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I ROMANI

Gli storici suddividono la storia romana in tre grandi età:


1) Età regia: dal 753 a.C, anno della fondazione di Roma, al 509 a.C., anno dell’espulsione dei
Tarquini (ultimi re di Roma) dalla città.
2) Età repubblicana: dal 509 a.C. al 27 a.C., anno durante il quale il Senato di Roma conferisce
pieni poteri e il titolo di “Augusto” a Ottaviano.
3) Età imperiale: dal 27 a.C. al 476 d.C., anno della caduta dell’Impero romano d’occidente

Le origini di Roma

Le fonti letterarie che si occupano della Fondazione di Roma sono del I secolo a.C., scritte da Tito
Livio, Diodoro Sicula, Dionigi e alcuni firmamenti di altri storiografi. Sulla nascita di Roma vi erano
diverse versioni: il mito che ritroviamo nell’Eneide di Virgilio è la sintesi tra un mito fondativo di
importazione greca (Enea che scappa da Troia) e un mito autoctono (Remo e Romolo). La versione
più antica di questa combinazione (metà quarto secolo a.C.) faceva di Romolo un figlio di Enea. I
romani accolgono la leggenda di Enea come strumento per rendersi riconoscibili ad occhi greci,
come simbolo di amicizia e di autodeterminazione etnica( romani no greci no barbari). Si pensa
che l'origine del nome di Roma derivi dalla parola Ruma (collina) o da rumon termine latino che
designava il fiume Tevere. È inverosimile che derivi da Romolo come dice la tradizione. Nel mito si
narra che la città di Roma fu fondata da Romolo nel settimo secolo e che quando Romolo arrivò
per fondare la sua città, l’area era sostanzialmente disabitata, in realtà̀ i dati archeologici
smentiscono quest’ipotesi ( erano già presenti degli insediamenti). L'origine di Roma è in realtà
molto simile a quella delle città etrusche e vede la compresenza di popolazioni diverse che
abitavano nelle vicinanze del Tevere unirsi in un'unica realtà (sinecismo):
 A nord gli etruschi
 A sud del Tevere i latini
 A est del Tevere i sabini (ratto delle sabine)

Gli etruschi dominarono la città di Roma per diversi decenni nel periodo finale dell'epoca
monarchica. Prima dell’avvento dei re, la terra, il potere politico e le attività commerciali erano
nelle mani delle famiglie gentilizie guidate dal pater familas. L’incremento della popolazione, lo
sviluppo economico e il pericolo di eventuali attacchi, spinsero le famiglie ad affidare il potere
nelle mani di un solo capo, il rex.

L’epoca monarchica

Secondo la tradizione l’età monarchica va dal 753 a.c al 509 a.c, anno nel quale l’ultimo re fu
cacciato e venne instaurata la repubblica. Stando alla leggenda, in questo periodo si susseguirono
solo 7 re.

(7 re di Roma) si suddivide in:


 Monarchia latino Sabina (753- 617 a.C.) ( si tratta di figure probabilmente
leggendarie)
- Romolo (753-716 a.c)
- “i re sabini” : Numa Pompilio, Tullio Ostilo, Anco Marcio (715-616 a.c)
 Monarchia etrusca (617- 509 a.C) – Grande Roma dei Tarquini (quando l’ultimo re
viene cacciato si instaura la repubblica)
- “i re etruschi”: Lucio Tarquinio (Prisco), Servio Tullio , Lucio Tarquinio (superbo) 616-509
a.c
- Arrunte Porsenna 508-507 a.c (secondo la tradizione dopo la cacciata di Tarquinio il
Superbo tentò di ripristinare il predominio etrusco su Roma senza successo)
Tarquinio il Superbo riuscì a farsi parecchi nemici e nel 509 a.c venne esiliato diventando l’ultimo
re della città.

Il re aveva il comando militare (imperium) che gli veniva conferito dal popolo durante i comizi.
Dall’imperium derivavano il potere di vita e di morte sui sudditi e quello di emanare leggi. Il potere
politico in tale epoca era amministrato anche da un’assemblea a cui prendevano parte gli
esponenti più anziani delle famiglie gentilizie: il senato. La sua funzione principale era eleggere il
re.

Roma arcaica Condizioni ambientali

Questa città, nata dall'aggregazione di più villaggi (sinecismo) sorge in un luogo ben difeso da colli
e paludi e ben collegato dal Tevere al mare e all'entroterra. Le saline alle foci del Tevere erano una
grande risorsa economica perché il sole veniva utilizzato per la conservazione degli alimenti e per
l'allevamento ovino. È quasi certo che il primo nucleo abitativo importante della città di Roma sia
avvenuto nel Colle Palatino dove viene definita la così detta Roma quadrata.

Il pomerio: riti sacrali all’origine della città

I romani seguivano dei riti sacrali etruschi anche per costruire le loro città. Dice Varrone che
nel Lazio molti erano soliti fondare le città attenendosi al rito etrusco. Dunque, con due buoi
aggiogati, un toro e una vacca tracciavano tutt’intorno alla città un solco con la parte interna
dell’aratro. Lo facevano per motivi religiosi in un giorno di auspici favorevoli per essere protetti da
una fossa o da un muro. Ora questo solco che divide la città dal dentro al fuori, è il Pomerium. Il
solco tracciato dai buoi definiva i confini nella nuova città e veniva fatto in un giorno di buon
auspicio affinché la città fosse protetta. Questo rito fondativo è importante perché sancisce ciò che
è dentro e ciò che è fuori. Ma ciò che è dentro e ciò che è fuori non ha un valore politico, ha un
valore sacrale soprattutto. E questo perché, istituzioni e religione sono la stessa cosa, non sono
due ambiti che possono essere scissi come invece accade nel mondo contemporaneo.

La dicotomia Tra urbs e ager

-Il pomerium è il confine tra la città (urbs) e il territorio (ager: sede della guerra, della morte, delle
relazioni con gli stranieri).

- urbs (la città): ciò che è racchiuso da un confine giuridico-sacrale. Al suo interno si possono
tenere attività e detenere poteri che all’infuori non si possono tenere e viceversa, tra cui la
modulazione dei poteri dei magistrati (così come i loro auspicia sono tra essi). All’interno dell’urbs
non si potevano seppellire i morti né portare armi

- oppidum (l’abitato): ciò che difeso da mura. Non necessariamente esiste corrispondenza tra il
pomerium e l’oppidum (l’abitato. Le mura possono diciamo seguire dei confini diversi del
Pomerium (quest’ultimo è un confine sacrale che determina diciamo l’origine, il nucleo fondativo
della città, ma che non necessariamente corrisponde ai limiti dell’abitato successivo della città).

Gli auspicia (da avis "uccello" e specio “vedo") L’auspicazione

Auspicazione: scienza divinatoria che pratica gli auspicia basandosi sull’osservazione degli uccelli.
Pratica etrusca che permane per secoli in ambito latino e romano. Consiste nell’osservare il volo
degli uccelli, la loro direzione, il loro numero e il loro canto da parte di alcune figure deputate a
comprenderne il significato divino, gli auguri (figura sacerdotale etrusca, annunciatori del volere
divino). L’ auspicazione non cerca di penetrare i segreti del futuro come invece fa l’oracolo, ma
guardando questi fenomeni, gli uccelli e il loro volo tende a capire se gli Dei sono favorevoli o
meno ad un’azione che si sta per intraprendere. Per i romani era fondamentale mantenere i
rapporti con gli Dèi (pax deorum) per garantire l’approvazione divina delle proprie azioni.
Questi auspici in origine erano privati e pubblici:
- Pubblici in epoca monarchica: afferenze al re (secondo la tradizione, Romolo fu il primo a
nominare i primi 3 auguri).
- Pubblici in epoca repubblicana: appartenevano allo stato ma erano affidati ai singoli
magistrati (i magistrati ricevevano gli auspici entrando in carica e uscendo li trasmettevano
ai loro successori). Tutti i magistrati e promagistrati, e probabilmente anche il pontefice
massimo, avevano diritto agli auspici per gli atti di loro competenza (tranne i tribuni della
plebe)
Tavola di lione : Tabula lubduventis: tabula claudiana
Ritrovata nel 1528, contiene il discorso dell’imperatore Claudio fatto al senato di Roma nel 58 d.C.
Claudio voleva permettere anche ai cittadini romani, provenienti dalla Gallia Comata (Cappellona)
di sostenere le magistrature al senato. Questa sua affermazione fu contrastata da una parte di
senato, la quale voleva che questo incarico fosse privilegio delle famiglie italiche, ma Claudio
affermò che i romani avevano sempre accolto i popoli vicini, facendo l’esempio di Servio Tullio che
aveva ottenuto il regno con beneficio dello Stato.

La tomba di Francois di Vulcis  gli affreschi di questa tomba riportano per una figura il nome di
MASTARNA che significa “capo dell’esercito”. È un termine con cui Claudio designa Servio Tullio.

Domande:
1) Studioso che parla della fondazione di Roma: Tito Livo, Diodoro Sicula, Dionigi

La monarchia arcaica (i 7 re di Roma)

Caratteristiche:

- monarchia elettiva: l’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentanti delle
famiglie più in vista (gentes). Con la monarchia etrusca subentra un carattere più marcatamente
militare (fasces).

- Secondo una tradizione riferita a Numa Pompilio, il re ascende alla carica attraverso la solenne
cerimonia dell’inauguratio. Secondo questo rituale l’augure, operando in relazione a uno spazio
sacro appositamente creato (templum), tocca con la destra il capo del re e chiede a Giove di
manifestargli la volontà che Numa sia re di Roma.

- Dopo l’inauguratio, il re si presenta al popolo riunito nella forma dei comizi curiati, i quali
assegnano il potere al re tramite un atto formale: la lex curiata de imperio (atto che sopravviverà e
che in età repubblicana servirà ai consoli e ai pretori per l’ottenimento formale dell’imperium).

Originariamente il re doveva essere affiancato nelle sue funzioni da un consiglio di anziani


composto dai capi di quelle più ricche (patres); questi uomini rappresentavano il nucleo di quello
che poi sarebbe stato il senato. Il re era anche il supremo capo religioso e nella celebrazione del
culto veniva affiancato dai collegi dei pontefici di cui doveva essere membro.

Della realtà storica di una fase monarchica a Roma rimangono, in età successiva, due
testimonianze fondamentali:

- rex sacrorum: sacerdote che aveva il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal
re

- interrex: magistrato che subentrava nel caso di indisponibilità di entrambi i consoli.

Lapis niger: la più antica iscrizione monumentale latina

La iscrizione più antica non è in realtà il Lapis Niger ma il Cippo del foro. Il Lapis Niger è la più
antica su pietra. Si tratta di un’area quadrata in marmo nero circondata da lastre di marmo posta
nel Foro Romano sul luogo dei Comizi a poca distanza dalla Curia Iulia. Lo scavo al di sotto del
pavimento in marmo nero portò alla luce un complesso monumentale molto arcaico, costituito fra
le altre cose a un cippo piramidale con la famosa iscrizione:

“ chi a questo luogo avrà tolto anche solo una pietra sia maledetto”

Scoperto nel 1899 è un atto normativo che minaccia conseguenze per chi viola il luogo sacro.
L’iscrizione risale all’epoca monarchica perché fa riferimento al Rex.

La grande Roma” dei Tarquini Evidenze materiali tra la fine del VII e il VI sec. a.C.

I primi ritrovamenti:

- si realizza una prima pavimentazione di battuto rudimentale che altro non è se non il
primo Foro romano

- prime case permanenti in pietra e tetti di tegole

- primi edifici pubblici: il più antico, risalente probabilmente alla fine del VII secolo, è la
Regia.

- la costruzione del tempio più antico sinora scoperto a Roma, vicino alla chiesa di
Sant’Omobono nel Foro Boario.
- il primo tempio di Giove sul Campidoglio.

Il territorio di Roma in età monarchica si estendeva fino al mare (odierna porta di Ostia). La via
Salaria è una delle vie di comunicazione più antiche e una delle più importanti in quel periodo e
collegava la foce del Tevere, dove si trovavano le saline, all’entroterra sabino. In essa si aveva
l’estrazione del sale, la quale era la maggior risorsa commerciale. I vicini dei romani erano due città
etrusche (Cere e Veio) e piccole città latine alleate.

Lo stato romano arcaico

Le curie (curiae): gruppi religiosi e militari che comprendevano tutti gli abitanti del territorio
tranne gli schiavi. La loro origine risulta molto incerta, si sa che praticavano propri riti religiosi e
che rappresentarono il fondamento della più antica assemblea politica cittadina, quella dei comizi
curiati. Non conosciamo la loro funzione in età arcaica.

La familia

Familia proprio iure: unità base, elementare della società romana. Si tratta di una una famiglia più
allargata del concetto moderno di famiglia nucleare.

Parentela agnatizia: parentela civile che unisce tutti i discendenti maschi e legittimi del pater
familia (successione solo maschile). Indica che il vincolo di parentela sia stabilito secondo il vincolo
di sangue.

Pater familias : tutti i membri della familia erano sottoposti al suo potere cioè alla sua potestas:
moglie, figli, figlie non sposate, e i successivi discendenti per linea maschile, nonché le loro mogli.
Aveva il compito di riconoscere i figli, trasmettere i riti familiari (sacro-privato) ai figli maschi.
Gestiva tutti i rapporti giuridici e economici con l’esterno. Quando moriva il patres familia, la
famiglia si frammentava in una serie di nuovi nuclei familiari. Non c’era una successione
permanente e lineare dell’unità familiare. Per questo motivo era una famiglia che durava poco e di
conseguenza non sarebbe mai diventata una dinastia e non avrebbe potuto assumere una valenza
politica. Anche gli schiavi rientrano nella famiglia in quanto di sua proprietà . La familia romana era
fortemente coesa, ma transeunte: non superava una generazione e per questo non poteva
assumere valenza altamente politica, ponendosi come entità autonoma rispetto all’ordinamento
politico unitario.

Gens: è un gruppo allargato, composto da più famiglie che si riconoscono tutte discendenti da un
antenato comune. Non è un gruppo parentale, è un gruppo di famiglie che portano lo stesso
“nomen” (il gentilizio). La sua origine va rintracciata nella ridefinizione di identità dovute al
processo di aggregazione di minuscoli villaggi in unità più vaste, sino al sincretismo che portò alla
formazione della città. Il gentilizio →“il nomen” il nome di famiglia è il secondo elemento della
formula onomastica romana. (Esempio Gaio Giulio Cesare= Giulio. Marco Tullio Cicerone = Tullio.)
Si hanno tre elementi Il primo elemento (prenomen) è il nome che distingue l’individuo all’interno
della famiglia. Secondo elemento detto “gentilizio o nomen” è il nome che identifica la famiglia, e
identifica la famiglia attraverso l’appartenenza a un gruppo di famiglie. Questa appartenenza a un
gruppo di famiglia viene interpretata idealmente come una parentela in età romana. Si considera
che tutti i “claudi” siano discendenti di uno stesso ipotetico antenato. È una parentela ipotetica e
leggendaria.

La nascita della Repubblica (509-510 A.C.)

Secondo la tradizione, la cacciata di Tarquinio da Roma e il passaggio dal regno monarchico a


quello repubblicano sarebbero stati determinati dalla violenza commessa da Sesto Tarquinio (figlio
di Tarquinio il Superbo) ai danni della nobil donna romana Lucrezia. Questo fatto portò a una
ribellione nel 510 a.C. con cui il re e la sua famiglia furono espulsi da Roma e il suo potere fu
assegnato ai primi due consoli, Giunio Bruto e Valerio Publicola.
Probabilmente la fine della monarchia è da attribuire alla rivolta del patriziato romano. Esistono
diverse cronologie che datano la creazione della repubblica in cui diversi 509 e 510 a.C.
Probabilmente il 510 a.C. fu una data adottata per creare un parallelismo con la storia di Atene che
nello stesso anno vede la cacciata dei Tarquini da Atene. A favore della datazione del 509/510
esiste un documento di Polibio che riporta il testo di un trattato tra Roma e Cartagine in cui cita i
primi due consoli. Un altro documento, oggi non più esistente, utilizzato per calcolare l’inizio della
repubblica è la cerimonia dell’affissione del chiodo di cui parla Tito Livio nel VII libro della storia di
Roma. Parla di una iscrizione in bronzo che si trovava affissa al Tempio di Giove secondo la quale vi
erano dei chiodi affissi alla parete del tempio con cui si potevano calcolare gli anni passati
dall’affissione del primo alla nascita della repubblica. Anche questo documento riporta il 510 a.C.
come data di nascita della Repubblica

Sistemi di datazione

1) Datazione consolare: (per consoli eponimi) sistema di datazione più in uso durante la
repubblica e durante l’impero nei documenti ufficiali e nella storiografia romana
(annalistica: di anno in anno). L’anno partiva dal momento in cui entravano in carica i
consoli e prendeva il loro nome. In questo caso la citazione dei nomi dei consoli era seguita
dalla menzione della carica. I magistrati eponimi erano la coppia di consoli in carica in un
determinato anno. La datazione per consoli eponimi si basava sui fasti che in origine erano
i giorni dell’anno in cui si potevano svolgere le attività̀ politiche e gli affari (al contrario dei
nefasti che non lo consentivano), poi per estensione il termine è andato ad indicare lo
stesso calendario romano e poiché il calendario era di solito accompagnato dalla lista dei
magistrati eponimi si dissero Fasti consulares.

Fasti Capitolini: sono la più importante lista di consoli dal punto di vista documentario, questi,
sono stati ritrovati nel foro romano in epoca rinascimentale (1546/1547) e ad oggi sono conservati
nei musei capitolini. I fasti, sono composti da 4 lastre più diversi frammenti che riportano la lista
dei consoli dal 483 a.C. al 13 a.C. anche se la lista originaria avrebbe dovuto iniziare con
l’instaurazione della repubblica (509 a.C.) e arrivare almeno al 13 d.C. Ogni 10 anni a sinistra di
ogni tavola era intercalata la data di fondazione secondo Catone (754 a.C.). Sembra che i fasti
capitolini fossero affissi a un arco trionfale decretato dal senato per Augusto oppure sulla domus
regia ossia la residenza del rex di epoca monarchica (re).

Campidoglio: luogo dove salivano i magistrati dopo una vittoria militare per porre il sacrificio alla
massima divinità romana, Vi si trova il Tempio di Giove, ottimo massimo.
Domus regia: sede del pontefice massimo dove erano appesi i fasti dei consoli.
2) Ad urbe condita: metodo di datazione (usato dalle persone colte) che non è usato nei
documenti ufficiali. Significa dalla fondazione della città. L’anno di fondazione di Roma
veniva fissato sottraendo un determinato numero di anni dalla data tradizionale della
caduta di Troia, fissata da Erastotene nel III secolo a.C. al 1884/1883 a.C. Questa datazione
ebbe 2 interpreti:
1. Catone  fissa la data della fondazione di Roma al 754 a.C, indicandola nella sua opera
“Origines” (prima trattazione storiografica su Roma in lingua latina)
2. Varrone  fissa la data della fondazione di Roma al 753 a.C. divenuta la cronologia più
seguita.
Pontefix Maximus: è il più importante sacerdote della religione tradizionale romana. Il nome
deriva da “pontem facere” (costruttore di ponti rispetto al mondo degli dei). Il suo compito era
quello di salvaguardare la PAX DEORUM, cioè la concordia fra le divinità e gli uomini. Per questo
aveva anche incarichi pubblici ed era incaricato di redigere il calendario delle festività religiose e
degli Annales (lista dei fatti avvenuti in un anno non solo politici o militari ma anche eventi
straordinari come terremoti, alluvioni ecc.). Il pontefice preservava la memoria pubblica.

La società romana

La società di fine VI e III secolo a.C. era composta da due categorie sociali che si contrapposero nei
primi due secoli della repubblica:

1. Patrizi → gentes aristocratiche che detenevano risorse e terre (pieni diritti di cittadinanza)

2. Plebei → individui relativamente ai margini erano dipendenti dai patrizi in qualità di


Clientes (clienti). I plebei non erano esclusi dalla società romana, anzi tutt’altro perché
erano parte integrante dell’esercito che aveva come unità base la legione.

Istituto del nexum: forma di garanzia con cui un debitore era vincolato dal creditore che lo
riduceva a una condizione simile a quella di uno schiavo per ripagarlo dal prestito di sementi. Gli
effetti dei cattivi raccolti e delle malattie colpivano in particolare i piccoli agricoltori, che avevano
minori possibilità di fronteggiare le temporanee difficoltà e spesso, per sopravvivere, si trovavano
costretti a indebitarsi nei confronti dei più ricchi proprietari terrieri, in particolare chiedendo loro
in prestito le sementi. Il debitore, incapace di estinguere il proprio debito, era costretto a porsi al
servizio del creditore per ripagarlo del prestito e dei forti interessi maturati.

Strutture militari tra patrizi e plebei: la legione era reclutata su base censitaria indifferentemente
tra aristocrati e popolo, patrizi e plebei.

