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LA POESIA COME ENIGMA:

LE VIE DELLA NOTTE E DEL GIORNO IN OD. 10, 82-86

sezioni sottolineate= aggiunte posteriori ad invio dell'art. ad Hermes

L'enigma è un gioco di parole fatto di antitesi e contraddizioni che nascondono un inganno: a


conferma della natura antifatica e contraddittoria dell'enigma basterebbe citare quel passo
dell'Apologia platonica, dove Socrate paragona per la sua natura contraddittoria ad un vero e
proprio enigma1 l'accusa formulata da Meleto «Socrate è colpevole di non credere agli dei, ma di
credere agli dei» o l'indovinello parente stretto dell'enigma che si legge in Pl. rsp. 479bd «un uomo
che non è un uomo, tira e non tira una pietra che non è una pietra ad un uccello che non è un
uccello».
Il parlar per enigmi sembra essere un tratto peculiare del codice espressivo della sapienza sia
ellenica che anellenica. L'enigma è associato al linguaggio della sapienza in Prov. 1, 5-6, dove si
esorta il saggio ad ascoltare «per comprendere proverbi ed allegorie, le massime dei saggi ed i loro
enigmi» e nell’Ecclesiastico (39, 1-3), dove si legge come lo scriba si dedica alla ricerca della
sapienza degli antichi, allo studio delle profezie, dei detti degli uomini famosi ed all’interpretazione
delle sottigliezze e degli enigmi delle parabole, del senso recondito dei proverbi. Apprendiamo dalla
tradizione ellenica2 come gli antichi sophòi prediligessero come modalità espressiva l'enigma che
richiama il linguaggio della divinazione e della profezia 3: il sapiente imita il linguaggio oracolare
del dio per dimostrare il primato della sua sapienza, che si eleva al di sopra della condizione umana.
Questa inclinazione a celare e non comunicare con chiarezza i significati tipica del linguaggio degli
antichi sophòi verrà censurata da Platone, che in Thaet. 1804 critica il linguaggio oscuro degli
eraclitei, e ancor più da Aristotele, che nella Retorica5 evidenzia come il discorso, se non comunica
con chiarezza i significati, non svolge efficacemente la sua funzione.
L'occasione in cui si esibisce e publicizza l'eccellenza nel sapere è la sfida dell'enigma in cui chi
soccombe e si lascia ingannare perde l'onore e talvolta la sua stessa vita. L'esperienza tragica della
morte conseguente alla sconfitta è ben nota dalla leggenda sulla morte di Omero disperato per non
1
Pl. Ap. 27a. Lo stesso schema antifatico è attestato in oracoli biblici in forma di enigma: ad es. in Amos 9, 13, in un
contesto profetico che annuncia la restaurazione del popolo d'Israele, si afferma che «verranno giorni in cui, oracolo del
Signore, chi ara s'incontrerà con chi miete e chi pigia l'uva con chi getta il seme» e così in in Abacuc 2, 6-7 «guai a chi
accumula ciò che non è suo e si carica di beni avuti in pegno! ...». Sullo schema antifatico dell'enigma vd. G. Colli, La
sapienza greca, I-II, Milano 1978, I, p. 48; La nascita della filosofia, Milano 1975, p. 55.
2
Così Paus. 8, 8, 3 «anticamente i Greci considerati sapienti sviluppavano i loro discorsi mediante enigmi e non in
modo rettilineo», la cui affermazione trova riscontro nel commento alla Fisica di Aristotele (184b, 15) di Simplicio (36,
25-31 Diels), dove si contrappone l'arte della confutazione dei più moderni filosofi alle espressioni enigmatiche degli
antichi sapienti; Plu. de Hom. Poes. 92, dove si afferma che parlare in modo allusivo e simbolico è ammirabile (kai; ga;r
ejstiv pwı to; me;n di∆ uJponoivaı shmainovmenon ajgasto;n, to; de; fanerw``ı legovmenon eujtelevı); Plu. Sol. 18
(ambiguità delle leggi di Solone); Plu. de Pyth. orac. 29 (detti dei Sette sapienti); Pl. rsp. 332 b-c (Simonide); Arist. rh.
1412a, 19-26 (enigma negli apophtègmi); Diog. Laert. 9, 6 (Eraclito); Proclo, comm. ad Pl. Tim. 23c (Ferecide); Scholia
ad Pl. Phaed. 61d (Filolao, Pitagorici); Suda, s.v. Epimenide (II 370, 11-12 Adler). Sulla predilezione per l'espressione
enigmatica degli antichi sapienti vd. A. Lobeck, Aglaophàmus sive de theologiae mysticae Graecorum causis libri tres,
I-II, Regimontii 1829, I, pp. 160-164; G. Colli, La nascita della filosofia, pp. 49-69.
3
Sulla natura enigmatica degli oracoli vd. Aisch. Ag. 1112-1113 (ejx aijnigmavtwn / ejpargevmoisi qesfavtoiı
ajmhcanw`) e la difesa di Plutarco in Mor. 407 a ss. (de Pyth. orac.). Sull'oscurità del linguaggio oracolare vd. D.N.
Goudes, To; Mantei`on tw``n Delfw``n, Atene 1937; W.B. Stanford, Ambiguity in Greek Literature; Studies in Theory
and Practice, New York 1972, pp. 119 s.; K. Latte, s.v. Orakel, RE, XVIII, 1, coll. 845-846; J. Fonterrose, The Delphic
Oracle, Barkeley-Los Angeles 1978; I. Chirassi Colombo-T. Serpilli (a c.), Sibille e linguaggi oracolari: mito, storia,
tradizione, in «Atti del Convegno, Macerata-Norcia, settembre 1994», Roma 1998; E. Tagliaferro, Linguaggi oracolari
a confronto e la satira di Luciano, Messina 1999; A. Giuliani, Erodoto, Tucidide e gli indovinelli degli indovini.
Considerazioni sull'ambiguità del linguaggio oracolare, Milano 2000.
4
Thaet. 180 a]n tinav ti e[rh/ w{sper ejk farevtraı rJhmativska aijnigmatwvdh ajnaspwvnteı ajpotoxeuvsi, ka]n touvtou
zhth/`ı lovgon labei``n ti; eijrhken, eJtevrw/ peplhvxei kainw``ı metonomasmevnw/.
5
Arist. rh. 1404b, 1 shmei`on gavr ti oJ lovgoı, eja;n mh; deloi``, ouj poihvsei to; eJautou`` e[rgon.

1
essere riuscito a risolvere l'enigma proposto da giovani pescatori nell'isola di Io 6 e da quella
sull'agone tra Mopso e Calcante conclusosi con la morte di Calcante7.
Varie sono le forme dell'enigma8: divinatorio-oracolare, rituale, sapienziale, conviviale, letteraria.
Giorgio Colli9 delinea un'evoluzione dall'enigma dell'oracolo alla sfida dell'enigma lanciata dal dio
all'uomo di cui si ha attestazione nel mito della Sfinge inviata da Hera per punire Tebe, alla gara tra
sapienti con e senza implicazioni tragiche.
Quello che interessa la nostra analisi è l'enigma sapienziale e la sua versione letteraria di cui
riteniamo si possa ravvisare il primo esempio nei poemi omerici in Od. 10, 8610. Non può infatti non
definirsi enigmatica l’espressione con cui in Od. 10, 86 la terra dei Lestrigoni viene posta lì dove si
avvicinano «i sentieri della notte e del giorno» con una metafora che ricorda la definizione
aristotelica secondo cui l'enigma consiste nel «dire cose reali collegando cose impossibili» 11. Quel
che è certo è che l'espressione ha un valore figurato: il significato concreto delle parole non
corrisponde all'oggetto del pensiero, proprio come nella metafora. Il riferimento alla vicinanza dei
sentieri della notte e del giorno allude infatti alla brevità della notte o al suo essere rischiarata dalla
luce e stabilisce un nesso di fatto impossibile tra le vie della notte e del giorno; come infatti
potrebbe verificarsi nella realtà la contiguità tra i sentieri della notte e del giorno? La natura
volutamente enigmatica dell'espressione si evidenzia nel fatto che l'indicazione allusiva in forma
metaforica sulla brevità della notte non fornisce indizi chiari sulla topografia dei Lestrigoni, che
rimane oscura e questo ha suscitato un dibattito nella critica antica e moderna sulla topografia di
questa terra, dove il sole sembra non tramontare mai. L'espressione è stata dunque formulata
intenzionalmente in modo enigmatico ed ambiguo proprio per lanciare una sfida alla soluzione
dell'enigma. Non mancano altri esempi omerici di espressioni enigmatiche che prefigurano, secondo
alcuni studiosi12, l'enigma letterario: in Od. 12, 127-131 nella descrizione delle mandrie di Helios,
che non generano prole e non muoiono, ed in Il. 6, 179-182, dove della Chimera si dice che è
«leone davanti, dietro serpente, capra nel mezzo» con una scansione espressiva tipica degli enigmi
di cui si ha un esempio nel ben noto enigma della Sfinge « Qual è quella cosa che ha una sola voce
e ha quattro gambe e due gambe e tre gambe?»13.
L'oscurità dell'enigma non riguarda solo Od. 10, 86, ma tutte le indicazioni sulla topografia dei
Lestrigoni nei vv. 82-8614 si può dire abbiano una formulazione enigmatica a cominciare dalle
singolari abitudini dei pastori contrarie alla norma ed all'uso comune nei vv. 82-85. In questo caso
non sussiste alcuna metafora, ma il discorso risulta ugualmente ambiguo ed oscuro. La scansione
dell'enigma si articola in tre tempi: quello del pastore che rientra con il gregge chiamando quello
che esce e risponde al richiamo, in cui si ha l'avvicendarsi senza soluzione di continuità tra giorno e
notte di due pastori con il loro gregge, quello in cui si prospetta per un uomo insonne la possibilità
di guadagnare due paghe pascolando buoi e pecore ed infine quello della continguità delle vie del
giorno e della notte, che nella sua ambigua formulazione non chiarisce nell'immediato la causa delle
situazioni prima rappresentate e questo spiega l'ampio dibattito suscitato dal passo omerico

6
L'episodio è riportato in Arist. de poet. fr. 8 Ross; Ps. Plu. Vit. Hom. 46-49, 62-71; Heracl. VS 22 B 56 D.-K.;
Certamen Hom. et Hes. 59-60; 323-333. Per questo enigma vd. G. Colli, La sapienza greca, I, 7A11, pp. 347 s.
7
Il racconto è in Strab. 14, 1, 27 e 5, 16-17; Hes. fr. 278 Merkelbach-West. Sulla leggenda e le sue implicazioni nella
storia dell'enigma sapienziale vd. G. Colli, La nascita della filosofia, pp. 51-53.
8
Sulle diverse tipologie dell'enigma e sulla sua prospettiva culturale in senso antropologico e religioso vd. A. M. Di
Nola in Enciclopedia Einaudi, s.v. Enigma, vol. 5, Torino 1978.
9
G. Colli, La nascita della filosofia, pp. 56-57.
10
Od. 10, 86 ejggu;ı ga;r nukto;ı te kai; h[matovı eijsi kevleuqoi.
11
Arist. po. 1458a, 26-30. Sulla stretta parentela tra metafora ed enigma vd. anche rh. 1405b, dove si afferma che le
metafore sono una sorta di enigmi. Per la struttura metaforica dell'enigma vd. anche Pl. Carm. 161cd.
12
Vd. G. Colli, La sapienza greca, I, p. 435.
13
Vd. Apoll. 3, 5.
14
Od. 10, 82-86 ...o{qi poimevna poimh;n hjpuvei eijselavwn, / oJ dev t∆ ejxelavwn uJpakuvei. e[nqa k∆ a[upnoı ajnh;r
doiou;ı ejxhvrato misqou;ı, / to;n me;n boukolevwn, to;n d∆a[rgufa mh``la nomeuvwn: / ejggu;ı ga;r nukto;ı te kai;
h[matovı eijsi kevleuqoi.

