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L’UOVO DELLA FENICE:

ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO

«Ho raggiunto l’inaccessibile,


il mio cuore risplende dei
colori dell’amore»
(Kabir)

1. Palingenesi orfiche

Nell’affabulazione orfica un elemento di rilievo è la posizione


necessaria e necessitante dell’Uovo primigenio: come si sa, non si tratta
di una tarda invenzione simbolica assemblata da contraffattori devoti,
inclini alla pietas neoplatonica. Basta richiamare il poema teogonico
ascritto al leggendario Epimenide1 e ridicolizzato nella parabasi degli
Uccelli di Aristofane per capire quanto sia radicato tale mitologhema
nella tradizione orfica2. Secondo l’aedo orfico, all’inizio esistevano il
Chaos e la Notte, il nero Erebo e l’ampio Tartaro: in questa finitudine
«innanzitutto la Notte dalle ali nere genera un Uovo sospeso nell’aria»
(tíktei prÉtiston üpjnémion Nùz ™ melanópterov Öçón); in seguito
dall’Uovo nasce ‰Erwv ö poqeinóv, l’amabile, il desiderabile Eros, che
mescolandosi con il Chaos alato (Xáei pteróenti) nell’ampio Tartaro
«fece schiudere la nostra stirpe», cioè la génov âqanátwn, la stirpe
degli immortali.
L’espressione Öçòn üpjnémion, che può anche tradursi con «Uovo
non fecondato»3, ha un’origine ed un significato sicuramente orfici. Il
riscontro è una dottrina orfica trascritta da Aristotele in De anima I, 410
b 27-411 a 2, dove si dice che «l’anima, trasportata dai venti, entra dal
1
Cfr M.L. WEST, I poemi orfici, trad. it. cur. M. Tortorelli Ghidini (skéciv, 8), Na-
poli, 1993, p. 57 ss., in partic. p. 62-63.
2
Cfr Aves, 693-702; O. KERN, Orphicorum Fragmenta, Berlin, 1922, fr. 1; G. COLLI,
La sapienza greca, I, Milano, 1990, 4 [A 24], p. 138-139; sull’Uovo orfico vd. anche il
nuovo frammento stabilito da COLLI, La sapienza greca (4 [A 1] b), che parla dei gemelli
figli di Molione, «uniti in un solo corpo, nati entrambi in un Uovo d’argento» ëniguíoi
âmfotéroi gega¬tev ên Öéwi ârguréwi (IBICO, fr. 265 Page [= Athen. 2, 57 f]; COLLI,
La sapienza greca, p. 118-119).
3
Per «non fecondato», cfr COLLI, La sapienza greca, p. 394; W.K.C. GUTHRIE,
Orpheus and Greek Religion, London, 19522, p. 92-94; nella sua traduzione degli Uccelli,
B. Marzullo traduce «senza seme» (in ARISTOFANE, Le Commedie, Vol. II [Universale
Laterza, 422], Roma-Bari, 1977, p. 370); quest’interpretazione implica, come vedremo
più avanti, che l’Uovo libato ritualmente nelle cerimonie orfiche non doveva essere stato
fecondato.
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tutto negli esseri mentre respirano»4 (t®n cux®n êk toÕ ºlou eîsiénai
ânapneóntwn, feroménjn üpò t¬n ânémwn). Alcuni passi prima, la
medesima dottrina è presentata da Aristotele in vesti pitagoriche5: infatti
alcuni pitagorici sostengono che «l’anima sono i corpuscoli fluttuanti
nell’aria (cux®n e¤nai tà ên t¬ç âéri zúsmata), altri ciò che li fa
muovere». Una concezione analoga, ma in sembianze democrito-epi-
curee, è inoltre attribuita da Diogene Laerzio ai Magi mazdei: si tratta
della cosiddetta dottrina degli e÷dwla, che rimanda sicuramente all’idea
del gyan wenisn, l’«occhio dell’anima», cioè agli insegnamenti dei
Magousaíoi riguardanti la visione e le «immagini» mentali6. Da rile-
vare ancora, come ad un’analoga immaginazione simbolico-religiosa si
rifà anche l’idea del cosmo animato di Talete, dove il tutto è
rappresentato «colmo di demoni»7.
L’immagine dell’Uovo primigenio è persistente nella maggioranza
delle culture arcaiche ed etnologiche8; dal mondo classico a quello
vicino ed estremo-orientale, dalla Polinesia all’Africa, essa esprime
efficacemente l’idea del divenire celato in uno stato di virtualità, di
embrionalità, poiché — citando quanto dice lo gnostico Basilide
sull’Uovo di Pavone — «pur essendo uno racchiude in sé molte forme
di sostanze differenti per aspetto colore struttura»9 (∏n ªn ºmwv ∂xei ên
ëaut¬ç pollàv oûsi¬n polumórfwn kaì poluxrwmátwn kaì
polusustátwn îdéav).
A livello comparativo si può portare una svariata serie di exempla:
basti ricordare come il simbolismo «ovulare» reperibile in testi orfici e

