COSTANTINO ritiene di aver vinto la battaglia del Ponte Milvio, contro un pretendente all’Impero, grazie
all’aiuto del Dio dei cristiani: ne deriva dapprima un atteggiamento di tolleranza (Editto di tolleranza di
Milano 313 d.C.) che poi porta alla dichiarazione della religione cristiana come religione ufficiale dell’Impero
(Editto di Tessalonica nel 380 d.C.)

330 d.C. COSTANTINO, rimasto imperatore unico dopo la sconfitta di Licinio, inaugura ufficialmente la nuova capitale
(Costantinopoli, fino al 1929, poi Istanbul) sull’area dell’antica Bisanzio.
Il regno di Costantino (306-337, imperatore unico dal 323) segna una fase determinante per l’organizzazione
dei rapporti con la Chiesa. Si concedono sussidi e donativi alle chiese e privilegi al clero:

• si riconosce ai clerici appartenenti alla ecclesia catholica: l’immunità rispetto agli oneri che gravano sulle
classi dirigenti delle città;

• si prevede la manumissio in ecclesia, ossia i primi cristiani sono invitati a liberare i propri schiavi dal
momento della conversione e probabilmente ciò avviene davanti all’ecclesia fidelium, ossia la comunità
religiosa a cui si uniscono (tale consuetudine è vicina alla manumissio inter amicos del diritto romano, con
cui si affrancano i servi durante raduni per banchetti o altre feste private!sembra quindi che Costantino
crei una nuova manumissio inter amicos per cristiani);

• si riconosce alla Chiesa la capacità di ricevere donazioni mortis causa;

• si attribuisce ai vescovi una competenza in sede giudiziaria (episcopalis audentia).

382 d.C. TEODOSIO I accetta la “barbarizzazione” dell’esercito “orientale”; i barbari vengono federati, in cambio
partecipano alla difesa dell’Impero -> permette ai Visigoti di stabilirsi a sud del Danubio come tribù dotate di
autogoverno e di leggi proprie con cui amministrarsi.
Infatti col passare del tempo, dalla Russia, arrivano delle popolazioni barbariche, le prime delle quali sono
state federate, ovvero le vengono date una serie di diritti, non pari a quelli dei cives romani, in cambio di
partecipazione alla difesa dell’Impero.
Con l’avanzare del tempo, e con l’avanzare di altre popolazioni barbariche, l’Impero non poteva più
raccoglierli e dunque le popolazioni barbariche minano la difesa dell’Impero romano, ed entrano in Europa.
-> hanno religioni diverse, dunque la Chiesa e l’Impero si sentono minacciate e decidono di collaborare

395 d.C. con la morte di TEDOSOIO I, si crea una formale distinzione tra le 2 parti dell’Impero con 2 imperatori, figli
dello stesso Teodosio (Onorio in Occidente e Arcadio in Oriente), e due cancellerie a Roma e a Bisanzio.
-> si dualizza il concetto di Impero, gli Imperatori hanno una propria cancelleria e un proprio diritto
costituito da: Costitutiones, fonti generali e astratte rivolte a tutti i cives; da rescrpita, nati sul caso specifico,
ma valgono erga omnes; e dallo ius, diritto elaborato dai 5 giuristi della legge delle 5 citazioni (non più fonti
del diritto i senato consulta e plebisciti).
Il monarca/legislatore è legibus solutus, ovvero può emanare un procedimento che può essere opposto alla
legge.

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529 d.C. GIUSTINIANO sale al potere come Imperatore d’Oriente e si proclama credente, quindi parla anche nella sua
veste di lex animata di Dio -> si completa il percorso iniziato con l’Editto di Tessalonica (la religione cristiana è
la religione dell’Impero), con il quale la logica cristiana si fonde con l’Impero.
Giustiniano si pone 3 obiettivi principali:

1) Unificazione del cristianesimo, con tendenze cesaropapistiche: Il termine “cesaropapismo” indica


l’idea di unire il potere temporale (Impero) e il potere spirituale (Chiesa cattolica) nella stessa persona.
Con Giustiniano la religione cristiana è la religione ufficiale dell’Impero: mentre il Pontefice si crede capo
della cristianità, e si occupa anche della vita terrena dell’uomo (diritto canonico); l’Imperatore si considera
la rappresentanza sulla terra di Dio, e quindi il suo diritto era anche un diritto divino -> da questo
momento in poi, ci sarà una lotta tra l’Imperatore e il Pontefice. Il diritto divino imperiale può essere
interpretato solo dallo stesso Imperatore, divieto di interpretazione da parte dei giuristi.

2) La “codificazione” per la certezza del diritto, guardando all’età “aurea” del diritto romano (II-III sec.): è
un’operazione antistorica.
Giustiniano produce il Corpus iuris civilis formato da 4 documenti (Institutiones, Codex, Digesto e
Novelle), perché vuole riunire l’Impero sotto il diritto, ed è anche l’unico strumento con cui far rivivere l’età
aurea di Roma, come Roma si era consolidata, costruita 1000 anni prima, a partire dal Tevere, dove
veniva utilizzato il diritto. Il diritto doveva ridare forza all’Impero romano, di conseguenza Giustiniano
attribuisce a questi testi valore di legge, quindi da a tutti questi una forza imperiale, inoltre prevede che
non possano essere utilizzate più altre fonti al di fuori di questi testi (principio di esclusività).
La simbologia diventa fondamentale, perché Giustiniano quando promulga queste leggi, alza le mani al
cielo (come un sacerdote), e prega Dio affinché quei testi diventino la nuova base della società romana; di
conseguenza il diritto è ultraterreno e divino, perché Dio lo ha consacrato -> diventa SACRO ROMANO
IMPERO.

3) Restaurazione armata dell’Impero;

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Eventi storici rilevanti per la Chiesa


All’inizio l’Impero Romano aveva due problemi: 1) la Chiesa è un pericolo; 2) le popolazioni barbariche (l’Impero romano
d’Occidente si era scisso con le popolazioni barbariche, tra il 300 e il 400 d.C.).

313 d.C. EDITTO DI TOLLERANZA DI MILANO

Dal 325 d.C. si è tenuto il CONCILIO DI NICEA: è il primo concilio universale, convocato dall’Imperatore Costantino, al
fine di fissare i principi più importanti della cristianità (da notare che il primo concilio universale della Chiesa è stato
convocato dall’Imperatore, questo per stabilire la collaborazione tra i due poteri).
Durante il concilio di Nicea, la Chiesa doveva fissare una serie di aspetti religiosi (spirituali) e istituzionali, al fine di
trovare unità tra il pensiero dei due poteri universali, anche espellendo/esiliando coloro che professavano la religione
senza rispettare le direttive della Chiesa, come successe per la religione cristiana professata da Ariano (professava la
doppia natura di Dio e di Gesù) e per la dottrina donastica (visione della chiesa peuperistica, si basa sul rigorismo
intransigente, condannava il rapporto che la Chiesa stava creando con l’Impero, perché l’Impero era visto come il
vecchio persecutore, proprio perché aveva perseguito in antecedenza i cristiani).
Sempre durante il Concilio di Nicea, la Chiesa accetta di assumere funzioni suppletive dove l’Impero non riesce a
governare -> i membri della Chiesa assumono due funzioni: rappresentanti spirituali e rappresentanti del potere
imperiale (es. potevano riscuotere tasse).

380 d.C. EDITTO DI TESSALONICA: religione cattolica come religione ufficiale dello Stato.
Da questo momento, gli uomini e le istituzioni della Chiesa sono considerati come tasselli dell’apparato di “governo”
imperiale, e dunque meritevoli di specifici privilegi. Tutti gli ecclesiastici godevano di una sorta di “immunità”, la quale
assicurava a questi ultimi di essere totalmente ed esclusivamente sottoposti al mondo della Chiesa, pertanto erano
esclusi dagli obblighi imperiali (es: no tasse).
In particolare, possiamo ricordare che gli ecclesiastici potevano essere giudicati direttamente dai loro vescovi, di
conseguenza c’era una giurisdizione esclusiva per i membri della Chiesa, che successivamente è stata poi estesa ai
cittadini credenti, con la giustificazione del fatto che tutti gli uomini sono figli di Dio, e per aver salva la loro anima
dovevano essere giudicati dall’ordine religioso -> venne utilizzato l’istituto della episcopalis audientia, una sorta di
conciliazione in forma privata che il vescovo poteva esperire per specifiche questioni o a tutela di soggetti meritevoli di
protezione (vedove, minori, poveri).

445 d.C. l’Imperatore d’Occidente Valentiniano III emana un editto con cui riconosce assolutamente valido il primato
giurisdizionale del Papa in Occidente affermando che “nulla deve essere fatto contro o senza l’autorità della Chiesa
romana” sulla base di 3 presupposti:

• i meriti di S. Pietro
• il rango e la dignità della città di Roma
• l’affermazione secondo cui “la chiesa romana ha sempre avuto il primato” (derivata, con interpolazioni, dal concilio di
Nicea del 325)

! per il Papato tale editto significa la conferma imperiale delle proprie rivendicazioni al primato sulle altre sedi
vescovili

! giustifica il ruolo di eredità e di supplenza nei confronti del massimo potere secolare in Occidente che rivendicherà
il Papato dopo il definito collasso dell’Impero d’Occidente nel 476

A quest’epoca l’intervento imperiale nella vita della Chiesa d’Oriente, e dove possibile in quella d’Occidente, era
perfettamente compatibile, e anzi richiesto dal ruolo riconosciuto all’imperatore bizantino di capo dell’organizzazione
ecclesiastica e guida religiosa (cesaropapismo). Tuttavia il vescovo di Roma, che era la carica religiosa più prestigiosa in
Occidente, fu impegnato a tentare di fissare confini sufficientemente chiari tra potere laico e potere religioso.

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Quindi ricordiamo che nel 494 d.C. il vescovo di Roma, GELASIO I, inviò un documento ad Anastasio I, Imperatore
d’Oriente (era l’unico imperatore sulla terra per un periodo), in cui definiva il principio dualistico: l’Impero e la Chiesa
sono due poteri autonomi, con i rispettivi poteri e ambiti di competenza (contrasto con “cesaropapismo” bizantino).
Inoltre nella lettera, aveva riconosciuto che il potere imperiale consisteva in una potestà, mentre il potere religioso della
Chiesa cattolica era una auctoritas (l’autorità e la potestà non erano e non sono sinonimi, il potere della Chiesa consiste
in una auctoritas, e di conseguenza ha un potere superiore rispetto all’Impero, questo perché i clerici dovevano rendere
conto al Signore per le azioni dei re).

Gelasio I ha definito: 1) principio dualistico: separazione del potere temporale (politico) e del potere spirituale
(religioso); 2) la Chiesa ha il potere superiore; 3) tutti i poteri sono subordinati a Dio.

Da tale separazione la Chiesa diventerà una istituzione produttiva di diritto, LE FONTI DEL DIRITTO CANONICO ERANO:

1) il Libro (Bibbia) viene considerato uno strumento di rivelazione divina, canonizzato (irrevocabile e privo di
contraddizioni). Da esso, con una opera di interpretazione, si traggono i principi teologici della fede e le
norme comportamentali a cui i fedeli devono arrendersi. Il Libro, è un indiscutibile e definitivo mezzo di
comunicazione tra Dio e il suo popolo, e le autorevoli interpretazioni della Parola di Dio, sono state date dai
primi padri della Chiesa -> assumono valore normativo tali interpretazioni;

2) Canoni: prodotti dei concili ecumenici, oppure dai sinodi (a livello territoriale), sono le fonti primarie della
Chiesa, e le relative violazioni implicavano la messa al bando dei disobbedienti attraverso lo strumento delle
scomuniche.

3) Regole monastiche: regole di convivenza dal valore normativo all’interno della comunità. Tra le più
importanti è la “regola benedettina”, che regolava il funzionamento dell’abbazia di Cassino (529 d.C.), in
particolare definiva gli aspetti di condotta religiosa che erano esaltati dall’obbedienza. Inoltre la “regola
benedettina” ha influenzato le altre abbazie che sono sorte in tutta l’Europea.

4) Libri penitenziali: sempre nell’ambito delle abbazie si crearono anche i “libri penitenziali”, i quali associavano
ai peccati le relative penitenze da irrogare come espiazione, con una logica “tariffaria” che legava l’onerosità
del castigo, non soltanto alla “oggettiva” gravità della trasgressione, ma anche alla “soggettiva” intenzionalità
di colui che ne era responsabile.

5) Epistole (missive, lettere) dei pontefici: da ricordare Gregorio I, il quale una volta divenuto pontefice
raccolse in un registrum, più di 800 epistole, che costituirono un primo corpus di testi pontefici dotati di
implicito valore normativo.

534 d.C. GIUSTINIANO ha insistito sulla centralità del potere dell’Imperatore anche in ambito religioso, è una risposta a
Gelasio I -> cesaropapismo.

GIUSTINIANO: parla di due missioni, cioè del sacerdotorium e dell’imperium, che vengono riunite nella propria persona
(costruisce una Chiesa di Stato).
≠ GELASIO I: auspica una Chiesa universale, superiore al potere Statale.

L’IMPERO BIZANTINO resta fermo all’idea di ! IMPERATORE-SACERDOTE


≠ LA ROMA APOSTOLICA segue ! il PRINCIPIO GELASIANO

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LE FONTI DEL DIRITTO ROMANO

Nel mondo medievale conosceremo principalmente i signori del diritto, i quali sono produttori del diritto ad ampie
vedute; di conseguenza i “signori del diritto” non sono le fonti del diritto, ma i soggetti che producono diritto: Chiesa
Cattolica e Papa (diritto canonico); e l’Imperatore (diritto romano).

Con l’opera di Giustiniano (corpus iuris civilis), il diritto romano si consolida e diventa un elaborazione statica, ovvero
non viene più studiato, ma viene considerato come una fonte storica, in quanto nessuno lo modifica, ma
semplicemente viene applicato.

LE FONTI CLASSICHE DEL DIRITTO ROMANO PRECEDENTI AL CORPUS IURIS CIVILIS sono:

✦ Mores (consuetudini): successivamente alcune di esse vengono trascritte nelle 12 Tavole, tuttavia rimangono
consuetudini generali e astratte e la loro fonte è orale -> la loro trascrizione le rende conoscibili alla società;

✦ Ius controversum o diritto giurisprudenziale: diritto che si struttura attraverso le decisioni dei giudici, che
diventano precedenti giurisprudenziali (norme particolari e concrete);

✦ Dottrina: frutto dello studio del diritto da parte dei giuristi;

✦ Senato consulti: decisioni sviluppate dal Senato, il quale è composto dalle famiglie più importanti di Roma
(carattere particolare soprattutto in età matura);

✦ Costituzioni imperiali: hanno efficacia generale e astratta perché sono decisioni dell’Imperatore;

✦ Rescripta: provvedimenti imperiali che nascono sulla sollecitazione della cancelleria imperiale, ma che si applicano
in un caso concreto -> un soggetto richiede un intervento da parte dell’Imperatore su un determinato caso pratico, e
da lì in avanti, la decisione dell’Imperatore sarà applicata a tutti i casi simili o uguali;

Tutte queste fonti vengono inserite all’interno dei testi di Giustiniano, anche di 1000 anni prima-> il diritto viene
studiato, citato in relazione alla presenza o meno del Corpus iuris di Gaio.

SUCCESSIVAMENTE, LE FONTI DEL DIRITTO ROMANO POSTCLASSICHE, PRECEDENTI AL CORPUS IURIS CIVILIS, consistevano
principalmente nelle Imperialis potestas (dal Principato augusteo all’Impero), infatti solo l’Imperatore produceva diritto
tramite l’emanazione di constitutiones (che vengono assimilate alle antiche leges e rescritti -> non c’è più spazio per
plebisciti e senatoconsulti che erano di matrice popolare e senatoria).
Inoltre si afferma il principio di principes legibus solutus, ovvero il Principe o Imperatore può operare anche
contrariamente alla legge -> possiamo ricordare che Giustiniano afferma successivamente, che Dio ha assoggettato le
leggi alle decisioni dell’Imperatore, e descrive sé stesso con le fattezze di una legem animatam di Dio, che è stata
inviata sulla terra per gli uomini.

Il ius, che era il diritto basato sulla dottrina, che derivava da principi estratti dagli Editti pretorii o dalle opere di
giuristi celebri, viene sopraffatto dalla lex generalis (diritto che deriva dalla legislazione imperiale) -> decadenza
dell’attività interpretativa dei giuristi ad opera della Legge delle 5 citazioni (426 d.C.): disposizione imperiale con la
quale si stabiliva che da quel momento, i giuristi o avvocati di turno avrebbero potuto citare ufficialmente nei
processi, soltanto 5 giuristi determinati (Gaio, Ulpiano, Papiniano, Paolo, Modestini); oppure si potevano citare
anche altri giuristi, a patto che questi ultimi fossero stati citati dai suddetti 5, e che si porti in giudizio il testo
originale del giurista citato.
La legge stabilisce che:

• se le opinioni dei 5 giuristi principali sono divergenti, si accetta quella della maggioranza;

• se non vi è una opinione di maggioranza, prevale il parere di Papiniano;

• se non vi è una opinione di maggioranza e sul punto manca quella di Papiniano, allora il giudice può formare
autonomamente la propria opinione sull’argomento.

Venne emanata la legge delle 5 citazioni perché nel corso del tempo si erano sviluppati troppi ragionamenti giuridici,
impossibili da capire proprio per la decadenza della cultura giuridica romana.

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Le consolidazioni del diritto romano: non sono raccolte ufficiali


Nell’Europa Occidentale tra il III-IV secolo d.C. vengono prodotte delle CONSOLIDAZIONI, raccolte miste di testi
legislativi e dottrinari (leges et iura), i cui autori erano spesso autonomi.
Le consolidazioni erano delle raccolte non ufficiali, e che quindi non costituivano fonti del diritto, che contenevano la
giurisprudenza e il ius in versione epitomata, ovvero in forma riassuntiva, schematizzata, al fine di rendere semplice e
comprensibile il diritto per tutti (necessario dopo l’editto di Caracalla, che aveva esteso la cittadinanza alle prime
popolazioni barbariche).

Con le popolazioni barbariche si ha una volgarizzazione della popolazione romana, infatti le consolidazioni sono
scritte in un latino volgare, ovvero possiede alcuni elementi linguistici che derivano dalla lingua dei barbari -> verso il V
secolo si costituiscono le lingue romanze, che sono il connubio della lingua romana e barbarica, il quale ha prodotto
nuove lingue (es: spagnolo, francese).

Di conseguenza, le consolidazioni ci mostrano il lento declino della cultura giuridica romana, assieme al recupero di una
serie di consuetudini locali (l’Impero era così vasto, che il controllo sulle singole Province era dimuniuto, di conseguenza
il diritto non è più quello classico e non è più lo stesso ovunque, quindi si avvia lo sviluppo di consuetudini locali che
interpretano e variano il contenuto del diritto originario).
-> Col passare dei secoli si perde l’utilizzo della lingua e dello studio del diritto (rispecchiano una società nella quale il
diritto non ha più un ruolo centrale).

Le consolidazioni più famose furono:

Codice gregoriano e Codice ermogeniano (fine III secolo, inizio IV secolo): erano due consolidazioni private,
che prendono il nome dai loro autori. Queste due consolidazioni non sono mai state ritrovate fisicamente, quindi
sono state ricostruite dai testi successivi che le citavano.
È da riconoscere che vennero nominate “codice” solamente perché quel termine indicava all’epoca un insieme di
fogli

Fragmenta vaticana (prima metà IV sec.): costituzioni imperiali del IV secolo;

Lex dei (IV sec.): materiale del IV secolo, che cerca di paragonare dei riferimenti biblici con dei passi del diritto
romano;

Consultatio veteris (IV sec.): raccolta di pareri di un giurista che risponde ai quesiti che gli vengono sottoposti (casi
pratici), e risolvendoli cita la Costituzione imperiale a fondamento della sua decisione;

Epitome: raccolte all’interno delle quali, i giuristi hanno sintetizzato il pensiero di giusti famosi. Sono infatti dei testi
che riassumono in modo semplice la dottrina dei giuristi, che erano stati salvati dopo la legge delle 5 citazioni
(Epitome Ulpiani, Pauli sententiae, Epitome Gai).
L’Epitome Gai (V secolo), ovvero l’epitome di Gaio, è di essenziale importanza, infatti all’interno di 2 libri, vengono
salvati i commentari e le spiegazioni delle “Institutiones” di Gaio. All’interno dell’epitome ci sono solamente i
principi, e non le regole generale.

CONSOLIDAZIONE

Concetto di “consolidazione”: dal tardo III sec. iniziano a comparire raccolte miste di testi legislativi e dottrinari (leges e
iura) ad opera di autori spesso anonimi.

CODICE

Problema terminologico: l’uso costante delle stesse espressioni avvalora la convinzione che dietro le parole vi sia un
nucleo inalterato e inalterabile, cosa che non corrisponde al vero. La relazione tra un nome ed il senso che gli si
attribuisce cambia con il mutare della società, dei costumi, dei rapporti economici, dei fenomeni.

Codex è termine plurisenso, il significato letterale è: “libro compatto cucito sul dorso”

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Codice teodosiano: raccolta ufficiale


Il Codice teodosiano (438 d.C.) è una raccolta ufficiale che viene richiesta direttamente dall’Imperatore Teodosio II
(Imperatore d’Oriente), il quale costituisce una commissione di esperti che doveva produrre 2 raccolte: 1 raccolta
doveva contenere tutte le constitutiones imperiali da Costantino, in quanto era il primo Imperatore che ha riunito la
Chiesa e l’Impero; 1 raccolta doveva raggruppare la dottrina, tuttavia quest’ultima non è stata creata, in quanto era
troppo difficile capire il pensiero dei giuristi.

Pertanto nel 428 d.C. è stata pubblicata solo la raccolta che conteneva le constitutiones, e venne denominata Codice
teodosiano, quest’ultima era costituita da 16 libri, suddivisi in titoli e contenenti in ordine cronologico le costituzioni.

Il testo ha avuto vigore sia nell’Impero orientale, che in quello occidentale. Tuttavia nell’Impero d’Oriente, tale opera ha
avuto vigore fino a Giustiniano e al suo Corpus iuris civilis.

Invece, nell’Impero d’Occidente, il Codice Teodosiano ha avuto molta importanza, infatti grazie alla sua semplicità il
testo verrà usato anche dalle popolazioni barbariche. Di conseguenza, i principi di diritto romano contenuti nel codice
teodosiano, diventeranno fondamento delle popolazioni che fonderanno la componente romana e barbarica (si
formeranno popolazioni romano-barbariche). -> Il diritto si evolve, in relazione al cambiare del tempo e delle necessità
delle collettività.

Le popolazioni romano-barbariche non saranno influenzate dal Codice giustinianeo, poiché il Codice Teodosiano era più
semplice, sia dal punto di vista linguistico che delle istituzioni riconosciute. Il codice giustinianeo sembrerà un diritto
divino.

Il testo del Codice teodosiano è stato ricostruito grazie alle raccolte normative compiute dalle popolazioni barbariche.

Giustiniano e il Corpus iuris civilis


Giustiniano sale a potere a Costantinopoli (Imperatore d’Oriente) diventando co-imperatore assieme a Giustino (suo
zio), e una volta morto quest’ultimo diventa l’unico Imperatore.

Giustiniano aveva 2 obiettivi: 1) riunire tutto l’Impero romano (che si era separato 2 secoli prima); 2) riunire l’Impero
grazie al diritto.
Di conseguenza, Giustiniano nomina una commissione per redigere i documenti che avrebbero dovuto comporre il
CORPUS IURIS CIVILIS:

➡ Istitutiones: è un documento che contiene i fondamenti del diritto, strutturati in 4 libri ed è costruito sul modello
delle Istituzioni di Gaio che era basato sulla tripartizione cose-persone-azioni.
Le istituzioni sono un testo per formare i giuristi, di natura didattica, pertanto le spiegazioni sono semplici.

➡ Codex: testo dove Giustiniano raccoglie tutte le costruzioni imperiali (leges) emanate dalla nascita degli
Imperatori, fino a Giustiniano stesso (più di 1500 costituzioni a partire dall’età di Adriano).
Il documento è diviso in 12 libri all’interno dei quali sono state raccolte tutte le costituzioni dell’Impero Romano,
che sono state suddivise in ordine cronologico (a seconda del momento storico in cui sono state amante) e in
ordine tematico (a seconda del loro contenuto).
Contiene diverse materie: diritto pubblico, amministrativo e fiscale; diritto penale; diritto privato; diritto
ecclesiastico.

➡ Digesto: documento che contiene l’insieme dei frammenti delle opere più importanti dei giuristi, sono stati
raccolti più di 10’000 frammenti. È un’opera composta da 50 libri, nei quali sono raccolte principalmente i
frammenti delle opere dei 5 giuristi che potevano essere citati nei processi in seguito alla legge delle 5 citazioni.
Raccolta delle dottrine (iura).

➡ Novellae costitutiones: opera che contiene l’insieme di costituzioni che sono state emanate da Giustiniano
dopo l’opera di codificazione, fino alla sua morte (da 534 a 565 d.C.) -> riconoscimento del fatto che il diritto non
è statico, ma muta nel tempo.

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Il Corpus iuris civilis di Giustiniano consiste in una raccolta organica di strumenti chiari e certi, al fine di riunire l’Impero
Romano. Dal momento dell’emanazione l’opera di Giustiniano diventa vincolante e tutto il diritto si trova al suo interno,
pertanto sussiste il divieto di ricorre ad altre forme normative (principio di esclusività) e l’obbligo di ricorrere ad una
interpretazione letterale delle disposizioni in essa contenute (timore che i nuovi giuristi possano interpretare in modo
diverso le regole).

Giustiniano ricorre alla codificazione per eliminare il particolarismo giuridico, che è l’assenza di unitarietà e coerenza
dell’insieme delle leggi vigenti in una data sfera spazio-temporale

dalla riscoperta dei testi giustinianei nel sec. XII e fino agli inizi del sec. XVI l’Italia è riconosciuta come il centro
degli studi giuridici in Europa (nel XVI la Francia; nel XVII l’Olanda; nel XIX la Germania):

Bologna: definita Alma Mater Studiorum già nel Duecento

Ricorda: Proprio perché il corpus iuris nasce dalla parola di Dio e questa viene positivizzata dall’imperatore, è vietata la
modifica e l’alterazione del contenuto del corpus iuris stesso (anche se sappiamo che in realtà non è stato così).

La simbologia diventa fondamentale, perché Giustiniano quando promulga queste leggi, alza le mani al cielo (come un
sacerdote), e prega Dio affinché quei testi diventino la nuova base della società romana -> il diritto diventa ultraterreno,
divino, spirituale perché Dio lo ha consacrato -> l’Impero romano diventa SACRO ROMANO IMPERO (cesaropapismo:
unificazione del potere temporale -Impero, e potere spirituale -Chiesa- nella stessa persona).
È da ricordare che il cristianesimo ha alterato profondamente alcuni valori dominanti della cultura romana classica, ne è
un esempio la considerazione della dignità della donna, sia nel ruolo di coniuge (il matrimonio è anche legame
sacramentale), che di quello di figlia (equiparata al fratello maschio nella successione legittima).

Dal momento della codificazione il diritto romano diventa un diritto meta-storico, in quattro è un diritto che sempre
verrà ripreso per lo studio del diritto contemporaneo/ moderno (es: diritto che verrà abbandonato per 5 secoli per via
del Medioevo, e poi ripreso ad essere studiato a partire dal 1100) -> più un principio è datato più è un principio
importante e forte, in quanto viene seguito e accettato da più persone (invece nel civil law la sentenza più vecchia si
sostiene come vecchia e che deve essere modificata).
È un diritto eterno, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, e quindi è voluto da Dio (ha valenza sia il contenuto
formale, che spirituale).

Giustiniano inoltre spedisce questi 4 testi a Ravenna, la capitale dell’Impero d’Occidente, affinché siano promulgati
anche in Occidente -> visione unitaria dell’Impero. Tuttavia il Corpus venne esteso solamente nel territorio che i
Bizantini avevano strappano agli Ostrogoti, in altre parole la penisola italiana.
Il provvedimento con cui dispose questa estensione fu la pragmatica sanctio, che l’Imperatore bizantino dichiara di
avere promulgato <su richiesta di Virgilio>, il vescovo di Roma del tempo, al fine di legittimare la legislazione
giustinianea, e che come secondo fine legittimava la figura del vescovo di Rima come la massima autorità religiosa
dell’Impero occidentale.

Il diritto romano è un diritto universale in quanto l’Imperatore è il massimo potere sulla terra. L’altro potere universale
è il potere della Chiesa, il suo diritto è strutturato in base al potere universale dell’imperatore -> la Chiesa nasce in
modo parallelo e contrapposto all’Impero (riguarda sempre l’uomo).

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DIRITTO CANONICO: L’ALTRO POTERE UNIVERSALE

L’elemento ineliminabile per la comprensione del Medioevo è la figura di Dio, che viene sostenuta nella religione
cristiana, nata nelle periferie dell’Impero Romano da una popolazione ebraica monoteista.

In una prima fase, la religione cristiana è osteggiata/perseguitata perché constatava la deificazione del pensiero
romano, infatti quest’ultimo si era sviluppato attraverso una logica politeistica, dove le divinità erano una comparazione
superlativa delle volontà romane. Grazie a Sam Paolo la Chiesa costruisce un suo percorso, caratterizzato dalle
istituzioni e dalle regole.
La religione greco/romana si differenzia dalla religione cristiana, proprio perché quest’ultima ha una prospettiva
ultraterrena (ogni comportamento dell’individuo era finalizzato alla sua vita ultraterrena); si basava su una rigida
proporzionalità tra cielo e terra.

Successivamente, la Chiesa viene tollerata grazie all’editto di tolleranza di Milano.

Nel corso del tempo la Chiesa capisce che per avere successo tra i fedeli, doveva compararsi all’altro grande potere
universale che era l’Impero, inoltre la religione cristiana predica la salvezza dell’anima, e a tale fine è necessario
osservare dei comportamenti.

La Chiesa si è istituzionalizzata in quanto la religione cristiana e si basa sulla salvezza dell’anima, e a tale fine è
necessario regolare la condotta umana con delle prescrizioni che possano indicare all’uomo la retta via. Pertanto, la
Chiesa si struttura utilizzando il modello giuridico romano.
La Chiesa è composta da una struttura piramidale, al cui vertice si trovava inizialmente una molteplicità di vescovi (il
vescovo di Roma è il primo tra i pari, proprio perché Roma è la capitale dell’Impero), e successivamente al cui
vertice si trovava il Papa (N.B. i cardinali non sono vescovi, sono i più importanti preti delle Chiese di Roma ?).

Il DIRITTO CANONICO si sviluppa in:

➡ due diversi diritti divini, divini poiché la fonte è Dio e quindi non possono essere modificati:
• diritto divino spirituale, ha come contenuto la fede;

• diritto divino terreno: riguarda i rapporti giuridici dei credenti, come i Vangeli che hanno un contenuto
prescrittivo per i credenti e i giuristi;

➡ norme canoniche hanno derivazione umana, quindi possono essere modificate: regolano i rapporti tra le
istituzioni.

Le fonti di produzione del diritto canonico sono:

‣ Fonte di derivazione assembleare: i concili erano la riunione dei vescovi, che poteva essere locale/regionale
(detti sinodi) oppure universale (generalmente erano locali/regionali perché spostarsi era pericolo e difficile).
I concili duravano diversi anni e a questi partecipava inizialmente solo il Vescovo di Roma, e successivamente
anche il Vescovo di Costantinopoli (in seguito alla divisione dell’Impero.
I concili emanavano i canoni (da cui la parola diritto canonico), il quale aveva valore spirituale e/o terreno (es:
matrimonio, prevalenza privatistica in quanto regola i rapporti di famiglia, ma anche spirituale);

‣ Fonte di derivazione singolare: il Vescovo di Roma dato che non poteva sempre convocare i concili, produceva
degli atti normativi, detti decretari.

LE FONTI DEL DIRITTO CANONICO ERANO:

1) il Libro (Bibbia) viene considerato uno strumento di rivelazione divina, canonizzato (irrevocabile e privo di
contraddizioni). Da esso, con una opera di interpretazione, si traggono i principi teologici della fede e le
norme comportamentali a cui i fedeli devono arrendersi. Il Libro, è un indiscutibile e definitivo mezzo di
comunicazione tra Dio e il suo popolo, e le autorevoli interpretazioni della Parola di Dio, sono state date dai
primi padri della Chiesa -> assumono valore normativo tali interpretazioni;

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2) Canoni: prodotti dei concili ecumenici, oppure dai sinodi (a livello territoriale), sono le fonti primarie della
Chiesa, e le relative violazioni implicavano la messa al bando dei disobbedienti attraverso lo strumento delle
scomuniche.

3) Regole monastiche: regole di convivenza dal valore normativo all’interno della comunità. Tra le più
importanti è la “regola benedettina”, che regolava il funzionamento dell’abbazia di Cassino (529 d.C.), in
particolare definiva gli aspetti di condotta religiosa che erano esaltati dall’obbedienza. Inoltre la “regola
benedettina” a influenzato le altre abbazie che sono sorte in tutta l’Europea.

4) Libri penitenziali: sempre nell’ambito delle abbazie si crearono anche i “libri penitenziali”, i quali associavano
ai peccati le relative penitenze da irrogare come espiazione, con una logica “tariffaria” che legava l’onerosità
del castigo, non soltanto alla “oggettiva” gravità della trasgressione, ma anche alla “soggettiva” intenzionalità
di colui che ne era responsabile.

5) Epistole (missive, lettere) dei pontefici: da ricordare Gregorio I, il quale una volta divenuto pontefice
raccolse in un registrum, più di 800 epistole, che costituirono un primo corpus di testi pontefici dotati di
implicito valore normativo.

La Chiesa si basa sul fatto che la Chiesa non ha mai torto, dunque una variazione delle interpretazioni delle disposizioni
è dovuto proprio ad un cambiamento delle circostanze sociali.

L’istituzionalizzazione ha portato alla trasformazione dei principi in una sorta di secondo fine da realizzare (vengono
emanate una serie di regole, fonti per le quali il fine ultimo è il fine superiore, ma il fine secondario è di mantenere
l’apparato creato; la Chiesa elabora una propria struttura, delle proprie regole e giurisdizioni)-> una volta aver creato
una macchina, bisogna anche mantenere la macchina; dunque il Pontefice chiede all’Imperatore una serie di terreni e
beni immateriali per mantenere il proprio apparato.

L’Imperatore non tollera più l’esistenza della Chiesa, poiché il Pontefice richiedeva sempre più poteri, pertanto
l’Imperatore non concedeva terre e quanto richiesto, di conseguenza il Pontefice lo disconosceva; e a sua volta
l’Imperatore nominava nuovi Pontefici.

Nel Medioevo nasce il diritto canonico e (ri)nasce il diritto romano, ma con una differenza fondamentale:

✦ il DIRITTO CANONICO: nasce come diritto applicato, poi si sviluppa come sistema dottrinale (è un corpo
normativo, da cui scaturisce una scienza giuridica); è un diritto “dinamico”, poiché cresce con l’emanazione di
nuove decretali da parte dei pontefici (dal secolo XII) ➔ dalla pratica alla teoria

✦ il DIRITTO ROMANO: nasce nelle Scuole come scienza giuridica, poi entra nella pratica quotidiana e diviene
diritto applicato coordinandosi con i diritti locali; è un diritto “statico”, fissato nei testi giustinianei, che (ri)vive
soltanto grazie all’opera dei giuristi medievali e dei loro continuatori ➔ dalla teoria alla pratica

Le consolidazioni del diritto canonico


A partire del VI secolo d.C. si hanno le CONSOLIDAZIONI, ovvero raccolte dei canoni della Chiesa al fine che non
vengano dimenticati (vecchio ius della Chiesa -> ius vetus), che vengono fatte da privati in base allo loro stessa volontà,
pertanto potevano essere parziali, in quanto era il redattore che ne decideva il contenuto.
Di conseguenza si differenziano dai codici, che sono raccolte sistematizzate, esaustive ed ufficiali (sviluppate da un
soggetto autorizzate a farle e rispettando i procedimenti previsti).

Le consolidazioni più importanti sono:

• Collectio Dionisiana (510 d.C.): prima collezione organica del diritto della Chiesa, contiene: dei testi della Bibbia,
dei testi dei padri della Chiesa (studiosi che nei primi secoli si erano occupati di costruire il pensiero della
Chiesa), molti canoni, qualche decretario -> la maggior parte dei documenti giuridici contenuti in questa
consolidazione derivano dalle assemblee, in quanto la figura del Pontefice è embrionale;

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• Collectio Hispana (inizio 700 d.C.): collezione redatta dal vescovo di Siviglia (Spagna), contenente dei testi fino
all’inizio del 700 tra cui moltissimi canoni conciliari, sia occidentali che orientali, moltissimi decretari, che erano
più dei canoni conciliari -> il ruolo del Pontefice si rafforza;

• Collectio Dionysio-Hadriana: raccolta che parte dal lavoro di Dionisio (collectio Dionisiana) e che viene
completato e innovato dal Papa Adriano 1. La raccolta diventerà celebre perché Papa Adriano 1, la consegna
alle mani di Carlo Magno, e questa raccolta sarà alla base della Chiesa dei Franchi, i quali avranno sempre un
rapporto particolare con il Pontefice -> rimane tuttavia un testo privato, non ufficiale, anche se fatto dal Papa

A partire dal VI secolo d.C. la Chiesa produce più diritto rispetto all’Impero perché: 1) si stava costruendo, e quindi
aveva bisogno di norme che invece l’Impero aveva già; 2) dal corpus iuris di giustinianeo non si è più prodotto diritto
all’interno dell’Impero, in quanto era stato tutto contenuto/prodotto all’interno di quel codice.

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Alto medioevo (476 d.C. - 1100 d.C.)

CAPITOLO 1

LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE

La tradizione scolastica è solita dare FINE ALL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE e dare INIZIO ALL’ETÀ
MEDIEVALE con il 476 d.C., anno in cui l’Imperatore Romolo Augustolo (“Augustolo” simbolo della decadenza del
mondo romano, in quanto era un dispregiativo e mostra la decadenza dei costumi, delle istituzioni e del mondo
giuridico) fu deposto dal generale “barbaro” Odoacre, capo degli esuli.
-> l’Impero romano d’Oriente fu destinato a durare per altri 1000 anni.

Tuttavia, tale data non segna propriamente una frattura tra l’età tardo-antica romana e l’alto medioevo:

1) Da più di un secolo il centro operativo (militare, politico, economico) dell’Impero si era spostato verso
Oriente. Costantino infatti aveva provveduto: 1) ad articolare il comando dell’Impero in due grandi aree,
quella occidentale e quella orientale; 2) costruire una nuova capitale nel sito che era stato la città di Bisanzio
e che verrà ribattezzata “Costantinopoli”.

2) La deposizione di un imperatore da parte di generali germanici non era un fatto inedito e quindi i
contemporanei non lo percepirono come un evento di reale e definitiva rottura. Infatti, lo stesso Odoacre ha
consegnato le insigne imperiali a Zelone, Imperatore d’Oriente, in segno di formale deferenza (il generale
barbaro non si sentiva di diventare Imperatore e di rappresentare la Chiesa proprio perché era barbaro); a tale
gesto l’Imperatore rispose conferendo a Odoacre il titolo nobiliare di patritius (patrizio).

Con la presa di potere di Odoacre, non ci fu l’ascesa di un nuovo imperatore a Roma fino a Giustiniano, anzi i territori
occidentali verranno governati da Costantinopoli (Impero romano d’Oriente).

Dal momento della caduta di Roma, Costantinopoli ebbe una inarrestabile ascesa economica e politica, sopratutto
grazie a Giustiniano, il quale oltre ad emanare il Corpus iuris civlis, fu il protagonista di una imponente strategia militare
finalizzata alla ricomposizione dell’unità dell’Impero romano, culminata con la guerra gotica, che oppose l’Impero
bizantino agli ostrogoti, i quali si erano da tempo stabilizzati in Italia, creandovi un regno autonomo.

In seguito alla vittoria di Giustiniano della guerra gotica, l’Imperatore riunì per qualche tempo le due aree dell’Impero, e
in particolare l’Italia venne amministrata con cura.
Il territorio italico venne suddiviso in aree amministrative, facenti tutte a capo della capitale Ravenna, situata al centro
di un’area geo-politica detta Esarcato. A Ravenna risiedeva il rappresentante diretto dell’Imperatore, denominato
esarca, capo militare e politico dotato di una propria burocrazia, ed era anche titolare dell’ultima istanza della giustizia
civile e penale.
L’organizzazione Italia era complessa, articolata e molto problematica: 1) ROMA: in preda di aristocrazie locali costituite
dalla classe senatoria e latifondista; ed era la sede di un vescovo dotato di grande prestigio, anche se non si trattava
ancora di un’autorità incontrastata -> assumeva sempre più potere perché non c’era più l’Imperatore di Roma ; 2) ENTI
ECCLESIASTICI: che esercitavano forme di autorevolezza religiosa e che stava acquisendo porzioni sempre più ampie
di territorio.

l’Italia bizantina poteva vantare una robusta struttura istituzionale sostenuta dall’Impero d’Oriente, ma restava
comunque una realtà fragile e non uniforme, sopratutto dopo il 568, quando penetrarono in Italia i Longobardi, si aprì
una lunga fase di instabilità e di violenta mutazione -> vero inizio del Medioevo.

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IL MEDIOEVO

Nel medioevo, i giuristi svolgevano il ruolo fondamentale del diritto, infatti tramite la loro capacità interpretativa,
potevano studiare come applicare la norma generale e astratta a casi particolari e concreti.

Il giurista studia i due diritti universali (romano e canonico), tuttavia applica solamente i diritti particolari (che
hanno ad oggetto le stesse cose e come soggetti le stesse persone). Il diritto romano e canonico sono i diritti generali
che prevedono tutti gli aspetti generali dei diritti particolari.

I diritti germanici
Tutti i popoli germanici manifestavano dei tratti comuni:

➡ MANCANZA DI UN POTERE STATALE: Il Re era un soggetto che guidava le popolazioni germaniche in guerra,
aveva funzioni di leadership solo in guerra; mentre nei momenti di pace, il monarca non era un produttore
normativo, ma era il conservatore e il garante delle consuetudini.
Al contrario del Re che produce le norme, il quale è più autorevole grazie alla sua decisione; il Re che custodisce
le consuetudini, è una sorta di arbitro, il quale decide quale consuetudine deve essere applicata per risolvere un
caso.
Il Re medievale era un soggetto passivo al diritto, in quanto non produceva diritto ed era il custode della
conoscenza giuridica, era il primo tra pari.

➡ NOMADISMO: le popolazioni barbare erano nomadi, pertanto consideravano innaturale individuare l’ambito di
Vicenza delle regole sulla base del territorio di stanziamento (principio di territorialità del diritto), di conseguenza
adottano il principio di personalità del diritto, secondo il quale l’apparenza al gruppo definiva l’adesione al
diritto di quel gruppo.
La personalità del diritto sussume: 1) il diritto si sposta assieme alla persona nei diversi territori; 2) su una stessa
area geografica potevano esistere molteplici popolazioni con un proprio diritto, di conseguenza si ha un
pluralismo giuridico.
Quando le popolazioni si stanziano, sorge il problema della convivenza con le altre popolazioni che hanno un
diritto diverso. Possiamo ricordare che le popolazioni germaniche erano molto forti nelle armi, ma meno
strutturati dal punto di vista giuridico, di conseguenza temevano il confronto con la cultura giuridica romana. Di
conseguenza, inizialmente il principio di personalità del diritto era preservato per difendere la cultura barbara
rispetto a quella romana, successivamente, una volta che i rapporti tra le popolazioni barbare e quelle romane si
furono rafforzati, venne creato l’istituto della professio iuris, ovvero i due mondi giuridici erano separati,
pertanto prima di uno specifico rapporto giuridico che doveva essere posto in essere, le due parti dovevano
decidere quale diritto si doveva applicare a tale rapporto giuridico -> di volta in volta, le parti dovevano decidere
quale diritto delle due parti doveva essere applicato a quel rapporto. Le due parti mantenevano la propria
personalità giuridica derivante dalla rispettiva società (es: matrimonio tra due persone appartenenti a famiglie
diverse, una romana e una barbara, si decide che a tale matrimonio verrà applicato il diritto romano) -> l’istituto
professio iuris salva la personalità del diritto, e salva la presenza di numerosi diritti sulla stessa area geografica.

➡ PROPENSIONE MILITARE E ALLA CONQUISTA: L’organizzazione delle popolazioni romano-barbariche è


semplice, distante dal mondo romano: la società si fondava sulla guerra, che poteva essere combattuta solo
da maschi, e la maggiore età dipendeva dalla capacità di combattere (emancipatio con l’entrata in guerra a
12-13 anni, quindi si può avere una famiglia che rimane collegata con la famiglia di mio padre, che è collegata al
capo stipite).

➡ RILEVANZA DEL GRUPPO PIUTTOSTO DEL SINGOLO: La società era principalmente di tipo agnatizio,
ovvero era costituita da famiglie allargate, che avevano discendenza da un antenato comune, tuttavia all’interno
del gruppo potevano far parte anche persone legate da relazioni di affinità, tutela e di amicizia.
L’intero gruppo era rappresentato dal capo-famiglia.
Il singolo, quando emergeva con identità giuridica definita, è l’uomo libero e atto al combattimento. Nella
società non esisteva una dimensione pubblicistica dello Stato, quanto più una gestione collettiva attraverso
l’assemblea degli uomini in armi, per assumere le decisioni più importanti.

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All’interno della famiglia la donna non poteva compiere atti giuridici, seppur era la donna a portare avanti la vita
famigliare, grazie alla possibilità di procreare figli che potevano andare in guerra.