2
nell'ermeneutica antica15 e moderna16, che in alcuni casi è approdato alla proposta di espunzione dei
versi di così difficile interpretazione17.
Un primo problema riguarda il referente logico di ejgguvı nel v. 86 diversamente identificato o con
la terra dei Lestrigoni («poichè vicino alla terra dei Lestrigoni si trovano le vie della notte e del
giorno»)18 o con le vie della notte e del giorno («poichè vicini sono i sentieri della notte e del
giorno»)19: nel primo caso la terra dei Lestrigoni verrebbe localizzata vicino alle vie della notte e del
giorno, nel secondo si evidenzierebbe la vicinanza delle vie del giorno e della notte come
motivazione di quanto prima affermato sulle singolari abitudini dei pastori. Nella sostanza
comunque il discorso non cambia in quanto il dato comune ad entrambe le interpretazioni prefigura
nella terra dei Lestrigoni la contiguità tra notte e giorno che può significare o che la notte è breve o
che è illuminata come il giorno. Solo in questo caso infatti è verosimile l'avvicendarsi di due pastori
senza la pausa notturna e sussisterebbe la possibilità per un pastore insonne di guadagnare due
paghe.
Tre sono le possibili soluzioni dell'enigma a cui è legata la topografia del paese dei Lestrigoni:
l'estremo nord delle notti artiche secondo l'interpretazione di Cratete di Mallo 20, l'occidente in cui
vengono collocati i Lestrigoni insieme all'isola di Circe da Esiodo 21, l'estremo oriente22, dove viene
posta in Ap. Rod. 1, 957 la fonte Artachia citata in Od. 10, 108. La collocazione ad oriente potrebbe
giustificarsi con l'intuizione che nell'estremo oriente, dove il sole sorge prima, si prospetta l'estrema
brevità della notte ed il suo sconfinare nel giorno23; una conferma in questo senso potrebbe venire
dalla contrapposizione polare tra i Cimmeri, popolo delle tenebre, posto in prossimità dell'ingresso
dell'Ade in occidente24, ed i Lestrigoni, popolo della luce ad oriente e dalla continuità tra il paese
15
Vd. al riguardo lo Schol. H e Q ad Od. 10, 86 tou``to de; e[fh wJı mh; th``ı hJmevraı ajfistamevnhı th`ı nukto;ı, ajlla;
th/`` pareleuvsei aujth``ı eijsevrcesqai nuvkta, secondo cui la notte non sarebbe distinta dal giorno e cadrebbe
repentinamente al passaggio del giorno. Gli scoli riportano l'esegesi di Cratete di Mallo, che individua in Od. 10, 86 il
riferimento alla brevità della notte e, richiamandosi ad Arato 61-62, dove è descritta la costellazione del Dragone posta
tra Orsa maggiore e minore vicino alla stella polare, ipotizza che il paese dei Lestrigoni si trovi a nord in corrispondenza
nella volta celeste della testa della costellazione del Dragone, dove il sorgere del sole coincide con il suo tramonto
(Kravthı braceivaı aujtou` uJpotivqetai ta;ı nuvktaı, kai; gavr fhsin aujtou;ı ei\nai peri; kefalh;n tou`` dravkontoı, peri; h|
ı [Aratovı fhsi keivnh pou kefalh; th/`` neivsetai h|civ per a[krai mivsgontai duvsievı te kai; ajntolai; ajllhvlh/sin. {Oqen
suvnegguı oujsw``n tw``n ajnatolw``n tai``ı duvsesi levgein to;n poihth;n ejggu;ı ga;r nukto;ı te; kai; ta; ejxh``ı, para; to;
plhsiavzein ta;ı th``ı nukto;ı kaleuvqouı, tai``ı tou`` h[matoı keleuvqoiı h] th;n nuvkta ejggu;ı tetavcqai th``ı hJmevraı
bracutavthn ou\san). Sull'esegesi di Cratete di Mallo vd. M. Van der Valk, Textual Criticism of the Odyssee, Leiden
1949, pp. 113 ss.; A. Tsopanakis, Lestrigoni, «QUCC» 40, 1992, pp. 7-13.
16
Per l'esegesi del passo omerico vd. K.F. Ameis - C. Hentze, Homers Odyssee, VII-XII, Leipzig-Berlin 1908, ad loc.;
W.B. Stanford, The Odyssey of Homer, I-II, London-New York 1962-1964, I, p. 368; A. Heubeck (a c.), Omero.
Odissea, vol. III (libri IX-XII), Milano 1983, pp. 224 s.; H. Vos, Die Bahnen der Nacht und Tag, «Mnemosyne» 16,
1963, pp. 19-34; A. Tsopanakis, Lestrigoni, cit.; P. Argenziano, «Vicini sono i sentieri della Notte e del Giorno»: una
proposta esegetica per Od. 10, 80-86, «Seminari romani di cultura greca», N.S., I 1, 2012, pp. 71-88.
17
All'espunzione si orientano E. Schwartz, Die Odyssee, München 1924, p. 314, e G. Germain, Genèse de l'Odyssée. Le
fantastique et le sacré, Paris 1954, pp. 517-525.
18
Così A. Heubeck, Omero. Odissea, vol. III (libri IX-XII), pp. 224 s., che pone in rapporto la singolarità dei dati
topografici della terra dei Lestrigoni con la prospettiva favolosa dell'estremo oriente contrapposta a quella altrettanto
favolosa dell'oscurità caliginosa dell'estremo occidente, dove abitano i Cimmeri.
19
Così K.F. Ameis - C. Hentze, Homers Odyssee, VII-XII, ad loc.; O. Becker, Das Bild des Weges und verwandte
Vorstellungen im frühgriechischen Denken, Berlin 1937, pp. 18, 213; D.L. Page, Folktales in Homer's Odyssee,
Cambridge Mass. 1972, p. 40.
20
Con l'esegesi di Cratete concordano K.F. Ameis - C. Hentze, Homers Odyssee, VII-XII, ad loc.; R. Merkelbach,
Untersuchungen zur Odyssee, «Zetemata» 2, München 19692, p. 201, n. 2; A. Lesky, Homeros, RE, Suppl. II, col. 111;
W.B. Stanford, Odyssey, vol. I, p. 368, che paragona la costa descritta in Od. 10, 87 ss. ai fiordi scandinavi. Per le
difficoltà insite in tale interpretazione dovute alla vicinanza tra i Lestrigoni e la tappa successiva dell'isola di Circe ad
oriente vd. R. Hennig, Die Geographie des homerisches Epos, Berlin 1934, pp. 79-85; H. Vos, Die Bahnen der Nacht...,
pp. 19-34.
21
Vd. Cataloghi, fr. 150, 25-27 Merkelbach-West e Th. 1011-1116, dove si fa menzione di Agrio e Latino, figli di
Odisseo e Circe.
22
Così A. Heubeck, Omero. Odissea, III, pp. 224 s.; H. Vos, Die Bahnen der Nacht..., p. 23.
23
Sulla durata del giorno nelle concezioni omeriche vd. A. Lesky, Homeros, Stuttgart 1967, p. 111.
24
I Cimmeri sono diversamente collocati ad est da V. Di Benedetto, Odissea, p. 594, che propone l'identificazione di
questo popolo con quello storico di cui parlano Callino fr. 5 West ed Hdt. 4, 11, che venendo da oriente invase nel sec.

3
dei Lestrigoni e la tappa successiva del nòstos rappresentata dall'isola di Circe situata ad est presso
la dimora dell'Aurora in Od. 12, 3-4. D'altra parte l'assenza di notazioni temporali che marchino la
distanza tra i Lestrigoni ed Eea non significa necessariamente che le due tappe siano contigue. Non
mancano altri esempi in cui l'approdo alla tappa successiva non si accompagna alla segnalazione
della durata del percorso: ad esempio nel viaggio dai Lotofagi ai Ciclopi in Od. 9, 105 e dai Ciclopi
all'isola di Eolo in Od. 10, 125. Desta qualche perplessità l'ipotesi recentemente formulata 26 di un
riferimento in Od. 10, 86 alla porta cosmica che marca il confine tra la Notte ed il Giorno ed
introduce all'abbisso primordiale di cui si individuano riscontri nella descrizione dell'Ade nella
Teogonia esiodea e nel poema parmenideo Sulla natura: la topografia dei Lestrigoni coinciderebbe
con questa immaginaria porta cosmica in una dimensione assolutamente favolosa e lontana dalla
realtà. Inutile pertanto interrogarsi su corrispondenze con la geografia reale. Il paradosso della
doppia paga del pastore viene spiegato con la possibilità di varcare alternativamente questo confine
tra Notte e Giorno corrispondente alla porta cosmica, orientandosi verso la luce, secondo
un'interpretazione già formulata da Scodel27. La debolezza argomentativa di tale proposta esegetica
risiede soprattutto nell'estensione al passo omerico della particolare rielaborazione esiodea e
parmenidea dell'archetipo mitico delle vie della notte e del giorno. I riscontri in Esiodo e Parmenide
rappresentano infatti una riformulazione dell'archetipo ed insieme del modello omerico in cui
l'interpretazione si associa alla possibile variazione.
La questione coinvolge necessariamente quella della geografia dell'Odissea e la possibilità di
stabilire connessioni tra i luoghi del nòstos e quelli della geografia reale di età omerica e post-
omerica messa in dubbio da Eratostene secondo la testimonianza di Strab. 1, 2, 12-14. I tratti
marcatamente favolistici dei Lestrigoni28, giganti antropofagi come i Ciclopi, potrebbero infatti
vanificare i tentativi di individuare una loro precisa collocazione geografica e porsi in rapporto con
la prospettiva altrettanto favolosa ed irreale della geografia omerica. Per quanto riguarda la
localizzazione dei luoghi del nòstos si possono individuare nella riflessione erudita antica tre diversi
orientamenti che nella sostanza corrispondono a quelli degli studiosi moderni: quello di Aristarco e
Polibio che collocano il viaggio nel mare interno tra Europa, Asia e Africa ovvero nel
Mediterraneo, quello di Cratete che pone alcune tappe del viaggio nell'Oceano che circonda il
perimetro della superficie terrestre (Lestrigoni, Circe, Ade), quello scettico di Eratostene che nega il
fondamento storico-geografico delle tappe del nòstos di Odisseo29. All'ipotesi di Cratete s'ispira
quella innovativa di Cerri30 che pone lungo l'Oceano in senso orario da ovest ad est tutte le tappe del
viaggio dopo capo Malea (Lotofagi, Ciclopi, isola di Eolo, Lestrigoni, isola di Eea), identificando le
colonne d'Ercole con il canale di Sicilia. Si avrebbe così una coincidenza tra l'Oceano al di là del
canale di Sicilia ed il Tirreno, dove poi la tradizione post-omerica riconducibile ai coloni greci

VIII a. C. l'Asia minore.


