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MIMESIS, KOSMOS, MOIRA NELL'ARTE DEL RACCONTO TRA POESIA EPICA, ELOQUENZA E DISCORSO

STORICO

Obiettivo di questo studio è chiarire le analogie tra l'arte del racconto nella poetica omerica e le
strutture diegetiche del discorso storico che converte in prosa la narrazione epica, come si afferma
in Strab. 1, 2, 6, dove si dice dei primi prosatori, tra cui Ecateo, che «dissolsero il metro, ma
conservarono il resto». Le parole di Quintiliano historia proxima poetis confermano l'idea della
stretta parentela tra storia e poesia e della loro confluenza in un'area comune di riferimento. L'anello
di congiunzione tra queste due diverse espressioni dell'arte del racconto potrebbe individuarsi nei
poemi omerici ed in particolare nell'Odissea1 nei racconti degli uomini eloquenti, come Odisseo,
che riproducono i moduli compositivi della narrazione epica e si configurano come una particolare
espressione dell'arte dell'eloquenza.

I
Una peculiarità dell'Odissea è quella di concedere spazio non solo alla caratterizzazione della
performance dell'aedo attraverso l'esempio di Femio e Demodoco 2, ma anche al racconto dei
personaggi tra cui spicca Odisseo con i suoi apologhi in Od. 9, 37-12, 453, che costituiscono un
elemento cardinale nella strategia narrativa del poema in quanto recuperano gli eventi di molti anni
nella cornice temporale del racconto condensata in circa quaranta giorni. Di questi apologhi
acquistano rilevanza ai fini del confronto con l'arte dell'aedo soprattutto il racconto ad Eolo su Ilio,
Argivi ed i ritorni degli Achei in Od. 10, 14-16, che riprende il tema mitico dei nòstoi del canto di
Femio in Od. 1, 326 s., quello sull'incontro con le anime dei defunti in Od. 11 di cui Alcinoo
evidenzia la conformità all'arte di un aedo in Od. 11, 363-372 e quello di Odisseo travestito da
mendicante ad Eumeo in Od. 14, 199-259 speculare a quello di Eumeo ad Odisseo in Od. 15, 403-
484. Odisseo non è l'unico narratore eloquente dell'Odissea: questo ruolo è attribuito anche a
Nestore che si conferma in Od. 3, 254-312 «arguto oratore», così come è definito in Il. 1, 248-249, a
Menealo in Od. 4, 347-619 nel cui racconto sulle peripezie del nòstos è inserito a cornice quello di
Proteo sulla sorte di Agamennone ed Odisseo in Od. 4, 495-537; 555-560, ad Elena che narra in Od.
4, 239-295 la spedizione esplorativa di Odisseo a Troia travestito da mendicante ed ad Eumeo in
Od. 15, 403-484.
Ben diversa la situazione dell'Iliade, dove lo stesso contesto tematico incentrato sull'azione
bellica fa sì che limitato sia lo spazio concesso ai racconti degli eroi: qualche esempio di tali
narrazioni è rappresentato dal racconto di Nestore in Il. 1, 260-273 e di Fenice che narra ad Achille
la sua storia in Il. 9. 438-495. In entrambi i casi si tratta di racconti integrati in discorsi finalizzati
alla persuasione: Nestore con l'esempio di eroi di più antiche generazioni vuole convincere i
contendenti Achille e Agamennone a far cessare la contesa; Fenice vuole persuadere Achille a
tornare a combattere, richiamando il ricordo dell'antica consuetudine che li aveva uniti a Ftia.
Altrove gli eroi narrano la loro storia o quella dei loro parenti, come Diomede e Glauco in Il. 6,
122-231. Il racconto prescinde da ragioni di diletto ed ha una funzione prevalentemente
dimostrativa e persuasiva o è strumentale alla strategia narrativa nel determinare una svolta negli
eventi, come nel caso di Diomede e Glauco che venuti a conoscenza della relazione di ospitalità che
legava le loro famiglie si astengono dal combattere. Ben diverso il contesto dei racconti dei
personaggi dell'Odissea finalizzati prevalentemente a soddisfare la curiosità e a suscitare il diletto
degli ascoltatori, come il canto dell'aedo, e non strumentali a fini di persuasione. Solo
eccezionalmente si riscontano finalità estranee al semplice diletto. Il racconto menzognero di
Odisseo in Od. 14, 199-259 fa parte di una strategia persuasiva mirata a saggiare la fedeltà e le
1
Degli apologhi di Odisseo (Od. 9, 37-12, 453) si prendono in considerazione soprattutto il racconto ad Eolo su Ilio,
Argivi e ritorni degli Achei in Od. 10, 14-16, quello sull'incontro con le anime dei defunti in Od. 11 di cui Alcinoo
evidenzia la conformità all'arte di un aedo (Od. 11, 363-372), quello di Odisseo travestito da mendicante ad Eumeo in
Od. 14, 199-259 parallelo a quello di Eumeo ad Odisseo in Od. 15, 403-484.
2
Per Femio vd. Od. 1, 325-352; per Demodoco Od. 8, 73-91; 488-496.

1
intenzioni di Eumeo e così quello di Elena in Od. 4, 239-295 è finalizzato ad accreditare presso gli
ascoltatori l'idea della sua fedeltà agli Achei. Per quanto riguarda gli aedi poi, la loro presenza è
eccezionalmente attestata in Il. 24, 720 s., dove gli aedi intonano il compianto funebre di Ettore.
Sono, come è noto, gli stessi eroi ad eseguire canti paragonabili a quelli degli aedi, come Achille
che in Il. 9, 186-191 canta le glorie degli eroi per il proprio diletto e quello di Patroclo che lo ascolta
in silenzio.
La sostanziale continuità tra epica lirica e rapsodica 3 rende possibile estendere anche al rapsodo
le caratteristiche dell'arte del racconto riscontrabili nella performance aedica, anche se permangono
differenze nella destinazione, nell'esecuzione e probabilmente nella scansione del racconto. La
performance aedica è estemporanea4, come ben evidenzia l'esempio di Demodoco e Femio
nell'Odissea, quella rapsodica può limitare l'improvvisazione ad alcune sezioni ed in altre può
consistere nella riproduzione mnemonica di versi precedentemente composti con l'ausilio della
scrittura5. La diversa destinazione al banchetto della corte micenea ed agli agoni delle feste
regionali e sovraregionali incide sulla scansione narrativa più frammentata nella epica lirica, più
ampia ed articolata in quella rapsodica, che sviluppa con continuità un tema mitico contaminandolo
con altri miti secondari di diversa origine. L'aedo canta per lasse, segmenti narrativi staccati 6,
variando la traccia narrativa (oi[mh 7) a richiesta o di sua iniziativa8. Una situazione esemplare delle
dinamiche della performance aedica è rappresentata in Od. 8, 74-91, dove Demodoco inizia a
cantare spinto dalla divinità e poi si interrompe più volte per poi riprendere sollecitato dai nobili
Feaci che traggono diletto dal suo canto. Possiamo immaginare che le riprese del canto
continuassero il tema narrativo precedente o scandissero il passaggio ad una nuova oi[mh, ad un
altro tema mitico. Il rapsodo ‘cuce’ per così dire tracce narrative diverse riconducibili a saghe
regionali e sovraregionali in una sequenza di più ampio respiro 9. L'Iliade e l'Odissea rappresentano
un esempio di questa nuova aggregazione di temi mitici regionali e sovraregionali in una
prospettiva panellenica in cui saghe eroiche di origine micenea si fondono con motivi della

3
La sostanziale continuità tra epica aedica e rapsodica fa escludere una distinzione tra composizione creativa per l'aedo
e meccanico-ripetitiva per il rapsodo: vd. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, pp. 8 s. Simili anche i
generi dell'epica rapsodica e citarodica per cui vd. C.O. Pavese, Tradizioni e generi poetici della Grecia arcaica, Roma
1972, pp. 215 ss., 230 ss.
4
Vd. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari 1984, p. 19. La natura estemporanea della
composizione trova riscontro nella performance poetica di Hermes nell’Inno omerico ad Hermes (vv. 55-57), dove il
canto del dio, che narra l'unione di Zeus e Maia, è paragonato per l'improvvisazione a quello conviviale dei giovani che
si dilettano ad improvvisare versi pungenti durante i banchetti.
5
Si segue in questo caso l'ipotesi della mistione di oralità e scrittura sostenuta da Dihle, Rossi ed anche da Di Benedetto
(Il laboratorio di Omero, Torino 1998), che limita l'incidenza della formula esterna tradizionale legata
all'improvvisazione o anche al riuso uso dello stile formulare a vantaggio della formula interna che identifica il codice
stilistico del poeta e richiama nessi allusivi interni.
6
Esemplare al riguardo la discontinuità tematica della performance di Demodoco nell'ottavo canto dell'Odissea, che
passa dalla lite tra Odisseo ed Achille (Od. 8, 75 ss.) agli amori di Ares e di Afrodite (Od. 8, 266 ss.) ed alle sorti
dolorose degli Achei con particolare riferimento allo stratagemma del cavallo di Troia ( Od. 8, 490 ss.). Sulle modalità
del racconto aedico vd. H. Fränkel, Poesia e filosofia della Grecia arcaica, tr. it. Bologna 1997, pp. 41 ss.; B. Gentili,
Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari 1984, p. 19; M. Durante, Sulla preistoria della tradizione poetica
greca, I, Roma 1971, pp. 176 ss.; V. Di Benedetto, Odissea, Milano 2010, p. 191 comm. a Od. 1, 337 ss.
7
Vd. Od. 8, 74; 481 (canto di Demodoco). Sul valore di oi[mh come traccia, via del canto vd. M. Durante, Sulla
preistoria della tradizione poetica greca, I, Roma 1971, pp. 176 s.
8
Il novoı spinge Femio a cantare il tema del nòstos degli eroi achei in Od. 1, 347, ma Penelope gli chiede di variare il
tema del canto; così anche Odisseo chiede a Demodoco in Od. 8, 492-495 di cantare la costruzione del cavallo e
l'inganno di Odisseoe in Od.8, 90-91 sono i nobili Feaci a sollecitare la continuazione del canto di Demodoco.
9
Per l'aggregazione di più mevrh, di segmenti narrativi diversi nella struttura organica ed unitaria del poema iliadico
ed odisiaco vd. Arist. po. 1462b, 5-10. Questo nuovo modo di raccontare con espansione compositiva, aggregazione di
segmenti mitici ed episodi diversi e potenziamento della mìmesis del discorso diretto nei momenti di maggior enfasi
dell'azione eroica è da alcuni studiosi messo in rapporto con l'invenzione di un rapsodo di area ionica identificabile con
il leggendario Omero: vd. G. Nagy, Homeric Questions, «TAPhA» 122, 1992, pp. 17-60, in part. 39 ss.; M. Vetta,
Prima di Omero. I luoghi, i cantori, la tradizione, in M. Vetta (a c.), La civiltà dei Greci, Roma 2001, pp. 19-58, in
part. pp. 45 s.

2
tradizione mitica anellenica10. L'estensione delle rapsodie è dunque potenzialmente più ampia del
canto dell'aedo e corrisponde ad unità narrative simili per estensione ai canti dei poemi omerici, la
cui ripartizione in canti tende in linea di massima ad isolare gli episodi già consolidati nella
tradizione rapsodica11. La sintassi narrativa sviluppa il modulo paratattico del canto aedico
caratterizzato da moi``ra, kovsmoı12; anzi si può ipotizzare che lo sviluppo più ampio ed articolato
della scansione narrativa abbia portato ad un perfezionamento di queste qualità individuate nel
racconto di Demodoco da Odisseo in Od. 8, 489-496. La maggiore ampiezza del racconto richiede
maggiore abilità nel gestire la distribuzione della materia narrativa. Il modo di raccontare del
rapsodo necessita quindi di una regia più vigile e di un progetto narrativo di più ampio respiro
rispetto alla performance aedica, che propone racconti più brevi desunti da tracce mitiche diverse. Il
modo di raccontare si fa più disteso e fluido, potenzia l'abilità di alternare in funzione della mìmesis
registri diversi tra dialogo e diegesi. La selezione della materia mitica nell'Iliade e nell'Odissea con
una concentrazione del tempo del racconto rappresenta l'esito del perfezionamento di quest'arte del
narrare di ascendenza epico-lirica. Alla sequenza paratattica, che pure continua a scandire lo
sviluppo della narrazione, al narrare tutto ed in ordine senza trascurare nessuno dei segmenti utili ad
inquadrare le scene13, si affianca nell'organizzazione complessiva del poema la selezione della
materia narrativa14 ed una concentrazione del tempo del racconto che si distanzia dalla paratassi dei
poemi del ciclo epico, che narrano tutti gli avvenimenti riproducendone la sequenza cronologica,
come già notava Aristotele in po. 1451a, 16-29. L'aggregazione di più parti ovvero di segmenti
narrativi secondari riconducibili a diverse tradizioni mitiche non turba l'unità dei poemi, come ben
sottolinea Aristotele in po. 1462b, 5-10.
Il modo di raccontare kata; moi``ran si perpetua nella citarodia post-omerica che continua la
tradizione della più antica epica lirica 15 contaminandola con quella dell'epica omerica. Un esempio
di questa nuova tecnica narrativa si trova nei carmi stesicorei, che uniscono il modulo paratattico
non selettivo di ascendenza aedica e rapsodica 16 con quello della narrazione liricizzata, che, allonta-