Conflitto tra patrizi e plebei

Con l’avvento della repubblica venne a mancare l’equilibrio politico tra patrizi e plebei. I primi,
cercarono di concentrare il potere nelle proprie mani e si riservarono l’accesso alle magistrature.

Rivendicazioni politiche da parte plebea


- Il patriziato aveva assunto il monopolio delle magistrature della neonata Repubblica.

- La necessità di un codice scritto di leggi, che ponesse i cittadini al riparo delle arbitrarie
applicazioni delle norme da parte di coloro che, fino a quel momento, erano stati
depositari del sapere giuridico, i patrizi riuniti nel collegio dei pontefici.

Secessione dell’Aventino
Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C. La plebe si ritirò sul colle Aventino lasciando la città
priva della sua forza lavoro e, soprattutto, indifesa contro le aggressioni esterne. Qui i plebei
costituirono una comunità autonoma con proprie assemblee e magistrati. Questa fu soltanto la
prima delle numerose secessioni in cui i plebei rivendicarono i loro diritti (schiavitù per debiti e la
loro proprietà) ottenendo la Leges sacratae : leggi che tutelavano i magistrati plebei e contro i
patrizi. Chi andava contro queste leggi poteva essere ucciso impunemente.

Nacquero i Concilia Plebis: assemblee generali della plebe. I provvedimenti presi in essa erano i
“plebiscita” (decisioni della plebe) che inizialmente non avevano valori vincolanti per lo stato, ciò
avviene a partire dal 287 a.C. con la Lex Hortensia .

Tribuni della plebe: erano i rappresentanti ed esecutori della volontà dell’assemblea della plebe
(concilium plebis). Prima era formata da 2 membri poi arrivò fino a 10. Il nome dei capi della plebe
deriva da quello dei tribuni militari che comandavano i reparti militari. I tribuni godevano
dell’inviolabilità personale detta “sacrosantitas”: chi osava commettere violenza contro i
rappresentanti della plebe dopo un regolare voto del concilium plebis sarebbe divenuto sacer e
poteva essere messo a morte impunemente e le sue proprietà confiscate.
Poteri:

- Ius auxili : diritto di rispondere a richieste di aiuto


- Ius Intercessionis: diritto di veto sulle decisioni dei magistrati nel caso qualcuno andasse
contro gli interessi della plebe
- Ius coercitiones: possibilità di decidere pene, attribuire sanzioni.

Edili plebei: figura che nasce dopo la prima secessione di Aventino. Erano rappresentati dalla
plebe che nella tarda età repubblicana si occuparono dell’organizzazione di giochi, della
sorveglianza sui mercati, dell’approvvigionamento alimentare della città, del controllo sulle strade,
i templi e gli edifici pubblici. Edili: da “aedes” → templio/casa: si si dice che fossero i custodi del
tempio di Cerere, Libero e Libera nel quale venivano conservate le somme delle multe inflitte a
coloro che avevano recato offesa alla plebe, nonché copia dei plebisciti votati dai concilia plebis.

Il Decemvirato e le leggi delle XII Tavole (451/450 a.C. )

Nel 451 a.C. venne nominata una commissione composta da dieci uomini (nota perciò col nome di
decemvirato), esclusivamente scelti tra il patriziato e incaricati di stendere in forma scritta un
codice giuridico. Il nuovo collegio avrebbe assunto il controllo completo dello Stato: le tradizionali
magistrature repubblicane, in particolare il consolato e il tribunato della plebe, vennero sospese,
presumibilmente per impedire i loro veti incrociati. Nel corso del primo anno di attività̀ i decemviri
compilarono un complesso di norme che, dopo una regolare ratifica da parte dei comizi centuriati,
vennero poi pubblicate su dieci tavole di legno esposte nel Foro. Venne eletta per il 450 a.C. una
seconda commissione decemvirale, nella quale, secondo alcune fonti, sarebbe stata rappresentata
anche la plebe. Nel secondo anno i decemviri avrebbero completato la loro opera con altre due
tavole di leggi, portando il totale a dodici, il che spiega il nome di leggi delle XII Tavole. Tra le
disposizioni prese nel 450 a.C. vi era anche quella che impediva i matrimoni misti tra patrizi e
plebei. La commissione cercò di prorogare indefinitamente i propri poteri assoluti, rivoluzionando
completamente l’assetto costituzionale dello Stato. Il testo delle leggi non ci è pervenuto, solo
alcuni frammenti. Preponderante per quanto concerneva il diritto privato piuttosto che quello
pubblico. La necessità di un testo di leggi scritte proviene dalla città greche dell’Italia meridionale.

Seconda secessione di Aventino: 449 a.C. avviene per dare contro alla legge che impediva i
matrimoni misti tra patrizi e plebei. Legge che verrà abrogata nel 445 a seguito del plebiscito
Canuleio.

I tribuni militari con potere consolare Tribuni militum consulari potestate (444 a.C. - 367 a.C.)

La tradizione afferma che a partire dal 444 a.C., di anno in anno, il senato decide se alla testa dello
Stato vi debbano essere due consoli, con il diritto di prendere gli auspici e provenienti
esclusivamente dal patriziato, oppure un certo numero di tribuni militari con poteri consolari,
inizialmente tre, poi sempre più spesso quattro o sei, che possono anche essere plebei, ma non
hanno il potere di trarre gli auspici.

Tribuni militari = ufficiali dell’esercito, erano plebei che potevano accedere al governo dello stato
senza però diventare consoli, carica riservata ai patrizi.

Il sistema delle magistrature nell’età repubblicana

Inizialmente alle magistrature più importanti accedevano solo gli esponenti delle famiglie patrizie,
mentre quelle minori furono riservate ai plebei. Ogni magistratura seguiva un percorso di carriera,
il cursus honorum, con incarichi sequenziali generalmente di durata annuale. Nel corso dell’età
repubblicana, le magistrature diventarono più distinte le une dalle altre, con compiti e mansioni
specifiche. Le magistrature, non furono istituite tutte negli stessi anni ma nel corso dell’intera età
repubblicana. Caratteristica fondamentale di ogni carica era il limite temporale dei mandati:
nessuno voleva rischiare che qualche magistrato potesse accumulare potere per troppo tempo
con la tentazione di reinstaurare un regime monarchico.

Le magistrature annuali alla metà del III sec. a.C.

- Consoli (muniti di imperium): massima magistratura. comando militare, giurisdizione,


erano a capo delle assemblee popolari

- Pretori (muniti di imperium):comando militare, giurisdizione, carica riservata ai patrizi.

- Edili (curuli e plebei): gestione degli spazi pubblici e dei mercati, amministrazione della
città.

- Questori: gestione delle finanze pubbliche e giustizia penale


Quando si iniziava la propria carriera politica, uno della nobilita patrizio-plebea, iniziava dal basso
(questore) all’alto (console). La sequenza di tutte queste cariche i romani la chiamavano cursus
honorum (honores, prestazioni a titolo gratuito che venivano fornite da questi nobili alla
Repubblica romana, le magistrature non venivano retribuite).

Magistrature e cariche non annuali

- Censori: erano in due e avevano compiti di censimento, revisione della lista dei senatori,
gestione del patrimonio dello stato. Eletti ogni 5 anni, in carica per 18 mesi.

- Dittatore: magistratura straordinaria, non eletto, ma nominato dai consoli; in carica per 6
mesi: aveva poteri superiori a tutti gli altri magistrati e non aveva colleghi. Nominato in
momenti di difficoltà militare.

- Tribuni della plebe: eletti dal concilium plebis. Avevano diritto di veto e potevano proporre
i plebisciti ( proposte di legge da parte della plebe)

Le leggi Licinie-Sestie Leges Liciniae Sextiae 367 a.C.

Pacchetto di riforme proposte dai tribuni della plebe C. Licinio Stolone e L. Sestio Laterano
(estinzione dei debiti, distribuzione delle terre pubbliche, accesso al consolato dei plebei). Si
sanciva l’abolizione del tribunato militare con potestà̀ consolare e la completa reintegrazione alla
testa dello Stato dei consoli, uno dei quali avrebbe dovuto essere sempre plebeo; in realtà sembra
piuttosto che la legge consentisse che uno dei due consoli fosse plebeo, ma non escludesse la
possibilità che entrambi i magistrati fossero patrizi. Solo dal 342 a.C. grazie ad un plebiscito si
ammise la possibilità che entrambi i consoli fossero plebei; da allora si nota che uno dei due
consoli è plebeo. Tali leggi aprono la carriera consolare e senatoria ai plebei.

367 a.C. data che sancisce la fine della c.d. Alta Repubblica che inizia nel 510-509 a.C.
Si apre qui la Media Repubblica che giungerà̀ fino al tribunato della plebe dei Gracchi, 133 a.C.

In quest’epoca vi furono altre riforme (IV sec a.c):

- i plebei ebbero progressivamente accesso a tutte le altre cariche dello Stato (censura,
dittatura, pretura).

- abolizione del nexum (326 a.c)

- ammissione dei plebei ai grandi collegi sacerdotali (tra cui quello dei pontefici) 300 a.c

Lex Hortensia 287 a.C (Quinto Ortensio) : equiparò completamente i plebiscita alle leggi votate
dai comizi centuriati e dai comizi tributi. I plebisciti diventano leggi dello stato romano. Dopo le
riforme del IV sec. a.C. vi è la nascita dell’aristocrazia romana che conquisterà̀ l’Italia e il
Mediterraneo e che vide l’ingresso dei plebei alle massime cariche, la nuova aristocrazia che noi
definiamo nobilita patrizio-plebea.

La nobilitas patrizio-plebea
Con le leggi Licinie-Sestie si assiste alla nascita di una nuova aristocrazia, cosiddetta nobilitas
patrizio-plebea. Nobilis: termine che aveva il significato originario di «noto, illustre» e che venne a
designare tutti coloro che avevano raggiunto il consolato (e almeno in un primo periodo la
pretura) o che discendevano in linea diretta da un console (o da un pretore). L’accesso alle
magistrature superiori era di regola riservato ai membri di poche famiglie, anche se questo
monopolio non si basava su norme scritte, ma sullo stretto controllo dell’opinione pubblica e del
corpo elettorale.

Homines novi: personaggi che raggiungevano i vertici della carriera politica pur non avendo
antenati nobili anche se appartenevano a famiglie ricche e di un certo prestigio sociale. Tra i più
noti troviamo Caio Mario e Cicerone.

Nuove magistrature Tra IV e III sec. a.C.

- Nascita della pretura nel 366 a.C.; munito di imperium, il praetor era destinato alla
giustizia tra cittadini. Inizialmente riservata ai soli patrizi: praetor urbanus.

- Edilità curule creata nel 366 a.C. riservata ai patrizi (stesse funzioni della edilità plebea).

- Nel 242 a.C. nasce il praetor peregrinus, munito di imperium, il pretore destinato alla
giustizia tra cittadini romani e stranieri.

Le assemblee nell’età repubblicana

Senato: era il consiglio composto da ex magistrati dove si entrava in segno di riconoscimento dei
meriti pubblici su segnalazione di altri senatori. La carica dei senatori era vitalizia. Nella prima fase
della repubblica la funzione fondamentale del senato era quella consultiva: i magistrati maggiori
chiedevano il potere del senato prima di prendere iniziative in materia di politica interna o estera.
Auctoritas patrum: autorizzazione dei senatori. Costituiva la convalida delle delibere delle
assemblee popolari. Il peso politico del senato crebbe con il tempo.

Comizio: (da comitium “andare insieme”) era il luogo alle pendici del Campidoglio, dove
inizialmente si radunavano i cittadini divisi per curie. Comitia: assemblea del popolo intero.

A Roma esistevano più assemblee del popolo: Si trattava di assemblee di tutto il Popolo Romano
(cittadini romani maschi adulti); fanno differenza il concilium plebis, in cui si riuniva solo la plebe (e
dunque non i patrizi).

- I comitia curiata (per curie): si tratta della più antica assemblea di Roma, i comizi curiati, i
cui compiti sono riferibili principalmente al diritto familiare, caratterizzano questa come
l’assemblea delle gentes. Durante l’età repubblicana, parallelamente all’accrescersi delle
competenze delle altre assemblee popolari, i comitia curiata persero progressivamente di
significato. La loro funzione più importante, quella di conferire ufficialmente i poteri ai
nuovi magistrati, si ridusse ad una mera formalità: in effetti la lex curiata de imperio non
venne più votata dalle 30 curie, ma dai 30 littori che le rappresentavano.

- I comitia centuriata (per centurie): nella prima età repubblicana l’assemblea più
importante di Roma è costituita dai comizi centuriati, fondati su di una ripartizione della
cittadinanza in classi di censo e, all’interno di queste, in centurie. Il meccanismo dei comizi
centuriati prevede che le risoluzioni siano prese non a maggioranza dei voti individuali, ma
a maggioranza delle unità di voto costituite dalle centurie. La funzione più importante
dell’assemblea centuriata era quella elettorale: spettava ai comitia centuriata l’elezione
dei consoli e degli altri magistrati superiori (pretori cum imperio e censori, benché
quest’ultimi sprovvisti di imperium). Si occupavano inoltre di giudicare i reati penali e
avevano funzione legislativa ( potevano approvare o respingere leggi proposte da un
magistrato)

Le centurie e l’arruolamento dell’esercito: ordinamento centuriato

Creato secondo la tradizione dal re Servio Tullio, ma verosimilmente più tardo. Finalizzato al
reclutamento dell’esercito, la cui unità base è costituita dalla centuria. Il popolo (maschi adulti) è
diviso in classi censo, secondo la proprietà (ogni soldato è tenuto a pagarsi il proprio armamento).
Ogni classe di censo fornisce all’esercito un certo numero di centurie e dispone di conseguenza di
un certo numero di voti nei comizi centuriati: 1 centuria = 1 voto. In totale vi sono 193 centurie.
Uguaglianza geometrica: assicura la preminenza agli elementi più ricchi. Essendo i comitia
centuriata la riunione del «popolo in armi», essi si tenevano fuori dal confine sacro della città, il
pomerium. Il luogo deputato era il Campus Martius «il campo di Marte», dio della guerra, che si
trovava fuori dal pomerium, lungo il Tevere a nord.

- I comitia tributa(per tribù): cioè a seconda dell’iscrizione in una delle tribù territoriali.
Ricordati per la prima volta nel 447 a.C., quando venne affidata loro l’elezione dei
questori. Il numero delle tribù urbane, nonostante il forte aumento della popolazione della
città di Roma, rimase sempre fissato al numero di 4, mentre il numero delle tribù rustiche
si accrebbe dalle 16 di età regia fino a raggiungere le 31 nel 241 a.C. Aveva funzioni
elettorali, scegliendo i magistrati minori (edili e questori), e soprattutto legislative. 31
tribù rustiche, 4 tribù urbane. Gli iscritti alle tribù rustiche avevano una schiacciante
maggioranza, nonostante il numero dei loro votanti fosse assai minore di quello dei
residenti a Roma.
Domande:
- 1)Concili della plebe:
Chi elegge partecipavano
i questori? solo i plebei, qui si eleggevano i tribuni della pleba e
comizi tributi
2)venivano emandati
Chi eleggeva i plebisciti.
i magistrati dotati di imperium a Roma? Comitia centuriata
3) Elenco cariche romane : Console, pretore, edile, questore
Le assemblee
4) Legge delche
popolo: limitii plebisciti ai comizi centuriati: Lex Hortensia 287 a.C (Quinto
equipara
Ortensio)
Non potevano autoconvocarsi né assumere alcuna iniziativa autonoma: spettava solo ai magistrati
che le presiedevano indire l’adunanza, stabilire l’ordine del giorno e sottoporre al voto le proposte
di legge, che l’assemblea poteva accettare o respingere, ma non discutere o modificare.
L’esposizione delle proposte di legge e il dibattito erano riservate a riunioni di natura più
informale, cui pure tutta la cittadinanza poteva partecipare, significativamente chiamate non
comitia, ma contiones. Le assemblee potevano essere convocate nel periodo di tempo che doveva
trascorrere tra l’annuncio dei comizi formali, che era accompagnato anche dal testo delle proposte
di legge che dovevano essere votare, e il loro effettivo svolgimento; tale periodo che doveva
comprendere almeno tre giorni di mercato (nundinae), mercato che si svolgeva ogni 8 giorni.
Qualche presagio infausto consentiva ai consoli, su avviso degli àuguri, di interrompere a propria
discrezione i lavori dell’assemblea.

Domande:
1) Quanto durava una carica romana? Un anno
2) Quale legge dette accesso ai plebei per fare i consoli? Leggi licine sestie
3) Legge che equipara i plebisciti ai comizi centuriati: Lex hortensia 287 a.c
Prima espansione politica e militare di Roma

Appena nata, la repubblica non dovette affrontare solo le tensioni sociali interne ma anche la
questione dei rapporti con le popolazioni latine e quelle confinanti. La cacciata di Tarquinio il
Superbo riaccese lo scontro con i popoli etruschi. Porsenna, re della città di Chiusi intraprese una
fallimentare guerra contro i romani che lo sconfissero. Importante fu anche la lotta con i popoli del
Lazio ( latini, volsci, equi, sabini). Questi si coalizzarono nella cosiddetta Lega latina e si
scontrarono contro Roma presso il lago Regillo (496 a.c). Roma riportò un importante vittoria e
strinse un patto di mutuo aiuto con i latini il foedus Cassianum.

Foedus Cassianum (da Sp. Cassio console del 493 a.C.): accordo bilaterale tra Roma e la Lega
latina; le due parti si impegnavano tra di loro non solo a mantenere la pace e a comporre
amichevolmente eventuali dispute commerciali, ma anche a prestarsi aiuto nel caso una delle due
parti fosse stata attaccata. L’eventuale bottino delle campagne di guerra comuni sarebbe stato
equamente suddiviso, sia per quanto riguardava gli oggetti mobili, sia per quanto riguardava i
territori conquistati. Gli alleati si riconoscevano reciprocamente i diritti che già valevano all’interno
della Lega latina ovvero:

- ius conubii: il diritto di contrarre matrimoni legittimi con cittadini di altre comunità latine.

- ius commercii: il diritto di siglare contratti aventi valore legale fra cittadini appartenenti a
comunità diverse, utilizzando strumenti formali propri del diritto cittadino (di particolare
importanza, dal momento che consentiva ad un membro della lega di possedere terre
entro i confini di una città diversa dalla propria).

- ius migrationis: grazie al quale un latino poteva assumere i pieni diritti civici in una
comunità diversa da quella in cui era nato semplicemente prendendovi residenza

Domande:
1) Quale non era diritto latino? IUS INTERCESSIONIS

La colonizzazione della lega latina

Lo scontro che decretò l’estensione del territorio romano nel Lazio fu la guerra contro la città
etrusca di Veio che scoppiò per il controllo delle vie commerciali e si concluse con la distruzione di
Veio nel 396 a.c. Nel 390 a.c i Galli guidati da Brenno, discesero la pianura padana e
saccheggiarono Roma (sacco di Roma)
Dal 493 a.C. al 341 a.C. la lega latina colonizza altri territori e fonda nuovi centri urbani nei territori
conquistati, questi, entrano a far parte della lega latina godendo dei diritti corrispondenti.
Dopo aver combattuto insieme per molti anni tra le città latine e romane sorse una forte rivalità
sfociata in una sollevazione delle città alleate che vengono però sconfitte e che porta allo
scioglimento nel 339 a.C. della lega latina che fu sostituita da patti di alleanza fra Roma e le singole
città.

Le guerre sannitiche: dopo le battaglie contro le città etrusche Roma si confrontò con le città
dell’Italia meridionale, in particolare la Campania. Sulle sue coste vi erano molte poleis della
Magna Grecia mentre nella zona appenninica vivevano popolazioni che si spostavano
frequentemente in cerca di territori più fertili. Tra queste popolazioni vi erano i sanniti con i quali i
romani avevano stretto un patto che prevedeva una serie di alleanze. I problemi sorsero quando i
sanniti mostrarono intenzioni di conquista su Capua, una delle più importanti città della Magna
Grecia. I capuani chiesero aiuto a Roma che incurante del patto con i sanniti decise di intervenire
provocando lo scoppio della prima guerra sannitica (343-341 a.c) conclusasi con la vittoria dei
romani.
Il trionfo dei romani determinò il malcontento dei capuani a causa dell’espansione di Roma in
territorio campano. Capua decise di allearsi con la lega latina e dichiarò guerra a Roma. Scoppio la
guerra latina (340- 338 a.c – vittoria di Roma e scioglimento della lega). Nonostante le vittorie, la
situazione in Campania non era affatto risolta. Nel 396 a.c scoppiò la seconda guerra sannitica tra
Roma e Napoli alleata con i sanniti. Battaglia delle forche caudine: Roma subì una grande
sconfitta, il territorio del Sannio presentava zone montuose e molto anguste per l’esercito romano
schierato ancora in maniera oplitica. Successivamente Roma riorganizzò il suo esercito e ottenne la
vittoria che nel 304 portò alla fine del conflitto. I sanniti tuttavia non si piegarono e nel 298 si
riarmarono dando il via alla terza guerra sannitica ( 298 a.c – 290 a.c) che vide la vittoria definitiva
dei romani.