4
KERN fr. 27; COLLI, La sapienza greca, 4 [A 60], p. 160-161; si vd. anche le sug-
gestioni comparative sull’anima quale «respiro cosmico», la cui tipologia si sovrappone a
quella di Vayu, il dio atmosferico della teogonia iranico-mazdea; cfr in partic. G. WIDEN-
GREN, Hochgottglaube im alten Iran. Eine religionsphänomenologische Untersuchung,
Uppsala-Leipzig, 1938, p. 188 ss.; S. WIKANDER, Vayu. Texte und Untersuchungen zur
indo-iranischen Religionsgeschichte, Teil I: Texte, Uppsala-Leipzig, 1949, passim.
5
Cfr De anima I, 404 a 16-19 (ed. W.D. Ross, Oxford, 1956 [19632], p. 6); vd. COLLI,
La sapienza greca, p. 399 (cfr H. DIELS, Die Fragmente der Vorsokratiker, Hrsg. von
Kranz, I-III, Berlin, 19568, 58B 30); e vd. anche quanto dice R. Laurenti in ARISTOTELE,
Opere, Vol. IV (Biblioteca Universale Laterza, 50), p. 105, n. 26.
6
Cfr Gh. GNOLI, Asavan. Contibuto allo studio del libro di Arda Wiraz, in Gh. GNOLI-
A.V. ROSSI (cur.), Iranica (IUO — Seminario di Studi Asiatici, Series Minor, X), Napoli,
1979, p. 419 e n. 162.
7
Cfr DIOGENE LAERZIO I, 27; Schol. a PLATONE, In Rem publ. 600 A; AETIO I, 7, 11
(D 301).
8
Sul mitologhema dell’Uovo cosmico-cosmogonico si vd. le importanti riflessioni
comparative di G. ACERBI svolte nel suo lavoro Kalacakra. La Ruota Cosmica (Università
degli Studi di Venezia, Tesi di Laurea in Lingua e Letteratura Hindi, A.A. 1984-1985),
Vol. I, p. 218-223 e n. 154.
9
HIP. Ref. VII, 21, 5; sull’Uovo di Basilide vd. ancora quanto detto infra riguardo al
medesimo simbolismo reperibile in Macrobio.
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gnostici, appartiene sicuramente ad un’area di diffusione dualistica che


possiamo definire indo-iranico-gnostica. Alla luce di tali suggestioni
comparative si può ancora spiegare in prospettiva cosmogonica l’inter-
dizione alimentare delle uova enunciata nelle cerchie orfico-dioni-
siache10: per l’iniziato, ansioso di emanciparsi dal doloroso ciclo
metempsichico e metemsomatico, cioè dalla procreazione delle forme
corporee, tale astensione equivale alla negazione dell’atto cosmogonico
iniziale, effigiato nell’Uovo primordiale o, se vogliamo esprimerci con
terminologia «eliadiana»11, essa rappresenta aniconicamente la scissione
dal tempo ciclico, la dissoluzione del ritorno periodico all’esistenza. Di
fatto nelle raffigurazioni funerarie Dioniso, dio infero, reca nelle mani
un uovo, stigma del ritorno alla vita, rendendo comprensibile l’inter-
dizione orfica in una prospettiva tipicamente antidemiurgica e acosmica.
Il carattere sacro dell’Uovo orfico si definisce ancora in relazione al
rifiuto di un suo uso profano, volgare, quindi delimitato al momento
eccezionale dell’iniziazione12. Ciò è confermato da un’interessante serie
di testimonia di epoca tardo antica. Il primo è il testo di Plutarco,
ripreso, ma non pedissequamente, da Macrobio. In esso si dice che
l’Uovo «è consacrato negli orgiasmoi di Dioniso» quale simbolo di ciò
che produce ogni cosa e contiene in sé il tutto13. In altre parole l’Uovo è
onorato, venerato, nella comunità dionisiaca come simbolo, mímjma,
dell’essenza di ciò che genera e racchiude in sé la totalità. Macrobio
recepisce tale struttura mitico-rituale affabulando di un hac veneratione
ovum colitur14, cioè di un culto essenzialmente fondato su un simbo-
lismo cosmico (mundi simulacrum vocetur). Prendendo queste testimo-
nianze alla lettera, si è tentati di evincerne che l’Uovo svolga una
funzione cultuale nella religione dionisiaca essenzialmente su due livelli
liturgici, quello della devozione collettiva e quello individuale, propria-
mente iniziatico.
Gli adepti ai misteri del Liber pater (= Dioniso) venerano l’Uovo per
la sua forma sferoidale «conchiusa in ogni direzione e racchiudente in sé

10
Cfr anche M.P. NILSSON, New Evidence for the Dionysiac Mysteries, in Eranos, 53
(1955), p. 30; ID., The Dionysiac Mysteries of the Hellenistic and Roman Age, Lund,
1957, p. 136 e n. 8.
11
Cfr M. ELIADE, Trattato di Storia delle Religioni (Universale Scientifica
Boringhieri, 141/142), Torino, 1976, p. 427 ss.; in partic. p. 429-430.
12
Cfr P. BOYANCÉ, Une allusion à l’oeuf orphique, in Mélanges de l’École Française
de Rome, 52 (1935), p. 112.
13
Quest. conv. II, 3, 636 E (in PLUTARCH, Moralia, Vol. VIII, ed. P.A. Clement-
H.B. Hoffleit, London-Cambridge [Mass.], 1969, p. 150-151).
14
Sat. VII, 16, 8 (in T. MACROBIO, I Saturnali, cur. N. Marinone, Torino, 19872,
p. 864-865).
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la vita», equiparandolo al principio demiurgico universale (universitatis


esse principium).
La percezione dell’Uovo quale elemento originario e primordiale che
conchiude in sé il tutto è un tema costante nelle glosse dei neoplatonici
seriori. Una conferma indiretta è in un rito di consacrazione telestica,
ascritto alla teurgia orfico-pitagorica, di cui dà notizia Giamblico15. Nel
passo in questione Pitagora, ritenuto emulo di Orfeo, rende onore agli
dèi, effigiati in simulacri bronzei che non hanno fattezze umane, ma
sono simili
to⁄v ïdrúmasi to⁄v qeíoiv, pánta periéxontav kaì pántwn pro-
nooÕntav kaì t¬ç pantì t®n fúsin kaì t®n morf®n ömoían ∂xontav.
«a immagini divine che compendiano in sé il tutto e a tutto provvedono, ed
hanno una natura ed una forma analoghe alla totalità»16.