25
Su questa vaghezza nelle determinazione temporali dei percorsi di viaggio vd. V. Di Benedetto, Odissea, Milano
2010, p. 549.
26
Così P. Argenziano, «Vicini sono i sentieri della Notte e del Giorno»..., che si richiama a R. Scodel, The Path of Night
and Day, «Ordia prima» 2, 2003, pp. 83-86. I luoghi esiodei e parmenidei in cui si avrebbe riscontro della porta cosmica
sono Hes. Th. 741; 749-750; 811-813 e Parm. 28 B1, 11 D.-K. Questa porta cosmica viene distinta in Esiodo da quella
dell'Ade (Th. 773) senza valide motivazioni contro interpretazioni più convincenti, come quella di G. Cerri ( Parmenide.
Poema sulla natura, Milano 1999, comm. al v. 11; Cosmologia dell'Ade in Omero, Esiodo e Parmenide, «PP» 50,
1995, pp. 437-467), che più opportunamente associa le porte della dimora della Notte in Hes. Th. 749-750 a quella
dell'Ade (Th. 773) da cui si accede al chaos cosmico (Th. 741, 811-813). Sulla morfologia dell'Ade in Esiodo e le sue
problematiche interpretative rimando al mio studio Chaos e Ade in Hes. Th. 720-819, «Hermes» 140, 1, 2012, pp. 1-24.
27
Vd. il già citato studio di R. Scodel, The Path of Night and Day.
28
Su questi tratti favolosi vd. L. Radermacher, Die Erzählungen der Odyssee, «Sitzungsberichte der österreichischen
Akademie der Wissenschaften in Wien», Phil.-hist. Klasse, 178 Abh. 1, 1915, pp. 16-18; D.L. Page, Folktales..., pp. 25-
31; G. Germain, Genese..., pp. 415-417. Sui Lestrigoni vd. anche K. Meuli, RE, Suppl. V, coll. 537-540 e A.
Tsopanakis, Lestrigoni.
29
Le posizioni di Aristarco e Cratete sono riassunte in Gell. 14, 6, 3. Sulla geografia omerica vd. R. Hennig, Die
Geographie des homerisches Epos e A. Wolf, Der Weg des Odysseus, Tübingen 19683. Sul dibattito antico e moderno
rimando all'analisi di G. Cerri, L'Oceano di Omero: un'ipotesi nuova sul percorso di Ulisse, in E. Greco e M. Lombardo
(a c.), «Atti del Convegno internazionale, Atene 25-27 maggio 2006», pp. 1-51.
30
Vd. G. Cerri, L'Oceano di Omero.

4
collocherà alcune tappe del viaggio di Odisseo, come la terra di Circe e l'isola di Calipso. Il poema
omerico recherebbe traccia di un'antica concezione geografica ancora produttiva nei primi tempi
della colonizzazione dell'occidente, quando i coloni greci insediandosi sulle coste dell'Italia
meridionale erano convinti di navigare nel fiume Oceano. Solo in età post-omerica, ampliandosi le
conoscenze geografiche, i confini occidentali dell'Oceano sarebbero stati spostati oltre il Tirreno e
lo stretto di Gibilterra.
Se è problematico stabilire una connessione tra la geografia dell'Odissea e quella reale, è pur vero
però che non si può negare del tutto il fondamento storico del mito ed il suo ancoraggio alle
conoscenze geografiche del tempo. I riflessi nel mito della geografia reale presuppongo un
complesso meccanismo di rifrazione tra mito e attualità del poeta secondo una dinamica simile a
quella che si produce nel mythos della tragedia. Studi recenti hanno evidenziato la connessione tra
mito e realtà storico-geografica nelle tradizioni mitiche dell'età geometrica ed arcaica 31,
individuando aree culturali dominanti nella produzione di miti che riflettono processi evolutivi
dell’assetto politico delle pòleis e della loro espansione coloniale. In questa tradizione mitistorica
riflessa nelle tradizioni e culti locali, nella toponomastica e nei cosiddetti portolani che descrivono
le rotte marittime si individuano tracce dei luoghi menzionati nel viaggio di Odisseo collocati nel
mediterraneo occidentale. In questo ambito si pongono le corrispondenze rilevabili tra il percorso
del nòstos ed i luoghi menzionati nel periplo dello Pseudo-Scilace databile al IV sec. 32, ma risalente
ad una versione più antica del VI sec. e ad una più antica tradizione di peripli in versi e in prosa, che
appare in qualche modo legata al racconto odissiaco. Rimane aperta la questione se questa
tradizione mitistorica risalga alla geografia omerica oppure si sia formata in età post-omerica: nel
primo caso il poema odissiaco si porrebbe all'origine delle rotte descritte nei portolani e delle
connessioni stabilite nella toponomastica dell'Occidente tirrenico con i luoghi del viaggio di
Odisseo; nel secondo invece la tradizione post-omerica attestata a partire da Esiodo e dal Periplo di
Scilace33 rappresenterebbe solo un tentativo di dare verità storico-geografica al racconto omerico,
ma non contribuirebbe a chiarire il percorso del viaggio e ad individuarne i luoghi. Se questa
tradizione mitistorica che associa i luoghi del nòstos di Odisseo all'Occidente è postomerica essa è
da ricondurre ai coloni greci che vollero nobilitare i luoghi delle colonie attraverso la loro
identificazione con le tappe del viaggio di Odisseo. Ques'ultima ipotesi sembra essere la più
probabile. Resta comunque problematico accertare la presenza nel poema di tracce della conoscenza
dell'occidente ionico-tirrenico: se mancano riferimenti alle coste tirreniche, esistono invece indizi a
favore della conoscenza della Sicilia 34 riconducibile al riflesso dell'espansione coloniale coeva al
poema da datarsi non prima dell'VIII sec. a.C.35.
31
Per l'epica postomerica vd. A. Debiasi, L’epica perduta. Eumelo, il Ciclo, l’occidente, Hesperìa 20, Roma 2004, che
individua nella tradizione dell’epica arcaica tradizioni epicoriche riconducibili all’area corinzia, peloponnesiaca, focese,
attica ed euboica. Per l'area euboica vd. A.C. Cassio, La cultura euboica e lo sviluppo dell’epica greca, in AttConv
Euboica, L’Eubea e la presenza euboica in calcidica e in Occidente, Napoli 1996, pp. 11-22.
32
Le corrispondenze con il periplo dello Ps.Scilace s'inseriscono nell'ambito di più significative analogie per cui si
potrebbe ravvisare nell'Odissea un prototipo dei peripli: sull’Odissea come ‘periplo’ del Mediterraneo vd. O. Murray,
Omero e l’etnografia, «Kokalos», 34-35, «Atti del convegno del VII convegno internazionale di storia della Sicilia
antica», 1988-1989, pp. 1-17. Sulle corrispondenze testuali tra il linguaggio convenzionale e quasi formulare dei peripli
e i nessi formulari che scandiscono nel racconto odissiaco il percorso del viaggio vd. G. Cerri, L'Oceano di Omero..., p.
45 n. 72, che confronta le formule omeriche con quelle del periplo di Annone nella traduzione greca del IV sec.
33
Vd. Hes. Th. 1011-1016, dove si riconduce la nascita di Agrio e Latino, signori dei Tirreni, ad Odisseo e Circe;
Ps.Scil. 8 Turrhnivaı e[contai Lati``noi mevcri tou`` Kirkaivou. Kai; to; tou`` jElphvnoroı mnh``mav ejsti Lativnwn; 13
Krovtwn, Lakivnion iJero;n {Hraı kai; nh``soı Kaluyou``ı, ejn h/` jOdusseu;ı w[/kei para; Kaluyoi``, kai; povtamoı
Kra``qiı.
34
Si vedano al riguardo i riferimenti in Od. 20, 381-383; 24, 211; 307; 366; 389 alla Sicilia denominata «Sicania» da
Eumeo in Od. 15, 403 ss. In Od. 20, 381-383 i pretendenti consigliano a Telemaco di mettere i suoi ospiti, Teoclimeno e
il vecchio mendico, in una nave e venderli ai Siculi. Sicula è detta la vecchia che accudisce Laerte in Od. 24, 211; 366;
389. Tali indizi vengono svalutati da G. Cerri (L'Oceano di Omero..., p. 24) secondo cui nei luoghi omerici si farebbe
riferimento solo alla costa ionica e non tirrenica della Sicilia. Secondo lo studioso l'Occidente tirrenico sarebbe
sconosciuto ad Omero e la prima vera menzione di luoghi dell'area tirrenica si troverebbe nel catalogo degli eroi della
Teogonia esiodea nei vv. 1011-1116, dove si fa menzione di Agrio e Latino come figli di Odisseo e Circe.
35
La datazione del poema alla seconda metà dell'VIII secolo si fonda proprio sull'individuazione nel mito dell'eco del
fenomeno della colonizzazione non nella forma attestata nell'età micenea caratterizzata da insediamenti commerciali,