‣ Nel Medioevo, non esisteva la titolarità esclusiva di un bene (no singola proprietà privata), in quanto la
proprietà di un bene apparteneva all’intera collettività. Nel medioevo si aveva una visione di co-proprietà,
ovvero tutti i beni appartenevano all’intera famiglia, di conseguenza a ciascun membro della famiglia poteva
essere attribuita una facoltà, ma non la possibilità di disporre in via esclusiva del bene (es: su un fondo,
soggetto A poteva piantare, soggetto B poteva cacciare..) -> il pater della famiglia, non poteva decidere da
solo proprio perché i beni appartenevano a tutta la famiglia. Questo sistema presuppone che il pater famiglia
sia il referente della famiglia, ma che si deve muovere in un ordine sociale preordinato (l’ordine della famiglia
era stabilito da Dio, convertite al cristianesimo con lo stanziamento).

‣ Dato che non esisteva la titolarità esclusiva di un bene, non poteva esistere il testamento e l’eredità, in
quanto era ammessa la sola successione legittima (meccanismo naturale di passaggio dei beni all’interno
della famiglia).
Inoltre l’ordine della famiglia era stabilito da Dio, di conseguenza il testamento che permette al soggetto
concedente di scegliere un soggetto succeda nella proprietà dei beni, potrebbe essere una volontà che non
corrisponde a quella di Dio (quando le popolazioni si stanziano, si convertono al cristianesimo).
Scompare anche l’istituto dell’adozione, proprio perché verrebbe rotto l’ordine preordinato stabilito da Dio.

➡ COLLETTIVIZZAZIONE DEL COMPORTAMENTO E CENTRALITÀ DELLA VENDETTA (discontinuità col


mondo romano e bizantino): l’intero gruppo era rappresentato dal rispettivo capo-famiglia, al quale venivano
riferiti tutti i rapporti giuridici ed economici -> collettivizzazione del comportamento.
Quindi in epoca barbarica non si distingue tra illecito civile (es: mancato pagamento di un debito) o penale (es_
lesione personale): tutti i comportamenti sono considerati uguali, ovvero sono un rapporto collettivo tra un
gruppo di persone (famiglia) e un altro gruppo (famiglia).
Le controversie tra gruppi di famiglia venivano considerate come guerre -> non c’era una differenza fra
comportamenti interni (tra soggetti privati facenti parte della stessa cultura con cui si aveva una controversia,
inimicus) o esterni (popolazione romana o altre erano considerate nemici pubblici, ostis) -> tutti i gruppi di
famiglia che violavano la pace erano considerati nemici pubblici, quindi dovevano essere banditi/allontanati
come se fossero bestie feroci.
Di conseguenza, le offese legittimavano la reazione dell’offeso, attraverso lo strumento della vendetta, che
spesso assumeva valenza collettiva, coinvolgendo la famiglia o il gruppo di appartenenza della vittima in una
ritorsione contro la famiglia o il gruppo dell’offensore -> si aveva la faida: risposta violenta del capostipite della
famiglia che aveva subito l’offesa, contro il capostipite del gruppo che aveva commesso l’illecito (non c’era un
soggetto terzo che risolve la controversia). Il capostipite doveva porre in essere la faida per due motivi: 1) la faida
andava in prescrizione (logica meta-giuridica: il diritto doveva essere richiesto perché è stato ambito l’onore); 2)
per una questione di onore, sanare l’ingiustizia.
Inizialmente, le forme rituali della vendetta erano basate su una visione eroica, di onore; con la conversione al
cristianesimo le forme rituali della vendetta erano quelle della ordalia, il “giudizio di Dio”, nella convinzione che
la divinità avrebbe consentito l’individuazione certa del colpevole e dell’innocente, essa poteva consistere in
prove di dolore o resistenza, ma più spesso assumeva la modalità tipica del duello cavalleresco.
Tuttavia la pratica della faida comportava durature inamicizie, di conseguenza venne più comunemente utilizzata
la composizione pecuniaria (guidrigildo), il pagamento di un certo valore in denaro o beni a carico
dell’offensore e a favore della vittima o della sua famiglia (moneta riacquista valore dopo la caduta di Roma). La
compositio era basata sulla logica della diseguaglianza, dove ciascuno aveva un proprio valore, c’era all’interno
della comunità una scala sociale -> chi compie l’atto (i crimini commessi dalla donna sono meno gravi), chi ha
subito l’atto (che rango investiva la persona ferita all’interno della famiglia) -> casistica particolare e concreta.

La disputa giuridica (faida) si apriva con una domanda all’interno della quale, il soggetto che vantava il diritto,
sfidava un soggetto dell’altra famiglia, in una logica di vendetta (sia il Re, che le altre famiglie, non potevano
intervenire, ma dovevano osservavano l’avvenimento come testimoni).

‣ Se la famiglia che aveva messo in atto l’offesa riconosceva l’accaduto, si arrivava a un trattato di pace, con
il quale si stabilivano una serie di composizioni pecuniarie, cioè delle previsioni pecuniarie con le quali si
risarcivano i debiti/ingiustizie che si erano create;

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‣ Se non si arrivava a concludere un trattato di pace, o se la famiglia non riconosceva l’accaduto, si aveva una
disputa cavalleresca (bellum iudiciale) tra soggetti di pari rango che non avevano innescato tale disputa.

Le faide non si creavano all’interno del gruppo, in quanto le famiglie risolvevano le questioni internamente
perché non c’era una logica individuale, ma collettiva. (faida era metodo ordinario di risoluzione del conflitto, il
duello sottostava a una visione eroica, di onore; nel tempo si affiancherà anche la visione divina grazie alla
conversione al cristianesimo).

➡ ASSENZA DI UNA CULTURA SCRITTA: la fonte più importante del medioevo è la consuetudine, che non
viene studiata e applicata da giuristi, ma è una consuetudine di stampo pratico che si sviluppa da notai e giudici
(fonte impirica/concreta, che viene sentita dall’intera collettività e quindi viene sentita sempre come corretta,
al contrario della legge che può essere applicata o violata, considerata giusta o ingiusta).
La consuetudine è costituita da una percezione della giustizia, in quanto viene osservata dall’intera collettività, e
quindi viene ripetuta in modo costante e uniforme nel tempo fino a considerarla vincolata.
Successivamente le consuetudini verranno trascritte, tuttavia rimarranno sempre fonti orali, in quanto la
scrittura permette solamente la conoscenza e la certezza del diritto (vedi p. 39-40).
Le popolazioni barbariche adotteranno il Codice Teodosiano, facile di lingua e di contenuti, e non il Corpus iuris
civilis di Giustiniano.

Nel medioevo non veniva studiato il diritto, c’era semplicemente una applicazione pratica.
Nell’alto medioevo (476-1100) non si hanno scuole giuridiche, il diritto verrà studiato in maniera marginale nelle
arti filosofiche -> il diritto interessa solo dal punto di vista pratico -> società povera che non ha bisogno di diritto.

Infatti il mondo medievale non conosce l’astrattezza dei contratti, ma la loro realità -> veniva usato
solamente il contratto reale: il contratto reale è perfezionato quando si consegnano materialmente i beni,
ovvero quando l’oggetto entra nella disponibilità dell’altro soggetto, e solo all’ora il contratto è perfezionato;
di conseguenza non esisteva il contratto consensuale, il contratto non si riteneva perfezionato solo con la
volontà consensuale delle parti.
Necessaria differenza tra contratto consensuale e reale: si basa sull’individuazione della responsabilità, infatti
nel contratto reale, la responsabilità è a carico di chi consegna il bene all’acquirente, fino a quando non glie
lo consegna; mentre nel contratto consensuale, la responsabilità ricade su colui che acquista il bene. -> nel
diritto attuale ci sono sia elementi romani che barbarici.
Le consuetudini dell’anello e della dote nel matrimonio sono di origine barbarica (realità del contratto).

DIVERSA è la struttura tra il diritto romano ed il diritto germanico, in cui:


- le dispute ! composizione pecuniaria o faida;
- l’organizzazione della famiglia ! di tipo agnatizio, con tutela dei soggetti deboli;
- le successioni ! no testamento;
- ed il contratto ! prestazione immediata o particolare forma.

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LE POPOLAZIONI BARBARICHE

Nel corso del tempo le popolazioni barbariche si installano stabilmente in un certo territorio, rendendo inadeguati
i tradizionali meccanismi di convivenza autosufficiente e di conquista normadica, infatti giungono a dotarsi di un testo
giuridico scritto, nel quale raccolgono il contenuto delle proprie consuetudini.
È un passaggio decisivo perché:

1) consente di superare la fluidità del proprio patrimonio consuetudinario, fornendo grazie alla forma scritta,
relativa certezza e organicità al diritto -> lingua romanza: connubio della lingua latina e la lingua delle
popolazioni barbariche.

2) produce o accelera l’integrazione con le altre culture presenti nel territorio di stanziamento o di conquista
(specialmente con la cultura latina) -> le popolazioni romano-barbariche;

3) consolida un processo di gerarchizzazione del potere e di esaltazione della regalità, la quale, pur non
perdendo completamente il carattere della mera guida militare, assume progressivamente il ruolo di garante
dell’osservanza delle regole e dei suoi meccanismi di applicazione (ius dicere). Ricorda: il diritto era prodotto
grazie alla consuetudine, particolarismo di casistica.
Il Re ha una cerchia di notabili, appartenenti alle famiglie già importanti, che si riunisce nel “Parlamento”, anche
detto “assemblea degli uomini liberi”, per assumere decisioni per le più importanti questioni (es: guerra), sono i
veri esercenti della sovranità, dato che il Re aveva solo la funzione di garante.
La nozione di “Parlamento” e “assemblea”, non corrispondono al significato attribuitegli dalle modernità, proprio
perché manca la percezione della democrazia e della rappresentanza -> vincolo di mandato senza discrezione:
colui che andava in assemblea poteva vincolare la propria gens, solo per il mandato da esso ricevuto.
Nel Parlamento medievale le scelte non vengono prese a maggioranza.

Come già detto, le faide diventano più difficili in seguito allo stanziamento delle popolazioni barbariche, per questo
viene sostituita dalla procedura della compositio.

Dal ‘700 fino al 1050 non avremo citazioni di diritto romano, perché le situazioni giuridiche romane non erano
necessarie e nemmeno utili all’interno della società medievale, che era basata su profili rurali, e dunque chiusa. Infatti
l’Alto medioevo (476-1100) è caratterizzato dalla figura del castello, che definisce la chiusa con l’esterno (il diritto non
veniva nemmeno studiato, perché era una scienza autonoma); mentre il Basso medioevo (1100-1789) è caratterizzato
dalla città, che rappresenta una tendenziale apertura.

ESEMPI DI LEGISLAZIONE SCRITTA DELLE POPOLAZIONI ROMANO-BARBARICHE:

Le popolazioni dei BURGUNDI e dei VISIGOTI ci hanno lasciato numerose testimonianze del passato, infatti conosciamo
di entrambi due compilazioni (fonti di cognizione). Entrambe le popolazioni conoscevano una raccolta di consuetudini
che riguardava esclusivamente i rapporti tra i membri della società barbarica (Lex Whisogothorum, Lex Burgundionum);
e una raccolta di consuetudini che regolava i rapporti tra i membri della società barbarica e la società romana (Lex
Romana Wisogothorum, Lex Romana Burgundionum).

Precisazione in riferimento alla lex Wisogothorum: la raccolta fatta dai visigoti, per la popolazione dei visigoti, ad una
lettura superficiale sembra di vigenza territoriale, quindi non sembra che non si usasse la personalità del diritto; tuttavia
studi più approfonditi hanno fatto emergere che nell’area in cui i Visigoti si erano stanziati (zona iberica), la presenza di
altre etnie era pressoché inesistente, in quanto avevano eliminato tutte le popolazioni, pertanto la raccolta era
comunque basata sulla personalità del diritto.

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I Longobardi
I LONGOBARDI, erano un’etnia che proveniva dalla Pannonia, e si era stanziata nella Pianura Padana a partire
dell’invasione del Friuli (569), grazie al RE ALBOINO.
Alboino ha invaso i territori “italiani” con armate, comandate da diversi duces, che erano composte, da unità a base
familiare di tipo agnatizio, scelte dal dux ! nascono ducati autonomi, che erano territori collettivi attribuiti ad una
certa famiglia (es: Ducato di Spoleto e Ducato di Benevento), in cui non vi era predisposizione all’obbedienza ad un re,
tanto che, dopo l’assassinio di Clefi, per dieci anni non ne vengono eletti altri.
Inoltre, accanto al territorio del ducato, si formarono le corti ducali, e attorno a queste si formarono le corti regie, ossia
quei territori che venivano attribuiti al soggetto che aveva più importanza all’interno della famiglia, il quale era il Re.
-> il germanismo era antagonista, dal pinto di vista giuridico, alla cultura latina (l’Italia bizantina era una realtà fragile e
frammentata, dopo la penetrazione dei longobardi iniziò il Medioevo italiano).

In seguito RE AUTARI creò la struttura di regnum germanico, assumendo il titolo di Flavius -> lo stanziamento
comportò che il titolo di Re, che era determinante solo in guerra, divenne un potere ereditario, inoltre ci fu un’influenza
latina per il titolo di Flavius.
Quindi i longobardi procedettero alla stabilizzazione ereditaria della guida regia (il Re rimaneva comunque primus inter
partes), e dotata di un ampio patrimonio fondiario, consistente nella metà delle sostanza stesse di cui i duchi si erano
appropriati con le conquiste (ricorda: l’organizzazione territoriale era debole, perché frammentata in tante realtà).

Col regno di RE ROTARI si ebbe una svolta, ovvero la messa per iscritto delle tradizionali consuetudini popolari.
L’Editto di Rotari (643), approvato a Pavia davanti al popolo in armi, è considerato come l’editto più completo delle
popolazioni barbariche, ed era composto da 388 capitoli, ed era una raccolta disorganica, sistematica e particolare,
scritta in latino (grande rispetto che i longobardi avevano nei loro confronti), delle consuetudini e delle decisioni
sovrane. In particolare rappresenta:

1) l’intento di preservare le consuetudini, secondo il principio di “personalità del diritto”, che le vedrebbe
applicabili solo al popolo di appartenenza (cerca di limitare il processo di integrazione con la popolazione latina
soggetta).

2) l’obiettivo di “rinnovare”, “correggere” e “emandare” le consuetudini longobarde;

3) Valorizzazione della regalità, della centralità del rex e il suo apparato di funzionari: vengono sottolineate le
prerogative che ampliano i poteri di guida militare e di eccellenza patrimoniale del Re.

Nell’Editto di Rotari ci sono numerose consuetudini, che vengono in parte utilizzate anche al giorno d’oggi: uso di
scambi patrimoniali in occasione delle nozze; garanzia in forma di pegno offerta dal debitore sui propri beni.
STRUTTURA E MATERIE dell’Editto di Rotari:

• reati politici: tariffari minuziosi che hanno evitato discriminazioni e diseguaglianze; ricordiamo la figura del
guadrigildo, che era il prezzo della persona in riferimento al suo status sociale (la donna non ha guadrigildo perché
non può combattere, quindi era soggetta al mundio, al quale non erano soggetti i minorenni, quindi il mundio era
diverso dalla patria potestas italiana);

• reati contro le persone

• reati contro le cose

• diritto di famiglia e di successione, compresi i reati contro il matrimonio: il matrimonio per i longobardi aveva
grande valenza economica. Infatti prevedeva una fase preliminare, con gli sponsali, con i quali si decidevano gli
assetti patrimoniali, compreso eventualmente il mundio, e le parti si obbligavano alle nozze (in caso di mancato
matrimonio, lo sposo doveva pagare i penali, mentre la sposa veniva sanzionata con l’accusa di adulterio). Il
matrimonio si perfezionava con la traditio della donna, che si aveva tramite lo scambio degli anelli.
Inoltre la donna portava nella sua nuova casa alcuni beni dati da suo padre o da suo fratello (detti faderfio, cose
mobili, vestiti o utensili), a volte riceveva denaro o parte della sostanza paterna.
Il mundio sulla donna si acquisiva con una somma di denaro.
Il matrimonio si poteva sciogliere, in un primo momento, solo su volere del marito.
Non si aveva testamento, ma solo successione legittima.

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La procedura della comprensione della maggiore età si chiama inspectio corporis, una valutazione per considerare
se la persona era attua a combattere. Con la maggiore età vi è il mundium, ossia la potestà maschile sulla donna,
sugli schiavi e sui prigionieri di guerra.

• diritti reali: si ha proprietà collettiva familiare, che si poteva frantumare in tante potestà, aveva importanza il
rapporto materiale e non l’animus;

• obbligazioni:
- incapacità all’astrazione, guarda alle situazioni di fatto;
- elemento dell’esteriorità, della materialità, no elemento spirituale;
- ricco di simbolismo (esprime volontà) -> aticipità: non esistono modelli

• reati minori e danneggiamenti:

• capitoli in materia processuale:

• capitoli su varie materie che potrebbero essere frutto di un’integrazione posteriore legata ad omissioni o
correzioni di capitoli precedenti:

Inoltre, ricordiamo che nell’Edictum, erano previsti alcuni gravi delitti capaci di incarnare la “pace” tutelata dal Re, i quali
venivano definiti crimini di lesa maestà, ed erano quindi puniti con la morte, senza alcuna possibilità di composizione
privata.
Alcuni sostengono che l’Editto di Rotari sia frutto della richiesta popolare, in quanto stanco delle violenze e delle
eccessive tassazioni.
I destinatari dell’Editto di Rotari furono:
- sono la popolazione longobarda (fino al VII, con Rotari e Grimoaldo);
- tutti i sudditi indistintamente

RE LIUTPRANDO (712- 774) decise la conversione al cristianesimo, ponendosi come difensore della Chiesa e del
vescovo di Roma, abbandonando l’originario orientamento religioso dei longobardi (arianesimo, dichiarato eretico dal
Concilio di Nicea). Re Liutprando si definì principe cattolico: si impegnò a tutelare il patrimonio giuridico tradizione e
l’editto di Rotari, operando secondo la lex Dei, cassando o modificando le antiche norme, o creandone di nuove (es:
manumissione del servo davanti all’altare; la valorizzazione del consenso della donna al matrimonio con l’accettazione
dell’anello) -> tuttavia il duello non venne cassato, poiché emergeva come forma di giustizia irrinunciabile per gli
ambienti di élite militare longobarda.
Inoltre la critianizzazione creò l’aspirazione di ampliare le conquiste territoriali, pertanto nel 752 i longobardi
conquistarono Ravenna.
All’interno del regno non vi era una logica territoriale, ma una serie di città importanti (tra queste vi era Pavia, la quale
era considerata la Capitale del Regno longobardo, in quanto il Re vi risiedeva).

Si afferma il processo accusatorio: il modello in cui il giudice, veste la forma di arbitro, in quanto le parti di una
controversia si sfidano a duello, e il giudice deve controllare che tutto si svolga in maniera regolare (stampo
anglosassone). Non si distingueva tra processo penale o civile, si aveva un processo unico in epoca barbara. Il
procedimento era orale e pubblico, anche se era presente del formalismo religioso.
≠ processo inquisitorio: il giudice deve giudicare le parti, le quali devono portare una serie di elementi a prova delle
proprie convinzioni. Il giudice mena una sentenza, che è basata sulle motivazioni, ovvero i ragionamenti logici utilizzati
dal giudice per risolvere il caso (oggi i processi inquisitori possono essere rivalutati, tramite la contestazione del
giudice).
Il processo accusatorio era anche chiamato iudico dei, processo divino, Dio non potrà mai permettere che vinca colui
che ha torto.
Dal punto di vista processuale all’interno della disputa, il convenuto, può difendersi, e la sua difesa viene chiamata
purgazione (! ossia portare la prova contraria). Grazie a Liutprando, si introducono le prove per testimonianza e i
giuramenti contestativi (il giuramento ha un valore trascendente, non giuro solo davanti agli uomini, ma anche davanti a
Dio). Se la persona spergiura crea un crimine davanti al quale non c’è perdono divino.

Successivamente, l’eccessiva espansione dei Longobardi nei territori dell’Italia centrale, preoccupò la Chiesa la quale
chiese ai Franchi, guidati da Carlo Magno, di proteggere i propri territori -> Carlo Magno conquisterà la corona del
Longobardi e i rispettivi territori, tranne i ducati di Benevento e Spoleto.

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I Franchi
I FRANCHI erano una popolazione barbarica che si era stanziata nel territorio che oggi costituisce la Francia, attorno al
V secolo. Il centro del potere del Regno dei Franchi, era l’Île de la Cité: l’isola al centro della Senna.

I Franchi erano la popolazione barbarica con la quale la Chiesa strinse un forte legame, questo perché Pipino il Breve,
figlio di Carlo Martello, nel 732 d.C. a Poitiers aveva sconfitto gli arabi, i quali stavano salendo lo stretto di Gibilterra
verso la Spagna per conquistare l’Europa.
Il Pontefice vide nella dinastia che aveva sconfitto gli arabi, la dinastia più vicina alla Chiesa -> Pipino il Breve si
convertì al cristianesimo, dando inizio alla dinastia dei Carolingi. Nel 753 d.C. il Papa battezza i due figli di Pipino
(Carlo e Carlo Magno) nella chiesa di Saint-Denis.
Il suggello tra Chiesa e Francia è la promissio carisiaca (754), un patto in cui il Papa legittimava il Re dei Franchi, in
cambio, Pipino il Breve e i successivi Re dei Franchi, si dovevano proteggere la Chiesa e tutti i successori di San Pietro
(nel 774 la Chiesa chiede aiuto a Carlo Magno per sconfiggere i Longobardi -> Regno dei Franchi in Italia, si istituisce il
potere temporale della Chiesa).

Viene istituito il potere temporale della Chiesa grazie al tema della falsificazione: vengono falsati i documenti a
determinati fini, i quali legittimano determinate situazioni (nel periodo medievale si riteneva un documento falsato come
legittimo, perché la sua falsità era riconoscibile solamente con lo studio della lingua, ovvero verificando a quale secolo
apparteneva il linguaggio usato nel documento -> nel Medioevo, non era usata molto la lingua quindi si diffusero molto i
documenti falsificati -> in più i documenti e i principi più antichi erano quelli che esprimevano verità più certe, in quanto
sostenute dalla collettività nel corso degli anni -logica sostenuta ancora nei paesi di Common law con precedente
giurisprudenziale-).
La “donazione di Costantino” era un documento che stabiliva un principio storico fondato nel tempo, in quanto
risaliva a Costantino. Tale documento riconosceva il fatto che l’Imperatore Costantino aveva donato dei territori
(principalmente italiani) alla Chiesa, costituendo così il patrimonio di San Pietro, sul quale si impose per la prima
volta il potere temporale della Chiesa -> Il patrimonio di San Pietro era giustificato dal fatto che la Chiesa doveva
avere un patrimonio terreno per svolgere le proprie finalità, volte alla salvezza dell’anima -> i franchi, oltre a
conquistare i territori dei longobardi, dovettero cedere i territori conquistati alla Chiesa (in più i templari furono
eliminati dai francesi, in quanto erano monaci che erano più ricchi della Chiesa stessa).
La Chiesa ora ha potere spirituale e ora temporale, l’Imperatore ha competenza temporale e ora spirituale (non ci
sono sfere di competenza).

A Roma, nella notte di Natale dell’800, il Papa Leone III incorona Carlo Magno imperatore del Sacro Romano
Impero (non si aveva un imperatore in occidente dalla caduta dell’Impero romano d’occidente del 476 d.C. ->
Renovatio Imperii); tale cerimonia era caratterizzata da un forte simbolismo. Questa investitura mette in discussione
l’affermazione di Gelasio I -> il Pontefice incorona Carlo Magno, quindi il Papa ha potere superiore all’Imperatore.
La cerimonia dell’investitura per il Pontefice era un atto pubblicistico, un ritorno ai fasti dell’Impero romano; mentre per
Carlo Magno era un atto privatistico, tipico della logica medievale, che lui sceglie di subire per avere più potere
(l’Imperatore Carlo Magno non è un essere divino).
Da ricordare: “Impero”, tipico del periodo romano, si basa sulla volontà suprema ed unica dell’Imperatore, che è svincolata
a quella dei sudditi, e che dipende ed è derivante da Dio (perciò la volontà dell’Imperatore è sacra) ≠ “Regno”, tipico dei
popoli germanici, si basa sull’autonomia dei suoi membri, e la volontà del regno è la somma di volontà dei sudditi.

Questa incoronazione non era appoggiata dall’Imperatore d’Oriente, che continuando con la successione legittima al
trono, non vide di buon occhio un’altro potere imperale uguale al suo, anche se gestiva l’ex parte dell’Impero Romano
-> guerra tra Franchi e Bizantini -> 811-815 Pace ad Aquisgrana: pace stipulata tra Franchi (Impero romano
d’occidente, tradizione romano-barbarica) e Bizantini (Impero romano d’oriente, tradizione romana) la sostanziale
divisione tra impero romano d’occidente (tradizione romana-barbarica; i quali ebbero riconosciuto l’esistenza di 2
Imperi distinti, e l’Imperatore d’Oriente era il solo imperatore dei Romani (anche se la Chiesa voleva riunire l’Europa).

Nel 843 ci fu il trattato di Verdun, il quale pose fine ad una lotta tra i figli di Ludovico il Pio, successore di Carlo Magno,
definendo la divisione dei territori dell’Impero romano d’Occidente -> il Sacro Romano Impero, istituzione politica che
la Chiesa aveva promosso attraverso l’idea della traslatio Imperii o Renovatio Imperii (il passaggio dall’Impero romano a
quello carolingio), si estinse. Nel X secolo, la corona riconosciuta ai Franchi dalla Chiesa, venne trasferita alla dinastia
tedesca -> il duca di Sassonia, Ottone I, fu incoronato Imperatore nel 962 dal Papa. La corona dell’Impero romano
d’Occidente appartenne alla Germania fino al 1918.

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Organizzazione dei Franchi


La dinastia dei Carolingi era caratterizzata da una potente espansione territoriale a danno di altri regni barbarici (nella
Francia Meridionale, in Germania, in Italia), e dall’esercizio del tradizionale ruolo di comando tipico dei popoli germanici
a forte vocazione militare, ma che venne esercitato secondo nuove modalità.

I Franchi con Carlo magno conquistano tutta l’Europa, nel IX secolo si aveva un Impero da Portogallo all’attuale
Polonia-Ungheria, il quale, essendo così vasto, fece sorgere il problema della gestione del territorio, che venne risolto
nei seguenti metodi:

1) Carlo Magno si spostava continuamente nel suo Impero, portando con sé la Corte, al fine di far sentire la sua
presenza. La corte esercitava un potere misto, tra esecutivo e giurisdizionale (non legislativo poiché esistevano
soltanto consuetudini).
Nello spostarsi, Carlo Magno costituì un’insieme di uomini di fiducia, chiamati “conti”, che gestivano il territorio
periferico, dette “contee”, e se di confine dette “marche”. I conti avevano un potere definito bannum (signoria
fondiaria), il quale era potere giuridico misto, tra esecutivo e giurisdizionale (non legislativo), che poteva
esercitare sugli uomini liberi esistenti su quel territorio (es: poteva punire e comandare). Il potere giurisdizionale
del conte era chiamata iustitia dominica.
Tra il Conte e l’Imperatore si creava un contratto personale, nel quale l’Imperatore concedeva il territorio e il
potere bannum, in cambio del giuramento del Conte, di fornire prestazioni militari (intervenire militarmente per
tutelare l’Imperatore) e pecuniarie (versare a quest’ultimo dei tributi).
I TERRITORI SIGNORILI:
La curtis era l’unità abitativa principale del titolare della stessa, a cui era direttamente collegato dal punto di vista
fisico-spaziale, un territorio coltivabile. Il territorio coltivabile era gestito dagli schiavi e dai coltivatori, liberi o
semi-liberi, ai quali non spettava nessuna parte del raccolto.
La pars dominica (parte signorile) era composta dalla curtis e dal territorio coltivabile.
Pars massaricia o pars tributaria: era un territorio diviso in più unità rurali, non necessariamente confinanti tra loro
e nemmeno con la curtis da cui dipendono, il quale era soggetto a tributi. Le unità rurali erano affidate alla cura
di coltivatori liberi o semi-liberi, che si approvvigionavano solo di una parte del prodotto, mentre il resto andava
consegnato al dominus.
I pascoli e i boschi inseriti nella riserva domenicale erano di uso libero.

2) Missi dominici (emissari regi): erano soggetti di fiducia di Carlo Magno, i quali venivano inviati in tutto il
territorio dell’Impero, al fine di sviluppare una serie di poteri, sostanzialmente analoghi a quelli dell’Imperatore
stesso -> eventuale concorrenza dei missi dominici con i Conti, nel loro rispettivo territorio.
Principalmente, i missi dominici erano inviati nei territori decentrati al fine di attuare le direttive del Re, non
sempre recepite dai conti locali, i quali godevano di una grande autonomia.
I missi dominici spesso svolgevano funzioni giurisdizionali, e il loro intervento era spesso legato al poter
riformulare, le eventuali sentenze già emesse (sentenze di appello).
DIFFERENZA TRA APPELLO MEDIOEVALE (l’appello medioevale era emanato o dal misso Domenico o
dall’Imperatore e si basavano sulla grazia, revisione delle sentenze considerate ingiuste, secondo una prospettiva
sostanziale, non formale (come oggi) -> es: una persona veniva condannata, ma aveva 3 figli, e se questa persona
veniva esiliata o uccisa, la comunità doveva mantenere i 3 figli, quindi si commutava la pena a seconda di esigenze
sostanziali; E MODERNO (oggi, è basato sulla motivazione di una sentenza di primo grado, il giudice di secondo
grado riprende il caso sulla motivazione della sentenza o di qualsiasi provvedimento, bastata sul formalismo).

Il sistema carolingio era quindi basato sul feudo (vedi dopo), e in particolare, i soggetti si assoggettavano ad altri, per
avere pace contro la violenza altrui, e protezione per soddisfare i bisogni primari della vita.
Il feudo venne utilizzato nell’Impero carolingio poiché c’era instabilità politica e debole sudditanza, dovute a:

1) Guerre civili tra i figli del sovrano per ereditare il Regno (es: Pace di Verdun);

2) Guerre tra franchi e longobardi;

3) Presenza degli arabi;

4) Aristocrazie (grandi proprietari terrieri e conti).

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SISTEMA FEUDALE CAROLINGIO:


Pro: rafforzò le deleghe di potere locale (Conti-Marchesi), per gestire al meglio il territorio;
Contro: degenerazione del potere, dovuto al fatto che i signori terrieri non obbedivano al Re -> acquistano sempre più
autonomia.

Con i Carloingi ci fu una commistione tra potere politico laico e potere religioso, infatti si ebbe la Renovatio imperii, una
corrente spirituale che portava l’idea della ricostruzione dell’Impero romano d’Occidente; la quale era fortemente
sostenuta dalla Chiesa -> Carlo Magno viene nominato Imperatore da Papa Leone III.
I Regno carolingio vantava il ruolo di defensor Ecclesiae, una tutela che i francesi eserciteranno con la forza delle armi,
ma anche con la pervasività della legislazione con i capitularia ecclesiastica, che furono un fattore di ingerenza del
potere laico nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche.

I vescovi vennero sempre più spesso scelti come vassalli, perché non potevano avere eredi ed erano detentori della
cultura giuridica: i vescovi-conti, erano uomini di Chiesa, i cui compiti politici si fondevano con quelli pastorali (a volte
rappresentavano direttamente l’Imperatore).
I vescovi-conti ambivano non solo al prestigio della loro carica, ma anche alle ricchezze e ai poteri conseguenti ai
terreni dati in dotazione alla singola istituzione ecclesiastica, tutti produttivi di profitti, di prerogative di comando e di
giustizia sui residenti.

Le norme consuetudinarie nell’Impero e le leggi derivanti dalla esclusiva volontà dell’Imperatore, vennero raccolte per
iscritto in “capitolari”. I “capitularia” erano suddivisi in diverse categorie:

➡ Capitolari che hanno vigenza territoriale: applicati in determinate aree geografiche (capitulare italicum);
➡ Capitolari in base al contenuto: capitularia mundana (si occupava di problemi civilistici, privatistici); capitularia
ecclesiastica (pertinenza legata alla Chiesa, agli ecclesiastici e alle sue istituzioni -> es: l’Imperatore è intervenuto
per regolare la vita dei sacerdoti, il sostentamento delle varie chiese); capitularia amixa (contenuto misto tra
problemi terreni ed ecclesiastici); capitolari regis (la fonte è l’Imperatore); capitolari episcoporum (realizzati
all’interno dei concili).

Queste suddivisioni comportano alla concezione di una società, in cui tutti i poteri insistono sulle medesime persone in
considerazione del fatto che tutte le persone sono soggette a Dio (società cristiana e unica) -> Imperatore nominato dal
Papa, e quindi per volontà di Dio.

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Il feudo
Il FEUDO fu l’istituto più importante di tutto il medioevo (principalmente nell’alto medioevo 476-1100), il quale si costituì
con delle norme consuetudinarie. Tuttavia non esiste una sua definizione univoca, per ragione temporale (appare nel
900/1000 e dura fino al 1700) e geografica (si sviluppa in tutta Europa e oltre), pertanto è stato concepito in modo
diverso nelle varie realtà.

Il concetto di “feudo” nasce dalla Rivoluzione francese, in particolare anche Max intervenne in questo argomento,
definendo che “il sistema feudale è tutto il sistema sociale, economico… precedente al capitalismo”.

Il feudo era un:

‣ Istituto mobile -> cambiava significato a seconda del tempo e della regione geografica in sui si è sviluppato
‣ Istituto omnicomprensivo -> non era solo un istituto giuridico, ma venne studiato anche da altre scienze, in
quanto definiva la struttura dell’organizzazione della vita collettiva

‣ Istituto nuovo -> prendeva alcuni aspetti romani e alcuni barbarici, anche il nome è nuovo. Con termini e
contenuti nuovi.

Il feudo era un contratto che veniva strutturato sul rapporto personale tra due soggetti, uno dei quali si assume
essere di uno status superiore (dominus o signore) e l’altro di uno status inferiore (vassus o vassallus), che comunque
doveva essere un uomo libero -> logica di diseguaglianza.
Il legame vassallatico, cioè il rapporto feudale, si costituisce in base all’atto dell’omaggio (homagium, farsi uomo
altrui), il quale è l’atto con cui il vassallo giura fidelitas al suo signore, era colmo di gesti di valenza drammatica. La
fedeltà nel mondo medievale, aveva una prospettiva pregiudica ed era espressione del valore supremo dell’onore
(l’uomo libero e combattente è tale se uomo d’onore, senza onore, egli perde la sua essenza umana), ovvero investe la
stessa credibilità e dignità dell’uomo che lo presta.

Con la fidelitas il vassallo si faceva carico di:

➡ Obblighi positivi di facere:


✦ Auxilium (aiuto militare): può consistere: 1) l’obbligo del servizio militare a cavallo (che a volte poteva essere
sostituito con un contributo economico); 2) obbligo di riscattare il Re o l’Imperatore in caso di cattura; 3) obbligo
di conferire dei beni alla futura sposa primogenita del Re o Imperatore;

✦ Consilium: ampio spettro di attività di assistenza non militare (es: consigli forniti in occasione di provvedimenti
normativi; pareri espressi dei vassalli nelle corti giudiziarie nobili presiedute dal dominus)

➡ Obblighi positivi di non facere: erano connessi alle pratiche di condotta militare e pertanto implicano il divieto di
allearsi con il nemico o di operare in qualsiasi modo a danno del proprio signore -> in genere riguardava l’obbligo
di non tradimento (reato di fellonia), il quale avrebbe comportato la rottura irrimediabile del legame di fedeltà, e
quindi del rapporto giuridico feudale, ma anche l’esilio dai rapporti personali con altri membri della società ->
scomunica laica con confisca del beneficium

Il feudo era un rapporto nel quale, il soggetto superiore concedeva il beneficium e l’immunitas al soggetto inferiore, in
cambio della sua fidelitas. Pertanto i 3 elementi obbligatori e inscindibili del feudo sono:

1. beneficium: elemento oggettivo del rapporto contrattuale, consisteva nella concessione patrimoniale (beni anche
non territoriali, come bottini di guerra, o attribuzione di cariche di prestigio) che veniva offerta dal superiore al
proprio inferiore. Consisteva più generalmente nell’obbligo di protezione, che consisteva principalmente nel
mantenimento, derivante dalla fedeltà ricevuta in giuramento.
L’investitura era la cerimonia con la quale il feudatario consegnava un oggetto simbolico a vassallo, che
rappresentava l’avvenuta realizzazione della concessione.
Il conferimento della terra al vassallo da parte del signore ≠ donazione: manca l’animus donandi; ≠ compravendita:
manca prezzo -> soprattutto il beneficium rimaneva di titolarità del proprietario (nudo proprietario quando lo
cedeva ad un vassallo).
Il vassallo sulla terra ricevuta a titolo di beneficio poteva compiere atti di godimento, di utilità e di sfruttamento

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economico tipicamente ammessi nell’ambito dei diritti reali su cosa altrui. Inoltre riconosciamo i poteri del signore
fondiario:
- iurisdictio, indica il potere del vassallo di dirimere le controversie sorte tra i residenti, utilizzando l’assistenza dei
giudici;
- districtio o bannum, potere sui residenti (es: imporre tributi, prestazioni lavorative).

2. immunitas: ha un contenuto negativo, era la capacità di esclusione di altri poteri sopra quel territorio (chi
possiede l’immunitas si occupa di tutta la vita sociale, e nessuno può intaccare dall’esterno la sua immunitas,
nemmeno il signore feudale che ha concesso quel beneficium) -> potere di respingere interferenze esterne ->
autonomia giudiziaria, tributaria.

3. fidelitas o omagium (vassallaggio): elemento soggettivo è il rapporto di subordinazione, con il quale il soggetto
inferiore concedeva al soggetto superiore (Re o signore terriero) la propria fidelitas, tramite un atto formale (atto
dell’omaggio), che poteva anche essere trascritto, che era costituito da un insieme di gesti e di giuramenti -> es: il
soggetto inferiore si inginocchiava davanti al soggetto superiore, offrendogli addirittura la testa, per questo la nomina era
accompagnata dalla spada vicino alla testa, al fine di mostrare che il soggetto superiore poteva tagliarli la testa; oppure
un altro atto consisteva nel riunire le mani proprie tra le mani del soggetto superiore; oppure rituale del bacio -> atto che
doveva avvenire obbligatoriamente per avere l’istituzione del feudo (elemento essenziale).

Inizialmente venne utilizzato il termine “vassalli”, per indicare una subordinazione dei residenti/contadini all’interno del
feudalesimo, questo processo spontaneo è stato infine incoraggiato dalla circostanza che alcuni signori feudali di
maggior peso, avevano ottenuto in seguito la qualifica feudale di conte (sopratutto con i Franchi) o di duca.

FEUDO LIGIO: istituto con il quale il vassallo definiva la preminenza di uno dei Signori ai quali era assoggettato,
rispetto agli altri (rapporto di fedeltà esclusivo), per evitare che il giuramento prestato a più Signori potesse sfociare, in
caso di discordia, in inevitabili episodi di tradimento a danno dell’uno e dell’altro.

Il rapporto feudale era personale e quindi il feudo non era trasmissibile (ereditariamente) e nemmeno trasferibile (per
vendita o altro atto di cessione). Inoltre era permanente, ovvero impegnava signore e vassallo per tutta la durata della
loro esistenza in vita, pertanto si estingueva solo: in caso di morte di uno dei due soggetti, oppure, in caso di
tradimento (reato di fellonia -> scomunica laica e confisca del beneficium).
-> Se il vassallo moriva, il beneficio ritornava nella disponibilità del dominus (devoluzione), il quale poteva riprendere iurisdictio
e districtio.
-> Se era il signore a morire, il suo legittimo erede poteva rinnovare l’investitura ricevendo un nuovo giuramento dal
medesimo vassallo, altrimenti il beneficium doveva tornare nella disponibilità dell’erede del signore concedente defunto.

Nel corso del tempo:

1) i soggetti che erano stati infeudati, a loro volta infeudavano altre persone sul presupposto di poter cedere, non solo
un bene, ma le facoltà del bene (cedendo una porzione di fedeltà) -> si costituiscono una serie di rapporti tutti uguali
(rapporti di vassallaggio, significa rapporti umani);

2) il rapporto naturalmente si scioglieva con la morte di 1 soggetto del contratto, pertanto le persone che erano state
infeudate cercavano di consolidare il loro potere in vista della morte dell’Imperatore -> EREDITARIETÀ DEL FEUDO (il
feudo diventò ereditario e non più personale, scomparve l’investitura formale):

✦ Carlo il Calvo, nel capitolare di Querzy (877), dispose la trasmissibilità ereditaria dei feudi maggiori, nel caso
in cui i vassalli maggiori fossero morti in battaglia (atto di riconcessione del beneficium nei confronti degli eredi)

✦ Edictum de Beneficiis (1037), Corrado il Salico, dispose che tutti i feudi (non solo quelli maggiori) dovevano
essere ereditari (es: nessun comandante di milizia può perdere il beneficium, se non per un giudizio dei suoi
pari, tramite un processo), quindi sancisce la successione dei feudi (successione al feudo iure longobardorum: la
titolarità del feudo apparteneva al primogenito, ma concretamente il feudo veniva suddiviso tra tutti gli eredi maschi,
≠ iura francorum: feudo al primogenito).
Inoltre stabilì il divieto di modifica del beneficio, secondo il quale una volta dato il beneficium, il Signore non
poteva modificarlo senza l’accordo con il vassallo al quale era attribuito.

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Con l’ereditarietà del feudo si affermò l’istituto successorio del fedecommesso, in origine concepito come una
specifica disposizione di ultima volontà che obbligava l’erede a conservare il bene ricevuto a tutolo ereditario e a
consegnarlo, in tempo debito, ad altra persona (istituto importante per i franchi, i quali lo utilizzarono per vincolare il
patrimonio feudale al primogenito che lo prendeva in consegna, con l’obbligo di conservarlo integro e di devolverlo
alla sua morte al suo legittimo erede, secondo una linea di “primogenitura” permanente).

L’ereditarietà del feudo penalizzava i fratelli minori e le sorelle in genere, quindi ai primi si provvedeva con delle
piccole rendite (appannaggio), oppure favorendo la carriera militare o ecclesiastica; alle sorelle invece veniva
accantonata una parte del patrimonio a titolo di dote in vista di future nozze.

Con l’ereditarietà del feudo voluta dai grandi proprietari terrieri, l’Imperatore limita altre controprestazioni: infatti
decise di infeudare solo coloro che non potevano avere eredi (ecclesiastici, come i vescovi) -> I grandi proprietari
terrieri furono le personalità del clero, con la consapevolezza che quando essi morissero, il bene sarebbe tornato
all’Imperatore proprio perché non potevano trasmettere il bene agli eredi -> vescovi-conti: uomini di Chiesa, di cui
si fusero i compiti pastorali con quelli politici, ricavati dal potere regio/imperiale.

Il feudo si consolida giuridicamente tra il 900/1000 con Ottone I, cioè gli elementi obbligatori del feudo si costituirono
giuridicamente in modo inscindibile e obbligatorio solamente nel 900/1000; quindi prima del feudo, tra l’800/900 erano
presenti i singoli elementi del feudo, ma non erano legati inscindibilmente e in modo vincolante (se si aveva la fidelitas
non era obbligatorio avere il beneficium -> convergenza di fatto).

Prima del feudo c’erano:

‣ Gasindi: erano longobardi che erano legati con un rapporto di fedeltà al capo della milizia privata (non c’era
beneficium e nemmeno immunitas);

‣ Immunes: erano beni imperiali ed ecclesiastici immuni da tassazioni (non c’era beneficium e nemmeno fidelitas);
‣ Precaria: benefici pro stipendio (no beneficium e fidelitas).

Nel corso del tempo furono costituite della raccolte di consuetudini feudali vigenti (es: Libri feudorum); possiamo poi
ricordare che alcuni imperatori medievali avessero legiferato in materia feudale, quindi rendeva degno il diritto feudale
ad essere accolto all’interno del diritto imperiale per eccellenza, cioè il Corpus iuris civilis.

Nel 1300 si parlerà della teoria del dominio diviso: il medioevo conosce una proprietà estremamente diversa da quella
di cui noi siamo abituati a ragionare. Questa divisione rispecchia la struttura feudale, dove abbiamo un soggetto che è
titolare di una proprietà diretta, dominio diretto (nudo proprietario) e un altro soggetto che è titolare del dominio utile ->
il bene è soggetto ad un dominio diviso.
Il nudo proprietario, che è titolare del dominio diretto, può solamente trasferire la proprietà del bene di cui è titolare,
poiché le restanti facoltà sono state trasferite ad altri soggetti come dominio utile; il nudo proprietario potrà tornare a
disporre pienamente del bene solamente in caso di devoluzione (es: interruzione della linea successoria maschile del
vassallo).
Invece i soggetti che possiedono il dominio utile, godono di quei beni e a cui sono state delegate tutta una serie di
facoltà che si intrecciano tra loro, per cui ognuno è titolare solo della facoltà che gli è stata conferita. Ad un certo punto
accade che un solo soggetto possa giurare fedeltà a diversi feudatari maggiori, in rapporto a varie facoltà. Su un bene
insistono vari soggetti, ciascuno possiede determinate facoltà.

Fu l’aspetto economico, derivante dal possibile utilizzo del dominio utile, che portò il feudo moderno ad essere oggetto
nel XVIII secolo delle critiche degli intellettuali e di alcuni giuristi: la rendita feudale scoraggiava l’investimento
produttivo, nel senso che i capitali venivano usati per acquistare rendite feudali e che le terre soggette a vincolo non
potevano essere migliorante perché i profitti delle migliorie avrebbero aumentato la rendita dei “domini diretti”, ovvero
dei nudi proprietari.