La guerra contro Taranto: dopo le guerre sannitiche, i popoli a nord del Lazio erano stati
conquistati, i sanniti sconfitti e molte città della Magna Grecia piegate agli interessi di Roma.
Questo destò la preoccupazione di Taranto, unica colonia fondata da Sparta che godeva di
un’ottima posizione geografica e che aveva stipulato un trattato con Roma che chiariva le
rispettive aree di influenza commerciale. Roma venne meno al patto. Taranto chiese l’aiuto di
Pirro, re dell’Epiro. Pirro sbarcò in Italia nel 280 a.c con le sue truppe e circa 20 elefanti. Roma si
vide costretta ad arruolare per la prima volta i nullatenenti, fino ad allora esenti dal servizio
militare. I romani subirono una sanguinosa sconfitta a Eraclea. Seguirono altre battaglie in cui Pirro
ebbe la meglio ma che non portarono alla conclusione della guerra. Successivamente Pirro accolse
le richieste di aiuto da Siracusa non più in grado di opporsi da sola a Cartagine, approfittando della
sua assenza nel 275 a.c le truppe romane misero in fuga le truppe di Pirro nella località di
Malevento ottenendo una decisiva vittoria.

Domande:
1) Grande guerra latina: 340-338 a.c Capua + lega latina contro Roma
2) In che anno Pirro va in Sicilia: 280-275 ( nel 280 sbarca in Italia ma non ho trovato da
nessuna parte l’anno esatto in cui va in Sicilia, non c’è nemmeno sul manuale del prof)
3) Quando avvenne il sacco di Roma ad opera dei Galli Senoni? 390 a.c

Le guerre puniche: nei primi secoli della sua storia, Roma espresse un potenziale militare
fondamentalmente terrestre. Priva di una vera flotta per molto tempo non considerò il
Mediterraneo come una direttrice di sviluppo ma una volta ottenuto il controllo dell’Italia
continentale le cose cambiarono. Roma mise gli occhi sulla Sicilia e lo scontro con Cartagine, antica
colonia fenicia, divenne inevitabile.

Prima guerra punica (264-241 a.c): tra Roma e Cartagine. Si concluse con la vittoria di Roma.
Cartagine dovette abbandonare la Sicilia che passò sotto il controllo di Roma. Tale conquista
cambiò per sempre la storia romana perché il nuovo territorio fu acquisito come provincia ( nuovo
tipo di circoscrizione territoriale) . Alla città di Siracusa che nelle prime fasi della guerra si era
alleata con Roma venne lasciata l’indipendenza sotto la guida del tiranno Gerone.
Seconda guerra punica (218-204 a.c): La guerra cominciò per iniziativa dei Cartaginesi, che
intendevano recuperare la potenza militare e l'influenza politica perduta dopo la sconfitta subita
nella prima guerra punica; l condottiero cartaginese Annibale Barca fu indubbiamente la
personalità più importante della guerra; avendo giurato da bambino "odio eterno" per Roma su
istigazione del padre Amilcare Barca, generale nella prima guerra punica, egli riuscì a scatenare la
guerra espugnando la città alleata dei romani Sagunto, per poi invadere l'Italia ottenendo
numerose vittorie ( la battaglia di Canne fu una delle sconfitte più pesanti subite dai romani) e
rimanendo in campo nella penisola per oltre quindici anni. Il conflitto venne deciso in favore di
Roma grazie alle brillanti vittorie in Spagna e Africa di Publio Cornelio Scipione Africano, lo scontro
decisivo avvenne nel 204 a.c a Zama.
Roma e l’oriente
 per qualche anno, era sembrato che lo scontro tra Roma e Cartagine potesse coinvolgere anche
i regni ellenistici. Dopo la battaglia di Canne il re di Macedonia, Filippo V si era alleato con Annibale
contro i romani che a loro volta avevano stipulato un patto con il regno di Pergamo e la lega
etolica, tradizionali nemici della Macedonia. Questa prima guerra macedonica (215-204 a.c) fu
poco combattuta perché in realtà tutti i contendenti aspettavano di vedere l’esito della lotta di
Annibale. La situazione ritornò tesa quando Filippo di Macedonia si alleò con Antioco III di Siria ai
danni di Pergamo, alleato di Roma. Nel 198 a.c iniziò la seconda guerra macedonica (198-197 a.c).
Guerra siriaca (192-188 a.c): Poco tempo dopo Antioco III di Siria approfittando
dell’indebolimento della Macedonia cercò di sottrarre città greche all’influenza romana. La
reazione non si fece attendere nel 192 a.c i siriaci subirono una prima sconfitta alle Termopili. La
guerrà terminò nel 188 a.c con la battaglia di Magnesia e la pace di Apamea.
Le lamentele delle città greche non cessarono e nel 171 a.c scoppiò la terza guerra macedonica
(171-168 a.c) .
Terza guerra punica (149-146 a.c) : mentre Roma stava conquistando i regni ellenistici, Cartagine
aveva conosciuto una notevole ripresa economica. La nuova ascesa di Cartagine, non era vista di
buon occhio a Roma e nel 149 a.c i romani inviarono un esercito sotto il comando di Scipione
l’emiliano che assediò e distrusse Cartagine nel 146 a.c . Il territorio appartenuto ai cartaginesi fu
trasformato in provincia d’Africa.

Domande:
1) Date guerre puniche: guerre combattute tra Roma e Cartagine che si conclusero con la totale
supremazia di Roma sul Mar Mediterraneo
I guerra punica 264 – 241 a.c
II guerra punica 218 – 202 a.c
III guerra punica 149 – 146 a.c
2) Data in cui è rasa al suolo Cartagine: 146 a.c
3) Data della guerra romana-siariaca: 192-188 a.c
4) Pace di Apamea: 188 a.c tra Antioco III sovrano seleucide e la repubblica romana (pone fine
alle guerre siriache)
Le nuove strutture per l’egemonia romana in Italia IV - III sec a.C.

A seguito dello scioglimento della lega latina Roma inizia a promuovere tra la fine del IV e il II sec.
a.C. una serie di istituti volti a consolidare la sua egemonia, prima nell’Italia centrale, quindi
meridionale e infine settentrionale, essi sono:

- municipi (di cittadini romani): Il territorio di alcune comunità della lega latina viene
annesso a quello romano, le comunità preesistenti divengono comunità di cittadini romani
(cives Romani), pur mantenendo un sistema di autogoverno proprio e magistrature
proprie. Il primo municipium fu Tusculum nel 381 a.C. Le comunità incorporate attraverso
questo sistema conservavano le loro istituzioni peculiari e ciò consentiva un’integrazione
graduale, assai diversa da un’annessione imposta, che inevitabilmente avrebbe suscitato
malumori e resistenze. Tra le comunità divenute municipia alla fine della grande guerra
latina si annoverano Lanuvium, Aricia e Nomentum.

- civitates sine suffragio (comunità di cittadini romani senza il diritto di voto a Roma): fuori
dal Lazio, presso i Volsci e i Campani, ad alcune comunità venne concessa la cittadinanza
romana ma con un particolare: i titolari erano tenuti agli stessi obblighi dei cittadini
romani, in particolare a prestare il servizio di leva e a pagare il tributum, ma non avevano
diritto di voto nelle assemblee popolari di Roma, né potevano essere eletti alle

magistrature dello Stato romano. Godevano di un’ampia autonomia interna. Si trattò di


una soluzione transitoria che non ebbe seguito nella storia istituzionale di Roma.

- colonie latine o di diritto latino: dal latino colonus, -i (coltivatore), le colonie erano nuove
fondazioni che presupponevano l’invio di un contingente di famiglie che sarebbero
divenute il nucleo di cittadini della nuova città. Fondate su iniziativa di Roma e composte
sia da cittadini romani sia da alleati, numericamente piuttosto consistenti, comprendendo
qualche migliaio di capifamiglia. I nuovi coloni, una volta insediati nella nuova comunità,
perdevano la propria precedente cittadinanza, per acquistare quella della nuova colonia,
insieme ai diritti che avevano caratterizzato i rapporti fra Roma e le città latine (ius
commercii, conubii, migrationis). Erano legate a Roma da un trattato (foedus) che le
obbligava a fornire truppe alla Repubblica Romana. I cittadini della colonie latine, benché
non cittadini romani, potevano anche votare nelle assemblee popolari di Roma, se si
fossero trovate in città (la prima volta è attestato nel 212 a.C.) A differenza dei municipi,
comunità preesistenti alla conquista romana, le colonie latine erano create ex novo, per
questo seguivano le scelte strategiche di Roma, scelte che variavano da caso a caso. Erano
formalmente autonome, con una propria forma di autogoverno, che solitamente ricalcava
quella romana (magistrati eletti annualmente dall’assemblea e un senato locale). Dopo la
scioglimento della lega latina, lo status di latino perde la sua connotazione etnica e venne
semplicemente a designare una condizione giuridica in rapporto con i cittadini romani
rappresentata dai tre diritti fondamentali di conubium, commercium, migratio
- colonie romane (dette anche colonie marittime) o di cittadini romani: Anch’esse create ex
novo, cioè fondate, generalmente composte di soli 300 capifamiglia, dunque assai meno
popolose rispetto alle colonie latine, e destinate a sorvegliare le coste, anche per questo
chiamate colonie marittime. Inizialmente dipendevano direttamente da Roma, ma in
seguito furono dotate di organismi (senato, assemblee, magistrature) autonomi ma che
dovevano ricalcare uno schema comune valido per tutte le colonie romane (ad Anzio
venne creata una piccola colonia i cui abitanti conservarono la piena cittadinanza romana.
Il primo esempio tuttavia fu Ostia).

- socii ossia gli alleati di Roma grazie a dei trattati (foedera): Altre comunità, nonostante gli
abitanti delle fossero di etnia latina, vennero private dei privilegi di conubium,
commercium e migratio e divennero semplici alleati (socii) di Roma. Il rapporto veniva
creato da trattati (foedera) che, pur lasciando alle comunità alleate una completa
autonomia interna per quanto concerneva le magistrature, le norme giuridiche, la lingua e
i culti, le legavano strettamente a Roma per quanto concerneva la politica estera e le
obbligavano a fornire in caso di guerra un contingente di truppe, la cui consistenza era
stabilita dagli stessi trattati. Questi foedera consentirono a Roma di ampliare la propria
egemonia e il proprio potenziale militare senza per questo costringerla ad assumersi i
compiti di governo locale che le sue strutture politiche, rimaste sostanzialmente quelle di
una città-Stato con un territorio di pochi chilometri quadrati, non erano in grado di
reggere. I socii dovevano impegnarsi a mantenere a proprie spese i contingenti di truppe
che fornivano: Roma poté quindi mantenere il suo impegno finanziario relativamente
limitato, senza essere costretta arichiedere un tributo diretto che le avrebbe
indubbiamente attirato l’odio degli alleati

- deditio : totale consegna di sé da parte di singole comunità ai Romani. Essa poteva
dipendere dalla sconfitta in una guerra o da una volontaria sottomissione. Poteva sfociare
in un foedus (trattato), i cui contenuti solitamente riflettevano le condizioni della deditio
medesima.

La fine della dicotomia colonie latine/romane in Italia II/I sec. a.C.

Nel 183 a.C., con la fondazione delle colonie romane di Mutina e Parma (ciascuna con 2000
famiglie di coloni) si inaugura una nuova forma di colonizzazione. Le colonie di diritto romano
hanno dimensioni paragonabili a quelle delle vecchie colonie di diritto latino, mentre cessa la
fondazione di colonie di diritto latino. Le ultime colonie di diritto latino (Aquileia e Luca) sono
fondate tra il 183 e il 179 a.C. Nel I sec. a.C. verranno dedotte in Italia solo colonie romane di
veterani dell’esercito: alcune ex novo, la maggior parte dedotte su municipi già esistenti tramite
l’invio di nuovi coloni

Colonizzazione “viritana” : l’assegnazione viritana (viritim «individuale») erano le assegnazioni di


lotti di terra che venivano assegnate a singole famiglie (vedi pater familias) di cittadini romani su
territori confiscati da Roma ai nemici vinti senza che contestualmente venisse fondata una nuova
colonia. Le principali assegnazioni viritane furono:

396 a.C.: territorio di Veio (città etrusca conquistata)


389 a.C.: agro pontino (Lazio meridionale).
340 a.C.: agro falerno (in Campania, presso Capua)
329 a.C.: territorio di Priverno (Lazio meridionale).
290 a.C.: territorio sabino e pretuziano.
232 a.C.: territorio gallico e piceno.

La deduzione coloniaria: prassi tipo

Dopo la decisone di Roma di dedurre una colonia in un luogo (decreto del Senato o legge votata
dalle assemblee), si procedeva al reclutamento dei coloni (colonus = coltivatore). Questa
assegnazione avveniva nominando una commissione di 3 membri scelti tra i senatori (triumvi
coloniae deducendae). Iniziano così nuove colonie in cui si insediano i coloni prescelti dando vita a
una fase definita “deductio coloniae”. Se dopo alcuni anni la colonia non godeva di ottima salute
venivano inviati ulteriori coloni chiamati supplementum. Una volta individuati i territori dove far
sorgere queste colonie, si inaugurava il nuovo spazio urbano tramite rito etrusco. Lo schema
urbanistico abituale, ereditato da quello degli accampamenti militari, prevedeva due vie principali:
il cardo (via nord-sud) e il decumano (via est-ovest). In esse vi era l’accesso alle porte della città e
nel punto di incontro tra le due vie vi era il foro (forum), la piazza pubblica della città su cui si
affacciavano il tempio capitolino (Giove, Giunone, Minerva) , la curia (sede del senato locale) e la
basilica (sede delle attività giudiziarie).

I triumviri si occupavano dell’avvio della colonia, ossia:

- della divisione dello spazio (centuriatio).

- dell’assegnazione dei lotti di terra ai coloni (sortitio, poiché i lotti venivano estratti a sorte).

- della nomina dei primi magistrati, dei primi senatori e dell’elaborazione della legge in cui viene
precisato il funzionamento istituzionale della colonia (lex coloniae).

La compagine coloniale

La compagine coloniale era già divisa prima di giungere sul luogo, secondo classi di censo: i coloni
iscritti alla classe di censo più alte, ricevevano in proporzione dei lotti di terra più ampi. Ciò per
riportare immediatamente nella nuova fondazione, la ripartizione censitaria sulla quale erano
basate le istituzioni e l’esercito romano, soprattutto nelle colonie latine (ad Aquileia ad esempio
tre classi di censo con 140, 100 e 50 iugeri di terra per ciascuno tra i coloni delle tre classi). Nelle
prime colonie romane c’era maggiore eguaglianza socio-economica tra i coloni. L’estensione dei
lotti di terra venivano assegnati nel rispetto della ripartizione censitaria di ciascuno.

Agrimensore: figura tecnica che aveva il compito di dividere il territorio agricolo. Lo strumento
dell’agrimensore era la groma. Egli individuava il punto iniziale per la suddivisione del territorio
(umbilicus agri), il punto in cui si incontravano i due assi portanti della centuriazione, cardo e
decumano.

Centuriazione: è la suddivisione del territorio agricolo in centurie. Venivano tracciati i due assi
principali (cardo maximus e decumanus maximus) e successivamente gli assi secondari posti
parallelamente a intervalli di 100 actus (3.5 km circa)
La rete stradale veniva suddivisa in ulteriormente in altre strade a una distanza di 20 o 10 actus. Le
superfici quadrate risultanti da questa divisione erano le centurie. Centuria = centum heredia
perché ogni centuria è suddivisa in 100 superfici quadrate di circa 0,5 ettari, chiamate erodia. 1
centuria = 100 heredia; 1 heredium = 2 iugeri (unità base delle assegnazioni).
La situazione politica e sociale a Roma dopo le guerre puniche

La crisi della Repubblica (crisi della proprietà fondiaria e inurbamento)

Questa crisi nasce con la crisi strutturale della piccola proprietà fondiaria, dovuta anche alla
devastazione delle campagne durante la seconda guerra punica (invasione di Annibale nel 218 a.C.
- Roma contro Cartagine), per superare questa problematica era necessario riconvertire le colture
ma ciò richiedeva grosse spese di impianto e la creazione o supporto di strutture per la
trasformazione e la commercializzazione di prodotti agricoli. Sprovvisto dei capitali necessari e
perciò impossibilitato a sostenere la concorrenza, un numero sempre crescente di piccoli
proprietari era spesso stato costretto a vendere e cercare fortuna a Roma (metà II secolo a.C.).
Con la concessione della cittadinanza romana cresce l’afflusso di nuovi cittadini verso Roma e
nasce così una nuova realtà sociale chiamata plebes urbana che deve essere distinta dalla plebe
classica e indicava quella parte di cittadini che viveva in maniera parassitaria all’interno della città
creando problemi di sussistenza e approvvigionamento dato l’alto numero di questo tipo di
popolo. Roma iniziò così la sua grande trasformazione in Metropoli, oltre un milione di abitanti alla
fine dell’epoca repubblicana.
All’interno di questo contesto l’aristocrazia romana era suddivisa in due fazioni che avevano due
visioni diverse su come poter affrontare questi problemi:
- Gli optimates: si richiamavano alla tradizione degli avi, si autodefinivano boni, sostenitori
dell’autorità del Senato (esempio: Silla, Cicerone, Pompeo)
- I populares: ugualmente scaturiti dall’aristocrazia, si consideravano difensori dei diritti del
popolo, miravano alla necessità di ampie riforme in campo politico e sociale (esempio:
Mario, Caio Cesare, Giulio Cesare e i Gracchi).
Le guerre di conquista avevano fatto crescere a dismisura il territorio del demanio (ager publicus):
esso era abitualmente concesso in uso ai privati (non solo i cittadini ma anche federati latini e
italici) a titolo di occupatio, di fatto la proprietà rimaneva dello Stato che si riservava la facoltà di
revocare il possesso. L’utilizzo era garantito ai detentori dietro pagamento di un canone irrisorio
(vectigal).

Il tribunato di Tiberio Gracco (133 a.c)

Su questo intervennero i tentativi di riforma di Tiberio Gracco nel 133 a.C. riuscì a farsi eleggere
tribuno della plebe e fece approvare la lex sempronia con la quale stabilì che nessuno poteva
possedere più di 500 iugeri di ager publicus, con l’aggiunta di 250 iugeri per ogni figlio fino a forse
un massimo di 1.000 iugeri per famiglia. Chi oltrepassava tale soglia, doveva restituire la terra allo
stato che l’avrebbe data ai cittadini più poveri sino a 30 iugeri, grazie ad una commissione
triumvirale. I fondi per la riforma sarebbero stati reperiti dal tesoro di Attalo III, che aveva lasciato
in eredità il suo regno a Roma, poi divenuto la provincia d’Asia.

Il tribunato di Caio Gracco (123 a.c)


Si iniziò la ridistribuzione dei lotti ma Tiberio Gracco fu ucciso; suo fratello Caio Gracco eletto
tribuno della plebe nel 123 a.C. continuò l’opera della commissione triumvirale e fece un passo
avanti con la legge frumentaria: al fine di evitare fenomeni speculativi da parte dei detentori di
frumento regolava la distribuzione di frumento a prezzi agevolati o gratuitamente alla popolazione
di Roma assicurando ad ogni cittadino residente a Roma una quota mensile di grano. Vennero
costruiti grandi granai pubblici (horrea Sempronia) che dovevano custodire le grandi quantità di
cereali necessarie alle distribuzioni (frumentationes: distribuzione di cereali) provenienti dalle
province di Sicilia, Africa e poi Egitto in epoca imperiale. Le frumentationes rimangono in vigore
fino all’età imperiale, quando caddero sotto la responsabilità dell’imperatore. Caio Gracco,
candidatosi per l’anno 121 a.C., non venne rieletto. Per la fondazione della colonia di Cartagine
furono collegati auspici funesti e si propose che la deduzione dovesse essere revocata (121 a.C.).
Caio Gracco e Fulvio Flacco tentarono di opporsi alla votazione del provvedimento e scoppiarono

tumulti. Il senato lo dichiarò nemico pubblico e fece ricorso per la prima volta alla procedura del
“senatus consultum ultimum”, con cui veniva sospesa ogni garanzia istituzionale e affidato ai
consoli il compito di tutelare la sicurezza dello Stato con i mezzi che ritenessero necessari
(cambiando quindi le regole politiche per la prima volta a Roma). Caio Gracco si suicidò prima di
essere ucciso.