5
Si possono individuare alcune idee fondamentali da cui derivare una premessa metodologica utile
alla soluzione delle problematiche interpretative relative alla geografia omerica ed in particolare alla
topografia dei Lestrigoni. Innanzi tutto la geografia omerica se da una parte si prospetta come
favolosa e trasfigurata dalla fantasia del poeta - e questo certo scoraggia i tentativi di individuare
corrispondenze puntuali con la geografia reale -, dall'altra appare integrata nella prospettiva
mitistorica del racconto e questo non lascia escludere un ancoraggio se non alla geografia reale,
almeno alle nozioni cosmologiche e geografiche del tempo del poeta, nozioni che per quanto
riguarda l'area mediterranea si andavano sempre più espandendo grazie alla colonizzazione e
potevano raccogliere l'eco di esperienze di viaggio oceaniche di più ampio respiro, come quelle dei
Fenici che avevano varcato le colonne d'Ercole. La sinergia tra fantasia e realtà nel mythos porta
dunque a valutare con prudenza i riferimenti alla geografia reale, ma nel contempo a non rinunciare
a cercare un margine di attendibilità e verosimiglianza nelle notazioni topografiche del nòstos.
La geografia dell'Odissea potrebbe quindi avere una sua logica in rapporto alle conoscenze
geografiche del tempo e questo induce a stabilire una connessione tra la topografia dei Lestrigoni e
la geografia reale, così come era concepita nelle concezioni del poeta e del suo pubblico.
Due sono le ipotesi più attendibili riguardo all'enigmatica topografia dei Lestrigoni: quella
nordica e quella orientale. L'ipotesi nordica presuppone il riflesso di nozioni geografiche acquisite
tramite popoli non ellenici, come i Fenici, che si erano spinti oltre le colonne d'Ercole verso nord. In
questo caso la vicinanza delle vie della notte e del giorno significherebbe che la notte è breve o in
alternativa illuminata come il giorno e questo avrebbe senso in rapporto alla collocazione dei
Lestrigoni nell'estremo nord, dove la notte per sei mesi dell'anno è illuminata dai raggi solari. La
fantasia del poeta porta a prospettare come permanente una situazione che nella realtà si produce
nell'estremo nord solo durante sei mesi dell'anno. Diversamente la collocazione nell'estremo oriente
potrebbe giustificarsi in relazione al fondamento intuitivo e non scientifico della geografia e
cosmologia omerica a cui è estranea l'idea dei fusi orari ed in cui l'estremo est viene a contrapporsi
specularmente all'estremo ovest: la percezione intuitiva del fatto che ad oriente il sole sorge prima,
togliendo tempo alla notte, porterebbe a ritenere che nell'estremo oriente la notte è più breve o non
esiste affatto in quanto sconfina nel giorno con l'effetto di una coincidenza o comunque di un rapido
susseguirsi tra il tramonto, che scandisce l'inizio della notte, ed il sorgere del sole. La stessa
percezione intuitiva sarebbe all'origine dell'idea che nell'estremo occidente le ore diurne coincidono
con quelle notturne poichè, sorgendo il sole sempre più tardi, si avrebbe una sovrapposizione tra il
sorgere ed il tramonto del sole. L'idea che il giorno inizia con le ore notturne e quindi non con il
sorgere, ma con il tramonto del sole, spiega perchè nella iunctura omerica in Od. 10, 86, così come
in Hes. Th. 74736 e nei versi di Parmenide, che descrivono il viaggio del sapiente verso il cielo 37, la
notte è sempre menzionata prima del giorno, in quanto viene prima in ordine di tempo. Quindi
nell'estremo oriente il tempo della notte sarebbe sottratto alle tenebre ed irradiato dai raggi solari,
mentre nell'estremo occidente le ore diurne sarebbero offuscate dalle tenebre. L'estremo oriente si
prospetta così come la terra della luce allo stesso modo in cui l'estremo occidente come la terra delle
tenebre. La collocazione nell'estremo nord, secondo l'ipotesi di Cratete, sembra la più convincente.
La questione rimane comunque aperta e questo si deve alla natura volutamente ambigua ed oscura
dei riferimenti geografici formulati in forma di enigma.
L'enigma omerico si propone come una delle prime attestazioni dell'enigma letterario, che si
affianca all'enigma sapienziale di cui si hanno molteplici attestazioni nel mondo antico. Una
situazione frequente è quella della sfida nella soluzione di enigmi tra personaggi divini o umani con
prerogative regali famosi per la loro sapienza. Alcuni esempi, oltre che nella tradizione mitica
indiana e germanica38, dove sono preferibilmente le divinità artefici o destinatari di enigmi, si

ma in quella posteriore dell'età del ferro (vd. V. Di Benedetto, Odissea, pp. 72 ss.). Un indizio si ha in Od. 9, 116-151
nella descrizione dell'isola antistante la terra dei Ciclopi in cui Odisseo individua aspetti favorevoli alla colonizzazione
(fertilità del suolo, ottimi approdi).
36
Hes. Th. 748 ... o{qi Nuvx te kai; JHmevrh a\sson ijou``sai.
37
Parm. 28 B 1, 11 D.-K. e[nqa puvlai Nukto;ı te kai; JHmatoı eijsi keleuvqwn.
38
L'enigma con valore rituale e sapienziale è attestato negli Inni vedici e nei miti germanici (indovinelli posti da Odino
e Thor nell'Edda).

6
possono trovare nella cultura ebraica: apprendiamo da Giuseppe Flavio39 che Salomone scambiava
enigmi con il re di Tiro, così come faceva Amasis, re di Egitto, con il re degli Etiopi 40. In I Re, 10, I
si narra come la regina di Saba, avendo udito della fama della sapienza di Salomone, venne a
Gerusalemme per metterlo alla prova con degli enigmi 41 e così in Dan. 8, 24, nell'ambito della
profezia escatologica, dell'avvento di un re «esperto in enigmi».
Nella tradizione ellenica l'enigma sapienziale è attestato in relazione a poeti/indovini nella
leggenda sulla morte di Omero sconfitto nella soluzione di un enigma 42 ed in quella sulla disputa tra
Mopso e Calcante. Alcuni di questi indovini protagonisti di poemi dell'epica arcaica 43 entrano in
competizione per la conquista non solo del primato nella sapienza, ma anche del potere regale.
L'abilità intellettuale nell'elaborare e sciogliere enigmi è associata al potere regale in quanto ne
caratterizza le prerogative di supremazia in rapporto alla sapienza: anche i re, come gli antichi saggi
e poeti, sono o aspirano ad essere sophòi e questo è verosimilmente un retaggio di un’antica
concezione della regalità fondata poteri sciamanici, che definiscono lo status regale come
intermedio tra mondo umano e divino. La sfida sapienziale dell'enigma può sostituire lo scontro
violento nella competizione per conquistare o conservare il potere, giustificando così il carattere
tragico dell'agone che può concludersi con la morte del perdente. Implicazioni politiche sono
attestate nel mito della contesa tra Mopso ed Anfiloco, figlio di Anfiarao, per il governo di Mallo in
Strab. 14, 5, 16-1744 e nella storia di Edipo che risolvendo l'enigma della Sfinge libera Tebe dal
mostro e si assicura il potere regale. La competizione può anche inserirsi in un contesto etnico e
politico più ampio come nel caso della sfida nella soluzione di un enigma proposto da Sansone ai
Filistei di cui si narra in Iud. 14, 11-20, che nasce da una volontà di rivalsa e riscatto del popolo
ebraico: la sfida si conclude tragicamente con la vittoria dei Filistei che risolvono l'enigma aiutati
dalla moglie di Sansone e conquistano a caro prezzo il premio di trenta vesti, che Sansone si
procura uccidendo trenta Filistei.
Affine all'enigma sapienziale è quello letterario che si prospetta come una dimostrazione di abilità
nell'elaborare espressioni ambigue e contradditorie. La storia dell'enigma letterario45 inizia con
Cleobulo di Lindo46, uno dei sette saggi, continua con Cleobulina47 autrice di logogrifi, con
Teognide48 e Simonide49, che sembra si sia distinto in età giovanile nella composizione di grìphoi
destinati ad occasioni conviviali o a competizioni poetiche. La maturazione nella lirica arcaica di
una concezione tecnicistica della poesia come sapere specialistico che implica conoscenze e abilità
legate all'ingenium del poeta50 si pone in rapporto con l'evoluzione dell'enigma da prova di sapienza
a gioco di abilità nel formulare e sciogliere indovinelli 51. Forse non è un caso che uno dei poeti più
39
Ios. Fl. Ant. Iud. 8, 5, 3; c. Ap. 1, 18.
40
Plu. conv. sept. sap. 8.
41
Quali fossero gli enigmi proposti dalla regina di Saba a Salomone risulta dalla tradizione medievale giudaica per cui
vd. H. N. Bialik, Sēfer ha-Haggādāh, Tel Aviv 1955, I, pp. 6, 119.
42
Certamen Homeri et Hesiodi 140-145.
43
Per una riflessione su questi poemi del ciclo epico rimando alla relazione di E. Cingano, Tradizioni epiche su singoli
eroi: Melampodia, Alcmeonide, ed altro, in Tradizioni mitiche locali nell'epica greca, Convegno di studi in onore di
Antonio Martina per i suoi 75 anni, Academia Americana, Roma 22-23 ottobre 2009.
44
Strab. 14, 5, 16-17 ouj movnon de; th;n peri; th``ı mantikh``ı e[rin memuqeuvkasin, ajlla; kai; th``ı
ajrch``ı...jAmfivlocon sumbalei``n eijı monarcivan pro;ı to;n Movyon.
45
Vd. G. Colli, La sapienza greca, I, 7 A 2- 10; 23; 7 B1 a1. Alcuni di questi indovinelli sono riportati da Ateneo (456c
ss.).
46
Cleobulo 1, 129-130 Diehl. Su Cleobulo di Lindo vd. Diog. Laert. I, 89-93.
47
Cleobulina frr. 1; 2; 3 West.
48
Theogn. 261-266; 679-682; 1229-1230.
49
Simon. frr. 69; 70 Diehl. Si tratta di componimenti giovanili di cui uno si riferisce alla morte di due poeti, l'altro ad
una competizione letteraria: per questa ipotesi vd. R. Reitzenstein, Epigramm und Skolion, Giessen 1893, pp. 118 s.;
C.M. Bowra, Greek Lyric Poetry: from Alcman to Simonides, Oxford 1961, p. 309, n. 8.
50
Una tappa significativa in questo senso è rappresentata nella lirica arcaica da Archiloco, che dichiara di «conoscere
l'amabile dono delle Muse» (fr. 1 West), e Simonide in cui si approfondisce l'idea dell'abilità del poeta nel tessere una
trama 'illusione e d'inganno attraverso al mìmesis. Lo stesso Pindaro testimonia in Ol. 2, 83-90 l'antagonismo tra due
diverse concezioni della poesia come frutto di qualità innate e di apprendimento.
51
Sul genere disimpegnato e ludico dei grìphoi vd. Athen. 456c e Gellio (18, 2), che definisce gli aenigmata come
«delectatoria». Sul genere letterario vd. K. Ohlert, Rätsel und Rätselspiele der alten Griechen, Berlin 1912; W. Schulz,