Solo con il codice civile promulgato da Napoleone Bonaparte nel 1804, la proprietà troverà la sua definizione definitiva:
è il diritto di godere e di disporre delle cose nella maniera più assoluta.

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La cultura giuridica alto-medievale


Nell’alto medioevo, i riferimenti al diritto romano restavano rari e frammentari; tuttavia era vitale la tradizione giuridica
latina, la quale operava nelle consuetudini dei popoli latini e nelle forme spontanee dell’oralità e della prassi negoziale e
giudiziaria (lex romana= consuetudini, tradizioni del popolo latino che rimanevano distinte da quelle dei Longobardi
prima, e poi da quelle dei Franchi).

La Chiesa, rimase nei secoli dell’alto medioevo, la depositaria predominante della scrittura e dei prodotti culturali,
proprio perché voleva tener memoria delle prerogative e dei privilegi riconosciuti da Giustiniano nel sue norme: tra
queste è di fondamentale importanza la Renovatio Imperii, la Chiesa si accreditava come autentica depositaria dei valori
universali dell’Impero romano.
Tra i documenti di Giustiniano, quello che riuscirà a sopravvivere nell’Alto medioevo è Insitutiones, 4 libri con un testo
abbastanza elementare, concepito come manuale di formazione per coloro che si avviavano allo studio del diritto.

Nell’alto medioevo erano assenti centri di formazione, di insegnamento e di apprendimento specializzati del
diritto.
La conoscenza in questo periodo storico, era di tipo “enciclopedico”, ovvero aderiva ad una visione integrale della
realtà visibile e invisibile, concepita quale ordine della Creazione divina, pertanto doveva essere appresa nei suoi singoli
aspetti come tasselli di un disegno più grande.

Questa concezione del sapere è espressa nel programma delle artes liberales (arti liberali), così denominate perché al
contrario delle artes mechanicae (arti meccaniche), esse non comportavano lavori manuali, di natura servile, ma solo
attività di conoscenza, tipicamente amarra e riservata all’uomo libero.
Le arti liberali hanno origine con Isidoro da Siviglia e le sue Etymologie (VII sec): 20 libri che affrontavano, partendo dal
significato di singole parole chiave, tutta la conoscenza disponibile al tempo, secondo quell’ottica enciclopedica.
Le arti liberali erano 7:

➡ 3 arti sermocinali (da sermo che significa discorso): discipline che riguardavano l’organizzazione e l’esposizione
del pensiero:

3) grammatica: arte di disporre in modo corretto e comprensibile il discorso;

4) retorica: arte di esporre efficacemente e convincentemente il discorso;

5) dialettica: arte di ragionare, di organizzare il pensiero, di fissarne i passaggi secondo modalità


argomentative valide e coerenti.

➡ 4 arti reales (da res): discipline che indicavano la realtà delle cose, della natura del Creato.

Il diritto nell’alto medioevo era concepito come un sapere profondamente radicato nella morale religiosa (con riferimenti
biblici), che la consuetudine era posta sul medesimo piano della legge e che la terminologia romanistica, appariva
sempre generica e mai circostanziata -> tutto il sapere veniva incanalato nel prisma delle 7 arti liberali.

Non esistevano scuole e insegnamenti caratterizzata dalla specializzazione, in modo particolare del diritto. I luoghi di
apprendimento erano: le scuole cattedrali (in città), e le scuole monastiche (nelle aree rurali) -> la Chiesa restava la
depositaria per eccellenza della cultura e dei centri di formazione, tuttavia bisogna ricordare che c’erano, anche se
poche, attività di scuole operanti all’interno di corti sovrane o di corporazioni professionali.

Giudici e notai dell’alto medioevo


Nell’alto medioevo furono di spicco le figure del giudice e del notaio. I quali, data l’assenza di centri specializzati di
formazione giuridica, si formavano attraverso la pratica.

Il problema dell’alto medioevo, consisteva nel fatto che il mondo giuridico era basato sulla consuetudine (qualche
volta assumevano forma scritta grazie alla sanzione dei sovrani, approvata dall’assemblea popolare dei uomini liberi),
dunque il problema consisteva nell’accertamento: 1) del contenuto specifico di ogni singola consuetudine, 2) della sua
vigenza in quel determinato territorio, 3) per quel determinato gruppo etnico.

Il giudice e il notaio dovevano essere portatori di una specifica cultura giuridica, e costantemente aggiornati sulle
consuetudini vigenti e delle modalità tradizionali per il loro accertamento.

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Il GIUDICE, in quanto giudicava, doveva essere titolare di “iurisdictio”, di “giurisdizione”, cioè del potere di
amministrare la giustizia, di risolvere le controversie applicando le regole vigenti. Tale potere veniva riconosciuto
all’imperatore, al papa, ai re, ai vescovi, ai conti e ai signori fondiari, tuttavia non sempre essi lo esercitavano
direttamente e in prima persona, anzi spesso si avvalevano della perizia di soggetti esperti e fidati, ai quali si chiedeva
consulenza quando si giudicava attraverso un organo collegiale presieduto dal titolare di “iurisdictio”, oppure in modo
più pratico e diffuso, delegavano il potere di emettere sentenza a soggetti abilitati (detti scabini).

La pronuncia giudiziaria, fornita dal documento chiamato placitum o notitia iudicati, non aveva il valore
dell’applicazione di una norma imperativa capace di costituire, modificare o interrompere effetti giuridici, ma si limitava
a dichiarare operativa una certa regola consuetudinaria vigente, dalla quale si discendevano certe conseguenze tra le
parti in causa -> al giorno d’oggi si direbbe una “sentenza dichiarativa” e non costitutiva.
La giustizia non era concepita, come la legislazione, come un’attività autoritativa, ma come affermazione di un ordine di
regole e di situazioni soggettive naturalmente iscritte nella tradizionale convivenza e che, se disattese o violate,
dovevano essere ripristinate attraverso un riconoscimento giudiziale prodotto dal titolare di iurisdictio.

Il NOTAIO nell’alto medioevo era normalmente un ecclesiastico, oppure un componente di corti giudicanti, o un
appartenente ad uno specifico collegio professionale.
I notai avevano la capacità di dar vita ad atti espressivi della volontà dei privati, e tale capacità era dovuta al
riconoscimento del valore della loro perizia nel redigere documenti (non dalla loro posizione politica o religiosa).

Il termine “notaio” era già presente nel diritto romano, ma indicava un copiatore di documenti, spesso di origine umile
oppure era uno schiavo, che era stato designato da un privato. Mentre il “tabellio” era una carica data su concessione
di una autorità pubblica.
A partire dall’alto medioevo i “notai” danno luce ad atti espressi della volontà dei privati, e quindi erano investiti dagli
Imperatori o dai Papi. Infatti nell’Editto di Rotari si trova una frase dedicata alla scrittura, anche per i popoli dove la
consuetudine faceva da padrona, “per la memoria dei tempi futuri, alcuni atti devono essere messi per iscritto (ad
esempio i contratti di lunga durata)” -> In questo periodo Rotari, per la prima volta, vennero trasformate le consuetudini,
tipicamente orali, in scritte. Al contempo si formavano degli archivi per conservare gli atti scritti al fine di difendere i
negozi (durata e inattaccabilità).

La publica fides era l’affidabilità che si richiedeva al documento in rari casi, e veniva sanzionata ufficialmente dal
notaio.

Per gli altri casi, il notaio, sulla base della sua personale professionalità o del prestigio della sua corporazione di
appartenenza, doveva essere capace di confezionare una atto dotato di firmitas, quella stabilità nel tempo che si
basava sulla sua irrevocabilità (le parti non possono rinnegare quanto concordato nell’atto), nella sua inattaccabilità
(l’atto può essere efficacemente prodotto in giudizio in caso di controversia).
La firmitas era poggiata sulla sottoscrizione dei contraenti e dei testimoni, che conferivano forza all’accordo
documentato nell’atto. Tale forza non era insuperabile, infatti il contenuto dell’instrumentum (documento), se contestato,
poteva essere messo in discussione dal giuramento e dalle testimonianze, che quindi, in sede processuale potevano
avere la medesima forza della carta notarile (questo perché c’era il problema della falsificazione degli atti). Nell’alto
medioevo, in caso di contestazione, sopratutto con Ottone I si utilizzava l’ordalia, ossia il giudizio di Dio che si mostrava
con dei fatti (il duello) -> nel corso del tempo si affermarono quindi delle modalità di corroboramento della firmitas:

A) Ricorrere all’autorità del signore territoriale o a quella regia, o a quella imperiale o pontificia, per ottenere la
sanzione ufficiale dell’instrumentum;

B) Ricorso alla pronuncia giudiziale: si ricorreva al giudice per trasformare il contenuto negoziale in una sentenza, in
modo da esaltare il valore vincolante del contratto. Quindi il giudice intervenire per rendere più salda quella
firmitas che il notaio, da solo, non era sicuro di poter assicurare.

Il valore dell’instrumentum notarile era più esile negli ambienti di cultura germanica, i quali volevano corroborare l’atto
attraverso l’uso del formalismo simbolico -> es: dispositivo della traditio chartae (consegna della carta), mediante il quale
l’atto in sede processuale non costituiva altro che una mera prova a disposizione delle parti da utilizzare in concorrenza con
le altre tradizionalmente ammesse (duello, giuramento…).
Invece, negli ambienti latini la scrittura ha un valore incontrastato sia per la pronuncia giudiziaria (placitum), sia per l’atto
di volontà dei privati (atto dotato di firmitas).

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A partire dalla metà del 1100, l’atto notarile dotato di firmitas otteneva anche la publica fides, al fine di dare certezza
a tutti i rapporti giuridici, in quanto l’atto aveva immediata esecuzione davanti al giudice (senza dover chiamare i
testimoni) e la presunzione di validità e di veridicità (perché sono valori intrinseci alla formalità dell’atto).

I Franchi attribuirono grande importanza al ruolo del notaio, tanto da nominarne uno “ufficiale” in ogni località in cui
operasse un missus dominicus, circostanza che escludeva la possibilità di utilizzare gli ecclesiastici per la confezione
degli atti pubblici. infine, con l’affermazione dell’autorità imperiale, venne predisposto un corpo di notai pubblici ufficiali
delegati dall’autorità a fornire publica fides, questa volta insuperabile, agli atti rogati.

A partire dal X secolo, i notai locali iniziano a produrre testi di supporto alla loro professione, tipicamente il
formularium, una raccolta di “moduli” finalizzati al raggiungimento degli effetti giuridici desiderati dal disponente o dai
contraenti (es: donazione, compravendita), suo quali poi poter intervenire con i dati specifici del singolo atto da rogare.
In tali raccolte è possibile riconoscere alcuni schemi negoziali romani che vengono riportati alla luce e adattati alla
confezione degli atti.

Il notaio, ha sempre più coinvolgimenti con la vita economica, sopratutto nelle città mercantili -> es: a Genova, sono
stati elaborati atti notarili contenenti promesse di pagamento o confessioni di debito capaci di essere riconosciuti come
immediatamente eseguibili, senza aver bisogno della sentenza del giudice: si parla di instrumenta guarentigiata (atti
dotati di garanzia), vero e propri titoli di credito esecutivi.

Per i giudici e per i notai era necessaria la legittimazione dell’autorità.

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LA CRISI DELLA CHIESA E LA LOTTA PER LE INVESTITURE

Il Monachesimo
Il MONACHESIMO è il fenomeno caratterizzato dalla rinuncia agli interessi mondani, per dedicarsi ad una vita spirituale
da eremita. Il monachesimo è nato in Medioriente (precisamente in Egitto), dove esistevano dei monasteri in cui
vivevano delle persone come eremiti e asceti (vita austera e in contemplazione).
Ogni monastero si dotava di una regula, codici di condotta dal valore normativo all’interno della comunità -> le regulae
distinguono il monachesimo dal clero secolare (alto clero che si era politicizzato).

Tra i monaci più importanti ricordiamo:


✦ S.Patrizio (‘400): evangelizza e cristianizza le popolazioni pagane viventi in Irlanda (che non era stata
romanizzata). È colui che ha dato inizio al monachesimo in Europa, creando dei movimenti monastici basati
sulla: preghiera, povertà, obbedienza e latino.

✦ S.Benedetto (’500): fondò in Italia l’abbazia di Cassino, la quale era dotata per la prima volta di una regula (la
regola benedettina, 529 d.C.), basata sul rifiuto dell’individualismo, affermando la solidarietà collettiva, auto-
sufficienza e commercio (per arricchire il proprio monastero vengono prodotti dei prodotti artificiali con l’esterno).
Il monastero si reggeva inoltre: sul lavoro, preghiera, penitenza e imitazione di Cristo (nelle sue opere).

✦ S.Colombano (‘600): è il collegamento del monachesimo di S.Patrizio (dell’Islanda) con quello italiano; infatti
sulla base della regola di S.Patrizio fonda in Italia il monastero di Bobbio. Nel monastero, come fece S.Patrizio,
diede inizio ad un’opera di copiatura delle opere sacre e giuridiche più importanti.
Inoltre creò un sistema di abbreviature che fu canonizzato (al fine di renderlo conoscibile a tutti) e produsse il
Totius Europae, nel quale sostenne che che il popolo europeo doveva creare un corpo solo -> disegno di una
Europa unita.

Infine possiamo ricordare che all’interno dei monasteri vennero prodotti anche i “libri penitenziali”, inizialmente in
Irlanda e poi anche in Francia e Italia (sopratutto a Bobbio). I libri penitenziali erano dei manuali pratici per i confessori,
ovvero per coloro che dovevano confessare qualcuno; in essi vi era:

‣ Il tariffario che associava ai peccati le relative penitenze (potevano essere anche fisiche) da irrogare come
espiazione. Il tariffario era basato sia sulla ”oggettiva” gravità della trasgressione (corrisponde al modello
germanico dell’Editto di Rotari), ma anche sulla “soggettiva” intenzionalità di colui che ne era responsabile (non
considerato dal modello germanico);

‣ Il passaggio dalla confessione pubblica a quella privata (grazie a S.Colombano);


‣ Commistione tra diritto e fede: chi compiva un peccato doveva essere punito con una pena.

Il monachesimo fu molti importante, in quanto:

1. Diede un apporto importante alla cultura tramite gli scriptoria (luoghi in cui i monaci compiano testi sacri e giuridici,
al fine di conservarli proprio perché ci sono le popolazioni barbariche);

2. Favorì la convivenza tra diverse etnie: le popolazioni romane e quelle germaniche entrarono in contatto grazie al
cristianesimo.

Feudalizzazione della Chiesa e le reazioni del monachesimo

Il SACRO ROMANO IMPERO GERMANICO si costituì con l’incoronazione imperiale di Ottone I di Sassonia, da parte
del Pontefice (962). L’incoronazione riconosceva nuovamente la Renovatio Imperii, che questa volta non gravava sui
carolingi (l’Impero è stato sciolto nel 887), ma sulla casata dei Sassonia (continuità del Sacro Romano Impero di Carlo
Magno).

La Chiesa, sopratutto con la dinastia dei Sassonia, viene investita di benefici, proprio perché:

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1) dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il vuoto di potere è stato temperato dalla Chiesa, in quanto
la religione era riuscita a garantire continuità e stabilità al popolo romano rimasto; dunque concedeva tutele
amministrative a deboli -> ebbe acquisito un ruolo politico, sociale e culturale grazie ad una organizzazione
gerarchica;

2) Gli ecclesiastici erano i detentori della cultura e del diritto, quindi erano in grado di amministrare i territori;

3) I vescovi non potevano avere eredi, quindi non potevano trasferire il feudo -> il beneficium tornava al nudo
proprietario una volta che il vassallo era morto.

Pertanto si creò la figura dei vescovi-conti, uomini di Chiesa ai quali venivano attribuiti sia compiti spirituali che politici
-> FEUDALIZZAZIONE DELLA CHIESA: I sovrani, per avere la fedeltà dei vassalli, decisero di controllare le nomine dei
vescovi, ma anche quella del papa (Ottone I decise che l’Imperatore aveva il potere di nominare e di deporre il
pontefice.

corruzione politica all’interno della Chiesa, crisi morale, sopratutto per il basso clero (vescovi e cardinali) -> la Chiesa
non rispetta più i dettami del cristianesimo e si verificano i seguenti fenomeni:

✦ Simonia: acquisto della carica ecclesiastica (per poi quella politica) tramite esborso di denaro;

✦ Nomine papali: con Ottone I venne previsto il diritto dell’Imperatore di nominare e di deporre il Papa, il quale
doveva giurare fedeltà all’Imperatore -> Privilegium Othonis.
✦ Concubinato:

✦ Vincoli feudali nella gerarchia ecclesiastica: i vescovi dipendevano da un signore, e a loro volta avevano dei
vassalli…

✦ Chiese private: sono delle chiese istituite da dei signori territoriali laici, che nel loro feudo creano una chiesa
privata, in quanto dipendente dal Signore, il quale sceglie chi la amministra -> importanza sociale

Da questo momento in poi, il monachesimo risponde alle pretese imperiali di assoggettamento della Chiesa e di
corruzione di quest’ultima:

1. Abbazia di Cluny (909): è la prima reazione del monachesimo alla corruzione politica del clero secolare/ alla
feudalizzazione della Chiesa -> l’abbazia di Cluny (Francia) si dotò della regula benedettina, illustrando 3 regole
fondamentali:
1) i monaci devono dipendere direttamente dal Papa, e non da altri individui;
2) i monaci svincolati da poteri feudali, come la giurisdizione, e sopratutto i vescovi non possono operare perché
corrotti;
3) elezione del Papa da un collegio ecclesiastico (il Papa deve essere illuminato e non deve essere corrotto dal
potere imperiale), e il popolo cristiano deve ratificare/acclamare formalmente il Papa -> proposta divenuta realtà con
Papa Nicolò II
-> INDIPENDENZA DELLA CHIESA DAL POTERE SECOLARE

2. I patarini e i catari: i patarini (chiamati così perché non avevano vesti ornamentate come quelle degli ecclesiastici)
appartenevano al basso clero ed erano contrari all’alto clero e rivendicavano una cristianità da ricostruire sulle idee
degli apostoli. Arnaldo da Brescia fu un patarino che costituì la 2° reazione alla feudalizzazione della Chiesa,
sostenendo che:
1) i sacramenti dovevano essere amministrati da clero degno (mentre quelli celebrati dal clero indegno dovevano
essere considerati nulli);
2) la predicazione poteva essere anche laica, e quindi non solo fatta dal clero;
3) la confessione poteva essere reciproca e fatta tra fedeli (non era necessario confessarsi con un membro del clero.

3. Concilio lateranense da Papa Nicolò II (1059): è la 3° reazione alla feudalizzazione della Chiesa e affermò che:
1) il Papa doveva essere designato dal collegio dei cardinali-vescovi romani (non dall’Imperatore tedesco), e il
popolo doveva ratificare formalmente il Papa;
2) divieto per l’ecclesiastico di accettare una chiesa (es: chiese private) dalle mani di un laico -> viene considerata
eresia: quindi comportava l’annullamento del passaggio del beneficio e la degradazione (l’ecclesiastico che accettava il
beneficio, veniva degradato al grado inferiore).

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4. RIFORMA GREGORIANA DI PAPA GREGORIO VII (1075): con Gregorio VII, il quale si era formato a Cluny, si ebbe
una vera svolta, infatti venne pose due concetti fondamentali:
1) solo il papa e la Chiesa possiedono le chiavi del potere (il Papa e la Chiesa possono deporre l’Imperatore
tedesco);
2) solo il Papa possiede la santità, in quanto è l’unica autorità universale, quindi è più importante del monarca
secolare.
Questi concetti vennero inseriti all’interno della riforma gregoriana che si ebbe col Dictatus Papae (1075), un testo
normativo che racchiudeva 27 proposizioni ierocratiche (perché la “ierocrazia” è la linea politica ecclesiastica che
affermava il prevalere del potere religioso su quello laico-temporale) in ordine progressivo, con valore di principi
fondamentali (dovevano essere sviluppati), il quale costruisce la riforma gregoriana.
Il Dictatus Papae è scomponibile in 5 sezioni:
• Prerogative della Chiesa di Roma
• Poteri Papali in campo legislativo
• Poteri Papali in materia di governo della Chiesa
• Poteri Papali in ambito giudiziario canonico
• Rapporti tra Papa e imperatore
Tra le proposizioni ierocratiche più importanti del Dictatus Papae ricordiamo:
1) potere esclusivo del Papa di nominare, di trasferire e di deporre i vescovi, e di creare e riunire istituzioni ecclesiastiche
(abbazie…);
2) potere legislativo illimitato del Pontefice;
3) il Pontefice aveva il carattere di infallibilità;
4) il Pontefice poteva escludere dalla comunità ecclesiale mediante scomunica, coloro che si fossero resi responsabili di
disobbedienza;
5) il Pontefice poteva deporre il medesimo imperatore, e sciogliere dal vincolo di fedeltà e soggezione i suoi sudditi.

La RIFORMA GREGORIANA si basò:


1) sulla centralizzazione della Chiesa a Roma (attività normativa, processuale), il Papa era a capo dell’ordinamento
giuridico ecclesiastico ed è a capo dell’intera cristianità -> le decisioni del Papa valgono per tutto il mondo cristiano;
2) autonomia religiosa della Chiesa dal potere secolare e sua superiorità;
3) il sistema feudale viene abbandonato all’interno della Chiesa (reazione contro simonia e concubinato).

La LOTTA PER LE INVESTITURE (XI-XII secolo) è un conflitto politico e religioso tra Impero e Papato, che
coinvolse non solo l’Imperatore e il Papa, ma anche i signori territoriali e il clero, per il controllo delle nomine e delle
dotazioni (benefici) ecclesiastiche.
I principali protagonisti di questa lotta furono l’Imperatore Enrico IV e Papa Gregorio VII, i quali produssero il culmine
dello scontro:

1072 Enrico IV assegna la diocesi di Milano ad una persona di sua fiducia -> ennesima espansione del potere
temporale sul potere secolare;

1075 Dictatus Papae -> indipendenza e superiorità della Chiesa sull’Impero

1076 Enrico IV convoca una dieta (assemblea dei vescovi locali) in Germania, a Worms. I membri dell’assemblea
affermarono che la carica di Papa Gregorio VII era illegittima in quanto:
1) non degno, poiché eletto con modalità irregolari, non rispettando le decisioni del concilio lateranense di Papa
Nicolò II;
2) aveva legami con Matilde di Canossa
-> l’Imperatore Enrico IV viene scomunicato da Papa Greogrio VII: la scomunica fa venir meno il potere universale
dell’Imperatore, pertanto i sudditi sono sciolti dal vincolo di obbedienza nei confronti dell’Imperatore

1077 Enrico IV si reca a Canossa, dove abitava Gregorio VII, per porgere le sue scuse
-> viene sanata la lite con un primo compromesso

1080 Papa Gregorio VII scomunica nuovamente l’Imperatore Enrico IV, quindi quest’ultimo, durante il Concilio di
Bressanone, fa eleggere un antipapa: Papa Clemente III.
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La lotta per le investiture si concluse con il concordato di Worms (1122) tra l’Imperatore Enrico V e Papa Callisto II,
nel quale venne definito il principio della “doppia investitura”, rilevante quando si trattasse di dotare di benefici feudali
un vescovo: l’investitura ecclesiastica dei poteri pastorali spettava esclusivamente alla Chiesa (anello e pastorale),
mentre le prerogative feudali connesse potevano essere concesse dall’Imperatore, tramite lo scettro (l’Imperatore non
poteva attribuire cariche ecclesiastiche tramite l’anello e il pastorale, i quali erano simboli strettamente riservati al
Pontefice).
Tuttavia accadeva spesso in Germania che la nomina ecclesiastica avveniva in presenza dell’autorità secolare, che
quindi non era del tutto estranea (in Germania veniva data prima la carica politica e poi quella ecclesiastica, mentre in
Italia veniva prima data la carica ecclesiastica e poi quella politica, secolare).

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CAPITOLO 2
L’ETÀ PREIRNERIANA E L’ETÀ DEI GLOSSATORI

Nell’XI secolo si inizia a valorizzare nuovamente il diritto romano, sia in Italia che in Europa, portando dunque al
RINASCIMENTO GIURIDICO MEDIEVALE, caratterizzato dalla pacificazione politica e militare, e dalla ripresa
economica (la nuova dinastia dei Franconia, reggeva l’Impero e ne garantiva gli assetti). A tal proposito fondamentale è
l’attività:

• delle presunte scuole di Roma e di Ravenna, e sulla scuola di Pavia e di Bologna (i maestri romani si sono trasferiti
in seguito alle guerre a Ravenna e poi a Bologna);

• di Pepo e poi di Irnerio e dei glossatori in generale;

• successivamente dei commentatori.

Il Rinascimento giuridico medievale è dovuto a:

1) ragioni economiche: commercio e società comunale. I comuni nascono in questo periodo, in opposizione del
feudo della campagna che godeva di una sistema economico chiuso; mentre le città significavano libertà dal
potere feudale, con un commercio libero.

2) Ragioni giuridiche, si richiede la qualità del diritto

3) Ragioni socio-culturali: scolastica, rinascimento degli studi: le modalità di argomentazione sviluppate da


Aristotele sono recepite e utilizzate dai filosofi parigini, i glossatori quindi hanno un metodo basato sui criteri
aristotelici.

4) Ragioni politiche: strumento di legittimazione impero (unità dell’impero, in quanto il diritto romano è eterno;
riforma della chiesa);

5) Insufficienza del sapere enciclopedico che doveva rimettere l’unità del mondo -> la società cercava un nuovo
diritto, che fosse unitario, generale e qualitativamente migliore, da utilizzare OLTRE i diritti particolari, al fine di
colmare le lacune.

Verso un diritto universale


Attorno al XI secolo, si acquisisce coscienza della limitatezza dei tradizionali meccanismi di accertamento, applicazione
e convivenza delle consuetudini; sopratutto per una società che mostra sempre maggiori segni di complessità, infatti
non era più basata sull’economia agricola di base curtese, ma su una dimensione mercantile e artigiana, che
richiedeva delle figure negoziali più complesse rispetto a quelle germaniche. Inoltre i poteri territoriali forti hanno
bisogno di un diritto con più spiccate doti di certezza, capace del tutto di superare la molteplicità irriducibile dei
patrimoni consuetudinari di matrice personale e locale.
-> lex romana come lex generalis omnium: diritto romano come diritto sussidiario con valore sempre territoriale !
crescente sensibilità romanistica alimentata dallo studio diretto dei testi giustinianei

Pertanto, venne riscoperto il diritto romano giustinianeo grazie all’opera di Irnerio, che porta alla nascita di una scuola
giuridica a Bologna (1088). Tale scoperta, è solamente frutto di un processo messosi in moto nell’ultimo periodo
dell’alto medioevo, infatti possiamo riconoscere alcuni momenti che hanno in comune la precoce valorizzazione del
diritto romano:

1) scuola giuridica di Pavia del XI secolo: Pavia è una città molto importante, in quanto fu la capitale del Regno
Italico prima con i Longobardi, poi con i Franchi e infine anche negli anni seguiti alla divisione dell’Impero (epoca
detta “anarchia feudale”).
In questa fase il Regno Italico si fondava su una pluralità di consuetudini, per la migliore conoscenza delle quali
sono stati raccolte in testi, ricordiamo in particolare:

• Liber Papiensis (libro di Pavia): raccolta in ordine cronologico di tutti gli editti longobardi, dei capitolari
franchi e delle costituzioni imperiali contenute nel Capitolare Italicum (fino ad Enrico II, 1024).

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• Expositio ad librum papiensem (1070): è molto importante ed è un documento prodotto nel contesto della
scuola di Pavia. Era un libro contenente la spiegazione e le discussioni del Liber Papiensis, infatti
presentava una serie di annotazioni attribuite a diversi giuristi, al fine di rendere più comprensibili le sue
norme.
I giuristi contenuti nella Expositio, dimostrarono di avere una buona conoscenza del Corpus iuris civilis,
operando dei rinvii per colmare le lacune o per sciogliere le antinomie del Liber Papiensis.
Dai pareri dei giuristi a riguardi del Liber Papiensis si formarono due fazioni: la fazione degli antiqui, i quali
non conoscevano il diritto romano; e la fazione dei valentes/moderni, i quali sostenevano che il Corpus
giustinianeo fosse la soluzione a tutti i problemi -> il diritto romano è lex generalis omnium, diritto comune
a tutti gli uomini della indiscussa autorità, che svolgeva una funzione sussidiaria in funzione
dell’integrazione e della comprensione del diritto longobardo, franco e imperiale.

• Lombarda: raccolta che presentava le stesse norme contenute nei Liber Papiensis, ma presentava una
struttura sistematica che la rendeva più aderente ai bisogni della pratica e dello studio, che ne decretò il
successo sul Liber Papiensis.

2) Placito di Marturi (1076): nel tradizionale processo di matrice germanica, il giudice decideva in base alle prove
ammesse e dedotte in giudizio, e ne dichiarava la validità ai fini della prevalenza delle ragione di una o dell’altra
parte. Invece, il giudice-messo Nordilo ha utilizzato una norma del Digesto al fine di risolvere una controversia,
attribuendo a quest’ultima un valore superiore alle prove (la norma del Digesto affermava una regola generale,
secondo la quale non è possibile essere privato dei propri diritti in caso di degenerata giustizia: il rimedio della
restitutio in integreum, del ripristino della situazione giuridica precedente al sopruso di oggetto).

3) Pepo: è un maestro che studiò il diritto giustinianeo di propria iniziativa, e insegnò a Bologna, e fu il primo a
legere in legibus, ovvero a tenere lezioni sulle leggi giustinianee. Fu un esperto di arti liberali del linguaggio, e è
stato etichettato “aurora surgens” come il precursore della scuola di Bologna -> il vero fondatore del
rinascimento giuridico, del recupero del diritto romano giustinianeo.
Pepo fu molto famoso perché partecipò, almeno secondo Rodolfo il Nero, al placito lombardo: un processo,
tenutosi dinanzi ad Enrico IV in Lombardia, ove venne discussa una causa relativa all’omicidio di un servo. Pepo
riuscì a modificare l’iniziale parere dei giudici sostenendo la condanna a morte del reo in base al diritto romano
(Legge delle XII Tavole), alla Bibbia ed al diritto naturale (tutte le persone sono uguali e non hanno distinzioni di
rango), anziché una sanzione pecuniaria che sarebbe dovuta essere somministrata secondo il diritto germanico.
-> Pepo sosteneva che il diritto naturale poteva sostituire il diritto positivo, cioè il diritto posto dall’autorità.

DIFFERENZA:
Periodo preineriano: spontaneo e strumentale utilizzo dei libri che illustravano il diritto romano;
Scuola di Irnerio, dei glossatori: attitudine scientifica e sistematica ai libri della legge.

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Irnerio
I glossatori sono nati con Irnerio, la lucerna iuris, e l’oggetto del loro studio fu il Corpus iuris civilis (529-535), il quale
racchiudeva al suo interno la dottrina e la legislazione romanistica.

In particolare IRNERIO fu un maestro di arti liberali (dialettica e retorica), filologo e pratico, che per primo si dedicò alla
glossa del Corpus Iuris Civilis (denominato civilis grazie alla glossa). Egli studiò con attenzione il Digesto o
“Pandette” (il significato letterale del suo nome: disporre classificando gli argomenti, che possono riguardare qualsiasi
materia in modo ordinario -onnicomprensivo-), infatti la lucerna iuris trovò tutti i suoi 50 libri costruendo la versione della
la Vulgata/Bolognese che verrà utilizzata dai glossatori; successivamente venne ritrovata ad Amalfi una versione del
Digesto considerata più attendibile, la Litera Pisana/Florentina.
N.B. alcuni sostengono che Matilde di Canossa gli avesse commissionato il compito di recarsi a Roma per recuperare il
diritto romano

Finalità di Irnerio: 1) ricostruzione del testo delle antiche norme; 2) riordino sistematico delle singole parti della
compilazione; 3) studiare in modo scientifico il CIC; 4) insegnare per formare personale che opererà nei tribunali, nei
comuni, nelle scuole.

Il rinnovamento varato da Irnerio nei primi due decenni del 1100, faceva del diritto una autonoma branca del sapere, e
si basava:

1) Corpus iuris civilis, sottoposto ad un processo di revisione fisiologia e a un riordino strutturale che venne
utilizzato fino all’età moderna. Il nuovo ordine del CIC era basato su 5 volumi: i primi 3 volumi erano occupati
dalla partizione dei 50 libri del Digesto in Digestum vetus (vecchio), Digestum infortiatum (rafforzato), Digestum
novum; il 4° volume era occupato dal Codex Iustinianus (conteneva solo i primi 9 libri del Codex); il 5° volume
era occupato dal Volumen, il quale conteneva gli ultimi 3 libri del Codex, le Institutiones, le Novellae e i libri
feudorum (non c’erano nel CIC originario, furono aggiunte alla fine del 1100 in quanto erano espressione
legislativa dell’Impero medievale);
-> i volumen vennero chiamati libri legales, corrispondono all’antico CIC che è stato strutturato e modificato dai
glossatori, in particolare da Irnerio

2) Sull’obiettivo di rivitalizzare l’antico corpo di leggi romane, grazie allo strumento della glossa,
all’interpretazione letterale che manteneva i contenuti percettivi del complesso normativo giustininaneo in stretta
aderenza con la modernità.

Irnerio ricostruì e studiò il testo del CIC nella sua integrità al fine di capirlo e di interpretarlo, al fine di costruire un
sistema giuridico applicabile e organico nella società contemporanea.
-> il CIC non poteva essere direttamente applicato dai giudici dell’epoca, ma prima doveva essere interpretato
per dare significato a termini e situazioni che non avevano corrispondenza nel presente -> non erano ammessi
dubbi, lacune e antinomie poiché era un testo sacro.
Tuttavia era comune ai glossatori commettere degli errori nell’interpretazione di alcune parole (non frasi), proprio
perché dovevano interpretare l’intero CIC per renderlo attuale all’interno della società. Es: il termine “praefectus
urbis”, che nel mondo romano indicava il prefetto urbano, venne interpretato dai glossatori come “podestà”.
L’equità era un parametro interpretativo del Corpus iuris civilis, è un valore generale che serviva a capire se una
legge era giusta e ragionevole. I giuristi dell’epoca conoscevano: equità divina, che era l’equità che si
riconosceva all’interno dei diritti divini; dalla quale si ricavava l’equità constituta, cioè cogente, applicabile e
obbligatoria.
-> il giurista doveva confrontare i valori contenuti nel CIC, con i valori della società (il giurista ha la responsabilità
di decidere), al fine di risolvere un caso soddisfacendo gli interessi delle parti

Irnerio fonderà l’Università di Bologna, chiamata Alma Mater (madre che alimenta, che da vita alla scienza del diritto),
nel 1088 (data fittizia voluta per motivi mediatici da Giosuè Carducci, poiché Irnerio opererà agli inizi dell’anno 1000).
L’università ha dato vita ad un nuovo modello di insegnamento e di ricerca scientifica che si diffuse in tutta l’Europa
-> la ricerca scientifica e l’insegnamento sono sempre accoppiate, in quanto l’insegnamento costruiva le dottrine
giuridiche, permettendo al diritto di diventare una scienza autonoma (non più una radice della retorica).

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Successivamente, in altri luoghi di Italia, si diede più attenzione alla formazione del giurista pratico rispetto a quello
teorico (Alma Mater), proprio per la necessità di accelerare il percorso di quanti intendevano indirizzarsi verso le
professioni legali -> si formarono delle scuole minori, tra cui la scuola di Modena che si incentrò sullo studio del
Libellus disputatorius, una monumentale raccolta di brocardi mnemonici redatti dal Codice giustinianeo.

Gli scienziati del Corpus iuris civilis: i glossatori


I glossatori per studiare il Corpus iuris civlis si sono avvalsi principalmente di strumenti che sono stati mutuati da altre
esperienze, e in più hanno inventato un nuovo modello organizzativo:

➡ Teologia: considerano il CIC come un libro sacro, come la Bibbia lo è per i cristiani. Interpretazione esegetica,
ovvero parola per parola.

➡ Paradigmi logici argomentativi: i glossatori non inventano dei modelli logici, ma vengono mutuati dalla logica
di Aristotele, solo che non usano in ambito filosofico, ma in ambito giuridico. La scuola di Parigi mutua per prima
questa logica, direttamente dalla scuola greca (es: argomento a contrario, si desume il contrario da quello
delineato dalla norma; argomento a similia oggi chiamata analogia)
-> dialettica dei pro e dei contra

➡ Sapienza giuridica romana/giurisprudenzialità:


il giurista è il mediatore dei principi dell’ordine giuridico voluto da Dio. È mediatore nel senso che deve estrarre
dai principi dell’ordine che ha dato Dio, quell’unica verità della vita terrena.
-> Il diritto si evolve con una classe di tecnici che riformano il diritto, e non lo creano.
-> Il giurista deve conciliare il Corpis Iuris, così antico, alle necessità dell’epoca. Si parla di sforzo disperato perché
necessario era legare il tutto dal punto di vista logico e armonizzare il diritto giustinianeo.
-> I glossatori si ritengono veri e propri eredi della giurisprudenza classica.

➡ Novità -> modello organizzativo: il diritto non è più insegnato nelle arti liberali, ma è una disciplina nuova e
autonoma (fino ad allora il diritto rientrava nella retorica), e si crea un nuovo metodo d’insegnamento, che
inizialmente si chiamerà scola e poi universitas.

I principi cardine che fanno da sfondo al Corpus Iuris Civilis, opera emblematica del lavoro dei glossatori:

• Principio di testualità: completezza e all’essenza di contraddizioni.

• Principio di autorità: i glossatori si inginocchiavano davanti al Corpus Iuris.


Il principio di autorità è un elemento tipico della scolastica medioevale, che nasce delle Schole e si sviluppa
sempre più nel Medioevo. La scolastica ha la finalità di portare il singolo a un sapere armonico, di dare
importanza ai dogmi delle Chiesa tramite la ragione.
Molto spesso la scolastica procede alla citazione di testi e fonti autorevoli, oltre che antichi, per risolvere
controversie. Questa mentalità la riprenderanno anche i glossatori, citando i giuristi della Roma classica.
Dal punto di vista tecnico i glossatori copiano dalla scolastica.

- Concezione del CIC come espressione dell’autorità divina (l’imperatore aveva tradotto la volontà divina);
- All’interno del CIC troviamo diritti che permetto sia all’imperatore che al Papa di dare una continuità e
garantire legittimità.
Inoltre dal Corpus emerge il mito di Roma, si pensava che l’imperatore avesse emanato delle norme che si
presumevano essere dense di razionalità, equità, e verità.

Si stava iniziando a delineare un DIRITTO IMPERIALE CRISTIANO.


Teoria dell’unità: il mondo è retto da un ordine divino, che viene costruito da Dio e che corrisponde al Sacro
Romano Impero Germanico (Res Publica Christiana). Tutte le differenze che ci sono sulla terra derivano
comunque da Dio, quindi si ha sempre unità.
Due concezioni dell’unità:

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• Unum ius (900/1000) -> il diritto romano, col Corpus Iuris Civilis, è unum ius, ovvero superiore ai diritti
particolari (esiste il pluralismo giuridico, ma il diritto romano è quello superiore a tutti, N.B: con Irnerio non era
presente un fiorente pluralismo giuridico, in quanto gli statuti dei comuni si svilupperanno dopo il 1100, sopratutto
dopo la Pace di Costanza).
Viene utilizzato l’unum ius, teorizzato in un trattato in materia processuale, per costruire la Repubblica
Cristiana (res publica chris-tiana), un connubio tra le due realtà universali (1 religione 1 diritto).

• Ius commune (dopo 1100): nel 1100 si ha l’elaborazione dottrinale bolognese del ius commune, il quale
aveva la consapevolezza che non si poteva far prevalere il diritto romano sui diritti particolari, questo perché i
diritti particolari erano molteplici (sopratutto statuti dei comuni). Quindi con l’affermazione del diritto comune,
si affermava implicitamente l’esistenza di un diritto non comune, proprio delle singole aree e e dei singoli
regni, quindi un diritto particolari.
Lo ius commune è il prodotto dei glossatori, e verrà applicato ovunque e non solo a Bologna -> lo ius
commune sistema di collegamento tra conti che coesistono, nel quale il diritto romano si coordina con i diritti
particolari (es: i giudici dei comuni applicheranno prima gli Statuti, ed eventualmente successivamente lo ius
commune)

L’insegnamento
Le attività didattiche dell’insegnamento e della ricerca scientifica erano:

LA LECTURA (quotidiana): consisteva in una lettura ex cathedra, incentrata su singoli passi del CIC, la quale
era basata:
1) sull’interpretazione esegetica orale, come nella Bibbia: il maestro dava una spiegazione orale, filologica o
giuridica, di ogni singola parola del passo del CIC.
2) la logica aristotelica.
L’attività della lettura portò alla formazione della glossa, cioè dell’annotazione esplicativa di una parola
(interpretazione esegetica, letterale) del Corpus Iuris Civilis, al fine di illuminare il testo, in quanto era molto antico
e quindi doveva essere reso attuale.
-> il compito della glossa consisteva nel mettere in collegamento tutte le parti del CIC, costruendo dei passi
paralleli anche tramite il richiamo a diversi libri e documenti di quest’ultimo.
La glossa quindi: 1) annotazione esplicativa/spiegazione di una parola; 2) rinvii a parti del codice; 3) sviluppa
problemi giuridici.

Tipologie di glossa:

‣ Redacta (nota redatta direttamente dal maestro) o reportata (nota apposta dallo studente e indica
che qualcuno ha dato quella spiegazione);

‣ Marginale (scritta a bordo del testo) o interlineale (inserite tra una linea o l’altra) -> era una
distinzione importante perché il testo del CIC era raro, e chiunque ne avesse un manoscritto cercava
di utilizzare ogni spazio del foglio;

‣ Interpretativa (esplicazione del significato, del contenuto) e grammaticale (spiegazione della forma
della parola).

Caratteristiche della glossa:

‣ Expositio literae: esegesi della parola, si aveva l’interpretazione di ogni singola parola;
‣ Continuatio titulorum - casus legis: nesso contenutistico fra una fattispecie del Codex, e altre parti
della compilazione giustinianea (conoscenza sistematica e completa dei libri legali);

‣ Solutio contrariorum: il CIC conteneva delle norme che erano in contrasto tra loro, spesso perché
erano frutto di imperatori diversi (nel Codex costituzioni imperiali precedenti a Giustiniano) o per la
dottrina predicata (nel Digesto erano presenti diverse dottrine). Pertanto la solutio contrariorum era
uno strumento che risolveva l’antinomia, sostenendo che entrambe le norme erano valide e che
sembravano contrastanti tra loro solo perché le fattispecie sembravano simili, ma in realtà erano

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diverse tra loro -> il CIC era un libro sacro e non poteva avere contraddizioni.
La solutio contrariorum utilizzava le distinctiones.

‣ Distinctiones: erano parte della glossa ed erano delle modalità di argomentazione tipiche del
ragionamento razionale occidentale, che derivavano dalla scolastica. Venivano utilizzate quando
c’erano delle parole del CIC che provocano dei problemi giuridici, cioè provocavano delle difficoltà
applicative, pertanto si procedeva alla loro scomposizione al fine di capirne il significato e di adattarlo
al mondo moderno -> definiscono tutti i significati che possono essere assunti dalla parola;

‣ Summa: riassume con intento di sintesi il contenuto di una singola lex, per collegare titoli e parti del
Corpus;

‣ Generalia (principio generale): erano utilizzati quando in una disposizione del CIC si trovano dei
principi che avevano valore generale, pertanto si scriveva “generalia” (es: principio di legalità);

‣ Notabilia (Nota bene): i maestri segnalavano agli studenti che quella parte del CIC era molto
importante;

‣ Brocarda (proverbi giuridici): venivano utilizzati per ricordare un concetto.

LA DISPUTATIO (generalmente il mercoledì e il sabato): veniva svolta grazie alle quaestiones disputatae, che
erano dei momenti che si svolgevano al di fuori dalla lezione, dove il maestro chiedeva agli studenti di risolvere
un problema, che generalmente proveniva da una fattispecie concreta della realtà, la quale non era disciplinata
dal CIC. Pertanto gli studenti si dividevano in due gruppi, uno a favore del sic (sì) e uno a favore del non (no,
sosteneva una interpretazione diversa) -> dovevano trovare la soluzione del caso all’interno del CIC, anche se
non era prevista una esplicita disposizione, tramite lo studio dei pro e contra.
Il maestro successivamente spiegava qual era, secondo lui, l’interpretazione del caso (scegliendo una o nessuna
delle interpretazioni degli studenti, e quindi sostenendo una propria soluzione).
In questo ambito vanno ricordate diverse tipologie di quaestiones disputatae:

‣ Legitime: problematiche che nascevano dal Corpus Iuris.


Per risolvere queste problematiche veniva preso un passo del Corpus Iuris e lo si cercava di risolvere tramite
le cosiddette distinctiones (le stesse che venivano utilizzate in un diverso contesto anche dal professore).

‣ Ex facto: il maestro immaginava l’insorgere di determinate fattispecie, che poi venivano sottoposte agli
studenti (divisi in due gruppi).

‣ Ex facto emergente: il maestro sottoponeva agli studenti alcune problematiche che emergevano dai fatti
della vita quotidiana.

‣ Statutorum: si tratta di problematiche che emergevano dagli statuti.


‣ Feudorum: problematiche che emergevano dalla vita feudale, dal rapporto malsano tra signore e vassallo.
N.B.: Si tratta di un altro degli stati dello ius commune.

‣ LA REPETITIO (1 volta all’anno): era una lezione approfondita su un argomento specifico (monografico), e veniva
tenuto dal maestro una volta all’anno.

La differenza tra schole e universitates:


➡ Le univeritates sono delle vere e proprie associazioni di studenti. Le universitates possono essere definite come
delle associazioni, delle unioni di piccole società, per conseguire determinati scopi: .