Nella perifrasi di Giamblico queste immagini che riassumono il tutto


si possono rapportare all’Uovo di Macrobio dalla «forma tondeggiante e
quasi sferica, conchiusa in ogni direzione e racchiudente in sé la vita»,
che è il mundi simulacrum.
Ma Plutarco, e soprattutto Macrobio, scrivono in un tempo in cui la
speculazione filosofica, in particolare stoica, è incline a spiegare
razionalmente le più diverse e bizzarre forme religiose tradizionali. Tale
giustificazione ermeneutica ed allegorica tende a minare profondamente
il significato originario del rito orfico-dionisiaco, sì da rendere molto
difficile l’interpretazione di documenti letterari e di monumenti figura-
tivi così lontani dal nostro modo di pensare. Plutarco e Macrobio danno
infatti al rituale una valenza cosmica che in un certo senso può sembrare
avventizia, o comunque rappresentare una deviazione ermeneutica dal
significato reale ed originario.
Un’altra importante testimonianza legata al culto «ovulare» proviene
da Marziano Capella e dal suo De nuptiis Philologiae et Mercurii, un
testo epocale troppo spesso liquidato come un centone di erudizione
teurgico-neoplatonica17, ma che al contrario rappresenta un prezioso
mysticarum doctrinarum thesaurus impenetrabilis18. Motivo trainante
del libro II di quest’opera al crocevia tra filosofia e magia, sono le orda-

15
Cfr P. BOYANCÉ, Théurgie et télestique néoplatoniciennes, in Revue de l’Histoire
des Religions, 147 (1955), p. 203-204.
16
De vita Pyth. XXVIII, 151 (ed. A. Nauck, Petropoli-Lipsiae, 1884, p. 110, 7-10);
passo controverso e di difficile interpretazione (cfr ed. Nauck, p. 110, n. 8); vd. anche
BOYANCÉ, Théurgie et télestique, p. 204, n. 1.
17
Cfr MARTIANI CAPELLAE, De Nuptiis Philologiae et Mercurii. Liber Secundus, cur.
L. Lenaz, Padova, 1975, p. 4 e n. 4.
18
Ibid., p. 3.
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lie cui deve sottoporsi Philologia prima dello hieros gamos con
Mercurio. Tra queste c’è un misterioso rito simbolico che prevede una
sorta di catarsi «erudita»: Philologia deve infatti vomitare19 una serie
quasi infinita di libri e di volumi, stigma della liberazione dalla farragine
delle scienze umane e dell’erudizione libresca. Al termine di questo
singolare rito purificatorio, ella si sente talmente stremata e pallida per
lo sfinimento, che non può far altro che invocare l’aiuto di Athanasia/
Immortalità. Ed è a questo punto che fa la sua comparsa, quale panacea
salvifica, un Uovo dai poteri meravigliosi20.
La gloriosa e splendida protettrice di tutti gli dèi e dell’universo21,
cioè Athanasia, prende dalla madre Apotheosi per recarla a Philologia,
una globosam animatamque rotunditatem, un «oggetto rotondo, sferico
e vivo». Philologia, arsa da una sete bruciante, deliba d’un sol colpo
questa preziosa «coppa d’immortalità». Ciò provoca in lei una tras-
mutazione salvifica: il corpo si colma di energia vitale, scompare dal
volto la «emaciata magrezza», si dissolve la natura terrena e aethereum-
que venit sine mortis legibus aevum, «scende su di lei l’eternità celeste
non sottomessa alle leggi della morte»22.
La sequenza del II libro del De nuptiis offre una suggestiva
descrizione di un rito che, per la sua natura tipicamente palingenetica,
potremmo definire «lunare»23. Esso ha infatti come specifica finalità il
conseguimento di uno stato celestiale di reintegrazione sia cosmica che
individuale: soteriologia generale e soteriologia individuale paiono
quindi confondersi in un rito implicante l’acquisizione di uno stato
d’essere fuori dal comune, libero dai condizionamenti del mondo e del
tempo presente.
Lo studio comparativo delle religioni offre inoltre all’ipotesi della
libazione iniziatica dell’Uovo orfico parecchi spunti di riflessione24. Nel
19
Sulla metafora del vomito nei testi gnostici e manichei, si vd. quanto dico nel mio
L’Anima viva e la Seduzione degli Arconti tra gnosticismo e manicheismo, in Asprenas,
44 (1997), p. 179, n. 69; da sottolineare inoltre, a livello comparativo, gli straordinari
paralleli con il culto amazzonico dell’ayahuasca, una pianta il cui effetto allucinogeno si
manifesta proprio dopo lunghe sedute di vomito rituale; cfr in partic. A. VERLANGIERI,
Ayahuasca: un fenomeno sciamanico per il terzo millennio, in Altrove, 5 (1998), p. 119-
134.
20
Cfr De nupt. II, 140 (ed. Lenaz, p. 146-147).
21
Ibid. II, 134 (ed. Lenaz, p. 144-145).
22
Ibid. II, 140 (ed. Lenaz, p. 148-149).
23
Cfr J.J. BACHOFEN, Il simbolismo funerario degli antichi, cur. M. Pezzella, Napoli,
1989, p. 237 ss.; sulla valenza lunare dell’Uovo vd. in partic. il mio articolo Il Demone e
la Luna. Uno studio sul sincretismo gnostico, di prossima pubblicazione.
24
Vd. ancora De nupt. II, 141 (ed. Lenaz, p. 148-149), in cui Philologia, dopo aver
libato la «coppa d’immortalità», viene incoronata da Athanasia «con una particolare erba
selvatica chiamata in greco “sempreviva”» (ex herba quadam rurestri, cui âeíhwv
60 E. ALBRILE