Domande:
1) Frumentationes chi le fece? Caio Gracco

La riforma dell’esercito di Caio Mario


Negli anni successivi, nel campo dei popolari, la scena fu dominata da Caio Mario, un homo novus
imparentato con la famiglia Giulia, eletto console nel 107 a.c. A lui, fu affidato il comando dalla
guerra contro Giugurta, re di Numidia che si stava trascinando da anni senza concludersi. A causa
delle gravi difficoltà nel reclutamento legionario limitato ai soli cittadini iscritti nelle cinque classi
censitarie (a causa della crisi della piccola/media proprietà terriera dovuta all’inurbamento di
Roma e al fatto che Roma si trovò per la prima volta a competere con i popoli germanici, ossia con
Cimbri e Teutoni che avevano sconfitto gli eserciti romani nell’Italia settentrionale con esiti
catastrofici) Mario aprì l’arruolamento volontario ai capite censi (proletari) ovvero coloro che
erano censiti in base alla loro persona ma che non avevano beni (nullatenenti). Questo aspetto
negli anni si trasformò in un formidabile strumento di lotta politica per i comandanti militari
poiché i soldati divennero indissolubilmente legati non alla res publica come prima, ma al singolo
comandante e alle sue sorti: infatti dal suo successo essi potevano trarre guadagno (terre, bottini)
mentre avevano tutto da perdere dalla sua sconfitta. Giugurta fu sconfitto e Mario rieletto. Nel 90
a.c rientrò in scena in quanto gli fu affidato un comando contro gli italici ( popolazioni della
penisola alleate con Roma che da tempo rivendicavano la cittadinanza romana e non ricevendola
si erano ribellate). La guerra sociale (90-88 a.c) si risolse quando fu concessa la cittadinanza a tutte
le popolazioni che non si erano schierate contro Roma e a quelle che avrebbero deposto le armi
entro 2 mesi.

Domande:
1) Chi era Giugurta? Era il re di Numidia
La guerra2)sociale (guerra
Chi istitui italica?) Verso
il volontariato l’integrazioneCaio
dei nullatenenti? politica
Mariodell’Italia romana  l’Italia sotto
l’egemonia
3) di Romaitalica: 90-88 a.c
Guerra

 I soci, alleati di Roma ma in una condizione subalterna (non cittadini romani), non avevano
alcuna parte nelle decisioni politiche, economiche, militari, che pur vedevano coinvolti
anche i loro interessi. I soci avevano contribuito in gran misura alle conquiste di Roma nel
III e II sec. A.C. fornendo le truppe.
 La condizione di cittadino romano era divenuta sempre più vantaggiosa (al contrario di
quella dei soci): distribuzione di terre in Italia; distribuzione a prezzo calmierato del
frumento a Roma (introdotto da 2 tribuni della plebe: Tiberio e Caio Gracco); immunitas
tributaria: non pagavano il tributum (tassa per pagare le spese militari).
I soci invece non godevano di queste condizioni.
 tributum: il lungo assedio a Veio (396 a.C.) aveva tenuto per molti anni i soldati romani lontani
dai loro campi. Per questo motivo era stata introdotta una paga, detta stipendium per far fronte
alle accresciute spese militari venne introdotta una tassa straordinaria chiamata tributum, che
gravava in misura proporzionale sulle diverse classi dell’ordinamento censitario. Con la vittoria
nella terza guerra Macedonica (168 a.C.) e la conquista del tesoro dei re Macedoni, non fu
richiesto più il pagamento del tributum da parte dei cittadini Romani residenti in Italia (non nelle
province).
Tutte queste rivendicazioni da parte dei soci esplosero con un avvenimento particolare:
l’assassinio di Livio Druso, un tributo della plebe che nel 91 a.C. propose per primo la concessione
della cittadinanza romana agli alleati italici.
La sua morte diede agli alleati il segnale che non vi era altra possibilità di difendere le proprie
rivendicazioni, ovvero di partecipare ai beni che erano stati acquisiti da Roma tramite le conquiste
a cui loro avevano partecipato in prima persona, se non attraverso una guerra aperta contro
Roma, la quale scoppiò nel 90 a.C. ad Ascoli, nel Piceno, dove un pretore e tutti i romani residenti
nella città vennero massacrati.
Non tutti gli alleati di Roma però parteciparono al Bellum Sociale(=la guerra dei soci, degli alleati).
I soci si riconoscevano in un’unica configurazione italica, andando al di là delle differenze, crearono
una capitale comune = Italica, nel Sannio, nella città di Corfinium.
Per la prima volta fu battuta una moneta che portava il termine “Italia”.
I soci che non si riconoscevano nello Stato romano furono: i sanniti, i lucani, i bruzzi(attuali
calabresi), gli umbri e i piceni.
Per Roma fu una guerra difficile da estinguere poiché i soci avevano combattuto a lungo al loro
fianco e quindi conoscevano le loro strategie e il loro schieramento (difficoltà militare nei confronti
degli italici). I Romani si trovarono a combattere contro eserciti armati e addestrati allo stesso loro
modo, con identiche tecniche di attacco e di difesa, spesso perfino contro ex commilitoni che
avevano condiviso gli stessi campi di battaglia sotto i medesimi comandanti. Si pensò perciò fin da
subito ad una soluzione politica del conflitto, con lo scopo di limitarne l’estensione.

Furono stipulate 3 leggi (90-89 a.C.) con lo scopo di integrare gli italici nella cittadinanza romana.
 90 a.C. Lex iulia de civitate  su proposta del console L. Giulio Cesare, il quale concedeva
la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli e alle comunità che avessero deposto rapidamente
le armi
 89 a.C. Lex plautia papira  proposta dai tribuni Caio Papiro e Plauzio Silvano. Estendeva
la cittadinanza agli italici che si fossero registrati presso il pretore di Roma entro 60gg.
 89 a.C. Lex pompeia  (transpadana) su proposta del console Pompeo Strabone fecero
attribuire il diritto latino agli abitanti dei centri urbani a nord del Po (non integrati come le
popolazioni centro meridionali).
Quasi tutti gli alleati accettarono le condizioni e abbandonarono la lotta armata per diventare
cittadini romani. Con la concessione della cittadinanza romana le comunità dei soci e le colonie
latine si trasformarono in Municipi (inizia a scemare la differenza tra municipi e colonie). Questo
porta la possibilità di accesso alle magistrature e poi al senato, dalle aristocrazie italiche: si compie
così l’integrazione politica dell’Italia romana, abitata al di sotto degli appennini tutta da cittadini
romani.
Terra Italia: è un concetto giuridico-politico che si afferma durante la dittatura di Silla (82-79 a.C.).
È considerata Terra Italia tutta la penisola a sud degli appennini con il confine orientale sul fiume
Rubicone. È un territorio libero da eserciti romani abitato da cittadini romani, esenti dal tributum e
direttamente sottoposto ai magistrati di Roma, pur tenendo salva l’autonomia dele singole
comunità cittadine.
La parte a nord di questo confine diviene una provincia chiamata Gallia Cisalpina. Fu provincia
romana fino al 42 a.C., quando fu annessa all’Italia romana grazie a:

 La concessione da parte di Cesare nel 49 a.c della cittadinanza romana ai transpadani (lex
Roscia)

 Abolizione dello status di provincia da parte dei triumviri Ottaviano, Antonio e Lepido.
Dopo la battaglia di Filippi 42 a.C.
Conquista delle alpi  25-14 a.C. da parte di Augusto. Le tre date sono:
 25 a.C. sconfitti e sottomessi i Salassi (Val d’Aosta)
 16 a.C. annessa l’Istria
 15-14 a.C. intera catena alpina sottomessa a Roma.
Trofeo delle Alpi: 7/6 a.C. monumento romano eretto per volere del senato per celebrare la
conquista delle Alpi da parte di Augusto. Nelle iscrizioni sono indicate le 46 popolazioni sconfitte.
Regiones Augustee: per ottimizzare il censimento di tutti i cittadini romani ormai avvenuti, l’Italia
viene divisa da Augusto in 11 regioni inizialmente senza nome ma numerate da 1 a 11. Esse non
avevano una funzione istituzionale.

Le guerre civili

La riforma di Caio Mario oltre che buono strumento di lotta politica fu il viatico per le guerre civili:
- I guerra civile (86 - 82 a.C.): vide scontrarsi la fazione dei populares guidati da Caio Mario e
la fazione degli optimates guidati da Lucio Cornelio Silla. Quest’ultimo ebbe la meglio e
assunse il titolo di dittatore a vita dopo aver eliminato i suoi nemici. Nell’82 a.C. Silla marcia
per la prima volta con l’esercito su Roma (dopo di lui lo faranno Cesare nel 49 a.C. e
Ottaviano nel 43 a.C.). Con la dittatura di Silla (82-79 a.C.), nominato dictator legibus
scribundis et rei publicae constituendae (dittatore con l’incarico di redigere leggi e di
organizzare lo Stato), si crea una nuova dittatura costituente non a tempo determinato
(prima durava 6 mesi), ma illimitato, compatibile con il consolato. Per la prima volta si
stabilisce per legge che una magistratura straordinaria sia da tutela e sopra a tutte le altre
e che il dittatore può redigere leggi e organizzare lo Stato come faceva il consolato.
Vengono pubblicate per la prima volta le liste di proscrizione (liste di cittadini romani
avversi a Silla che dovevano essere uccisi o arrestati e i loro beni sequestrati).
In ogni caso, i problemi interni non erano stati risolti: ne fu la prova la congiura organizzata contro
la repubblica dal senatore romano Catilina e smascherata dall’avvocato Cicerone nel 63 a.C.
Nel 60 a.C. i comandanti Pompeo, Crasso e Cesare, nonostante le differenze di partito, si unirono
con un accordo privato nel Primo Triumvirato che prevedeva favori reciproci: Pompeo ottenne
terre per i suoi veterani e il proconsolato in Spagna, Crasso ebbe il proconsolato della Siria, Cesare
fu console in Gallia per 5 anni. Questa alleanza ebbe vita breve: morto Crasso, nel 53 a.C., Pompeo
si riavvicinò al senato e si oppose alla candidatura di Cesare al consolato. Comprendendo il
significato politico del gesto di Pompeo, Cesare, di ritorno dalla Gallia, guidò le sue legioni
attraverso il fiume Rubicone, pronunciando le celebri parole «alea iacta est» (“il dado è tratto”) e
scatenando la seconda guerra civile (49-44 a.c) che vedeva contrapposte le sue legioni a quelle
degli ottimati di Pompeo . Cesare sconfisse Pompeo a Farsalo (48 a.C.), e successivamente si fece
assegnare i poteri di tribuno della plebe e la carica di dittatore a vita. Dopo aver compiuto una
serie di riforme, Cesare venne ucciso a pugnalate il 15 marzo del 44 a.C. (le “Idi di marzo”) da una
congiura organizzata da un gruppo di senatori conservatori e repubblicani, capeggiati da Marco
Giunio Bruto, Gaio Cassio Longino e Decimo Bruto.
Dopo la morte di Cesare, il console Marco Antonio, luogotenente di Cesare in Gallia, cercò di
ricoprire il ruolo di erede politico. Trovò subito un pericoloso concorrente nel
diciannovenne Ottaviano, nipote di Cesare, che questi aveva adottato come figlio nel 45 a.C.,
designandolo erede della sua immensa ricchezza. La rivalità fra i due portò alla battaglia di
Modena: Ottaviano marciò contro Marco Antonio e lo sconfisse. Questi dovette accordarsi con
Ottaviano e Lepido (altro fedele ufficiale di Cesare). L’accordo prese il nome di Secondo
triumvirato (43 a.c) e a differenza del primo fu formalizzato con una legge apposita (lex Titia) che
consentì ai triunviri di emanare leggi, decidere pace e guerra, distribuire terre. I triunviri
eliminarono i cesaricidi ( uccisori di Cesare) nella battaglia di Filippi (42 a.c) e si suddivisero i
territori della repubblica: Lepido ebbe l’Africa, Antonio le province orientali e Ottaviano
l’occidente. Antonio in Oriente sposò la regina egizia Cleopatra ripudiando Ottavia (sorella di
Ottaviano da lui sposata precedentemente) e iniziò ad allontanandosi dagli usi romani. Ottaviano
sfruttò lo scontento del Senato nei confronti di Antonio e mosse guerra contro Cleopatra (terza
guerra civile) . Nel 31 a.C. Ottaviano sconfisse Marco Antonio nella battaglia di Azio e nel 27 a.C. il
Senato affidò tutti i poteri e il titolo di “Augusto”. Nasceva così l’impero.

Domande
1) Battaglia di Farsalo (Cesare/Pompeo): Cesare sconfigge Pompeo 48 a.c e diviene dittatore di Roma
2) battaglia di Azio tra chi? Ottaviano sconfigge Marco Antonio nel 31 a.c
3) Primo triumvirato: Cesare, Crasso, Pompeo 60 a.c
4) Secondo triumvirato: Ottaviano, Marco Antonio, Lepido dal 43 a.c al 33 a.c

La crisi della Repubblica - Passaggi salienti


➔ Con l’uccisione dei Gracchi su volontà del Senato la violenza entra in modo decisivo nella
contesa politica di Roma
➔ Con la riforma di Mario il legame tra esercito e comandanti diverrà fortissimo.
➔ Nell’82 a.C. Silla marcia per la prima volta con l’esercito su Roma (dopo di lui lo faranno
Cesare nel 49 a.C. e Ottaviano nel 43 a.C.)
➔ Ottaviano Augusto fondò il suo potere su una serie di leggi precedenti che avevano
superato il concetto dell' annualità delle magistrature: a Pompeo (lex Gabinia nel 67 a.C.), a
Cesare (lex Vatinia nel 59 a.C.) e a Cesare, Pompeo e Crasso (lex Trebonia 55 a.C.). Con
queste leggi affidava un imperium straordinario ad un singolo magistrato su un vastissimo
territorio o su più province per un quinquennio (ad esempio Cesare deteneva la Gallia
cisalpina, transalpinica e l’Illirico). Tali leggi costituiranno i precedenti per il potere di
Augusto sulle province.
➔ La cura annonae (l’approvvigionamento annonario della città) veniva affidata ad un singolo
personaggio (il primo fu Pompeo nel 57 a.C.), e non più ai magistrati preposti. Divenne
perpetua con Augusto e lo sarà anche per tutti gli imperatori che lo seguiranno.
➔ Cesare, una volta vinta la guerra civile contro Pompeo, si fa nominare dictator perpetuus
(dittatore a vita), carica che gli costò la vita e che venne abolita da Antonio nel 34 a.C. e che
non si ripeté mai più. Augusto adotterà altri strumenti per consolidare il suo potere e la
nuova forma di Roma sarà il principato.
➔ Con il secondo triumvirato, a differenza del primo (che era un patto privato tra tre
dell’aristocrazia romana che doveva favorire gli interessi di tutti e tre - Cesare, Crasso e
Pompeo), si crea tramite una legge del popolo una nuova magistratura a capo dello stato
romano: il “triumviri rei publicae constituendae” con il potere di consoli ma al di sopra di
essi (tra Ottaviano Augusto - Marco Antonio - Marco Emilio Lepido dal 43 al 33 a.C. -
organizzazione ufficiale in cui Antonio, che controlla l’esercito di Cesare, cerca di prendere
il potere ma Ottaviano, erede designato, ha il sostegno del popolo e del Senato, dapprima
sconfigge Antonio e poi stringe con lui e con Lepido il secondo triumvirato e infine lo fa
dichiarare nemico della patria sconfiggendolo nel 31 a.C. in Egitto - Egitto diventa
provincia)

Domande
1) Chi ridusse il regno ellenistico d’Egitto a provincia romana—> OTTAVIANO
2) Cleopatra VII fine di quale regno? D’Egitto? Si suicida con Antonio dopo la vittoria di Ottaviano
3) Come si chiamava il regno d’Egitto? Regno tolemaico (credo)

Caratteristiche della terra Italia ( da Augusto alla fine del III sec d.c)

Libera ac immunis (libero e immune)


 Libertà perché non sottomessa ad alcun governatore (come le province), ma era
considerata legata direttamente a Roma.
 Immune perché i cittadini romani residenti in Italia non pagano il tributum
Inermis  non vi erano eserciti né legioni
Non facendo parte del territorio provinciale, non era soggetta al controllo diretto del principe, ma
era competenza di Roma e del senato. Il suo territorio era diviso in altre 400 comunità, cittadine
autonome (colonie e municipi), che erano abitate da cittadini romani e amministrate da magistrati
eletti localmente

Roma e i territori extra italici


Le prime province romane vennero istituite alla fine della prima guerra punica (241 a.C.). Le
condizioni di pace tra Roma e Cartagine prevedevano:

- abbandono della Sicilia e delle isole tra questa e l’Italia

- indipendenza di Siracusa e trattato di alleanza con Roma (fino al 211 a.C.)


- cessione della Sardegna e della Corsica (237 a.C.)

- fino al 228 a.C. la Sicilia viene amministrata da un questore inviato annualmente da Roma.

Provincia: Il termine provincia indica inizialmente la sfera di competenze e la sfera azione di un


magistrato fornito di imperium ed era originariamente riferito tanto a un ambito, quanto ad un
qualsiasi territorio, in Italia o fuori, nel quale l’autorità di Roma fosse esercitata dal magistrato.
Con le istituzioni delle province di Sicilia e Sardegna si andò affermando sempre più la
connotazione di territorio definito, circoscrizione amministrativa governata da un magistrato
romano all’infuori dell’Italia, che si distingueva dal’Italia in quanto gli abitanti erano tributari. A
differenza che in Italia, alle comunità un tempo soggette a Cartagine venne imposto il pagamento
di un tributo annuale, consistente in una parte del raccolto di cereali, di cui la Sicilia era grande
produttrice. Sappiamo che nel I sec. a.C. esso constava in un decima della produzione cerealicola
dell’isola (la decima), sistema probabilmente ereditato da Siracusa.

Amministrazione  le province erano suddivise in:

 Città libere e immuni: indipendenti e non soggette ad obblighi né tributari né militari


 Città federate: alleate e non soggette al tributo
 Città stipendiarie: tenute a versare la decima sui raccolti
 Agri censori: territori confiscati da Roma e dati in affitto ai censori
Questa divisione interna alla provincia era stabilita dalla Lex provinciae dove erano scritte anche le
prescrizioni sulle imposte e le forme per la loro riscossione. La lex provinciae poteva essere dettata
dallo stesso conquistatore della regione e dalla commissione senatoriale che lo assisteva, ma in
qualche caso poteva essere posteriore all’assoggettamento dell’area.
In Sicilia l’amministrazione era affidata a un magistrato romano inviato annualmente sull’isola. Dal
227 a.C. furono introdotti due nuovi pretori che affiancarono il pretore urbano e il pretore
peregrino. I due nuovi eletti furono inviati uno in Sicilia e l’altro in Sardegna.
Le province più antiche erano rette da magistrati eletti appositamente. Successivamente si ricorse
al sistema della prorogatio con cui si prorogava l’incarico (imperium) ai magistrati che portavano il
titolo di proconsole o propretore. Il senato assegnava decideva annualmente quali dovevano
essere i consoli e i pretori che alla conclusione del loro incarico sarebbero andati ad amministrare
le province e queste venivano poi assegnate a sorte.
Il governatore provinciale era assistito da:
 Un questore: assisteva il governatore in materia di finanze
 dei legati: delegati dal governatore per affiancarlo nell’amministrazione della giustizia o nel
commando dell’esercito.

Sistema dell’appalto  la debolezza dell’apparato burocratico provinciale costrinse la Roma


repubblicana ad affidarsi ampiamente, per quanto concerne l’esazione delle tasse, a compagnie di
privati cittadini che prendevano in appalto tale servizio. Tali erano dette compagnie di publicani
(societates publicanorum) come erano noti coloro che appaltavano servizi di natura, appunto,
pubblica. La Repubblica Romana pretendeva anticipatamente una determinata somma dai
publicani, i quali di conseguenza tendevano a spremere oltre il lecito i contribuenti per ricavare il
massimo guadagno.
Onomastica dei cittadini romani

La “Tavola de heraclea” (IV/III sec a.C.) contiene delle disposizioni di legge a seguito della
municipalizzazione dell’Italia (dopo il bellum sociale) in cui si dice che tutti i cittadini romani
dovranno segnalare nome, prenome, nome del padre, tribù, cognome per il censimento. Sono
questi che formeranno l’onomastica romana.
Un cittadino romano maschio aveva: prenomen + nomen + cognomen (tria nomen) a cui si
aggiungeva il patronimico (dopo il nomen) per i cittadini liberi di nascita e il nome della tribù per
cui

PRENOMEN + NOMEN + PATRONIMICO + TRIBU’ + COGNOMEN (soprannome).