10
Sull'apporto di temi mitici anellenici di origine orientale nell'epica greca omerica ed arcaica vd. G.K. Gresseth, The
Gilgamesh Epic and Homer, «CJ» 70, 1975, pp. 1-18; M. Vetta, La saga di Gilgamesh e l'epica greca fino all'arcaismo,
«QUCC», 47, 1976, pp. 7-20; M. West, The East Face of Helicon. West Asiatic Elements in Greek Poetry and Myth,
Oxford 1997; W. Burkert, Oriental and Greek Mythology: The Meeting pf Parallels, in I. Bremmer (a c.),
Interpretations of Greek Mythology, Beckenham 1987; Id., Homerstudien und Orient in J. Latacz (a c.), Zweihundert
Jahre Homer-Forschung, (Colloquium Rauricum 2), Stuttgart 1991, pp. 155-181; The Orientalizing Revolution. Near
Eastern Influence on Greek Culture in the early Archaic Age, Cambridge Mass. 1992; Da Omero ai Magi, Venezia
1999, pp. 35 ss.; V. Di Benedetto, Il laboratorio di Omero, Einaudi 1994, pp. 312 ss.
11
B. Marzullo, Il problema omerico, Firenze 1952, pp. 2 ss., evidenzia la corrispondenza tra canti ed episodi in 18 canti
dell'Iliade. Nell'Odissea i canti sviluppano più episodi lasciando difficilmente intravedere la ripartizione in singole unità
rapsodiche: vd. U. von Wilamowitz, Die Ilias und Homer, Berlin 1916, p. 515 n. 2; B. Marzullo, Il problema omerico,
p. 3. Talvolta però è possibile dedurre dal rilievo di alcuni incipit l'autonomia delle unità narrative sviluppate in alcuni
canti: è il caso di Od. 6, 1 ss., dove il sonno di Odisseo riprende la conclusione del canto precente in Od. 5, 491-493
secondo uno schema attestato anche in Il. 1-2; 8-9; 9-10, dove l'incipit riprende il nesso notturno dell'explicit del canto
precedente, scandendo l'esordio di una nuova unità narrativa corrispondente all'inizio di un canto. Sulla divisione in
canti dei poemi omerici non attestata prima dell'età alessandrina vd. G. Broccia, La forma poetica dell’Iliade e la genesi
dell’epos omerico, Messina 1967, pp. 19 ss., che individua nell'esordio e conclusione dei canti iliadici tracce di pause
corrispondenti ai confini delle unità narrative che si susseguivano nelle recitazioni rapsodiche.
12
Per queste caratteristiche vd. Od. 8, 489; 496.
13
Su questa tecnica narrativa che porta tutto in primo piano, senza lasciare nulla nell'ombra, vd. l'analisi di E. Auerbach,
Mimesis, I-II, tr.it. Torino, 1956, I, pp. 3-29, che evidenzia il ritmo fluido e lento del racconto privo di tensione
drammatica che si addentra nella caratterizzazione di ogni particolare utile ad inquadrare le scene.
14
Per la selezione della materia narrativa vd. Arist. po. 1451a, 2329 (Odissea); 1459a, 30-1459b, 6 (Iliade).
15
Per la ricostruizione della performance dell'epica lirica e del suo contesto storico-culturale con implicazioni politiche
e religiose vd. M. Vetta, Prima di Omero. I luoghi, I cantori, la tradizione, pp. 19-58. Già gli antichi delineavano un
rapporto di continuità tra la citarodia aedica preomerica e quella stesicorea: vd. Eraclide Pontico fr. 157 Wehrli in Ps.
Plutarco de musica 1132b con la connessione tra Tamiri e Stesicoro e la definizione di Stesicoro come Omero lirico in
Quintiliano.
16
Sulla scansione narrativa dei carmi stesicorei vd. B. Gentili, Poesia e pubblico nelle Grecia antica, Roma-Bari 19892,
pp.162 s.

3
nandosi dalla sintassi rigorosa ed oggettiva della mimesis omerica, propone una selezione della
materia narrativa con amplificazione di particolari ed episodi secondari 17 e ridondanza espressiva18.
L'epillio alessandrino e prima ancora l'epica antimachea 19 si porranno nel solco di questa
liricizzazione del racconto epico propria della più antica citarodia.
Ma vediamo di esaminare i luoghi più significativi in cui si delinea l'arte del racconto nelle
forme dell'ajeivdein e dell' ajgoreuvein secondo principi che si corrispondono: le peculiarità del
racconto dell'aedo sono infatti estendibili a quello dell'uomo eloquente.
Per quanto riguarda l'arte dell'aedo interesse prioritario ha la performance di Femio e
Demodoco20, che presenta sostanziali analogie, pur con qualche differenza degna di rilievo. I temi
del canto di Demodoco nell'ottavo canto dell'Odissea riguardano, come quelli del canto di Femio in
Od. 1, 338, azioni insigni divine ed umane, in particolare la lite tra Odisseo ed Achille in Od. 8, 75
ss., gli amori di Ares e di Afrodite in Od. 8, 266 ss., le sorti dolorose degli Achei con particolare
riferimento allo stratagemma del cavallo di Troia in Od. 8, 490 ss. I temi luttuosi si alternano a
quelli più distensivi della storia divina di Ares e Afrodite, che non manca di risvolti comico-
burleschi, a testimoniare la sostanziale discontinuità tematica della performance aedica che si
presenta interrotta da pause in cui il pubblico esegue libagioni agli dei. La Musa svolge un ruolo
decisivo. L'aedo canta ispirato dalla Musa che spinge l'aedo a cantare e suggerisce l'òime, la traccia
narrativa famosa che riguarda azioni insigni degli eroi, ma anche sollecitato dal pubblico che
interviene nelle pause a chiedere di continuare il canto per ricavare nuovo diletto, come si afferma
in Od. 8, 90 s. Il pubblico svolge un ruolo attivo anche nella richiesta di un tema specifico come in
Od. 8, 492, dove Odisseo chiede a Demodoco di passare ad un altro tema cantando la costruzione
del cavallo di legno portato sulla rocca di Troia. Si conferma in Od. 8, 480-481; 488; 498 il ruolo
prioritario della Musa che insegna e dona il canto al poeta. Le due concezioni sembrano convivere
senza fratture, anche se quella del canto come insegnamento, che troverà seguito in Hes. Th. 22,
introduce una sostanziale novità nel quadro dell'ispirazione divina in quanto implica il
coinvolgimento dell'aedo in un processo di apprendimento e quindi l'evoluzione verso una maggiore
consapevolezza del ruolo dell'aedo21. L'idea del canto come insegnamento sarà confermata da Od.
22, 344 ss., dove Femio si presenta ad Odisseo come aujtodivdaktoı, dichiarando di non aver
appreso da altri la sua arte se non direttamente dall'insegnamento delle Muse. Il riconoscimento da
parte di Odisseo nel canto di Demodoco prima dell'insegnamento delle Muse e poi di un dono
divino è subordinato alla capacità di Demodoco di riprodurre esattamente «in ordine la sorte degli
Achei», «quante cose fecero e subirono e i dolori che soffrirono», come se fosse stato presente o
avesse appreso la storia da altri testimoni oculari22. Le qualità del canto che richiamano la lode
corrispondono quindi alla riproduzione degli eventi nella loro sequenza originaria come per visione
diretta. L'autopsìa è ovviamente frutto dell'ispirazione divina: la Musa che tutto conosce e vede
garantisce la corrispondenza alla realtà della mìmesis del poeta; quindi l'abilità del poeta è
ricondotta prima all'insegnamento e poi al dono delle Muse. Odisseo, dopo aver lodato Demodoco
17
Per l’emergere di episodi e personaggi secondari si consideri il rilievo conferito a Giocasta e Tiresia rispetto ad
Eteocle e Polinice nei vv. 201-231, 252-290 del papiro di Lille: cfr. P. Lille 76 Aii + 73i, 73ii + 76 Ci, 76 Cii + B
nell’edizione di P.J. Parsons, The Lille Stesichorus’,«ZPE» 26, 1977, pp. 7-36. Su questa caratteristica della tecnica
narrativa stesicorea vd. P. Lerza, Stesicoro, Genova 1982, pp. 48 s.
18
Cfr. Quint. I.O. 10, 1, 62 “(Stesichorus) ac si tenuisset modum, videtur aemulari proximus Homerum potuisse, sed
redundat atque effunditur, quod ut est reprehendendum, ita copiae vitium est”. Sulla ridondanza e prolissità stesicorea
vd. C.M. Bowra, La lirica greca da Alcmane a Simonide, tr. it. Firenze 1973, p. 183; P.J. Parsons, The Lille
Stesichorus’, p.7.
19
Per l'eredità dello stile stesicoreo nell'epica antimachea vd. il mio studio Antimaco di Colofone. La poesia epica,
Roma 1993, pp. 55 ss.
20
Per Femio vd. Od. 1, 325-352; per Demodoco Od. 8, 73-91; 488-496.
21
Pagliaro, Saggi di critica semantica, pp. 18 ss. identifica nelle due concezioni il riflesso di due diverse tradizioni, una
più antica riferibile alla lirica in lode di dei e uomini legata all'idea del canto come dono ed una più recente del canto
come insegnamento legata all'epica. Accame, Ricerche di storia greca, pp. 28-32, evidenzia la novità dell'idea
dell'insegnamento del canto.
22
Cfr. Od. 8, 489-491 livhn ga;r kata; kovsmon jAcaiw``n oi\ton ajeivdeiı, / o{ss∆ e[rxan t∆e[paqovn te kai; o{ss∆
ejmovghsan jAcaioiv, / w{ı tev pou h[ aujto;ı parew;n h] a[llou ajkouvsaı.

4
per il racconto della sorte degli Achei, vuole metterlo ulteriormente alla prova proponendogli un
tema che conosceva bene per esperienza diretta, quello della storia del cavallo di legno e
dell'inganno di Odisseo. La possibilità di verificare di persona la corrispondenza del canto alla
realtà farà meritare a Demodoco la lode suprema di aver ricevuto in dono il canto dalle Muse 23. Un
dato altrettanto significativo è la delimitazione della materia del canto alle azioni, alla sorte ed alle
sofferenze degli eroi, con una precisazione dei confini tematici del canto dell'aedo altrove
identificati più genericamente nelle imprese di dei ed eroi, come in Od. 1, 33824. All'espressione
omerica sembra richiamarsi Aristotele quando in po. 1451b, 11 delimita l'ambito tematico della
storia al particolare di «cosa fece e patì Alcibiade» 25, dando ad e[paqen il significato di «patire» sia
nel senso di subire eventi per effetto della sorte che di «soffrire» 26. La brevità dell'espressione
aristotelica modulata su quella di memoria omerica fa sì che in e[paqen si abbia una sintesi di
e[paqovn te kai; o{ss∆ ejmovghsan di Od. 8, 490. Al di là delle differenze di contenuto individuate
da Aristotele tra poesia e storia, che si occupano l'una della verità in senso universale, l'altra di
quella particolare e contingente degli eventi, spicca pur sempre la singolare coincidenza tematica
che neppure Aristotele poteva ignorare e che ridimensiona la radicalità delle differenze individuate
dal filosofo tra storia e poesia. Un altro aspetto degno di rilievo è anche l'insistenza sulla natura per
così dire dolorosa degli eventi a cui si rivolge l'attenzione dell' epica, così come della storia. Da
alcuni luoghi dell'Odissea si può dedurre che ci sia un certo compiacimento da parte del pubblico
nell'ascoltare narrazioni di eventi luttuosi, che suscitano diletto attraverso la commozione. E' il caso
in Od. 11, 368-372 di Alcinoo che apprezza il racconto di Odisseo sui patimenti suoi e degli Argivi
e chiede ad Odisseo di continuare il racconto sugli incontri con le anime degli eroi, che «conclusero
a Troia il loro destino», ma anche di Eumeo che in Od. 15, 399-401 parlando con Odisseo travestito
da mendicante asserisce che dal ricordo dei rispettivi patimenti scaturisce il diletto. Il piacere nasce
dalla sumpàtheia subordinata ai meccanismi psicologici posti in essere dalla mìmesis: si prova
piacere ascoltando racconti di vicende luttuose, che se osservate o vissute nella realtà farebbero solo
soffrire, come afferma Aristotele in po. 1448b, 10-14 in relazione alla mìmesis della pittura. Le
emozioni di pietà e paura suscitate dalla narrazione poetica di vicende dolorose sono identiche a
quelle provocate dalla mìmesis tragica la cui natura drammatica intensifica l'effetto patetico ed il
piacere catartico che ne deriva 27. Questo effetto edonistico suscitato da racconti luttuosi e ricchi di
pàthos si estende anche alla storia e non solo a quella drammatica, che trova la sua enunciazione
teorica proprio nella teoria aristotelica che estende alla storia l'impostazione drammatico-patetica
del racconto epico, ma anche alla storiografia pragmatico-politica alla maniera tucididea: anche
l'attenzione dello storico, così come quella del poeta, si concentra sulla drammaticità degli eventi e
sulle sofferenze umane; per cogliere questo aspetto del racconto storico che si richiama recta via a
quello epico basterebbe leggere il proemio delle Storie tucididee28, dove Tucidide pone i pathèmata
al centro della sua attenzione di storico.