mondo greco-italico arcaico si designa infatti l’Uovo quale oggetto di


offerta ai morti, intendendo riferirsi al suo uso come alimento postumo,
oltretombale; implicita quindi la sua funzione rigenerativa, palinge-
netica, attestata iconograficamente dalla presenza di Uova rituali in rap-
presentazioni funerarie, reperibili nella pittura etrusca e nella ceramica
italiota25. D’altro canto sappiamo che in altri contesti tradizionali l’Uovo
figura come effigie della rigenerazione cosmica26, è l’haoma indo-
iranico27, cioè il mondo vegetale nella sua essenza fluidica che si libera
dal suo carceriere28.
Come ha dimostrato il Turcan29, la descrizione dell’Uovo orfico che
dà il De nuptiis:
«colorato all’interno di giallo zafferano, rossastro all’esterno: inoltre,
attraverso il vuoto diafano e il liquido bianchiccio, appariva più consistente
nel punto centrale»30.

allude alla presenza in esso dei quattro elementi della physis classica,
così come enunciati nel Timeo platonico31, cioè il Fuoco (exterius
rutilabat, «rossastro all’esterno»), l’Aria (hac dehinc perlucida inani-
tate, «vuoto diafano»), l’Acqua (albidoque humore, «liquido bianchic-

vocabulum est, virginem coronavit praecipiens omnia); su ciò si cfr i legami con il moly,
l’erba mercuriale che dona l’invisibilità, ed il «ramo d’oro» inteso quale arbusto
oltretombale, cioè come verga e caduceo di Hermes psicopompo (cfr PS.APOLLODORO,
Bibl. III, 10, 2, 1-9; con un possibile eco in ATHEN, Pro Christ., 20, 8-9 [KERN fr. 58 =
COLLI, La sapienza greca, 4 [B 34]]); per tutta questa tematica si vd. l’importante studio
di A. BORGHINI, Strutture religiose dell’antichità: un contributo al Ramo d’oro (Verg.,
Aen. Vi 136 ss.), in A. LOPRIENO (cur.), Miscellanea fra linguistica e letteratura, Napoli,
1986, p. 45-52.
25
Cfr in partic. BACHOFEN, Il simbolismo funerario, p. 98 ss.; e M.P. NILSSON, Das Ei
im Totenkult, in Archiv für Altertumswissenschaft, 11 (1908), p. 535 ss.
26
Cfr ELIADE, Trattato, p. 427 ss.
27
Cfr i magistrali lavori di Gh. GNOLI, Un particolare aspetto del simbolismo della
luce nel Mazdeismo e nel Manicheismo, in Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, N.S.,
12 (1962), p. 113 ss.; e ID., Lichtsymbolik in Alt-Iran. Haoma-Ritus und Erlöser Mythus,
in Antaios, 8 (1967), p. 528 ss.
28
Per questo vd. la mia discussione in L’Anomalia Gnostica. Fascinazioni iraniche
nel sincretismo antico, in Convivium Assisiense, N.S., 1 (1999), p. 148-149; troppo
riduttiva sembra inoltre l’ipotesi di R. TURCAN, L’oeuf orphique et les quatre éléments
(Martianus Capella, De nuptiis, II, 140), in Revue de l’Histoire des Religions, 159-160
(1961), p. 13-23 (in partic. p. 14 e n. 4), che considera la liturgia iniziatica legata alle
pratiche della religiosità agraria ed al culto degli antenati defunti; il rituale misterico
rappresenterebbe quindi una preparazione alla morte: ciò implica che i riti funerari siano
originariamente concepiti come prolungamento materiale della vita nell’aldilà in una sorta
di beatitudine post mortem, in sintonia con un processo di spiritualizzazione al quale
andrebbero incontro le religioni orientali in epoca ellenistico-romana; secondo il Turcan
le libagioni iniziatiche avrebbero infatti origine nei banchetti funerari arcaici.
29
Cfr TURCAN, L’oeuf orphique, p. 15.
30
De nupt. II, 140 (ed. Lenaz, p. 146-147).
31
Cfr Tim. VII, 31 b-32 c.
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 61

cio»), la Terra (interiore tamen medio solidior apparebat, «appariva più


consistente nel punto centrale»). Così in una stessa ed unica propo-
sizione Marziano Capella non solo evoca la nota dottrina dei quattro
elementi, ma si riallaccia ad una tradizione filosofico-esoterica le cui
vestigia più significative si ritrovano, oltreché nelle glosse dei neopla-
tonici, negli scritti degli alchimisti greci32 ed in testi orfici quali la
Teogonia di Ieronimo ed Ellanico o le Rapsodie orfiche33.