7
famosi nell'elaborazione di grìphoi sia stato proprio Simonide, che nella lirica arcaica si distingue
per la desacralizzazione della sophìa e dell'arte poetica52. La fortuna del genere è attestata dagli
indovinelli del XIV libro dell'Antologia Palatina53 fino alla tarda antichità54 ed alla letteratura
medievale ed umanistico-rinascimentale55.
Nell'enigma letterario si delinea la potenziale affinità tra enigma e poesia a livello ideale e
formale. Tale affinità può infatti ricondursi sia alla più antica configurazione sapienziale e mantica
della poesia, sia all'uso poetico della metafora e dell'allegoria, che rappresentano la modalità
espressiva peculiare dell'enigma, sia all'illusione mimetico-musicale della parola poetica, che
accresce l'efficacia dell'inganno sotteso alla metafora/enigma. Il fascino illusorio ed ingannevole
della poesia, che la tradizione omerica ed esiodea riconosce nell'ispirazione divina delle Muse 56 e
nel canto delle Sirene57, sconfina nell'inganno dell'enigma così che al ruolo del poeta cantore si
sovrappone quello dell'aijnigmatisthvı che parla per enigmi. La potenziale assimilazione tra enigma
e poesia coinvolge la stessa formulazione ritmico-poetica dell'enigma evocata dal «canto» della
Sfinge detta «vergine sapiente» e «cantatrice» nelle Fenicie di Euripide58.
L'origine sapienziale della poesia rende ragione dell'uso poetico di enigmi: la natura profetico-
divinatoria della sophìa poetica frutto di una manìa divinamente ispirata59, come quella degli
indovini, si pone all'origine della configurazione oscura ed enigmatica che talora assume la parola
poetica assimilabile a quella dell'oracolo del dio. Il sapere, anche nella sua forma umana, ama infatti
nascondersi dietro parole enigmatiche ed oscure che necessitano di essere decriptate ed interpretate.
Il poeta dunque come màntis, divinatore, ma anche prophètes, interprete della divinazione della
Musa. Questi due ruoli sono attribuiti al poeta da Pindaro: in Ol. 2, 83-87 il poeta/màntis è distinto
dall'interprete; è invece lo stesso poeta a fungere da interprete della divinazione della Musa nel fr.
150 Sn.-Maehl.60 manteuveo, Moi``sa, profeteuvsw d∆ejgwv ed in Pean. 6, 6 (= fr. 52 f Snell), dove
il poeta è definito ajoivdimon Pierivdwn profavtan, interprete della Musa, e si propone una
distinzione tra il ruolo di divinatore e di interprete paragonabile a quella delineata da Platone in
Tim. 71e-72b61.
Questa concezione oracolare e profetica della poesia sopravvive nell'età classica: un esempio si
ha nell'interpretazione in senso profetico di Hes. Op. 240-243; 246-247 in C. Ctes. 135-136, dove
Eschine attribuisce valore profetico ai versi esiodei, identificando in Demostene l'uomo malvagio
che distrugge la città di cui parla Esiodo. L'individuazione di significati simbolico-profetici
richiama l'esegesi allegorica dei versi omerici attestata a partire da Ferecide e Teagene e poi
applicata dalla critica stoica62, che presuppone la convinzione che parlare per allegorie con valore
Rätsel, RE, I A, coll. 62-125, part. 88 ss.
52
Rimando per l'analisi di questo aspetto della poetica simonidea a M. Detienne, Maestri di verità nella Grecia arcaica,
Roma-Bari 1977, pp. 79 ss.
53
Si tratta degli epigrammi 18-47 e 52-64 su cui vd. F. Buffière, Antologie grecque. Premiere partie. Antologie
Palatine, t. XII (Livres XIII-XV), Paris 1970, pp. 43-54.
54
Un esempio è la raccolta inserita nell'Antologia latina degli indovinelli conviviali di Sinfosio IV-V sec., che ebbe
grande influsso sulla poesia enigmistica del Medioevo.
55
Vd. G. Polara, Aenigmata, in Lo spazio letterario del Medioevo, Il Medioevo latino, vol. I, Tomo II, Salerno, 2005,
pp. 197-216. Famoso l'indovinello veronese del sec. VIII-IX che documenta il passaggio dal latino parlato al volgare.
Tra gli autori di poesia enigmistica dell'alto medioevo spicca Adelmo (640-709), abate di Malmesbury, autore di un
manuale di metrica dedicato al re di Northumbria, Aelfrid, in cui sono inseriti cento indovinelli. Nel genere si
cimentarono anche Dante e Petrarca e poi Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote di
Michelangelo.
56
Cfr. Hes. Th. 27 s.
57
Per le Sirene il cui canto ammaliatore ricorda anche nei contenuti (le vicende di Achei e Troiani) quello della poesia
ispirata dalle Muse vd. Od. 12, 184-191; per l'inganno delle Muse vd. Hes. Th. 34 ss.
58
Eur. Phoen. 50 mouvsaı...Sfiggovı; 1505-1507 xuneto;n mevloı..Sfiggo;ı ajoidou``.
59
La manìa ispirata dalle Muse è distinta in Pl. Phaedr. 265b dalla manìa d'ispirazione divinatoria (Apollo) e da quella
iniziatica (Dioniso) e amorosa (Afrodite ed Eros).
60
Su questi versi pindarici vd. E. Vassilaki, Réminiscences de Pindare dans l'Hymne à Sarapis d'Aelius Aristide (or.
XLV), «Euphrosyne» 33, 2005, pp. 325-339, part. pp. 328-331.
61
Su questo passo platonico vd. G. Colli, La sapienza greca, I, 7 A 25 ed il comm. a p. 439.
62
Su questo orientamento ermaneutico vd. A.B. Hersman, Studies in Greek Allegorical Interpretation, Chicago 1906.
Non mancano sopravvivenze nella moderna critica omerica di cui si ha un esempio in A. Lo Schiavo, Omero filosofo.

8
simbolico corrisponda in qualche modo alla vocazione profetico-oracolare del poeta sophòs e
màntis, che si esprime in modo oscuro come gli oracoli del dio in quanto, come il dio, è geloso del
suo sapere.
Sfumato il confine tra enigma e allegoria tanto che i due significati si sovrappongono nel latino
aenigma attestato nel senso di «allegoria oscura» in Cic. de or. 3, 167 e Quint. I.O. 8, 6, 52.
L'allegoria si prospetta come metafora al pari dell'enigma: sia nell'allegoria che nell'enigma i
significati vengono comunicati in modo indiretto attraverso una metafora la cui oscurità riguarda
nell'allegoria solo la forma espressiva o il pensiero, nell'enigma invece sia la forma che l'oggetto del
pensiero63. L'idea dell'affinità tra allegoria ed enigma e del nesso tra poesia ed enigmi perdura nella
tradizione fino alla tarda antichità: nel IV sec. Agostino in quaest. in hept. 4, 45, commentando
Num. 21, 27, dove aijnigmatistaiv della Settanta viene tradotto con «aenigmatistae»64, interpreta
l'espressione inusuale come «poeti», spiegando «non pare lontano dal vero che i cosiddetti
aenigmatistae siano quelli che noi chiamiamo poeti, perché è abitudine dei poeti inserire nei loro
carmi enigmi di racconti fantasiosi»; e così aenigma assume in Agost. Conf. 9, 10, 25 per aenigma
similitudinis lo stesso significato di «allegoria oscura» che aveva in Cicerone. Il mythos associato
nell'esegesi di S. Agostino all'enigma nei carmi dai poeti/aenigmatistae viene a definirsi come una
sorta di metafora i cui significati nascosti rendono più complessa l'interpretazione ben oltre i limiti
dell’esegesi critico-letteraria, così che il ruolo dell’esegeta finisce talora per coincidere con quello
del profètes, interprete di enigmi.
La parentela tra enigma e poesia si manifesta nella metafora 65, tratto distintivo dell'enigma66 così
come del linguaggio poetico67: la mancata corrispondenza tra l'oggetto del pensiero ed il significato
concreto delle parole permette di celare i significati e di ordire l'inganno. Quella enigmatica è una
variante della metafora: chiarezza o ambiguità scaturiscono dalla natura più o meno chiara
dell'analogia presupposta nella metafora. Certo è che nella stessa analogia su cui si fonda la
metafora si nasconde l'insidia dell'ambiguità espressiva: è nota la censura aristotelica in rh. 1406b
dell'abuso di metafore enigmatiche ed oscure in cui il nesso analogico è troppo lontano dalla
percezione comune68. La metafora, come la similitudine, dovrebbe in teoria non nascondere i
significati, ma chiarirli e valorizzarli in una forma creativa coerente con la fantasia, che altro non è
che capacità di produrre immagini ovvero, per dirla con Aristotele, una forma indebolita di
sensazione69: l'immagine evocata dalla metafora suscita infatti emozioni che producono piacere ed
accrescono il fascino evocativo della parola poetica. Se dunque il poeta elabora una metafora in
forma enigmatica lo fa intenzionalmente per occultare i significati, con l'intento d'ingaggiare
L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo Greco, Firenze 1983.
63
Per tale differenza vd. Spengel, Rhet. Gr. III, p. 193 ai[nigma...diafevrei de; ajllhgorivaı o{ti hJ me;n ajmaurou``tai h]
levxei h] diavnoia/, to; de; kaq∆ eJkavteron.
64
Il termine è attestato anche in Sidon. ep. 8, 16 con il significato di «parlatore oscuro» che si esprime in enigmi.
65
La metafora si fonda su una relazione analogica tra l'oggetto del discorso ed una parola ad esso estranea sostituita a
quella che designa in modo concreto l'oggetto del discorso. Di fatto quindi la metafora è una similitudine contratta, così
come la similitudine è una metafora ampliata (cfr. Cic. de or. 3, 39, 157; Quint. I.O. 8, 6, 8-9). Sull'analogia come
fondamento della metafora vd. Arist. po. 1457b, 5-30; Quint. I.O. 8, 6, 5. Per la definizione aristotelica della metafora
vd. po. 1457b, 1.
66
Per la struttura metaforica dell'enigma vd. Arist. po. 1458a, 20 ss.
67
Il primo riscontro dell'uso di metafore in poesia nella riflessione critica antica si trova nell' Evagora di Isocrate (190),
dove si riconosce ai poeti la possibilità di dhlw``sai mh; movnon toi``ı tetagmevnoiı ojnovmasin, ajlla; ta; me;n xevnoiı,
ta; de; kainoi``ı, ta; de; metaforai``ı. Per le metafore nella poesia giambica drammatica ed epica vd. Arist. po. 1459a, 10;
1459b, 34; rh. 1406 b. Sulla metafora vd. F. Brinkmann, Die Metaphern, Bonn 1878; H. Lausberg, Hanbuch der
literarischen Rhetorik, München 1960, I, pp. 283 s,, 285 s, 598, 600; A.L. Keith, Simile and Metaphor in Greek Poetry
from Homer to Aeschylus, Menasha Wis. 1914; W.B. Stanford, Greek Metaphor; Studies in Theory and Practice, New
York 1972.
68
Vicini alla valutazione aristotelica anche Cic. de or. 3, 41; Quint. I.O. 8, 3, 37. Maggiore libertà si concede all'uso
poetico della metafora in Ps. Long. De subl. 32, 17 ss.
69
La fantasia secondo Arist. rh. 1378b genera piacere in quanto è una forma di ai[sqhsiı ajsqenhvı, di «senzazione
indebolita» (rh. 1370a) paragonabile a quella che si prova nei sogni. Sulla fantasia in Aristotele, in particolare nel De
anima 3, 3, dove la fantasia è definita capacità di produrre immagini, vd. il recente studio di K.M. Scheiter, Image,
Appearances, and Phantasia in Aristotle, «Phronesis» 57, NO. 3, 2012, pp. 251-278. Sul rapporto tra metafora e
fantasia vd. W.B. Stanford, Greek Metaphor, pp. 70 s.