1. Il prenomen: In origine era il nome personale del cittadino romano. I più diffusi erano
Agrippa, Faustus, Lar, Numasios, Paullus, Postumus, Proculus, Vibius, Vopiscus; questi, col
tempo, non furono più adoperati come prenomi, ma si trasformarono in gentilizi (nomina)
o, più frequentemente, in cognomi. Dal III secolo a.C. si affermò l’uso di impiegare un
ristretto numero di prenomi in forma abbreviata. I bambini ricevevano il prenome nove
giorni dopo la nascita, ma lo assumevano ufficialmente solo quando prendevano la toga
virilis[= indumento che si riceveva con il raggiungimento dell’età adulta (15-17 anni)
solitamente di colore bianco avorio. I senatori e gli equites avevano il privilegio di ornarla
con una striscia di tessuto color porpora dette laticlavus e angusticlavus]. Le bambine
ricevevano il prenome dopo otto giorni; le donne lo usavano solo in ambito familiare o in
contesti non ufficiali, poiché non vi era alcuna necessità di distinguere ufficialmente una
donna dall'altra, dal momento che erano tenute lontane dalla vita pubblica. Se vi era
qualche necessità di identificarle, la distinzione era fatta in base all'indicazione del nome
del padre e/o del marito.
2. Il nomen (o gentilizio): Indica la famiglia di appartenenza dell'individuo e designa tutti i
membri di una medesima gens si trasmette dal padre ai figli, sia ai maschi sia alle femmine,
che, sposandosi, lo conservano (l’odierno cognome). La maggior parte sono caratterizzati
dal suffisso -ius. I gentilizi più frequenti sono quelli tipici delle grandi famiglie e degli
imperatori: la loro diffusione fu favorita dal grande numero dei loro liberti e dal fatto che i
soldati e gli stranieri che ottenevano la cittadinanza romana prendevano il gentilizio del
magistrato o dell'imperatore che aveva loro concesso tale beneficio. Raramente sono
abbreviati nelle iscrizioni.
3. Il patronimico (non per tutti): I cittadini romani, uomini e donne, nati da genitori liberi
(=ingenui), indicavano la loro condizione giuridica inserendo dopo il gentilizio il prenome
del padre in caso genitivo, seguito dal sostantivo “filius” abbreviato con la sigla F o più rara-
mente FIL. Gli appartenenti a famiglie illustri, per sottolineare l'importanza della loro
genealogia, spesso dopo il prenome del padre ponevano anche quello del nonno, seguito
dalla sigla N (nepos) e persino del bisnonno, con la sigla ABN (abnepos). I figli nati da una
donna libera, ma al di fuori di nozze legittime, quindi giuridicamente senza padre,
formavano il patronimico con il prenome del nonno materno, oppure si ricorreva alla
formula Sp(uri) f(ilius)(=figlio di ignoto). Si trattava comunque questo di un caso insolito.
4. La tribù: La menzione della tribù di norma veniva inserita fra il patronimico e il cognomen.
Il nome della tribù può comparire per esteso in caso ablativo, seguito o meno dalla parola
tribù ma, più spesso, è presente in forma abbreviata, con la parola tribù sottintesa. Ogni
individuo che godeva della cittadinanza romana era ascritto a una delle 35 tribù, che
originariamente circoscrivevano il territorio romano, costituendo l’unità di voto nei comizi
tributi. In età imperiale acquisì quasi esclusivamente il valore di segno distintivo fra chi era
in possesso della cittadinanza romana e chi ne era privo. La menzione della tribù inizio a
scomparire con l’inizio del III secolo in concomitanza con la concessione universale della
cittadinanza da parte di Caracalla grazie alla costituito Antoniniana.
5. Il cognomen: Era in origine un soprannome non ufficiale, che serviva a individuare con
maggior precisione le persone (magari appartenenti alla stessa famiglia che si ritrovavano
ad avere la stessa onomastica), si trattava di: caratteristiche fisiche, psicologiche o
caratteriali, con carattere beneaugurante, derivate da nome di città o di popolo, di
mestiere, di animali o di piante, all’ordine di nascita, per rievocare personaggi storici,
mitologici o letterari. Quando il cognomen divenne ufficiale inizialmente fu appannaggio
degli appartenenti all'aristocrazia, alla nobilitas patrizio-plebea, serviva a distinguere i
diversi rami di una stessa famiglia. Divenne frequente a partire dall’età di Silla, prima fra i
liberti e poi, forse a loro imitazione, fra la gente comune. Alcuni individui portano più di un
cognomen: può trattarsi di un cognomen ex virtute che veniva attribuito a un comandante
vittorioso traendolo dal nome del popolo sconfitto -> es: P. Cornelius Scipio Africanus. In
alcuni casi, questa tipologia di cognomen ex virtute poteva essere ereditata a divenire il
cognomen di famiglia. Chi veniva adottato assumeva l’onomastica dell'adottante e
trasformava in cognome il proprio gentilizio, aggiungendo il suffisso –anus -> es: P. Scipio
Cornelius Aemilianus.

Lo status giuridico personale: Il cittadino romano e la doppia cittadinanza

Ogni cittadino romano residente in una colonia o in un municipio, aveva una sia la cittadinanza
romana sia la cittadinanza della sua città di origine. La cittadinanza della sua città di origine è la
cosiddetta origo (origine) che viene trasmessa da padre in figlio (o figlia, ma non per via materna)
e che stabilisce l’afferenza di un cittadino ad una determinata comunità̀ di cittadini romani. Se un
cittadino romano è residente nella città di cui ha anche l’origo allora egli è se in una colonia, un
colonus, se in un municipio, un municeps. Ogni cittadino romano che fosse residente in una
colonia o in un municipio di cui non possedeva l’origo, era definito incola. Per ricevere il
domicilium, e quindi lo status di incola, non era sufficiente possedere una casa o del terreno nel
territorio della comunità ospite, ma bisognava risiedervi. Mantenendo la cittadinanza nella
comunità di origine, gli incolae erano quindi legati a due città: quella dei padri e quella in cui
avevano il domicilio. Non è chiaro se gli incolae trasferiti potessero candidarsi alle magistrature
della città che li ospitava. Di certo, potevano votare.

Domande:
1) come si chiamano i cittadini romani senza origo? incola

I gruppi  la società romana si suddivide il tre categorie:


 Cittadini romani (cives romani): ingenui (cittadini nati da genitori liberi); liberti (ex schiavi
liberati che hanno ottenuto la cittadinanza romana all’atto della liberazione)
 Stranieri: peregrinus
 Schiavi (servi): pubblici (di proprietà della repubblica romana, del municipio o delle
colonie); privati; dell’imperatore (servi caesans).
Liberti  ex schiavi che acquisiscono la libertà. La legge dava al padrone (dominus) la facoltà di
liberare il proprio schiavo (procedura chiamata manumissio) e questo poteva avvenire in diversi
modi:
 Con la dichiarazione di libertà fatta dal padrone di fronte al magistrato
 Con l’iscrizione da parte del padrone del nome dello schiavo in occasione di censimento dei
cittadini
 Per disposizione scritta nel testamento del padrone.
Dopo la monumissio il padrone diventa patronus (protettore del liberto). In questo caso il liberto
(schiavo liberato) deve mantenere degli obblighi nei confronti del patronus come:
 Rispetto (deferenza) nei confronti del patronus (obsequium)
 Diritto di successione del patronus se il liberto muore senza figli (bona)
Dopo la liberazione il liberto poteva:
 Contrarre il matrimonio
 Avere proprietà private
 Votare
 Ma non poteva essere eletto in alcuna magistratura.
Onomastica dei liberti: il liberto assumeva il prenomen e il nomen dall’ex padrone e trasformava
in cognomen il suo originario nome personale. Inoltre, doveva inserire tra il nome e il cognomen il
prenome dell’ex padrone seguito dalla parola “libertus” nel caso in cui avesse avuto un padrone
precedente.
I liberti dell’imperatore (schiavi dell’imperatore) prendevano il nomen e il prenomen
dell’imperatore ma con la mansione di Lib(ertus) Aug(usti)  liberto di Augusto.
I liberti ex schiavi pubblici prendono come nomen Publicius (pubblico) oppure il nomen derivante
dalla città di proprietà (es. Aquileiensius = ex schiavo pubblico di Aquileia).

Domande:

1) Come era composto nome di un liberto? Prenomen + nomen dell’ex padrone + libertus +
cognomen (costituito dal suo nome originario)

Gli schiavi:
Si dividono in:
- Schiavi pubblici (servi publici). Possono essere di proprietà della Repubblica Romana o di una
qualsiasi altra città (municipio o colonia).
- Schiavi di privati.
- Schiavi dell’imperatore (servi Caesaris).

Lo schiavo era venduto e comprato secondo regole di mercato (età, sesso, salute, disponibilità di
schiavi). I banditori di questi mercati erano romani che vendevano all’asta i prigionieri di guerra.
Gli schiavi non avevano dignità giuridica (era come se si possedesse un oggetto). Il padrone aveva
il diritto di vita o di morte su uno schiavo almeno fino al I secolo d.C. Inoltre, gli schiavi non
potevano possedere beni e avere una propria famiglia. Lo schiavo nato da genitori schiavi (detto
Verna) diveniva proprietà del dominus (padrone).

La maggior modalità di acquisizione della schiavitù:


 Straniero prigioniero di guerra (poi veniva venduto)
 Nato in schiavitù da genitori schiavi ( era detto verna)
 Il cittadino romano quando non era riconosciuto da paters familias veniva venduto o
abbandonato
 Cittadino straniero vittima di naufragio o rapimento; incapace di dimostrare la propria
identità
 Cittadino caduto in schiavitù dal debitore (VI-IV sec a.C.)
Per quanto riguarda la grande importazione di schiavi, avviene durante l’epoca delle grandi
conquiste del III/I sec a.C. Si calcola che il numero degli schiavi oscillasse tra il 15% e il 30% di tutti
gli abitanti dell’impero. Un numero così elevato di schiavi in ambito rurale portò a vastissime
rivolte soprattutto nel sud Italia:

 Prima guerra servile (135-132 a.C. Sicilia)


 Seconda guerra servile (102-98 a.C. Sicilia)
 Terza guerra servile o rivolta di Spartaco (73-71 a.C. sud Italia)
L’ultima di queste guerre fu fatta da Spartaco, gladiatore proveniente dalla scuola di Capua
(Campania), il quale dopo aver usato l’alto numero di schiavi impegnati in agricoltura e nelle ville
schiavili, con l’aiuto dei propri compagni occupò Roma per due anni. La rivolta venne soppressa
nel sangue e vide consoli e magistrati romani impegnati contro questo paladino della giustizia.
Queste rivolte riguardavano soprattutto gli schiavi di familia rustica, che erano coloro che
lavoravano nelle ville e vivevano in condizioni di vita infime.

Gli schiavi prestavano servizio:


 In ambito urbano: ambito domestico, dello spettacolo, nell’erudizione o per attività
artigianali. Questi erano gli schiavi che vivevano in condizioni di vita migliori perché il
lavoro er più qualificato. Facevano parte della familia urbana.
 In ambito rurale: membri della cosiddetta familia rustica, braccianti, contadini, allevatori
che lavoravano nelle ville in condizioni di vita infime. Difficilmente veniva liberato-
Onomastica: gli schiavi non avevano un nome proprio, ma quando il numero degli schiavi
aumentò vertiginosamente, nacque la necessità, da parte dei padroni, di dargli un nome. Si
preferivano nomi di origine greca e in epigrafia erano indicati con l’indicativo “servus” accanto al
nome del padrone. Il loro nome di schiavo diventava poi il loro cognome.

Stranieri
Non godevano di cittadinanza Romana, compresi i latini (considerati peregrini).
Questi ultimi potevano avere particolari rapporti con i cittadini romani se godevano del diritto
latino o se la sua comunità di provenienza aveva stretto un particolare foedus (trattato militare)
con Roma. Lo straniero poteva divenire cittadino romano insieme all’intera sua comunità con leggi
comuni (come in occasione delle leggi che seguirono al bellum sociale) oppure singolarmente (ad-
personam) per particolari servigi (ad esempio la militanza nelle truppe ausiliarie, truppe
dell’esercito romano composte da stranieri) oppure per concessione dell’Imperatore; ma in questo
caso si trattava di famiglie d’élite aristocratiche o vicine all’Imperatore stesso. Il divenire cittadino
romano ad personam era molto raro in epoca repubblicana, più comune in epoca imperiale.
Onomastica
Gli stranieri di condizione libera portavano un nome proprio seguito dal patronimico (portavano
quindi solo il nome personale). Invece se la cittadinanza veniva data dall’Imperatore, assumevano
la tria nomina (praenomen e nomen dell’Imperatore che l’aveva concessa + cognomen creato
usando il patronimico e trasformando quindi il nome personale in cognome, spesso
latinizzandolo).

La religione romana Politeismi e monoteismi

La religione romana fu una religione politeista:

RELIGIONE POLITEISTA RELIGIONE MONOTEISTA

Atteggiamento nei confronti È un linguaggio universale Presuppone di essere l'unica


degli altri culti che consente ai religiosi di vera (impossibile il
riconoscersi negli stessi Dei sincretismo che c’è con
e negli stessi culti (es. Greci divinità diverse nelle
e Romani hanno stesse religioni politeiste)
divinità ma con nomi
diversi)

“Locutore principale” In questo caso la fonte è la La fonte è un libro sacro


ovvero la fonte che genera tradizione, molto antica e (Bibbia, Corano, Vangeli)
la religione come testo orale. Come tutte le che fissa il rito, le credenze e
tradizioni cambia con la gli articoli di fedeltà
cultura del popolo

Scopo della religione Ha come scopo primario il Si mira a ricevere la salvezza


benessere e la salvezza eterna e una ricompensa
materiale (questo è un ultraterrena attraverso il
aspetto contrattualistico) rapporto con Dio stesso

Religio: con tale termine i Romani definivano quella particolare forma di attenzione che gli uomini
manifestano nei confronti degli dei e di tutto ciò che li riguarda. La religione per i romani non è un
concetto a sé stante. Non è cioè come nelle società moderne, un’istituzione autonoma,
determinata da confini precisi e separata da altre (il diritto, l’economia etc.) Essa al contrario è una
sorta di atmosfera che pervade ogni aspetto della vita sociale e che determina la psicologia
collettiva. La religione romana è anzitutto una religione politica, nel senso etimologico del
termine, una religione cioè profondamente radicata nella vita della polis e dello stato romano, e
dunque nella coscienza dei suoi cittadini. Per prendere parte ad un culto non serve essere
emotivamente ed intimamente convinti: è sufficiente essere un cittadino romano in possesso di
determinati requisiti rituali. Tali requisiti rituali non sono di esclusiva competenza della classe
sacerdotale, ma anche dei magistrati e di ogni pater familia. Non esiste dunque una differenza
netta tra magistrati e sacerdoti: tutti i magistrati erano anche sacerdoti, poiché in talune
circostanze viene richiesto loro di assumere funzioni di carattere sacerdotale, come quando
officiavano i sacrifici in nome del popolo romano. Viceversa, tutti i sacerdoti erano in un certo
senso anche magistrati, poiché la loro autorità religiosa e i loro uffici erano in grado di determinare
la prassi politica. Dunque, ogni azione della vita politica pubblica e della vita privata e familiare a
Roma è vincolata da una premessa di carattere religioso (ad esempio, il senato non poteva riunirsi
se non in un templum [templum: non era un edificio. Esso era un luogo consacrato, attraverso, per
esempio, la pratica dell’inaguratio: grazie al volo degli uccelli, si inaugurava come sacro un luogo] e
prima di prendere posto ed intraprendere una discussione, i senatori dovevano supplicare, ossia
rivolgere una preghiera alla divinità a cui dedicavano il templum per ottenere gli auspicia
favorevoli.

Quello che avveniva nel mondo politico, si ripeteva in piccolo nell’ambito familiare dei cittadini
romani: il pater familias aveva una serie di incombenze religiose che ne facevano il sacerdote
domestico rispetto a tutta una serie di attività religiose che doveva compiere per la salvaguardia e
benessere della propria famiglia. Date tali premesse, non stupisce che i romani avessero “un dio
per ogni cosa e per ogni luogo”: oltre alle divinità maggiori, si aveva un vero e proprio esercito di
divinità minori, ciascuna con una mansione e raggio d’azione ben definito. Esse erano pronte ad
entrare in azione in ogni momento se interpellate.
La religione romana, in quanto politeista, era elastica e prevedeva la possibilità di integrare culti
stranieri: “ogni luogo” voleva dire che anche ogni nuova acquisizione territoriale romana includeva
anche il reclutamento di nuove divinità di quel luogo. Questi culti potevano essere acquisiti dal
mondo romano indipendentemente dal fatto che fossero divinità di un nemico. Per i romani non vi
era alcuna differenza.
Con il rito dell’evocatio, la divinità del nemico abbandonava l’avversario per agire in favore dei
romani, Roma si appropria quindi di altre divinità ampliando il proprio Pantheon. Ecco, dunque, di
nuovo l’aspetto materialistico della religione romana. Possiamo quindi dire che il pantheon di
Roma si ampliò con l’ampliarsi del dominio di Roma, con divinità del mondo orientale, del mondo
nordico, celtico, del mondo semitico, in particolar modo del mondo cartaginese e delle colonie
fenicie occidentali.
Data l’esistenza di una pluralità di Dei e data la possibilità di comunicare con loro, i romani, molto
superstiziosi, avevano due strumenti di comunicazione:
1) I presagi: sono informazioni sul futuro prossimo. Non è sapere ciò che accadrà o non accadrà,
ma si riferisce alla divinità che può essere favorevole o meno rispetto ad un’azione che compie
l’uomo in un futuro prossimo. Essi si dividono in:
- Omina (di natura uditiva) sono sempre e solo presagi non richiesti, per cui non potevano
essere richiesti alla divinità, ma si presentavano senza alcuna richiesta da parte del singolo
interpellato. Era dunque necessaria una certa abilità per riconoscerli. Possono essere delle
“voci” interiori o di persone che ci circondano e che, in modo allegorico, tramite
l’intervento divino che si svela in essi, con una frase ci mettono in guardia su un’azione che
stiamo per intraprendere.
- Auspicia (di natura visiva) che possono derivare dal volo degli uccelli o dall’atteggiarsi di
altri animali. Possono quindi presentarsi spontaneamente (auspicia ablativa) ed avvengono
solitamente in ambito privato (ad es. inciampare sulla soglia o vedere un comportamento
inconsueto di animali). Oppure possono essere invocati dalle autorità pubbliche
competenti (auspicia imperativa). Tra questi distinguiamo: gli auguri attraverso
l’osservazione del volo degli uccelli (ausicia ex avibus) utilizzati in ambito cittadino e di
competenza degli auguri e l’osservazione del beccare dei polli il cibo (auspicia ex tripudiis)
utilizzato in ambito militare e di competenza dei pullarii ( il magistrato romano chiedeva ai
pullarii di consultare le divinità se favorevoli alla battaglia, c’erano dei polli ai quali si dava
da mangiare, se i polli mangiavano con appetito, i romani potevano scendere in battaglia;
se invece ciò non accadeva, ecco che il presagio veniva considerato infausto, e dunque era
meglio ritirarsi)
2) I prodigi: in questo caso non si tratta degli umani che comunicano con le divinità, ma è sempre
la divinità che comunica con l’intero popolo romano. I prodigi sono manifestazione di denuncia da
parte delle divinità, segnali da parte degli Dei per avvertire di infrazioni religiose compiute ai loro
danni dal singolo o dall’intera comunità a cui bisogna porre rimedio (Ad esempio se un sacrificio
non veniva compiuto secondo un determinato procedimento, allora ci poteva essere un danno e
offesa alle divinità, oppure se veniva intrapresa un’azione politica o militare senza aver prima fatto
determinate pratiche o sacrifici, ecco che le divinità potevano offendersi). Questi segnali erano di
solito di ampia portata. Erano manifestazioni concrete, i più noti:
- Manifestazioni atmosferiche (grandi temporali) o astronomiche inconsuete (eclissi sole/luna,
comete)
- Terremoti
- Statue degli dei prodigiose (che sanguinano o che sudano)
- Malformazioni mostruose, che potevano capitare a nascituri o alle bestie
- Epidemie e carestie
L’interpretazione spettava in prima battuta al collegio dei pontefici, se questi non riuscivano,
spettava al collegio dei XVviri sacris faciundis (i 15 uomini deputati alle cose sacre) che
custodivano gli oracoli (dettate da una sacerdotessa di Apollo) contenuti nei libri sibillini.
Una delle poche testimonianze di “statue prodigiose” che è giunta fino a noi è la statua in bronzo
dorato di Ercole nei musei vaticani: la maggior parte delle statue in bronzo vennero fuse per
ricavare altro bronzo questa però no, essa venne deposta orizzontalmente coperta da una lastra in
travertino, su cui erano incise le lettere F C S. La statua venne sepolta come prodigiosa insieme ai
resti di un agnello, evidentemente sacrificato per espiare il prodigio compiuto.
Partendo dal presupposto che ogni sistema religioso è caratterizzato in misura diversa da:
- Forme di rappresentazione (miti, simboli, regole, saperi, credenze)
- Forme pratiche (riti, sacrifici, preghiere)
- Forme di organizzazione (collegi sacerdotali, gruppi religiosi)
Possiamo affermare che la religione romana ruotava attorno alle forme pratiche, ossia alle
cerimonie religiose, dette sacra, che riguardavano sostanzialmente sacrifici.
Per i romani CREDERE è FARE: RITO SACRIFICALE.
I sacra non riguardavano solo gli aspetti pubblici, ma anche quelli privati:
- Sacra publica, officiati a nome dell’intera collettività dai suoi rappresentanti (magistrati e
sacerdoti) e si incentravano sul rituale del sacrificio cruento, con l’uccisione di un animale
(hostia o victima) per essere venerato da parte del popolo romano. Il sacrificio è un
tentativo per mettersi in contatto con le divinità. Esso poteva avvenire in diverse occasioni:
- Per onorare gli dei nei giorni di festa all’apertura dei ludi
- Per ringraziare di un beneficio ottenuto con uno specifico accadimento
- Per prendere informazioni sull’opportunità o meno di un atto che doveva essere
compiuto
- Per scongiurare il rischio di un pericolo preannunciato da un prodigio.
Il sacrificio seguiva un rituale ben definito:
→ I sacerdoti (o magistrati) iniziano il sacrificio accompagnati da musica di flauti e si
dirigono nel luogo adibito al sacrificio. Tale luogo è solitamente un altare posto di fronte al
tempio della divinità.
→ Il sacerdote procede alla praefatio: versa vino e incenso in un braciere, poi cosparge la
testa della vittima con la mola salsa (mistura di sale e farro tostato) preparata dalle vestali
(unico collegio sacerdotale composto interamente da donne), appoggia la lama
sull’animale e preannuncia la formula di consacrazione, attraverso questa procedura,
chiamata immolatio, la vittima passa dal mondo profano a quello sacro.
→ Il ministro del sacrificio (victimarius) chiede con una domanda rituale al sacerdote se
può procedere al sacrificio, e avuta risposta positiva, procede con l’uccisione della vittima.
→ Dopo l’uccisione un aruspice (figura della tradizione divinatoria etrusca) controlla le
interiora della vittima che sia tutto in ordine e che le parti riservate agli Dei (fegato, cuore,
polmoni e peritoneo) siano senza malformazioni. In caso contrario bisogna procedere ad
un nuovo sacrificio.
→ Le parti destinate alla divinità vengono bollite in una pentola apposita, arrostite e quindi
deposte nell’altare e cosparse di mola salsa. Il rimanente costituisce il banchetto sacrificale:
per primi mangiano i sacerdoti e i magistrati.
Ogni divinità ha il suo animale preferito: solitamente animali femmine per divinità
femminili e viceversa. Oppure dal manto bianco per divinità celesti (come Giove) o scuro
per quelle infere o terrestri. Questi sacrifici venivano compiuti per lo più presso l’altare.
Il tempio di Marte Ultore, inaugurato da Augusto nel Foro di Augusto. Alla base ci sono dei
laterizi, sopra la quale veniva poi posto l’altare per il sacrificio.
- Sacra privata, celebrata dai singoli gruppi familiari, nella fattispecie dal pater familias.
Nei sacra privata, il pater familias si preoccupava di comunicare con due categorie di entità
soprannaturali:
1) I morti di famiglia, suddivisi in:
- Manes: letteralmente significa “morti buoni”, si riferisce agli spiriti dei trapassati. Essi non
erano buoni per definizione, ma si sperava che chiamandoli in questo modo fossero ben
disposti nei confronti della famiglia
- Lemures: erano gli spiriti di coloro che erano morti anzitempo. A differenza della nostra
cultura, essi dovevano essere cacciati dalla famiglia e dalla casa, poiché considerati
vendicativi. Quindi se un padre moriva giovane, non era da onorare con spirito pietoso.
Questo perché si pensava che gli spiriti di questi morti giovani, fossero vendicativi e che
dunque questo sentimento fosse rivolto soprattutto verso i familiari rimasti in vita.
- Dii parentes: erano gli antenati divinizzati, a cui venivano dedicate la festa dei Parentalia
(13-21 febbraio) con banchetti sulla tomba dei morti.
2) Divinità domestiche
- Lari e penati: divinità del focolare domestico e protettrici della casa
- Il genius: una specie di spirito custode, ma non un angelo custode come possiamo
pensarlo noi. È uno spirito che accompagna l’individuo dal momento della sua nascita a
quello della sua morte. Possiamo considerarlo un doppio divino dell’essere umano, che
governa la sua stessa esistenza.

