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Esiodo, Teogonia, vv.

1-4

1 Μουσάων Ἑλικωνιάδων ἀρχώµεθ' ἀείδειν,


αἵ θ' Ἑλικῶνος ἔχουσιν ὄρος µέγα τε ζάθεόν τε,
καί τε περὶ κρήνην ἰοειδέα πόσσ' ἁπαλοῖσιν ὀρχεῦνται
καὶ βωµὸν ἐρισθενέος Κρονίωνος·

1 Cominciamo a cantare dalle Muse Elicònie,


che vivono sul monte Elicona, grande e sacro,
e danzano coi molli piedi intorno alla fonte
violetta, all'altare del fortissimo Cronide;

Esiodo, Teogonia, vv.22-34

αἵ νύ ποθ' Ἡσίοδον καλὴν ἐδίδαξαν ἀοιδήν,


ἄρνας ποιµαίνονθ' Ἑλικῶνος ὕπο ζαθέοιο.
τόνδε δέ µε πρώτιστα θεαὶ πρὸς µῦθον ἔειπον,
25 Μοῦσαι Ὀλυµπιάδες, κοῦραι Διὸς αἰγιόχοιο·   
"ποιµένες ἄγραυλοι, κάκ' ἐλέγχεα, γαστέρες οἶον,
ἴδµεν ψεύδεα πολλὰ λέγειν ἐτύµοισιν ὁµοῖα,
ἴδµεν δ' εὖτ' ἐθέλωµεν ἀληθέα γηρύσασθαι."   
ὣς ἔφασαν κοῦραι µεγάλου Διὸς ἀρτιέπειαι,
30 καί µοι σκῆπτρον ἔδον δάφνης ἐριθηλέος
ὄζον δρέψασαι, θηητόν· ἐνέπνευσαν δέ µοι αὐδὴν θέσπιν,
ἵνα κλείοιµι τά τ' ἐσσόµενα πρό τ' ἐόντα,
καί µ' ἐκέλονθ' ὑµνεῖν µακάρων γένος αἰὲν ἐόντων,
σφᾶς δ' αὐτὰς πρῶτόν τε καὶ ὕστατον αἰὲν ἀείδειν.

le Muse insegnarono un bel canto a me, Esiodo,


quando pascolavo le pecore sotto il divino Elicona,
loro cominciarono a dirmi queste parole,

25 le divine Olimpie, figlie di Zeus Egioco:


"Pastori campagnoli, brutta razza, solo-pancia,
noi sappiamo raccontare cose false che sembrano vere,
e se vogliamo sappiamo anche cantare la verità";
così dissero le figlie del grande Zeus, lingue sciolte,

30 mi diedero uno scettro d'alloro verdeggiante, un mirabile


ramo che colsero, e mi ispirarono una poesia divina,
perché cantassi le lodi delle cose future e delle passate;
mi spinsero a cantare la generazione dei sempre beati,
e a celebrare loro, le Muse, al principio, alla fine, sempre.

Analisi e commento

La Theogonía si apre, come già avviene nell'epica omerica, con un'invocazione


alle Moûsai. Ma quello che avrebbe potuto essere un formalismo risolvibile in
un paio versi, diviene, in Hēsíodos, un proemio complesso e articolato, lungo
ben 115 versi.
La forma è chiaramente innodica, e nell'apertura e nella chiusa richiama alcuni
degli Homḗrou hýmnoi più estesi.
Ma il rapporto del poeta con le Moûsai è soggettivo, e Hēsíodos argomenta
delicatamente sulla propria vocazione poetica con l'allegoria di un suo
personale incontro con le dee del monte Helikṓn: «Esse una volta insegnarono
a Hēsíodos un canto bello» [Haí ný poth' Hēsíodon kalḕn edídaxan aoidḗn].
All'anonimato dei poemi omerici si contrappone l'autorità del poeta, in quella
che è in assoluto la prima indicazione autoreferenziale della letteratura
ellenica.
E Hēsíodos è il primo poeta a specificare il numero delle Moûsai e ad assegnare
un nome a ciascuna di essa, in quella che è una vera e propria investitura: è
infatti il pastore-Hēsíodos che incontra le Moûsai, «mentre pasceva gli armenti
sul divino Helikṓn» [árnas poimaínonth' Helikonos hýpo zathéoio],
trasformandosi quindi nel poeta-Hēsíodos.
Nei versi successivi il poeta pone in grande evidenza la propria persona e
insiste sul fatto che proprio lui sia stato scelto dalle Moûsai: «rivolsero a me
per primo questo discorso», «mi diedero un ramo d'alloro fiorito», «mi
ispirarono il canto divino».