• Difesa del gruppo (difesa degli interessi): medioevo come epoca di associazionismo, come epoca molto
esclusiva (se non hai determinati requisiti in tale gruppo non entri);

• Assistenza.

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Le università erano divise in due grandi gruppi (nationes studentesche), a seconda della terra di provenienza, a
Bologna: Ultramontani = stranieri; Citramontani= italiani a loro volta suddivisi in nationes (toscani, lombardi,
romani e napoletani)

Le università sono rappresentate da rectores: carica che ha vigilanza sui maestri, che deve controllare le
matricole e che deve stare attente alla questione economica, alle collectae. Il rettore non è quindi un maestro, è
uno studente che fa parte dell’università (intesa come associazione di studenti : dove uno per difendere i colleghi
si erge).
Uno studente si iscrive all’università con l’immatricolazione e si verificavano poi dei veri e propri giuramenti,
messi per iscritto, da parte degli studenti, perché sancivano l’ingresso in una associazione con un elevato senso
di appartenenza.

In questo ambito ricordiamo che Federico I Barbarossa, nella COSTITUZIONE HABITA (1158), si impegna a
garantire tali privilegi agli studenti e ai docenti di diritto di Bologna:

1) esenzione dalle tasse;

2) salvacondotto (documento) per terre dell’Impero: il quale garantiva il diritto di muoversi liberamente per
tutto l’Impero (a volte si pagavano dazi di transito) -> agevolò l’esodo di studenti dall’Europa del Nord verso
Bologna.

3) immunità da rappresaglie per debiti (protezione imperiale): le rappresaglie erano un istituto tipico del
medioevo, per cui se uno straniero aveva dei debiti o aveva commesso dei reati gravi e fosse tornato nel suo
paese, il comune cittadino che aveva subito un danno poteva rivolgersi al giudice della propria città per
chiedere una lettera di rappresaglia che potesse giustificare un’aggressione o che permettesse al debitore
stesso di rivalersi sul patrimonio di un suo connazionale per sanare il debito -> gli studenti sono esonerati da
rappresaglie.

4) foro privilegiato: gli stupendi potevano, circa le cause civili/penali, in alternativa al loro giudice naturale,
sottoporsi alla giurisdizione del proprio maestro oppure al vescovo della città -> conveniente perché i docenti
erano pagati dai propri studenti, inoltre avevano un rapporto consolidato

Gli statuti delle università erano dei documenti che definivano:

• Iter e le peculiarità dell’elezione dei rettori;

• Funzioni dei rettori stessi

• Modalità di adesione degli studenti

• Informazioni circa la riproduzione dei libri

• Informazioni su tutti gli altri organi inferiori

• Programma e il calendario delle lezioni (puncta)

• Luogo in cui si tengono le lezioni.

N.B.: Se i professori non si presentavano a far lezione dovevano pagare una cauzione di 25 lire. Inoltre il maestro
deve cercare di essere sicuro che gli studenti dessero le collectae -> sistema di reciproco controllo tra maestri e
studenti.
Per risolvere tale sistema, dato che i maestri iniziavano a chiedere sempre di più, il comune iniziò a controllare i
pagamenti stessi -> non si parlerà più di collectae, ma di stipendio (solo a Bologna rimarrà la collecta fino al
1300). Col tempo i docenti ebbero rapporti diretti con i comuni, i quali progressivamente garantivano stipendi
lucrosi in cambio del diritto all’esclusiva della didattica e di uno stabile radicamento delle scuole in città.

Corso di studi: 2 corsi chiamati oridinari (ciascuno di 2 anni):

1. primi 9 libri del Codice (Codex)

2. primi 24 libri del Digesto (Digestum vetus)

+ Cattedre dette straordinarie: altre parti del Digesto (Infortiatum e Novum), Istituzioni, Novelle e Libri
Feudorum.

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Inizialmente il corso di studi non aveva una durata prefissata, dal 1300: 7 o 8 anni per la laurea civilistica, 6 anni
per la laurea canonica.

Il percorso di studi si poteva tenere de mano, che erano le lezioni ordinarie che trattavano specifici argomenti (9
libri del Codice, 24 libri del Digesto, decretum, liber extra); oppure de sera, che erano lezioni straordinarie dove
si trattavano le novellae, libri feudorum, e gli altri libri del Digesto.

La laurea per l’Università di Bologna era una licenza ubique docenti, di insegnare cioè nell’ambito della
giurisdizione universale della Chiesa e dell’Impero.

Gli esami:
BACCALARIUS AD PRIVATA ADMIUSSUS: quando uno studente si riteneva pronto, poteva recarsi da un
professore di sua scelta (promoter) per ottenere l’autorizzazione a sostenere le prove finali. L’autorizzazione
veniva concessa in seguito alla verifica in privato che lo studente possedesse tutte le conoscenze necessarie; in
caso si esito positivo lo studente veniva considerato ammesso alla prova a porte chiuse dei Dottori giuristi.
COLLEGIO DEI DOTTORI: lo studente viene interrogato su un “punctum”, e se otteneva un esito positivo dal
collegio dei Dottori giuristi (voto favorevole della maggioranza), veniva proclamato licentiatus de iuge, ovvero
licenziato/laureato (in seguito a questa carica, il laureato non poteva insegnare).
CONVENTUS: Successivamente il laureato svolgeva un’ultimo esame pubblico (conventus, dal 1200), che aveva
luogo nella cattedrale, in caso di esito positivo si aveva la proclamazione al titolo di Doctor Iuris, il Dottore
poteva finalmente insegnare.
Il conventus era un esame molto costoso, pari ad 1 anno di studi, e che era costituito da: un sermone del
promotor, organizzazione del licentiatus, consegna del toga-berretto-anello, e infine c’era l’attribuzione della
Venia Legendi, il titolo di Doctor iuris.

Considerato l’arduo percorso descritto, il controllo sulla formazione giuridica universitaria: non coinvolgeva solo
la creazione di nuovi dottori, ma anche i requisiti per l’insegnamento ! con un esito differenziato da luogo a
luogo.

Tuttavia questo sistema di formazione ha una vita secolare nell’Europa orientale: la glossa verrà utilizzata fino al
1700! Quindi diventerà un metodo-scientifico didattico internazionale e uniforme sul diritto comune che
costituirà il fulcro della «repubblica della cultura giuridica».
N.B.: l’estrazione sociale degli studenti non ha carattere uniforme à l’UNIVERSITÀ come luogo di formazione dei
giuristi diventa una via che apre le porta al concetto di MOBILITÀ SOCIALE.

➡ Le schole hanno, invece, la seguente struttura: dominus (maestro) + socii (studenti) : individuano il luogo in cui
formavano delle piccole societas.
I socii dovevano al maestro delle colectae, dei contributi in denaro che servivano agli studenti per avanzare nella
loro formazione per arrivare alla licenza (anche se con Irnerio non si parla ancora di veri e propri titoli, poi con il
tempo diventa sempre più precisa l’attività universitaria).
I socii devono, inoltre, concordare con il maestro argomenti, programma, vacanze, orari. All’inizio tutto ciò è
molto vago ma con il tempo questi accordi diventano sempre più precisi e si arriva a issare sul tabellone dei
puncta, dei punti che dovranno essere seguiti durante l’anno.

La Repubblica della cultura giuridica:

- Metodo scientifico e didattico uniforme e internazionale: circolazione europea di tutte le tecniche del
ragionamento giuridico, quindi l’Europa ha un linguaggio giuridico omogeneo, portando alla formazione di un metodo
scientifico -didattico uniforme e internazionale.

- Scopo teorico: formazione teorica del docente, e non pratica.


- 1500 crisi della metodologia e dell’interpretazione del diritto romano a causa della cultura umanistica.

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Ragionamento scientifico
RAGIONAMENTO ! ricorso ai moduli della RETORICA e della DIALETTICA, alle quali la mente era allenata grazie allo
studio delle ARTI LIBERALI.
Ciò che più è interessante sono però le TECNICHE ed i RISULTATI dell’INTERPRETAZIONE e la COMBINAZIONE delle
FONTI ROMANISTICHE ! tre operazioni fondamentali:

1. la legge può subire un’INTERPRETAZIONE ESTENSIVA

2. la legge può subire un’INTERPRETAZIONE RESTRITTIVA (attraverso una distinctio)

3. o addirittura può essere TRAVISATA rispetto al suo significato originario ! in quanto: 1) mancano gli strumenti
filologici e storiografici adeguati; 2) e la norma viene considerata nel contesto coevo al glossatore.

I generi letterari dei glossatori


Si tratta delle modalità attraverso cui i glossatori iniziano a comporre le loro opere. Possiamo identificare diverse
tipologie di generi letterari, tutti caratterizzati da stili e obiettivi differenti:

• SUMMAE : Si tratta di testi il cui simbolo è la sintesi.

• ORDINES IUDICIORUM : Si tratta di un genere letterale basato sulla materia processuale.

• Raccolta di QUAESTIONES : Si tratta di volumi di raccolta di tutte le quaestiones disputate, proprio perché la
maggior parte di queste vengono messe per iscritto.

• Raccolta di BROCARDI : Si tratta di volumi di raccolte di brocardi che possono servire ad avvocati o giudici
perché all’interno di ogni volume troviamo ordinati (per materia o per nome) i brocardi più utili.

• DISSENSIONES DOMINORUM : Si tratta di opere che mettono in luce, circa una determinata fattispecie i punti di
contrasto tra i domini, tra i maestri. Su una certa fattispecie, cioè, c’è uno scontro tra maestri del diritto.

• QUARE : Si tratta di opere in cui si mettono in contrapposizione alcune norme per tentare di armonizzarle. Si
cerca, cioè, di armonizzare delle norme che sembrano contraddirsi.

L’evoluzione della glossa


In merito alla glossa possiamo identificare due differenti fasi:

1. Reticoli di glosse : I primi giuristi della scuola dei glossatori utilizzavano reticoli, le glosse venivano create come
reticoli. Erano disordinate, caotiche e venivano poste senza un grande ordine.

2. Apparati di glosse: Con il tempo, però, i giuristi diventano sempre più ordinati. Gli apparati di glosse nascono
dopo Irnerio e non sono altro che opere (basti pensare alla magna Glossa di Accursio), in cui le glosse sono
indicate in maniera ordinata e speciica, ogni glossa ha la sua pagina e il suo posto. Nell’apparato ogni glossa ha
la sua posizione.

La glossa verrà utilizzata fino al 1700.

I glossatori più importanti


I primi 4 studenti di Irnerio furono: Martino (fondatore della corrente che da importanza all’equità, alla filosofia),
Bulgaro (fondatore della corrente che da molta importanza all’interpretazione strettamente letterale e giuridica,
autonomia della scientia iuris), Jacopo e Ugo.

Martino e Bulgaro furono i più importanti perché fondano correnti opposte (anche se quella di Bulgaro prevalse e portò
al passaggio dal vecchio al nuovo mondo dei giuristi), tuttavia tutti e 4 gli studenti, i 4 Dottori, furono importanti perché
l’Imperatore Federico I Barbarossa, richiamò questi tecnici al diritto al fine di chiedere informazioni tecniche
(consulenza) circa i suoi diritti regali (a riguardo del diritto romano) in occasione di una dieta di Roncaglia (115) ->
scontro tra Impero e Comuni, che non rispettavano l’Imperatore -> grande importanza dei giuristi

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I più importanti glossatori, tra le 5 generazioni di glossatori che si ebbero a partire da Irinerio fino al 1200 circa,
furono:

➡ AZZONE: visse tra la fine del 1100 e l’inizio del 1200. Fu allievo di Bassiano, ed è considerato la “sorgente delle
legge”, in quanto fu l’autore del Summa codicis opera che conteneva: delle disposizioni contrarie ai comuni
cittadini, e quindi era a favore dell’imperatore; nuovo ordine del CIC per ordine di materia del Codex (grande
distacco del Summa codicis dal CIC, in quanto Azzone racchiuse le sue glosse nel CIC e le pose al centro del
foglio, mentre il CIC era a margine del foglio).

➡ ACCURSIO: il giurista, allievo di Azzone, che chiuse la stagione della glossa, morendo nella seconda metà del
1200. Creò la Magna Glossa o Glossa Ordinaria (1263) un’opera in cui Accursio racchiuse le migliori glosse
della scuola dei glossatori (più di 97’000), che erano quelle più teoriche (provenivano da Bologna), decretando
l’oblio delle tesi che non vennero racchiuse nell’opera -> teoria più importante della pratica.
Si impose per oltre 6 secoli come la più importante opera di interpretazione del CIC, portando alla conclusione del
periodo dei glossatori -> diventò oggetto di lezione, e fu quasi più importante del CIC .
In più all’interno dell’opera ricordiamo che le glosse erano inserite al centro del foglio, dando più importanza a
quest’ultime rispetto al Corpus iuris civili, che era al margine. La Magna Carta sarà la più importante opera
dell’interpretazione del CIC, conclusione del periodo dei glossatori -> diventa oggetto di lezione, è quasi più
importante del CIC. Era apparato ordinario, definitivo della scuola della glossa, ovvero una struttura in cui ogni
glossa ha una sua importanza e una posizione nel testo.
-> CONCLUSIONE DEL PERIODO DELLA GLOSSA

Altri glossatori:

GIOVANNI BASSIANO (seconda metà 1100): di lui ricordiamo le seguenti opere:


- Ordo iudiciorum: un’opera che tratta delle fasi del processo;
- Arbor actionum: varie tipologie di azioni con cui si può iniziare un processo;
- Raccolta di quaestiones.
Bassiano lavora su due concetti principali:

a) Concetto della pars filii: il figlio può disporre di un certo ammontare del patrimonio, sulla base di un
qualche diritto naturale primitivo (diverso dal diritto romano, dove il figlio non aveva disponibilità di
patrimonio fino a quando era parte della famiglia del pater familias).
Si tratta di un elemento che sconvolge perché ci fa capire che Bassiano è molto legato alla prassi, alle
esigenze del suo tempo e deve trovare qualche soluzione per rispondere alle mutevoli esigenze del
commercio.

b) Inizia a fare lezioni con metodo diverso da Irnerio: il metodo che inizia a sviluppare si distacca dalla mera
esegesi (caratteristica della scuola della glossa). Inizia a individuare l’elemento della CAUSA FINALE (della
cosiddetta causa legis, poi tradotta con ratio legis, che si basa alle 4 cause aristoteliche), utilizzando
soprattutto la dialettica -> principio che poi si può applicare a casi simili.
-> Concetti che poi ritroveremo nella scuola d’Orleans e nella scuola dei commentatori.

UGOLINO: venne chiamato per redimere importanti accordi tra città e paci inter-cittadine; e la sua opera
principale fu le “Dissensiones dominorium”, nella quale furono messe per iscrittole dispute giuridiche tra maestri
-> graduale processo di rinnovamento iniziato da Azzone, volto alla formazione degli apparati delle glosse.
Ugolino è un giurista importante anche per l’inserimento dei Libri Feudorum (usi feudali e prassi feudali,
decisioni delle corti e costituzioni), nella versione accurisana, all’interno del Corpus Iuris (sappiamo che nel
medioevo il Corpus Iuris accoglie dei testi che non sono romanistici).
-> assegna un valore giuridico al feudo che è nelle disponibilità del vassallo: il signore dà a un vassallo come
beneficio un terreno, il vassallo in teoria non ha alcun diritto, ma con il tempo il feudo inizia ad essere definito come
una quasi proprietà del vassallo, il signore ha la proprietà piena, ma dà una diritto reale minore al vassallo.

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ODOFREDO DENARI (sfida contro Accursio, che ha rubato ad Odofredo l’dea di creare un apparato ordinario di
flosse): è morto nella seconda metà del 1200, più precisamente nel 1285. Odofredo non è solo un giurista: è
legum professor, giudice e ha assunto anche cariche pubbliche. Grazie a lui abbiamo appreso che Irnerio è la
lucerna iuris.
La lectura di Odofredo Denari è molto diversa da quella del resto della docenza bolognese: la sua lectura viene
inserita e messa per iscritto in un testo solo con due colonne (come Accursio), ma senza citare il Corpus Iuris
Civilis, si tratta di una lectura svincolata dallo stesso.
La sua opera principale è le Praelectiones, una raccolta di glosse di Odofredo, in cui non cita il testo di
Giustiniano, ma inserisce solo l’incipit e dà spazio alla propria lettura, alla propria interpretazione.
In accordo con una tendenza che si sviluppa in Francia, ha un’impostazione basata sulla logica e sulla
dialettica e questo ci proietta sempre di più verso la scuola d’Orleans, come evoluzione della scuola dei
glossatori (in Italia parallelamente alla scuola d’Orleans e sulla base della stessa si svilupperà la scuola dei
commentatori).
-> si è occupato anche dei Libri Feudorum creando una vera e propria summa degli stessi.
-> ampio spessore culturale delle sue opere: citazioni di esponenti classici della retorica romanistica (Cicerone),
combinato all’uso del volgare
Vanno ricordate anche la Quaestiones Disputatae: dibattiti relativi al rapporto tra diritto proprio e diritto
comune, cercando una soluzione per farli conciliare. Propone una conciliazione ostile ai diritti particolari,
affermando la superiorità del diritto comune, il quale serve a illuminare i diritti particolari, che altrimenti non
starebbero in piedi.

Scuole minori
Oltre alla scuola dei glossatori bolognese vanno ricordate anche le scuole minori:

- In ambiente italiano come: Vicenza, Arezzo, Vercelli, Padova e Siena;


- Nel contesto francese come: Arles, Saint Galles, Avignone e Montpellier (quest’ultima la possiamo considerare come
un distaccamento da Bologna perché verrà fondata da italiani).

La presenza di queste scuole minori è legata a varie cause:


1) Esilio di studenti
2) Esili volontari di professori (dal 1180 in poi)

Tutto ciò si sviluppa nel periodo immediatamente successivo a Irnerio, certo è che comunque tutto è nato a Bologna.
Chi fonda anche queste scuola minori utilizza le competenze che Bologna ha fornito.

Le caratteristiche di queste scuole minori:

• Grandissimo gusto e grande affezione alla pratica (opposto alla Magna glossa che prediligeva tutto ciò che era
teorico).

• Grande gusto per la retorica

• I generi letterari più diffusi erano: le quaestiones disputate, le dissensiones dominorum, le summae e i brocardi.

ROGERIO
Rogerio, si formò all’Università di Bologna, e creò una Summa sia per il Codex sia per le Institutiones di Giustiniano.
Di Rogerio vanno ricordate anche le Edonationes.
-> caratteristica tipica delle scuole minori: ampio spazio a grammatica e retorica e all’interno troviamo anche delle
quaestiones legitime.
Rogeriò fondò un’università in Francia.

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L’università di Modena (1175)


Si tratta della prima università italiana che sorge come distaccamento dalla sede di Bologna, in quanto a Bologna
iniziavano ad esserti troppi professori.

PILLIO DA MEDICINA
Pillio da Medicina fondatore dell’Università di Modena (1175, fondata a scopi economici), e diede inizio a un nuovo
metodo d’insegnamento, basato sulla propria opera Libellus Disputatorius, una raccolta di brocardi mnemonici tratti
dal Codice e dal Digesto di Giustiniano, con l’obiettivo di accelerare il percorso di quanti si indirizzavano alle professioni
legali.
Modo nuovo per studiare: argomentazione, ragionamento e condensazione per ridurre i tempi di studio
Di Pillio ricordiamo anche:

o Summa ai tres libri: cittadinanza, tasse, magistarti


o Summa cum essem Mutine: summa in ambito processuale
o Quaestiones aurae: opera che raccoglie tutte le quaestiones e tratta materie varie: il diritto romano, il diritto
longobardo (emblema dei diritti particolari che continuano a sopravvivere), il diritto canonico e anche costituzioni
imperiali.

Creò delle compilazioni di quaestiones in cui si affermavano tematiche relative alle materie sopra scritte.

Lavorò sul diritto canonico, sui Libri feudorum che avevano 3 versioni: obertina; ardizzoniana (con costituzioni di
Federico I Barbarossa); accursiana (inserita da Ugolino nel CIC),

Infine ha introdotto la TEORIA DEL DOPPIO DOMINIO DIVISO: teoria sviluppata sulla base di un’esigenza nata dalla
prassi: Come far convivere il feudo con le categorie romanistiche? Il proprietario del feudo è il signore o il vassallo?
Partendo dal pensiero di Oberto, primo estensore delle due lettere che compongono i Libri Feudorum, affermò che il
vassallo potesse essere considerato come un quasi dominus, un quasi signore e che potesse utilizzare l’actio utilis
romana, uno strumento pretorio al fine di risolvere casi che non sono coperti da una azione specifica.
Si creano così due proprietà che dividono la cosa, il bene risulta così separato da due fasci di proprietà differenti:

• Dominio utile = diritto reale che possiede il vassallo

• Dominio diretto = nuda proprietà che possiede il signore.

N.B.: Anche in questo ambito è evidente l’aggancio al diritto romano.


I glossatori sfruttano il diritto romano e danno a questo vesti nuove. I romanisti stessi dicono che questo non è più diritto
romano ma le basi ci sono sempre. Si parlava, però, di proprietà piena nel diritto romano: nessuna figura di diritto romano
prevedeva due domini sulla stessa cosa.
PAOLO : parlò dei concessionari, di quei soggetti che utilizzano i fondi pubblici, i cosiddetti agri vectigales dati in
concessione. A questi (i concessionari), infatti, anche se non domini, era riconosciuta una tutela reale (verso tutti) tramite
un’actio utlis. Facendo riferimento a tali figure possiamo dire che si inizia a spezzare il concetto di proprietà piena del diritto
romano.

Studium Generale di Vercelli


Nel 1234 viene fondata l’università di Vercelli, che viene chiamato ‘Studio generale di Vercelli’, inizialmente il concetto
di studio generale significava una scuola organizzata in maniera molto estesa ed ampia, in contrapposizione delle
scuole private.
Più avanti assumerà un concetto diverso, ovvero si parlerà di studio generale perché riconosciuto da uno delle due
autorità : Papa o Imperatore.
Ne consegue: 1) vengono garantiti diritti e privilegi verso tutti, 2) il titolo che si assume in uno studio generale è
spendibile in tutta Europa, 3) il docente può insegnare ovunque.

Troviamo ancora Odofredo che parlando di studi generali, dirà che è quello studio dove si studia la vera scienza, e non
una scienza adulterina.

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Università Comunali
I comuni si affacciano all’università perché vedevano gli studenti e i professori come fonte di commerci. La
conseguenza di tutto ciò e che le ‘collecte’ che i primi studenti davano ai maestri, ormai erano sempre più piccole,
pertanto i Comuni deciso di pagare i professori con gli “stipendi”.

I professori divennero sempre più importanti, e quindi si formò il Collegio di Dottori: l’organo più importante
dell’università, al quale si poteva accedere per vincolo di cittadinanza (a Bologna era necessaria la cittadinanza per
accedere alle cattedre principali, mentre in quelle secondarie no) o no (a Padova anche i forestieri potevano accedere
alle cattedre primarie). Inoltre in alcune città vi era l’obbligo di avere un vincolo di parentela per poter essere inserito nel
collegio.

L’università diventa importane non solo per l’economia delle città, ma perché diventano ‘instrumnetum regni’,
tanto che ci saranno delle università fondate dal Papa, e d’altro canto le leggi di Federico II penetreranno negli studi.

LA DIFFUSIONE del DIRITTO ROMANO in GERMANIA


La scuola della glossa ha avuto una grande influenza su tutto il Sacro Romano Impero Gemanico. La prima ricezione
del diritto romano è avvenuta con Fulgosio (seconda metà 300), quando gli studenti tedeschi si erano recati in Italia
per apprendere gli strumenti dei glossatori, la seconda ricezione del diritto romano è avvenuta nel 1495, quando si è
verificata la riforma della giustizia in Germania, con la nascita del tribunale camerale dell’Impero. Il tribunale
camerale dell’impero giudica era una corte composta da 16 giudici competenti in vari ambiti, i più importanti furono 3:

• Denegata e errata giustizia

• Questioni relative alle città imperiali

• Materie feudali

MASSIMILIANO
Ha prescritto che almeno la metà dei giudici che operavano all’interno del tribunale imperiale camerale, dovevano
essersi formati presso la scuola dei glossatori (a Bologna), proprio perché dovevano utilizzare le loro tecniche in
Germania.
La seconda ricezione del diritto romano viene quindi vista una come ricezione dell’interpretazione bolognese sul diritto
romano.
N.B.: Successivamente questo requisito di formazione presso la scuola bolognese venne essere esteso a tutti i 16 giudici; la
ricezione diventa così sempre più forte. Ciò che non dice la glossa non interessa al tribunale: collegamento diretto tra la
glossa e la prassi giudiziaria.

TOCQUEVILLE (metà del 1800)


È un importante esponente perché cercò di far conciliare il diritto romano con il diritto germanico.
I giuristi tedeschi non potevano abolire il diritto germanico, ma lo deformarono per farlo rientrare a forza nel quadro del
diritto romano (la prassi germanica viene inserita nelle categorie giuridiche romane, considerate come razionali, eque,
autorevoli, divine)
In Germania si inseriscono le difficoltà del diritto tedesco all’interno delle categorie romanistiche.

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LA DIFFUSIONE del DIRITTO ROMANO in FRANCIA


Nella Francia del Nord si affermò il diritto consuetudinario (droit coutumier): i popoli del nord vivevano secondo le
proprie consuetudini.

Nella Francia del Sud si affermarono le consuetudini, assieme al diritto romano scritto (droit ècrit).
-> Nel 506 d.C.: abbiamo la Lex romana visigotorum (dove sono presenti consuetudini dei visigoti + elementi di diritto
romano, tale lex viene vista come il mezzo di passaggio del diritto romano in Francia).

Centrale in questo ambito è l’ordinanza di Filippo il Bello nel 1312:

1) Afferma che la Francia è un paese di diritto consuetudinario, ma non può negare l’esistenza del diritto romano. Il
fatto che al Sud ci sia una grande importanza del diritto scritto a Filippo il Bello da molto fastidio, è un Re e
come tale guarda con ostilità il diritto scritto romano perché lo considera come un diritto imperiale.

2) Il diritto romano viene visto come una ratio scripta, come una consuetudine, che deve essere approvata dal Re
-> il diritto romano è subordinato al Re.

In Francia guarda al diritto romano, come il diritto che porta suo interno dei principi razionali di giustizia e di equità.
Molte, però, sono le critiche fatte ai glossatori:

• Per aver creato un’ombra su Corpus Iuris facendo prevalere la Magna glossa;

• Tramite l’esegesi i glossatori sono riusciti a dare compattezza al Corpus Iuris, collegando parti diverse che
trattavano della stessa materia.

PIACENTINO -> università di Montpellier


Allievo di Martino (giurisprudenza è filosofia), dà vita a una Summa codicis che sarà fondamentale per altri giuristi che
utilizzeranno questa tecnica di sintesi. La donerà a Bologna e sulla base della stessa verrà creata una sapiens orator.
L’attività di Piacentino culmina nella Summa cum essem Mantue -> testimonia che Piacentino ha insegnato anche a
Mantova e tale opera non è altro che la sintesi della sua attività, nella stessa città di Mantova, al fine di esprimere la
varietà delle azioni (elogio della pratica). Afferma poi che l’azione è un diritto soggettivo in capo al suddito (al contrario
del pensiero di Bassian,o che definisce l’azione come uno strumento concesso gentilmente dal potere).

Altro elemento importante è la Summa ai tres libri (sono i 3 libri del codex, che spesso vengono considerati a parte
rispetto agli altri 9 libri), nella quale viene fatta una sintesi del diritto pubblico.

LA DIFFUSIONE del DIRITTO ROMANO in INGHILTERRA


Il diritto romano riesce a penetrare anche in Inghilterra grazie a VACARIO, il quale era originario di Mantova e morì nel
1181.
È considerato come il fondatore della scuola di Oxford, si è ha conoscenza della sua permanenza nell’università a
scopo didattico, tuttavia resta dubbia la sua fondazione.

A Oxford ha svolto una attività di insegnamento caratterizzata da una totale opposizione verso l’amministrazione locale
(la quale vedeva la figura di Vacario, e il suo insegnamento, come un pericolo per le tradizioni locali).

Ha svolto importanti cariche ecclesiastiche e nell’ambito dell’amministrazione pubblica.

Ha realizzato il Liber pauperum, un libro che unisce e sintetizza parti del Codex e parti del Digesto, dedicato a coloro
che difficilmente avrebbero potuto acquistare tutto il Corpus Iuris; e la Summa de matrimonio che sintetizza i canoni
sul matrimonio.

Il diritto inglese è anche particolarmente legato a BRACTON, il giurista che ha creato per la prima volta nel medioevo
una compilazione in cui è riuscito a fondere le leggi dei sovrani inglesi e le consuetudini del popolo inglese: Il De
legibus et consuetudi- nibus Angliae.

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UN NUOVO ORDINE PER IL DIRITTO DELLA CHIESA

Il periodo nel quale nasce il diritto Canonico è circa nel periodo del ‘Rinascimento Giuridico’, pensiamo quindi al
1088, nascita dell’università di Bologna. Il primo fondamento sarà il ‘Decreto di Graziano’, che si pone all’interno di
questo contesto:

• Dal punto di vista della religione, il conteso religioso è un contesto in cui si sviluppa la ‘riforma della chiesa’, dove il
papa Gregorio VII sarà il protagonista.

• Dal punto di vista politico ricordiamo ‘la pace di costanza’ e ‘la lotta per le investiture’ che concerne il diritto di
assegnare una carica religiosa. Siamo nella logica feudale, la chiesa ne è immersa, e molti ecclesiastici svolgono
compiti civili (vescovi conti) -> si arriverà ad un concordato che placherà questo confitto : concordato di Worms.

Prima dell’anno 1000, esistevano delle opere che possiamo paragonare all’opera di Graziano. Prima di Graziano
troviamo delle collezioni, nelle quali si mettono per iscritto dei canoni (decisioni assunte da un concilio) e delle decretali
(lettere redatte dal ponteice per risolvere una questione giuridica) -> erano delle “mixtum compsitum”, cioè delle
raccolte miste dalla legge recepita e della fides (fede, ambito religioso). Il loro scopo era di fare ordine, e dare
compattezza a testi che erano autorevoli, al fine di rafforzare l’unità della Chiesa. -> erano collezioni false, con l’unico
scopo di dare forza alla chiesa.

Successivamente con la riforma della Chiesa del 1076 abbiamo delle stesure della chiesa che hanno lo scopo di di
sostenere la riforma della chiesa.

Il Decretum di Graziano
Il riformismo gregoriano e la lotta per le investiture raggiunsero l’apice con il concordato di Worms siglato dall’imperatore
Enrico V e da Papa Callisto II; questa rivoluzione papale segnò in Occidente l’autonomia della giurisdizione spirituale.
Le gerarchie di un ordinamento politico e giuridico “riformato” sollecitavano la produzione di un potente complesso
normativo, che si ebbe crescendo fino agli inizi del XIV secolo.
Il diritto canonico e la scienza canonistica si modellarono sul CIC Giustinianeo, e utilizzarono il criterio
dell’interpretazione letterale mutato dai glossatori.

Espressione diretta del riformismo gregoriano fu il DECRETUM DI GRAZIANO (chiamato in origine Concordia
discordantium canonum) del 1140, che dichiarava la volontà di conciliare le due supreme giurisdizioni. L’opera è stata
il primo sistema giuridico moderno diretto a disciplinare l’organizzazione della Chiesa.
Aveva come obiettivo:

1) Dare ordine al diritto della Chiesa: che ormai nel 1140 era diventato molto ingombrante, i concili e canoni era
moltissimi, a anche gli scritti dei padri della chiesa. Dunque la mole è sempre più grande, e andava riordinata->
Questo caos del diritto della chiesa non dava certezza al diritto della chiesa. Fatto anche per dare delle nuove
coordinate alla società, e queste coordinate sono date con la logica della riforma di Gregorio VII.

2) Concordia dei canoni discordanti: da cui prende il nome l’opera, attraverso i dicta e le 4 regole generali di
concordanza fra le norme giuridiche.

Graziano nacque probabilmente intorno alla fine del XI secolo e godeva di grande prestigio presso la Curia Pontificia,
era una maestro di arti liberali . Graziano ha avuto uno sforzo compilatorio simile a quello di Irnerio, ebbero un modus
operandi simile: i materiali raccolti e ordinati dal canonista riguardano:

‣ sia il Vecchio che il Nuovo Testamento (legge divina);


‣ I canoni di una serie di concili e sinodi locali della Chiesa (diritto umano); tra i più importanti concili ricordiamo:
• Concili di Nicea (325 d.c.): consustanzialità, che vengono studiati dagli scienziati del diritto

• Concili di Costantinopoli (381 d.c.): che trattò della nuova Roma (Costantinopoli)

• Concili di Efeso (431): il tema della natura divina di Cristo, e di Maria definita madre di Dio

• Concilio di Calcedonia (451): Cristo è un’unica persona, ma ha due nature, che sono unite ed indivisibili

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‣ Decretales dei romani pontefici (lettere redatte dai pontefici per risolvere una questione giuridica, hanno valore
di legge, diritto umano)

‣ Testi di diritto secolare, cioè del diritto romano


‣ Libri pentienziali: aggiunti ex post

Quest’opera in realtà non dista tecnicamente molto dalle numerosissime raccolte normative. Quest’opera divenne
importante, seppure essendo privata, e quindi non ufficiale (non promulgata o riconosciuta come legge dai pontefici)
perché le singole fonti raccolte da Graziano apportano all’opera il carattere della loro auctoritas originaria.

L’opera è costituita da 4 grandi argomenti:


1) disciplina della gerarchie della Chiesa,
2) disciplina del processo canonico e sanzioni,
3) disciplina delle modalità di somministrazione dei sacramenti;
4) Trattato sulla penitenza (aggiunto ex post).

Suddivisione dell’opera in 3 sezioni:


1) Prima parte dedicata a 101 distintioens : distinzioni, scomposizioni di una questione. La si spezza e la si sotto
spezza in un reticolo per risolvere la contraddizione.
2) Seconda parte, ricorda 36 casi, dividendo i casi in questioni e le questioni divise a sua volta in soluzioni.
3) Ultimo blocco vengono messi assieme i Canoni, aggiunta successivamente ex post.

Strumenti utilizzati nell’opera:

A) Dicta, ossia Glosse, brevi annotazioni di raccordo tra canoni e decretali, attraverso i quali si ottiene la conciliazione
la razionalizzazione dei principi e delle normative di varia cronologia e provenienza.

B) Auctoritates, le autorità. Per cercare di argomentare a sostegno della sua tesi cita della autorità, nulla di nuovo
perché tutto questo periodo si basa sul principio di autorità.

C) Paleae, inserite ex post: sono delle aggiunge successive al decreto di Graziano, aggiunte da suoi successori. Sono
delle fonti romanistiche messe per dare forza.

Metodo
Pone una domanda e propone delle soluzioni, al fine di individuare un metodo che sia adattabile per risolvere le
contraddizione. Si basa molto sull’approccio di oppugnare le soluzioni contrarie, e tutto questo serve anche per far
evolvere il diritto.
Un metodo sicuro che Graziano ha voluto individuare è quelle delle ‘Rationis’ ossia ‘Ragioni’ : 4 regole generali di
concordanza fra le norme giuridiche:
1) la prevalenza della legge nuova sulla vecchia (ratione dispensationis);
2) prevalenza della legge locale sulla universale (ratione temporis);
3) prevalenza della legge speciale sulla generale in quanto eccezione (ratione loci);
4) prevalenza della legge speciale sulla generale in quanto delimitazione di contenuto (ratione significationis).

Graziano applicò Il Decreto gettò le fondamenta di un ordine nuovo per il diritto della Chiesa e aprì le porte ad
un’esuberante produzione di collezioni di canoni, di glosse e di apparati di glosse (produzione decretistica) fino al XII
secolo.
La scienza giuridica decretistica raggiunse rapidamente una dimensione e una diffusione europea-> carattere universale
della giurisdizione della Chiesa di Roma.
Nel corso del tempo vennero fatte:

- la Glossa Ordinaria al Decretum di Graziano, ossia l’interpretazione letterale più accreditata e ufficiosa del teso
grazianeo, al pari di quella di Accursio al CIC -> non era necessaria questa interpretazione letterale perché il
Decretum era costituito dalla lingua della contemporaneità, quindi prevalse la produzione di summae al Decreto.

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- Summae al Decreto: obiettivi riassuntivi, sistematici ed esegetici. La Summa più importante fu quella di Ugaccione
da Pisa, compiuta prima del 1188, la quale costituisce il punto più alto di questa prima stagione della canonista
bolognese.
Inoltre possiamo ricordare che ci sono numerose le summae della scuola francese: summa coloniese, summa
parisienne, summa monacense, summa lipsiense, summa bambergense.

Decretisti

Con Graziano si evince una distinzione tra norma giuridica e norma ecclesiastica, diritto e teologia iniziano a separarsi.
I decretisti sono i successori di Graziano, e lavorano sul Decreto di Graziano:

- Uguccione da Pisa : crea una Summa sul Decreto, e sviluppa una teoria dei ‘nudi patti’, patti che devono essere
rispettati, davanti a Dio. In questo periodo si può parlare di ‘amore per le leges’, si creeranno giuristi completi quando
il diritto romano entra nel Canonico. Ma si può preferire il diritto romano per motivi di misericordia o di equità.

- Giovanni Teutonico : sviluppa la Glossa Ordinaria, che possiamo equiparare all’evoluzione della magna glossa di
Accursio

- Bartolomeo da Brescia: completerà la Glossa Ordinaria


Questi 3 nomi bastano a dimostrare che esistono giuristi che sono canonisti, nasce una scienza del diritto canonico.

La decretalistica e le nuove compilazioni


Nella seconda metà del XII secolo, con Papa Alessandro III, si apre una nuova stagione della legislazione e della
scienza canonistica, detta DECRETALISTICA.

Tra il 1188 ed il 1234, nella didattica e nella pratica canonistiche fanno la loro comparsa cinque raccolte di decretali,
ossia le Quinque Compilationes Antiquae:

1) prima Compilatio antiqua o Breviarium Extravagentium (1191): è legata a Bernardo Balbi di Pavia, Professore
dell’Università di Bologna, e viene redatta intorno al 1191, quando diviene vescovo di Faenza. Si intitola
Breviarium Extravagantium, in quanto è una sintesi che utilizza una forma abbreviata.
È costituita da 5 libri: fonti e norme generali, procedura, ordine ecclesiastico, matrimonio e diritto penale ->
ricalca la struttura del CIC e viene riprodotta anche nelle collezioni successive.

2) Seconda Compilatio antiqua (1210-1215): essa viene preposta alla terza in quanto contiene materiale
precedente, anche se viene redatta in un periodo successivo. L’autore è Giovanni di Galles.

3) Terza Compilatio antiqua: con l’aumentare delle decretali, Papa Innocenzo III si propone di giungere alla c.d.
terza Antiqua, che in realtà è anteriore a quella che viene chiamata seconda. Della redazione si occupa Pietro
Collevaccino di Benevento, che scrive la prima collezione ufficiale nella storia della Chiesa. Viene trasmessa alla
scuola bolognese che si occupa di glossarla.
-> prima collezione ufficiale

4) Compilatio IV (1216): anno del grande concilio Lateranense IV; opera attribuibile a Giovanni Teutonico, che
rimane una raccolta privata.

5) quinta Compilatio antiqua: che il Papa Onorio III, dopo l’approvazione, rimanda a Tancredi a Bologna per
procedere alla pubblicazione -> ufficiale

La storiografia parla di un “cammino verso la codificazione” del diritto della Chiesa: il passo successivo si ha con la
bolla Rex Pacificus del 1234 di Gregorio IX, con cui viene promulgato il Liber Decretalium Extravagantium o Liber
Extra: tale bolla di promulgazione VIETA DI RICORRERE AD ALTRE RACCOLTE E DI REDIGERNE, SENZA L’AUTORIZZAZIONE
DELLA S. SEDE ! quindi il testo ha:

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• forza di legge: ha abrogato le 5 compilazioni precedenti, perché lo stesso materiale normativo era contenuto nel
Liber Extra (che ha sempre 5 libri);

• ed efficacia esclusiva.

In parallelo avanza la scienza canonistica con commentari al Liber Extra.

Papa Bonifacio VIII: POTERE ALLA CHIESA ! afferma la supremazia di Pietro su tutti i poteri temporali nell’ambito
della bolla Unam Sanctam: Principi e Re sono subordinati al Pontefice, in seguito alle accuse e contestazioni
contestazioni verso il Pontefice (lotta condotta dai Colonna).

Liber Sextus (1298): la grande collezione voluta da Bonifacio VIII, in essa Celestino V conferma la sua rinuncia alla
cattedra di Pietro, per cui come evidenzia lo stesso Bonifacio VIII l’elezione del suo successore (ossia proprio Bonifacio
VIII) non deve più essere oggetto di polemiche.
Il titolo dell’opera è Liber Sextus: numero che diversi canonisti ritengono essere perfetto, deve essere una raccolta che
si aggiunge ai cinque libri del Liber Extra di Gregorio IX, con la relativa abrogazione delle raccolte ufficiali intermedie.
Lo stesso Liber Sextus è diviso in cinque libri, per materia.

Dopo la morte di Bonifacio VIII, considerati gli scontri avvenuti tra i Colonna e l’alleato Filippo il Bello da un lato e
Bonifacio VIII dall’altro, la Francia assume una posizione di forza rispetto alla curia e nel 1309 la sede pontificia si
trasferisce con Clemente V ad Avignone: si ha la “cattività avignonese”. Anche tale Papa fa raccogliere e sistemare in
cinque libri alcune proprie decretali, ma muore prima della pubblicazione, effettuata ad opera del successore Giovanni
XXII (I novembre 1317): si hanno così le Clementinae.

Giovanni XXII emana la bolla Ratio iuris il 16 settembre 1331: PRIMA COSTITUZIONE PONTIFICIA SULLA SACRA ROTA
(ISTITUZIONE DEL MASSIMO TRIBUNALE DELLA CHIESA).

L’UTRUMQUE IUS, a condizione del coordinamento dei due diritti alla luce dei criteri di ragione e di equità, garantì la
prevalenza del regime canonico solo nelle fattispecie “tipiche” del contenuto spirituale dominante (matrimonio,
usura…) su quello secolare.

Il Corpus Iuris Canonici (1500)


Nel 1500 l’editore Jean Chappius stampa il Corpus iuris canonici, l’insieme delle collezioni pontefice ufficiose ed
ufficiali fin qui ricordate, così chiamato sull’esempio del Corpus iuris civilis.

Col primo Cinqucento quindi il DIRITTO PONTIFICIO si struttura in 6 libri:

• il Decreto di Graziano,

• le Decretales o Liber Extra di Gregorio IX,

• il Liber Sextus di Bonifacio VIII,

• le Clementinae di Clemente V ,

• le Extravagantes di Giovanni XXII

• e le Extravagantes communes.

N.B.: va ricordato il rilievo della costante opera dell’interpretazione scientifica su tali testi.

Il Corpus Iuris Canonici verrà tenuto a fondamento della Chiesa fino al 1917, quando il Codice Piano Benedettino
entrò in vigore.

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Pierre Abélard/ Abelardo -> introdusse il commento


Vive nella prima metà del XI sec. oltre ad essere un importantissimo filosofo, ha conosciuto grandissimo successi,
passerà alla storia anche per essere stato un importante scrittore, ambiva a diventare un professore di filosofia in
ambito ecclesiastico, fino a che arrivò ad un periodo di crisi (attaccato dalla chiesa perché utilizza concetti considerare
eretici) che lo porterà a diventare monaco.
Per Abelardo, tutto si misura con una riproduzione di ciò che è stato già detto dalle alte autorità della chiesa. Secondo
Abelardo tutto ciò si può riprodurre con un allontanamento da un cieco dogmatismo, verso una visione più critica
delle sacre scritture e degli scritti dei padri della chiesa.

Opera di Abelardo : Sic et non del 1121, tratta di :


1) Criteri;
2) Citazioni
3) Dedica a S. Agostino

Viene scritto utilizzando :

✦ Logica e dialettica -> acquisita dalle conoscenze aristoteliche

✦ Distinzioni, metodi utilizzati anche dai glossatori

✦ Non si rifiuta il principio d’autorità (fede), ma si discutono i motivi razionali che ne imponevano la
credibilità

Con Graziano nasce il diritto Canonico?


Possiamo dire che la Chiesa sin dall’origine, con l’incremento dei suoi patrimoni, ha sentito l’esigenza di utilizzare dei
precetti giuridici, presi dal diritto Romano. Con il Decreto di Graziano si va verso l’autonomia del diritto della Chiesa.
Utilizzando però i criteri di Abelardo fanno si che tutta la mole di canoni e decretali vengono poste sotto una specie di
trattamento giuridico. Il diritto canonico inizia ad essere autonomo (come il diritto per Irnerio), inizia ad avere una dignità
scientifica. Il punto di forza di Graziano è quello di offrire una distinzione tra aspetto morale e giuridico di un canone.
Importante è anche dire che da Graziano in poi si sviluppa lo ‘ius novum’ (diritto nuovo) che si affianca al ‘ ius antiquum’
(diritto antico).

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I DIRITTI PARTICOLARI: COMUNI E DIRITTO

Il Comune cittadino
Nel secolo XI l’intera società occidentale entrò in una fase di profondi mutamenti che coinvolsero i suoi assetti
economici, politico-istituzionali e giuridici. Si ebbe una crescita demografica, incremento della produzione agraria,
l’estinguersi delle incursioni barbariche, lo sviluppo di intensi commerci che contribuirono al recupero della
dimensione di vita cittadina (cominciano a prendere forma alcune strutture regnicole come il Regno di Sicilia, di Francia,
di Germania e di Inghilterra).