23
Sull'accrescimento della lode del canto prima come insegnamento e poi come dono vd. Accame, Ricerche di storia
greca, p. 32.
24
Cfr. Il. 9, 186-191, dove Achille canta le glorie degli eroi; Hes. Th. 100 s., dove il poeta celebra le imprese degli
uomini del passato ovvero degli eroi e degli dei.
25
Arist. po. 1451b, 11 ti; jAlkibiavdhı e[praxen h] ti e[paqen.
26
Un riflesso della classificazione aristotelica del contenuto patetico del racconto storico si coglie anche nella
riflessione filosofica post-aristotelica che affiora nella prefazione del III libro delle Naturale quaestiones di Seneca,
dove la storia è assimilata al racconto delle sofferenze patite ed inflitte dai popoli ad altri popoli con la variante di una
visione corale e collettiva delle sofferenze che costituiscono la trama della storia.
27
Sul piacere della mìmesis tragica vd. C. Gallavotti (a c.), Aristotele. Dell'arte poetica, Roma 1974, pp. 227-240, che
evidenzia la stretta connessione eziologica tra mìmesis, catarsi e piacere
28
Thuc. 1, 23, 1-2. Sull'importanza di queste affermazioni tucididee vd. L. Canfora, La storiografia greca, Milano
1999, pp. 44-60, in part. pp. 47 ss., che ricostruisce la questione dell'origine della storiografia drammatica individuando
già in Tucidide, ben prima del IV sec. e dell'influsso del Peripato e della scuola isocratea, un'anticipazione di questo
orientamento del racconto storiografico.

5
Le parole di Odisseo permettono di individuare caratteristiche peculiari dell'arte dell'aedo nella
mìmesis29 ovvero nella rappresentazione veritiera delle vicende umane secondo l'ordine del loro
divenire. kata; moi``ran katalevxhı definisce in Od. 8, 496 al pari di kata; kovsmon in Od. 8, 489 la
scansione paratattica del racconto che riproduce l'evolversi degli eventi nel loro ordine cronologico.
Le stesse caratteristiche del katalevgein saranno riconosciute da Alcinoo nel racconto di Odisseo in
Od. 11, 368 e da Odisseo stesso in Od. 10, 1630 nel suo racconto ad Eolo su Ilio, gli Argivi ed il
nòstos degli Achei, temi condivisi dal canto di Femio e di Demodoco. kata; kovsmon in Od. 8, 489
non corrisponde in toto a kata; moi``ran31: se moi``ra indica l'ordine, la scansione ordinata del
racconto, kovsmoı ha implicazioni semantiche più ampie che coinvolgono l'aspetto propriamente
tematico dell'ordine del racconto, quello estetico dell'ordinata composizione delle parole ed infine
quello etico del parlare «secondo decoro, convenienza», «in modo appropriato» fondato sul
significato di kovsmoı come ordine etico di giustizia32. Il valore estetico si può inferire dall'uso
dell'espressione kovsmoı ejpevwn nella tradizione poetica posto-omerica e nella riflessione critica
sull'arte nei poemi omerici33, quello etico dal riscontro di ouj kata; kovsmon in Od. 8, 179 e 14,
363, dove definisce il parlare in modo «non appropriato, decoroso» ovvero secondo principi di
decoro e di giustizia. In questa accezione di conformità a decoro è attestato come variante di kata;
kovsmon anche kata; moi``ran in Od. 4, 266 nella replica di Menelao al racconto di Elena. In Od. 8,
179 Odisseo rimprovera ad Eurialo di non aver parlato «in modo appropriato» ovvero secondo
giustizia, accusandolo di non essere esperto delle gare; in Od. 14, 363 la stessa censura viene rivolta
da Eumeo ad Odisseo che travestito da mendicante ha narrato di un imminente ritorno del suo
padrone. La connessione tra ordine etico di giustizia, conformità al decoro, e verità si evince
dall'accusa di menzogna formulata da Eumeo poco dopo in Od. 14, 364 s.34. Il contenuto veritiero
del racconto nelle sue diverse formulazioni poetiche e retoriche si pone quindi in rapporto con un
ordine etico di giustizia: parlare in modo appropriato, kata; kovsmon, significa dunque parlare
secondo giustizia e verità. Troviamo altresì attestazione in Od. 8, 492 ajll∆a[ge dh; metavbhqi
dell'uso da parte del pubblico di sollecitare un cambiamento della traccia narrativa di cui si ha
riscontro anche in Od. 1, 337-341, dove Penelope ammonisce Femio a desistere dal racconto
luttuoso dei nòstoi degli Achei, orientandosi a cantare temi pertinenti alle imprese di dei e uomini la
cui fama è diffusa dagli aedi. Sembra di poter cogliere qui una distinzione tra temi di chiara fama
pertinenti alle imprese degli dei e degli uomini 35 e temi innovativi, come quello del ritorno degli
Achei, che richiamano la curiosità del pubblico. Questi nuovi temi mitici riferibili al nòstos degli
29
Sulla mìmesis come fondamento dell'arte poetica vd. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari
1984, pp. 67-82; nella cultura del V sec. T.B.L. Webster, Greek Theories of Art and Literature down to 400 B.C., «CQ»
33, 1939, pp. 166-179; G.F. Else, Imitation in the Fifth Century, «CPh» 53, 1958, pp. 73-90.
30
Od. 10, 16 kai, me,n ejgw; tw/`` pavnta kata; moi``ran katevlexa.
31
Diversamente Di Benedetto, Odissea, p. 626, comm. a Od. 11, 368-369, pensa ad un valore generico di kovsmoı il cui
significato corrisponde a quello di moi``ra come «ordine», «successione ordinata».
32
Il principio del kovsmoı come ordine di giustizia è radicato nella tradizione sapienziale ellenica ed orientale in cui si
delinea una coincidenza tra il principio cosmogonico dell'ordine imposto dalla divinità e quello etico. Nella Teogonia
esiodea il principio dell'ordine etico e cosmico rappresentato da Zeus attraverso il processo di assimilazione di Metis
corrisponde a quello della cosmogonia egizia e mesopotamica in cui svolgono un ruolo centrale Maat, che marcia a
fianco del Sole, e Misharu. Per la corrispondenza tra microcosmo umano e macrocosmo naturale e divino vd. J.P.
Vernant 1978, Mito e pensiero presso i Greci: studi di psicologia storica, tr. it. Torino 19782, che istituiscee nel
pensiero mitopoietico una connessione tra il paradigma delle relazioni umane e la visione delle dinamiche del
macrocosmo.
33
kovsmoı ejpevwn definisce l'ordinata composizione delle parole in Sol. fr. 2, 2 Gent.-Pr., così come kovsmoı lovgwn
in Pind. fr. 194, 2 Sn.-Maehl. Democr. 68 B 21 D.-K. attribuisce ad Omero ejpevwn kovsmon pantoivwn. Sul valore
estetico dell'espressione cfr. B. Gentili, Poesia e pubblico della Grecia antica, pp. 67 s.
34
Od. 14, 364 s. tiv se crh; toi`on ejovnta / mayivdiwı yeuvdesqai… .
35
Di questa delimitazione della materia del canto si coglie un riflesso in Hes. Th. 100 s.; 105, dove il canto del poeta si
differenzia per l'argomento da quello delle Muse limitato alla sola stirpe immortale degli dei. Una singolare eccezione
rispetto a questa distinzione tra il canto dei mortali e degli dei si ravvisa in Od. 124, 197-198, dove Agamennone per
amplificare la lode della saggia Penelope afferma che la sua virtù sarà celebrata nei canti dagli immortali. Teocrito in id.
16, 1-3 riproporrà la distinzione già attestata nella poetica omerica ed esiodea tra canto degli dei e canto dei poeti
limitando quest'ultimo ai mortali con una sensibile variazione rispetto alla poetica epico-lirica tradizionale.

6
Achei trovano riscontro nel racconto di Menelao sulle peripezie del suo viaggio di ritorno e sulla
sorte di Odisseo ed Agamennone e nel racconto di Odisseo ad Eolo riassunto in Od. 10, 14-16. La
replica di Telemaco in Od. 1, 346-353 rivendica la libertà dell'aedo di dilettare il pubblico seguendo
l'impulso della sua mente, senza subire condizionamenti di sorta, e dimostra apprezzamento per la
novità del canto definendola come una delle qualità dell'arte dell'aedo più celebrata dal pubblico.
Tale riconoscimento si perpetua nella tradizione lirica post-omerica in Alcm. fr. 14 P., dove la
novità del canto, che il poeta invita la Musa ad intonare, ha implicazioni di carattere formale,
metrico-ritmico, linguistico e musicale36 che potenziano l'effetto di piacere. Su tale diletto 37 prodotto
dal canto si insiste anche in Od. 1, 347; sembra anzi che esso sia il fine principale perseguito
dall'aedo non solo attraverso la novità del racconto, ma anche con la fascinazione musicale ed
evocativa delle parole che ammaliano ed ipnotizzano l'uditorio, come si evidenzia in Od. 1, 337 s.
qelkthvria oi\daı / e[rg∆ ajndrw``n te qew``n; 12, 40; 44, dove delle Sirene si dice che ligurh/`
qevlgousin ajoidh/``. Lo stesso effetto di rapimento estatico produce il racconto di Odisseo in Od.
11, 333 s.; 17, 521, dove il pubblico si mostra immobile, in silenzio, rapito dall'incantesimo nella
sala ombrosa. Un altro aspetto degno di rilievo dell'arte di Femio consiste nel «conoscere» 38 la
materia del canto riferibile alle imprese gloriose di dei e uomini e nel lasciarsi condurre dall'impulso
della sua mente39. Questo ruolo più attivo del poeta nell'esercizio della sua arte trova conferma in
Od. 22, 344-346, dove Femio afferma di aver appreso da solo e non da altri la sua arte e che un dio
gli ha messo nella mente «tracce di canti di ogni genere»: anche se persiste l'idea dell'ispirazione
divina, sembra quasi di poter individuare una sorta di interiorizzazione di tale sinergia tra livello
umano e divino, che valorizza maggiormente il ruolo del poeta.
Le caratteristiche attribuite all'arte poetica del racconto nei luoghi dell'Odissea riferibili a
Demodoco e Femio corrispondono alla capacità di riprodurre esattamente in modo veritiero le
vicende narrate come per autopsìa, all'ordine della sequenza narrativa che si traduce anche a livello
linguistico e stilistico nel kòsmos, nell'armonia ordinata delle parole e nel decoro del loro
contenuto, che non può tradire principi di giustizia e verità, alla novità del tema mitico, alla finalità
edonistica di intrattenimento e diletto che sconfina nella fascinazione magica che incanta il
pubblico. Queste stesse caratteristiche vengono attribuite al racconto nell'arte dell'eloquenza, così
come si delinea in Od. 10, 15-16; 11, 363-371. La sequenza ordinata del katalevgein connessa alla
veridicità della mìmesis caratterizza anche il racconto di Odisseo in Od. 10, 16, dove Odisseo
afferma di aver narrato «tutto» e «in ordine», ed in Od. 11, 368 (katevlexaı). Il diletto ed il fascino
ipnotico del racconto di Odisseo, paragonabile a quello del canto poetico, trova riscontro in Od. 11,
333-334 e 17, 521. Il quadro delle peculiarità dell'arte del racconto si arricchisce nell'eloquenza di
altri tratti trasferibili di riflesso anche al racconto dell'aedo, come eleganza di eloquio, accortezza di
mente e perizia: morfh; ejpevwn indica in Od. 11, 367 l'eleganza delle parole e corrisponde al
kovsmoı attribuito al canto di Demodoco in Od. 8, 489, anzi si potrebbe dire che morfh; ejpevwn è
l'equivalente di kovsmoı ejpevwn o lovgwn della tradizione lirica post-omerica 40, probabilmente
ispirato alla iunctura omerica. ejpistamevnwı in Od. 11, 368 richiama la conoscenza posta a
fondamento dell'arte di Femio in Od. 1, 337 e 22, 347. Comuni sono le dinamiche che sollecitano il
racconto che nasce su sollecitazione del pubblico, che con le sue richieste può condizionare la
scelta del tema41, ed anche l'articolazione di nessi tipici di richiesta, introduzione, conferma e lode
del racconto. Di solito la richiesta è accompagnata dalla raccomandazione di dire il vero 42 o di

36
Così interpreta B. Gentili, Poesia e pubblico della Grecia antica, p. 73.
37
Che il fine primario delle arti poietiche sia il piacere lo afferma Aristotele in metaph. 981b, 13-25. Sulla finalità
edonistica del canto che si perpetua nella tradizione poetica post-omerica lirica e tragica vd. J. Latacz, Zum Wortfeld
‘Freude’ in der Sprache Homers, Heidelberg 1966; E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura, da Omero a
Platone, tr. it. Roma-Bari 19832, pp. 126 ss.
38
Vd. Od. 1, 337.
39
Vd. Od. 1, 347.
40
Cfr. Sol. fr. 2, 2 Gent.-Pr.,
41
Cfr. Od. 11, 372.
42
Cfr. Od. 3, 247 (Telemaco a Nestore); 4, 331 (Telemaco a Menelao); 4, 486 (Menelao a Proteo).