Domande:

1) Quali sacerdoti interpretavano le viscere degli animali sacrificati? aruspici


2) Lemures: erano gli spiriti dei morti prematuramente

Forme particolari di votum: evocatio e devotio


Evocatio: formula attraverso la quale, grazie ad una particolare preghiera (carmen), i romani
evocavano la divinità di una città nemica ad abbandonare il suo popolo, in cambio di un nuovo
tempio, più grande e sontuoso, nella città dei vincitori a Roma. Questo cerimoniale era
abitualmente pratico in occasione degli assedi alle città nemiche. Ne abbiamo testimonianza
diretta in occasione della conquista di Veio (396 a.C.) e in occasione delle guerre puniche nei
confronti di due divinità cartaginesi.
Devotio: si intende l’offerta di se stesso, ossia della propria vita, alle divinità, per ottenere in
cambio un beneficio. Questa pratica è testimoniata in epoca repubblicana per i consoli o
magistrati romani durante le campagne militari in momenti di grave difficoltà per l’esercito
romano; è il caso del console P. Decio Mure in occasione della grande guerra latina nel 340 a.C.
testimoniato da Livio.
Tutto questo ci sottolinea la caratteristica contrattualistica della religione romana e della costante
richiesta di cose materiali richieste alle divinità, che si devono verificare in questa vita. Non si parla
di vita ultraterrena.

I collegi sacerdotali

Il collegio pontificale: (collegium pontificum) costituiva il massimo organo sacerdotale romano. In


quanto tale, esso aveva la facoltà di sovrintendere alla vita religiosa dello Stato e interveniva nei
rituali degli altri sacerdozi pubblici. Il collegio era composto da:
• I pontefici (pontifices), presieduti da un pontefice massimo (pontifex maximus)
• Un rex sacrorum (o rex sacrificolus)
• Tre flàmini maggiori (flamines maiores - Dialis, Martialis, Quirinalis) ognuno dei quali era
assegnato al culto di un Dio della principale triade di divinità venerate dai Romani in epoca arcaica
(Giove, Marte, Quirino poi sostituite da Giove Minerva e Giunone divinità dell’epoca capitolina
classica)
 tre pontefici minori (pontifices minores)
• Subordinati al collegio erano le sei vergini Vestali (Vestales) e i dodici flàmini minori (flamines
minores)
Pontefice massimo: posto a capo dell’intera piramide sacerdotale romana, fu il sommo sacerdote
del collegio, sia durante la Repubblica, sia durante l’Impero. A partire dal 12 a.C. con Augusto sarà
appannaggio esclusivo dei principes. È interessante notare che questa carica compare sempre per
prima dopo il nome dell’imperatore, questa a testimonianza della potenza del potere sacerdotale
che fa da ponte tra il mondo terreno e le divinità. Questi, veniva riconosciuto come il primo
garante della pax deorum (armonia tra mondo terreno e divino).
I sacerdoti romani rimanevano in carica a vita, non c’era un’elezione come per le magistrature, e
venivano scelti tra i senatori dal lungo e prestigioso cursus honorum. Anche i rex sacrorum e i
flàmini maggiori facevano parte in modo esclusivo del patriziato.
Inizialmente (o almeno dal III sec. a.C.) il pontefice massimo veniva eletto all’interno del collegio
pontificale essendone già membro. A partire dal I sec. a.C., dopo Silla, il pontefice veniva eletto dai
comizi tributi ( costituiti inizialmente solo da patrizi con la Lex Olgunia nel 300 a.C.si unirono anche
i plebei). Il collegio operava in una vasta gamma di aspetti della vita pubblica e in diretto rapporto
con i magistrati e il senato, sul piano giuridico e civile.
I pontefici attraverso i decreta (risoluzioni emesse di propria iniziativa) o tramite risposte
consultive davano seguito alle responsa (interpellanze ricevute). A regolare tale prassi era la
suprema funzione dei pontifices, i quali dovevano assicurare il mantenimento della pax deorum
mediante la stretta sorveglianza delle corrette procedure rituali eseguite nel panorama cultuale
romano, ma avevano anche un valore riparatorio, attraverso la prescrizione di cerimonie che
consentissero di restaurarla tramite la ripetizione, integrale o parziale, di un rito mal condotto o
del manifestarsi di un prodigio.
Le azioni pontificali prevedevano:
- Di avallare o meno le dediche dei templi o degli altari
- Di esprimersi sul carattere sacro degli oggetti, sui beni dovuti a una divinità quando veniva
formulato un voto, sullo smantellamento di sepolture edificate sopra terreni pubblici
- Di emettere giudizi vincolanti per la fissazione del calendario romano, tramite l’indicazione dei
giorni fasti e nefasti, rispettivamente favorevoli o sfavorevoli allo svolgimento di attività pubbliche,
e di quelli feriali, consacrati cioè alle festività
- La redazione (in epoca repubblicana) degli annales
- Di riunirsi nella regia situata a breve distanza, nel Foro Romano

Vestali: (unico collegio sacerdotale femminile della Roma Antica) erano sei donne incaricate di
vegliare sul fuoco consacrato alla dea Vesta, simbolo della continuità e della vitalità dello Stato.
Tre volte all’anno preparavano la mola salsa, che veniva regolarmente impiegata durante i sacra
publica. Esse risiedevano nell’atrium Vestae (casa delle Vestali) presso la regia (sede ufficiale del
pontefice massimo a cui erano sottoposte), vicino al sacello (aedes) della dea nel Foro Romano.
Poste sotto la responsabilità del pontefice massimo e del Rex sacrorum. Selezionate dal pontefice
massimo fra le giovani comprese in un arco di età dai sei ai dieci anni e dovevano godere di
perfetta integrità fisica e verginità. Dovevano avere entrambi i genitori viventi e liberi.
Una volta assunte nel collegio sacerdotale e divenute vestali, perdevano il legame di appartenenza
alle famiglie di origine, diventando figure esclusivamente pubbliche e restando in servizio per
trent’anni. Godevano di privilegi esclusivi, che le differenziava dal resto delle donne romane (tra
cui la prerogativa di non sottostare alla tutela del marito o del padre).
L’obbligo della verginità non poteva essere trasgredito nel corso dell’intera durata del servizio
religioso di una Vestale; quando la regola era violata, ne derivava una pena capitale, che
consisteva nel seppellire viva la rea.

Il collegio dei quindecemviri sacris faciundis


(XVviri sacris faciundis - quindici uomini dati alle cose sacre)
Istituito secondo la tradizione al tempo di Tarquinio Prisco, era composto dapprima di due membri
(duoviri sacris faciundis). Il loro numero fu portato a X nel 367 a.C. e a XV con Silla.
Erano sacerdoti del culto di Apollo, di Cerere e della Gran Madre e avevano la cura dei ludi
saeculares. Essi venivano tradizionalmente incaricati dal senato di consultare i Libri Sibillini
tramite il cerimoniale del Lectisternium, al seguito di prodigi ritenuti infausti, quando i pontefici
non erano riusciti a interpretarne il significato. Il collegio quindecimvirale doveva occuparsi di
eseguire cerimonie graeco ritu, che cioè richiedevano di applicare usanze greche o straniere nella
venerazione degli Dei assorbiti nella religione romana.

Libri sibillini: collezione di versi poetici (esametri) greci cui veniva attribuito valore profetico.
Secondo una tradizione tali libri vennero offerti dal re Tarquinio il Superbo dalla Sibilla Cumana (di
Cuma in Campania), secondo un’altra dalla Sibilla Eritrea (una città della Ionia di fronte a Chios).
La Sibilla era in genere una sacerdotessa (di Apollo) e una profetessa (il termine deriva dal greco
sibylla (Σίβυλλα), che significava profetessa) che forniva delle risposte il cui valore dipendeva dal
modo attraverso cui era stata posta la domanda. Vi erano molte Sibille nel mondo antico, come ad
esempio la Sibilla cumana che svolgeva la propria attività oracolare presso il Lago d’Averno, in una
caverna nota come Antro della Sibilla; lei scriveva in versi giambici i suoi oracoli su foglie di palma,
che poi venivano mischiate dai venti e attraversavano la caverna, divenendo “sibillini”.
Lectisternium: (deriva dal latino lectos sternere, cioè distendere i cuscini - Il nome deriva
dall’usanza di cibarsi distesi su comodi lettini detti triclini) è una cerimonia propiziatoria di origine
greca in cui si offrivano ricchi e abbondanti banchetti alle divinità, era presieduta dal collegio dei
sacris faciundis (II, X, poi XV). Durante la cerimonia venivano collocati dei triclini dove venivano
posti dei cuscini su cui venivano poste le immagini delle divinità; in epoca imperiale al posto delle
triclini, solo per le divinità femminili, vennero predisposte delle sedie e la cerimonia prese il nome
di Sellisternium (da sella).. Si svolgeva a seguito della consultazione dei libri sibillini e tale pratica
era attestata dal IV a.C. al IV d.C.

Domande:
1) Chi legge libri Sibillini: i quindecemviri sacris faciundis

Consecratio degli imperatori e delle donne della domus Augusta: pratica religiosa che, a seguito
di una delibera dal Senato (senatus consultum), avveniva tramite la consacratio del defunto
divinizzandolo. Inizia con Cesare Augusto (eccetto la figura mitica di Romolo) e nell’epoca di
Caligola si iniziò a divinizzare anche le mogli o le sorelle degli imperatori. La prima fu Drusilla,
sorella di Caligola, seguita da Livia, la moglie di Augusto.
La nuova divinità, indicata con l’epiteto “divus” accompagnato dal nome del divinizzato, entra
dunque a far parte del pantheon romano con dei propri sacerdoti (i flamines) e con dei propri
cultori come gli Augustales e dei propri templi. Diversi furono gli imperatori divinizzati tra il I e II
sec. d.C.
Dopo la divinizzazione di Cesare venne così costituito un collegio di 21 Augustali (sodales
Augustales) preposti alle funzioni liturgiche collegate al nuovo culto. Su questo modello furono
create altre sodales legate al culto dei nuovi imperatori divinizzati (Es. sodales Augustales
Claudiales per il culto del divo Claudio, il cui tempio era sul colle Celio; i Flaviales per il culto del
divo Vespasiano e i Titiales per quello del divo Tito, il cui tempio, congiunto, era situato alle
pendici del Campidoglio; gli Hadrianales per il culto del divo Adriano, il cui tempio era sito nel
Campo Marzio, nell’odierna piazza di Pietra; gli Antoniniani per il culto del divo Antonino Pio, il cui
tempio fu eretto al Foro Romano).
A tali sacerdoti spettò di attendere anche al culto dei differenti membri delle famiglie imperiali al
potere che venivano divinizzati. Nei primi tre secoli dell’Impero furono circa una sessantina le
Auguste e gli Augusti resi divae e divi con l’appellativo “Divus”.

Altri collegi sacerdotali maggiori

- Il collegio degli auguri (augures publici populi Romani) era preposto a officiare i riti
connessi all’interpretazione degli auspicia, ora casuali (ablativa), ora domandati
ritualmente (imperativa). Erano sedici di norma, ma potevano essercene di più.
- I septemviri epulones (noti anche semplicemente come epulones o septemviri epulonum)
costituivano l’ultimo e il più recente dei sacerdozi romani, assunto per iniziativa di Augusto
che ne divenne membro. Essi sovrintendevano all’organizzazione dei pubblici banchetti
(epula), che caratterizzavano la gran parte delle pubbliche feste celebrate dai Romani e che
avevano sempre connotazione sacra.
Altri collegi sacerdotali minori

- Il collegio dei fratelli arvali (fratres arvales): erano dodici ed erano preposti a officiare
verso la fine di maggio il culto silvestre della Dea Dia, una tra le più antiche divinità del
pantheon romano.
- I feziali (fetiales): il collegio era costituito da venti sacerdoti, eletti per cooptazione fra i
patrizi e incaricati di coadiuvare sul piano religioso le trattative internazionali e le
procedure di dichiarazione di guerra e di resa. Esisteva a Roma un terreno nei pressi della
columna bellica, monumento dedicato alla dea Bellona, dove i Feziali gettavano a scopo
rituale una lancia insanguinata (hasta ferrata, sanguinea praeusta) che sanciva sul piano
religioso l’entrata in guerra del popolo romano.
- Il collegio dei salii: si componeva di due gruppi di dodici sacerdoti ciascuno: i Palatini,
connessi al culto di Marte, e i Collini, collegati a quello di Quirino. Essi operavano in
particolare nel corso di due mesi dell’anno, marzo e ottobre, quando cadevano le
celebrazioni del Quinquatrus (19 marzo) e dell’Armilustrum (19 ottobre) che segnavano,
rispettivamente, l’inizio e la conclusione del periodo ammesso per le campagne belliche.
- Il collegio dei luperci: era costituito da giovani eletti fra i membri della nobilitas. Essi
operavano sotto l’autorità del collegio pontificale. Alle Idi (il giorno 13) di febbraio essi
celebravano il complesso rito arcaico dei lupercalia. Esso iniziava presso il Lupercal, una
grotta situata ai piedi del colle Palatino, nella quale per tradizione si riconosceva il luogo
dove era avvenuto l’allattamento di Romolo e Remo da parte della lupa.

I giochi (ludi)

Il ludus è una pubblica celebrazione di giochi tenuta o in un teatro o nel circo, fatta in una
ricorrenza religiosa o politica. I ludi assieme con i sacrifici possedevano un carattere di feste di
propiziazione o di ringraziamento in onore delle varie divinità e/o tramite esse per il buon esito
per un’azione intrapresa dal popolo romano.
Non si celebravano ludi se non preceduti da una cerimonia religiosa e da un sacrificio.
Il rituale dei ludi era fissato, per i giochi relazionati con il culto di divinità tradizionali era garantito
dai pontefici, per quelli che si riferivano a culti stranieri dal collegio dei quindecimviri.
I ludi potevano essere:
- Ludi votivi o occasioni: per assicurarsi l’assistenza divina in caso di minaccia di grandi
pericoli per lo stato, allo scoppiare di una guerra e dopo superato il pericolo, si faceva voto
di pubblici spettacoli. I ludi potevano essere promessi per una sola volta o poteva
subentrare una ripetizione annuale in un determinato giorno o serie di giorni.
- Ludi stati o annui: quelli che si ripetevano sempre e venivano registrati nel calendario
ufficiale nel giorno o nei giorni designati. Esempio: fasti antiates - calendario romano
murale affrescato risalente alla fine dell’età repubblicana (I sec. a.C.), ritrovato ad Anzio. Da
questo documento si comprende che vi erano circa 60 feste l’anno e con l’arrivo dell’età
imperiale aumentarono in modo esponenziale per la consuetudine di celebrare i giochi,
oltre che nelle solennità religiose, anche in occasione delle festività della famiglia imperiale
come il compleanno degli imperatori divinizzati o l’anniversario dell’ascesa di un
imperatore o il quinquennio dall’ascesa al trono dell’imperatore (quinquennales) o il
decennio (decennales) o il ventennio (vicennales). L’inserimento nel calderaio di nuove
festività religiose e di conseguenza di nuovi ludi era deciso dal collegio dei pontefici. I ludi
dati in giorni fissi, al tempo di Cesare, occupavano 65 giorni dell’anno, mentre nel IV secolo
d.C. ben 175 giorni, cioè poco meno della metà dell'intero anno.
Nei primi tempi della Repubblica l’incarico di preparare i giochi spettò ai consoli, che secondo la
tradizione, furono sostituiti nell’anno 494 a.C. dagli edili plebei.
Non essendo concepibile dai Romani che i giochi pubblici fossero a pagamento, le spese erano a
carico dello stato, o meglio, aumentando la sontuosità dei giochi, la somma di spesa veniva
integrata dal patrimonio degli edili o degli altri magistrati incaricati di apprestare i giochi. In epoca
imperiale, furono i pretori a sovrintendere i giochi, ma anche i consoli e i questori erano tenuti a
dare a loro spese certi ludi durante l'anno di carica. I ludi più importanti o comunque quelli per
determinate occasioni (come le vittorie militari) venivano finanziati dall’imperatore.
I giochi pubblici, a seconda del luogo in cui venivano celebrati, si distinguevano in:
- Circenses, se nel circo
- Scaenici o theatrales, se in un teatro
- Compitalicii, se rappresentati nelle piazze ovvero nei crocicchi
I ludi non pubblici erano i ludi gladiatorii e i combattimenti con gli animali; essi furono in origine
dati soltanto da privati in occasioni di solenni funerali (secondo un’ipotesi sostituirono i sacrifici
umani compiuti in epoca arcaica sulla tomba di personaggi importanti per placare gli dèi Mani del
defunto. Soltanto più tardi cessarono di avere un carattere funebre e privato e furono parificati
agli altri ludi.
I ludi fissi si dividevano in:
- Ludi plebei: erano ludi fissi celebrati dopo il banchetto sacrificale in onore di Giove (epulum
Iovis) che soleva essere solennizzato il 14 novembre nel tempio di Giove Capitolino. La loro
durata andava dal 4 al 17 novembre e gli ultimi tre giorni erano destinati a giochi circensi
nel circo Flaminio del Campo Marzio. Essi furono istituiti in memoria della secessione della
plebe sul monte Aventino.
- Ludi romani o magni: furono istituiti, secondo la tradizione, da Tarquinio Prisco, con corse
di cavalli e gare di pugilatori venuti dall’Etruria. Dedicati anch’essi a Iuppiter (Giove). Si
tratta di feste del patriziato, in contrapposizione ai ludi plebeii.
La loro durata fu estesa a 16 giorni, dal 4 al 19 settembre. I ludi circenses erano preceduti
dai ludi scaenici.
Precedeva una solenne processione che si partiva dal Campidoglio e si dirigeva al Circo
Massimo. Giunta la pompa al Circo si immolavano vittime dai sacerdoti, quindi si dava
principio alle gare. Fu durante i ludi romani che venne proposta per la prima volta una
tragedia greca a Roma.