Dal 1000 si hanno le città, che sostituisco i castelli che hanno caratterizzato l’alto medioevo (476-1000).
RICORDA: le città e i comuni non sono la stessa cosa, i COMUNI sono delle strutture che si caratterizzano dal fatto che
con il tempo si caratterizzano per forme di autogoverno, dotandosi di poteri e di istituzioni, è basato su un assetto
associativo (molto importante nel Medioevo!).

Quindi si ebbe la rinascita dei contesti urbani in luoghi diversi e in momenti diversi:

• Città romane, mai completamente scomparse nei secoli dell’Alto Medioevo;

• Sedi vescovili, che spesso combaciavano con città di natura romana;

• Associazionismo/concomitanza: nessuno è solo, ciascuno esiste solo in quanto in relazione con gli altri ->
associazioni di arti e mestieri o corporazioni, corporazioni di armi e di mercato. “Concomitanza” parola che
indica nella co-presenza nello stesso luogo, di più associazioni, che infine formano un comune.

Le città, quando si trasformano in COMUNE, ottengono un’emancipazione dai due poteri universali, producendo una
serie di istituzioni. N.B.: Nello stesso periodo avremo ancora il feudo (fino al 1910 circa, in Italia del sud) al posto del
comune, sono logiche giuridiche che dimostrano l’assenza del concetto di sovranità, quel potere che mette assieme il centro
e la periferia tramite la costruzione di una serie di rapporti.

I comuni nascono sulla base di rapporti relazionali (una persona ha rapporti con il comune, con la corporazione, con i
poteri universali e con tutte le persone con cui entra in comune).

I comuni nascono e si sviluppano nell’Italia settentrionale, dove il comune era una modalità di organizzazione politica
della città incardinata nel patto giurato, stretto fra le classi di potere politico ed economico, aspiranti a reggere le sorti
delle singole realtà urbane (a Genova nel 1099 un’associazione volontaria giurata di tutti gli abitanti con l’elezione di
consoli e la rinuncia da parte del vescovo all’esercizio della giurisdizione temporale; a Milano nel 1130…).

Il comune si fondava sull’ASSEMBLEA DEI CIVES/DEI MEMBRI DELLA COMUNITÀ: solitamente avveniva nella piazza
cittadina, e ne erano esclusi i soggetti privi di reddito. Nel corso del tempo, l’incremento della popolazione portò a far
partecipare all’assemblea solo i capi famiglia. E infine si ebbe un consiglio ristretto (o di credenza), composto dalle
persone più importanti che rappresentavano tutti i cittadini, e questo concilio si suddivideva in base alla capacità di
reddito:

1. Magnati: erano i grandi aristocratici, feudatari, conti baroni che non vivevano nella città, ma che possedevano
proprietà in città;

2. Cives mediani: soggetti che si erano arricchiti con la formazione della città e che non possedevano titoli nobiliari
(grandi commercianti, grandi banchieri);

3. Populus: non comprendeva tutta la popolazione, ma solo i piccoli e medie commerciati, i professori, gli avvocati.

Tutte queste 3 categorie non comprendono che il 5% di tutto il popolo del comune, il 95% quindi non aveva nessun
diritto politico, non potendo partecipare alla vita cittadina (braccianti, servi, stranieri), quindi non avevano nemmeno
nessuna tutela. Tuttavia questa rappresentatività oligarchica allargò la partecipazione al patto politico di classi sociali
fino ad allora escluse dalla gestione del potere.

Partecipazione poliedrica alla società: una persona apparteneva a più organizzazioni.

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L’assemblea non riusciva a organizzare tutta la complessità del comune, quindi nel corso del tempo produsse
numerosi istituti, portando a diverse fasi, che si sviluppano in modo diverso a seconda della comunità :

➡ FASE CONSOLARE (dal 1100 al 1200): la rinascita dei comuni inizia con la fase consolare, che rievoca il mondo
romano.
Questa fase vede accanto all’assemblea, la presenza del collegio consolare, il quale si caratterizza per la
presenza in numero pari dei consoli. Il collegio consolare era stato previsto dal patto giurato che formava il
Comune, e il consiglio ristretto consigliava e lo affiancava nelle funzioni.
Ciascun console godeva di un potere esecutivo pieno, cioè di un potere che non era condiviso per
competenze, ma ciascuno era investito totalmente di tutti i poteri (non c’era la separazione dei poteri). Di
conseguenza, ciascuna decisione doveva essere sempre presa in accordo con gli altri consoli, se questo non
avveniva, in alcuni realtà vennero previsti dei consoli di giustizia, i quali avevano la competenza di occuparsi
della giustizia delle decisioni dei consoli.
Tutti questi consoli (nemmeno quelli di giustizia), non erano tecnici del diritto, ma erano solamente espressione
dei magnati e delle altre classi -> ancora oggi il mondo anglosassone funziona così, infatti i giudici devono ragionare
per sostanza, e non per formalità, invece i giuristi ragionano e ragionavo per formalità, perdendo di vista l’equità,
principio fondamentale del medioevo, il quale consiste nella risoluzione di un caso, non dal punto di vista formale, ma
accontentando gli interessi delle parti.
Di solito i consoli rimanevano in carica per la durata di 1 anno.
Col tempo, i consoli hanno fatto emergere un problema derivante dal possesso di un potere pieno, cioè davanti
a una serie di problematiche la struttura andava in stallo, non portando ad alcuna soluzione dato che i consoli
avevano pareri diversi -> il potere diarchico comporta il problema dello stallo

➡ FASE PODESTARILE (dal 1200 al 1300): fase che vede l’introduzione della figura del podestà, una magistratura.
Il podestà è una figura che si somma ai consoli, ed è un organo monocratico e straniero, cioè il soggetto è
forestiero, viene al di fuori del comune, questo perché il potere unico e pieno, in capo ad una sola persona (non
era esercitato da un’altra persona), che doveva essere limitato temporalmente e che non doveva subire
condizionamenti (quindi straniero) -> tale organo è stato previsto per avere un governo imparziale, dopo i continui
scontri da ceti sociali diversi (dal 1200 principalmente tra borghesia e aristocrazia), è una vittoria della borghesia che
cercò di allargare le sue pretese sull’aristocrazia
All’interno dei Comuni, quando venivano chiamati i podestà, si formava il “brevia”, cioè il contenuto politico di
quanto il podestà doveva realizzare.
Tuttavia il fatto dell’essere straniero ha comportato che l’attività del potestà divenisse un lavoro professionale, e
quando il podestà si spostava da Comune in Comune, questo era accompagnato da una equipe, formata da
assessori che aiutavano il potestà nelle sue funzioni -> i giuristi all’inizio fanno parte di queste squadre, chiamati
assessori; e questi ultimi acquisiscono anche loro poteri potestativi.
Per controllare/giudicare l’operato dei podestà, una figura ormai diventata lavorativa, venne introdotto il
sindacato. Il sindaco è quell’organo all’interno della società volto a controllare l’operato della podestà -> attività
professionalizzante che porta ad una scuola di podestà, al fine di formare sempre più podestà competenti a
realizzare i brevia, al fine che questi ultimi venissero chiamati in più Comuni.

➡ FASE DEL CAPITANO DEL POPOLO (dal 1300 al 1370 circa): il Capitano del popolo è la magistratura che tutelò
gli interessi della fascia popolare della popolazione del comune (populus, 3° fascia dell’assemblea dei cives).
Questa figura si somma alla figura dei consoli e del podestà -> cercò di trovare un compromesso tra le varie
stratificazioni della società.
Il Capitano del popolo aveva anche funzioni di polizia e di giurisdizione in difesa degli interessi popolari.

N.B.: non tutti i Comuni seguono questo schema ad esempio a Venezia la struttura oligarchica della Repubblica veneta
rimane inalterata sino alla fine del Settecento.

Con gli anni ’70 del 1300 si ha la CRISI DEL COMUNE, che inizia con la decadenza giurisdizionale, poiché:

1) erano troppi gli interessi e troppe le stratificazioni.

2) ragioni economiche.

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Dal 1200 si creano alleanze tra diverse corporazioni minori che come “popolo” si uniscono e si scontrano con i magnati;
la LOTTA TRA CETI SOCIALI DIVIENE UNA LOTTA TRA PARTITI POLITICI ! tale conflitto si riflette poi nel mondo dei tribunali e dei
giuristi, da cui importanti trattati di diritto e procedura penale.

I continui scontri tra i ceti sociali portano al declino del Comune in favore delle Signorie ad opera di nobili ghibellini che
si impadroniscono dei massimi uffici comunali.
Nel Trecento quindi le città d’Italia sono invase da tiranni fino ad arrivare tra il Quattrocento ed il Cinquecento
all’assolutismo con i suoi Regni e Principati.

Le due patologie del comune:

➡ SIGNORIA (1370 circa): la crisi venne risolta con la chiamata all’interno del Comune, di un soggetto, la cui
tenuta era situata fuori dal Comune, ma che dentro al Comune aveva delle proprietà (si trattava quindi di un
Magnato facoltoso, generalmente nobile o facoltoso feudatario). Il Signore aveva l’intento di tutelare la
comunità.
Tale soggetto venne soprannominato “Signore”, e quindi molti comuni si trasformarono in Signorie quando il
Signore riuniva nella sua persona tutte le magistrature precedenti (consoli, podestà e capitano del popolo).
-> DAI COMUNI ALLE SIGNORIE.
I giuristi, in particolare Bartolo di Sasso Ferrato, dividono i Signori in due tipi:

‣ I Signori che esercitano legittimamente i loro poteri (ex parte eserciti): quando hanno ottenuto
un’investitura da parte della comunità al fine di risolvere i problemi irrisolvibili da parte delle precedenti
magistrature; tuttavia mancava la legittimazione esterna da parte dei due poteri universali.

‣ I Signori che esercitano i poteri illegittimamente (tirannus, tiranno) (ex defectu tituli): il tiranno è quel
soggetto che acquisisce una serie di potestà senza la legittimazione della comunità. Mancava comunque la
legittimazione esterna da parte dei due poteri universali.

➡ PRINCIPATO (1500): alcune Signorie si espansero territorialmente, assorbendo al loro interno tutti i comuni
limitrofi di piccole dimensioni (es: Principato di Firenze). Di conseguenza la Signoria non era più costituita da
un’unico comune, ma da più comuni, costituendo quindi un Principato (si poteva avere una Signoria senza
avere un Principato).
-> tirannia: assolutismo dei poteri legittimato dal diritto

I rapporti con i diritti universali


Il sistema del diritto comune (1100-1700) è il rapporto tra i due diritti universali, e tutti gli altri diritti particolari.
Essendo un rapporto, questo si modifica nel tempo, perché cambiano i rapporti giuridici dei diritti universali nei
confronti dei diritti particolari -> continua nei paesi di common law, dove manca una norma impositiva posta dall’alto,
permettendo al giurista di percepire le sensibilità e di trasformarle in risposte giuridiche ai vari casi concreti.
Il sistema funziona: 1) importanza dei poteri universali; 2) importanza dei poteri periferici; 3) importanza del giurista nel
regolare i rapporti tra questi poteri.
Il medioevo si basa sul pluralismo religioso e sulla mutevolezza dei rapporti.

Il nostro sistema attuale invece è a diritto codificato (1804 con Napoleone) è un sistema basato sul codice, ma questo
è già in crisi, ha perso centralità nel diritto italiano -> crisi dei rapporti tra le fonti.

Col corso del tempo i giuristi studieranno il diritto civile e quello canonico, studiano un diritto che non è direttamente
applicato, ma teorico e generali. Tuttavia questo studio gli consentirà di apprendere una serie di conoscenze al fine di
risolvere i casi pratici e particolari, e per comprendere tutti i diritti particolari.

Nel 1155, quando si aveva la seconda generazione di giuristi (i 4 dottori) e l’istituzione dei comuni, l’Imperatore
Federico I Barbarossa decise di intervenire contro i comuni, i quali si erano proclamati indipendenti e autonomi.
SCONTRO COMUNI-IMPERO ! nella dieta di Roncaglia i giuristi (in particolare i 4 dottori) intervengono, per la
prima volta in ambito operativo, per siglare la Pace, che era un atto contrattuale, in favore dell’Imperatore, proprio
perché studiarono il Corpus Iuris Civilis, basato sul diritto imperiale romano, ma anche perché ebbero come secondo
fine l’ottenimento di alcuni diritti in favore dei docenti e degli studenti.

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Infatti, Federico I Barbarossa concesse la COSTITUZIONE HABITA (1158) che garantiva agli studenti e ai docenti stabilità
e prosperità, grazie a delle concessioni (libertà di movimento agli studenti e ai docenti, esenzione dal pagamento delle
tasse, protezione imperiale degli studenti e dei docenti; foro privilegiato -> pag. 64) -> gli studenti diventano la
categoria più privilegiata del medioevo.

La pace tra Impero e Comuni si ottenne con l’emanazione da parte di Federico I Barbarossa della COSTITUZIONE DE
REGALIBUS, “sulle regalie”, emanata nel 1158 nella dieta di Roncaglia, la quale ribadiva la centralità del potere
imperiale e l’inesistenza di qualsiasi altro potere che non avesse avuto la concessione imperiale.
Per redigere la costituzione de regalibus, i giuristi richiamarono 3 costituzioni imperiali romane (III-IV secolo), contenute
nel CIC (quindi questi giuristi avevano studiato anche i Tres libres, gli ultimi 3 libri del Codex che venivano studiati
separatamente rispetto agli altri libri del Codex):

✦ Constitutio omnis: ribadiva che ogni potere giurisdizionale e ogni potere amministrativo risiedeva sempre
nella figura dell’Imperatore o di un soggetto da lui delegato -> i comuni non avendo la legittimità erano
solamente un mero fatto, l’eventuale esistenza giuridica avveniva solo e soltanto grazie all’intervento dell’Imperatore.

✦ Constitutio palatia: “palatia” era il testo documento cui l’Imperatore poteva risiedere e stabilire le proprie
residenze in qualunque parte del mondo. La presenza di un palazzo imperiale era l’elemento simbolico
(importante nel Medioevo) che definiva la presenza dell’Imperatore in ogni città.

✦ Constitutio tributa: era la costituzione che prescriveva tutto il sistema tributario che le varie realtà periferiche
dovevano all’Imperatore.

Dalla dieta di Roncaglia, i comuni vedevano represse qualsiasi tipo di immunità, nel 1167 venne costituita la Lega
lombarda, alla quale aderirono i Comuni di Milano, Bergamo, Brescia, Verona, Bologna, Mantova, Cremona, per
combattere il potere imperiale.

Si ebbe la sconfitta imperiale nella Battaglia di Legnano del 1176 a cui seguì il TRATTATO DELLA PACE DI COSTANZA
(1183), con cui l’Imperatore riconobbe ai comuni italiani il legittimo esercizio delle facoltà giurisdizionali e
amministrative , già da essi esercitate sin dall’inizio del secolo XII.
-> INIZIA IL PERCORSO DI AUTONOMIA DEI COMUNI: l’Imperatore doveva riconoscere le magistrature comunali
(non erano più dei fatti), in cambio queste ultime dovevano sottostare, riconoscere l’Imperatore. Tuttavia questo
omaggio nei confronti dell’Imperatore si perderà nel tempo, e quindi i comuni diventeranno sempre più autonomi, fino a
non necessitare più l’autorizzazione imperiale verso la metà del 1200 (periodo coincidente con Accursio, con la fine e
massima espressione dell’età della glossa) -> alla fine del 1200 i comuni godono della lex municipalis, ovvero la capacità
del comune di produrre un proprio quadro normativo, chiamato statuto comunale, che aveva vigenza territoriale.

Ricorda: la lex è prerogativa esclusivamente dell’Imperatore!

Il diritto dei Comuni


I cives erano i soggetti di un diritto cittadino vigente senza distinzione di status, che costituiva il diritto territoriale/
particolare (iura propria,) in cui convivevano il filone consuetudinario e quello legislativo. Il comune si basava sullo
STATUTO COMUNALE che era costituito dalle seguenti fonti:

1) consuetudini locali stabilizzate dal tempo e dall’uso;

2) brevia: testi dei patti giurati stretti fra le magistrature di governo e i cittadini (i brevia dovevano essere rispettati
dai podestà);

3) Statuta in senso stretto (inizio ‘300): deliberazioni dei consigli cittadini (assemblea), che prendono il loro
nome da: “staere”, cioè mettere, e “sciat”, poiché gli statuti prima di essere approvati, venivano letti davanti al
popolo il quale pronunciava il verbo “sciat” al fine di approvarlo.
Gli statuta erano una produzione normativa stratificata, che si sommava e si collegava a tutte le produzioni
normative precedenti (non c’era organicità), ed era una produzione casistica, e quindi non astratta -> fino a che
non nasceva una necessità non si produceva una norma (grande importanza per il diritto criminale e la
corrispondente procedura).
Gli statuta generalmente venivano redatti in 2 documenti identici (1 tenuto segretamente nella sede comunale).

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Gli statuta incorporano le diverse norme vigenti in città, seguendo una struttura ratione materiae sull’esempio
giustinianeo.

Mario Sbriccoli (professore ordinario di Storia del diritto ordinario all’Università di Macerata) sostiene che lo
statuto ha natura politica, in quando è uno “strumento legislativo”, quindi l’interpretazione dello statuto non può
essere esclusivamente giuridica, neutra e imparziale, ma deve riferirsi anche all’aspetto politico.

Caratterizzazione politica dello statuto + attitudine ideologica del giurista, in quanto legato al suo impegno politico =
non è possibile una scissione tra l’impegno politico del giurista (attivo nella vita cittadina) ed il Doctor che egli è !
egli è perciò, più o meno palesemente, un “uomo di parte”, schierato politicamente.
È profonda l’integrazione tra il giurista e la società.

Mario Sbriccoli, inoltre, divide la curva relazionale tra giuristi, istituzioni politiche municipali e l’impero, in
cinque fasi:

1. NASCITA DEL COMUNE E RECIPROCO SOSPETTO: si creano delle comunità all’interno delle quali viene
prodotto diritto, un diritto nei confronti del quale gli stessi giuristi nutrono delle perplessità. I comuni
nascono e al loro interno si sviluppano le università
-> per i poteri imperiali la nascita del comune è qualcosa di irrilevante.

2. CRESCITA DEL COMUNE E GENERICA COLLABORAZIONE: crescita del comune e si ha collaborazione tra
comuni e impero (pace di Costanza). Le due realtà sono entità che collaborano grazie all’intervento dei
giuristi.

3. MATURITÀ DEL FENOMENO COMUNALE E IDENTIFICAZIONE DEI GIURISTI NELLA CLASSE DIRIGENTE: con la
crescita e l’affermazione anche a livello commerciale dei Comuni, i giuristi iniziano ad assumere cariche
pubbliche, i podestà diventano tecnici del diritto;

4. DECADENZA DELL'ESPERIENZA COMUNALE E COINVOLGIMENTO DIRETTO NELLE TRASFORMAZIONI


ISTITUZIONALI: decadenza dell’esperienza comunale e il convincimento diritto del giurista nelle
trasformazioni del comune. Siamo in quella fase in cui il comune inizia a cambiare volto, a rimanere
autonomi, ma a cambiare forma (Signorie e Principati).

5. FINE DELL'ESPERIENZA COMUNALE E TENTATIVO DI FAR RIENTRARE LO IUS PROPRIUM NELL'AMBITO DEL
DIRITTO COMUNE: esaurimento totale di questa esperienza comunale e signorile. Tentativo di far entrare il
diritto statutario (ius propriu), nel diritto comune. Es: Per cui lo ius propriu di Firenze diventa universale per
tutti i comuni che ne stanno sotto, rimanendo però ius propriu per la città di Firenze.

Gli statuti si dividevano in libri e contenevano tutti i privilegi che erano stati ottenuti dal Comune nei confronti
dell’Imperatore e del Pontefice:

- Libro Primo: libertà di circolazione assieme alla libertà di commercio (permettevano l’espansione e l’aumento di
importanza politica del comune) -> una sorta di diritto costituzionale del comune, venivano inserite tutte le misure
organizzative comunali (es: spiegate le cariche, le modalità di elezione…)

- Libro secondo: elementi legati alla prospettiva privatistica, sia dal punto di vista processuale che sostanziale;
- Libro Terzo: conteneva la parte criminalistica, sia dal punto di vista processuale che sostanziale;
- Libro Quarto e/o Quinto: contenevano una serie di contenuti generici, tendenti all’amministrazione urbanistica (es:
informazioni economiche, informazioni amministrative, rapporti col contado, rapporti col commercio interno o
esterno)

Rapporto statuti-diritti universali:

• Da una parte presuppongono i due diritti universali: usano una terminologia, un lessico giuridico e un contenuto in
cui spesso tutte le definizioni e i concetti, non vengono esplicitati, ma vengono presupposte dato che il lettore
dovrebbe conoscere i due diritti universali;

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• Dall’altra li contrappongono: il diritto comunale: spesso il diritto comunale è speciale in riferimento ai due diritti
comuni, quindi la norma speciale deroga quella generale.
-> i giuristi dovevano essere preparati in principi, in particolare dovevano essere preparati in tesi, antitesi

Lo statuto comunale acquisiva importanza con l’aumento dell’importanza politica ed economica del comune
-> ad un certo punto i comuni scelgono le proprie magistrature e non devono nemmeno comunicarle all’Imperatore
(1250 circa).
Tali rapporti verranno capiti solo in seguito allo studio dell’approccio dei giuristi nei confronti dello statuto, che sono
variati nel tempo:

1) Inizialmente, i giuristi ritengono lo statuto comunale come un mero fatto, che non aveva nulla di giuridico (dieta di
Roncaglia);

2) Teoria della permissio: con la Pace di Costanza (1183), si dimostrò che i comuni potevano avere una propria
autonomia, e una propria magistratura, ma solo con la comunicazione della loro esistenza all’Imperatore. La
comunicazione consisteva nell’autorizzazione imperiale (permissio) rivolta alla magistratura per poter operare, la
riconosceva.

3) Teoria della iurisdictio: teoria sostenuta da Baldo e si basava su un passo del Digesto, nel quale veniva sostenuta
la constitutio omnes hominis: tutti, che sono retti da leggi e consuetudini, si servono di un diritto, che da un lato è
un diritto di tutti gli uomini del mondo, e dall’altra parte è un diritto speciale/specifico. Dove c’è una società/
collettività c’è un diritto.

4) Teoria ius-gentium:

Teorie sulla potestas condendi statua


Al fine di giustificare la potestas condendi statuta degli ordinamenti cittadini, diverse sono le teorie che sono state
elaborate dai giuristi, al fine di ammettere l'obbligatorietà di norme che non derivavano dall'imperatore, erede del
popolo romano, unica fonte di diritto.

➡ BARTOLO (metà del 1300 al 1400)


La teoria di Bartolo (esposta a Perugia nel 1343) si sviluppa a partire dalla domanda «Quis possit facere
statuta?», domanda a cui cerca di offrire una risposta.
La soluzione risulta differenziata in base alla natura dei singoli ordinamenti:

A) se le comunità sono soggette all'autorità di altre civitates o domini, la potestas condendi statuta è
estremamente limitata e, per alcune materie, è necessaria la confirmatio del superior;

B) se invece le comunità dispongono di una iurisdictio, possono esercitare questa potestas nei limiti della
iurisdictio di cui sono titolari.

Bartolo si concentra sul concetto di lex omnes populi per la giustificazione degli statuti (populus è qualunque
aggregato sociale che si dà delle regole); la lex dice che tutte le comunità sono rette da un diritto particolare o
generale.
Bartolo afferma che tutti i popoli che hanno iurisdicionem, hanno un diritto proprio, un diritto positivo della
comunità (statuti e consuetudini). Secondo Bartolo, il potere legislativo dei Comuni deriva dal potere
giurisdizionale e perciò l’ampiezza del primo dipende dall’ampiezza del secondo. Fonda quasi un nuovo diritto
costituzionale.

➡ RANIERI ARSENDI (metà del 1300)


Ranieri Arsendi contesta la teoria di Barolo sostenendo che:

1) non vi è collegamento tra iurisdictio e potestas condendi statuta, e rivendica il potere dell'imperatore di
revocare questa potestas, tornando alla permissio;

2) la lex omnes populi non fa riferimento agli statuti, ma genericamente a delle norme, soprattutto
consuetudinarie, osservate dal populus, che hanno cioè il consensus populi;

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3) il popolo deve poi ottenere conferma dal superior, che interviene nella fase stessa della proposta di legge
all'assemblea;

4) per altro il Signore non può deliberare senza il consensus civium, altrimenti le sue disposizioni hanno
efficacia inferiore agli statuti

! QUINDI: Arsendi giustifica la posizione dei Signori rispetto alla comunità cittadina ! lui opera in
questa realtà istituzionale e in effetti gli statuti in quelle realtà prevedono procedure del tipo da lui enunciato:
fondamentale è la necessaria garanzia del consensus populi.

La teoria di Bartolo, che incentra tutto il ragionamento sulla iurisdictio senza fare riferimento al consensus
populi, è potenzialmente pericolosa per le città libere. Se in qualche modo un soggetto ottiene una dignitas,
una qualche legittimazione che lo investe di iurisdictio, ecco che solo lui avrebbe la potestas di fare leggi. Non
risulterebbe necessario richiedere alcun consesus populi, visione inconcepibile per l’Arsendi.

➡ BALDO degli UBALDI:


Baldo e la sua teoria del “sublime sillogismo”: l’esistenza dei popoli è de iure gentium, fondata sul diritto delle
genti, e quindi anche il regimen populi, l’ordinamento del popolo, si fonda sul ius gentium, dato che i popoli non
possono esistere senza il proprio regimen (ordinamento), che è fondato su leggi e statuti.

Il ruolo dei notai


Importante fu il contributo del notariato alla legittimazione delle nascenti nuove aggregazioni.

Formati in apposite scuole professionali, rientranti tra le arti liberali, si tramandavano per generazioni la facoltà di
rendere “pubblici” ovvero opponibili a terzi, i documenti da essi rogati. Tale facoltà discendeva dalla concessione
da parte dell’Imperatore o di un grande feudatario e si materializzava nel possesso del sigillo recante il logo
dell’autorità concedente. La giustapposizione del sigillo alla firma del notaio aveva la forza di pubblicare l’accordo
stretto fra le parti e confortato da testimoni. Questa stessa procedura venne usata per siglare e pubblicare le
dichiarazioni giurate costitutive degli organismi comunali.

Nei decenni centrali del XII secolo, diversamente da un secolo prima:


l’ATTO NOTARILE fa PIENA PROVA ! grazie alla CONSUETUDINE
Il RUOLO dei notai è assicurare la CERTEZZA nei rapporti giuridici mediante l’instrumentum (= documento) ! la
facoltà di rendere “pubblici” i documenti da essi rogati.

Vi sono raccolte di modelli di atti notarili: i FORMULARI ! il primo formulario bolognese è posteriore di quasi un
secolo rispetto ad Irnerio.

Il ruolo dei notai fu importantissimo nella legittimazione dell’organizzazione comunale, e in seguito alla pace di
Costanza (1183), la burocrazia cittadina venne perfezionata, ad esempio a Bologna si istituì una matricola dell’arte che
fu l’atto di nascita della corporazione della societas notariorum; una cultura, quella notarile, che rimase a lungo ars
notaria, vale a dire insegnata nelle scuole di arti liberali per la sua connotazione concretamente legata al sapere
grammaticale, che solo dalla metà del ‘300 entrò a far parte dello Studio dei giuristi.

Il notaio Salatiele tentò di ancorare i percorsi scientifici e formativi a quelli della iuriscivilis sapientia, mentre Rolandino
de’ Passeggeri scrisse la Summa totius artis notariae, che fu il manuale che formò generazioni di notai fino all’età
moderna (era un impianto sistematico ed espositivo, di derivazione scolastica, adatto alle esigenze della quotidiana
pratica professionale).

La dialettica delle fonti nell’esperienza del diritto comune: convivenza e covigenza


Nei secoli XI-XIII l’intera Europa era segnata da una fitta trama di diritti particolari: di una città, un territorio signorile,
un regno ecc. Questo disordine normativo si deve al fatto che al tempo, nessuna terra era priva di un legame diretto
(feudi, comuni, città) o indiretto (es: il Regno di Francia) con i due poteri universali dell’Impero e della Chiesa. Da essi le
istituzioni territoriali derivavano la legittimazione di ogni funzione giurisdizionale e ne conseguiva la vigenza dei due
diritti comuni: il civile (complesso giustinianeo) e il canonico (divulgato dalla decretistica e dalla decretalistica a partire dal
Decretum di Graziano).
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Il SISTEMA DEL DIRITTO COMUNE, secondo Francesco Calasso:

A) diversi modelli di abbinamento delle fonti, di diritto particolare e universale (Chiesa e Impero), vigenti
all’interno di ogni singolo ordinamento giuridico.
Nella decisione del caso di specie, il giudice ricerca la norma corrispondente nel medesimo statuto e nel caso
manchi, nelle consuetudini della città, e infine attinge al diritto comune civile o canonico -> gerarchia delle fonti: 1)
statuto; 2) consuetudini; 3) diritto civile o canonico.
Tuttavia tale ordine gerarchico mutava di comune in comune:

• Da un trattato del 1240 di Uberto da Bobbio, emerge che sulla disciplina delle condictiones, azioni finalizzate al
recupero di crediti di certa pecunia o certa res, insistono norme diverse: precede la legge imperiale e civile, segue
lo statuto, quindi le consuetudini e infine il diritto canonico e divino. -> gerarchia: 1) legge imperiale e civile, 2)
statuto, 3) consuetudini, 4) diritto canonico e divino.

• Nella repubblica di Venezia veniva escluso il diritto comune dalle normative vigenti per garantire la città da un
diritto che discendeva dall’Impero, rispetto al quale si pretendeva autonomia.

• Nel Regno di Sicilia i giudici erano tenuti ad applicare la legge regia, le consuetudini approvate e infine il diritto
comune.

Nel Duecento, secolo del “diritto comune classico” la giurisdizione particolare era circoscritta alla materia
pubblicistica, comprendente le modalità elettive delle magistrature locali e il versante del diritto criminale; era
escluso quindi tutto il diritto civile del diritto delle persone, dei contratti, obbligazioni ecc. Mano a mano però gli
interventi legislativi allargarono il raggio d’azione dei diritti particolari ai rapporti di diritto privato, riducendo lo spazio
d’intervento del diritto comune.

B) Iura propria e ius commune utilizzavano la lingua universale del latino e ricorrevano al vocabolario dei giuristi
romani.
Se la giurisdizione locale prevedeva che la norma da applicare al caso di specie, doveva appartenere al ius proprium
– statuario, consuetudinario, longobardo, feudale, signorile, regio- il giudice o l’avvocato non poteva prescindere dai
significati “comuni”: il diritto comune costituisce canone interpretativo universale che circostanzia e disciplina le
figure giuridiche.
-> grande importanza dei giuristi che dovevano: estendere/redigere i diritti particolari per delega delle istituzioni,
arbitro della giustizia pubblica, certificatole degli accordi tra privati

Le esigenze della pratica


Dopo la potente consolidazione di Graziano, due fenomeni esercitarono un ruolo uniformante fra gli iura
universali:

1) la produzione di decretali che fu sistematizzata nelle Quinque compilationes antiquae riassorbite nel Liber extra
di Gregorio IX (1234);

2) l’ingresso del diritto romano nella dottrina e nella didattica dei canones (un’apertura legata al canonista
Uguccione da Pisa e alla sua Summa Decreti).

Una politica della Santa Sede, emblematizzata dalla Super Specula di Onorio III, vietava l’insegnamento del diritto
romano nello Studium di Parigi, ma mirava solo a contrastare un’eccessiva mondanizzazione dei ministri di culto
nonché l’infiltrazione di tesi ereticali.

A partire dal primo Duecento non era raro incontrare canonisti che tenevano anche insegnamenti di leggi.
NELLA DECRETALISTICA DUECENTESCA L’INTEGRAZIONE DEL DIRITTO CANONICO E DEL DIRITTO CIVILE ERANO UN’UNICA
SCIENTIA IURIS -> si cominciano a rilevare le concordanze che uniscono i due ordinamenti, piuttosto che le differenze.

Seppure i due diritti avevano origini separate, il rito processuale nei rispettivi tribunali si era nutrito delle leges
giustinianee arricchite da tantissimi canoni e decretali, e c’era l’intento di tradurre l’intricato sistema delle azioni
romanistiche e del processo extra ordinem giustinianeo all’interno del contenitore medievale del libello scritto (come
fece Roffredo con i Libelli).

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La discussione scolastica delle quaestiones de facto contribuì in modo incisivo alla recezione di diritti pratici nel
dibattito scientifico: particolare attenzione fu data alla legislazione statuaria alla quale nel ‘200 i dottori di leggi, nel
loro ruolo di consiliatores delle magistrature comunali, applicavano i canoni della scientia iuris. -> Il processo logico
della specificazione prevedeva l’applicazione della norma statuaria nel ragionamento giuridico sviluppato nel Corpus
iuris civilis; l’appartenenza degli statuti al diritto comune venne legittimata, assimilandoli alla consuetudine a cui lo
stesso Giustiniano riconosceva forza pari, se non superiore, a quella delle leges in quanto espressa dal consenso del
popolo.

Per praticità vennero utilizzate le summae e i tractatus quaestionum, che consentivano un rapido aggiornamento dei
materiali grazie all’aggiunta e alla sostituzione di singole unità (Il diritto e la procedura penale costituirono infatti un
ponte tra il diritto statuario e la scientia iuris scolastica).

Con la sconfitta definitiva e la morte di Federico II di Svevia, la sconfitta dei ghibellini e le violente lotte intestine,
accentuarono nella città il ricorso a misure repressive che segnarono la nascita di nuovi istituti: come il bando e la
confisca dei beni per gli avversari politici (risposte introvabili nel Corpus Iuris).

Il rito inquisitorio, a differenza di quello accusatorio che era avviato dalla vittima del reato, aveva carattere “pubblico”:
il giudice, una volta informato di un delitto, aveva il dovere di compiere le indagini necessarie ad accertare le
responsabilità dell’imputato.

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IL DIRITTO DEI MERCANTI E DEL MERCATO

Nel vasto mondo di diritti medioevali va ricordato per il suo rilievo pratico il diritto commerciale e marittimo.

- UTRUMQUE IUS = DIRITTO ROMANO + DIRITTO CANONICO


- Tra i DIRITTI PARTICOLARI ! DIRITTO COMMERCIALE E DEL MARE

Il DIRITTO COMMERCIALE nasce nelle città medievali italiane e si diffonde in Europa per le esigenze dei commercianti
ed artigiani attivi nella rinata economia urbana.
-> tramonto dell’economia fondiaria curtense

All’interno di un comune si trovavano numerose corporazioni, con un proprio statuto, e con cariche pubbliche.
-> particolarismo giuridico

Per la difesa dei propri interessi economici e cetuali, mercanti e artigiani si organizzarono nei comuni cittadini in
associazioni giurate, le corporazioni di arti e di mestieri, titolari di un potere di autoregolamentazione che
esercitavano attraverso l’emanazione di specifici statuti.

La più importante corporazione è quella dei mercanti, i quali elaboreranno tutte le categorie del diritto
commerciale, infatti si parlerà di lex mercatoria, ossia quelle consuetudini che si applicano a prescindere dal rapporto,
quindi a tutte le fattispecie contrattuali, solo per la presenza di un mercante -> è importante l’elemento soggettivo.
In caso di controversia, si procedeva tramite una giurisdizione all’interno della corporazione mercantile.

LE FONTI DEL DIRITTO MERCANTILE:

➡ LEX MERITORIA (CONSUETUDINI E PRATICHE CONTRATTUALI CONSOLIDATE) -> spesso recepite all’interno degli
statuti corporativi;

➡ STATUTO CORPORATIVO: fonte normativa di diritto speciale tipica della corporazione, si sviluppa a partire dal
secolo XII.
Lo statuto contiene una serie di norme di organizzazione interna e di polizia, analoghe rispetto a quelle
comunali (Statuti corporativi e statuti comunali sono due fonti normative con profili simili, con un analogo contenuto
ed organizzazione della materia trattata, come analoga è l’organizzazione istituzionale che governa il gruppo), che
hanno origine consuetudinaria.
Lo statuto viene trascritto a partire dal XIII secolo e le sue norme vengono aggiornate da una commissione di
statutari.
Allo statuto corporativo venivano integrati gli statuti locali, civili e criminali.
Per costituire e aggiornare lo stauto coprotratvio si faceva utilizzo di consulenti giuridici, i quali erano dei
giuristi dotti, di formazione universitaria, pertanto questi ultimi hanno portato ad un progressivo avvicinamento
di tale diritto speciale ai diritti universali, i quali erano una fonte normativa residuale (a volte i divieti del diritto
canonico, come nel caso dell’usura -commercio del denaro con un tasso di interesse-, erano avvertiti come un
ostacolo all’attività mercantile.

➡ STATUTI MARITTIMI: si formano nei centri portuali mediterranei (su base consuetudinaria) per disciplinare la
navigazione e il commercio marittimo.

➡ TRATTATI INTERNAZIONALI: molto diffusi tra i Comuni italiani, prevedevano reciproche concessioni in tema di
persone e merci, oltre che a misure fiscali e garanzie processuali che servivano ad agevolare il lavoro dei
mercanti.

➡ GIURISPRUDENZA ESPRESSA DALLE MAGISTRATURE MERCANTILI CONSOLARI, le quali erano poste all’interno
delle singole corporazioni di arti e di mestieri.

! Quanto agli statuti delle colonie e in genere degli stabilimenti commerciali al di fuori dello Stato, il loro
contenuto è sempre di carattere commerciale e politico.

I CARATTERI TIPICI DEL DIRITTO COMMERCIALE basso-medievale erano:

1) universalità: gli istituti commerciali (ma anche marittimi) erano nati dalla cooperazione tra i mercanti e
i notai, e avevano origine consuetudinaria, col passare del tempo vennero trascritte e racchiuse in
compilazioni, quali il Consolato del mare.
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Di conseguenza, con l’aumentare dei traffici questi nuovi istituti commerciali vengono applicati in
ordinamenti e Paesi lontani tra loro (N.B: anche in Inghilterra, accanto al Common Law, venne creato il Law
Merchant, che derivava direttamente dalle consuetudini delle città italiane).

2) specialità: lo ius mercatorum era un diritto speciale, e quindi prevaleva sia sui diritti particolari del
territorio, sia sul diritto comune (canonico+romano). La specialità era lo status professionale di
commercianti e artigiani.

I nuovi istituti commerciali (il CIC non prevedeva una così grande varietà di istituti):

✦ il contratto di cambio: si trasferiscono virtualmente somme di denaro da una piazza all’altra; è documentato per
iscritto tramite una ricevuta rilasciata dal cambiavalute attestante un debito e una promessa di pagamento. Si
sostituisce poi con una scrittura privata, la lettera di cambio, con la quale il debitore dà ordine a un suo
emissario di liquidare la somma (ciò determinerà la nascita dei cambiatori, che sono i precursori dei banchieri).

✦ la rogadia: un “contratto di favore” stretto tra due mercanti in cui uno si impegna a trasportare e a commerciare i
beni dell’altro sul solo rapporto di collaborazione e reciproco supporto, quindi senza un compenso previsto.

✦ Il prestito a cambio marittimo: la somma di denaro data a prestito, o le merci, devono essere trasportate via
mare a rischio del mutuante. Prevede in capo al debitore di corrispondere la restituzione del quantum ricevuto in
mutuo più elevati interessi.

✦ Il contratto di “colleganza” tipico delle regioni adriatiche o il contratto di “commenda” delle regioni tirreniche:
prevedono un soggetto che fornisce in tutto o in parte il capitale commerciale rimanendo a terra e un
professionista che si accolla i rischi della navigazione e si impegna a restituire il capitale.

✦ l’assicurazione: una persona assume il rischio di un’altra impegnandosi a pagare una somma di denaro in caso
si verifichi un sinistro. L’assicurato si vincola a versare un quantum corrispondente al rischio assunto da altri.
(risponde al bisogno di sicurezza e di garanzie degli operatori del commercio).

✦ la compagnia: prevede la responsabilità solidale e illimitata di ogni socio per l’obbligazione assunta da uno di
essi (moderna società in nome collettivo)

I nuovi istituti nascono da 3 esigenze principali:

1. la necessità di individuare forme di credito “cartolare” (es.: cambiatori);

2. il regolamento di nuove professionalità;

3. si prefigura l’emersione di forme societarie con responsabilità solidale dei mercanti consociati verso i terzi
contraenti.

LA GIURISDIZIONE MERCANTILE

Il diritto commerciale è un diritto speciale, pertanto ha bisogno di una propria giurisdizione

Dal X-XI secolo vediamo esistere una procedura particolare, rapida, applicata ai mercanti.
Inizialmente era una procedura che si svolgeva presso i consoli della corporazione e, raramente, si chiedeva il
consilium di un giurista esterno: addirittura in certi statuti vi è il divieto di farsi assistere da avvocati.

La procedura speciale era adottata quando erano parti in causa i membri della corporazione, ma la si estendeva anche
ai mercanti stranieri e ad altri soggetti quando si tratti di causa mercantilis.

Ciò che contraddistingue questa procedura è la rapidità:


1) niente rinvii e niente eccezioni;
2) limitazione delle prove ammesse;
3) esclusione dei difensori tecnici;
4) inappellabilità;
5) rapida ed efficace procedura di esecuzione.

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Si svilupparono quindi procedure fallimentari, che miravano a riparare nel modo più ampio possibile il danno sociale
causato dall’insolvenza del mercante.

Vengono poste una serie di deroghe al diritto canonico:


-> i creditori erano posti tutti sullo stesso piano (non vi sono creditori privilegiati);
-> si presumeva la frode (non è necessaria la prova).

Età moderna
Nei secoli di età moderna, XVI-XVIII secolo, il ceto borghese mercantile e artigiano perde influenza politica e lo ius da
dritto di classe diventa “diritto statuale” e da diritto universale a “diritto nazionale”. Ciò grazie alle scoperte
geografiche (avviate per la crisi del mercato mediterraneo che ha portato lo spostamento dei commerci europei da
Oriente a Occidente) che portano alla colonizzazione.

La politica economica europea si identifica con il mercantilismo, che affidava alle monarchie la gestione in
monopolio su attività manifatturiere e sulle grandi rotte del commercio marittimo. La borghesia mercantile tuttavia non
perse la sua forza.

Si passa dalla giustizia mercantile delle corporazioni ad appositi tribunali speciali di commercio, i cui magistrati
(mercanti) sono di nomina regia.

LA LEGISLAZIONE REGIA:
- mina il carattere di esclusività della giustizia mercantile,
- ma, come già accennato, inizia ad individuare nell’elemento oggettivo (l’atto di commercio) il criterio discretivo tra
giurisdizione commerciale ed ordinaria.

Il diritto commerciale si avvia a divenire un diritto pubblico, in quanto frutto dell’assolutismo monarchico !
“Ordinanza sul commercio” 1673, emanata da Luigi XIV, concepisce l’esercizio della mercatura, come un privilegio
concesso dal sovrano, che viene disciplinato da lui stesso;
“Ordinanza della marina” 1681 emanata sempre da Luigi XIV, con l’aiuto del ministro Colbert, affronta il problema di
disciplinare le pratiche de commerci via mare affidate da secoli agli usi e alle consuetudini.
-> tutte e due le ordinanze vengono riprese nel “Code de commerce” napoleonico del 1807 -> formalizzazione del
processo di esternalizzazione del commercio commerciale, che viene considerato come un “Diritto degli atti di
commercio”, e non più del “Diritto dei commercianti”.

In età moderna la penisola italiana è tagliata fuori dalle rotte mercantili e frammentata politicamente, tuttavia
vengono rinnovati i caratteri dell’universalità e della specialità del ius mercatorum.

La nascita della dottrina commercialistica vede l’impegno di Benvenuto Stracca che nel 1553 con il Tractatus de mercatura
seu mercatore espone in maniera sistematica il diritto commerciale. riuscendo a ricondurre gli istituti e i riti della prassi
mercantile alle figure di diritto giustinianeo con un potente sforzo normativo.

L’organizzazione delle corporazioni


A capo delle corporazioni commerciali c’erano i consoli, in genere eletti per un anno, e con un ambito vasto di
competenze/poteri: amministrazione, polizia, giurisdizione.
Le decisioni più importanti erano prese da un Consiglio maggiore, spesso coadiuvato da un Consiglio minore ->
anche in questo caso rispecchiavano gli organi assembleari comunali e repubblicani

Faceva parte della corporazione chi esercitava un’attività mercantile e possedeva buona fama, giurando di accettare le
norme sociali.

N.B.: Anche le corporazioni degli artigiani avevano questa struttura.

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LE ORIGINI MERCANTILI DI UN COMUNE: GENOVA E LA COMPAGNA


A Genova non esisteva una corporazione di mercanti perché tutti si occupano di Mercanzia: quindi erano gli stessi
statuti civili a contenere le norma in tema di commercio, e la loro importanza per la vita della città era tale, che
questa disciplina passerà nella normativa politica, “costituzionale”.

A Genova era nata un’associazione privata, la Compagna, per esigenze commerciali di un gruppo ristretto di
soggetti, riuscì a porsi in città come una struttura politica dominante, imponendo il suo controllo amministrativo e
giurisdizionale nei confronti di tutti i soggetti che vi abitavano, e finì per imporre il proprio modello organizzativo
trasformando Genova in un “Comune”.

La progressiva identificazione tra Compagna e Comune si ha con la graduale affermazione di nuove forme
economiche. Anche i nobili si trasferirono all’interno del Comune e cominciarono a rischiare le proprie ricchezze
nell’attività commerciale, entrando nella logica sociale della Compagna.

Durante l’XI secolo la Compagna, si dà un organo di direzione costituito da quattro consoli, che nel XII secolo si
specificarono in consules de placitis e consules de commune, che erano delle magistrature temporanee.
Il comune si dotò di una struttura amministrativa, giurisdizionale e di una organizzazione militare, per contrastare
le pretese di altri poteri eminenti: il vescovo e il visconte.