9
attraverso l'inganno sotteso alla metafora una sorta di sfida nella sapienza con un altro poeta o con il
pubblico, impegnato in una gara il cui esito non è più tragico, come nella configurazione originaria
dell'enigma sapienziale in cui chi soccombe va incontro all'annientamento, ma ludico.
La formulazione dell'enigma può coincidere con un vero e proprio indovinello o anche sconfinare
in una espressione enigmatica in cui la metafora rimanda ad un linguaggio esclusivo tipico della
società di cui il poeta fa parte i cui significati attraverso la metafora/enigma vengono celati alla
massa. E' una situazione questa ben rappresentata soprattutto nella lirica arcaica di cui si hanno
esempi nell'elegia di Teognide70 e nella lirica pindarica, dove la metafora enigmatica rappresenta
una modalità espressiva quasi sistematica la cui interpretazione è una sfida per il pubblico. Il
confine tra enigma ed espressione enigmatica appare qui sfumato: la poesia fa propria l'espressione
enigmatica della divinazione e dei misteri 71, dove pure il linguaggio figurato allude a significati
nascosti. Sia in Teognide che in Pindaro l'espressione enigmatica si avvale del linguaggio figurato
per celare i significati attraverso un codice linguistico esclusivo: le «parole segrete» in forma di
enigma di cui si parla in Theogn. 679-682 sono decifrabili per gli agathòi, ma anche per chi tra i
kakòi sia saggio, e così in Pind. Ol. 2, 83-87 le parole assimilate ai dardi della profezia apollinea
«parlano a coloro che comprendono» senza che ci sia bisogno di interpreti, ma necessitano invece di
interpreti per la massa dei non sapienti. La metafora assume quindi in Teognide un carattere
enigmatico ed oscuro in cui si lancia una sfida ai kakòi inabili a sciogliere l'enigma, se privi di
sapienza. Anche se si tratta di un'espressione figurata e non di un vero e proprio enigma, sussiste
sempre l'intenzione di ingannare ed ingaggiare una sorta di competizione nella sapienza con i kakòi,
potenzialmente esclusi per la loro ignoranza dalla comprensione dei significati e destinati quindi a
soccombere almeno nella gara della sapienza che si prospetta come una proiezione dell'agone
politico. Un caso simile a quello dei versi teognidei per i retroscena di natura politica della sfida
dell'enigma è quello della gara di sapienza ingaggiata da Sansone con i Filistei di cui si narra in Iud.
14, 11-20. La sfida dell'enigma può dunque prospettarsi anche come strategia alternativa all'uso
della violenza nella competizione tra individui, gruppi sociali o popoli.
Espressioni enigmatiche, se non veri e propri enigmi, trovano attestazione anche nel linguaggio
della tragedia che si caratterizza per l'uso di metafore potenzialmente affini per la loro struttura
espressiva all'enigma72: in Ba. 326 s.73 l'ajsavfeia scaturisce, oltre che da un complesso gioco di
antitesi, dal duplice significato di favrmaka nel senso di «rimedio» e di «veneficio»; ed ancora al
linguaggio dei misteri s'ispira l'oscurità delle parole di Dioniso in Ba. 48074, dove l'ambiguità
espressiva dipende dall'ordo verborum che associa in sequenza termini semanticamente antitetici
(ajmaqei`` / sofa; levgwn /oujk eu\ fronei``n), riproducendo così la struttura antifatica dell'enigma.
La parentela tra poesia ed enigma si delinea in modo ancor più incisivo nella poesia dotta
ellenistica, soprattutto nelle sue espressioni più estreme inclini alla sperimentazione innovativa a
livello formale e tematico qual è quella di Licofrone ed Euforione noti per il loro stile stravagante
ed oscuro, per l'uso di glosse e la narrazione allusiva di miti poco conosciuti in una forma
paragonabile a quegli «enigmi di racconti fantasiosi» di cui, come si è visto, parla S. Agostino. I
racconti enigmatici ed oscuri sfidano l'acume interpretativo del pubblico, che si pone nel ruolo di
interprete/profètes della trama di enigmi tessuta dal poeta. L'impronta oracolare di un carme come
l'Alessandra di Licofrone con l'uso di metafore oscure al posto dei nomi propri rende bene l'idea di
quali potessero essere gli sviluppi più estremi ed artificiosi della raffinata arte poetica ellenistica
nella direzione di una poesia enigmatica ed oscura. Certo la doctrina del poeta è ben lontana nella
70
Vd. Theogn. 679-682.
71
Sul linguaggio enigmatico dei misteri vd. Pl. Phd. 69cd, dove si attribuisce senso figurato all'espressione rituale
coniata dagli iniziatori dei misteri dionisiaci «quelli che portano il tirso sono molti, ma pochi i posseduti da Dioniso». Il
nesso tra enigma e misteri è attestato in Epimenide, che, secondo la Suda s.v. Epimenìdes (II 370, 11-12 Adler), «scrisse
in prosa alcune dottrine misteriche e...altre opere enigmatiche».
72
Per le metafore nella poesia giambica drammatica vd. Arist. po. 1459a, 10.
73
Eur. Ba. 326 s. maivnh/ ga;r wJı a[lgista kou[te farmavkoiı // a[kh lavboiı a]n ou[t∆ a[neu touvtwn nosei``ı («sei folle
nel modo più doloroso, nè potresti trovare rimedio al tuo male grazie ai farmaci, nè senza questi sei folle»). Il senso è
che la follia di Penteo non è provocata da venefici e non potrebbe trovar rimedio grazie ai farmaci. Alcuni editori per
superare le difficoltà create dal doppio senso di favrmaka correggono nosei``ı in novsou.
74
Eur. Ba. 480 dovxei tiı ajmaqei`` sofa; levgwn oujk eu\ fronei``n.

10
sua natura tutta laica ed umana incentrata sull'erudizione da quel sapere profetico-divinatorio del
poeta màntis della più antica poesia epico-lirica, ma sopravvive pur sempre la volontà di ingaggiare
una sorta di sfida nella dimostrazione dell'eccellenza nel sapere che porta ad ordire allegorie oscure
e racconti enigmatici. Forse sono proprio queste espressioni artificiose della poesia ellenistico-
imperiale che ha in mente S. Agostini quanto identifica gli aenigmatistae con i poeti.
La metafora nella sua variante enigmatica appare più una prerogativa della lirica che dell'epica e
questo si deve al diverso contesto culturale in cui la selezione del pubblico determina l'elaborazione
di un linguaggio esclusivo, che riproduce modalità espressive tipiche della società a cui appartiene
il poeta. L'uso di metafore enigmatiche e l'ambiguità espressiva è invece un fatto episodico ed
eccezionale nella poesia omerica75. L'espressione ambigua e la metafora enigmatica non si
conciliano con l'oggettività della mìmesis funzionale alla chiarezza ed immediatezza della
comunicazione orale con un pubblico potenzialmente ecumenico; più coerenti con questa
impostazione dello stile le similitudini preferite alle metafore 76. Questo non vuol dire però che
manchino le metafore nella poesia omerica. Che le metafore siano ammesse nello stile dell'epica lo
riconosce anche Aristotele77: la concentrazione di parole composte, glosse e metafore fa della lingua
epica quella più elevata e lontana dall'uso comune. Le metafore più frequenti nella poesia omerica
sono però limitate a iuncturae ed epiteti formulari come rjododavktuloı hjwvı o e[pea pteroventa78.
La stessa ambiguità espressiva sembra avere scarsa attestazione: i pochi esempi di ajsavfeia sono,
secondo Aristotele79, apparenti e risolvibili attraverso l'individuazione di glosse o del linguaggio
figurato. Ben diversa la situazione nell'epica post-omerica tra V e IV sec., rappresentata da
Antimaco e Cherilo, in cui si accentua l'impostazione tragica e lirica dello stile attraverso l'uso e
l'abuso di metafore oscure ed enigmatiche80, che certo doveva incontrare la censura di Aristotele che
in po. 1458a, 20-30, riferendosi probabilmente proprio allo stile degli autori più recenti della poesia
tragica ed epica, critica il cumulo di metafore in quanto pregiudica la chiarezza producendo
un'espressione enigmatica. Il criterio della giusta misura nell'uso di parole composte, glosse e
metafore è invece quello consigliato in po. 1459a, 5 sulla base dell'esempio omerico81.
Proprio per la sua rarità suscita interesse l'enigma che si legge nei versi omerici in Od. 10, 82-86.
Resta da vedere se l'espressione si configuri semplicemente come enigmatica, prospettandosi in
forme simili alle metafore attestate nella lirica arcaica nei versi teognidei o pindarici, o come un
vero e proprio enigma. Pur se isolato, l'esempio omerico permette di riscostruire quella poesia fatta
di enigmi destinata alle gare di sapienza tra poeti-indovini, che doveva costituire un vero e proprio
genere nella tradizione epico-lirica arcaica di cui si ha attestazione nella leggenda biografica di
Omero e di altri poeti indovini, come Esiodo, tramandata nel Certamen Homeri et Hesiodi82, ed in