7
narrare in ordine in modo completo43; una variazione si osserva in Od. 8, 496-498, dove la
sollecitazione rivolta a Demodoco da Odisseo a narrare in ordine è implicita nella proposizione
ipotetica («se dirai in ordine ...») in cui si pone la condizione per elargire la celebrazione suprema
del canto. Delle affermazioni conclusive di lode del racconto si ha attestazione in Od. 4, 266, dove
Menelao riconosce che Elena ha parlato «in modo appropriato», in Od. 8, 487-491, dove Odisseo
loda la completezza, l'ordine, la veridicità della mìmesis del canto di Demodoco riconoscendone
l'eccellenza frutto di ispirazione divina, ed in Od. 11, 363-369, dove Alcinoo paragona l'eleganza
dell'eloquio, la nobiltà, la perizia del racconto di Odisseo a quello di un aedo. Di solito poi
nell'esordio chi parla dichiara di dire il vero: è il caso di Nestore che corrispondendo alla richiesta di
Telenaco afferma in Od. 3, 254 che dirà «tutta la verità» (ajlhvqea pavnt∆ ajgoreuvsw), di Menelao
che in Od. 4, 347-348 dichiara a Telemaco che non mentirà allontanandosi dal vero, di Odisseo che
in Od. 14, 192 dichiara ad Eumeo che parlerà con schiettezza, tradendo poi tale impegno. Non
occorre sottolineare l'analogia con le dichiarazioni di veridicità istituzionali nei nessi proemiali
della storiografia, poi sistematicamente tradite, come ben evidenzia Giuseppe Flavio in Ap. 1, 5,
2444.
La verità della mìmesis del racconto di Odisseo è celebrata da Alcinoo in Od. 11, 363-366, dove
Odisseo è distinto dagli imbroglioni che escogitano menzogne. Ma se nel racconto dell'aedo non è
contemplata la menzogna in virtù dell'ispirazione divina, tale possibilità è invece ammessa nel
racconto dell'uomo eloquente45. Lo stesso confronto con gli imbroglioni dissimulatori che
imbastiscono menzogne (yeuvdea ajrtuvnontaı) in Od. 11, 363-366 lascia intravedere questa
possibilità al pari delle parole di Eumeo in Od. 14, 124 s. sugli uomini bisognosi di aiuto che
yeuvdont∆ oujd∆ ejqevlousin ajlhqeva muqhvsasqai e ibid., 363-365, dove sempre Eumeo parlando
ad Odisseo sotto le mentite spoglie di un viandante lo rimprovera per aver parlato non in modo
appropriato (ouj kata; kovsmon) riguardo allo stesso Odisseo e di aver mentito senza ragione
(mayidivwı yeuvdesqai); in Od. 19, 203 poi si attribuisce esplicitamente ad Odisseo la capacità di
dire molte menzogne simili al vero.
Ai tratti comuni si affiancano alcune differenze. Al processo di secolarizzazione dell'arte
dell'eloquenza è subordinata la funzionalità del racconto ai fini della persuasione. Il racconto
menzognero di Odisseo in Od. 14, 199-259 ha lo scopo di saggiare la fedeltà e le intenzioni di
Eumeo e così quello di Elena in Od. 4, 239-295 quello di accreditare presso gli ascoltatori l'idea
della sua fedeltà agli Achei. Già nell'Iliade i racconti di alcuni personaggi, come Nestore in Il. 1,
260-273 e Fenice in Il. 9, 438-495 miravano ad effetti di persuasione e non di diletto. Inoltre le
parole dell'uomo eloquente possono nascondere l'insidia dell'inganno: se l'aedo narra il vero e non
inganna, proprio in quanto ispirato dalla divinità 46, e le sue parole sono vere in quanto esprimono la
43
Cfr. Od. 11, 370 (Alcinoo a Odisseo).
44
Jos. Fl. Ap. 1, 5, 24 oiJ ga;r ejpi; to; gravfein oJrmhvsanteı ouj peri; th;n ajlhvqeian ejspouvdasan, kaivtoi tou~~to
provceirovn ejstin ajei; to; ejpavggelma, lovgwn de; duvnamin ejpedeivknunto. Cfr. anche Jos. Fl. AJ 1, 5, 24; 26-27.
Un riflesso di tali critiche si coglie anche in Seneca, Nat. Quaest. 4, 3, 1, che stigmatizza la sfacciataggine degli storici
che mentono proprio quando affermano di dire il vero. Sul tòpos della veridicità nella storiografia vd. Lucian. hist.
conscr. 39, 10-15.
45
Cfr. Hes. op. 193-194, dove il malvagio danneggia l'uomo onesto muvqoisi skolioi``si ejnevpwn. Sull'affermarsi nella
concezione omerica dell'eloquenza della possibilità di mascherare menzogne con il fascino della parola vd. S. Accame ,
Ricerche di storia greca, pp. 65 ss.
46
Per la verità come dono di veggenza di origine divina vd. Il. 2, 485; Od. 4, 384-393; Hes. Th. 26-28; Bacchyl. ep. 5,
187 ss; 8, 4 ss.; 9, 84 ss.; frr. 14; 57 Sn.-Maehl.; Pind. Ol. 1, 28; 8, 1 s.; 10, 3 s.; Nem. 5, 17 s.; 7, 25; Pyth. 3, 103; 11, 6.
Sulla concezione di alètheia connessa alla memoria ed alle Muse vd. M. Detienne, I maestri di verità nella Grecia
arcaica, tr. it. Roma-Bari 1967, p. 99 e n. 93; C.G. Starr, Ideas of Truth in Early Greece, «PP», 1968, pp. 348-359; P.
De Fidio, Aletheia: dal mito alla ragione, «PP», 1969, pp. 308-320; J.P. Levet, Le vrai et le faux dans le pensée grecque
archaique. Etude de vocabulaire, Paris 1976; A. Lo Schiavo 1983, Omero filosofo. L’enciclopedia omerica e le origini
del razionalismo greco, Firenze 1983, pp. 129 ss. L'equazione poesia/verità è uno dei fondamenti della poetica epico-
lirica su cui vd. C.M. Bowra, Heroic Poetry, London 1952, pp. 40, 508 ss; A.W. Gomme, The Greek Attutude to Poetry
and History, Berkeley-Los Angeles 1954, pp. 2 ss; W. Luther, Der frühgriech. Wahrheitsgedanke im Lichte der
Sprache, «Gymnasium», 65, 1958, p. 79; M. Detienne, I maestri di verità nella Grecia arcaica, tr. it. Roma-Bari 1967,
pp. 1 ss.; S. Accame, Ricerche di storia greca, Roma 1977, pp. 17-18.

8
potenza efficace della parola divinamente ispirata, le parole dell'uomo eloquente invece possono
mentire e camuffare la realtà. Il processo di secolarizzazione dell'eloquenza sembra evolversi più
rapidamente che nella poesia ed implicare con la trasformazione dell'eloquenza in un'abilità tutta
umana la possibilità dell'inganno e della menzogna. Il racconto dell'uomo eloquente non si presenta
nei poemi omerici come ispirato dalla divinità, ma come dipendente dall'esperienza o
dall'immaginazione tutta umana di chi racconta. Talora poi, come si è visto, si ammette
esplicitamente la possibilità della menzogna e dell'inganno. Si crea così una frattura tra il fascino
suadente della parola ed il contenuto veritiero, frattura assente nel discorso poetico, almeno nella
poetica omerica, in virtù dell'ispirazione divina che garantisce la veridicità della mìmesis dell'aedo
che racconta come se avesse assistito ai fatti, come riconosce Odisseo lodando Demodoco in Od. 8,
491. C'è però un luogo dell'Odissea dove sembra manifestarsi una frattura tra fascino del canto e
veridicità del contenuto: in Od. 12, 184-191 le Sirene invitano Odisseo ad ascoltare la loro voce ed
affermano di conoscere tutto quello che avviene sulla terra incluse le sofferenze di Argivi e Troiani.
Il canto ammaliatore delle Sirene ha qualcosa in comune con quello delle Muse e con quello ispirato
dell'aedo: i[dmen ga;r toi pavnq∆ in Od. 12, 189 identifica la conoscenza, anzi l'onniscenza delle
Sirene, così come quella delle Muse in Il. 2, 485 i[stev te pavnta; la stessa materia della conoscenza
e del canto, le sofferenze di Argivi e Troiani, ricorda quella del canto di Demodoco in Od. 8, 489-
9047 con la sola differenza che le Sirene conoscono anche le sofferenze dei Troiani. L'analogia tra
Muse e Sirene non deve essere sfuggita ad Esiodo che in Th. 27-2848 riprende allusivamente il nesso
odissiaco con l'iterazione nell'incipit di due versi consecutivi di i[dmen, così come in Od. 12, 189;
19149, contaminando il passo con Od. 19, 203, dove di Odisseo si dice che i[ske yeuvdea polla;
levgwn ejtuvmoisin oJmoi`a. Ma se l'ispirazione delle Muse nell'epos omerico è veritiera, il canto
ammaliatore delle Sirene nasconde un inganno che porta rovina 50, come Odisseo apprende dalla
viva voce di Circe in Od. 12, 39-46. S'introduce quindi una cesura tra estetica del canto e contenuto
veritiero che sarà poi suscettibile di sviluppi nella poetica esiodea, che ammette in Th. 27-28 la
possibilità che le Muse ispirino verità e menzogna, ed in quella della lirica: basti pensare, per fare
solo un esempio, alla censura pindarica nell'Olimpica I della menzogna della tradizione mitica su
Pelope celata dietro la cavriı, il fascino ammaliatore del canto.
L'arte del racconto si declina quindi nelle forme dell'ajeivdein e dell' ajgoreuvein sostanzialmente
affini nella tecnica compositiva della narrazione. L'abilità nel comporre e modulare le parole ha
qualcosa di soprannaturale che trascende le capacità umane e rimanda sia nell'eloquenza che nella
poesia all'ispirazione divina: anche l'eloquenza al pari della poesia si presenta nella concezione
omerica come divinamente ispirata e frutto dell'insegnamento divino, come ben si evidenzia in Od.
1, 384-385, dove Antinoo riconosce a Telemaco di aver appreso dagli dei la sua abilità nel
comporre pubbliche arringhe. Esiodo in Th. 80-84 conferma la comune origine divina della poesia e
dell'eloquenza dei re che parlano con sicurezza e con le loro dolci parole placano le contese e
amministrano la giustizia; la stessa genealogia dell'aedo è strettamente imparentata con quella dei
re: gli aedi discendono da Apollo e dalle Muse, figlie di Zeus, i re direttamente da Zeus.
L'ispirazione divina è legata alla prospettiva magico-profetica del poeta come veggente 51 che si
pone in un rapporto privilegiato con il mondo divino ed alla concezione irrazionale della poesia

47
Od. 8, 489-90 jAcaiw``n oi\ton ajeivdeiı, / o{ss∆ e{rxan t∆ e[paqovn te kai; o{ss∆ ejmovghsan jAcaioiv.
48
Hes. Th. 27-28 i[dmen yeuvdea polla; levgein ejtuvmoisin oJmoi`a, / i[dmen d∆ eu\t∆ ejqevlwmen ajlhqeva
mghruvsasqai.
49
Od. 12, 189-191 i[dmen ga;r toi pavnq∆, o{s∆ ejni; Troivh/ eujreivh/ / jArgei``oi Trw`evı te qew``n ijovthti
movghvsan, / i[dmen d∆ o{ssa gevnhtai ejpi; cqoni; pouluboteivrh/.
50
Sulle modalità dell'inganno e le cause della morte dei naviganti gli studiosi non concordano: Heubeck pensa al
naufragio, Di Benedetto (Odissea, Milano 2010, pp. 46-52, in part. p. 48) ipotizza invece un inganno per così dire
erotico per cui i naviganti attirati dalla voce melodiosa delle Sirene approdano e poi delusi nelle loro aspettative di
avventure amorose si smarriscono, morendo per mancanza di viveri. Le Sirene richiamano il motivo fiabesco dei
demoni femminili che seducono i naviganti causandone la rovina.
51
Sullo status profetico-divinatorio del poeta vd. M. Detienne, I maestri di verità nella Grecia arcaica, pp. 1 ss., che
illustra la connessione tra memoria sacralizzata e ispirazione divina.