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LA GIUSTIZIA:
tra il sistema romano-canonico e le realtà particolari

IL PROCESSO ROMANO-CANONICO
Le linee del PROCESSO ROMANO-CANONICO vengono tracciate dalla dottrina del diritto comune. Si creano
centinaia di problemi nel tempo, ma alcuni elementi di tale processo si conservano, seppure con modifiche legate
anche ai diversi ordinamenti locali.

Il processo si basa sulle fonti legislative locali a cui si aggiungono, con integrazioni sostanziali, le norme di diritto
comune. Si tratta di un PROCESSO FORMALIZZATO, principalmente scritto, con regole probatorie molto
specifiche.
-> Centrale è il ruolo delle parti e dei difensori, sia nell’iniziativa, che nella conduzione delle argomentazioni che fondano
la sentenza del giudice o del suo consulente.

IL CONSILIUM SAPIENTIS
Durante l’età comunale matura, si avevano le magistrature elettive:

‣ podestà ed ai suoi assistenti,


‣ il capitano del popolo quando previsto (Duecento),
‣ i consoli di giustizia risalenti alla prima età comunale, ma che nella seconda età dei Comuni necessitano di
avere una determinata competenza giuridica, seppure non sono necessari né la frequenza universitaria, né la
laurea quindi (! come per i Collegi dei giudici)
Dalla metà del 1200, i giudici di frequente affidano a uno o più giuristi di professione la redazione di un parere
legale per casa aperta (tendenzialmente iscritti al collegio dei giudici della città): il parere commissionato dal
giurista al tribunale (consilium sapientis iudiciale), viene quindi accolto dal giudice come sentenza
! Tale PRASSI si stabilisce anche nel DIRITTO CANONICO, nonostante la figura del Papa tenti più volte di
limitarla.

Dal Trecento, con il formarsi delle Signorie, la GIUSTIZIA CITTADINA si trova limitata dalla GIUSTIZIA DEL
SIGNORE, che si basa sulla presenza di giudici costituiti in Corte di ultima istanza, scelti dal Signore ! da ciò
derivano le Corti sovrane dell’età moderna.

Un’ulteriore forma di parere dell’età dei glossatori, diffusasi solo dal Trecento, è il PARERE DI UN LUMINARE DEL
DIRITTO, commissionato da una delle parti in causa al fine di persuadere la corte.
La controparte, se dispone dei mezzi economici necessari, cerca anch’essa quindi il parere (consilia) di un giurista di
fama. Il responso giuridico conobbe due forme:

✦ il “consilium sapientis iudiciale” che costruì nel diritto medievale il sistema tra iura propria e ius commune
(diritto consuetudinario, regio, statuale). Il consilium era redatto come visualizzazione scientifica della fattispecie
secondo lo ius commune.

✦ i “consilia sapientis pro veritate” furono utilizzati tra la fine del medioevo e l’età moderna; erano i responsi
preparati dal giurista su richiesta di una parte in processo. Al contrario del consilium sapientis iudiciale, i consilia
pro veritate erano redatti su richiesta di una parte in processo o anche soltanto in previsione di un processo,
quindi il consiliatore non era proprio imparziale.

LA GIUSTIZIA
Fondamentale è capire che la nuova scienza del diritto, e il formarsi di giuristi professionali, influiscono nella concreta
amministrazione della giustizia del tardo medioevo, e conducono ad una notevole differenziazione di esiti da città a città
e da Regno a Regno, in un contesto in cui l’evoluzione istituzionale e normativa avanza costante nei vari territori.

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LA GIURISDIZIONE MERCANTILE
Il diritto commerciale è un diritto speciale, pertanto aveva bisogno di una propria giurisdizione

Dal X-XI secolo vediamo esistere una procedura particolare, rapida, applicata ai mercanti.
Inizialmente era una procedura che si svolgeva presso i consoli della corporazione e, raramente, si chiedeva il
consilium di un giurista esterno: addirittura in certi statuti vi è il divieto di farsi assistere da avvocati.

La procedura speciale era adottata quando erano parti in causa i membri della corporazione, ma la si estendeva anche
ai mercanti stranieri e ad altri soggetti quando si tratti di causa mercantilis.

Ciò che contraddistingue questa procedura è la rapidità:


1) niente rinvii e niente eccezioni;
2) limitazione delle prove ammesse;
3) esclusione dei difensori tecnici;
4) inappellabilità;
5) rapida ed efficace procedura di esecuzione.

Si svilupparono quindi procedure fallimentari, che miravano a riparare nel modo più ampio possibile il danno sociale
causato dall’insolvenza del mercante.

Vengono poste una serie di deroghe al diritto canonico:


-> i creditori erano posti tutti sullo stesso piano (non vi sono creditori privilegiati);
-> si presumeva la frode (non è necessaria la prova).

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I REGNI TERRITORIALI ED IL SISTEMA DI DIRITTO COMUNE

Il sistema di diritto comune convive male con realtà come quelle monarchiche, legate al loro territorio ed ostili al diritto
universale.

I canonisti sono i primi a chiedersi la sorte del diritto romano-comune, presso le genti che si proclamano indipendenti
(exemptae) dall’Impero.
I decretalisti del Duecento vedono il Regno di Francia, di Spagna e d’Inghilterra come indipendenti de facto, ma
non de iure.

Ma proprio i decretalisti ierocratici, che concepiscono anche il potere temporale come parte della sfera papale, non
credono nell’ideologia imperiale e nell’universalità del suo diritto. Il diritto comune ha ancora speranze come
ordinamento laddove non si incorra in incompatibilità con la piena sovranità dei re: dev’essere il Re ad autorizzarne
l’osservanza, anche tacitamente, accettando il suo uso consuetudinario antico (non vi è più una validità ratione
Imperii).

Il Regno di Sicilia
La cesura fra la parte centro-settentrionale della nostra penisola e il meridione seguì le vicende dell’insediamento dal
568 della popolazione longobarda che lasciò le coste tirreniche e ioniche sotto il presidio dei Bizantini, mentre la
Sicilia soggiaceva dal X secolo al dominio islamico degli arabi.

Il Regno di Sicilia nasce nel 1130 con la conquista dell’Italia meridionale bizantina e della Sicilia musulmana da parte dei
NORMANNI.

Il Regno è caratterizzato dalla PRECOCITÀ e COERENZA delle sue strutture.

Nella prima metà del secolo XI un gruppo di guerrieri normanni guidati dal nobile clan degli Altavilla si insediò
nelle regioni peninsulari del meridione cacciando progressivamente gli arabi.

Il Regno di Sicilia è l’unico caso strutturato come gli stati contemporanei.

1130 ! RUGGERO II viene incoronato Re di Sicilia da un legato papale, costruendo il proprio Regno tramite l’unione
di una serie di feudi (inizialmente era in accordo con il Pontefice di Roma, poi in disaccordo).

1140 ! si tengono le Assise di Puglia: era delle norme frutto di un accordo tra tutti i grandi feudatari dell’epoca, con
cui Ruggero II rivendicò l’esercizio del potere legislativo -> decisione di gestire una politica comune nei confronti dei
poteri universali. Tuttavia, Ruggero II emanò pochi capitoli.

FEDERICO II, LO SVEVO ! erede per parte di madre (Costanza d’Altavilla) della corona di Re di Sicilia e per parte di
padre (Enrico VI) di quella Imperiale, fece del Regno di Sicilia il precursore delle monarchie territoriali europee.
Federico II fu cresciuto all’interno della cristianità, quindi una volta divenuto Imperatore (era molto giovane, perché
morto il padre), venne posto sotto una co-tutela del Pontefice -> corona imperiale e corona del Regno di Sicilia.

Nel 1220 Federico II, lo Svevo, cominciò a esercitare i suoi poteri nella direzione di un forte contenimento delle
autonomie locali, nel mentre Federico II Barbarossa volle rivedere gli accordi siglati nel 1183 nel trattato della Pace
di Costanza ! perciò si formò una seconda Lega Lombarda che godette dell’appoggio esplicito dei Pontefici
Onorio III e Gregorio IX.
-> in questo periodo si ebbe il vertice delle magistrature comunali

Federico II era un grane innovatore, ma non aveva l’idea di creare uno stato contemporaneo, che spesso gli viene
attribuita.

Dopo un secolo dalle prime Assise, ne vengono convocate altre a Melfi nel 1231. In questo contesto viene emanato il
LIBER AUGUSTALIS (1231) ! il quale evoca Augustus, libro emanato da un Imperatore romano.
Esso è un testo di enorme importanza (viene considerato il monumento legislativo più grande di tutto il Medioevo), dato
che conteneva tutto il diritto consuetudinario dell’epoca, che venne applicato in tutto il territorio del Regno di Sicilia.
Venne elaborato dal segretario/giurista Pier delle Vigne di Federico II.
Il Liber Augustalis conteneva:

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• una serie di constitutiones dei predecessori di Federico, le quali vennero selezionate e modificate.

• Una serie di constitutiones elaborate direttamente da Federico II, come la constitutio puritatem ! importante
perché al suo interno conteneva una gerarchia delle fonti simili alla nostra. La gerarchia è presumibile dal testo,
dato che stabiliva i metodi di risoluzione di una controversia:

1) la prima fonte da applicare era il diritto di Augusto (la constituito regia).

2) Nel caso di assenza del diritto regio, si dovevano applicare le consuetudini locali (quelle ritenute giuste e
ammissibili da Federico II stesso)

3) In caso di mancanza anche delle consuetudini locali, si applicava il diritto comune: romano, canonico e
longobardo -> Federico II considerava il diritto feudale (longobardo) come un diritto universale.

Il Liber Augustalis era composto da 3 libri divisi in aree tematiche:

1) importanza della magistrature (ordinamento giudiziario);

2) Concetto di processo (tutte le norme del processo)

3) Diritto sostanziale (penale, civile e feudale).

" Molta attenzione all’amministrazione della giustizia che rimase un punto di riferimento nella cultura giuridica
meridionale, fino alla formazione dell’Italia.

Nel 1224, Federico II istituì lo STUDIO DI NAPOLI, la prima Universitas Studiorum pubblica -> perché Bologna aveva
sostenuto la Seconda Lega Lombarda. Tuttavia mutua i metodi didattici e scientifici da Bologna.
L’università viene fondata con una ‘circolare’ nella quale emergono due punti fondamentali :

1) Federico II sapeva che l’università di Bologna era anti Imperiale, dunque voleva cercare di creare nel
suo Regno un’università che rispondesse alla sua esigenza di avere un apparato organizzato
all’interno dell’Impero, diritto visto come ‘modo di servire Dio e di piacere al Sovrano’.
Il diritto che si insegna è si sempre Corpus Iuris ma si insegna anche le leggi di Federico II.

2) Prospettiva di lavoro per gli studenti Napoletani per la curia regis.

Qualche anno dopo la fondazione dello ‘Studium di Napoli’, Federico II emanò il “Sancimus” nel 1226, un
provvedimento quale affermava il ‘bando’ contro l’università di Bologna, ossia un atto di forza che ha l’obiettivo di
sopprimere l’università di Bologna e di vietare ai Napoletani di studiare a Bologna. Il “Sanciums” defineva:

• divieto di studiare fuori il Regno, con una pena di decadenza dei diritti (es: testamento)

• Sanzione per i genitori degli studenti che studiano fuori dal Regno; era presente un limite delle sanzioni alle
famiglie, se gli studenti tornavano a Napoli da Bologna entro il 29 settembre (San. Michele).

• Privilegi agli studenti che studiavano a Napoli: sconti sulle iscrizioni, possibilità di agevolazioni per alloggi, borse
di studio per garantire vitto e alloggio.

Con il tempo questa chiusura di Napoli portò ad una protesta dei grandi maestri, tanto che nel 1239 lo studio di
Napoli inizia ad aprirsi anche ad altri studenti (italici montani), tranne per: sudditi del papa e delle città imperiali
come Bologna, Milano.

Federico II è ostile alla Chiesa perché gli studenti devono essere scelti dal Regno e pagati dal Regno, c’è una gara
anche a chi si accaparra i professori migliori.

Federico II ha fatto proprio il modello di insegnamento Bolognese, che rimase il principale.

" L’esperienza di Federico II, anticipa di 100 anni la logica dei Principati, cercando di dare stabilità e centralità al suo
Regno, pur rimanendo in una logica comunale del suo tempo.

Nel 1266 avremo gli Angioini in Italia meridionale e nel 1282 in Sicilia ci saranno gli Aqagonesi
-> spezzano l’unitarietà dell’Italia meridionale. Questa frammentazione rimase fino al 1442 quando i Borboni uniranno le
due Sicilie (Italia meridionale e Sicilia).

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IL REGNO DI SICILIA venne scomposto in due territori:

✦ ULTRA (Aragonesi): territorialmente corrisponde all’isola di Sicilia; può essere posta a confronto con la monarchia
inglese.

• ANALOGIE tra la monarchia inglese e quella di Sicilia: esse sono fonti di diritti e di privilegi dei nobili, ma, a
seguito del calo demografico dovuto alla Peste Nera del 1348 ed alle successive epidemie, prendono misure
indirizzate alla libertà dei pochi contadini rimasti, l’abolizione dei loro servizi personali, dei loro affitti e censi bassi.
-> Si riorganizza l’azienda curtense e si creano giurisdizioni ampie ed esclusive. Si apre una certa mobilità nel ceto
nobiliare.

• DIFFERENZE tra le due monarchie:

- In Sicilia l’autorità unitaria del Re e la sua giustizia non costituiscono elementi centrali del sistema, questo è
dovuto dal fatto la potente aristocrazia funge una potestà centrale sui territori interessati.

- In Inghilterra è centrale l’autorità del Re e della sua giustizia.

✦ CITRA (Angioini): è situata nelle regioni meridionali della penisola italiana; anche qui si devono affrontare la crisi
economica e la crisi sociale, legate alla Peste Nera ed alle successive epidemie
-> ne derivano: 1) la diminuzione delle aree coltivate e del prezzo della terra, 2) il miglioramento delle condizioni
della ridotta manodopera contadina che è obbligata a minori servizi personali ed è avvantaggiata dal calo di censi
ed affitti, 3) l’affermazione di un’aristocrazia che amplia i suoi domini e le sue giurisdizioni.

Nel regno meridionale tali eventi coincidono con una crisi dinastica che inizia alla morte di Roberto d’Angiò nel
1343 e termina con la conquista del trono napoletano da parte di Alfonso V d’Aragona, il quale risolleva il ruolo di
Citra e ricostituisce il Regno di Sicilia:

• Recuperando terre demaniali e prevede un’efficiente gestione di queste;

• Restituendo le potestà baronali ed a favorire famiglie nobili meno prepotenti e più fedeli alla monarchia.

L’Impero e il Regno di Germania


Popolazioni che occuparono i territori tedeschi sono:
- Germani orientali (Vandali, Burgundi, Goti)
- Germani occidentali (Angli, Sassoni, Franchi, Longobardi)
- Germani settentrionali

Sin dall’incoronazione di Carlo Magno, il Sacro romano impero aveva riunito sotto il regno di Germania una pluralità di
territori, dall’Austria, Baviera, Sassonia, Boemia, Moravia, Polonia, Prussia, Danimarca.

Venuto meno il principio carolingio della successione ereditaria, si affermò il principio elettivo (≠ dal resto
d’Europa) stabilito con la Bolla d’oro (1356), emanata da Carlo IV durante la Dieta di Norimberga.
Tale documento stabiliva che il diritto di eleggere l’imperatore non spettava più a tutti i grandi signori territoriali, ma a 7
principi: 3 ecclesiastici (arcivescovi di Magonza, di Treviri, di Colonia) e 4 laici (conte Palatino del Reno, duca di
Sassonia, margravio di Brandeburgo, Re di Boemia -> erano i sostenitori di Carlo IV).

-> L’elezione comportava anche il diritto alla corona di Re d’Italia e la corona imperiale.

Le pratiche di elezione regia e di incoronazione imperiali portarono ad una monarchia:

! fortemente controllata dalle SIGNORIE FEUDALI E TERRITORIALI LAICHE ED ECCLESIASTICHE

! e, sul piano economico, sostenuta dalla BORGHESIA CITTADINA MERCANTILE ED ARTIGIANA.

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La frammentazione del Regno si riflette sulle fonti di diritto, infatti erano tali:

‣ Leggi di stirpe di origine altomedievale;


‣ Le consuetudini maturante nei singoli territori: le normative consuetudinarie locali necessitavano di un
riconoscimento -> Federico I Barbarossa, mentre contestava l’autonomia dei comuni italici, concesse il privilegio
di riconoscimento ad Augusta, Brema e Lubecca.

Nonostante gli svariati limiti appena visti, la potestà unitaria del MONARCA GERMANICO rimane di un certo rilievo,
soprattutto in relazione:

• alla PROCLAMAZIONE della PACE, cercando egli di garantirne il rispetto da parte delle autorità locali;

• ed all’ESERCIZIO della GIURISDIZIONE SUPERIORE ! si conservano sia le giurisdizioni unitarie locali dei principi
che quella generale dell’imperatore, che ricava un suo spazio nell’ambito della pluralità degli ordinamenti particolari.

Il Regno di Francia
La dinastia carolingia aveva lasciato in eredità ai successori capetingi, Ugo Capeto, un’area di controllo limitata alle
regioni settentrionali di Parigi, Senlis, Orleans; ciò perché il potere regio era compresso da forti poteri territoriali di
retaggio feudale quali la Normandia, Aquitania, Borgogna, Fiandre ecc.
Ma il potere regio riuscì ad irrobustirsi attraverso:

1) il rigido disciplinamento del diritto di successione al trono sulla base del principio ereditario del primogenito
maschio;

2) l’affermarsi dei poteri dell’Impero e della Chiesa. IL RE DI FRANCIA CHIESE AL PONTEFICE DI VIETARE
L’INSEGNAMENTO DEL DIRITTO ROMANO-GIUSTINIANEO A PARIGI, che si concretizzò nella decretale Super Specula
del 1219 del pontefice Onorio III, che mirava a salvaguardare i giovani ecclesiastici.
Già il papa Innocenzo III nel 1202 aveva espresso l’assolutezza del re di Francia il quale “negli affari temporali
non riconosce alcun superiore”.

Il Regno era diviso come trazione giuridica:

I. Paesi del Nord (Pays de droit coutumier): erano fondati sul diritto consuetudinario, in cui il complesso del diritto
romano-giustinianeo non era legge vigente, ma era consuetudine e quindi non vincolava i giudici.
A nord le redazioni scritte delle consuetudini, le norme patteggiate con le autorità, i privilegi e gli atours, furono
spesso inglobati entro le grandi coustumes regionali che estendevano a intere aree geografiche consuetudini nate in
uno specifico contesto.

II. Paesi del Sud (Pays de droit écrit): erano fondati sul diritto romano, accanto alle consuetudini (negli atti e
contratti davanti al notaio si poteva riunificare ad avvalersi delle normative romane): in cui il medesimo complesso di
norme era legge scritta, diritto positivo, che rientrava obbligatoriamente nella rosa delle fonti da applicare in sede
giudiziaria.
-> nel 1312 Re Filippo il Bello, per non far apparire il suo Regno subordinato all’Impero, decise di emettere un’ordinanza,
nella quale stabiliva che il diritto romano era ammesso nei Pays de droit écrit, ma a titolo di consuetudine locale e non in
quanto diritto imperiale.

Convivono in diverse realtà francesi

‣ il CONSOLIDAMENTO della GRANDE ARISTOCRAZIA TRADIZIONALE con la relativa COMPOSIZIONE


ARTICOLATA DEGLI ORDINAMENTI

‣ E l’ACCRESCIUTO SIGNIFICATO del RUOLO UNITARIO.

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Il Regno di Castiglia e di Aragona (prima dell’unificazione del Regno di Spagna)


La Spagna era sottoposta ai Visigoti già prima della caduta dell’Impero romano d’Occidente.

Dopo il 700 viene invasa dagli arabi, i quali portarono la loro cultura e alcune tracce della filosofia greca: la capitale
divenne Cordova.

I Visigoti, che durante la conquista degli arabi si stanziarono nei Pirenei, attuarono nel 1100 la reconquista,
cristianizzando metà della penisola iberica.

Dopo la metà del 1300, si consolidò il regime di servitù della gleba; vi erano:

• i payeses de remensa catalani

• ed i contadini dei solariegos castigliani.

A seguito delle proteste dei contadini, con la sentenza arbitrale di Guadalupe del 1486, Ferdinando il Cattolico
ammise che i contadini servi potevano liberarsi con una somma di denaro non troppo elevata.

Nei regni iberici come in buona parte d’Europa si ebbe l’espansione della grande aristocrazia, che acquisì anche
nuove giurisdizioni -> indebolimento del ruolo unitario della monarchia.

La monarchia britannica
I romani lasciarono la Britannia dopo il 400 per difendere i confini continentali, quindi l’est dell’Inghilterra venne invaso
da Angli e da Sassoni.

Nel IX secolo venne occupata da Vichinghi e da Danesi e governata dai re danesi (1013-1042).

Poco dopo la metà dell’anno 1000 venne restaurata la monarchia anglosassone dai Normanni.

Le trasformazioni dell’ordinamento del Regno:

✦ GRANDE SIGNORIA ARISTOCRATICA: durante il Medioevo si impose nel territorio inglese il sistema feudale con
un ordinamento signorile con il quale, i grandi magnati, estesero la loro autorità anche al di fuori del dei confini
territoriali della loro Signoria
-> la Monarchia ed il Parlamento tentarono di fermare l’avanzata dei signori, ma vennero prodotti meri atti formali,
che restano privi di efficacia.

Tra il XIV ed il XV secolo alcune famiglie nobili si distinsero dalle altre, per speciali privilegi giuridiche, che formarono
il gruppo nobile dei “pari”. Mentre la nobiltà minore, ossia la gentry, a fine XIV secolo si divise in knights,
esquires e gentlemen.

✦ POTESTÀ MONARCHICA: il Re inglese è il titolare di un imponente patrimonio che gli garantisce un notevole e
diffuso patronato, il quale era a capo di una ramificata affinity (partito di corte) ed era la fonte del diritto e dei
privilegi. Pertanto continuò ad esercitare la propria giurisdizione unitaria con le sue corti periferiche e centrali:

‣ Dal punto di vista formale, l’ordinamento della giustizia regia funzionava correttamente;
‣ Dal punto di vista sostanziale, il dilagare delle affinities signorili e regie nelle contee, il peso delle fazioni sui
giudici provinciali, il favore delle corti provinciali e centrali per gli aderenti al partito di corte, portarono a rendere
debole ed incerta la difesa di coloro che non aderivano al partito localmente dominante
! le corti di contea infatti tutelavano l’ordinamento popolare della tradizione, riducendo la loro attività in
favore delle giurisdizioni signorili; inoltre, la difesa dei diritti dei liberi competeva al giudice di pace, che era un
giudice regio; infine, molte città demaniali riconoscevano al rappresentante municipale del Re, ulteriori
competenze per limitare la grande nobiltà locale.

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✦ RUOLO DEL PARLAMENTO: il Re e le fazioni in cui era divisa la società si confrontavano in Parlamento, il quale
rispecchiava la particolare articolazione sociale dell’epoca.
Verso la fine del 1300 il Parlamento definì le proprie competenze e quelle dei Comuni
-> funzione del Parlamento: suprema corte di giustizia competente ad autorizzare le esazioni straordinaria che il
monarca pretendeva, sia come sussidio straordinario o contribuzione eccezionale, sia come dazio.
-> funzioni dei comuni in Parlamento:
1) possedevano il monopolio delle petizioni, al fine della difesa dei diritti della comunità del Regno contro i soprusi
delle autorità signorili e dei rappresentanti del sovrano;
2) controllo delle concessioni patrimoniali del sovrano;
3) gestione della household regia;
4)nella giustizia criminale esercitata dal Parlamento, in caso di impeachment di un consigliere regio accusato di
violazione dei diritti della comunità, giocano un ruolo sia i pari che i Comuni.
! Il Parlamento si conferma strumento fondamentale di tutela dei diritti particolari del regno.

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LA LEGGE (O UN TERMINE CUI CORRISPONDA QUALCOSA DI ESISTENTE)

Che cos’è la legge?


Nell’ultimo tratto della STORIA ISTITUZIONALE E GIURIDICA ROMANA, la lex era il provvedimento normativo
imperiale in forma di “costituzione”, constitutio, tipicamente un atto normativo scritto.
Era considerata fonte dello ius, ma nella formazione dello ius civile era determinante il ruolo della giurisprudenza: il
diritto civile aveva la sua essenza nell’interpretazione dei giuristi e la lex aveva un’importanza secondaria ! si
esaltava il ruolo del giurista come colui che era in grado di assecondare il naturale evolversi della società.

Con Diocleziano e Costantino l’imperatore si pone come creatore unico di nuovo diritto. La normativa imperiale,
lex generalis, aumenta e si affianca al complesso normativo giurisprudenziale tradizionale (realizzazione di compilazioni
private “Codex”). Sarà poi il Codex giustinianeo a confermare il significato di codex come raccolta di materiale
normativo legislativo.

Con la caduta dell’Impero romano d’occidente, 476, si inizia a ricostruire una nuova esperienza giuridica, dove
assumono rilievo entità opposte a quella generale dello Stato, e producono diritto accanto alla norma del principe.

NEL MEDIOEVO abbiamo 2 spiegazioni differenti del termine lex/leges:

1. Lex: la norma che può essere letta e dunque che è norma scritta. Anche se in questa fase con lex si intende un
insieme di consuetudini raccolte e certificate.

2. Leges: regola che vincola tutti i membri della comunità e li tiene uniti.

Come veniva concepita la legge durante l’alto medioevo e come avveniva la produzione
legislativa?
Nell’editto di Rotari, 643, l’esercito è richiamato come soggetto attivo che dà il consenso alla promulgazione delle
nuove regole -> factum legis.

In età altomedievale, il SOVRANO DEI FRANCHI operava attraverso lo strumento legislativo del capitolare o edictum,
decretum, constitutio, e poi dopo la renovatio imperii avvenuta nella notte di Natale del 800, Carlo Magno dà ulteriore
impulso alla redazione scritta delle norme originariamente consuetudinarie.

In Italia entrarono in vigore vari capitolari dell’Imperatore e si andò poi costituendo il capitolare italicum : per capitolare
si intende una successione di capitoli legati insieme che modificavano una lex.

In questa fase la norma giuridica si genera dalla lunga applicazione di un determinato comportamento, consuetudine,
e per questo motivo le innovazioni normative dovevano essere approvate dalla assemblea del popolo.
-> è stato ipotizzato che LEX fosse ciò che aveva ottenuto l’approvazione del popolo, mentre CAPITULARE fosse ciò
che era frutto del potere impositivo del sovrano.

Prima del 1000, il diritto è poco legge, e in maggioranza consuetudine.

I SOVRANI GERMANICI hanno una diversa visione della sovranità e del diritto, e avevano l’idea che legiferare fosse il
recupero del diritto antico, con qualche eccezione ! Ruggero II emanò 44 assise, che erano assemblee con
competenze giudiziarie produttive di norme. Da Federico II di Svevia che si poneva come legislatore, viene prodotto il
più grande complesso normativo laico del Medioevo, il Liber Augustalis, al cui interno la constitutiones Puritatem
prevedeva che andasse applicato per primo il diritto regio, poi le consuetudini e infine il diritto comune romano e
longobardo.
-> Papa Gregorio IX scomunica l’Imperatore svevo e inizia un’opera di raccolta di decretali pontifice, il Liber Extra.

L’affermazione di un principe legislatore è ancora un processo ben lontano. Nella seconda metà del ‘200 Tommaso
d’Aquino nella Summa Theologica, riporta la legge alla razionalità e la indica come strumento fondamentale per la
realizzazione del bene comune.

Nel medioevo nasce una civiltà urbana in cui si sviluppano gli statuti cittadini che si presentano come diritto scritto
dello Stato (non inteso come lo intendiamo oggi). La lex municipalis è espressione della libertà cittadina che ha
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bisogno di norme in grado di regolare una realtà mutata profondamente.


Si parla inoltre di “legalità medievale” per sottolineare l’importanza che assume la norma scritta del CIC, che serve a
contrastare che ognuno si costruisca una propria idea di giustizia ogni volta diversa.

Nel 1183 Federico Barbarossa è costretto a firmare il trattato di Pace di Costanza, in cui si decide che nei giudizi
d’appello i delegati dell’imperatore giudicavano secondo le antiche leggi romane.
-> Il princeps, che originariamente risolveva le controversie, diventò progressivamente il legislatore anche se gli
spettava la libertà da qualsiasi vincolo alla legge.

Nella prima età moderna il tema della legge subirà elaborazioni progressive differenti.
A Genova si ha una particolare evoluzione del diritto pubblico attraverso testi costituzionali: nel 1528 la Reformationes
novae con cui si istituisce la Repubblica, e nel 1576 le Leges novae che fissano un sistema di rapporti politici. Il doge
qui viene sottoposto a verifiche formali dell’adeguatezza del suo comportamento alla norma giuridica.
Nel ‘600 in Francia si realizzano dei “pre codici”, le ordonnances, che sono il tipico strumento legislativo del Re di
Francia.

Solo con l’avvento dello strumento legislativo del codice quale legge dello Stato, e l’affermazione del principio
dell’uguaglianza si instaurerà una definitiva visione monista della forma di governo incentrata sullo Stato, e si darà alla
legge un significato univo, reale e certo.

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L’ETÀ DEL COMMENTO

La glossa era la capacità di studiare il testo, al fine di capirne sempre più significati e di contestualizzarli all’interno del
testo.

Con Accursio si concluse l’età del glossatori, poiché tutto era stato già glossato, pertanto i giuristi seguenti decisero
di modificare le loro metodologie giuridiche (sennò dovevano produrre una glossa migliore di Accursio), non
abbandonano le metodologie precedenti e introducendo nuovi strumenti di studio.
-> l’introduzione di nuove metodologie giuridiche era già stata anticipata dalle scuole minori, nate tra il 1100-1200 in comuni
che capirono l’importanza di avere una università, le quali utilizzavano delle metodologie diverse rispetto a Bologna,
(altrimenti gli studenti avrebbero studiato sicuramente a Bologna per imparare la glossa).

Il COMMENTO aveva come base logica la glossa, ma era strutturato in modo diverso -> gli studenti inizialmente
studiavano la glossa, mentre negli ultimi anni studiavano il commento.

Fase di transizione
Prima dell’introduzione del commento, ci fu una fase di transizione, nella quale era chiaro che la glossa era uno
strumento giuridico che non adempiva più ad alcuna funzione (tutto era giù stato glossato), ma non era chiaro lo
strumento successivo da applicare.
-> storicità: evoluzione lenta di un fatto, tale da non percepire le differenze
-> dovuto anche dell’espansione dell’insegnamento della glossa in tutte le realtà territoriali conosciute

Post-accursiani
A Bologna troveremo i post-accursiani, i giuristi che per ordine cronologico operano dopo Accursio, i quali seguivano
minuziosamente gli insegnamenti del proprio maestro, basati sulla glossa (che tutti studiavano e che è stata studiata
fino al 1700), tuttavia cercavano di introdurre nuovi elementi di innovazione, come:

• La propensione allo studio del diritto criminale;


• La propensione di una visione aperta nei confronti di tutti i diritti propri, quelli dei comuni e delle corporazioni (non
vengono studiati, ma si presuppongono esistenti).

• L’elaborazione dei lavori monografici (trattaus), ovvero testi aventi ad oggetto un unico argomento. Differenza tra
glossa, studiata pagina per pagina, a seconda della costruzione dei libri legales; mentre le monografie, potevano
saltare pagine per studiare determinati argomenti (tutto era già stato studiato).

• Attenzione alla processo e alla sua procedura

Tutti questi temi erano stati trattati dalle scuole minori, che dopo aver compiuto lo studio tramite la glossa, vengono
sintetizzati

I post-accursiani più importanti:

✦ Francesco d’Accursio: figlio di Accursio e suo allievo, fu celebre per aver sfidato in una disputa uno dei primi
fondatori della scuola del commento (Belleperche) e per aver perso.

✦ Alberto d’Agandino (1280-1310): celebre per aver scritto il trattato “De maleficis”, il quale era una monografia
del diritto penale (sopratutto per reati fraudolenti).
Al suo interno ha una parte della tortura: la quale all’epoca era considerato uno strumento lecito con cui ottenere
la prova del reato, cioè la confessione.

✦ Dino de Mugello: celebre per aver scritto il “De regulis iuris”, un testo studiato fino a pochi anni fa, il quale era
una summa di tutte le soluzioni del Corpus iuris al problema delle fonti del diritto, conteneva i criteri di
risoluzione di antinomie che utilizziamo ancora oggi -> scritto perché richiesto da un pontefice;
✦ Guglielmo Durante: giurista del XII secolo, scrisse lo “Speculum iudicialae”, cioè lo specchio del processo, il
quale conteneva una summa del processo (famoso perché utilizzò una scrittura moderna).

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I notai
Nel 1200 assumono importanza i notai, i più importanti:

‣ Rollandino de Passeggeri: scrisse la “Summa artes notarie”, testo che recepiva tutte le informazioni contenute
nel CIC in ambito notarile. Aveva un approccio interpretativo.

‣ Il Salatiere: scrisse la “Ars notarie”, testo che recepiva tutte le informazioni contenute nel CIC in ambito notarile.
Aveva un approccio formalista.

Nei decenni centrali del XII secolo, diversamente da un secolo prima: l’ATTO NOTARILE fa PIENA PROVA ! grazie
alla CONSUETUDINE

Il ruolo dei notai è assicurare la certezza nei rapporti giuridici mediante l’instrumentum (= documento) ! la facoltà
di rendere “pubblici” i documenti da essi rogati.

Vi sono raccolte di modelli di atti notarili: i FORMULARI ! il primo formulario bolognese è posteriore di quasi un
secolo rispetto ad Irnerio.

N.B.: nei Paesi in cui vige un SISTEMA MONARCHICO (Francia, Regno di Sicilia, regno normanno d’Inghilterra) è minore il PRESTIGIO dei
NOTAI rispetto alle città dell’Italia centro-settentrionale, in quanto la CORONA si intromette nel settore notarile. Anche in questi territori però il
documento pubblico rimane prerogativa del notaio ed acquista vasto riconoscimento in Europa.

L’ordinamento giudiziario
Inoltre ci furono altri giuristi, i quali oltre a studiare, ebbero dei compiti pubblici, ossia sono quei giuristi che nell’Italia
meridionale opereranno alla corte di Federico II. Tra questi: Andrea Borello, il quale scrisse l’opera “Sulle differenze
tra il diritto longobardo e il diritto romano”, studiato il diritto longobardo che era un diritto feudale, considerato nel
meridione come universale.

Nella sede didattica i giuristi di scuola esercitavano una attività di consulenza: il professore civilista divenne il sapiens
a cui rivolgersi quando erano coinvolti aspetti politici o giuridici della amministrazione locale.

A Bologna dal 1183 con il giuramento di Lotario da Cremona, il docente di leges è chiamato a giurare al podestà di
prestargli auxilium e auditorium; dal ‘200 i giuristi sono tenuti a presenziare ai consigli cittadini in quanto rappresentanti
del collegio dei dottori di diritto civile.
Il collegio dei dottori raccoglieva sulla base di quanto previsto negli statuti, ed in seguito all’accertamento delle
conoscenze tecniche indispensabili di diritto, i giurisperiti accreditati ad operare nella città.
-> In un primo tempo non tutti avevano un passato universitario. Successivamente, gli STATUTI impongono come criteri:
1. la frequenza di uno studio universitario per diversi anni (non necessariamente la licenza o la laurea);
2. la cittadinanza;
3. e l’attestazione che gli avi non abbiano esercitato le c.d. “arti civili” (= attività commerciali ed artigianali meno
qualificate).

Un’analoga partecipazione a pubbliche funzioni si esprime con il consilium sapientis iudiciale che era richiesto dal
giudice, al dottore di leggi, al fine di precisare il dispositivo della sentenza in punto di diritto, e che venne disciplinato
dalle normative statuarie che ne fissarono le modalità, e in alcuni casi il quantum da corrispondere al sapiens.
Attraverso questa “giurisdizione delegata” la sostanza delle decisioni giudiziarie era vincolata dal vocabolario e dalle
figure del diritto comune romano-giustinianeo.

Con gli Apparati Ordinari di Accursio si presuppone una attenzione nuova per gli aspetti pratici della vita, attraverso
l’uso delle quaestiones scaturenti dai fatti e discusse in schola. La didattica questionante divenne parte integrante della
formazione dei giuristi e del precorso degli studi. Le porte della scientia iuris si aprirono al diritto particolare nel
momento in cui esso iniziò ad essere letto e interpretato secondo il canone della glossa.

L’AVVOCATO -> deontologia: concetto ampiamente trattato dalla dottrina, che evidenzia ad esempio l’impossibilità di
difendere in appello la parte avversa rispetto al primo grado, ma anche viene ricordato il concetto di segreto
professionale. Le funzioni di difesa proprie dell'avvocato si affiancano a funzioni legate al giudizio in capo alle
medesime persone.

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L’età del commento


Nel 1300 iniziano a circolare ed a essere studiate le OPERE DI ARISTOTELE, proprio perché le opere erano state
tradotte dal greco antico al latino volgare. Quindi la possibilità di leggere queste opere, la cui più importante è
l’Organon, permette ai giuristi di approcciare lo studio del diritto attraverso gli schemi filosofici aristotelici.
-> pertanto i giuristi iniziarono a dialogare con maestri di altre arti, ovvero i filosofi, imparando nuovi metodi
interpretativi, i quali erano già stati utilizzati dai giuristi canonisti (dal 1100), perché i canonisti, attraverso la lettura dei
testi sacri, conoscevano già le strutture filosofiche.

La grande svolta giudica si avrà con la scuola di Orleans, e avrà il massimo splendore in Italia -> fine del periodo di
transizione ed inizio dell’ETÀ DEL COMMENTO: il commento consisteva nella capacità di trovare la ratio legis, cioè
l’anima della legge, il principio intrinseco di ogni norma.
L’interpretazione letterale della glossa spesso rendeva difficile l’applicazione del precetto alla nuova prassi ! è
necessario forzare le parole e guardare alla ratio, spesso ragione soggettiva del giurista più che ragione obiettiva delle leggi
tra l’altro, creando quindi un’interpretazione “creativa”.
Il commento è stato creato perché ormai la glossa era conosciuta e studiata da tutti, infatti tutti conoscevano il Digesto
e gli altri documenti del Corpus Iuris Civili (studiato fino al 1700) -> colui che scrive il commento dà per presupposto la
conoscenza del testo del CIC e di qualsiasi altro istituto; pertanto l’autore del commento non riscrive il testo del CIC,
del quale va a trovare la sostanza interna dei rapporti giuridici (ratio legis).

DIFFERENZA TRA GLOSSA E COMMENTO:


Nella GLOSSA è presente il testo del CIC del quale si cerca di dare una spiegazione esegetica (letterale); mentre nel
COMMENTO l’autore non non riprende il testo del CIC, ma solamente lo indica come fonte oppure richiama un istituto,
pertanto lo scrittore del commento dava per scontato la conoscenza di tutto il CIC e di tutti i suoi istituti; lo scopo del
commento era trovare la ratio legis.

La causa legis è il presupposto giuridico per l’esistenza di un rapporto regolato dall’ordinamento giuridico. I giuristi
medievali distinsero la causa astratta, che era il motivo giuridico che sostanziava l’esistenza di un rapporto giuridico, e
la causa impulsiva, cioè i motivi personali irrilevanti per il diritto.
La causa astratta venne distinta in: causa civilis, è la causa legata al Corpus iuris di Giustiniano; causa naturalis, è la
causa che sottende un rapporto a prescindere dal Corpus iuris; causa efficiente e causa formale.
-> frutto del ragionamento sulla ratio legis/equitas.

La scuola del commento si basava:

1) SULLO SCOPO DI TROVARE LA RATIO LEGIS: la ratio legis è l’anima della legge, il principio intrinseco di ogni
norma. Si basava sulla ragionevolezza e sull’equità.
-> secondo Celso, la forza e il potere del diritto consisteva nel capire il significato/senso del diritto, al di là
delle singole parole.

2) IL RAGIONAMENTO SI BASAVA SULL’EQUITÀ: a tutti devono essere date le medesime conseguenze per un
comportamento uguale ! modo per offrire giustizia.

3) PERSUASIONE: l’arte del giudicare tramite il commento, si basava anche sulla persuasione sulle proprie
convinzioni giuridiche, ovvero sulla capacità di applicare i principi delle norme.
Con il commento, lo studente passa da un ruolo passivo (la glossa veniva studiata), per assume un ruolo
attivo (produce commenti) -> il diritto diventa un’arte lucrativa, tecnica e professionalizzante

3) SUL PRESUPPOSTO CHE LO STUDENTE PRIMA DI PROCEDERE ALLO STUDIO DEL COMMENTO, AVESSE GIÀ STUDIATO LA
GLOSSA. In quanto il commento consiste nella capacità di trovare la ratio legis, ovvero l’anima della legge, il
principio intrinseco di ogni norma; tuttavia prima di conoscere la norma bisognava conoscere ogni parte del
testo del Corpus Iuris Civlis.

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4) METODO ANALOGICO: l’analogia (argomento ad similia, a fortiori) era la capacità di applicare a casi simili
risposte giuridiche simili, e a casi diversi risposte giuridiche diverse. Era lo strumento con cui confrontare
principi e situazioni, cioè dalla presenza di una norma si poteva ricavare un principio da applicare a casi
simili.
-> I giuristi dovevano illustrare un passo del testo giustinianeo e adattarlo alla mentalità moderna, tramite
similitudini e distinzioni. Capacità di studiare il Corpus Iuris e di capire quando veniva applicata quella norma al
caso, se la norma poteva essere applicata a quel caso o no ! il giurista passa da un procedimento passivo
ad uno attivo.
Il metodo analogico è stato recuperato dal pensiero aristotelico da Sant’Agostino, mentre i
commentatori adatteranno il metodo analogico al diritto civile.

Il celebre filosofo Abelardo, scrisse l’opera “Sic et non”, la quale rappresentava lo sviluppo del processo
sillogistico, cioè del ragionamento giuridico, costituito da: tesi, antitesi e sintesi. Il procedimento analogico
era infatti composto da 5 fasi, per scindere il contenuto dei vari postulati del Corpus iuris:
1) la divisio: capacità di valutare in quante parti è composta la norma presa in esame;
2) l’exspositio: riassunto sintetico del contenuto delle parti della norma;
3) l’appositio: capacità di applicare la norma alla fattispecie concreta (in questo momento si doveva anche
motivare la scelta dell’applicazione della norma al caso concreto);
4) la collectio: si motivava la scelta dell’applicazione della norma al caso concreto
5) quaestiones/solutio e oppositiones: la solutio consisteva nell’individuazione e soluzione dei problemi che
erano stati posti tramite l’utilizzo di distinctiones, cercando di applicare la ratio di una norma ad un caso
concreto.
In questa fase venivano descritte anche le oppositiones, ovvero le obiezioni che potevano essere sollevate
dalla controparte, nella risoluzione del fatto concreto con quella norma.
Il processo era vinto con la persuasione, secondo la quale l’argomentazione del giurista doveva convincere
colui che doveva decidere -> retorica dei giuristi: dovevano sostenere alternativamente le varie testi (a favore
e contrarie) e convincere chi li ascoltava
-> grande attenzione alla pratica e alla realtà

Dal punto di vista visivo, nel commento sparisce il richiamo al CIC.

Per i commentatori il Corpus Iuris Civilis era un diritto universale, un diritto comune al cui interno era contenuto
tutto il messaggio divino -> il giurista che studiava tutti e due i diritti universali, riuscivano a captare la ratio legis,
l’equitas -> il diritto romano era un diritto meta-storico.

N.B.: con la Scuola del Commento non viene più operato uno sforzo interpretativo delle fonti antiche nelle loro
“apparenti” contraddizioni, bensì vi è una costruzione concettualmente libera ed autonoma del giurista, alle prese con
questioni di vita quotidiana.

UTRUMQUE IUS/IUS COMMUNE= il giurista doveva conoscere entrambi i diritti universali, al fine di essere un
giurista completo, in grado di capirei il significato/ la ratio legis di una norma.

Il commento nasce in Francia, perché le scuole italiane volevano migliorare la glossa, mentre in Francia c’era un ambito
culturale favorevole.

La scuola di Orleans
Nel 1219 Papa Onorio III proibì l’insegnamento del diritto nelle scuole ecclesiastiche francesi, al fine di
concentrarsi sullo studio del diritto canonico.
Nel 1235 il pontefice Gregorio IX autorizzò, presso le scuole vescovili di Orleans, l’insegnamento del diritto
romano, che il suo predecessore Onorio III aveva vietato a Parigi.

La scuola d’Orleans porterà alla nascita di una nuova stagione della scienza giuridica europea (l’età del commento)
perché:

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• Era situata nei paesi settentrionali della Francia, dove il diritto giustinianeo integrava la consuetudine (a
differenza del Sud, dove il diritto romano era un diritto consuetudinario, perché si pensava che lo studio del diritto
romano favorisse le eresie);

• Prima del 1235 ad Orleans c’era una grande scuola di retorica e di filosofia, che aveva posto al centro dello
studio l’insegnamento aristotelico sotto lo studio di San Tommaso d’Aquino. Pertanto i canonici avevano fatto
proprio il pensiero aristotelico e lo applicarono, in seguito alla autorizzazione di Gregorio IX, lo applicarono allo studio
della giurisprudenza: elaborazione dottrinale, teologica e raffinata.
Lo schema aristotelico venne adattato al diritto romano e canonico, assieme a quella pluralità di diritti che si stavano
sviluppando.