2. Il cibo primigenio

In tale visuale misterico-misteriosofica appare coerente il riferimento


all’omologia tra macrocosmo e microcosmo34: l’Uovo non è solo
un’immagine in miniatura del kósmov, bensì una animatam rotun-
ditatem, cioè un mondo animato, vivente, una sorta di microcosmo in cui
ogni singola parte corrisponde agli elementi del tutto. È lo πn tò p¢n
sovente evocato nei papiri e nelle formule magiche35: al centro troviamo
la terra, mentre attorno stanno le acque celesti36, che gli alchimisti greci
identificano con l’Oceano cosmico, poi l’aria ed infine il fuoco celeste
che avvolge il mondo in una sfera rubrescente, fiammeggiante (rutila-
bat).
È argomento frequente, nell’alchimia ellenistica, il riferimento
all’«Uovo filosofico». L’Uovo è identificato alla materia primordiale37.
Secondo Olimpiodoro38
tòn gàr mólubdon e¤pon Öçòn tò êk t¬n tessárwn swmátwn…

Questo perché «il tutto sfocia nel piombo» (tò dè p¢n t¬ç molúbdwç
katalßgei). Sempre Olimpiodoro richiama una misteriosa dottrina
32
Cfr J. LINDSAY, Le origini dell’alchimia nell’Egitto greco-romano (Orizzonti dello
Spirito, 41), Roma, 1984, passim, che però risente di un’impostazione eccessivamente
positivistica; minimo inoltre lo spazio dedicato al simbolismo dell’Uovo alchemico.
33
Cfr WEST, I poemi orfici, p. 187 ss. e 237 ss.
34
Cfr in partic. G. WIDENGREN, Fenomenologia della Religione, Bologna, 1984,
p. 200 ss. e p. 670 ss.
35
Vd. LINDSAY, Le origini dell’alchimia, p. 270 e fig. 39.
36
Vd. anche su questo le importanti riflessioni di G. MANTOVANI, Acqua Magica
e Acqua di Luce in due Testi Gnostici, in J. RIES (ed., avec la coll. de Y. Janssens et
J.-M. Sevrin), Gnosticisme et Monde Hellénistique, Actes du Colloque de Louvain-la-
Neuve (Publications de l’Institut Orientaliste de Louvain, 27), Louvain-la-Neuve, 1982,
p. 437-438.
37
Cfr GNOLI, Un particolare aspetto, p. 113 ss. (per i paralleli iranici).
38
Sull’arte sacra 44, in M. BERTHELOT-Ch. ÉM. RUELLE (ed.), Collection des anciens
alchimistes grecs, Paris, 1888, II, p. 96, 2-7 (testo) e III, p. 104 (trad.); su Olimpiodoro
vd. anche LINDSAY, Le origini dell’alchimia, p. 368 ss.
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trasmessa da Maria l’Ebrea, secondo cui i quattro elementi somatico-


planetari sarebbero in realtà uno: tà dè téssara ∏n; di fatto, ripete
Zosimo, «i quattro corpi formano la tetrasomia», tà gàr téssara
sÉmata ™ tetraswmía êstín, in altre parole i quattro elementi,
omologhi ai quattro metalli Piombo-Argento-Mercurio-Oro, a loro volta
legati ai quattro pianeti39 Saturno-Luna-Mercurio-Sole, corrispondereb-
bero ai quattro corpi impalpabili che rivestono l’essenza dell’uomo, cioè
il corpo fisico (somatico propriamente detto), quello psichico, quello
mercuriale, ed infine quello solare40. Il piombo, ingrediente fondamen-
tale in ogni lega metallica, è qui rappresentato come la materia primor-
diale per eccellenza, l’essenza indeterminata, la Àlj indefinita. Di qui
l’identificazione con l’Uovo, scaturigine e materia del mondo, perciò
ricettacolo dei quattro elementi. Nel linguaggio segreto degli alchimisti
lo Öçón designa la materia fluidica, primigenia: è di origine arcaica
infatti lo scambio di contenuto semantico, ricorrente nei neoplatonici, tra
Öçón (uovo) e ∫n (essenza)41.
La designazione dello Öçón quale materia iniziale ed indifferenziata
nell’alchimia ha una sua ragion d’essere alla luce dei menzionati
paralleli simbolici tra Selßnj e l’Argento, ¨Erm±v ed il Mercurio, e tra
ÊJliov e l’Oro. Icone metallico-planetarie in cui si designano i vari
stadi di perfezionamento degli involucri animici che racchiudono
l’essenza dell’uomo.
In un trattato alchemico anonimo riguardante «La musica e la
chimica»42, sorta di dissertazione sulle omologie tra serie emanative
planetarie e scale musicali, si dice che
tò Öçòn tetramerèv êstìn katà fúsin
«l’Uovo si compone per natura di quattro parti»,

intendendo con ciò alludere antropologicamente agli involucri sferoidali


che avvolgono l’essenza dell’uomo e che rappresentano stati di esistenza
animica specifici, legati agli influssi cosmico-planetari. Maggiori
ragguagli su queste dottrine provengono da un altro breve scritto, la
ˆOnomatopópa toÕ ÖçoÕ, la «Nomenclatura dell’Uovo»43, dove si dà