9
come frutto di delirio estatico52, uno stato di manìa simile a quello dell'indovino e del profeta, una
teoria questa che affonda le radici nella prospettiva antropologica che accompagna la nascita della
poesia come espressione di un sapere e di un'abilità che trascende i limiti della condizione umana e
che probabilmente è stata alimentata in età arcaica dall’influsso dell'orfismo e dei culti misterici,
che valorizzano la possibilità per l’uomo dell’ajqanativzein, di recuperare l’originaria natura
divina53. La sophìa divinamente ispirata del poeta non è cosa diversa dalla sapienza oracolare e
profetica ispirata da Apollo e Dioniso e rappresentata da figure leggendarie come Orfeo, Museo da
cui, secondo alcuni studiosi54, discende recta via la sophìa dei filosofi.
L’ispirazione divina opera con modalità flessibili nel canto dell'aedo. Può configurarsi come
intervento diretto in Od. 8, 73, dove la divinità incita l'aedo a cantare suggerendogli il tema del
canto, e dono in Od. 8, 498 oppure come insegnamento in Od. 8, 488; 22, 347-348 e questo implica
un processo di apprendimento e quindi di consapevolezza e partecipazione da parte dell'aedo, che
collabora con le Muse. Talora poi sembra manifestarsi un maggiore spazio di autonomia
nell'ispirazione: è il caso di Femio, che in Od. 22, 347-348 si presenta come aujtodivdaktoı, che ha
imparato da solo e non da altri la sua arte grazie ad un dio che gli «mise nella mente tracce di canti
di ogni genere». L'ispirazione divina si interiorizza, diventa tutt'uno con la natura, la mente
dell'aedo che canta seguendo l'impulso della sua mente, come si dice di Femio in Od. 1, 347. A
Femio in Od. 1, 337-338 si attribuisce altresì la conoscenza delle imprese degli uomini e degli dei il
cui racconto affascina i mortali55 e questa conoscenza per quanto si ponga in rapporto con
l'insegnamento della divinità, che ispira la mente dell'aedo, implica processi di apprendimento che
valorizzano il contributo umano del poeta nella maturazione della sua arte. Tale processo incipiente
di secolarizzazione dell'arte poetica trova riscontro in Od. 11, 368, dove Alcinoo riconosce al
racconto di Odisseo qualità paragonabili a quelle del canto di un aedo tra cui eleganza, accortezza di
mente e perizia: ejpistamevnwı fa emergere in Od. 11, 368 il momento della conoscenza
nell'acquisizione dell'abilità del comporre il racconto, valorizzando così l'arte dell'aedo.
L'idea del canto come dono, ispirazione divina s'incontra con quella dell'arte come conoscenza,
abilità, perizia frutto della physis del poeta educata dalla Musa. Perizia artistica in senso artigianale
e sophìa, sapere profetico divinamente ispirato, si fondono in armonia. La perizia nella mìmesis si
esprime in un complesso di qualità del canto dalla valenza insieme tematica e formale identificabili
nella capacità mimetica di riprodurre la realtà dei fatti narrati come per autopsìa e nell'eleganza
dell'eloquio associata ad accortezza di mente e perizia. Queste sono le qualità riconosciute da
Odisseo al canto di Demodoco in Od. 8, 489-491 e da Alcinoo al racconto di Odisseo paragonato in
Od. 11, 363-368 al canto di un aedo.
52
Su tale concezione tradizionale che si pone all'origine di quella platonica della manìa ovvero del delirio profetico del
poeta-veggente, attestata nello Ione e nel Fedro (245a), vd. S. Accame, Ricerche di storia greca, pp. 28 ss.; E. Dodds, I
Greci e l'irrazionale, tr. it. Firenze 1959, pp. 112 ss.; M. Massenzio, Il poeta che vola: conoscenza estatica,
comunicazione orale e linguaggio dei sentimenti nello ‘Ione’ di Platone, in B. Gentili- P. Paioni (a c.), Oralità: cultura,
letteratura, discorso, Roma 1983, pp. Sulla psicologia della performance orale che spiegherebbe l'origine dell'idea
dell'ispirazione divina J. Russo- B. Simon, Psicologia omerica e tradizione epica orale, «QUCC» 12, 1971, pp. 40-61.
Per le implicazioni in tale teoria della dipendenza da un patrimonio culturale tradizionale di cui sarebbe priezione
simbolica l'ispirazione divina delle Muse vd. B. Gentili, Oralità e scrittura in Grecia, in M. Vegetti (a c.), Introduzione
alle culture antiche. I Oralità scrittura spettacolo, Torino 1992, pp. 30-52, in part. p. 34; Poesia e musica nella Grecia
antica, p. 10.
53
Per gli uomini divini, come Epimenide, Aristea, Abaris, e le affinità nella concezione teologica, antropologica ed
etica tra le sette filosofico-religiose dell'età arcaica, i pitagorici, gli orfici vd. W. Burkert 1962, Weisheit und
Wissenschaft. Studien zu Pythagoras, Philolaos und Platon, Nürnberg 1962, pp. 98-142; M. Detienne, I maestri di
verità, pp. 94 ss., n. 93; L. Gernet, Antropologia della Grecia antica, tr. it. Milano 1983, pp. 347 ss.
54
Si vedano al riguardo le analisi di G. Colli, La sapienza dei Greci, Milano 1977; La nascita della filosofia, Milano
1975. Apollo e Dioniso sono le divinità che presiedono alla manìa divinatoria ed iniziatica da cui trae origine il sapere.
Secondo Colli l’estasi dionisiaca è la premessa della conoscenza di origine divina che trae origine dalla manìa profetica
ispirata da Apollo. Aspetti benefici e malefici sono implicati nell’azione di entrambe le divinità, che risultano essere
simili e complementari nella tradizione religiosa ellenica.
55
A questo luogo omerico s'ispira Hes. in Th. 88-103, quando attribuisce al poeta la capacità di placare gli affanni dei
mortali cantando le imprese gloriose degli dei e degli uomini.

10
Ben diversa sarà la situazione che viene a definirsi nella lirica arcaica, dove l'accentuazione della
natura artigianale in senso mimetico dell'abilità artistica acquisita attraverso l'imitazione della
natura e dei modelli della tradizione porta a diversificare la sophìa del poeta come un sapere
artigianale frutto di màthesis e di invenzione56 da quella naturale dell'ingenium del poeta
divinamente ispirata: tale distinzione viene rimarcata da Pindaro in Ol. 2, 86 che rivendica il
primato del poeta «che molto sa per natura» contro «gli addottrinati che gracchiano a vuoto» a
differenza di Bacchilide, che nel fr. 5 Sn.-Maehl. fonda il sapere del poeta proprio sulla màthesis,
sull'apprendistato al seguito dei poeti la cui fama è stata consacrata dalla tradizione 57. L'idea
dell'arte come abilità frutto di apprendimento, adombrata nell'omerico ejpistamevnwı in Od. 11,
368, trova seguito in Archiloco che nel fr. 1 West s'ispira proprio al luogo omerico quando afferma
di «conoscere l'amabile dono delle Muse», contaminando il motivo tradizionale omerico del canto
come dono divino con quello più innovativo del canto come frutto di apprendimento e di
conoscenza58 in cui si valorizza il ruolo del poeta. La consapevolezza orgogliosa dell'arte sarà uno
dei motivi cardine della nuova poetica della lirica arcaica. Lungo questa via si arriverà persino ad
invertire i rapporti di forza con la Musa definita ejpivkouron da Simonide nell'elegia per Platea59: la
Musa si presenta non più come ispiratrice e protagonista del canto, ma come semplice «alleata,
soccorritrice», una sorta di assistente del poeta, che rivendica a sè il ruolo di artefice del canto.

II

L'idea della stretta parentela tra poesia e storia come conversione in prosa del racconto epico 60 è
antica: se ne ha attestazione già in Ecateo ed Erodoto, che sembra abbia valorizzato rispetto alla
tradizione logografica antiquaria la mistione di diegesi e mìmesis del discorso diretto61, come nel
racconto epico. Tale concezione resiste nel tempo nonostante la critica storica tucididea prima e la
speculazione aristotelica poi abbiano cercato di innalzare delle barriere tra poesia e storia con
diverse motivazioni. Lo stesso Platone mostra di condividere l'assimilazione dell'historikòn al
mythos dei poeti nelle manipolazioni della storia più antica e recente operate nel mito di Atlantide
nel Timeo e nel Crizia, all'inizio del III libro delle Leggi, dove si propone una riscrittura
dell'archeologia tucididea62, nel Menesseno e nel Gorgia, dove anche la storia più recente diventa
mythos, racconto esemplare oggetto di manipolazione in funzione dei significati che si intende
esprimere. L'identità tra mythos e historikòn è fondata sul valore esemplare del racconto in senso
morale: sia nel mythos che nella storia i fatti non hanno valore di per sé, non è importante se siano
veri o falsi, ma solo se corrispondono ad una finalità educativa in senso morale 63. Le distanze tra
storia e poesia sembrano accorciarsi anche nel tucidideo Polibio, che individua in Omero un’ibrida
fusione di thaumastòn e historikòn, che garantisce la verosimiglianza del racconto64. D'altra parte lo
stesso Tucidide era consapevole del fatto che nel racconto dei poeti ci sia un fondo di verità storica
e proprio per questo aveva utilizzato nell'archeologia la tradizione poetica come tekmèrion65,

56
Sula motivo dell'invenzione nella poetica della lirica arcaica e le attestazioni di eujrivskein nel senso di «trovare» vd.
B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, pp. 68 ss.
57
Per tale confronto vd. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia arcaica, p. 71.
58
Alla conoscenza come momento cardine della formazione poetica fa riferimento anche Alcmane nel fr. 140 Calame,
dove afferma di conoscere «i canti di tutti gli uccelli».
59
Simon. fr. 11, 21 West. Sulla poetica simonidea ed il suo orientamento nettamente innovativo in rapporto alla
tradizione vd. M. Detienne, Maestri di verità nella Grecia arcaica, pp. 79 ss.
60
Cfr. Strab. 1, 2, 6, che cita l'esempio di Ecateo.
61
Cfr. Marcellino, Vita di Tucidide 38.
62
Pl. lg. 676b; 679a. Per il riferimento allusivo a Tucidide vd. L. Canfora, La storiografia greca, p. 32.
63
Cfr. Pl. rsp. 10, 605a, 3-5. Sulla concezione platonica della storia vd. G. Arrighetti 1991, Platone fra mito, poesia e
storia, «SCO» 41, 1991, pp. 1-22.
64
Polyb. 12, 25i; 34, 2-4. Secondo Polibio (34, 4) gli elementi costitutivi della poesia sono esposizione,
rappresentazione (mìmesis), mythos (fantasia).

11
sfrondandola di tutti i particolari fantasiosi e poco verosimili 66. I confini tra racconto epico e storico
si assottigliano ulteriormente nelle teorie retoriche dell'ellenismo. L’historikòn è incluso nell’ambito
della critica letteraria e della grammatica nelle teorie dei grammatici e retori ellenistici, sia
nell’indirizzo della filologia pergamena rappresentato da Cratete e Taurisco, che in quello
alessandrino di Aristarco, Dioniso Trace, Asclepiade di Myrlea 67, e questo determina da una parte
l'assimilazione della storia al mythos per quanto riguarda il contenuto, dall'altra l’incremento nella
storiografia di un'impostazione retorico-poetica. Nella teoria di Asclepiade di Myrlea sulla storia
vera e falsa le biografie di dei ed eroi vengono inserite nella storia vera insieme alla storia politico-
militare68; lo stesso Plutarco scrisse biografie di eroi e personaggi mitici come Eracle 69 e Teseo,
contaminando i percorsi della storia e del mito, come facevano i grammatici ellenistici. Una sintesi
efficace di questa affinità tra storia e poesia si trova nella sentenza di Quitiliano historia proxima
poetis. Persino Luciano, che pure nel de conscribenda historia distingue la storia vincolata
all'accertamento del vero dalla poesia libera di dare sfogo alla fantasia 70 sotto la spinta di quella
manìa estatica che pure Platone attribuiva ai poeti 71, ammette una contaminazione tra storia e poesia
nella valorizzazione drammatico-patetica delle scene di battaglia 72 e nel diletto prodotto
dall'illusione mimetica del racconto che rende visibili all'uditorio attraverso gli occhi
dell'immaginazione i fatti narrati, meritandosi così la lode del pubblico 73. La perfezione del racconto
storico consiste dunque nella sublimazione di quella stessa capacità mimetica che caratterizza la
poesia: la forza mimetica della parola nella prospettiva acroamatica della lettura pubblica mette in
moto un processo empatico che coinvolge i sensi e le emozioni del pubblico, come nella
performance poetica. La stessa lode subordinata al raggiungimento della perfezione nella mìmesis
ricorda da vicino quella di Odisseo al canto di Demodoco e di Alcinoo al racconto di Odisseo nei
canti ottavo ed undicesimo dell'Odissea. Stupisce che la ricerca del vero finalizzata all'utile
inconciliabile con finalità edonistiche e la critica della storiografia romanzata possano convivere
con la ricerca della perfezione nella riproduzione mimetica dei fatti narrati, che dovrebbe
appartenere più all'ambito della poesia che a quello della storia. Il rilievo conferito alla
configurazione drammatico-patetica della mìmesis si pone in rapporto con l'apprezzamento di
quell'indirizzo della storiografia drammatica tanto di moda nei gusti del pubblico greco-latino nel
periodo ellenistico-imperiale, come confermano altre ben note riflessioni sulla storiografia che si
leggono ad esempio nell'Epistola a Lucceio di Cicerone. Al centro dell'attenzione non c'è il
racconto della storia, ma quello di una storia che avvince con la fascinazione e l'illusione mimetica
della parola e attraverso l'ascolto genera nella fantasia del pubblico immagini che fanno rivivere il
passato, un po' come il racconto dei poeti.
Alla confluenza della storia e della poesia in un'area comune di riferimento identificabile nell'arte
mimetica del racconto, che si è visto risalire alla tradizione epica omerica e poi riaffiorare nelle
concezioni mimetiche della storiografia in età ellenistico-imperiale, si contrappone decisamente
Aristotele quando nella Poetica74 fonda le differenze tra poesia e storia non sulla struttura metrico-
ritmica del discorso, ma sui contenuti della storia ancorata al particolare degli eventi a differenza

65
Cfr. Thuc. 1, 1, 3 (ejk de; tekmhrivwn); 3, 3 (tekmhrioi`` de; mavlista {Omhroı).; 21, 1 (ejk de; tw``n eijrhmevnwn
tekmhrivwn).
66
Cfr. Thuc. 1, 21, 1.
67
Cfr. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I-III, Bari1965-1966, I, pp. 484 ss.
68
Cfr. Sest. Emp. Adv. math. 1, 252-253.
69
Biografie perdute di eroi del mito sono citate nel catalogo di Lampria.
70
Questa libertà dell'immaginazione al di là di quei confini del verosimile imposti alla poesia dalla poetica aristotelica è
asserita anche nell'Anonimo Del sublime e si pone in rapporto con la concezione irrazionale della poesia frutto di manìa
estatica nella poetica platonica. La possibilità di trascendere i confini della verosimiglianza sconfinando nell' a[logon da
cui discende recta via il qaumastovn, il meraviglioso che produce diletto, è ammessa anche da Aristotele in po. 1460a,
12 s.
71
Luciano de conscr. hist. 8.
72
Luciano de conscr. hist. 45.
73
Luciano de conscr. hist. 51.
74
Arist. po. 1451b, 1-4.