75
Per l'uso di metafore nell'epica vd. M. Durante, Sulla preistoria della tradizione poetica greca, I-II, Roma 1971-1976,
II, pp. 105 ss.; K. Meister, Die homerische Kunstsprache, Leipzig 1921; W.B. Stanford, Greek Metaphor, pp. 118-143.
Su similitudini, metafore e analogia nella poesia arcaica vd. B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo,
tr. it. Torino 1963, pp. 269-312. Per quanto riguarda l'ambiguità espressiva nei poemi omerici vd. W.B. Stanford,
Ambiguity in Greek Literature, pp. 97-114.
76
Per la preferenza data alle similitudini vd. F. Brinkmann, Die Metaphern; W.B. Stanford, Greek Metaphor, p. 118.
77
Secondo Arist. po. 1459a, 10 la metafora si adatta in modo particolare alla poesia giambica soprattutto drammatica,
mentre le parole composte ai ditirambi e le glosse all'epica; metafore, glosse e parole composte sono ammesse nell'epica
(cfr. rh. 1406 b). La conformità di glosse e metafore al linguaggio epico è ribadita in Arist. po. 1459b, 34.
78
Vd. M. Parry, The Traditional Metaphor in Homer, «ClPh» 28, 1933, pp. 30-43. Sulle diverse tipologie di metafore
omeriche vd. W.B. Stanford, Greek Metaphor, pp. 130 s., che evidenzia la maggiore complessità delle metafore
attestate nell'Odissea di cui alcuni esempi in Od. 4, 704 nhw``n... ai} q∆ aJlo;ı i{ppoi ajndravsi givgnontai; 11, 125; 23,
272 eujhvre∆ ejretmav, tav te ptera; nhusi; pevlontai.
79
Cfr. Arist. po. 1461a, 10 ss., dove si propongono alcuni esempi di passi di incerta interpretazione risolvibili con l'uso
di glosse o del linguaggio figurato.
80
Su questo nuovo stile dell'epica antimachea vd. il mio studio, Antimaco di Colofone. La poesia epica, Roma 1993, p.
62, n. 25.
81
Arist. po. 1458b, 15.
82
Vd. Certamen Homeri et Hesiodi 140-145, in cui si riporta l'indovinello sull'entità numerica del contingente acheo
pervenuto ad Ilio a cui si risponde con un enigma aritmetico («cinquanta spiedi e cinquanta intorno alle carni; ma tre
volte trecento intorno ad una sola carne erano gli Achei»): cfr. G. Colli, La sapienza greca, I, 7 B1 a2, p. 361.

11
Simonide, sempre che sia attendibile l'ipotesi che collega uno dei due indovinelli attribuiti a
Simonide ad una gara poetica83.
Il luogo omerico deve aver esercitato una certa attrattiva sui poeti post-omerici tra cui spiccano
Esiodo e Parmenide84 in cui il riflesso di Od. 10, 86 si associa alla rielaborazione dell'archetipo
mitico delle vie del Giorno e della Notte. Esiodo interpreta e nel contempo imita il passo omerico,
sciogliendo l'enigma, così che si delinea una sorta di competizione a distanza con il modello che
ricorda quella dei poeti-indovini dell'età omerica e post-omerica. L'imitazione esiodea integra il
percorso esegetico arricchendolo di riscontri utili all'interpretazione, ma non risolutivi in quanto
l'imitazione presuppone una particolare interpretazione dell'enigma e la possibilità della variazione
crea una distanza dal modello. Sarebbe pertanto immetodico trasferire al luogo omerico
l'interpretazione esiodea, annullando la distanza creata dalle variazioni apportate da Esiodo 85.
Parmenide opera una contaminazione del modello omerico ed esiodeo: la sua più che
un'interpretazione è una rielaborazione in forma simbolico-allegorica da cui scaturisce un mythos
che con l'enigma omerico ha in comune la struttura metaforica, ma non i significati.
Nella Teogonia86 esiodea il motivo della vicinanza dei sentieri della notte e del giorno dà luogo ad
una formulazione narrativa più ampia e complessa in cui si rappresenta l'avvicendarsi della notte e
del giorno che alternativamente varcano la soglia di bronzo della dimora della notte, posta
nell'estremo occidente di fronte ad Atlante che regge la volta celeste presso il giardino delle
Esperidi87. Notte e Giorno arrivano quasi a sfiorarsi nel loro cammino, quando l'una varca la soglia
per uscire e l'altro per entrare nella dimora che introduce nelle profondità dell'Ade. L’ingresso
dell’Ade è contiguo alla dimora della notte, che potrebbe coincidere con le porte del sole
menzionate nella descrizione del viaggio di Hermes verso l’oltretomba in Od. 24, 1288. Il racconto
presuppone il mito di ascendenza anellenica del viaggio del sole attraverso gli inferi 89. Il motivo del
richiamo e del saluto che si scambiano i pastori nel loro entrare ed uscire dagli stazzi con il gregge
in Od. 10, 82-83 dà luogo in Hes. Th. 748-754 alla metafora del saluto che si scambiano Notte e
Giorno, avvicendandosi nel loro movimento di uscita ed entrata nella dimora, che mai li racchiude
entrambi.
Il luogo in cui si avvicinano i sentieri della notte e del giorno è collocato in occidente; d'altra parte
gli stessi Lestrigoni sono collocati ad ovest nei Cataloghi90 e tale topografia coerente con la
localizzazione in occidente delle tappe del nòstos in Hes. Th. 1011-1116, dove si fa menzione di
Agrio e Latino come figli di Odisseo e Circe, è attestata anche in Tucidide, che associa Ciclopi e
Lestrigoni nella Sicilia occidentale.
83
L'ipotesi è di R. Reitzenstein, Epigramm und Skolion, pp. 118 s.
84
Hes. Th. 748-757; Parm. 28 B 1, 11 D.-K. Sulle analogie tra il luogo omerico ed i passi citati di Esiodo e Parmenide
vd. H. Vos, Die Bahnen der Nacht..., pp. 24; 28; G. Germain, Genèse..., pp. 520 ss.; U. Hölscher, Omero. Odissea, VI,
con appendice a c. di M. Cantilena, Milano 2003, pp. 141 ss.; M.L. West, The East Face of Helicon, West Asiatic
Elements in Greek Poetry and Myth, Oxford 1997, p. 407; D. Frame, The Myth of Return in Early Greek Poetry, New
Haven-London 1978, pp. 59-63.
85
Proprio questo errore di metodo si ravvisa nella proposta esegetica di P. Argenziano, «Vicini sono i sentieri...», pp. 72
ss., che individua nella vicinanza delle vie della Notte e del Giorno in Od. 10, 86 il riferimento alla porta cosmica che
introduce nell'abbisso, dove hanno sede le radici degli elementi, di cui s'individua un riscontro in Esiodo ( Th. 741; 749-
750; 811-813) e Parmenide (28 B1, 11 D.-K.).
86
Hes. Th. 748-754 ...o{qi Nuvx te kai; JHmevrh a\sson ijou``sai / ajllhvlaı proseveipon ajmeibovmenai mevgan
oujdo;n / cavlkeon: hJ me;n e[sw katabhvsetai, hJ de; quvraze e[rcetai, / oujdev pot∆ ajmfotevraı dovmoı ejnto;ı
ejevrgei, / ajll: aijei; eJtevrh ge dovmwn e[ktosqen ejou``sa / gai`an ejpistrevfetai, hJ d∆ au\ dovmou ejnto;ı ejou``sa /
mivmnei th;n aujth``ı w{rhn oJdou``, e[st∆ a] i{khtai: .
87
Cfr. Hes. Th. 517.
88
Le porte del Sole coincidono con l'ingresso del passaggio sotterraneo percorso dal sole durante la notte da ovest ad
est. Diversamente V. Di Benedetto, Odissea, p. 1207, comm. a Od. 24, 12 (a), associa le porte del Sole alla dimora del
Sole ad est e colloca così l'Ade nella prima e seconda nekyia omerica ad est e non ad ovest.
89
Sul mito vd. Athen. 469c-470d; sui suoi riscontri nella mitologia egizia, mesopotamica e anatolica vd. K. Kerényi,
Figlie del Sole, tr. it. Torino 1949, p. 33; U. Hölscher, L'Odissea, Epos tra fiaba e romanzo, tr. it. Firenze 1991, pp.
145-146; M.L. West, The East Face..., pp. 541 s.; N. Marinatos, The Cosmic Journey of Odysseus, «Numen» 48, 2001,
pp. 381-416, in part. p. 383; C. Watkins, The Golden Bowe: Thoughts in the New sappho and its Asianic Background,
«CA» 26, 2007, pp. 305-325, in part. pp. 309-311.
90
Hes. fr. 150, 25-27 Merkelbach-West.