39
Cfr Introduction, in BERTHELOT-RUELLE, Collection des anciens, I, p. 73 ss.
40
Cfr J. EVOLA, La Tradizione Ermetica («Opere di Julius Evola»), Roma, 19964,
p. 68-70.
41
Cfr TURCAN L’oeuf orphique, p. 16 e n. 3.
42
Comm. VI, 15, in BERTHELOT-RUELLE, Collection des anciens, II, p. 433, 12-13
(testo) e III, p. 409 (trad.).
43
Indic. Gener., in BERTHELOT-RUELLE, Collection des anciens, II, p. 20, 17-21, 9
(testo) e III, p. 21 (trad.).
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 63

una descrizione dell’Uovo alchemico seguendo moduli espressivi di


impronta seminale-macroantropica:
«… l’Uovo è composto di quattro elementi (tetrástoixon), poiché è
immagine del cosmo (kósmou mímjsiv) che racchiude in sé i quattro
elementi (téssara stoixe⁄a). È anche conosciuto come “pietra che fa
roteare la luna” (líqon Ωn kulíei ™ selßnj), pietra che non è una pietra,
pietra dell’aquila44 (líqov âetítjv) e cervello dell’alabastro. Il guscio
dell’Uovo è l’elemento corrispondente alla terra (ºmoion t±v g±v): freddo
e secco, è anche denominato rame, ferro, stagno, piombo. Il bianco
dell’Uovo è l’acqua divina (Àdwr qe⁄on); il giallo dell’Uovo è il vetriolo45
(xálkanqon); la parte oleosa è il fuoco. L’Uovo è anche la semenza
(spórov); il guscio è la cute; il bianco e il giallo sono la carne; la parte
oleosa l’anima; la parte acquosa è il soffio o l’aria…»46.

Esiste una specifica differenziazione simbolica tra Marziano Capella e


gli alchimisti greci: l’assimilazione delle parti dell’Uovo agli elementi
cosmici nella «Nomenclatura» ha infatti un’esegesi direttamente
opposta a quella del De nuptiis, poiché il guscio in quest’ultimo caso è
identificato alla terra ed il centro all’elemento igneo. Si può dire che
negli scritti alchemici detto simbolismo sia stato recepito al contrario: la
sequenza degli elementi cosmici appare di fatto rovesciata in senso
endogeno (la terra sta al centro del microcosmo), anche se bisogna
riconoscere che nella sua, per così dire, «eterogenesi», l’intera struttura
simbolica appare coerente47. Ora questa ierochimica ha origini lontane,
in idee e pratiche esoteriche molto antiche, e l’enunciato di Olimpiodoro
sulla súgxusiv, la mistione degli elementi nella materia primigenia
plumbeo-ovulare, allude sicuramente alla dottrina del miscuglio fluidico
degli elementi nel Chaos iniziale, rappresentazione che troviamo elabo-
rata e ben documentata nei testi sapienziali cosmogonici che gli antichi
ascrivevano ad Orfeo48.
La sesta omelia pseudoclementina è una lunga citazione di Apione49,
il famoso polemista alessandrino dei tempi di Tiberio. Da essa
apprendiamo che

44
Si tratta dell’etite, pietra che si riteneva presente nei nidi delle acquile (cfr L. ROCCI,
Vocabolario Greco-Italiano, Roma, 19433 [rist. 1985], p. 29a).
45
Cioè il solfato di rame.
46
Una struttura simbolica analoga è rintracciabile in un testo mandaico, l’Alf Trisar
Suialia, di cui tratto diffusamente nel mio Le Acque e la Morte: riflessioni sulla teologia
della Parafrasi di Seem, di prossima pubblicazione in Nicolaus, N.S., 27 (2000).
47
Cfr TURCAN, L’oeuf orphique, p. 17.
48
Cfr WEST, I poemi orfici, passim.
49
Cfr Hom. VI, 3-12, in B. REHM-J. IRMSCHER (Hrsg.), Die Pseudoklementinen, I:
Homilien, Berlin, 1953, p. 107, 7 ss.; KERN, fr. 55-56; COLLI, La sapienza greca, 4 [B
28], p. 234-235 e p. 413.
64 E. ALBRILE

ˆOrfeùv dè tò xáov Öç¬ç pareikáhei, ên ˜ç t¬n prÉtwn stoixeíwn ¥n ™


súgxusiv.
«Orfeo identifica il Chaos con l’Uovo, in cui si trovano mescolati gli
elementi primordiali»50.

La cosmogonia segue un’impronta narrativa che oggi definiremmo


evoluzionistica, secondo un modulo espressivo mitologico e filosofico
prettamente stoico51. Nella materia animata che compendia in sé le
quattro specie cosmiche52 (tetragénov Àlj ∂mcuxov) formanti
migliaia di combinazioni fluttuanti ed indefinite, ad un tratto si produce
una mutazione: la massa fluidica è presa da un turbine vorticoso che as-
sume le sembianze di una bolla (pomfóluz); tale corpo sferico e
vivente — sostiene Apione — assomiglia ad un Uovo, ed ha l’agilità di
un volatile53 (kaì t±Ç perifereíaç t¬n Öç¬n proseoikóv, kaì t¬ç táxei
t±v ptßsewv). Apione, man mano che va commentando gli stadi dello
sviluppo cosmico, precisa che se Kronos rappresenta lo scorrere del
tempo, Rhea rappresenta lo scorrere della sostanza fluida (tò Åéon)
portata dal tempo: essa si identifica con la materia indifferenziata da cui
scaturisce l’Uovo, il cui guscio è la sfera celeste (sfairoeid®v
oûranóv). Ora Apione designa il cielo come ciò che «avvolge il tutto»
(tòn pánta periéxonta), utilizzando un’espressione che più tardi sarà
mutuata da Plutarco e da Giamblico.
La sostanza contenuta nell’Uovo, denominata «midollo generante»
(gónimov muelóv)54, reca potenzialmente tutte le forme e le specie degli
elementi cosmici; per esprimere questa concezione è utilizzata la
metafora zoomorfica che troveremo nella panspermía dello gnostico
Basilide55:

50
Hom. VI, 3.
51
Cfr TURCAN, L’oeuf orphique, p. 18; così la pensa anche il Kern (p. 130 ss.), che
dubita dell’autenticità della prima parte del testo, ascrivendola interamente a speculazioni
stoiche.
52
Cfr Hom. VI, 4.
53
Ibid. VI, 5
54
Si vd. l’analoga espressione utilizzata dagli gnostici Perati per designare la sostanza
che unisce il mondo ipercosmico alla materia caotica, da loro identificata con il Figlio-
Nous-Cristo (cfr il mio Zostriano e i Quqiti: fenomenologia di una setta gnostica, in
Nicolaus, N.S., 20 [1993], p. 21); sempre nei Perati si vd. ancora le analogie con la
«fedele tesoriera dell’impronta fluidica» (pist® oîkonómov toÕ ÷xnouv t¬n âérwn)
quale custode delle acque invisibili e psichiche che formano il Chaos iniziale (cfr HIPP.,
Ref. VI, 14, 1 = ed. Marcovich, p. 178, 7-9); di questo parlo ampiamente nel mio Il
Demone e la Luna.
55
Cfr HIPP. Ref. VII, 21, 5; su Basilide vd. in partic. lo studio di G. QUISPEL,
Gnostic Man: The Doctrine of Basilides, in Gnostic Studies, Leiden-Istambul, 1974,
p. 103 ss.
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 65

ÊWsper gàr ên t¬ç toÕ taÑ gennßmati πn mèn toÕ ÖçoÕ xr¬ma doke⁄,
dunámei dè muría ∂xei ên ëaut¬ç toÕ méllontov telesfore⁄sqai
xrÉmata56.

La varietà di ornamenti e di colori del Pavone è quindi in potenza


nell’Uovo unicolore come la molteplicità degli esseri, delle forme e delle
specie lo è nel magma hylico-ovulare originario. Traslato che ha un
parallelo significativo in Macrobio, dove «l’Uovo fu creato di aspetto
semplice… e poi da esso fu condotta a perfezione la varietà degli
elementi che costituiscono l’aspetto esteriore del volatile» (Ergo ovus
visu simplex… et ex illo varietas ornatuum quibus constat avis species
absoluta est)57.
Da questo embrione cosmico si plasma una forma androgina, cioè
Phanes, il dio lucente che fa risplendere il tutto (tò p¢n êz aûtoÕ
∂lamcen). La narrazione orfica di Apione si rifà alla cosiddetta
Teogonia di Ieronimo ed Ellanico (ma con alcune varianti): in essa, è
importante sottolinearlo, compare per la prima volta l’inserimento
esplicito di Phanes «dalle ali d’oro scintillanti sul dorso, simili a rapidi
turbini di vento»58 nel quadro del mito cosmogonico orfico. Phanes è il
«bello dalle belle forme», eûmórfwç kal¬ç, a cui allude l’iscrizione su
di una lucerna paleocristiana in terracotta rossa a forma di uovo ritrovata
in Egitto59: inciso attorno ad una croce ed al segno del crisma cristico,
l’enigmatico epigramma sembra documentare una qualche interferenza
tra cristianesimo primitivo ed orfismo60 per il tramite di una probabile
assimilazione tra Phanes e Cristo61.
Dopo la disintegrazione dell’Uovo cosmogonico, dal gónimov muelóv
si differenziano uno dopo l’altro gli elementi dell’universo62: la terra,
assimilata a Plutone, l’acqua, corrispondente a Posidone, ed infine Zeus,
il fuoco celeste da cui scaturirà Hera, ossia l’aria, lo spazio atmosferico.
Anche le Recognitiones, il grande romanzo pseudoclementino della
cristianità antica, riproducono sostanzialmente, con poche varianti, la

56
Hom. VI, 5 (vd. anche PG 2, 200 e n. 99).
57
Sat. VII, 16, 4 (ed. Marinone, p. 864-865).
58
Cfr WEST, I poemi orfici, p. 214.
59
Cfr H. LECLERCQ, Lampes, in F. CABROL-H. LECLERCQ (eds.), Dictionnaire d’Ar-
chéologie Chrétienne et de Liturgie, vol. VIII/1, Paris, 1928, col. 1104 (31), fig. 6588 (1).
60
Cfr in partic. V. MACCHIORO, Zagreus. Studi intorno all’orfismo, Firenze, 1930,
p. 484 ss.
61
Su Phanes vd. ancora quanto dico nel mio «…In principiis lucem fuisse ac
tenebras». Creazione, caduta e rigenerazione spirituale in alcuni testi gnostici, in Annali
dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, Dipartimento di Studi del Mondo Classico
e del Mediterraneo Antico / Sezione Filologico-Letteraria, 17 (1995), p. 138 ss.
62
Cfr Hom. VI, 6-8.
66 E. ALBRILE