12
della poesia prossima alla filosofia per rappresentazione di ciò che è possibile o verosimile
nell'agire umano. Lo stesso Aristotele però, quando in po. 1451b, 10 delinea l'ambito tematico della
storia in «cosa fece e patì Alcibiade»75 riproduce quasi alla lettera l'espressione con cui Odisseo in
Od. 8, 49076 definisce l'oggetto della mìmesis del canto di Demodoco in «quello che fecero e
patirono e quanti dolori soffrirono gli Achei», evidenziando così una sostanziale affinità tematica
tra racconto epico e storico, che spicca al di là della distinzione tra particolare degli eventi e
verosimile universale della mìmesis poetica. Verrebbe da chiedersi quale sia la differenza che corre
tra i pathèmata di Alcibiade e quelli degli Achei e se essa coincide con quella tra particolare della
storia e verosimile universale della poesia? Per la mentalità greca sia Alcibiade che gli Achei fanno
parte della storia, più recente per Alcibiade, più antica per gli Achei. Cosa impedisce che la storia di
Alcibiade possa assumere nel racconto storico la stessa valenza ideale e paradigmatica di quella
degli Achei nel racconto omerico ovvero possa configurarsi come tipica e rappresentativa di un
modo di essere che appartiene all'esperienza umana universale? Ed ancora, è leggittimo confinare la
storia nell'ambito del particolare? Erodoto, Tucidide, Polibio forse non sarebbero d'accordo. La
filosofia della storia che si sottende alla ricostruzione del vero individua significati che vanno ben
oltre il particolare degli eventi e trasformano i pràgmata ed i pathèmata di individui e popoli in
esperienze universali tipiche e paradigmantiche della condizione umana, al punto che uno storico
come Tucidide teorizza persino la possibilità di prevedere il futuro attraverso la conoscenza e
l'interpretazione del passato. L'utilità della storia va dunque ben oltre il soddisfacimento della
curiosità del pubblico e lo stesso interesse politico e si estende all'interpretazione della realtà umana
oggetto dell'indagine filosofica al pari di quella divina. Geografia e storia possono essere
complementari alla ricerca filosofica: è questa l'intuizione di Strabone che sulla scia della
rivalutazione stoica dell'utilità della storia 77 e, potremmo aggiungere, della geografia geneticamente
imparentata con la storia, asserisce l'identità tra la polymathìa della scienza geografica con la
conoscenza delle cose divine ed umane oggetto della filosofia 78, rivalutando così la polymathìa
condannata in blocco da Eraclito nei poeti, filosofi e storici, come Ecateo79.
Il riferimento nella Poetica aristotelica ai pàthe di Alcibiade paragonabili a quelli degli Achei di
memoria omerica permette di individuare la matrice della storiografia mimetico-drammatica 80, che
tanta fortuna ebbe nell'ellenismo, proprio nella mìmesis della narrazione epica: sembra infatti di
poter individuare alle origini del discorso storico la vocazione ad includere nel suo ambito tematico
non solo i pràgmata, fatti di eventi e parole81, ma anche i pathèmata dei protagonisti della storia,
individui e popoli, seguendo un percorso già calcato dal racconto nell'epos eroico. Lo stesso
Tucidide, teorico della storiografia pragmatica, evidenzia nel proemio 82 l'importanza dei pathèmata
nella valutazione dell'entità della guerra che si accinge a narrare, richiamandosi ad una tradizione
più antica che attraverso Erodoto si ricongiunge al racconto epico. Si precisa così un altro aspetto
comune all'arte del racconto nell'epos eroico e nel discorso storico: narrare le vicende umane, sia
che esse risalgano al passato più remoto materia del mythos narrato dai poeti, sia che possano
75
Arist. po. 1451b, 10 ti; jAlkibiavdhı e[praxen h] ti e[paqen.
76
Od. 8, 490 o{ss∆ e[rxan t∆e[paqovn te kai; o{ss∆ ejmovghsan jAcaioiv
77
Sull'utilità della storia nella riflessione antica vd. L. Canfora, La storiografia greca, pp. 15-43, che ricostruisce .
78
Cfr. Strab. Geogr. 1, 1, 1.
79
Cfr. Eracl. VS 22 B 40 e 41 D-K.
80
Il luogo citato della Poetica (1451b, 10) sembrerebbe confermare la valorizzazione nella concezione peripatetica della
storia della configurazione mimetico-drammatica finalizzata a suscitare emozioni di paura e compassione, come la
poesia drammatica. Proprio alle concezioni peripatetiche della storia E. Schwartz, Fünf Vorträge über griechschen
Roman, Berlin 1943 (a c. di A. Rhem), riconduce l'origine della storiografia drammatica, adducendo come esempio il
racconto plutarcheo della fuga di Cleomene dopo Sellasia ispirato al peripatetico Filarco.
81
Per l'assimilazione di lògoi ed èrga ai prachthènta in Thuc. 1, 22, 1-2 vd. L. Canfora, La storiografia greca, pp. 62
ss., che richiama il riscontro in Polyb. 12, 25b, 1-2, dove pure la sfera degli accadimenti si dice composta di azioni e
parole.
82
Thuc. 1, 23, 1-2. Sull'importanza di queste affermazioni tucididee vd. L. Canfora, La storiografia greca, Milano
1999, pp. 44-60, in part. pp. 47 ss., che ricostruisce la questione dell'origine della storiografia drammatica individuando
già in Tucidide, ben prima del IV sec. e dell'influsso del Peripato e della scuola isocratea, un'anticipazione di questo
orientamento del racconto storiografico.

13
includersi nell'historikòn, significa ricostruire cosa fecero e patirono i protagonisti della storia
ovvero ricostruire non solo i fatti, ma anche l'identità dei personaggi coinvolgendo nell'orizzonte del
racconto anche il carattere, le passioni, la psicologia dei protagonisti ed i loro pathèmata sia a
livello individuale che collettivo. In questo orizzonte narrativo l'epos eroico aveva tracciato una via
seguita poi dal discorso storico.

Vediamo di esaminare altri aspetti che evidenziano le analogie sostanziali tra storia e poesia epica
per quanto riguarda il contenuto, le finalità perseguite e l'arte del racconto.
La differenza tra mythos, materia del racconto poetico, ed historikòn sembra farsi alquanto
sfumata in considerazione del fatto che il mythos è considerato nella mentalità ellenica come la
storia del passato più remoto83. Il fondamento storico della cosiddetta mitistoria affiora nella
percezione di una progressione evolutiva nella struttura spazio-temporale per nulla estranea al mito:
il tempo del mito non vive in una dimensione diversa da quella del tempo della storia delimitato
dall’esperienza umana84. Non mancano infatti nei poemi omerici indizi di una scansione storico-
evolutiva del mito85. Principio comune al mythos ed all’historikòn è quello eziologico-genealogico
applicato alle generazioni divine, eroiche ed umane sia nel mito che nella logografia; lo schema
eziologico-genealogico ordina infatti in senso lineare progressivo la generazione degli dei, così
come quella degli uomini anche nella Teogonia e delle Opere di Esiodo86 in cui si rielabora lo
schema di base dei miti delle origini dell’età del bronzo in cui la storia umana segue senza
soluzione di continuità a quella degli dei: alla generazione del mondo divino e del cosmo segue
quella dell’uomo che inizia con eroi nati da ierogamie di dei e uomini e continua con le stirpi
umane, che si allontanano progressivamente dalla perfezione del tempo degli eroi semidivini 87. Tale
schema si perpetua nella logografia antiquaria di argomento genealogico, che narra la storia degli
dei, degli eroi e degli uomini. Nel substrato storico della mitistoria rientra l’ancoraggio alle
genealogie aristocratiche, che costituiscono la gliglia di riferimento della storia mitica più antica
produttiva poi nel discorso storico nelle sue varianti della logografia antiquaria e del racconto
83
Per la sostanziale affinità tra mythos e historikòn nel pensiero storico classico vd. C. Calame, Mito e storia
nell’antichità greca, tr. It. Bari 1999, p. 52; A. Masaracchia, Il mito, in F. Roscetti (a cura di), Il classico nella Roma
contemporanea. Mito, modelli, memoria, Atti del convegno, Roma 18–20 ottobre 2000, Roma 2002, pp. 17–33, in part.
pp. 21, 26 s..
84
Non sembra potersi condividere l'idea degli oralisti che non esiste nel mito una misura realistica e concreta del tempo,
ma un tempo favoloso in cui si affiancano i segmenti mitici in una prospettiva acronica di appiattimento cronologico. La
dimensione enceclopedica dell’epos omerico si porrebbe, secondo E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura
da omero a Platone, Bari 1983, pp. 40-45, all’origine di questa prospettiva atemporale del mito in cui gli avvenimenti si
affiancano in sequenza senza relazioni cronologiche e causali: la dimensione della memoria tipica della cultura orale
tende infatti a far rivivere attraverso il mito la memoria del passato senza analizzarla in una prospettiva storica, che
comporterebbe un distacco critico assente nella cultura orale. Sulle strutture del tempo nel mythos vd. anche P.
Philippson, Origini e forme del mito greco, Torino 1949, pp. 21 ss.; A. Lo Schiavo, Omero filosofo. L’enciclopedia
omerica e le origini del razionalismo greco, Firenze 1983, pp. 146 ss. Per la natura del tempo nel mito come tempo
favoloso degli inizi vd. E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Firenze 1964, I, p. 151; M. Eliade, Aspects du
mythe, Paris 196, pp. 15 ss., 31.
85
Nel catalogo degli alleati dei Troiani in Il. 2, 867-868 dei Cari si dice che abitavano Mileto, lasciando chiaramente
intuire tracce di memoria storica nel mito: su questo esempio di storicizzazione dell'epos vd. S. Mazzarino, Il pensiero
storico, I, p. 45. E così in Il. 1, 259-272 l’evocazione da parte di Nestore di eroi del passato, come Piritoo, Driante,
Ceneo, Teseo, ben più valorosi di quelli del presente introduce nel mito una prospettiva temporale lineare che distanzia
il presente dal passato, al pari dell’incontro di Odisseo con gli eroi del passato, Orione, Tizio, Tantalo, Sisifo, Eracle,
nel l. 11 dell'Odissea; nel l. 11 il catalogo delle eroine introduce nell’epos eroico uno schema eziologico-genealogico
che allontana il mito dalla dimensione primordiale astorica in cui non esiste tempo e successione di eventi; nel l. 9
dell’Odissea la descrizione dei Ciclopi, che rappresentano la sopravvivenza di una condizione di vita primitiva, ed il
confronto tra Odisseo e Polifemo assumono i contorni di una riflessione sul tema del progresso della civiltà umana su
cui è incentrato il discorso storico.
86
Sulla funzione dei cataloghi e delle genealogie in Omero ed in Esiodo vd. J. P. Vernant, Mito e pensiero presso i
Greci: studi di psicologia storica, tr. it. Torino 19782, pp. 45 ss.; A. Lo Schiavo, Omero filosofo, p. 151.
87
Per tale schema ternario e la sua origine orientale vd. P. Leveque 1991, Bestie, dei, uomini. L’immaginario sacro
delle prime religioni, tr. it. Torino 1991, pp. 118 ss.; W. Burkert, Da Omero ai Magi, Venezia 1999, p. 41.

14
storico misto di mìmesis e diegesi alla maniera erodotea. La griglia temporale della narrazione
erodotea è prevalentemente genealogica, come nella più antica logografia. Il substrato storico del
mito implica anche riflessi della realtà storico-geografica dell’età arcaica, a partire dai primi secoli
dell’età del ferro, in cui nascono le pòleis e inizia l’espansione coloniale. Luoghi e eventi legati alla
storia politica delle pòleis greche si proiettano nei canti epici a confermare lo stretto ancoraggio tra
poesia, storia e politica. Si possono così individuare nella mitistoria aree geografiche e culturali di
riferimento della storia dell’età arcaica, come quella eolica, che include Tessaglia, Beozia, Eubea,
Cicladi, Asia Minore, corinzia, peloponnesiaca, attica. Il contesto mitico epicorico si riflette
soprattutto nei poemi del ciclo epico88, che si ricollegano ad una più antica tradizione epica
preomerica; quello panellenico riferibile al ciclo troiano nell’epica ionica omerica.
A confermare la continuità tra mito e storia si aggiunge l'integrazione nell'historikòn dello spazio
mitico nella logografia antiquaria di argomento genealogico, che continua in prosa la tradizione
dell'epos genealogico: Trasimaco nel Peri; politeivaı89 nella ricostruzione della costituzione dei
padri si richiama ai lògoi più antichi, che narrano le vicende «al di là della nostra possibilità di
conoscere», e li distingue dalle fonti orali autoptiche più recenti, associando intuitivamente i più
antichi lògoi alla logografia ed al mito. Ma anche nel discorso storico classico alla maniera erodotea
misto di diegesi e mìmesis sul modello del racconto epico lo spazio mitico e semi-mitico viene
talora incluso nell'historikòn nella ricostruzione degli avvenimenti più remoti. I confini cronologici
tra spazio mitico, semi-mitico e storico sembrano dunque essere assai labili 90. Ne è esempio
l'archeologia tucididea, dove si ricostruiscono con verosimiglianza sulla base della tradizione mitica
eventi anteriori e posteriori alla guerra di Troia databile con una certa approssimazione al 1192-
1183, ottanta anni prima dell'invasione dorica avvenuta nel 1116 a. C. settecento anni prima del 416
a.C., tempo in cui gli Ateniesi attaccarono i Meli, come si narra in Thuc. 5, 112, 2 91. Eforo inizia il
suo racconto dalla migrazione degli Eraclidi nel 1069 a.C., settecentotrentacinque anni prima del
passaggio in Asia di Alessandro Magno, escludendo gli avvenimenti anteriori confinati nel
mythòdes. Diodoro narra invece gli avvenimenti anteriori alla guerra di Troia, contrapponendosi alle
scelte di Eforo, sua fonte92.
Le differenze tra mito ed historikòn si limitano quindi alla cronologia ed alla configurazione
tematica: lo spazio mitico è quello in cui interagiscono dei ed eroi, quello storico è tutto umano,
anche se non si escludono cause soprannaturali e divine, come Erodoto e Senofonte.