I LUDI CIRCENSES erano i più antichi di tutti i ludi romani, creati secondo la tradizione dallo stesso
Romolo. Si celebravano nelle solennità religiose e in giorni fissi (ludi ordinarii), in occasione di
dedicazioni di templi, delle inaugurazioni di basiliche e di altri pubblici edifici, di vittorie e di altri
eventi (ludi extraordinarii). I ludi erano preceduti da una solenne processione (pompa) che faceva
il giro del circo a cui seguivano sacrifici propiziatori in onore delle divinità. Seguivano le gare di
corse di carri e di cavalli che formavano la parte essenziale dei ludi del circo. Esempio: Circo
Massimo (Circus Maximus), è tutt’oggi la più grande struttura per spettacoli costruita con i suoi
600m di lunghezza per 140m di larghezza, poteva ospitare circa 150.000 spettatori. La struttura,
iniziata nel 329 a.C., con le prime opere stabili venne definita in età di Cesare, e quindi di Augusto.
Un altro circo di Roma fu il Circo Flaminio situato nel Campo Marzio.
I LUDI SCAENICI furono introdotti a Roma per la prima volta nel 394 a.C., per placare gli dei
durante una grave pestilenza. Inizialmente furono rappresentati soggetti venuti dall’Etruria con
una serie di danze mimiche in un teatro ligneo improvvisato, solo in un tempo più avanzato furono
rappresentate tragedie e commedie greche e latine.
Spesso ludi scaenici si accompagnavano nel programma ai ludi circenses.
Esempio: Il teatro di Pompeo, solo nel I sec. a.C. Roma si dotò di un teatro stabile in muratura.
Una legge ne proibiva la costruzione, Pompeo aggirò il divieto ponendo nella summa cavea un
tempio dedicato a Venere, facendo così della struttura una sorta di propaggine del tempio. Rimase
per tutta l’antichità il più grande teatro di Roma con 17.550 posti.
I LUDI GLADIATORI, a Roma in epoca imperiale, si componevano in realtà di una serie diversa di
«spettacoli»:
- al mattino le venationes: cacce spettacolarizzate di animali, selvaggi o domestici tra cui
leoni, pantere, tigri, giraffe, cammelli, dromedari, ippopotami, iene, coccodrilli, orsi, arieti,
tori e volpi. Le bestie vengono aizzate le une contro le altre o uccise da combattenti
specializzati chiamati venatores o bestiarii, che combattono a piedi o a cavallo. Le fiere
esotiche, catturate nei loro habitat sparsi per l’impero, sono custodite in vivaria.
- a mezzogiorno i ludi meridiani, ossia le esecuzioni dei condannati a morte (damnati);
vengono uccisi sia cittadini romani, sia stranieri, sia schiavi. I condannati a morte vengono
detti noxii. Le pene capitali avvenivano in vario modo: se gettati in pasto alle belve, i
condannati si dicono damnati ad bestias.
- nel pomeriggio i munera gladiatoria, i veri e propri combattimenti tra gladiatori. Munera
(obblighi), indicava in origine il dovere dell’organizzazione del magistrato che riceve
l’incarico dell’organizzazione degli spettacoli. Di fatto il magistrato (o l’imperatore) pagava,
affidando la reale organizzazione ad un editor, un professionista del settore. A sua volta
l’editor affittava i gladiatori dal lanista, il proprietario dei gladiatori e della caserma dove si
allenavano (ludus). I gladiatori sono perlopiù reclutati tra schiavi. Ci sono però anche
uomini liberi, chiamati auctorati, che volontariamente intraprendono questa professione. I
gladiatori seguono degli schemi fissi, che secondo l’armamento, li distinguono in diverse
tipologie (Thraces, Mirmillones etc.), per cui ognuna di esse ha anche un antagonista
definito (Retiarius contro secutor etc.).

L’ amphiteatrum novum o flavium: costruito dopo le principali città dell’impero, venne chiamato
il Colosseo per una statua colossale di Nerone posta nei pressi dell’edificio. Fu fatto costruire da
Vespasiano e inaugurato da Tito, su uno spazio precedentemente occupato dalla domus aurea,
residenza di Nerone. La costruzione fu finanziata con il bottino della guerra giudaica (saccheggio
del Tempio di Gerusalemme). La capienza è stimata tra i 50.000 e i 70.000 posti, i quali erano
ripartiti per classi sociali, partendo dai senatori e dai sacerdoti, tra cui le Vestali più prossime
all’arena, sino all’ultimo settore, più in alto, occupato dalle donne.

Gli agoni ginnici: giochi di tradizione greca, vennero portati a Roma soltanto da Augusto. Ebbero
un discreto successo con Nerone e Domiziano, quest’ultimo fece costruire il famoso stadio
(costruito da Domiziano tra l’85/86 d.C. con dimensioni di 193x54m e aveva una capienza di circa
30.000 spettatori. Si ispirava agli stadi di Olimpia e di Atene e fu l’unico esempio di stadio in
muratura di Roma). Non ottennero mai tuttavia il radicamento culturale dei ludi tradizionali
romani e scomparvero a Roma già nella prima metà del III sec. d.C.

Domande:
1) Giochi romani più antichi? Circensi
Ottaviano Augusto e la nascita del principato

Dopo le sanguinose guerre civili la repubblica conobbe un periodo di pace e una nuova
organizzazione istituzionale che determinò il passaggio dalla repubblica al principato ( tale
passaggio non avvenne in maniera repentina ma fu il frutto di una serie di interventi di Ottaviano).
Un passo fondamentale si verificò nel 27 a.c quando con la cosiddetta restitutio rei publicae, in
una seduta del senato, Ottaviano consegnò simbolicamente il potere al senato e al popolo romano
presentandosi come il restauratore della repubblica che aveva riportato la pace. In realtà egli
andava accumulando potere:
- 36 a.c gli viene concessa la sacrosanctitas cioè l’inviolabilità della persona
- 28 a.c fu eletto principes senatus (capo del senato)
- Ottenne il titolo di Augusto e di imperatore (titolo che da a se stesso) e una serie di onori,
tra cui una corona civica esposta alla porta di casa e uno scudo, affisso nella curia del
senato con incise le sue virtù, il clipeus virtutis.
- Nel 23 a.C Augusto rinuncia al consolato che sino ad allora aveva ricoperto
ininterrottamente e il 26 giugno riceve per compensazione, tramite un decreto del senato e
una legge del popolo, la tribunicia potestas

Non si tratta di una magistratura, ma dei poteri dei tribuni della plebe (tribunicia
potestas = potere tribunizio).
I poteri erano:
- Ius intercessionis: il diritto di veto sulle decisioni di alcuni magistrati
- Ius agendi cum senatu: il diritto di convocare e presiedere il senato
- Ius agendi cum plebe: il diritto di convocare e presiedere i comizi tributi
- Ius coercitionis: la possibilità di comminare pene
- Ius auxili ferendi populo: il diritto di rispondere a richieste di aiuto

Attraverso la tribunicia potestas Augusto può sopperire ai poteri che aveva perso
rinunciando al consolato, questa era rinnovata di anno in anno ma era formalmente
a vita e passava ai successori. Essa comparirà nella titolatura di Augusto (e dei
principi dopo di lui) in ablativo e solitamente abbreviata in trib(unicia) pot(estate), a
cui segue il numerale (II, III, IV, etc.).

- Con la dismissione del consolato, Augusto governa le proprie province come proconsole e
mantiene il suo potere anche a Roma e in Italia. Augusto conservò pertanto il diritto di
sedersi sulla sella curulis e di essere accompagnato a Roma dai 12 littori muniti di fasces.
- Nel 12 a.C. alla morte dell’ex triumviro M. Emilio Lepido, pontefice massimo in carica,
Augusto ottiene la carica sacerdotale di pontifex maximus nella titolata degli imperatori,
essa comparirà sempre in prima posizione tra le cariche e la manterrà per tutta la vita: si ha
quindi l’unificazione dei poteri politici e religiosi all’interno di un’unica figura, il principe.
- Nel 2 a.C. otterrà dal Senato, il titolo di pater patriae, padre della Patria.

Sull’esempio di leggi precedenti (lex Vatinia, lex Trebonia), ad Augusto furono attribuite, benché
fosse console, una serie di province, cosiddette non pacificate (in realtà quelle con il maggior
numero di legioni e di recente acquisizione

Domande:
1) Durata della tribunicia potestas: a vita
2) Ottaviano prende il titolo di Augusto: 27 a. C.

Augusto cambia l’organigramma delle classi aristocratiche romane. Sin dalla prima Repubblica,
tutti i membri alla più elevata classe di censo, detta degli equites, erano raggruppati nella stessa
classe, fossero essi senatori o meno. Negli ultimi anni della Repubblica, il limite di censo era di
400.000 HS (sesterzi). Tra il 18 a.C. e il 13 a.C. il limite patrimoniale minimo per l’appartenenza al
Senato fu elevato a 1.000.000 HS. Ciò distinse per la prima volta il censo senatorio da quello degli
equites, tra i quali sino ad allora erano confluiti gli stessi senatori, determinando in questo modo la
nascita di un ordo senatorius definito non solo da un punto di vista socio-politico (l’essere
discendenti da una famiglia di magistrati), ma anche da un punto di vista censitario.

ORDINE SENATORIALE (ordo senatorius)

- Il Senato viene ridotto 600 membri (dopo che era arrivato sino a 1.000 nel corso delle
guerre civili).

- L’accesso alle magistrature venne riservato in linea di principio ai soli figli dei senatori e a
coloro i quali, per espressa concessione del principe, fu permesso di accedere all’ordo
senatorius.

- L’entrata in senato avveniva ricoprendo la questura. Durante l’ultima Repubblica l’età


minima per la questura (annus legitimus) era di 30 anni, Augusto la abbassò a 25.

- Molti senatori furono immessi da Ottaviano/Augusto e provenivano da regioni come


Umbria, Sannio o Etruria, regioni ammesse alla piena cittadinanza solo in occasione della
guerra sociale del 90 a.C. Molte antiche famiglie potevano invece rimanere in Senato solo
grazie al sostegno finanziario di Augusto.

- Distintiva per i membri dell’ordine senatorio era la toga laticlavia (laticlavus), una toga con
una larga striscia di porpora.

Con la nascita del principato, le magistrature tradizionali continuarono ad essere elette


annualmente sebbene depotenziate da un punto di vista di condotta politica dello stato,
soprattutto il consolato, che comunque mantenne la funzione eponima. In epoca tiberiana, le
assemblee elettive iniziarono a non essere più convocate. Il cursus honorum rimase quello
tradizionale dalla carica più bassa a quella più alta: questura, edilità, pretura, consolato ordinario o
suffetto.

ORDINE EQUESTRE (ordo equester)


Con Augusto il ceto equestre cessa di essere una classe di censo diventando un ordine che
comprendeva gli equites (cavalieri) con un censo minimo di 400.000 HS e dovevano essere
ammessi dal principe.L’ordine possedeva dei simboli propri: l’anello d’oro, la toga angusticlava
(una toga con una striscia stretta di porpora), il cavallo pubblico.
Per essere ammessi all’ordine era indispensabile possedere i medesimi valori morali che
contraddistinguevano l’accesso al Senato, per cui solo una parte di coloro i quali possedevano il
censo equestre era ammessa all’ordine equestre. L’ammissione era di competenza del principe e
stando alle fonti era piuttosto severa: gli equites, col titolo di praefectus o di procurator, sono
agenti del principe, nominati da quest’ultimo, senza vincoli di mandato e pagati da lui. Provengono
per la maggior parte della classe dirigente delle città d’Italia e poi in misura crescente dalle colonie
e dai municipi delle province.

Il nuovo assetto delle province


Nel 27 a.C., con l’assegnazione di alcune province ad Augusto, nascono due categorie di province
che dureranno sino a Diocleziano:
- Le province imperiali il cui governo è affidato a governatori il cui imperium (il potere civile
e militare) è delegato dal principe ai legati Augusti pro praetore senza limiti di tempo. Il
vero governatore è l’imperatore. Solo in Egitto c’è un cavaliere col titolo di praefectus
Aegypti. Da Claudio in poi vi saranno anche province rette da un procurator Augusti di
rango equestre.
- Le province del Popolo o del Senato, il cui governo è affidato a proconsoli inviati dal
Senato e muniti di un imperium (comando) proprio. Il loro mandato è annuale.
Tutte le province create dopo il 27 a.C. diverranno province imperiali, tutte governate
dall’imperatore. Le province create da Augusto ampliano l’impero partendo dai territori del
Mediterraneo fino all’Europa (Illiricum) con confini Reno e Danubio. L’Italia resta esclusa come
provincia fino a Diocleziano.

Le prefetture di Roma di nomina imperiale


Accanto alle magistrature repubblicane, che furono conservate, Augusto istituì le prefetture che
divennero gli organi costituzionali di maggiore importanza e i cui esponenti furono scelti per lo più
tra i membri dell’ordine equestre.
- La praefectura Urbi (senatoria): Creato dal re o dai consoli si occupava della tutela
dell’ordine pubblico a Roma in assenza del principe, ma anche, su delega imperiale, di
comandare un contingente di 3 corti (cohortes urbane), unità militari di 500 effettivi
ciascuna che costituivano il corpo della polizia cittadina. Rappresentava il vertice assoluto
della carriera senatoria e diviene una carica vitalizia in tarda epoca Augustea e durante il
principato di Tiberio.
- La praefectura praetorio (equestre): Due prefetti furono nominati nel 2 a.C. da Augusto
per comandare la guardia pretoriana (composta da 9 e poi 10 corti di soldati volontari
chiamati pretoriani). Al loro interno, le coorti erano inquadrate secondo lo schema della
legione: centurioni a capo di ogni centuria (sei per coorte); tribuni (equestri) a capo di ogni
coorte. Successivamente ebbero anche competenze giudiziarie. I pretoriani, volontari,
avevano una ferma più breve (16 anni) dei legionari e una paga più alta. Inizialmente
reclutati in Italia.
- La praefectura annonae (equestre): Creata da Augusto, che era stato investito della cura
annonae. Sorta intorno al 8 d.C., si occupava dell’approvvigionamento granario della città
di Roma (annona urbis o annona urbana).
- La praefectura vigilum (equestre): Creata da Augusto nel 6 d.C. che era al vertice delle
coorti dei vigili, nel numero di VII, che con un ruolo antincendio, erano distribuite sulle
regiones che componevano Roma (una per ogni due regiones).

La dinastia Giulio-Claudia 14-68 d.C. (dopo Augusto)


• Tiberio 14 - 37 d.C. adottato da Augusto è un Giulio: seppe amministrare bene il denaro e
accumulò nelle casse dello stato numerose ricchezze.
• Caligola 37 - 41 d.C. adottato da Tiberio, ucciso dai pretoriani (guardie dell’imperatore) è un
giulio. Inizialmente sembrò seguire le orme di Tiberio ma poi assunse un atteggiamento immorale
e irrispettoso nei confronti del senato. Dopo la sua morte i pretoriani elessero Claudio.
• Claudio 41 - 54 d.C. figlio del fratello di Tiberio, Druso, è un Claudio (non è adottato): dette vita a
un efficace organizzazione burocratica, iniziò la romanizzazione delle province concedendo la
cittadinanza alla Gallia transalpina, conquista la Britannia nel 43 d.c
• Nerone 54 - d.C. figlio di Agrippina, adottato da Claudio è un Claudio:
l nome “Giulio-Claudia” deriva dal fatto che erano i figli di Livia (moglie di Augusto), non erano figli
di Augusto ma figli di Tiberio Claudio Nerone (matrimonio precedente).

Domande:
1) Quale imperatore conquista la Britannia? Claudio

La dinastia Flavia 69-96 d.C.


• Vespasiano (68 - 79 d.C.), è il primo degli imperatori Flavi
• Tito (79-81 d.C.): ricordato come imperatore eccellente. Inaugurò il Colosseo.
• Domiziano (81 - 96 d.C.): fratello minore di Tito, riprese gli atteggiamenti tipici dei sovrani
orientali
Famiglia di recente fortuna che viene da Rieti e non da Roma, questo dimostra un’integrazione
totale degli italici a Roma.

Vespasiano
Homo novus nato da una famiglia italica, volle subito ridare dignità al principato e formalizzarne il
potere rispetto alla classe senatoria. Fece emanare la lex de imperio Vespasiani: legge sul potere
di Vespasiano che definì i poteri dell’imperatore e i suoi limiti.
Iscrizione bronzea conosciuta sin dal 1347, scoperta da Cola di Rienzo alla Basilica del Laterano,
dove era utilizzata come tavola d’altare; oggi è conservata presso i Musei Capitolini; si tratta
dell’ultima tavola di una legge comiziale che sancisce alcuni poteri conferiti all’imperatore
Vespasiano dopo la fine della guerra civile del 68/69 d.C. Il documento integra parzialmente
quanto noto dalle fonti letterarie e giuridiche che parlano di una legge (detta anche regia)
concernente i poteri del principe. Ci sono 8 clausole superstiti ognuna delle quali sancisce un
potere o una facoltà del principe. Alcune (non tutte) sono costruite secondo il sistema dei
precedenti, richiamando l’esempio dei predecessori (ad esclusione dei principi condannati dal
Senato alla damnatio memoriae, cioè alla “condanna della memoria”). In una volta sola con la
legge del popolo l’imperatore ottiene tutti i poteri.

L’età degli imperatori adottivi 96 - 180 d.C.


• Nerva (96 - 98 d.C.)
• Traiano (98 - 117 d.C.) non italico ma proveniente da una colonia romana in Spagna, fu il primo
imperatore di origine provinciale: sotto di lui l’impero raggiunse la sua massima espansione,
conquista la Dacia (101-106)
• Adriano (117 - 138 d.C.)
• Antonino Pio (138 - 160 d.C.) il più pacifico
• Lucio Vero (160 - 169 d.C.) e Marco Aurelio (160 - 180 d.C.): primo principato congiunto
dello stato Romano, non sono parenti.
In questo ultimo periodo ci fu la “Peste Antonina” (165 d.C. - 180 d.C.), prima pandemia
dell’Impero Romano in cui Marco Aurelio e Lucio Vero morirono.
Il nome “Adottivi” è dovuto al fatto che nel 96 d.C. il senato nomina un vecchio senatore come
imperatore, Nerva, che impaurito dal fatto di non essere molto giovane adotta Traiano, all’epoca
governatore della Germania. Questa è una discendenza non di sangue, ma attraverso l’adozione
del migliore. Marco Aurelio rompe la prassi finora adottata dell’adozione migliore e decide di
lasciare come suo successore il figlio di sangue, Commodo che però non si rivela un buon principe
e per questo viene ucciso 12 anni dopo in una congiura e si apre un’altra stagione di guerre civili.

Domande:
2) Quale imperatore conquista la Dacia? Traiano

Tabula alimentaria di Veleia: iscrizione in bronzo che rappresenta l’istituzione degli alimenta, cioè
prestiti concessi ai proprietari terrieri voluti dall’imperatore Nerva i cui interessi servivano per
mantenere i minori indigenti (poveri) in Italia.

Tra i 3 contendenti: Pertinace, Settimio Severo e Claudio Albino, vince Settimio Severo che apre la
dinastia dei Severi, ulteriore cambio nella storia dell’impero perché per la prima volta un
imperatore non proviene dall’Europa: viene dalla Libia (provincia d’Africa).

La dinastia dei Severi 197 - 235 d.C.


• Settimio Severo 193 - 211 d.C.
• Caracalla 211 - 217 d.C. figlio di Settimio
• Elagabalo 218 - 222 d.C. parente di Settimio
• Severo Alessandro 222 - 235 d.C. parente di Settimio

I lasciti di Settimo Severo:


- Fu elevata la paga dei legionari
- Fu abolito il divieto per i legionari di contrarre matrimonio sino a quando si trovavano in
servizio
- Il senato viene progressivamente emarginato e ridotto a istituzione burocratica piuttosto
che politica
- Il carattere assolutistico del principe che aumenta i suoi beni personali a discapito del
popolo.