12
Esiodo interpreta così il passo omerico sciogliendo l'enigma. La metafora lascia il posto alla
rappresentazione concreta del percorso della notte e del giorno e si ha quindi una flessione della
struttura enigmatica. Lo stesso procedimento di semplificazione e chiarificazione si osserva nella
ripresa imitativa in Th. 72091 di Il. 8, 1692, dove il Tartaro è collocato al di sotto dell’Ade ad una
distanza pari a quella del cielo dalla terra, e l’ambiguità del nesso omerico e[nerq∆ jAi?dew viene
superata con la variazione nel più perspicuo e[nerq∆ uJpo; gh``ı.
La contaminazione tra il luogo omerico e ed esiodeo si pone all'origine della rielaborazione del
motivo delle vie della notte e del giorno e della dimora della notte nei versi di Parmenide 93, in cui si
narra l'iniziazione alla verità del sapiente attraverso la metafora del viaggio dall'oscurità alla luce
della volta celeste. La dimora della Notte in Parm. 28 B 1, 9 è una vera e propria citazione esiodea 94
e così le porte dei sentieri della Notte e del Giorno nel v. 1195 richiamano da una parte la soglia della
dimora della Notte di Hes. Th. 744; 749-750, dall'altra le vie della Notte e del Giorno di Od. 10, 86.
Le immagini sono rimodulate e rese funzionali ad esprimere significati simbolici: il sapiente
guidato dalle Eliadi varca il confine tra l'oscurità, rappresentata dalla dimora della Notte, e l'etere,
che rappresenta il regno della luce e della verità, meta del percorso iniziatico. Notte e Giorno sono
dunque metafora dell'oscurità e della luce in riferimento alla conoscenza.
La dimora della Notte potrebbe coincidere con quella menzionata nella Teogonia esiodea, posta
all'ingresso dell'Ade; il senso metaforico dell'espressione allusiva all'oscurità della conoscenza
autorizza ad includere nella dimora della Notte oltre all'Ade, regno delle tenebre, anche la regione
terrestre, dove abitano gli uomini vittime di fallaci opinioni. Le porte che separano le vie della Notte
e del Giorno rappresentano una variazione del modello esiodeo in cui si prospetta il movimento
alterno della notte e del giorno, che nel loro cammino varcano alternativamente la soglia della stessa
dimora che introduce nelle tenebre dell’Ade. Queste porte racchiuse nell'etere sono puntellate da
un'architrave e da una soglia di pietra. Questa sembra essere l’interpretazione più verosimile del
controverso ajmfi;ı e[cei del v. 11, che può significare «tenere insieme», «contenere»,
«racchiudere» o anche «separare». Tale ambiguità ricorda lo schema antifatico tipico dell'enigma,
che afferma e nega nello stesso tempo e concorre a definire l'impronta enigmatica della descrizione
parmenidea, che riproduce le strutture espressive dell’enigma nella forma di un linguaggio esoterico
ed iniziatico accessibile a pochi eletti in grado di interpretare e condividere l’esperienza del
sapiente.
Quella parmenidea è una metafora simbolica 96 strutturata in forma narrativa che ricorda quei
mythoi fantasiosi pieni di enigmi elaborati dai poeti aenigmatistae di cui parla S. Agostino in
quaest. in hept. 4, 45. Il confine tra allegoria ed enigma è sfumato: l'ambiguità espressiva della
descrizione sconfina infatti in un vero e proprio enigma. La natura enigmatica del linguaggio degli
antichi poeti-sophòi sopravvive nel mythos allusivo al percorso iniziatico di rivelazione della verità,
che assume la forma di una metafora con valore simbolico in cui la mitopoiesi si armonizza con
moduli espressivi di ascendenza sapienziale, come la parabola che altro non è che un esempio
91
Th. 720 tovsson e[nerq∆ uJpo; gh`ı o{son oujranovı ejst∆ ajpo; gaivhı.
92
Il. 8, 16 tovsson e[nerq∆ jAi÷dew o{son oujranovı ejst∆ ajpo; gaivhı. Per il confronto tra il passo omerico ed esiodeo
rimando al mio studio Chaos e Ade in Hes. Th. 720-819, pp. 3 s.
93
Parm. 28 B 1, 9-14 D.-K. JHliavdeı kou``rai, prolipou``sai dwvmata Nukto;ı, / eijı favoı, wjsavmenai kravtwn a[po
cevrsi kaluvptraı. / e[nqa puvlai Nukto;ı te kai; JHmatoı eijsi keleuvqwn, / kaiv sfaı uJpevrquron ajmfi;ı e[cei kai;
lavinoı oujdovı: / aujtai d∆ aijqevriai plh``ntai megavloisi qurevtroiı: / tw``n de; Divkh poluvpoinoı e[cei klhi``daı
ajmoivbouı.
94
Hes. Th. 749-750.
95
Il contesto astronomico del verso parmenideo è evidenziato da G. Cerri, Parmenide..., comm. al v. 11.
96
Termine di confronto per l'uso di metafore enigmatiche con valore simbolico nella letteratura sapienziale sono le
sentenze di Eraclito (vd. G. Colli, La sapienza greca, III, Milano 20063, pp. 171 ss.) e più in generale quel genere
particolarmente raffinato di detti sapienziali (apophtegmi) che, come afferma Aristotele in rh. 1412a, 19-26, si
caratterizzano per «non voler dire quello che dicono» ovvero per l'uso di enigmi/metafore. Non mancano riscontri di
questo genere di apophtegmi enigmatici nella più letteratura sapienziale anellenica: le massime dei saggi sono associate
agli enigmi nel VT in Prov. 1, 5-6 e nell’Ecclesiastico (39, 1-3), dove lo studio del sapiente ha per oggetto
l'interpretazione degli enigmi delle parabole e del senso recondito dei proverbi. Nella letteratura biblica i termini
mashal/parabola e hîdah/enigma, detto allusivo, si affiancano e si equivalgono (vd. G. Rinaldi, Alcuni termini ebraici
relativi alla letteratura, «Bibl.» 40, 1959, pp. 267–289, part. 275).

13
strutturato in forma narrativa97. Non mancano suggestioni e riflessi di concezioni escatologiche e
cosmologiche anelleniche: il viaggio verso il cielo ricorda infatti quello dell'anima nell'escatologia
mazdaica che attraversa i cieli delle stelle e della luna per raggiungere quello del sole, dove risiede
il dio supremo98. Quella del sapiente è quindi una sorta di catabasi al contrario ovvero di apoteosi
paragonabile a quella dell'anima dopo la morte con la differenza che questa ascensione al cielo
avviene nella condizione esistenziale che precede la morte. Si riproduce così l'impresa ardita ed
umanamente impossibile degli eroi, come Eracle, Teseo, Piritoo, Orfeo, che scendono nel regno
degli inferi da vivi: la catabasi si evolve nell'apoteosi del sophòs a cui la divinità svela la verità
dell'essere e le opinioni fallaci dei mortali99.
E' anche possibile che nell'allegoria si celi la memoria di un'esperienza reale di folgorazione
estatica affine a quella del veggente/indovino e questo risulta congruente con l'ipotesi
dell'appartenenza di Parmenide ad una cerchia di iatromanti con virtù sciamaniche la cui presenza
nel territorio di Elea è attestata da alcune iscrizioni 100. Una conferma viene dall'analogia con
esperienze estatiche riferibili a figure profetiche appartenenti a culture anelleniche: il percorso
iniziatico adombrato nel viaggio verso il cielo ricorda quello di Zoroastro condotto da un angelo al
trono di Ahura Mazdah nel cielo supremo secondo il racconto delle Gatha e l'assunzione del profeta
Elia rapito in cielo su un carro di fuoco in 2 Re 2, 11. Forse non si è lontani dal vero nel ritenere che
la complessa ed insolita descrizione parmenidea sia stata costruita sulla base di suggestioni e riflessi
che vengono dalla letteratura religiosa anellenica, soprattutto iranica 101.
Parmenide filtra dunque il modello omerico attraverso quello esiodeo elaborando un racconto
simbolico che non fornisce indizi utili all'interpretazione dell'enigma omerico, ma ne testimonia in
ogni caso la fortuna presso i poeti-sophòi post-omerici che si pongono nei confronti del modello nel
ruolo sia di esegeti in senso critico-letterario che di prophètai, interpreti di enigmi, dimostrando così
la loro sophìa. La sfida dell'enigma tra sapienti coinvolge così poeti che si confrontano a distanza
con i modelli nell'imitazione e nell'interpretazione di enigmi ed in qualche caso nella formulazione

97
Sulla parabola come paragone dimostrativo in forma narrativa vd . Arist. rh. 1394a. Per le similitudini attestate nella
letteratura filosofica ed il loro sviluppo nell'esempio con valore dimostrativo vd. W. Kranz, Gleichnisse und Vegleich in
der Frügriechischen Philosophie, «Hermes» 73, 1938, pp. 99- 122; B. Snell, La cultura greca, pp. 298 ss., che
evidenzia la presenza nei paragoni dei filosofi del tertium comparationis assente nelle similitudini omeriche. Sulla
prima attestazione nella poesia esiodea di similitudini/esempio vd. il mio studio Chaos e Ade in Hes. Th. 720-819, pp. 5
s. e n. 27.
98
Per tale concezione vd. J.D.C. Pavry, The Zoroastrian Doctrine of a Future Life, New York 1926. La destinazione
celeste delle anime dei giusti trova riscontro anche nell'escatologia indù ed in quella dell'antico Egitto, dove le anime
dei giusti sono destinate al regno celeste di Osiride (vd. E.A.W. Budgf, The Egyptian Heaven and Hell, I-III, London
1906, III, Introduzione, p. XII). La tripartizione del cielo nell'escatologia mazdaica ricorda concezioni cosmologiche
attestate in un testo assiro del VII sec. a.C. (vd. A. Livingstone, Mystical and Mythological Explanatory Works of
Assyrian and babylonian Scholars, Oxford 1986; W. Burkert, Orientalische und griechische Weltmodelle von Assur bis
Anaximandros, «WS» 107, 1994, pp. 179-186), dove la volta celeste è divisa nel cielo superiore abitato da Anu, in
quello intermedio fatto di pietra lucente che forma il trono di Enlil ed in quello inferiore di diaspro delle costellazioni
disegnate dagli dei. A questa tradizione cosmologica probabilmente si richiama la teoria di Anassimandro (VS A 10 D.-
K.) dei tre cieli, delle stelle, della luna e del sole.
99
Parm. 28 B1, 28-30.
100
Per questa ipotesi vd. P. Kingsley, Nei luoghi oscuri della saggezza, Milano 2001, pp. 61-62, 101-102, 125-131; W.
Burkert, Das Proömium des Parmenides und die Katabasis des Pythagoras, «Phronesis» 14, 1967, pp. 1-30, part. p. 22.
101
La tesi dell'influsso orientale sulle origini della filosofia greca trova la sua prima attestazione in Aristotele (Sulla
filosofia fr. 6 Rose; fr. 35= Diog. Laert. I, 1= Sozione fr. 36 Wehrli). Damascio, l'ultimo scolarca dell'Accademia, nella
sua opera sui principi primi presenta interpretazioni delle cosmogonie babilonesi e fenicie, attingendole ad un'opera di
Eudemo scolaro di Aristotele, che conteneva una parafrasi dei primi versi dell'Enuma Elish. Nella stessa epoca cristiani
ed ebrei affermavano la dipendenza della filosofia greca dalla religione ebraica (famosa la definizione di Numenio di
Platone come un Mosè che parlava attico). Dopo la battuta d'arresto segnata dagli studi di E. Zeller (1856), che ha
affermato l'originalità della filosofia greca, la scoperta dei testi accadici in cuneiforme ha fatto sì che si riproponesse lo
studio dei rapporti tra cultura ellenica ed orientale per quanto riguarda sia la poesia che la filosofia. Tra i molteplici studi
sull'argomento vd., oltre al classico M. West, Early Greek Philosophy and the Orient, Oxford 1971, A. Heubeck
Mythologische Vorstellungen des Alten Orients im archaischen Griechentum, «Gymnasium» 62, 1955, pp. 508-525; W.
Burkert, The Orientalizing Revolution. Near Eastern Influence on Greek Culture in the early Archaic Age, Cambridge
Mass. 1992 e dello stesso autore Da Omero ai Magi, Venezia 1999.

14
di nuovi enigmi i cui significati oscuri alla massa dei non sapienti sono accessibili solo a pochi eletti
abili anch'essi nella gara della sapienza.

Michela Lombardi

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