Hēsíodos dà una nuova definizione all'ispirazione poetica.


Se l'aoidós tradizionale considerava sé stesso un puro tramite tra le Moûsai e
gli ascoltatori, con Hēsíodos la personalità dell'autore assurge in primo piano. Il
cantore omerico cantava infatti in terza persona, annullandosi dietro le imprese
e le voci degli eroi, e sebbene avesse probabilmente proceduto egli stesso ad
accorpare e integrare canti indipendenti per produrre poemi di ampio respiro,
era considerato un tramite passivo della sua stessa materia. Di conseguenza la
persona loquens risultava più sfumata, indecifrabile.
Così, mentre l'epica tradizionale era oggettiva e impersonale, senza un autore
dichiarato, Hēsíodos rende la poesia soggettiva e personale e le conferisce un
timbro schiettamente didascalico. I temi e le funzioni del canto esiodeo
richiedono la valorizzazione delle capacità e dell'esperienza del poeta, affinché i
suoi poemi assumano una maggiore forza assertiva.
Il cantore non è più vincolato a una nuda esposizione di materiale tradizionale:
sebbene ancora legato a una tradizione di lingua e stile che è in buona parte
quella omerica, Hēsíodos rilegge i miti secondo il proprio genio, alla luce delle
proprie concezioni e della propria sensibilità. Nella Theogonía, i miti sono ri-
definiti, ricreati. E paradossalmente fissati in una forma che diventerà a sua
volta canonica.
L'incontro di Hēsíodos con le Moûsai non è solo occasione di confronto con le
forme tradizionali di poesia, ma anche necessità di un loro superamento etico.
La fama dell'aoidós omerico dipendeva unicamente dall'abilità di «trascinare»,
di «incantare» l'uditorio; l'estetica era emotiva, basata sul riconoscimento e
sull'approvazione di forme poetiche tradizionali, e ciò che l'aoidós cantava non
era cantato perché vero, ma vero perché cantato. Questo non basta a
Hēsíodos, che, al contrario, fa della verità [alḗtheia] lo statuto della sua poesia.
Quando fa dire alle Moûsai «noi sappiamo dire molte menzogne simili al
vero» [ídmen pseúdea polla légein etýmoisin homoîa] (v. 27) Hēsíodos
polemizza con la poesia epica tradizionale. Non a caso, il verso rieccheggia
quello omerico in cui Odysseús, per ingannare Pēnelópē, «fingeva, dicendo
molte menzogne simili al vero» [íske pseúdea pollà légōn etýmoisin homoîa]
(Odýsseia v. 203). La citazione contiene una vena polemica nei confronti
dell'autorità omerica: l'opinione che Hómēros fosse un mentitore era molto
diffusa nell’antichità, e l'elemento polemico s'incentrava proprio
sull'attendibilità dei fatti tramandati.
Così, dopo aver svelato la loro abilità nel tessere menzogne, le Moûsai esiodee
aggiungono: «...ma poi, quando vogliamo, sappiamo narrare anche il
vero» [ídmen d', eût' ethélōmen, alēthéa gērýsasthai] (Theogonía v. 28). Ed è
a questo punto che porgono a Hēsíodos un ramo d'alloro, «perché cantassi ciò
che sarà e ciò che è» [hína kleíoimi tá t' essómena pró t' eónta] (Theogonía v.
32). È la verità eterna e atemporale del mito, quella che Hēsíodos sta per
rivelare, una verità che stabilisce le fondamenta del mondo cosmico, umano e
divino, e legittima il suo canto.
L'investitura fa di Hēsíodos un tramite privilegiato fra la divinità e l'uomo: una
condizione in virtù della quale egli proclama il suo primato per la missione di
rivelamento cosmogonico.
Il proemio si articola in due sezioni complementari, ricche di richiami e
parallelismi interni. Se la prima parte tratta, come abbiamo visto, dell'incontro
tra Hēsíodos e le Moûsai sul monte Helikṓn e la ridefinizione del ruolo del poeta
e del significato della poesia, la seconda sezione introduce l'argomento del
poema.
Kallímachos ha ipotizzato che l'incontro tra Hēsíodos e le Moûsai fosse
avvenuto in sogno. Ma non c'è bisogno di fornire una spiegazione razionale:
con questo splendido incipit, Hēsíodos ha fornito all'intera letteratura
occidentale un canone, un modello, un'idea della vocazione del poeta e
dell'origine soprannaturale della poesia.

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