La constitutio antoniniana – Editto di Caracalla (212 d.C.): è la concessione, nel 212, della
cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’Impero, ad eccezione forse dei cosiddetti dediticii
(coloro che si sono arresi, e cioè sudditi, forse da riferire ai barbari non ancora assimilati). Editto
emanato da Antonio Caracalla sia per legalizzare una trasformazione di fatto della società romana
(il superamento della distinzione tra italici e provinciali), sia per ragione di carattere fiscale con
l’aumento del numero dei contribuenti.
I severi sono noti anche per altri fatti come questo: Elagabalo fu un giovane imperatore di origine
siriana che tentò di importare il culto solare orientale (il culto di Bal, culto iconoclasta in cui si
venerava una pietra e non un Dio) a Roma. Per questo venne ucciso e gettato nel Tevere.
Si tratta dell’ultima dinastia del medio impero, dopodiché si ha una crisi del III secolo e l’”anarchia
militare”.

Domande:
Alla morte di Alessandro Severo, il dominio di Roma si trovava in una fase di crisi profonda. Sui
confiniCittadinanza
1) romana
europei nuovi chebarbari
popoli imperatore? Caracalla
di origine 212 a.csi facevano strada. Tale pressione sui
germanica
confini rese necessario rinforzare gli eserciti. Nel clima di guerra, i capi delle legioni acquistarono
prestigio e cercarono di conquistare il titolo imperiale. Dal 235 al 284 d.c l’impero fu lacerato dalle
guerre civili e numerosi imperatori si susseguirono.

Massimino il Trace: l’inizio dell’ anarchia militare 235-284 d.c


Il potere imperiale fu detenuto in successione da una ventina di imperatori, cui si devono
aggiungere numerosi usurpatori, che rimasero in carica non più di due anni e mezzo ciascuno. Il
primo fu Massimino il Trace.
Ogni volta che il sovrano legittimo si doveva concentrare su una parte dell’Impero altrove
entravano in agitazione capi militari e funzionari ambiziosi e scontenti che cercavano di porre in
atto progetti di usurpazione e prendere il potere. Questo portò a una disgregazione dell’impero e
con l’imperatore Gallieno si formarono due unità autonome (250-260 d.C.): Occidente e Oriente.
- L’ Impero gallico a Occidente, che si organizzò nel 259 e che durò per una trentina d’anni
era un’entità politica autonoma, non separatista, guidata da ufficiali di stanza sulla
frontiera renana
- Regno di Palmira a Oriente, comprendente la Siria, la Palestina e la Mesopotamia, con a
capo Odenato dal 260. A Odenato, Gallieno gli conferì il titolo di corrector totius Orientis, di
«governatore dell’Oriente». Dopo la morte di Odenato, il regno di Palmira si dichiara
indipendente.
Tutti gli imperatori di questo periodo erano di estrazione militare, estranei alla tradizione
senatoria e molti erano di origine illirica (province danubiano-balcaniche) dove risiedevano la
maggior parte degli eserciti.
Per contrastare la pressione delle popolazioni barbariche (Goti) lungo il Danubio, Aureliano fu colui
che portò la riunificazione dei due regni sotto Roma (270-275 d.C.) e costruì le mura aureliane,
simbolo del clima turbato e di insicurezza.
Sulla frontiera orientale, cioè lungo l'Eufrate, Roma si trovò a combattere prima contro i Parti e poi
i Persiani. Per la prima volta nel III secolo alcune parti dell'impero non più difendibili come la Dacia
(unica provincia al di là del Danubio) vengono abbandonate da Roma. Introduzione sempre più
massiccia di culti orientali e progressivo declino dei culti tradizionali cittadini.

Diocleziano
Diocleziano governa dal 284 al 305 d.C., si fa strada dall'esercito e proviene dalla provincia di
Dalmazia (illirico). Le sue riforme sono spinte da una forte volontà restauratrice dello Stato a tutti i
livelli: politico-militare, amministrativo ed economico. Il luogo di residenza dell'imperatore fu
spostato, da Diocleziano, da Roma a Nicomedia, in Oriente (capitale della Bitinia) per garantire
una migliore difesa alle regioni più minacciate. Per prima cosa cercò di risolvere il problema del
comando e della successione al trono che era stato alla base delle guerre civili durante il periodo
dell’anarchia militare. Egli divise in 4 parti il potere imperiale istituendo un collegio Imperiale
composto da quattro monarchi detti tetrarchi:
- Due Augusti di livello superiore
- Due Cesari di rango inferiore
Il principio che veniva così introdotto era quello della «cooptazione» al collegio stesso: i due
Augusti una volta nominati, nominavano a loro volta i due Cesari. Ogni Augusto e ogni Cesare
avevano un territorio ben definito da governare.
- AUGUSTI: Diocleziano dalla sua residenza di Nicomedia governava le province orientali,
mentre Massimiano, da Milano, reggeva l’Italia, l’Africa e la Spagna
- CESARI: Galerio (cesare di Diocleziano), da Tessalonica, esercitava la sua autorità sulla
penisola balcanica e sull’area danubiana, mentre Costanzo Cloro da Treviri governava sulla
Gallia e la Britannia
Le riforme di Diocleziano furono diverse:
- Le province - furono ridotte di dimensioni per renderne più efficace il governo.
Nell’insieme furono istituite un centinaio di province affidate a governatori provenienti per
lo più dal ceto equestre, affiancati nelle province di frontiera da comandanti militari con
competenza di natura civile. L’Italia perse il suo status e divenne provincializzata a sua
volta (non era più sede dell’imperatore).
- Le diocesi - raggruppamento di province in dodici ampi distretti amministrativi, detti
«diocesi», retti da un «vicario», cioè un rappresentante diretto del prefetto del pretorio
che operava a stretto contatto con l’imperatore. Le diocesi furono a loro raggruppate in
quattro grandi aree, corrispondenti grosso modo a Oriente, Illirico e Grecia, Italia e Africa,
Gallia, Britannia e Spagna affidate direttamente a uno dei prefetti del pretorio.
- L’ambito finanziario/tributario - L’imposta fondamentale era quella che gravava sul
reddito agricolo, cioè la tassa calcolata sul rapporto tra terra coltivabile (lo iugum) e il
numero dei coltivatori (caput). Diocleziano tentò di imporre con l’Editto dei prezzi
(Edictum de pretiis) nel 301 d.C., un calmiere con il quale si indicava, voce per voce, il
prezzo massimo che non era consentito superare sia in termine di salari che di prezzi dei
prodotti. Questo editto non ebbe risultati sulla condizione economica dell'impero e in più si
ebbe la svalutazione della moneta.
- Persecuzioni religiose di Diocleziano - nel febbraio del 303 un primo editto dispose la
distruzione delle chiese cristiane, la consegna e il rogo dei libri sacri e il divieto delle
assemblee liturgiche. Un secondo e terzo editto decretarono di arrestare i sacerdoti, di
costringerli a sacrificare e di punire con la morte coloro che avessero rifiutato di adempiere
all’ordine. Nel 304 un quarto editto ordinò il sacrificio per tutti scatenando una
persecuzione generalizzata contro i cristiani. Fu condotta con durezza soprattutto in
Oriente.

L' Età dei Martiri è un metodo di numerazione degli anni utilizzato dalla Chiesa di Alessandria.
Prende il nome dall'imperatore romano Diocleziano che ha scatenato l'ultima grande persecuzione
dei cristiani nell'impero romano .
Domande:
1) Chi ha provincializzato l’Italia? Diocleziano
2) Sede impero Diocleziano? Nicomedia
3) Età dei martiri che imperatore c’è? Diocleziano
4)
Costantino
La fine della Tetrarchia (306 d.C.): come previsto dal sistema tetrarchico, il 1° maggio del 305 d.C.
Diocleziano e Massimiano abdicarono e al loro posto subentrarono i due Cesari, Costanzo Cloro
per l’Occidente e Galerio per l’Oriente. Alla morte di Costanzo Cloro a York, l’esercito proclamò
imperatore (Augusto) il figlio Costantino al posto di Flavio Valerio Severo (erede legittimo). Allo
stesso modo anche Massenzio figlio di Massimino, viene acclamato imperatore dalle sue truppe.
Gli scontri per la successione terminarono solo nel 312 d.C., quando Costantino sconfisse
Massenzio nella battaglia del Ponte Milvio divenendo a tutti gli effetti l'imperatore d'Occidente.
L’ascesa del cristianesimo: Costantino favorisce la crescita del Cristianesimo che, in breve tempo,
diviene la religione più importante dell'impero. L’“editto di Milano”, noto anche come editto di
tolleranza, era un accordo sottoscritto tra i due Augusti dell’impero Romano, tra Licinio (oriente) e
Costantino (occidente) che concedeva a tutti i cittadini, quindi ai cristiani, la libertà di culto di cui
essi avevano già goduto in Occidente e ottenere la restituzione delle proprietà confiscate (In realtà
tutto era già stato deciso in tal senso dall’editto di Galerio del 311.d.C. che aveva posto fine alle
persecuzioni programmando la religio licita).
Arco di Costantino (315-316 d.C.): arco trionfale voluto dal Senato per commemorare la vittoria di
Costantino contro Massenzio nella battaglia di ponte Milvio.
→ Nel 324 d.C., sconfigge Licinio, Costantino divenne imperatore unico.
→ Nel 330 d.C. ci fu la fondazione di Costantinopoli (Bisanzio): nuova Roma d’Oriente
Le riforme di Costantino furono diverse:
- Soppressione delle coorti pretorie (reparti militari che svolgevano il compito di guardia del
corpo dell'imperatore)
- Creazione di un vicarius diocesano a Roma: vicarius urbis in aggiunta al vicarius Italiae con
sede a Milano imposto da Diocleziano: la diocesi d’Italia fu l’unica ad avere due vicarii.
- I comites: i «compagni» dell’imperatore, funzionari di corte di alto rango, responsabili di
diocesi o incaricati di missioni importanti, formarono il consiglio dell’imperatore.
- I praefecti del pretorio divengono funzionari periferici senza potere militare: la prefettura
del pretorio rimarrà una carica esclusivamente civile.
- Il potere militare passa nelle mani dei magistri militum: una carica aperta a personalità di
estrazione relativamente bassa, ivi compresi i barbari.
- Creazione di un consistente esercito mobile, detto comitatus perché «accompagnava»
l’imperatore. I soldati che ne facevano parte, i comitatenses, ricevevano una paga più alta
rispetto agli altri. Così i soldati collocati direttamente sulla frontiera, il limes, i cosiddetti
limitanei, finivano per essere soldati di seconda scelta.

Domande:
1) Il cristianesimo si afferma con? Costantino

I Velentiniani (gli ultimi imperatori dell’Impero unito)

Dopo la morte di Costantino abbiamo Giuliano (gli fa dato il soprannome dispregiativo di


Apostata), alla sua morte (sopravvenuta in una battaglia contro i persiani ) l’impero fu
nuovamente diviso in due parti.
Dal 376 l’imperatore della parte orientale, Valente, dovette affrontare l’improvvisa ripresa delle
invasioni barbariche e fu sconfitto dai Goti nella battaglia di Adrianopoli (nella provincia romana
della Tracia) nel 378 d.C. L’esercito romano fu completamente distrutto, l’imperatore morì sul
campo e si aprì una nuova fase di crisi.

Teodosio (378-395 d.C.)


L’imperatore Teodosio successe a Valente e si trovò senza esercito. Fu dunque constretto a
stipulare patti di alleanza con cui si piegò a concedere terre e denaro ai visigoti. Nel 382 d.C.
Teodosio conclude un accordo con i Goti (il primo del genere mai stipulato dai Romani) con il quale
i Goti ricevevano delle terre all’interno dell’Impero come popolazione autonoma: essi erano detti
infatti foederati (in quanto vincolati da un foedus, un trattato) e mantenevano i loro capi e le loro
leggi, pur essendo tenuti a fornire dei soldati in caso di necessità. Nel 380 d.c l’imperatore
pubblicò l’editto di Tessalonica. Questo, elevava la religione cristiana al rango di religione ufficiale
dell’Impero. La morte di Teodosio nel 395 d.C. segnò un momento di svolta decisivo per la storia
dell’Impero romano: per la prima volta esso fu diviso territorialmente di fatto in due parti tra i due
figli di Teodosio; Arcadio, cui toccò l’Oriente, e Onorio, cui toccò l’Occidente. Non solo c’erano due
imperatori, ma si crearono anche due corti, due amministrazioni, due eserciti del tutto autonomi.
Negli anni seguenti, gli imperatori di Costantinopoli cercarono di deviare i barbari verso l’impero di
occidente. Nel 410 Roma venne saccheggiata e devastata. Nel 476 (fine impero romano di
occidente) Odoacre si fece proclamare re, con questo evento generalmente si fa terminare l’età
antica e iniziare il medioevo.

Fullonica: (utilizzo a fine produttivo dell’urina) era una sorta di tintoria, utilizzava l’urina per
sbiancare le vesti. Il termine Vespasiano che si usa tutt’ora per indicare i bagni pubblici, deriva
appunto dalla tassa imposta ai fullonices sui bagni pubblici (e sul prelievo di urina).
Un alternativa per lo smaltimento dell’urina (sia umana che animale) era l’utilizzo dei recipienti
che venivano apposti fuori dalle fullonicae.

Approvvigionamento idico: la Roma imperiale contava 11/12 acquedotti, la disponibilità d’acqua


era pari a 1.127.000 metri cubi giornalieri, circa il doppio di quella attuale. Un così grande volume
d’acqua serviva innanzitutto ad alimentare le 11 grandi terme pubbliche e le centinaia di fontane
disseminate in città. Solo una minima parte aveva l’acqua corrente a casa, e si trattava di membri
dell’ordine senatorio o equestre (per concessione imperiale).

Insula: tipico condominio a più piani dove viveva la popolazione romana più povera (i più ricchi
vivevano nella domus)

XIV regiones di Augusto: in seguito di un disastroso incendio Augusto divise la città in XIV regiones
nel 7 a.C. a cui venne dato ad ognuna un numero identificatorio.
A presiedere ogni regio venne posto un senatore estratto a sorte da un collegio rinnovato di anno
in anno di pretori, edili, e tribuni della plebe.
Le regiones urbane risposero a varie funzioni:
1) Distribuzione e gestione dei servizi
2) Censitaria (non più per tribù come in epoca repubblicana)
3) Catastale
4) Controllo del mercato e del commercio

I vici: erano le unità territoriali minori di cui si componevano le quattordici regiones di Roma. Gli
abitanti del vicus erano i vicani, l’insieme dei quali costituiva la vicinitas.
Ogni vicus si fondava sull’esistenza di un compitum, ovvero un crocicchio dov’era posto un altare
(ara), dedicato ai Lares Compitales, divinità (gemelle) tradizionali, al cui culto sin dall’epoca di
Augusto era stato associato quello del Genius Augusti. Ciascun vicus era amministrato da un
collegio di quattro vicomagistri (magistri vici) in carica per un anno, uomini di estrazione modesta,
per lo più liberti, eletti fra i residenti dello stesso vicus di cui erano posti a capo. Erano anche
preposti a sorvegliare e sedare incendi.
Secondo Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C. i vici di Roma erano 265.
A differenza delle regiones, i vici non seguivano alcuna numerazione, ma si contraddistinguevano
unicamente per una denominazione derivata nella maggior parte dei casi da specifici mestieri che
si praticavano al loro interno (vicus sandalarius, vitrarius, ecc.), o da gentilizi plebei (vicus Acili,
Publici, ecc.) o ancora da particolarità topografiche ed etniche (vicus portae Collinae, trium
ararum, caput Africae, Tuscus, ecc.).

Il fuoco: Durante l’epoca repubblicana non vi erano figure espressamente dedicate alla funzione di
antincendio e Augusto decise di destinare 600 schiavi pubblici come forza antincendio permanente
posta sotto l’autorità degli edili. Augusto distribuì tra le XIV regiones le forze antincendio e ne
assegnò il controllo ai neoistituiti magistri vici.
Nel 6 d.C., un ulteriore grave incendio portò Augusto ad optare per un controllo maggiormente
gerarchizzato del servizio antincendio e nominò un prefetto di rango equestre a cui delegare il
comando dei vigili. Il prefetto dei vigili (praefectus vigilum) ebbe come compito principale la
giurisdizione, il comando e il coordinamento dei reparti assegnati alla prevenzione alla lotta
antincendio: i vigiles. I vigiles furono inquadrati in sette coorti, numerate progressivamente a
partire dalla I e sino alla VII. Arruolati tra i liberti, ogni coorte doveva presidiare due delle XIV
regiones e avere la caserma in una di esse. In ognuna delle XIV regioni era invece presente un
corpo di guardia, dal quale i vigiles potevano prontamente intervenire in caso di incendio.

Il trasporto fluviale
L’alaggio: è il sistema di traino che avveniva da riva attraverso dei buoi. Le merci che provenivano
da tutto il mediterraneo arrivavano in città dal porto di Ostia, dove venivano imbarcate su
imbarcazioni piccole e trainate controcorrente lungo il Tevere.
L’emporium: il porto fluviale della città, era l’approdo della merci e delle materie prime (olio, vino,
ma soprattutto granaglie, cioè l’annona. Presso l’emporium erano presenti la maggior parte degli
horrea, grandi magazzini che servivano allo stoccaggio dei generi alimentari.

Mons testaceus: monte di cocci (oggi Testaccio). Collina artificiale di 36 metri costituita dai cocci di
decine di milioni di anfore. Si stima che in antichità fosse alta almeno 80 metri. Questa “discarica”
fu attiva tra il II e il III sec. d.C. Si trattava per lo più di contenitori per l’olio. I bolli impressi nelle
anfore ci permettono anche di sapere che la maggior parte del prodotto proveniva dalla provincia
di Betica e dalla provincia d’Africa. Le anfore venivano rotte al momento del travaso su contenitori
più piccoli, perché inutilizzabili (non erano smaltati all’interno). Queste operazioni avvenivano nel
vicino Emporium, il porto fluviale di Roma antica lungo il Tevere.

Le frumentationes: le distribuzioni di frumento a prezzo calmierato o gratuite.


Nel 123 a.C. con la prima lex frumentaria di C. Gracco venne assunta da parte dello stato romano
la responsabilità per l’approvigionamento del frumento alla città di Roma in particolare alla plebe
urbana. L’approvvigionamento frumentario per la città di Roma era detto annona. Le distribuzioni
di frumento a prezzo calmierato o gratuite sono dette frumentationes. L’ambito agricolo attorno a
Roma (e più in generale in Italia) era deputato a produzioni alimentari assai più deperibili (frutta e
verdura), mentre il frumento aveva una durata medio lunga e poteva essere stoccato, il frumento
poteva provenire dal mercato libero, ma soprattutto dalle cosiddette province frumentarie Sicilia,
Sardegna, Africa e in particolar modo l’Egitto. I beneficiari delle frumentationes erano i
componenti della plebs urbana, una folta schiera di cittadini romani con domicilio stabile nella
capitale, che, dal numero di 320.000 in epoca tardo-repubblicana, furono portati ad una cifra
compresa tra i 150.000 e i 200.000 da Augusto, il quale fissò anche delle regole stringenti perché
questa cifra non venisse più superata.

Domande senza risposta


- Roma abolisce la monarchia dopo quale guerra →terza macedonica (non ha senso questa domanda)
- Chi ha trasformato la provincia d’Egitto in impero—> CAMBISE non l’ho trovata da nessuna parte
- Regno di siria: non si capisce la domanda. Informazioni che ho trovato sul regno di Siria:
Pompeo riduce la Siria a provincia Romana. Il regno di Siria viene conquistato nell’83 da Tigrane re d’Armenia
Ordine imperatori
Augusto
Tiberio
Caligola
Claudio
Nerone
Vespasiano
Tito
Domiziano
Nerva
Traiano
Adriano
Antonino Pio
Lucio Vero – Marco Aurelio
Commodo
Settimo severo
Caracalla
Elagabala
Severo Alessandro
Massimino il Trace
Decio
Valeriano (padre di Gallieno)
Gallieno
Aurelio Claudio
Aurelio Probo
Diocleziano – Massimiano
Costanzo Cloro
Galerio
Costantino
Giuliano l’apostata
Valente
Teodosio
Arcadio (oriente) – Onorio (occidente)
Domande:

1) metti in ordine i seguenti imperatori: Domiziano, Decio, Caracalla e Marco Aurelio.


Domiziano, Marco Aurelio, Caracalla, Decio
2) metti in ordine gli imperatori: Vespasiano, Lucio Vero, Commodo e Nerva.
Vespasiano, Nerva, Lucio Vero, Commodo
3) Imperatori romani ordine: Diocleziano, Claudio, Adriano
Claudio, Adriano, Diocleziano
4) Ordine imperatori: Nerone, Nerva, Lucio Vero, Aurelio

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