88
Vd. A. Debiasi, Esiodo e l’occidente, Roma 2008; A. Debiasi, L’epica perduta. Eumelo, il Ciclo, l’occidente,
Hesperìa 20, Roma 2004.
89
Untersteiner, Sofisti, III, 1961, p. 28; FVS 85 B 1, p. 324, 2-6, per cui vd. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I-
III, Bari1965-1966, I, pp. 97, 336, 480.
90
Sulla questione dell'inizio della storia vd. L. Canfora, La storiografia greca, pp. 26-43, che evidenzia l'oscillazione tra
età semi-mitica e spazio storico il cui inizio è individuato da alcuni autori in eventi mitici come il ritorno degli Eraclidi
(Eforo) o avvenimenti anteriori alla guerra di Troia (Diodoro) ed individua due scuole di pensiero, la prima riferibile a
Tucidide, Apollodoro, Diodoro, che pone il ritorno degli Eraclidi dopo la guerra di Troia, la seconda a Erodoto,
Isocrate, Eforo, che anticipa gli Eraclidi a prima della guerra di Troia. Per quanto concerne Eforo diversa la valutazione
di S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I-III, Bari1965-1966, I, pp. 333 ss., III, pp. 428 ss., che attribuisce ad
Eforo una cronologia degli Eraclidi (1069 a.C.) posteriore e non anteriore alla guerra di Troia datata a mille anni prima
di Alessandro Magno tra 1189 e 1149 a. C.; la datazione in Eforo degli Eraclidi è posteriore a quella di Tucidide (1116
a.C.), ma anche alla guerra troiana. Non si comprendono quindi le ragioni per cui Canfora associa Eforo ad Erodoto (9,
27, 2-4), che pone gli Eraclidi prima della guerra di Troia. La datazione di Eforo è confermata da Isocrate
nell'Archidamo, dove gli Eraclidi sono collocati settecento anni prima di Archidamo, quindi verso il 1066-1065 a.C.;
diversamente nel Panegirico (54) la guerra di Troia è posticipata agli Eraclidi per valorizzare il primato della potenza di
Atene, che aveva prestato aiuto agli Eraclidi: la coerenza non fa parte delle intenzioni di Isocrate che al pari di Platone
(vd. il mito di Atlandide nel Timeo e Crizia, la storia più antica di Atene nelle Leggi e nel Politico e quella più recente
nel Menesseno e nel Gorgia: vd. G. ARRIGHETTI, Platone tra mito, poesia e storia, «SCO» 1991, pp. 1-22) manipola il
mito e la storia per dimostrare le sue affermazioni (per la rielaborazione del mito in Isocrate vd. A. MASARACCHIA,
Isocrate e il mito, in AA.VV., Isokrates-Neue Ansätze zur Bewertung eines politischen Schriftstellers, a c. di W. ORTH,
Trier 2003, pp. 150-68, in particolare pp. 163 s.).
91
Nel passo tucidideo i Meli affermano di occupare l'isola da settecento anni.
92
Vd. la praefatio del 4 l. di Diodoro.

15
Le stesse finalità del racconto storico identificabili nella ricostruzione del vero 93 e delle sue cause
e così la distinzione tra conoscenza autoptica94 e per sentito dire, che fa parte dei criteri della critica
storica delineati in Erodoto e Tucidide, non sembrano essere prerogativa esclusiva della
storiografia.
In Od. 8, 491 Odisseo loda la capacità di Demodoco di rappresentare i fatti degli Achei «come se
fosse stato presente» o avesse sentito il racconto da un altro, che si presume avesse assistito ai fatti;
in questa seconda possibilità è evidente l'allusione all'ispirazione divina richiamata poco prima nel
v. 487 e poi nei vv. 498-499. E' evidente infatti che il poeta narrando fatti più remoti o recenti a cui
non ha partecipato non può aver assistito ai fatti, ma in questo suo limite lo soccorre l'ispirazione
divina delle Muse, che, come si afferma in Il. 2, 485-486, conoscono tutto per visione diretta. Il dato
significativo è che si riconoscono alla mìmesis poetica prerogative di veridicità fondata sull'autopsia
frutto di ispirazione divina. E' noto come la corrispondenza tra mythos e realtà sia uno dei cardini
concettuali della poetica epico-lirica; tale corrispondenza si pone in rapporto con l'efficacia
rappresentativa in senso mimetico della poesia che attraverso la parola riproduce gli eventi: viene
così a delinearsi un rapporto mimetico tra parola ed azione la cui efficacia comunicativa supera
anche quella delle arti figurative condannate al limite dell'immobilità superata invece dalla mobilità
della parola nello spazio e nel tempo 95. Proprio tale efficacia imitativa viene valorizzata nella lode
che Odisseo rivolge a Demodoco.
A questa esigenza di verità in senso mimetico e storico del mythos poetico fondata sull'autopsia
garantita dall'ispirazione divina subentra nel lògos storiografico la ricerca razionale del vero
attraverso il discernimento nel mito tra verità e menzogna. L'equazione poesia/verità si è ormai
incrinata96: la progressiva laicizzazione della poetica epico-lirica tradizionale, che valorizza sempre
di più l'abilità del poeta nella manipolazione delle parole, porta a riconoscere nel mito la possibilità
della menzogna mascherata attraverso la forza mimetica della parola. Si rende allora necessario
distinguere nel mito ciò che è vero da ciò che non lo è attraverso criteri di verosimiglianza 97 che
eliminano particolari favolosi, come fece Ecateo nelle sue Genealogie. Le strade del mito e
dell'historikòn sembrano così progressivamente dividersi fino ad arrivare alle formulazioni teoriche
della critica storica erodotea e tucididea per poi ricomporsi nelle teorie grammaticali e retori
ellenistici della scuola pergamena (Cratete, Taurisco) ed alessandrina (Aristarco, Dioniso Trace,
Asclepiade di Myrlea)98, in cui si delinea l'integrazione dell'historikòn nella critica letteraria a cui
consegue quella della storiografia nella letteratura e nella retorica, l'assimilazione del mito

93
Sul motivo della veridicità nella critica storica vd. Lucian. hist. conscr. 39, 10-15, su cui vd. G. Avenarius, Lukians
Schrift zur Geschichtsschreibung, 1956, pp. 26-29, 40-54, e le analisi di H. Peter, Die geschichtliche Literatur über die
römische Kaiserzeit bis Theodosius I und ihre Quellen, II, Leipzig 1897, pp. 179-188; W. Luther, Wahreit und ‘Luge’
im ältesten Griechentum, Diss., Göttingen 1935, pp. 126 s.; J. Vogt, Tacitus und die Unparteilichkeit des Historikers,
«WurzbSt» 9, 1936, pp. 5s.; E. Herkommer, Die Topoi in den Proömien der römischen Geschichtswerke, Diss.,
Tübingen 1968, pp. 137-151; B. Gentili - G. Cerri, Storia e biografia nel pensiero antico, Bari 1983, 7s.; A.J.
Woodman, Rhetoric in Classical Historiography, London - Sydney 1988, pp. 73 ss.
94
Sull'autopsia nella storiografia vd. W. Luther, Wahreit und ‘Luge’ im ältesten Griechentum, Diss. Göttingen 1935,
pp. 126 s.; . B. Snell, Homer und die Entstehung des gruechischen Bewusstseins bei den Griechen, in «Varia Variorum.
Festgabe für K. Reinhardt», Munster-Köln 1951, p. 11; E. Herkommer, Die Topoi in den Proömien der römischen
Geschichtswerke, Diss., Tübingen 1968; G. Nenci, Il motivo dell’autopsia nella storiografia greca, «SCO» 3, 1953,
pp.14-46.
95
Su questa efficacia mimetica della parola vd. la definizione simonidea della poesia come pittura parlante e della
pittura come poesia muta (Quint. I.O.11, 2, 11-14; Suida s.v. Simonides); Isocr. Evag. 73 ss.
96
Riscontri di questa crisi dell'equazione poesia/verità nel noto luogo esiodeo della Teogonia (vv. 26-28) e nella
Olimpica I di Pindaro, dove si respinge come falsa la tradizione del mito di Pelope. Per l'analisi del processo di
laicizzazione della poetica epico-lirica rimando alle pagine di S. Accame, Ricerche di storia greca, Roma 1977, pp. 8
ss.
97
Il principio di verosimiglianza viene applicato nella critica razionalistica al mito tradizionale, elaborata nell’ambito
della tradizione filosofica, logografica e storiografica, che da Epimenide e Senofane approda a Platone, passando
attraverso Ecateo, Erodoto e Tucidide. Per la critica al mito che evidenzia la falsità dei racconti dei poeti vd. Epimen.
FrGrHist 457 T 6; Xen. VS 21 B 11-12, 14-16 D. - K. A tale tradizione si richiama Platone in rsp. 378a ss.
98
Su tali teorie grammaticali sulla storiografia vd. S. Mazzarino, Il pensiero storico, I, pp. 484 ss.

16
all'historikòn e l’incremento dell’interesse formale e retorico nel discorso storico. Nella teoria di
Asclepiade di Myrlea sulla storia vera e falsa le biografie di dei ed eroi vengono così inserite nella
storia vera insieme all’historia delle praxeis politico-militari99; lo stesso Plutarco scrive biografie di
eroi e personaggi mitici come Eracle e Teseo100, contaminando i percorsi della storia e del mito,
come facevano i grammatici ellenistici, anche se nella sua produzione biografica si mostra
interessato ad una rigorosa ricerca storica fondata su una ricca documentazione d’archivio
inconsueta nella stessa storiografia. Si ripropone così l'antica equazione di mito e storia della
poetica tradizionale epico-lirica. L’assimilazione della storia al mito incide nel metodo di
accertamento della verità storica finalizzato non alla ricerca del vero, inattingibile per il configurarsi
della storia come «selva senza metodo», secondo la definizione di Taurisco tramandata da Sest.
Emp. Adv. math. 1, 252, ma alla dimostrazione del verosimile. Tale dimostrazione si fonda su
quegli stessi principi razionalistici di credibilità e verosimiglianza utilizzati nell’analisi delle
elaborazioni poetiche del mito nell’ermeneutica letteraria dei grammatici di età ellenistico-romana,
come nei Progymnasmata di Elio Teone, dove si dimostra l’inverosimiglianza del mito di Medea 101,
e prima ancora nella critica razionalistica al mito tradizionale, elaborata nell’ambito della tradizione
filosofica, logografica e storiografica, che da Epimenide e Senofane approda a Platone, passando
attraverso Ecateo, Erodoto e Tucidide.
La stessa distinzione tra conoscenza diretta frutto di autopsia ed informazioni desunte da fonti
orali, principio della critica storica, è un'idea già attestata nei poemi omerici: ad Il. 2, 485-486, dove
si marca la distanza tra l'onniscenza divina e limiti della conoscenza umana subordinata al klèos,
potrebbe aggiungersi Il. 20, 203, dove Enea distingue tra conoscenza autoptica e sentito dire. Si
tratta di una concezione radicata nella tradizione sapienziale fondata sul nesso eziologico tra
esperienza e conoscenza102 di cui si hanno riscontri anche nella poesia tragica103, che riflette il
dibattico culturale del V sec. sui principi della conoscenza.
Anche la ricerca delle cause su cui si fonda l'interpretazione della realtà storica e quindi il
pensiero storico non è estranea alla poesia arcaica, in cui si manifesta talora l'esigenza di discernere
l'origine degli avvenimenti storici104. Così nella Smirneide di Mimermo si riconduce ad un'eziologia
etico-religiosa il conflitto tra Lidi e Greci in Asia minore 105: la violenza perpetrata dai Greci che
colonizzarono Colofone crea le premesse per la giusta ritorsione dei Lidi di Gige secondo categorie
di pensiero attestate anche nella storiografia orientale che riconduce l'ordine etico del mondo ad
un'origine divina. Ma a ben guardare già nei poemi omerici si potrebbero individuare i primordi di
un'interpretazione storica degli eventi secondo un'eziologica etico-teologica: che le sorti umane
dipendano da una volontà soprannaturale assimilabile al destino che, secondo le concezioni più
antiche attestate nell'Iliade, sovrasta gli stessi dei e poi, quando matura una concezione etica della
divinità106, viene subordinato alla volontà divina è un'idea cardine della prospettiva ideale dei poemi
99
Per la ricostruzione delle concezioni di Asclepiade di Myrlea vd. Sest. Emp. Adv. math. 1, 252-253.
100
Biografie perdute di eroi del mito sono citate nel catalogo di Lampria.
101
Progymnasmata 94, 12-32, SPENGEL, 1856, II.
102
Per tale principio vd. Il. 2, 470 ss.; Hes.Th. 369 s.; Alcm. fr. 125 P. («esperienza principio di apprendimento») di
probabile attribuzione, secondo Lanza (cfr. G. PASCUCCI, Il sapere della prosa ionica: storiografia e scienza, «Storia e
civiltà dei Greci», vol. 2, pp. 613-644, vd. p. 642.), ad Alcmeone di Crotone.
103
Vd. Aisch. Cho. vv. 844-849, 851-854, dove Egisto dubita dell’attendibilità della notizia della morte di Oreste e
si propone di verificare di persona se il presunto forestiero abbia assistito alla morte di Oreste o ne sia venuto a
conoscenza per semplice sentito dire; Eur. Eraclidi 847-48, dove il messaggero distingue ciò che conosce per autopsia
da quello che ha appreso per sentito dire; Soph. Ant. 249 ss.; 407 ss., dove il racconto della guardia descrive i semèia
rilevati sul luogo, dove si trova il cadavere di Polinice, poi la scena in cui Antigone è colta sul fatto mentre replica la
sepoltura del fratello: se i segni precedentemente rilevati non riconducono al colpevole, l'autopsia della visione
successiva di Antigone fornisce la prova certa e rivela il colpevole; Trach. 141-177, 588-593, dove si delinea l’antitesi
tra vera conoscenza fondata sull’esperienza e semplice dokeivn.
104
Per l'origine poetica del pensero storico e l'interpretazione della riflessione sulle cause del conflitto greco-asiatico
nella Smirneide di Mimnermo vd. S. Mazzarino, Il pensiero storico, I, pp. 37 ss.
105
Vd. Mimn. fr. 12 D.
106
Un riscontro di tale concezione etica della divinità si trova nel I canto dell'Odissea (vv. 32-43), dove Zeus ricorda
che Egisto paga con la sofferenza il prezzo della sua colpa: l'idea della responsabilità morale dell'uomo è legata alla