In questo contesto, i primi fondatori/giuristi dell’età del commento sono due francesi, che avevano avuto come
maestri due glossatori (Balduini e Odofredo, che avevano un metodo didattico diverso da quello accurisiano):

JACQUES DE REVEGNY (metà/fine 1200): fu un insegnante nel 1270-1280, poi divenne vescovo e morì nel 1298.
Jacques conosceva il diritto canonico, e in particolare studiò la scolastica di San Tommaso, che era studiata
soprattutto dai domenicani.
Grazie alla sua formazione, che gli consentì di studiare la dialettica aristotelica e le 6 fasi del ragionamento
giuridico; studiò i testi giustinianei (diritto romano) con una nuova tecnica argomentativa, con la quale quali
recepire i principi, che costituivano le premesse per ogni successivo sillogismo. (Inoltre secondo lui, come Irnerio e
Giustiniano, il diritto romano non aveva lacune.
La sua opera più importante è Dictionarium iuris o Alphabetum (dizionario iuris o alfabeto), un’enciclopedia
speciale, incentrata sui principi giuridici, esposti in ordine alfabetico. Era un’opera costruita in lemmi, istituti.
Dimostrò di avere una capacità di sintesi all’interno della costruzione del sistema -> opera innovativa che dimostrò
anche la sua conoscenza delle glosse.
Jacques de Revegny applicò anche un’altro strumento giuridico, cioè la lectura, la capacità critica di leggere i testi
giustinianei.
Nelle ore canoniche di lezione si glossava (anche perché gli studenti e i professori avevano un contratto), mentre
nelle ore extra ordinem i professori proponevano nuovi strumenti di studio con altre lezioni dette repetitiones, la
collaborazione tra studenti e professori era fittissima, proprio perché gli studenti volevano applicare gli strumenti
ideati dal professore.
Grazie alle repetitiones vennero utilizzate le questiones, soluzioni pro e contra su determinati argomenti -> massima
estensione. Le questiones conosciute fino ad ora erano: 1) legittime: le questiones che si basavano su passi del
Corpus iuris; 2) de facto; 3) de facto emergentes.
Ricorda: Jacques de Revegny fece un progetto diverso dalla glossa di Accursio

PIERRE DE BELLEPERCHE: nasce nel 1250 e muore nel 1308. Fu il primo allievo di Revegny e verso il 1296 si
avvicinò al re Filippo il Bello, di cui divenne un consigliere; dopo il 1306 fu vescovo di Auxerre e cancelliere di
Francia.
Si ricordano:

• lecturae;

• repetitiones;

• una raccolta di questiones;

• Produzione di commentari su tutti e 5 i libri legales, basando i suoi commenti sul testo normativo nel suo
complesso, senza fare un’interpretazione esegetica (parola per parola).

Pierre de Belleperche venne conosciuto in Italia grazie a Cino da Pistoia.

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L’età del commento in Italia


✦ CINO DA PISTOIA: allievo di Dino del Mugello ed amico di Dante Alighieri, Cino da Pistoia è noto per la sua
Lectura Codicis (1314) il testo che portò in Italia il metodo orleandese, detto scuola del commento (lontano
dalla Glossa ordinaria), che si basava sul commento del Digesto vetus.
Cino seguiva le medesime operazioni tipiche dei tempi della glossa (lectio, expositio, casus, notabilia,
oppositiones e quaestiones), ma a queste aggiunse una coerente sistematicità nel commento del testo
romano.
Inoltre instaurò un diverso rapporto tra le varie fasi della glossa, riducendo le prime 5 fasi e dilatando la 6a
fase, ovvero quella delle quaestiones.
Furono molto importanti i consilia: pareri dei giuristi espressi in relazione al fatto posto alla loro attenzione (non
chiedendo risoluzione).
-> conferma l’avversione contro tutti i diritti particolari

✦ BARTOLO DA SASSOFERRATO: fu allievo di Cino da Pistoia, nasce nel 1313 e, entrato quattordicenne
all’Università di Perugia, si addottora a Bologna. Assunse alcune cariche pubbliche, per poi dedicarsi
all’insegnamento. Godette anche dell’educazione dal frate francescano Pietro d’Assisi.

Bartolo fu un uomo del medioevo nell’accezione più completa del termine:

• 6 volumi dedicati al commentario delle 3 parti del Digesto (2 al Vetus, 2 al Infortiatum, 2 al Novum),

• 2 al Codice,

• 1 al Volumen

• 1 alla raccolta dei suoi Consilia (oltre un centinaio), delle Quaestiones e dei Trattati.

• Si occupò degli STATUTI CITTADINI, chiarendo i confini della potestà legislativa in analogia a quella
giudiziaria, ampliando il concetto di autonomia cittadina e rurale (il limite è solo il diritto divino).
-> inoltre distinse il tiranno legittimo da quello illegittimo (parte dei comuni).
-> stabilì i caratteri della guerra giusta e ingiusta in un libro;
-> spiegò le magistrature della città

• Considerava al di sopra dei Regni e dei Comuni, il potere imperiale!! Considerava il diritto comune la
chiave per applicare il diritto particolare, fu uno dei primi a vedere la littera pisano-fiorentina.

✦ BALDO DEGLI UBALDI (‘300-400): fu allievo di Bartolo e aumentò i suoi interessi occupandosi di tutto: ambito
civilista, penalista, feudale, canonico e commercialista.
Utilizzava una terminologia filosofica di origine aristotelico-scolastica e la categoria problematica dell’“equità”.
Scrisse numerosi consilia, ossia pareri legali con spunti dottrinali innovativi.

Il 1300 ed il 1400 sono i secoli dei “bartolisti” e dei consiliatori -> non era giurista colui che non seguiva la tecnica di
Bartolo.

Alcuni commentatori:

Jacopo Belviso ! si occupa soprattutto dei libri feudorum


Luca da Penne ! tra i primi ad occuparsi dei 3 libres legales
Paolo di Castro ! allievo di Baldo e si addottora ad Avignone; prima autore che inizierà ad elaborare una sorta di
insofferenza nei confronti delle letture testuali del CIC
Giovanni di Andrea ! celebre soprattutto per i commenti ai canoni
Francesco Zabarella ! specializzato in diritto canonico

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Crisi dell’età del commento


-> PARADIGMI DELLA MODERNITÀ

-> SCUOLA DI SALAMANCA

-> ESPANSIONE DEI CONSILIA, SIA NELL’UNIVERSITÀ CHE NEI TRIBUNALI:


Formazione universitaria basata silo sull’interpretazione del diritto da parte di altri giuristi (come Bartolo) e ciò
portava lo studente a dedicare lo studio non più sul Corpus Giustineaneo, ma sui commentari dei grandi maestri.
Basta pensare ai consigli che diventano lo strumento dottrinale e operativo più importante del 1400, e possono essere :

• Ad veritatem

• Richiesti da una parte, ossia da un giudice, qualche magistra speciale, che avendo un dubbio sul tema interpellava
la persona che era massimo esponente di quel argomento, il parere (consilium) diventa però vincolante nel giudizio.

• Invece ci sono altre occasioni in cui il parere del giurista viene solo allegato al processo, e non ha carattere
vincolante, ma solo persuasivo.

Ad un certo punto questi consilia iniziano ad essere copiati e prodotti non solo all’università, ma anche nei tribunali,
fino a che si iniziò a ragionare secondo la logica dei giuristi precedenti, ossia l’argomentazione si basava sull’autorità
del giurista che ha espresso quella teoria.
Ad un certo punto noi abbiamo in alcuni processi tutta una serie di consuetudini, dove quella giusta è quella con più
interazioni da parte dei giuristi che ne hanno discusso -> questo sistema porta a 2 conseguenze :

1) Lentamente il sistema del commento entra in crisi per il semplice motivo che i giuristi non studiano più diritto ma
studiano i commenti dei professori

2) Si crea la centralità di quello che è la produzione dei tribunali, ossia tribunali che iniziano a produrre le proprie
sentenze e il loro contenuto inizia a circolare, inizia ad essere studiato, e diventa vincolante per i futuri processi,
secondo quella logica in cui se ho giudicato in un modo qualcosa dovrò giudicare nello stesso modo situazioni
simili.
Ci troveremo quindi tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500, con delle sentenze che circolano in tutta Europa, ed essere
da un parte applicate e dall’altra studiate. Questo tipo di approccio ad un certo punto crea una vera e propria ‘comunis
opinio’ cioè il fatto che i giuristi ormai basano le proprie autorità commentative sul valore e sull’importanza delle
decisioni precedente che tengono all’interno un opinione di un giurista.
In questo circuito ciò che assolutamente manca è il diritto, il corpus iuris Giustinianeo.

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Età moderna (1492-1789)


UMANESIMO GIURIDICO

Diritto comune e cultura rinascimentale


La crisi del sapere giuridico dei commentatori dipende:

• da ragioni istituzionali-normative;

• dal mutamento dell’oggetto di studio della dottrina ! non più il diritto romano, bensì i diritti nazionali e le opinioni
dei giuristi;

• da motivi di ordine epistemologico ! lo sviluppo della logica interna del sistema discorsivo del diritto.

Si passa da…a:
DA: una logica di unificazione interna dell’ordinamento giuridico tipica dei commentatori, risalente alla dialettica
aristotelico-scolastica: si erano ricavati principi e struttura dogmatica dei vari settori del diritto

A: la costruzione di “sistemi” giuridici generali, strutturati a partire dai principi ottenuti.


In questa fase già si possono utilizzare i meccanismi del ragionamento deduttivo; la dialettica aristotelico-scolastica
diviene ormai scomoda e si adotta una dialettica giuridica semplificata, naturale, vicina al senso comune. Da ora
l’invocazione dell’opinio communis viene sostituita con i criteri della “buona ragione” (Rechtsfindung).

L’UMANESIMO GIURIDICO consiste nell’irruzione dell’umanesimo e della cultura rinascimentale nel mondo del
diritto, tra il XV-XVI secolo (fine 1400-1600).

UMANESIMO = in storiografia è quella corrente filosofica che si è sviluppata in Italia tra il tardo XIV e il XVI
(1300-1600). La valenza civile dell’umanesimo è stata ampiamente sottolineata; fu una cultura riformatrice che ha
influenzato soprattutto il mondo delle lettere, della lingua e del diritto.
Il termine “umanesimo” è stato utilizzato nel 1800 per indicare “tutto ciò che non ha una propensione giuridica”.
Il termine umanesimo giuridico indica che nel percorso degli studi:

- Propensione agli studi che riguardano i problemi dell’uomo: approfondimento delle tematiche letterarie, filosofiche,
etiche;

- Consapevolezza di essere umanisti in quanto ci si occupa dell’uomo in tutto tondo: per riscoprire l’uomo bisogna
studiare i grandi classici. L’umanista è colui che recupera il pensiero della classicità dopo il periodo buio dell’alto e
basso medioevo -> è colui che ridà la luce alla classicità, e ne aggiunge il compimento del pensiero dei filosofi greci,
aggiungendo l’elmetto fondamentale per l’uomo, la cristianità.

Nell’umanesimo non si perde la centralità di Dio, infatti l’uomo è guidato da Dio nel governare l’universo. Si ha una
nuova concezione di uomo, di spazio e di Dio, basato sul concetto di immanenza dell’uomo, secondo il quale l’uomo
perfetto è colui che analizza criticamente tutto ciò che gli accadeva in torno.
-> In quest’ottica lo studio delle scienze umanistiche è molto più preponderante rispetto allo studio delle scienze
scientifiche, perché solo l’uomo che ha conoscenze umanistiche può comprendere e vedere il mondo, grazie ad un
modo critico.

L’uomo diventa lentamente:

‣ Il perno dell’universo;
‣ La sintesi e la chiave dell’universo
‣ Il perno della presenza di Dio e il perno che deve guidare l’umanità/l’universo.

La SCIENZA è lo studio di elementi empirici, mentre l‘UMANESIMO è lo studio di una serie di discipline che ti
permettono ti vedere il modo in modo critico.

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I paradigmi della modernità


L’uomo viene portato al centro dell’universo per diversi paradigmi della modernità, avvenimenti del 1500 che ruppero
la certezza dell’uomo europeo, e portarono all’affermazione dell’umanesimo:

➡ La SCOPERTA DEL NUOVO MONDO (1492, America; 1498 Vasco da Gama completa la circumnavigazione
dell’Africa, tratta che viene usata ancora oggi per arrivare alle indie) fa capire che l’Europa è solo una parte del
Mondo, ci sono altri territori; e la TEORIA ELIOCENTRICA DI COPERNICO del ‘500, secondo la quale la Terra
gira intorno al Sole, fanno pensare che l’uomo europeo non è al centro del mondo, e nemmeno dell’Universo
-> Dio non si dedica esclusivamente al mondo europeo, di conseguenza il diritto romano non è più diritto universale,
ma un diritto storico;

➡ REALTÀ TERRITORIALI:
‣ Fine della Guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra (1453) -> concezione di nazione;
‣ Fine dell’Impero Romano, con la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II (1453) -> con
la conquista venne determinato lo spostamento degli studiosi, dei filosofi, dei giuristi dell’ormai caduto
Impero d’Oriente in Occidente (grazie allo spostamento di documenti si apprende l’esistenza e
l’importanza di Alessandro Magno).

‣ Si conclude la reconquista in Spagna, quindi gli Arabi sono stati scacciati dal continente europeo (1492)

➡ RIFORMA PROTESTANTE CON LA FINE DELL’UNITÀ CRISTIANA: nel 1517 il pastore Martin Lutero, ebbe
affisso fuori dal Duomo di una città tedesca, un testo contente 95 testi, che mettevano in discussione il
comportamento e la centralità della Chiesa di Roma.
L’atteggiamento di Martin Lutero mise in discussione il primato dei sacerdoti, mettendo in discussione il fatto
che ciascuno possa giungere alla salvezza eterna, soltanto per il tramite e l’intervento di un sacerdote,
affermando che ciascuno era garante della propria salvezza -> venivano messi in discussione anche i
sacramenti, considerando centrali solo quelli che avevano una fonte nel Vangelo (battesimo ed eucarestia) ->
creazione di un rapporto diretto tra Dio e l’uomo, quindi tradusse i testi sacri nella lingua tedesca (quindi nei
paesi di cultura calvinista o protestante c’è una logica di responsabilità personale).
Inoltre Marti Lutero criticò anche il commercio delle indulgenze, il quale era la pratica che si basava
sull’attenzione del rapporto giuridico, che legava un rapporto dell’aldilà con un comportamento nel mondo dei
viventi, cioè un peccatore per redimersi doveva pagare una somma di denaro.
-> VENNE ROTTA L’UNITÀ DELLA RELIGIONE CRISTIANA.

➡ INVENZIONE DELLA SCRITTURA MOBILE DA PARTE DI JOHANNES GUTENBERG (1455): la stampa a


caratteri mobili, che è una rivoluzione fondamentale, perché prima i testi venivano copiati da degli amanuensi, e
avevano valore economico notevole.
Nel momento in cui si poterono ricopiare velocemente i libri, ci fu: 1) un approccio alla cultura più veloce; 2)
cristallizzazione dell’opera: vengono ricopiate le versioni migliori del CIC e di altre opere importanti, quindi
quelle non stampate vennero dimenticate.

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Elementi caratteristici
Elementi caratteristici dell’UMANESIMO GIURIDICO sono:

➡ l’umanesimo giuridico tende ad essere spesso SCHIACCIATO tra medievalisti e modernisti: l’umanesimo
giuridico si presenta come un incipit dell’umanesimo in senso vasto e della cultura rinascimentale nell’ambito
giuridico.

➡ CARATTERI SINCRONICI dell’umanesimo giuridico europeo (secoli XV - XVI):


1) La FILOLOGIA: concetto introdotto con Platone è “l’amore per il ragionamento”. Per gli umanisti è una
disciplina universale: disciplina con cui si recupera la lettura critica dei testi, con l’intento di ricostruire e di
interpretare correttamente tutti i documenti letterali. L’analisi critica si può fare unicamente attraverso la
prospettiva storica, contestualizzando il testo nell’epoca storica in cui è stato scritto.
L’interpretazione dei testi richiedeva non solo la conoscenza del latino, ma anche del greco: l’umanesimo
giuridico è infatti l’età in cui i testi greci sono finalmente compresi (ciò non avveniva durante l’età dei
glossatori).
-> ricostruzione del testo secondo una analisi umana e storica, lo studente del Corpus Iuris Civilis non lo
considera più come uno testo perfetto e sacro, quindi viene umanizzato ! si rafforza il diritto proprio/
regio: nascono i diritti nazionali (1500.1600).

2) SECOLARIZZAZIONE E STORICIZZAZIONE: la filologia rinascimentale si coglie nella secolarizzazione e


storicizzazione che ne derivano: gli umanisti per cogliere il senso profondo di un testo operano un’analisi
scientifica dei testi.
Ma l’aura di sacralità che i giuristi medievali attribuivano ai testi romani tende a venire meno, e nascono
anche atteggiamenti di critica nei confronti di Triboniano e Giustiniano (non nei confronti del diritto romano
che continua ad essere considerato il principale e più ricco oggetto di analisi).

3) Il CROLLO DELLE AUCTORITATES: nel tardo bartolismo quattrocentesco l’argomentazione per eccellenza era
quella ab auctoritate: ovvero il giurista giustificava le proprie asserzioni facendo riferimento a dottrine di
figure importanti. Con l’umanesimo giuridico crolla questo principio, anzi, l’argomentazione si basa sulla
sua sua razionalità.

4) LA RIFORMA DEL MOS DOCENDI: LA METHODUS: riforma del modo di insegnare il diritto che si basa
sull’importanza di un metodo giuridico-sistematico categorizzando e classificando l’intera materica
giuridica del Corpus Iuris Civilis.
-> Nacque così una contrapposizione tra il metodo che consiste nella conservazione della tradizione dei
commentatori italiani e il metodo proprio degli umanisti, soprattutto francesi, che è un metodo giuridico-
sistematico.

5) L’ESIGENZA DI SISTEMA: sul piano scientifico si ricerca un sistema razionale del diritto dotto; nel CIC la
sistematica più soddisfacente è quella delle Istituzioni, che infatti era un testo con funzione principalmente
didattica, e per tale ragione lo schema tripartito (personae-res-actiones) diventa una sorta di archetipo
di partenza nella ricerca di un nuovo ordine.

6) NASCITA DI NUOVI GENERI LETTERARI: COMPENDII E TRACTATUS: Il compendium consiste in una sorta di
sguardo generale su tutto il diritto, o su sue grandi ripartizioni e si sviluppò soprattutto tra Francia e
Germania.
Il tractatus si presentava solitamente come una raccolta di quaestiones incentrate sul medesimo argomento
di cui si ponevano e risolvevano i principali problemi con metodo dialettico.

7) IL MITO DELLA BREVITAS E DEL RITORNO DELLE FONTI: Il metodo teoretico proprio del giurista umanista è
orientato al recupero della purezza della fonte giuridica: brevità e semplicità sono le parole d’ordine.
Bisognava puntare direttamente all cuore della causa e mal sopportate erano l’accumulo di citazioni e il
metodo dialettico.

8) LA CENTRALITÀ DEL TESTO E IL NUOVO RUOLO DELL’INTERPRETE: nuovo modo di concepire il ruolo
dell’interprete, giudice o giurista, il quale doveva essere subordinato al testo normativo, seppure con
riflessioni razionalistiche.
Si rifiutava il bartolismo.

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9) Concezione dell’immanenza dell’uomo: l’uomo perfetto (credenza in Dio) è colui che analizza criticamente
tutto ciò che lo circonda.

Umanesimo e diritto nel’300 e ‘400: Petrarca, versanti e Lorenzo Valla.


Petrarca
Nel ‘300 si diffuse l’umanesimo in Italia, e molti sostengono che questo sia avvenuto con PETRARCA (inizi 1300-1370
circa), il precursore dell’umanesimo in Italia. Secondo lui, il “legista”, dispregiativo di giurista, aveva come unico scopo
l’arte lucrativa, del guadagno, pertanto compivano solamente una lettura banale della legge -> Petrarca pertanto
applicò una logica filologica al testo, e così facendo, gli umanisti si resero conto di una serie di problematiche dei testi
antichi (es: la littera fiorentina è più antica di quella bolognese).
! soluzione: non conoscere solo il diritto, ma anche le arti, il passato, gli autori e tutti gli elementi che non hanno una
valenza prettamente giuridica, ma che servono al giurista per un uso pratico.

Versanti
Nel ‘400, XV secolo, non si aveva ancora una nuova scuola giuridica umanistica, ma si aveva una contrapposizione
tra umanisti e giuristi bartolisti che determinò polemiche e invettive.

Secondo gli umanisti: i glossatori e i commentatori non erano muniti di strumenti culturali e linguistici sufficienti per
interpretare a fondo il corpus giustinianeo.

Nel ‘400 ci fu:

‣ un versante propositivo: che introdusse la novità dell’interesse per il diritto pubblico romano e le ricerche
documentali di nuovi codici, che portarono al ritrovamento di materiali significativi anche in campo giuridico;

‣ sul versante critico del rapporto umanesimo e diritto, si realizzarono edizioni critiche soprattutto del Digesto,
facendo ricorso alla littera fiorentina iniziata da Angelo Poliziano che aveva il supporto di Lorenzo il Magnifico e
continuata con Lodovico Bolognini, Antonio Agustin, Lelio Torelli.

Lorenzo Valla
Inoltre nel ‘400 spiccò l’umanista LORENZO VALLA, un letterato, filosofo che insegnò retorica a Pavia.
Nel 1433 diventò famoso per scrivere “De insignis et armis” un libello dai toni polemici contro Bartolo di Sasso
Ferrato -> attaccando Bartolo attaccò tutta la cultura giudica dell’epoca e la giurisprudenza dell’epoca. In
particolare, contestò a Bartolo la non conoscenza del latino, oppure il ricorso ad un latino-barbaro, lontano dalla
classicità -> il giurista non contestualizzava il testo nel suo periodo storico, non attribuendogli il significato corretto; anzi
spesso utilizzava il testo di Giustiniano per dare un’interpretazione che a lui conveniva, ma che non era quella reale.

L’approccio di Valla non piacque e quindi fu malmenato, costringendolo ad abbandonare Pavia e a non insegnare per
molti anni, fino a quando raggiunse la Corte spagnola di Alfonso nel 1440, quando era in atto una controversia tra il Re
e il Pontefice che verteva sull’investitura del Regno di Napoli, dove ciascuno dei due invocava la propria legittimità di
infeudare il Regno di Napoli. La Chiesa basava le proprie ragioni sul fatto che la Chiesa aveva sempre avuto un rapporto
speciale con i Regni del Meridione -> Valla scrisse un libro ancora più critico, chiamato “Sul falso credito dell’atto che
contiene la donazione di Costantino”, nel quale contestava la legittimità del potere temporale della Chiesa,
sostenendo che la Donazione di Constantino era un falso. Infatti, grazie alla logica filologica, Lorenzo Valla comparò
tale documento con altri testi del IV secolo, secolo in cui regnò Costantino, ed evidenziò che i termini utilizzati nella
Donazione di Costantino appartenevano al VII secolo, quindi il documento era un falso -> pose in rilievo l’avidità del
dominio dei pontefici, dimostrando che la Chiesa aveva creato apposta dei documenti che auto-legittimavano il suo
potere.
La lettura politica del Valla ruppe quell’universalità della chiesa, e mise in crisi tutti quei canonisti che da Graziano in
avanti aveva studiato la donazione di Costantino (quel documento era stato recepito anche nel Decretum di Graziano
tra i fondamenti del potere universale.

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Quindi Lorenzo Valla utilizzò la polemica, come strumento di conoscenza e non riconosceva nessun ostacolo autoritario
o sacrale al proprio esercizio.
-> accusò i glossatori e commentatori di ignoranza, superficialità e pressapochismo.

Storicizzazione del diritto romano e del diritto canonico: il diritto romano e il diritto canonico non sono diritti
universali, unici, proprio perché era un insieme delle dottrine di pensatori di epoche diverse. -> non si ha più
l’autorevolezza dei due diritti universali, iniziano quindi ad avere più importanza i diritti propri, al diritto patrio.

Giustiniano -> diritto romano potere universale


Irnerio e Graziano danno il valore di unicità al diritto romano -> Graziano costruisce il diritto canonico sul diritto romano
Umanisti -> cercano di universalizzare il diritto canonico e il diritto romano;
Illuministi -> attaccano il diritto romano in quanto diritto del passato, non applicabile al presente.

Il ‘500 e la formazione dell’umanesimo giuridico: Andrea Alciato e l’Italia


Il ‘500 è il secolo dell’Umanesimo giuridico ! alle sue radici è stato indicato un triumvirato composto: dal tedesco
Ulrich Zasy, dal francese Guillaume Budé e dall’italiano Andrea Alciato.

➡ ANDREA ALCIATO nacque nel 1492 (anno emblematico considerato l’inizio dell’età moderna: Colombo sbarca nel
Nuovo Mondo, cade Granada e termina la Reconquista in Spagna, muore Lorenzo il Magnifico), e si munì di una
vastissima cultura umanistica greco-latina.
Iniziò gli studi giuridici all’Università di Pavia e li completò a Bologna, mentre la sua carriera da docente si svolse in
numerose città tra cui Avignone (parte dello Stato Pontificio).

Scrisse numerosi saggi giuridici e fu uno dei massimi esponenti di una sorta di poesia visiva: gli emblemata, dove i
versi latini erano associati ad un’immagine allegorica.
Al centro del pensiero alciateo è la ricerca della chiarezza, negando valore assoluto alle auctoritates e
ridimensionando la dialettica bartolista; egli sostiene che il problema dell’incertezza del diritto è determinato dal
mare magnum di una trattatistica giuridica sterminata.
Egli si concentra sul ridimensionamento del ruolo del giurista, nei Parerga.
Egli vuole ricostruire il diritto romano giustinianeo e rileggerlo secondo le moderne categorie filologico-umanistiche.

➡ LUDOVICO BOLOGNINI E ANGELO POLIZIANO : due eruditi che hanno nell‘inizio del 1500, furono due studiosi del
latino che si approcciarono in maniera filologica e linguistica al Digesto, al fine di sminuire il diritto romano come
diritto universale (come Valla ha fatto per la donazione di Costantino), il loro scopo è prettamente didattico.
Entrambi compararono il Digesto alla “littera pisano Fiorentina” e alla “littera bolognese”, dimostrando che il
testo bolognese conteneva una serie di termini differenti al documento fiorentino. Di conseguenza, i testi sono stati
interpretati e tradotti con un significato che in realtà non gli appartiene.
-> dimostrarono che il Corpus iuris civilis, testo universale e sacro, conteneva errori, quindi non era un prodotto
divino, e non poteva portare una verità tangibile (era un prodotto umano); e nel corso dei secoli sono stati
tramandati gli errori -> critica dell’impostazione dei giuristi.
Si doveva recuperare il prodotto originale, il testo originale -> questa prospettiva si basa anche su tutta una serie di
letture filosofiche, prodotti dai filosofi del passato che avevano basato il loro pensiero sulla criticità del passato attraverso
l’osservazione e l’esperienza. Il dato oggettivo prevale su tutte le letture.
Bacone : filosofo di fine 200, che basava la sua autorità sulla tradizione e sullo studio della natura, attraverso il dato
dell’osservazione.
Duns Scotro : francescano, maestro di teologica. L’autonomia dell’intelletto nella teologia.
Guglielmo di Occan : arriva a distinguere le verità di fede dalle verità di ragione, questo significa che quelle della ragione
si basano sulla conoscenza diretta delle cose.

Si arriva ad una prospettiva empiristica : conoscenza che si raggiunge attraverso la percezione dei singoli dati da

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cui possono derivarsi verità probabili, che non sono desumibili da promesse necessarie, ma sono suscettibili di
rigorosa dimostrazione sillogistica (nesso di casualità sul dato empirico, non più sull’elemento giuridico) -> non c’è
certezza dei dati.
Il dato empirico si basa sulla percezione statistica e sillogistica del comportamento umano. La conoscenza empirica
si struttura su dati probabilistici.
Si recuperano dei giuristi (Bacone, Scotro, Occan) e quei modi di pensare dove si distinguono: la verità di fede, è
una verità intoccabile perché dettata da Dio; e la verità di ragione, tutte le verità di ragione si possono mettere in
discussione, tramite un ragionamento empirico.

Gli umanisti basavano il proprio ragionamento:

✦ Valore empirico ! se viene constatato che nella natura delle cose, un comportamento è ripetuto e applicato in un
certo modo, allora tale comportamento diventa una regola oggettiva, in quanto è stata constata.

✦ Criterio probabilistico ! lettura di una serie di eventi, attorno ai quali manca una connessione certa, ma
attraverso il nesso di causalità, si offre una soluzione che is basa su un giudizio prognostico.
Tutta questa prospettiva umanista arriva a due sbocchi dottrinali: Mos gallicus iura docendi (non tiene conto di
questo nesso di casualità e probabilità); Mos italicus iura docnedi o tardo bartolismo (ne terrà conto, a cui
aderiscono Lorenzo Bolognini e Angelo Poliziano).

L’umanesimo giuridico in Europa con particolare riguardo alla Francia


La Spagna non aderì molto al movimento dell’umanesimo giuridico, mentre in Germania molti giuristi si
caratterizzarono per il loro conservatorismo che salvaguardava molti aspetti del bartolismo, e ciò, tanto più dopo la
recezione formale del diritto comune da parte del tribunale camerale dell’Impero (1495).
BONIFACIO AMERBACH difendeva in una sua opera i giuristi bartolisti, sottolineando che anche le loro lacune dovevano
essere adeguatamente storicizzate.

In Francia si sviluppò a pieno l’umanesimo giuridico: troviamo precursori già nel ‘400, come Martial d’Auvergne, che
aveva scritto Les arrets d’amour, in cui disegnava una complessa e fantasiosa giurisdizione per i casi d’amore. In Francia
si possono individuare tre indirizzi principali:

• indirizzo filologico: di cui massimo esponente fu Jacques Cujas, che eccelse nell’esegesi analitica e critica del
testo.

• indirizzo sistematico: di cui furono esponenti Francois Connan, con il suo interesse per il diritto delle genti e il
diritto positivo, e Hugues Doneau, che concentrò le sue riflessioni sul diritto privato.
Molti giuristi proposero opere di sistemazione enciclopedica, ad esempio il Catalogus gloriae mundi di Barthelemy
de Chasseneuz, che si incentrava sul tema dell’onore.

• la relativizzazione del diritto: la storicizzazione dei prodotti giuridici condusse più di un autore, come Charles de
Moulin, a proporre la redazione e promulgazione di un nuovo Corpus iuris per la Francia.
Francois Hotman scrisse l’Antitribonian ou discours sur l’estade des loix in cui criticava fortemente il CIC.

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La dottrina: un triplice orientamento in questa realtà


1. MOS GALLICUS IURA DOCENDI O SCUOLA CULTA, UMANISTICA O ELEGANTE: era la maniera francese di
insegnare il diritto, nella quale il diritto romano-giustinianeo costituisce un interesse puramente storico-filologico,
quindi NON è diritto vigente.
L’umanesimo giuridico è una scuola che, sul piano filosofico, si oppone:
1) alla scolastica medievale, che si divide tra rispetto dell’autorità e della realtà,
2) e il neoplatonismo rinascimentale, che si fonda sul potere libero ed illimitato dalla regione.

L’umanesimo giuridico si basava: sull’anti-tradizionalismo, sulla critica delle autorità, sul razionalismo e
sull’accademismo.
-> sul piano giuridico: con i diritti nazionali, il diritto romano acquisisce un taglio antiquario, storico-letterario e
teorico;
-> sul piano sociale: la critica umanistica fa emergere il fastidio sociale verso la figura del giurista erudito ed
ermetico.

Questa elaborazione dottrinale punta ad una valorizzazione del diritto nazionale, che si struttura con la logica del
sistema comune, diventando un diritto universale rispetto a tutti i diritti locali che continuano a permanere.
Il diritto romano non è più un diritto universale, ma ha una funzione prettamente culturale, di conoscenza degli
istituti e della storia e della lingua latina.

Il fondatore di questa scuola francese è un italiano, ANDREA ALCIATO (1492-1550): il giurista è un conoscente delle
lingue, della tradizione e delle arti. Si addottorerà nel 1516 all’età di 24 anni e al inizio della sua vita si dedica alla
professione forense, intorno al 1520 viene chiamato a insegnare in Francia ad Avignone (emigrò in Francia perché in
Italia non gli era permesso di utilizzare queste nuove tecniche), poi passerà a Brugge.
Egli da una parte cercò di far immettere nella scienza di diritto tutte le nuove tecniche di erudizione, e cercò di
inserire questi mezzi della filologia, parlando delle letture pure dei testi normativi. Criticò i consilia.
Alciato pose, accanto alle glosse di Accursio, un commentario attraverso una lettura storico filologica,
unendo i problemi tecno giuridici e le letture storiche filologiche.
Le sue opere più celebri sono i ‘paradoxa’, ‘l’emblemata’. È costretto ad emigrare perché in Italia non gli è
permesso di utilizzare queste nuove tecniche. Sarà proprio la Francia a sviluppare i maggiori giuristi dell’umanesimo.

Esistono 2 sottofiloni del Mos gallico iura docendi:

• Filone di giuristi che criticavano tutti i testi romanisti: si svilppò attorno un netta critica dei testi
giustinianei, e quindi del diritto romano.
Il massimo esponente fu FRANCOIS HOTMAN (metà del 1500), che si concentrò nel mettere in rilievo il
discredito il CIC. La sua opera più importante fu l’Anti-Tribonianus, in riferimento a Triboniano, il giurista che
si era messo a guidare la commissione nello sistemare il CIC -> forte critica contro il diritto romano, e anche il
diritto canonico che si era fondato sull’esperienza romana (attaccata anche la visione universalista della
Chiesa).

• Filone che offriva una nuova sistematica del diritto romano: affermando la necessità di un nuovo ordine,
sia logico, che chiaro. Infatti il CIC conteneva un insieme di materie disordinate e contraddittorie, tuttavia
attraverso questa lettura nuova si riuscì a creare un legame logico e sistematico al contenuto del Corpus.
-> presupposto che tutto avesse una logicità intrinseca e che fosse la storia a sciogliere le contraddizioni.
Tra i giuristi più importanti all’interno di questo filone abbiamo:

- Guglielmo Budet: non si laureò in legge (fu un grecista), ma occupò tutta una serie fondamentale di
cariche pubbliche tali, per cui, la sua conoscenza del diritto la produsse sul campo. Scrisse l’opera
‘Adnotationes in Padnectas’, ossia ‘Appunti sul Digestio’, che era un commento che Digestio,
evidenziando gli errori in esso (sopratutto in relazione alla parte contrattualistica).

- Charles Du Muloin (metà del 1500): fu quel giurista che spiegò tutto sul rapporto tra diritto eminente
e tutti i diritti particolari.
In più svolgerà un monumentale commento su tutte le consuetudini della città di Parigi, partendo da un
presupposto: è il diritto consuetudinario che svolge una funzione unificante, formando lo spirito
nazionale francese.

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- Jacques Cujas: ebbe un approccio ai testi romanistici senza pre-concetti, non valutò subito in
maniera negativa il diritto romano, ma ne valorizzò il piano concettuale attraverso un enorme
elaborazione storica, paragonando il Corpus iuris a tutta una serie di testi, che erano stati fatti in arti
diverse nello stesso periodo giustineaneo; sviluppando una particolare analisi critica e dimostrando
un'enorme evoluzione storica.

SCUOLA ELEGANTE OLANDESE: La costituzione dell’Università olandese di Leida, 1575, pose le basi per la
ricezione del metodo storico e filologico, che la scuola culla francese aveva perfezionato.

Nei giuristi olandesi emerge l’approccio alla verifica dell’autenticità dei testi e una costante attenzione per le
fonti antiche; inoltre la futura Olanda avverte il bisogno di ancorare la giurisprudenza a finalità pratiche.
-> È in questo contesto che emerge lo ius hodiernum/modernum, ovvero quella parte del diritto romano che può
essere trattata come fonte giuridica applicabile ai nuovi tempi, oppure lo ius patrium evocante la matrice nazionale
di fonti giuridiche autoctone.
Vanno ricordati: Arnold Vinnen celebre per il commentario ai 4 libri delle Istituzioni; Gerard Noodt celebre per le sue prese
di posizione in tema di separazione tra potere civile e religioso; Johann Voet autore di un commentario alle Pandette.

2. L’USUS MODERNUS PANDECTARUM (uso moderno delle Pandette, ossia del Digesto): tale corrente,
prevalentemente tedesca, rifonda e completa il sistema di diritto costruito dai commentatori.
Essa si costruisce sulla svalutazione del diritto romano, a seguito della disgregazione dell’Impero germanico dopo la
guerra dei Trent’anni (1618-1648).
In particolare, contestò il fondamento teorico del diritto romano, infatti sarebbe stato applicato in Germania, solo
in forza della Translatio imperii, come continuazione dell’Impero romano. L’idea della ricezione teorica venne
sostituita da un concetto di ricezione pratica, ossia una ricezione che avvenne, a mano a mano, che i Principi ed i
Tribunali facevano propri i principi e le norme del diritto romano.
Ne derivano:

1) un interesse per la storia giuridica nazionale per individuare quali principi romanistici dovevano essere
accolti;

2) Una sorta attenzione per il diritto nazionale che, come il diritto romano, diventò oggetto di trattamento
dogmatico;

3) E un maggior adeguamento dell’insegnamento giuridico alla realtà del diritto nazionale.

Quest’orientamento che implicò un coordinamento tra diritto romano e diritti comuni dei regni non è presente solo in
Germania, bensì anche: nelle monarchie dell’Europa meridionale ed occidentale, ed in Portogallo.

In Germania nacque nel 1495 il Tribunale Camerale Imperiale, che doveva giudicare applicando le norme del
Corpus iuris civilis, e proprio in Germania si alimenta il cosiddetto Usus modernus Pandectarum, ovvero il
trattamento attualizzante delle fonti romane in funzione della valorizzazione del diritto autoctono. Si sviluppò inoltre
la propensione a indagare sulle fonti giuridiche del passato, non necessariamente romanistiche, che portò ad opere
finalizzate alla ricerca, allo studio, alla storicizzazione dell’antico diritto germanico.

3. (TARDO) BARTOLISMO O MOS ITALICUS IURA DOCENDI: in Italia, nella penisola iberica e nel sud della Francia,
in cui il diritto civile era quasi solo di base romanistica, continua a circolare il frutto dei commentatori, di cui si è già
a lungo trattato, fino al tardo Settecento.
La logica italiana rimase arroccata negli schemi dei consiglia e dei precedenti, alle continue ripetute preposizioni
giuridiche dei commentatori.
L’Italia era poco sensibile al richiamo della cultura umanistica, quindi il diritto romano rimase il punto di riferimento
del diritto vivo, tuttavia il mos italicus sostenne che il diritto romano, pur storicizzato, era un diritto pratico e
operativo. Il diritto romano diventa un ponte di collegamento tra l’antichità e tutte le epoche successive, proietta di
diritto romano sei secoli.
Tra i giuristi che aderirono a questa dottrina ricordiamo: Ludovico Bolognini, 1446-1508 che operò e studiò a
Bologna, e Lelio Torelli,1489-1576 che operò anch’esso in zona Bolognese.

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La Scuola di Salamanca (XVI)


Il Regno di Spagna si costituisce dall’unione del regno di Castiglia e di Aragona, con il matrimonio tra Isabella e
Ferdinando nel XVI secolo, chiamato anche el Siglo de Oro, che culminerà quando il nipote Carlo d’Asburgo nel 1530
cumulerà la corona regia con quella di Imperatore del Sacro romano impero.

Nell’antica Università di Salamanca, FRANCISCO DE VITORIA diede vita alla cosiddetta “SECONDA SCOLASTICA”: un
filone di riflessione teologico-filosofico, che sosteneva che il diritto romano non era più in grado di fornire tutte le
risposte e gli inquadramenti normativi che le scoperte geografiche avevano portato.

De Vitoria fu un teologo che basò i propri studi sullo ius gentium di San Tommaso d’Acquino -> rivendicava il ruolo
primario del teologo (non al giurista di diritto comune), che essendo in grado di interpretare i segni della volontà di Dio,
è capace di assistere il legislatore.

La Natura aveva creato diseguaglianza tra gli uomini, segno di una precisa volontà di Dio, che doveva essere
ripresentata nell’ordinamento giuridico, in cui dovevano esserci status personali differenti anche sul piano sociale e
politico: è naturale, e quindi giusto, che ci siano uomini ricchi e altri poveri, liberi e altri schiavi.
-> il teologo deve assumere anche il ruolo di giurista.

Inoltre la scuola di Salamanca produsse numerose opere sul tema ricorrente della “guerra giusta”, cioè dei
fondamenti legittimanti della violenza di un popolo contro un altro. A questo proposito Juan Gines de Sepulveda non
nutriva dubbi sulla manifesta inferiorità degli indigeni e legittimava i conquistadores agli atti di sottomissione violenta,
mentre Bartolomeo de Las Casas forniva un resoconto impressionante della devastazione prodotta dagli spagnoli per
interrogare la coscienza dei contemporanei.

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Il diritto come scienza giuridica normativa (universale/cetuale)


e l’ideologia anti-giurisprudenziale

L’esperienza giuridica italiana ed europea da Irnerio in poi fu caratterizzata da una cogente scienza giuridica
normativa universale legata al ius commune, connessa al’Impero e alla Chiesa.
Tuttavia dai commentatori in poi ci fu:

• La critica del diritto comune;


• La critica sul ruolo dei giuristi, che furono scalzati dal piedistallo medievale dai sacerdotis iuris.
• i Principi che intensificavano la legislazione in un ambiente di pluralità giuridica, creando sempre più confusione
all’interno di diritto e quindi non garantendo la certezza di quest’ultimo.

Di conseguenza si era affermata l’ideologia antigiurisprudenziale, che emerge nelle pagine degli scrittori utopistici
come Traiano Boccalini che scrisse “I ragguagli del Parnaso”: che rappresentava un mondo utopistico retto da Apollo
con saggezza ed equilibrio. Egli immaginò che vari popoli delegassero dei propri deputati presso i rispettivi principi al
fine di ridurre il numero eccessivo delle leggi, ma la vicenda si concluse con la bastonatura dei deputati da parte dei
Principi.
Per Boccalini la vera responsabilità era da attribuire non tanto alle norme quanto agli interpreti; dal canto suo Tommaso
Campanella nella descrizione dell’utopistico ordinamento giuridico de “La città del sole”, negava una qualsiasi
autonomia della scienza giuridica nei confronti dell’etica, della religione e del mero buon senso: troppi lunghi processi,
leggi, avvocati e operatori forensi erano i mali del sistema.

Il giurista/giudice
L’ETÀ MODERNA (1492-1789) fu sopratutto l’età della giurisprudenzializzazione, infatti la letteratura giuridica di
diritto comune fu caratterizzata da una progressiva affermazione di modelli di tipo sentenziale:

CONSILIA (responsi) redatti da giuristi in un’ottica di giudici, cioè il giurista assumeva le vesti del giudice e
produceva la sua soluzione della controversia. Il responso giuridico conobbe due forme:

✦ il “consilium sapientis iudiciale” che costruì nel diritto medievale il sistema tra iura propria e ius commune
(diritto consuetudinario, regio, statuale). Il consilium era redatto come visualizzazione scientifica della fattispecie
secondo lo ius commune.

✦ i “consilia sapientis pro veritate” furono usati tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna; erano i
responsi preparati dal giurista su richiesta di una parte in processo.
Al contrario del consilium sapientis iudiciale, i consilia pro meritate erano redatti su richiesta di una parte in
processo, quindi il consiliatore non era proprio imparziale.
-> si distingueva dalle allegationes degli avvocati, che erano formalmente pro parte, perché i consilia sapientis
pro veritate erano sostanzialmente pro parte, perché il giurista era pagato dal committente

I consilia sapientis pro meritate erano la manifestazione per eccellenza del diritto come scienza lucrativa.
Tanto che alcuni storici hanno preferito distinguere un’età dei commentatori da un’età dei conciliatori a
decorrere dal XV secolo. Tuttavia questa distinzione non è molto convincente, in quanto le tecniche dialettiche
utilizzate dai consilia non differiscono in misura apprezzabile da quelle propri delle questiones, dei commentari e
dei trattati della tradizione mos italicus.

L’edizione a stampa di questi consilia aumentò il problema del caos di opinioni, aggravando le incertezze e le
contraddizioni.

A questo proposito, ANDREA ALCIATO (1492-1550), giurista umanista, era contrario a considerare i consilia
come prodotto di scienza, a causa del loro carattere occasionale e mercantesco; ed era ostile alla posteriore
pubblicazione in raccolte che finivano per avere forza normativa.

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Le argomentazioni sostenute dal giurista potevano essere fondate: 1) sulla base della legge, 2) sulla base della
ratio, 3) sulla base della autorità dottrinale di un giurista o della comune opinione dei giuristi (era molto frequente
che il responso fosse integrato dalle sottoscrizioni di altri giuristi che convalidavano l’opinione in esso contenuta,
con la propria firma).

Secondo ALCIATO esistono 3 modelli stilistici dei “consilia pro veritate”:

‣ Sottigliezza (il giurista che inventa): era il metodo con cui si era costruito il diritto comune nel ‘300 con il
giurista che utilizzava il testo romano-canonico come pretesto legittimante per la costruzione di un diritto
nuovo.

‣ Brevità (il giurista che si attiene rigorosamente alla ratio legis): approccio caratterizzato dal primato
argomentativo della ratio legis e da un conseguente ridimensionamento dell’argomentum ab auctoritate.

‣ Quantità (il giurista che accumula e riordina): si tratta dell’approccio dei giuristi dei tempi nuovi, era lo
stile più facile e fondato sulle auctoritates e sulla enunciazione della communis opinio (adottandola i
giudici si ponevano al riparo da ogni eventuale responsabilità civile o penale).
I volumi di responsi o commentari erano muniti di meticolosissimi INDICI nei quali erano raccolti tutti i
principi giuridici sostenuti o anche contestati dall’autore, e il consiliatore si limitava a cercare quanto gli
serviva per la fattispecie.

Possiamo constatare che la sottigliezza e la quantità, come modelli stilistici, sono molto simili: avevano un diverso
dosaggio delle argomentazioni, tuttavia conservavano la stessa costruzione logica -> copiscua unità stilistica e
argomentativa fra l’insegnamento universitario (quaestio), la ricerca scientifica (commentaria) e la pratica giudiziaria
(sentenza).
In particolare, i giuristi cercavano di immettersi nei panni dell’altra parte immaginandone le possibili argomentazioni;
ognuna di queste veniva poi attentamente contestata nella seconda sezione del responso.

Le raccolte consiliari ebbero un effetto moltiplicatore delle opinioni sostenute dai singoli giuristi, tanto che i
trattati di Girolamo Zanchi e Paolo Perremuto hanno individuato tutti quei casi, molto frequenti, in cui un
giurista si era contraddetto fra un consilium e l’altro; talvolta lo stesso giurista durante uno stesso processo
arrivava a redigere consilia per le 2 parti contrapposte.

ALCIATO era contrario al principio di autorità ma non alla comune opinione, infatti sosteneva che per risolvere
i problemi forensi era necessario utilizzare l’opinione sostenuta dalla maggioranza.
Inoltre Alciato non condannò la redazione di risposi su commissione, ma condannò principalmente il fatto che
questi consilia venissero pubblicati e posti sullo stesso piano autoritativo dei commentari e dei trattati.
Infine egli propose un consilium breve, definito anche “umanista”, fissando la prevalenza argomentativa della
ratio legis e del diritto comune (escludendo quindi la struttura dialettica pro/contra, e il culto del principio di autorità)
-> la brevità consisteva nell’andare subito alla gola del problema, con la valutazione diretta della fonte giuridica
idonea a risolvere il caso (riduzione degli argumentum ab autoritate).

ALCIATO, come giurista umanista, cercava la soluzione dei problemi del presente nel passato, infatti
inizialmente si era proposto di riprendere lo stile di redigere i consiglia proprio degli antichi giuristi romani e dei
glossatori del XII-XIII secolo, in quanto rispondevano alle problematiche con lo studio dei principi del diritto.
Tuttavia si rese conto che i giuristi e gli avvocati dell’epoca non erano propensi ad utilizzare tale stile, perché
troppo coinciso e oscuro, di conseguenza decise di riprendere la struttura dialettica pro/contra, ma
proponendone 2 riforme: 1) l’uso di un latino più dotto e articolato; 2) limitazione delle auctoritates, o comunque
con la loro formale esplosione al di fuori del testo, limitandole a delle note a margine.
-> Infatti il suo obiettivo era quello di dimostrare la razionalità e la fondatezza del discorso giuridico

Tuttavia anche queste ultime proposte di Alciato non furono accettate dagli ambienti forensi del tempo, e quindi
al fine di non perdere tutte le sue cause per una pretesa oscurità, decise di rinunciare ai suoi propositi
riformisti e di adattarsi per intero allo stile dei responsi del suo tempo. Tuttavia fu intransigente su un punto:
i suoi consilia non furono mai pubblicati in una raccolta, considerando tale operazione, contraria al pubblico
interesse.

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DECISIONES (sentenze) redatte da giudici in un’ottica di giuristi.


A partire dal XVI secolo il processo di riorganizzazione delle funzioni dello Stato passò attraverso l’istituzione, la
valorizzazione e la riforma di organi centrali del potere giudiziario, cioè di giurisdizioni di ultima istanza
sottoposte alle dipendenze e al controllo del principe nel cui nome giudiciavano -> la volontà di controllo e
accentramento del sovrano assoluto (legibus solutus, sciolto dalle leggi) portò all’emersione di un nuovo ceto di
giudici giuristi: i giureconsulti di Stato, che sostituirono i giuristi consulenti.
Pertanto, finì la res publica iuriconsultorum, che in una logica corporative e cetuale, aveva caratterizzato il secolo
precedente, dando luogo alla res publica togatorum, costituita da giureconsulti di Stato, di elevata preparazione
tecnica.
I grandi tribunali collegiali erano di due tipologie:

• Senati/Consigli regi: svolgevano diverse funzioni: giurisdizionali, politico amministrative, partecipavano all’iter
di approvazione delle leggi del sovrano, giudicavano in appello (ordinario e strarodinario), e in alcune materie
(demaniali o regie) giudicavano in modo esclusivo e con un unico grado.
I membri erano scelti dal princeps, erano in carica a vita ed avevano grande autorevolezza e prestigio tanto da
poter registrare gli atti governativi, ovvero potevano controllare l’attività normativa del governo, tramite un
controllo di legittimità formale (potevano bloccare temporaneamente l’atto principesco anche nel caso in cui la
volontà del principe apparisse viziata da errore o da inganno).
Erano esenti dall’obbligo di motivazione delle sentenze ed erano legittimati ad usare un’ampia sfera di potere
discrezionale: “arbitrium iudicis” era un vero e propri diritto di giudicare sotto lo schermo dell’equità coincidenze
di fatto con quell’arbitrio.

• Rote: basate sulla Rota romana istituita nel 1331 da Papa Giovanni XXII con la Decretale Ratio Iuris. Erano degli
organi collegiali che in molte città andarono ad occupare il posto dei tribunali comunali potestarili.
Le Rote avevano funzioni esclusivamente giudiziarie, e i cui giudici erano nominati a maggioranza dai
consigli patriziati cittadini, avevano carica temporale (3 o 5 anni), e al termine del loro operato erano
sottoposti a sindacato da parte dell’autorità cittadina.
Per essere nominati, i giudici dovevano avere precisi requisiti professionali, dovevano infarti essere dei veri e
propri tecnici laureati in diritto e avevano l’obbligo di motivare le loro sentenze.
-> l’obiettivo era di assicurare una sorta di indipendenza di giudizio rispetto alle pressioni politiche cittadine. Ne è
un esempio la costituzione del 1683, a riguardo della Rota di Bologna, la quale sanciva che i giudici dovevano:

1. Essere stranieri che non avevano risieduto a Bologna da almeno 1 anno;

2. Laureati da 10 anni in diritto civile oppure in utroque ius;

3. Dovevano possedere un’esperienza di 5 anni come lettori in una pubblica università o come magistrati in
luoghi di prestigio;

4. I giudici non potevano essere richiamati prima che fosse trascorso un intervallo di 5 anni dalla fine del
mandato precedente,

5. Non potevano essere eletti due giudici provenienti dalla stessa patria.

Pur mancando un riconoscimento ufficiale delle decisione come fonte di diritto, la giurisprudenza delle corti
sovrane assunse di fatto forza vincolante, una vis legis all’interno dello Stato, che favorì l’unificazione e la
certezza del diritto, riconoscendo indirettamente il valore del “precedente giurisdizionale”, nonostante il divieto del
diritto romano -> i precedenti si sono affermati anche all’esterno degli Stati di riferimento, conducendo alla
formazione di usi forensi europei (europeizzazione).
Le decisiones grazie alla stampa, si diffusero e andarono a sostituire, in autorevolezza, le raccolte dei consilia;
le raccolte potevano essere di vari tipi:

• Raccolte integrali: in cui il curatore assemblava tutto ciò che ruotava intorno alla sentenza;

• Controversiae forenses: riassunti della controversia redatto da uno dei magistrati investiti della cauda;

• Massimari e repertori: il redattore estrapolava la massima di diritto della decisione;

• Colluctationes legales e observationes: riportavano le principali decisioni attorno ad un determinato tema;

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• Miscellanee enciclopediche: con un ordine alfabetico in relazione ai singoli istituiti giuridici condensavano la
più autorevole giurisprudenza.

Tuttavia, questa giurisprudenzializzazione del diritto comune tra il XVI e il XVIII secolo, non è proprio unitaria, in
relazione delle fonti locali, anzi accentuò il particolarismo giuridico.

Grandi e piccoli tribunali nell’intrico di giurisdizioni di una città di antico regime: caso di Bologna
L’idea di giudice naturale, oggi definito dall’art. 25 della Costituzione, per cui “nessuno può essere distolto dal giudice
naturale precostituito per legge”, era sostanzialmente assente nell’età moderna. Possiamo ricordare il caso di Bologna.

A Bologna, la ROTA esercitava la suprema giustizia in materia civile, per le più importanti controversie interne alla
élite patrimoniale e nobiliare. Infatti richiedevano un giudice imparziale ma anche di nomina cittadina.
La Rota di Bologna fu istituita da Papa Paolo III nel 1535, ed era limitata alla materia civile e priva di quelle competenze
in campo criminale, in quanto la giustizia criminale fu riservata al Tribunale del Torrone, retto da un giudice di stretta
nomina ponteficia.

La Rota di Bologna era composta 5 auditori, non bolognesi e che non avessero risieduto in città da almeno 1 anno, e
che fossero dotati dei requisiti professionali sopra citati. Gli auditori erano selezionati per 5 anni dal Senato e
prestavano giuramento di applicare gli statuti cittadini e, ad integrazione, il diritto comune civile e canonico.
Al termine del mandato erano assoggettati ad un giudizio di sindacato da parte di 11 cittadini di ogni ordine, di cui
uno svolgeva le funzioni di podestà/rettore/pretore, con funzioni direttive e rappresentative, e nominava il notaio “del
fango e delle strade” e il giudice “al disco dell’orso” che aveva competenza in materia tributaria e penale.

Le cause rotali avevano valore superiore alle 100 lire: un auditore “ponente” sorteggiato a sorte, esaminava e
risolveva la controversia, comunicando gli estremi delle sue conclusioni (dubia) alle parti richiedenti, infine il collegio si
riuniva e votava senza l’auditore “ponente", le sentenze erano deliberate ed emanate dall’intero collegio ed erano
accompagnate da una decisione comprensiva delle allegazioni legali e dottrinali, poi depositate presso la cancelleria del
senato. Se la sentenza era appellabile, il processo era preparato e presentato da un diverso “ponente.

Per le cause con un valore inferiore alle 100 lire, ma superiore alle 50 lire, la competenza della rota era meramente
accessoria, quindi le cause erano decide da un auditore soltanto; per le cause inferiori alle 50 lire si attuava solamente
una procedura sommaria.

Accanto alla Rota, a Bologna operava anche un’altro importantissimo tribunale civile: il LEGATO svolgeva
abitualmente la propria giurisdizione civile per via di delegati e esprimeva l’autonomia cittadina, al contrario di
quello di Rota che esprimeva il potere pontificio. Inoltre il Legato, era competente in appello, al contenzioso di un foro
arcivescovile.
Il tribunale legatizio si proponeva di semplificare e ridurre le forme della durata, mentre l’obiettivo del tribunale rotale
era la ponderazione delle cause -> Il legato avrebbe dovuto presentarsi come più snello e idoneo a cause civili di
minor valore, tuttavia era frequentemente usato il potere d’avocazione (assunzione su di sé) delle cause.

ROTA di Bologna: esprimeva il potere pontificio, obiettivo: ponderazione delle cause

LEGATO di Bologna: esprimeva l’autonomia cittadina, obiettivo: semplificare e ridurre le forme della durata del processo

Persisteva poi il caos dei PICCOLI TRIBUNALI:

• Assunti: Assunti del governo contado, Assunti dell’Imposta, Assunti dell’Ornato;

• Tribunale arcivescovile

• Magistratura degli anziani (ufficio da honore, non retribuito)

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• Magistratura dei Collegi: fu la magistratura locale per eccellenza, ed era competente per la materia di
commercio, annona e vettovaglie. Era composta da 4 tribuni della plebe per i 4 quartieri (16 tribuni in tutto) e
27 massari per ciascuna delle arti.
Nel tardo antico regime al collegio partecipavano i seguenti tribuni, sorteggiati dall’assunteria di Magistrati, in
carica per 4 mesi : un dottore legista (che aveva la funzione di fornire uno spessore tecnico e culturale alle
deliberazioni giudiziali), un dottore artista o notaio collegiato, 2 senatori, 4 nobili, 4 cittadini scelti, 4 mercanti.
Mentre i massari facevano parte delle corporazioni di mestieri, di arti, ed erano estratti dal gonfaloniere,
rimanevano in carica per 3 mesi: avevano giurisdizione in materia di diritto del lavoro e mercatorio.

• Foro del ceto dei mercanti: composto da 12 consoli, e presieduto da un Doctor legis, era competente quando
anche solo una delle parti di una controversia fosse stata identificata come mercante. La soluzione si fondava
sulle consuetudini e sull’equità del ceto mercantile.

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AUTORI CHE ANTICIPARONO L’ILLUMINISMO E LA RIVOLUZIONE FRANCESE

Scolastica (metà 600 a metà 700): è il termine con il quale comunemente si definisce la filosofia cristiana medioevale,
in cui si sviluppò quella scuola di pensiero detta anche scolasticismo. La filosofia scolastica cercava di conciliare la
fede cristiana con un sistema di pensiero razionale, specialmente quello della filosofia greca.
! non ricordiamo fatti importanti; si sposta l’attenzione dal dato giuridico a quello politico. Ricordiamo comunque
alcuni giuristi che in questo periodo sviluppano una certa propensione per alcuni aspetti: Ugo Grozio, Giambattista
de Luca, Ludovico Antonio Muratori.

✦ UGO GROZIO (1583-1645) -> fondatore del GIUSNATURALISMO MODERNO


Visse nei primi anni della Repubblica delle Sette Province Unite, Paesi Bassi.
Ugo Grozio è molto importante perché creò il paradigma della modernità, ossia una giustificazione laica e
razionale, in sostituzione di quella medievale, riassumibile nella terna: Dio, Impero, Chiesa.

Egli contribuì a definire i lineamenti moderni del diritto internazionale marittimo nell’opera Mare liberum, che
compose in qualità di avvocato della Compagnia Olandese per le Indie Orientali, ponendo il tema delle norme
universali, ossia che non avevano bisogno di riconoscimento di un’autorità politica universale o nazionale.

In “diritto di guerra e di pace” tratta il tema della “guerra giusta” in prospettiva internazionalistica,
sottolineando la dipendenza di tutti gli stati al diritto naturale: insieme di regole naturali e universali che stanno alla
base della razionalità (non utilizza l’interpretazione della Chiesa, che identifica l’insieme delle regole volute da Dio
per il governo degli uomini). La norma di diritto naturale non è rivelata e non ha bisogno di essere interpretata
teologicamente, ma può essere conosciuta da tutti; in tal modo il diritto naturale viene secolarizzato.
Il tema della guerra giusta farà parte di tutto il 1500/1600 fino ad arrivare al giorno d’oggi.
-> Grozio non voleva negare l’esistenza di Dio, ma affermare che la razionalità umana, benché di matrice divina, ha
una sua autonomia
-> la radice del diritto e dello Stato, non è teologica, ma è umana: deve essere il prodotto di un contratto
sociale tra conosciati-> l’uscita da uno stato di natura per entrare in uno “stato civile”. Una base contrattuale,
dunque, definisce i caratteri, i poteri e i limiti del potere politico, legittimato dagli uomini stessi che vi si
sottopongono volontariamente.

✦ GIAMBATTISTA DE LUCA (1614-1683): è considerato il più importante giurista del XVII sec. Si laureò in
giurisprudenza ed esercitò l’avvocatura, poi nel 1644 prese l’abito ecclesiastico: divenne prima uditore, poi
segretario dei memoriali di Innocenzo XI, e nel 1681 divenne cardinale. I suoi caratteri tipici sono:

‣ Enciclopedismo: Egli pose l’accento non sui consiglia, ma sui grandi tribunali europei, ossia sulle decisiones
-> l’attenzione ricade sulla pratica, ovvero sulla dottrina della pratica, e non sulla teoria.
Grazie ai suoi numerosi studi, ha riconosciuto che questi tribunali avevano una giurisprudenza tra loro simile. Il
De Luca scrisse un opera che diventò famosissima ‘THEATRUM DI VERITÀ E GIUSTIZIA’, pubblicata nel 1673, che è
un opera di ben 21 volumi, che raccoglie alcune migliaia di allegazioni di avvocati e oltre 2800 consigli e che
riguarda tutti i rami del diritto (ad eccezione del diritto penale), contente tutta la prassi giudiziale dell’epoca. È un
lavoro che si struttura in modo enciclopedico, sistematico, fondato sulla prassi della ‘Rota Romana’.

‣ Volgarizzazione: L’altra opera che rende il DeLuca il giurista più importante del 1600 è il ‘DOTTOR VOLGARE’,
1673, che già dal nome indica la peculiarità (Dottore: colui che studia, Volgare: prima opera che è scritta in lingua
italiana, infatti tutti i trattati erano scritti in latino). È un’opera che cerca di far conoscere il diritto comune anche
al di fuori dell’ambiente forense (comprende anche il diritto penale, a differenza del suo primo trattato), è
considerato un’opera divulgativa per tutti.
All’interno di quest’opera il DeLuca sempre partendo dalle grandi decisioni, cercò di proporre una sorta di scala
gerarchica delle fonti giuridiche di diritto comune (il pluralismo giuridico era entrato in crisi):
1) giurisprudenza dei tribunali europei: le decisioni dei tribunali collegiali e primari di un Regno o Principato;
2) decisioni dei giuristi tramite voti o responsi (consilia)
3) dottrine di giuristi classici o antichi, la cui autorità era superiore a quella dei moderni;

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4) autori dei trattati e delle questioni, o controversie in astratto;


5) dottori consulenti che realizzavano responsi sotto richiesta dei clienti.

‣ Cetualismo: Ne “IL CAVALIERE E LA DAMA”, dedicato alla regina Cristina Alessandra di Svezia, compie una
riflessione sulla centralità dei giuristi nel governo della società: il giurista deve avere competenze politiche, come
il politico deve avere competenze giuridiche, con la differenza che il sapere politico si assume leggendo e
vivendo. Afferma che il politico è un soldato, un cavaliere.
De Luca parla di 2 tipi di leggi: leggi in senso stretto di diritto comune e “leggi della convivenza”.
Nell’opera egli esponeva le linee essenziali della giuridicità cetuale specifica della nobiltà, che conduce ad una
percezione del diritto fondata su di una equità che era innata e senza alcuna necessità di conoscere il latino.

✦ LUDOVICO ANTONIO MURATORI (fine ‘600 - metà 700): nacque nell’Emilia Romagna, è fu un sacerdote laureato in
diritto. All’epoca fu famoso per le sue opere storiche, mentre le sue opere giuridiche divennero famose postume a
lui.
Scrisse due opere giuridiche brevi:

‣ De codice Carolino: partendo dal presupposto che la ripetitività del diritto comune aveva ormai perso la
propria razionalità, Muratori sostenne che era necessario riformare il diritto, grazie all’intervento
dell’Imperatore Carlo VI (logica medievale). I problemi erano laici, anche se stava parlando un sacerdote.

‣ I difetti della giurisprudenza (1742): in questa opera sono racchiusi i problemi della giurisprudenza, dal
punto di vista di Muratori. Tuttavia, in questo caso non ha offerto un criterio per risolvere i problemi, in
compenso, però ha offerto dei modelli/metodi con cui ci si poteva confrontare.
Muratori sosteneva che il sistema giuridico dell’epoca aveva numerose falle, così tante da non potere
risolverle tutte, quindi era necessario darsi delle priorità e capire quali potevano essere i rimedi per risolverli.
Pertanto suddivise i difetti in: difetti intrinseci, quei difetti che sono inevitabili, e aveva la consapevolezza che
si ripeteranno sempre (es: corruzione dei giudici); difetti estrinseci, quei difetti che dipendevano da quel
contesto storico, quindi potevano essere risolti (proliferazione di interpretazioni dei dottori).
In particolare, Muratori sosteneva che le pubbliche autorità -l’Imperatore in particolare- avrebbero dovuto
formare una commissione di giuristi di altissimo livello col compito di risolvere i casi controversi nei
tribunali: le loro decisioni avrebbero dovuto avere forza di legge.

Nel contesto delle dinamiche del pensiero giuridico in età moderna si trovano più profili del pensiero
muratoriano: 1) l’ideologia antigiurisprudenziale che tendeva a individuare i mali del sistema giuridico nell’opera
degli interpreti; 2) la proposta di una commissione di giuristi di nomina imperiale che risolvesse i principali
problemi (precedente la Scuola elegante giuridico umanistica olandese); 3) il riferimento alla dottrina di De Luca.

Il saggio è in sintonia anche con la cultura d’antico regime della prima metà del ‘700, con cui condivide l’idea di
riforma basata sull’esperienza e l’interesse per la cultura cetuale della nobiltà, e delle sue valenze giuridiche
!“Introduzione alle paci private” e “Del duello”, in cui si affronta il problema dell’idea di giustizia propria della
nobiltà.

Giusnaturalismo
Il GIUSNATURALISMO è una corrente filosofica del diritto che si è affermata nel 1600. In questa corrente il diritto
naturale è una sorta di norma universale, comune a tutti i popoli, la quale è fondata sulla ragione. Il pensiero
sociale e giuridico è quindi laicizzato:

1) non c’è una unità religiosa (c’è stata la riforma dell’antico diritto naturale, il quale si basava sulla teologica);

2) Contatti con popoli estranei alla tradizione religiosa europea.

-> il diritto naturale non è più quel diritto necessario alla preparazione della città divina, ma esso discende dalla
manifestazione delle tendenze naturali dell’uomo o della necessità di garantirle. Pertanto si prendono le distanza
da riferimenti a Dio, e quindi il fulcro del diritto è il singolo individuo, che costituisce il punto d’appoggio di tutte le
costruzioni del diritto della natura.

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La volontà diventa l’unica fonte di disciplina politica e civile, seppure il volontarismo radicale trova un limite nella
necessaria guida della volontà da parte della ragione.

Gli STRUMENTI DEL GIUSNATURALISMO sono:

‣ l’osservazione, storica ed attuale delle società umane;

‣ la ragione:
1) identifica assiomi nella natura dell’uomo (es.: secondo Locke, l’uomo è governato dall’istinto di
conservazione);

2) definisce i procedimenti intellettuali capaci di dedurre altre norme dagli assiomi identificati.

Il diritto razionalistico e le sue ripercussioni


Il RAZIONALISMO è una corrente filosofica, che si è affermata nel corso del 1700, basata sull'assunto che la ragione
umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza.

Il razionalismo ha introdotto una nuova fase del diritto europeo, tuttavia mantenendo alcuni elementi di continuità col
passato: la tendenza universalistica della natura dell’uomo, che è eterna e immutabile.

I CODICI sono tendenzialmente universali, quindi spesso vengono esportati; costituendo il COSMOPOLITISMO del
diritto e della stessa legislazione (la dottrina che sostiene l'irrilevanza delle distinzioni sociopolitiche tra Stati e
nazioni, e attribuisce pertanto a ciascun individuo la cittadinanza del mondo -> i vari diritti dei vari Stati, se basati sulla
razionalità, possono essere estesi in altre realtà, proprio perché sono basati sui comportamenti universali dell’uomo)

Il cosmopolitismo del diritto è stato attenuato solo col NAZIONALISMO ROMANTICO: in Germania von Savigny
attaccò il progetto di codice di Thibaut, sostenendo che il diritto è vita quindi non può essere fissato in un codice,
inoltre, i codici universalistici del razionalismo sono inaccettabili dallo “spirito del popolo”.
Tuttavia viene utilizzati alcuni principi del pensiero illuministico: centralità dei diritti individuali e principio di legalità
(sopratutto nell’ambito del diritto penale).

L’ORDINAMENTO POLITICO STATUALISTA, che voleva l’istituzionalizzazione, fu un movimento legalista voluto dalla
classe borghese, volto alla codificazione, ovvero alla raccolta generica e sistematica delle leggi all’interno di un
codice. Questo permetteva una nuova applicazione del diritto: infatti era un’applicazione più quotidiana e controllabile
dallo Stato -> statualismo, certezza del diritto e prevedibilità: portano a nuovi assetti sociali, politici e giuridici.

Tra il 1750 ed il 1850 si ha il LIBERALISMO:

• nuovo paradigma di organizzazione politica (statualismo liberale) e di organizzazione sociale (liberalismo


proprietario)

• Si basava sui principi: libertà (personale, e di lavoro ed industria), proprietà (costituzionalizzata à si può parlare di
individualismo possessivo) ed uguaglianza (politica, processuale e penale) di fronte alla legge.
-> questi principi sono poi stati stabilizzati legislativamente in codici, ma anche dal punto di vista dottrinale.

L’illuminismo
L'ILLUMINISMO fu un movimento politico, sociale, culturale e filosofico sviluppatosi intorno al XVIII secolo in Europa
(1700). Nacque in Inghilterra, ma ebbe il suo massimo sviluppo in Francia, poi in tutta Europa e raggiunse anche
l'America.

L’illuminismo giuridico è l’applicazione nel settore giuridico del razionalismo settecentesco. Il tentativo è di riportare
alla luce il diritto naturale, oppresso durante l’Antico regime.

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➡ MONTESQUIEU è un moderato, un funzionario del monarca, un magistrato nello specifico. Scrive De l’Esprit de
loix nel 1748: sancisce la definitiva affermazione della separazione dei poteri e ha un atteggiamento “relativista”,
ossia nel momento in cui definisce il sistema dei rapporti che lega il diritto alla forma di governo, offre attenzione
ai fattori locali apparentemente estranei, come il clima o la religione.
Le leggi derivano dalla natura delle cose, ma vi sono diversità tra le nazioni, date dalle loro specificità. Le leggi
vengono dal potere legislativo che esprime la volontà generale dello Stato. I giudici invece sono solo la bocca
della legge.
! VISIONE LEGICENTRICA (per questo è presente nei commenti ai codici)

➡ CESARE BECCARIA (Milano 1738-1794) fissa i principi dell’illuminismo giuridico penale in Dei delitti e delle
pene (1764): razionalizzazione del sistema giuridico penale, depenalizzazione, proporzionalismo, mitigazione
delle pene, abolizione della pena di morte. -> Già dal contratto sociale deriva il diritto dello Stato a punire, ma
con dei limiti, dati da valori universali, ossia dall’utilità sociale.
Il legislatore scrive poche leggi chiare e facilmente applicabili, scritte nella lingua del luogo e raccolte in un
codice. Vi è diffidenza verso il giudice che deve svolgere un’attività meramente meccanica.

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LE DIMENSIONI DELL’ETÀ MODERNA

L’età moderna è costituita da diverse dimensioni che convinto contemporaneamente:

LA DIMENSIONE NEO-UMANISTA: il diritto “arcadico” di Gian Vincenzo Gravina

LA DIMENSIONE RIFORMISTA: da “I difetti della giurisprudenza” (1742) di Ludovico Antonio Muratori (di
Vignola, sacerdote, laureato in diritto, noto come storico) emerge un giudizio critico sul diritto del suo tempo,
riassunto nel termine “giurisprudenza” (con particolare riferimento al settore civile), distinguendo i difetti
ineliminabili da quelli correggibili. Si rivolge nel libro al pontefice Benedetto XIV proponendo un testo legislativo
chiarificatore e semplificatore; elogia l’opera di Vittorio Amedeo II, riferendosi alle Costituzioni del 1723; esprime
scetticismo per la ristrutturazione globale dei giusnaturalisti (Grozio e Pufendorf) e non crede in un diritto di
ragione valido in ogni tempo.

LA DIMENSIONE DISCIPLINANTE: fra soluzione sociale dei conflitti, repressione d’apparato e scientifizzazione
del problema criminale:
1) giustizia criminale: i tribunali + patteggiamenti di famiglia o di ceto, in base a consuetudini
2) impotenza della giustizia criminale bassomedievale e di Antico regime:
- per la carenza di un apparato repressivo poliziesco sufficientemente diffuso ed organizzato;
- per la carenza di idonei strumenti tecnici a supporto delle indagini.

Di conseguenza la materia penalistica non era molto interessante per i giuristi medievali, si ebbe la riforma nel
1500, quando la criminalistica divenne oggetto di cattedre universitarie (prima Bologna) ed acquisisce
autonomia scientifica grazie a Giulio Claro, Tiberio Deciani e Prospero Farinacci.

LA DIMENSIONE CETUALE: una scienza normativa nobiliare basata sulla scienza dell’onore (è una scienza
normativa in quanto prodotto e produttrice di norme di ceto), la sua scienza si basa sul diritto e sulla giustizia
specificamente nobiliari.
La formazione cetuale del diritto si ripercuote anche sulla concreta prassi della giustizia pubblica: ci sono
controversie con i tribunali ordinari, da cui nascono atteggiamenti di insofferenza nobiliare sia contro il potere
“statale”, sia contro il disconoscimento della propria leadership da parte degli altri ceti.
Gli istituti ai quali è legata la mobilità sono:
1. tribunali privati nobiliari;
2. duello;
3. e pace d’onore.
Per i nobili: il DIRITTO COMUNE è un diritto intrinsecamente storico e contingente, coltivato da interpreti
corrotti, che possono sostenere tutto ed il contrario di tutto
≠ il DIRITTO DEI NOBILI è invece visto come cristallina proiezione della natura eterna dell’uomo, coltivato da
autentici scienziati d’onore, desiderosi solo di verità: le leggi d’onore sono quindi immutabili ed eterne,
costituiscono un “principio costituzionale della verità”, un diritto naturale del ceto nobiliare.

La dimensione neo-umanistica: il diritto arcadico di Gian Vincenzo Gravina


Nell’avanzare dell’età moderna i due movimenti del mos italicus e del mos gallicus si coniugarono in forme ibride,
basate sulla sostanza “bartolista” non disdegnavano di svolgere concetti e problemi di ordine umanistico.

Fra XVII e XVIII secolo comparve il NEO-UMANISMO, il movimento culturale che vide come massimo esponente GIAN
VINCENZO GRAVINA che recuperò i canoni metodologici umanistici e fu promotore di un classicismo di stampo
razionalista, antigesuita, antiassolutista, anticurialista e antiscolastico, influenzato dallo studio delle opere di
Platone.
Egli sottolineava la necessità degli strumenti storici e filologici nell’interpretazione delle norme, e la sua cultura
classica di stampo umanistico lo avvicinarono al circolo di intellettuali della regina Maria Cristina di Svezia.

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Alla morte della Regina di Svezia, Gian Vincenzo Gravina contribuì a fondare la celebre Accademia dell’Arcadia, 1690,
di cui ne produsse lo statuto chiamato De legibus Arcadum (in latino arcaico sul modello delle XII tavole), che si
proponeva il recupero della purezza della poesia italiana nel nome del gusto e dell’equilibrio classici -> reazione
agli eccessi barocchi del ‘600.
In un clima già influenzato dal razionalismo (che trionferà nel 1700), si cercava la semplicità stilistica e la purezza
formale e tecnica, riconosciute come proprie dei canoni dell’antichità classica. Questi ideali si coniugavano nel Gravina
con la sua concezione di un diritto semplice e puro, liberato dalle pesantezze della casistica e delle
interpretazioni scolastiche, senza più abusi e sofismi.

Nelle “Orationes” Gravina descrisse il proprio programma didattico, dove Il Coprus iuris restava l’imprescindibile fulcro
della formazione giuridica in quanto espressione di principi di ragione, in un processo finalizzato alla ricerca della ratio
logica delle fonti, e quindi al raggiungimento della corretta interpretazione della norma. Programma estetico e culturale
che sosteneva un giusnaturalismo moderato di impronta groziana, in cui emerge l’idea che i principi fondanti di un
ordinamento giuridico siano i medesimi presso tutti i popoli.

Inoltre, sempre nelle “Orationes" individuò 2 scuole principali: 1) la scuola della glossa, riferibile all’impostazione di
Accursio; 2) la scuola del commento, quella di Alciato e Cuiacio.

La principale opera di Gravina fu “Origines iuris civilis” in cui ripercorreva la storia del diritto in 4 tappe principali:

1) la storia delle istituzioni e del diritto romano e il Corpus Iuris giustinianeo,

2) scuola della glossa: la rinascita degli studi giuridici con Irnerio

3) la scuola del commento,

4) Grozio e il giusnaturalismo moderno. Egli esaltava il metodo dei giuristi umanisti, che secondo lui era il migliore
poiché il giurista si fondava sulle opere dell’umanesimo giuridico, per comprendere le norme romane nel loro
esatto significato, e doveva poi servirsi delle opere tradizionali (commentari, trattati, responsi e sentenze)
soltanto in via accessoria.

Gavina sostenevano che l’esercizio del potere dove basarsi sul contratto sociale, per cui lo Stato è caratterizzato da
un equilibro di poteri tra un ceto medio e su una élite di intellettuali, e il sovrano, il quale poteva possedere solamente
il potere legilativo (privo di poteri giurisdizionali), e doveva essere soggetto alla legge -> secondo gli studiosi è una
prima idea di “Stato di diritto”.

Trattando delle forme di governo, Gavina distingueva 3 generi di civitas: semplice, mista e perturbata.
La civitas mista, per la quale egli propendeva, poteva risiedere in una persona (Regno che può sfociare nella tirannia);
in un piccolo gruppo di persone (Stato che può diventare oligarchia); oppure nell’intera comunità (Repubblica che
diventa democrazia).
-> Gavina propendeva per la forma di governo monarchica, perché secondo lui gli uomini, spinti dalla ragione, si erano
spontaneamente sottomessi alle leggi per la propria sicurezza.

Nel 1711, Gravina rompe i rapporti con l’Accademia dell’Arcadia, continua a scrivere per poi morire a breve, il 6 gennaio
1718.

La dimensione disciplinante: il problema criminale


Un ambito che richiedeva interventi urgenti era il problema criminale, che fino al ‘700 continuò a convivere con
pratiche sociali di soluzione dei conflitti, che si integravano variamente con gli strumenti della giustizia pubblica,
dove l’identificazione dell’atto criminale oscillava fra giuridico e metagiuridico, fra reato e peccato.
L’esercizio della giustizia non si risolveva nella sola attività dei tribunali, ma coesisteva con una ricca varietà di pratiche
sociali, come accordi, paci private, faide, duelli, vendette, grazie e arbitrati.
La giustizia criminale bassomedievale era imponente per la carenza di un apparato repressivo poliziesco, e di strumenti
idonei a supporto delle indagini.
-> si impose un uso politico della pena ad deterrendum e si è rilevato che la maggior parte delle condanne era in
contumacia; ciò significa che al presunto colpevole era assai agevole sfuggire alla giustizia e poteva negoziare una
pace privata o una grazia, il vero timore era rappresentato dalle vendette dei parenti della vittima.

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In età moderna emerge una scienza del diritto criminale sempre più autonoma dal diritto civile; si indica come
prima trattazione autonoma di diritto e procedura penale l’opera di Alberto da Gandino con il suo Tractatus de
maleficiis 1286-87, raccolta di quaestiones di autori diverse, proposte secondo un ordine sistematico.

Nel 1500 si riconosce al diritto penale una AUTONOMIA SCIENTIFICA: ne 1509 l’Università di Bologna inaugurò per la
prima volta una lectura de maleficiis e la assegnò a Ippolito Marsili, il quale criticò aspramente molti giudici dei suoi
tempi a cui attribuiva eccessiva severità e per questo avrebbero dovuto essere rimorsi dal loro incarico (es: vasto uso
della tortura e delle pene capitali). I
l nuovo corso di studi trattava della giustizia criminale ricomprendendo diritto sostanziale e procedurale, e
promuoveva la definizione di un preciso statuto disciplinare della criminalistica: ermeneutica, lessico e istituti specifici.
Nella lectura criminalium si insegnava un neutrale approfondimento di alcuni tiotoli del Codex.

L’insegnamento del diritto penale fu dovuto: all’umanesimo giuridico e alle pretese di riforma del mos docenti, alla luce
di un metodo razionale per la necessitò di studiare il diritto in un nuovo ordine; evoluzione istituzionale della giustizia
d’apparato.
-> l’interesse politico non determinò questo evento.

La fondazione di una vera e propria scienza del diritto penale viene attribuita a:

‣ GIULIO CLARO scrisse il Receptae sententiae in cui esponeva i principi e le nozioni fondamentali dei delitti
pubblici e dei delitti privati, secolari, ecclesiastici ecc.
Successivamente venivano affrontati i singoli reati in ordine alfabetico, e infine veniva offerto un quadro ampio
del diritto processuale.
Per lui le fonti del diritto criminale fondamentali sono: la consuetudine e la prassi.
Nel 1563 il Concilio di Trento sancì la scomparsa del duello giudiziario d’onore.

‣ L’udinese TIBERIO DECIANI scrisse il Tractatus criminalis, 1590, che è ripartito in 9 libri in cui affrontò i delitti
generali, il processo penale e classifica dei reati.
Si trovano la definizione di regole, principi e caratteri del reato; la novità sta nella metodologia che si spiega sulla
base delle sue competenze sistematiche connesse all’umanesimo giuridico. Con lui il diritto criminale ha ormai
conseguito un proprio definito statuto scientifico.
A partire dalla definizione di delitto, come fatto compiuto dall’uomo con dolo o colpa, proibito dalla legge;
meritano di essere sottolineati 2 elementi: il ruolo sostanziale dell’elemento soggettivo e la dipendenza del reato
dalla legge penale ! un atto è delitto solo se è punito da una legge.
Deciani ribadisce la disomogeneità tra reato e peccato, la netta separazione tra legge penale e morale.
Nella trattazione dei singoli crimini affronta i delitti contro Dio, contro lo Stato e il Principe, contro il prossimo e
contro se stessi.

‣ PROSPERO FARINACCI è ricordato per l’opera Paxis et theorica criminalis, una sorta di enciclopedia di diritto e
procedura penale che diventa un essenziale punto di riferimento per la prassi della giustizia criminale a livello
europeo.
Essa è ricca di citazioni di auctoritates, e le soluzioni proposte appaiono solitamente in linea con la communis
opinio; l’opera appare come un enorme deposito di ipotesi, argomentazioni e soluzioni.

La dimensione cetuale: una scienza normativa nobiliare


La scienza dell’onore ha costruito la nobiltà in età moderna, ed è una scienza normativa in quanto prodotto e
produttrice di norme di ceto, affondando le sue radici nella dimensione giuridica.

Nell’idea nobiliare del diritto e della giustizia spesso emergono atteggiamenti antigiurisprudenziali e ciò si speiga con
l’insoddisfazione per la giuridicizzazione e per la precisa volontà di emancipazione. La diversità nobiliare ebbe modo di
esprimersi secondo istituti giuridici secundum o contra legem, sorti in via consuetudinaria in cui la scienza
dell’onore costituì indubbiamente l’aspetto più pragmatico, ma anche materie come la proprietà, la famiglia e le
successioni.

Per risolvere le controversie il ceto nobiliare utilizzava i seguenti istituti:

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✦ TRIBUNALI PRIVATI NOBILIARI: erano fondati sull’equità e sulle consuetudini cavalleresche, che spesso
esprimevano prassi e modalità che andavano contro il potere statale e contro il disconoscimento della propria
leadership da parte degli altri ceti.
-> raramente si recavano in un tribunale penale ordinario.

✦ DUELLO E PACE D’ONORE: furono gli istituti cui maggiormente si legò l’ethos nobiliare e la sua autocoscienza
cetuale.
Nel tardo ‘400 l’opera di Paride del Pozzo “sul duello e sulla pace d’onore” mostra l’affermazione di
un’autonoma area disciplinare.
I doctores iuris proposero una giuridicizzazione secundum ius comune del duello giudiziario d’onore, l’unica
forma lecita di duello.

Dopo del Pozzo si spalancò l’età d’oro di una specifica trattatistica giuridica: la duellistica, che tramonterà solo
con la Rivoluzione francese insieme al cetualismo di cui era proiezione.
Nel duello non è più in gioco l’accertamento di una verità giudiziale discussa o incerta, ma unicamente la
dimostrazione di non essere uomo disprezzabile, la dimostrazione di poter essere ancora annoverato nei
ranghi della nobiltà -> Il senso dell’ingiuria si sostanzia nella sua natura di formale veicolo di un dispregio che
conduce all’esclusione dalla nobiltà e dall’esercito con la perdita di tutti i connessi privilegi.
Il processo si svolgeva davanti a un giudice con un attore e un convenuto, poteva essere molto costoso e anche
molto lungo. Accanto ai giuristi si affiancarono i professori d’onore che erano di diversa estrazione culturale
(letterati, cortigiani), i quali basavano la propria argomentazione sull’intuizione di una sostanza, l’onore, e non
sulla applicazione di una regola.

L’appartenenza alla nobiltà si esprimeva nella condivisione e nella scrupolosa osservanza di un codice
comportamentale, che si riassumeva nel concetto di onore, innato privilegio sei soli nobili. Su questo si forgiò fra
XVI e XVIII secolo (1500-1700), una scienza normativa nobiliare che si impose nell’educazione e nella formazione
dell’uomo nobile ed era l’ARS INIURANDI, ovvero l’educazione all’ingiuria, che consisteva nella capacità di comprendere
i segni dell’offesa e del disprezzo. Un’arte necessaria al soggetto ingiuriato al fine di interpretare le offese subite, e al
soggetto attivo per poterle calibrare.

La GIURIDICIZZAZIONE DEL DUELLO SECONDO IL DIRITTO COMUNE determinò anche l’ingresso di eccezioni
procedurali che erano spesso ignote alle consuetudini nobiliari e venivano viste come disonorevoli vie di fuga dal duello,
in contrasto con l’onore da sanare -> esempio: erano sempre esclusi i mercanti considerati deboli, inabili alle armi,
inaffidabili e codardi. Il duello privato “alla macchia” o “clandestino” era estraneo al diritto comune e alla giudiziarietà
ordinaria: non c’era un giudice e quindi c’era la possibilità dell’annientamento delle garanzie per le parti, che vi
risultavano esposte a imboscate e soprusi.

Per i nobili:
il DIRITTO COMUNE è un diritto intrinsecamente storico e contingente, coltivato da interpreti corrotti dal denaro, che
possono sostenere tutto ed il contrario di tutto. Infatti i giuristi erano uomini di basso rango, abituati per natura a
diffidare, e la loro anima era profondamente malvagia.
-> i giuristi erano colpevoli di avere imposto categorie estranee alla tradizione attraverso la giuridicizzazione del diritto
secondo il diritto comune: nel duello era necessario solo essere un nobile educato agli autentici valori della nobiltà, i giuristi
invece erano i creatori per eccellenza dei sotterfugi e delle cautele per permettere ai vigliacchi di sfuggire a duello illudendosi
di conservare il proprio onore.

≠ il DIRITTO DEI NOBILI è invece visto come cristallina proiezione della natura eterna dell’uomo, coltivato da
autentici scienziati d’onore, desiderosi solo di verità: le leggi d’onore sono quindi universali, immutabili ed eterne
perché fondate sulla ragione, costituiscono un “principio costituzionale della verità”, un diritto naturale del ceto
nobiliare.

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Patriarcato e matrimonio dei figli di famiglia fra diritto comune e codici


L’importanza del tema della libertà matrimoniale dei figli di famiglia nella società medievale e moderna spicca in
quanto la società fondava sui ceti.

Il MATRIMONIO era anzitutto strumento politico di alleanze e transizioni patrimoniali e i padri esercitavano la
propria podestà sulle scelte matrimoniali dei figli; l’incontrollato arbitrio nuziale dei figli era un'inammissibile violazione
dell’ordine naturale, ed espressione di un credo individualista inconciliabile con il familismo d’antico regime.
All’assenza del consenso paterno avrebbe dovuto seguire la nullità per presunta seduzione, che escludeva la libertà di
consenso.

L’obiettivo era quello di dissuadere i figli dalle nozze fuori dalle logiche del casato, ma nella cultura canonistica la
tutela della libertà di matrimonio seguiva una concezione sempre più consensualistica del matrimonio:

1. Graziano pare volesse piuttosto rafforzare la patria potestà e nel Decretum si dice che il padre poteva promettere il
matrimonio del figlio non ancora adulto, il quale aveva poi l’obbligo morale di adempiere.

2. Nel Liber Extra, invece, il consenso del padre non era necessario per la validità del matrimonio che era “cosa
spirituale”.

3. Al Concilio di Trento venne approvato il canone Tametsi sacrosanta Dei, che formalizzava la liceità del
matrimonio senza consensi parentali, fermo il dovere morale di richiederli.
Diverso era il problema se i figli fossero tenuti a contrarre il matrimonio promesso dai genitori; i legisti talvolta
arrivarono ad ammettere per motivazioni spirituali la validità del matrimonio senza il consenso, ma riconoscettero a
favore del padre di famiglia, la possibilità di ricorrere alla diseredazione.
Giovanni d’Andrea affermava che le leggi laiche dovevano considerarsi nulle, per l’ovvia prevalenza di quelle di
diritto canonico in materia matrimoniale.

Un decreto del parlamento di Parigi del 1778 stabiliva che l’opposizione al matrimonio dovesse fondarsi su
impedimenti terminanti e non di opportunità, salvo che gli oppositori fossero padri, tutori, curatori, fratelli o zii.
-> il Portalis aveva rappresentato l’istituto dell’opposizione, proprio quale strumento paterno per contrastare i
matrimoni vergognosi e sconsiderati dei figli anche maggiorenni. Ma questa concezione era destinata a soccombere
nell’impianto del codice napoleonico, nel quale venne riconosciuto l’istituto degli atti rispettosi, che ammetteva
l’emancipazione legale per maggior età: 25 anni per le femmine e 30 per i maschi, i figli erano legalmente emancipati
in quanto a libertà matrimoniale, con il solo onere di informare i genitori.

In Italia però il rinvigorimento della patria potestà e la predisposizione di deterrenti contro i matrimoni diseguali
restarono istanze fondanti. Nel 1836 il Consiglio di Stato impose l’obbligo permanente del consenso dell’avente
potestà agli sponsali ! occorrerà attendere il liberalismo risorgimentale di metà secolo per trovare i primi propositi di
riforma.

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