17
omerici. La visione poetica della storia rimane ancorata a parametri valutativi in cui balza in primo
piano la subordinazione dell'iniziativa umana alla volontà divina e conseguentemente la percezione
di un ordine divino nelle vicende umane. La riflessione sulla storia umana continua nella tragedia
approdando a conclusioni simili a quelle del pensiero storico della più antica poesia epico-elegiaca:
basti pensare ai Persiani di Eschilo ed a tutta la tragedia eschilea che teorizza l'idea della sofferenza
come punizione della hybris voluta dagli dei.
Si delinea inoltre una sostanziale continuità tra i generi dell'epica 107 e quelli del discorso
storiografico per quanto riguarda l'aspetto tematico, formale e le finalità perseguite. La forma
narrativa dell'epos eroico ampia ed articolata in diegesi e narrazione 108 con una vivace
drammatizzazione mimetica degli eventi si riflette nel racconto storico misto di diegesi e
narrazione, anch'esso mirato, come l'epos eroico ad intrattenere il pubblico. Tale fine
d'intrattenimento è legato alla prassi delle pubbliche letture delle opere storiografiche propria non
solo della logografia anteriore alle guerre persiane e della storiografia erodotea, ma anche dell'opera
tucididea destinata anch'essa, anche se con minor successo, alla lettura pubblica, come si evince da
Thuc. 1, 22, 4 dove l'autore parlando della sua opera afferma che «forse l'assenza di mythòdes
risulterà poco piacevole all'ascolto»109. La logografia antiquaria110 di argomento genealogico si
richiama invece all'epos didascalico/genealogico anche per l'impostazione della diegesi in cui ha
scarso rilievo la drammatizzazione del racconto attraverso il discorso diretto 111. Simile lo scopo di
istruire e trasmettere miti, credenze ed istituzioni che formano il patrimonio culturale della
comunità.
Sembra che la mistione di mimesi e narrazione sia stata un'innovazione erodotea rispetto alla
configurazione prevalentemente narrativa della più antica logografia di argomento genealogico ed
etnografico: Marcellino nella Vita di Tucidide 38 riferisce che le narrazioni storiografiche anteriori
ad Erodoto e Tucidide «erano fatte solo di narrazione» senza discorsi e che fu Erodoto ad introdurre
i discorsi per lo più brevi e finalizzati alla caratterizzazione dei personaggi. Tucidide segue
l'esempio erodoteo e così delimita la materia del racconto a discorsi ed azioni considerati a pari

concezione etica della divinità, che opera secondo principi di giustizia. La concezione etica dell’agire umano si sviluppa
parallelamente a quella della giustizia divina associata sia nell’Iliade che nell’Odissea a Zeus: H. Lloyd-Jones, The
Justice of Zeus, Berkeley –Los Angeles-London 1971, pp. 1-27, afferma la presenza nell’Iliade della concezione di
Zeus garante della giustizia, contrapponendosi alle valutazioni di Dodds e Adkins. Riscontri di tale concezione in Il. 14,
384 ss., dove nel contesto di una similitudine la pioggia inviata da Zeus si prospetta come punizione per aver scacciato
la giustizia (cfr. Hes. Op. 212 ss); e così in Il. 13, 620-639 Menelao afferma che Zeus distruggerà i Troiani perché
hanno offeso la legge dell’ospitalità ed in Il. 9, 502-512 Fenice subordina al comportamento etico-religioso dell’uomo
l’aver bene o male nella vita, richiamandosi al principio della giustizia divina. Ma se la logica colpa-punizione risulta
marginale nella prospettiva ideale iliadica, essa è invece centrale nella prospettiva etico-didattica dell’Odissea (vd. V.
Di Benedetto, Il laboratorio di Omero, Milano 19982, pp. 343 ss.; W. Kullmann, Gods and Men in the ‘Iliad‘ and the
‘Odyssey‘, «HSPh» 9, 1985, pp. 1-23) costruita intorno all’eroe paradigma del giusto sofferente, che sopporta
pazientemente le prove volute dagli dei e si contrappone ai compagni che, come si afferma in Od. 1, 7, perirono per la
loro stoltezza, ed ai proci puniti per la loro hybris (vd. Od. 3, 207; 16, 86; 93; 18, 143; 20, 170; 22, 416; 23, 67; 24, 282;
352).
107
Sui diversi generi dell'epos rapsodico e citarodico vd. C.O. Pavese, Tradizioni e generi letterari della Grecia antica,
Roma 1972, pp. 215 ss.
108
Su questo aspetto della mistione di diegesi e discorsi del racconto storico riconducibile alla scansione del racconto
epico vd. L. Canfora, La storiografia greca, Milano 1999, pp. 61 ss.
109
Sulla destinazione acroamatica dell'opera tucididea sulla scia di una prassi consolidata per le Storie di Erodoto, come
si evince da Hdt. 3, 80, 1 e 6, 43, dove Erodoto fa riferimento alla reazione del pubblico al resoconto del dibattito sulle
costituzioni avvenuto alla corte persiana prima dell'avvento di Dario, vd. L. Canfora, La storiografia greca, pp. 68 s.
110
Sulla distinzione tra storiografia pragmatico-politica e antiquaria, intesa come storia di costituzioni e fondazioni,
delineata in Arist. rh. 1360a 30-35, Eforo FGrHist 70 T 18 e nel proemio del IX l. di Polibio, vd. S. MAZZARINO, Il
pensiero storico classico I-III, Bari 1965-66, I, p. 420; A. Momigliano, Sui fondamenti della storia antica, Torino 1984,
pp. 3-45; B. Bravo, Remarques sur l’érudition dans l’antiquité in «Acta Conventus XI Eirene 1968», Varsavia 1971,
pp. 326-35.
111
Nell'epos didascalico esiodeo limitato è lo spazio del discorso diretto: rari esempi in Th. 164-172; 543-560; Op. 207-
211 (apologo dello sparviero e dell'usignolo).

18
titolo come ta; pracqevnta112, prodotto dell'azione materia del racconto storico: ciò che è stato
compiuto si declina dunque in azioni e parole come nel racconto epico. La composizione di parole e
narrazione dei pràgmata esemplata sul modello della diegesi epica rimarrà da Erodoto in poi come
canonica nel racconto storico113 e costituisce uno degli aspetti più significativi della continuità a
livello formale tra racconto epico e storico al pari, come si è già visto, della drammatizzazione
mimetica della narrazione riferibile ai pathèmata dei protagonisti dell'azione indicati come parte del
racconto sia in Od. 8, 490 («quello che fecero e patirono gli Achei») in riferimento al canto di
Demodoco che nella definizione aristotelica in po. 1451b, 10 della materia della storiografia («cosa
fece e patì Alcibiade»). La stessa catena narrativa della recitazione rapsodica, che aggrega diverse
unità narrative114, si riflette nel ciclo epico e poi in quello storico e conferma così la continuità a
livello formale tra epos eroico e racconto storico. La prassi di agganciare il racconto a narrazioni
precedenti attestato da Erodoto a Tucidide a Polibio e oltre rispecchia infatti quella rapsodica di
costruire una catena narrativa attraverso l'aggregazione di unità narrative coordinate riferibili allo
stesso tema mitico115.

R. Di Donato, Omero: forme della narrazione e forme della realtà. Lo scudo di Achille, in S.
Settis, I Greci. Storia, cultura, arte, Società, Torino 1996, ed. Einaudi, 2, 1, pp. 227-253

Esemplificativa l’analisi nei Progymnasmata (94.12-32) di Elio Teone (cfr. SPENGEL, 1856, II)
del mito di Medea, di cui si dimostra per certi aspetti l’inverosimiglianza: su Elio Teone vd. LANA,
1951, e GRANT, 1961, pp. 15, 39 ss., 120 ss., che studia la continuità del metodo razionalistico
applicato al mito dai grammatici e retori ellenistici nella dimostrazione della verità storica dei
vangeli.

La scansione del racconto sembra diversamente strutturarsi nella citarodia e nella rapsodia:
l'epica lirica alla maniera di Femio e Demodoco compone per lasse seguendo diverse vie di canto
(òimai) ovvero trame narrative corrispondenti a diversi episodi, non necessariamente tra loro
concatenati116; uno degli argomenti di questi segmenti narrativi sono le aristìe che costituiscono uno
dei nuclei originari del racconto epico aedico. L'aedo passa da una trama narrativa all'altra a
richiesta o di sua iniziativa. Il rapsodo invece cuce per così dire vari segmenti narrativi in una
sequenza di più ampio respiro, componendo poemi in cui vengono aggregate diverse tracce
narrative (òimai117). L'Iliade e l'Odissea rappresentano proprio questa diversa scansione narrativa di

112
Vd. Thuc. 1, 22, 1 o{sa me;n lovgw/ ei\pon e{kastoi, 2 ta; d∆ e[rga tw``n pracqevntwn, sulle cui problematiche
interpretative vd. L. Canfora, La storiografia greca, pp. 62 s.
113
Sulla continuità tra la diegesi epica e quella storica vd. L. Canfora, La storiografia greca, pp. 61 ss.
114
Vd. G. Broccia, La forma poetica dell'Iliade e la genesi dell'epos omerico, Messina 1967, pp. 12-18, che invidua nei
canti dei poemi omerici le unità narrative corrispondenti alle rapsodie che venivano eseguite nella recitazione rapsodica.
115
Su tale continuità tra ciclo epico e storico vd. L. Canfora, La storiografia greca, pp. 75 ss.
116
Vd. al riguardo B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari 1984, p. 19; M. Durante, Sulla
preistoria della tradizione poetica greca, I, Roma 1971, pp. 176 ss.; V. Di Benedetto, Odissea, Milano 2010, p. 191
comm. a Od. 1, 337 ss.
117
Vd. Od. 8, 74; 481 (canto di Demodoco).

19
più ampio respiro. L'espansione ulteriore della sequenza narrativa tipica delle rapsodie che si
susseguono nell'agone rapsodico118 si pone all'origine del ciclo epico.

L'òime del racconto di Odisseo corrisponde a quella del canto degli aedi, tema famoso in cui si
distingue la novità del racconto dei nòstoi degli eroi narrati da Femio ed Odisseo. E' noto come
l'Odissea sia nata dalla rielaborazione ampliata del tema del ritorno degli eroi con particolare
riguardo ad Odisseo. La novità di questo tema è segnalata in Od. 1, 352 nelle parole di Telemaco
che riconosce all'aedo l'abilità di narrare temi nuovi che incuriosiscono il pubblico.

L'ARTE DEL RACCONTO NELLA POETICA OMERICA: OD. 8, 487-498


L'ARTE DEL RACCONTO TRA NARRAZIONE EPICA, ELOQUENZA E DISCORSO STORICO

118
Vd. G. Broccia, La forma poetica dell'Iliade e la genesi dell'epos omerico, Messina 1967, pp. 12-18, che invidua nei
canti dei poemi omerici le unità narrative corrispondenti alle rapsodie che venivano eseguite nella recitazione rapsodica.

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