stessa cosmogonia63. Come accennato, il Kern è perplesso nel consi-


derare l’intera testimonianza di Apione come autenticamente orfica, a
causa della forte presenza di elementi ermeneutici derivanti dalla
filosofia stoica. Zeus difatti è designato come ö aîqériov texnítjv,
l’«artefice celeste»64, cioè come lo pneuma stoico che permea tutte le
regioni del cosmo (toÕ dißkontov Dióv). La stessa nozione di
súgxusiv, «mescolanza», applicata alla mistione dei quattro elementi
nell’Uovo primigenio, appartiene al lessico tecnico dei discepoli di
Zenone di Cizio. Ad ogni buon conto, il materiale utilizzato dal redattore
delle Pseudo-Clementine è sicuramente di prima mano, ed in esso
troviamo preziosi ragguagli sui sistemi filosofici e sulla letteratura
pagana del tempo. L’esegesi fisico-allegorica ascritta all’erudito Apione
propende a giustificare anche le più bizzarre forme di culto, e ciò riflette
una comune temperie culturale: un esempio fra i tanti è il riferimento
che fa Plinio nella sua monumentale opera, citando Apione riguardo ad
un curioso caso di zoolatria egizia65.
L’autenticità del canovaccio orfico utilizzato dall’insigne esponente
del paganesimo stoico alessandrino è inoltre confermata da una glossa
ad Arato di Soli. La comparazione tra l’involucro esterno dell’Uovo e la
volta celeste, e tra gli elementi che lo compongono e gli elementi del
cosmo, si ritrova infatti in un oscuro commentatore dei Phaenomena di
Arato, Achille Grammatico66, che si rifà all’analogia orfica tra sfericità
del cosmo e forma dell’Uovo67: di fatto, scrive lo scoliaste, la ragion
d’essere del guscio dell’Uovo corrisponde a quella del cielo
nell’universo e, come lo spazio esterno è avvolto concentricamente
attorno al cielo, la membrana dell’Uovo lo è al guscio68. E più avanti il
medesimo glossatore ripeterà che il kósmov è a forma di uovo,
Öioeidßv; tale è difatti l’opinione di coloro che celebrano gli ˆOrfikà
mustßria69.

63
Cfr Rec. X, 30 (vd. ora anche l’edizione di S. Cola: PSEUDO-CLEMENTE, I Ritro-
vamenti [Collana di Testi Patristici, 104], Roma, 1993, p. 384-385).
64
Hom. VI, 8.
65
Nat. hist. XXX, 99 (in GAIO PLINIO SECONDO, Storia Naturale, IV: Medicina e
Farmacologia [Libri 28-32], cur. U. Capitani-I. Garofalo, Torino, 1986, p. 446-447).
66
Cfr E. MAASS (ed.), Commentariorum in Aratum Reliquiae, Berlin, 1958, p. XVI-
XVIII.
67
Cfr TURCAN, L’œuf orphique, p. 20; errata sembra poi la congettura del Turcan, che
identifica l’Achille del nostro testo con il più famoso Achille Tazio (!); d’altronde la
medesima erronea identificazione è presente in PG 19, 933-934 (le Isagogai di Achille
sono riportate in app. alle opere di Eusebio).
68
Cfr Isag. in Arati Phainom. IV (in MAASS [ed.], Commentariorum in Aratum, p. 33,
17 ss.).
69
Ibid. VI (in MAASS [ed.], Commentariorum in Aratum, p. 37, 8-10).
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 67

C’è ancora una dottrina presocratica in cui troviamo questa ideologia


«ovulare»: si tratta del cosiddetto Sfero di Empedocle agrigentino70, che
può essere inteso come un modo, per così dire «demitizzato», per
spiegare l’Uovo cosmogonico e il divenire del cosmo. Empedocle parla
infatti dello Sfero quale monade in cui sono mescolate le ÅihÉmata,
cioè i quattro dèi elementali concepiti quali radici ontologiche del
tutto71. E, come nella cosmogonia orfica, tale globo è «uguale a se
stesso»72, kâeì dˆ÷sov êstìn ëaut¬ç. Inoltre lo Sfero «da ogni parte è
uguale e senza confini per ogni dove»73, ovverosia tutti gli elementi
sono fusi armoniosamente in esso. In questa simmetria primordiale ad
un certo punto l’Astio, Ne⁄kov, produce una divisione separando «il
Sole e l’etere come inizio»; in seguito si differenziano «la terra, e il
mare ondoso, e l’aria umida»74, ga⁄á te kaì póntov polukúmwn ©dˆ
ügròv âßr.

3. L’esistenza sferica

Tornando a Marziano Capella, ci si chiede ora se il rito descritto nel


De nuptiis sia stato effettivamente praticato e quale sia stata la reale
natura dell’Uovo libato cultualmente. Il colore rosso vivo, rubrescente,
dell’Uovo sorbito da Philologia, fa pensare alle uova dipinte, naturali o
artificiali, ritrovate in siti archeologici di Grecia o Italia75. Ma esiste
un’ipotesi più suggestiva: sappiamo infatti che il cinabro, kinnábariv, il
«sangue del drago» dal caratteristico colore rosso purpureo, negli
alchimisti greci è sinonimo sia della prima materia che dell’Uovo
filosofico. In numerose ricette magico-alchemiche76 il cinabro è esplici-
tamente assimilato all’Uovo77, che è tanto materia primordiale ed indif-
ferenziata, quanto sostanza palingenetica e trasmutativa.
Sembra dunque non esistere soluzione di continuità tra le pratiche
magico-teurgiche di alchimisti e teosofi neoplatonici ed il rito

70
Recentemente l’intera dottrina di Empedocle è stata riveduta e reinterpretata sotto
una visuale differente nel prezioso e bellissimo libro di P. KINGSLEY, Ancient Philosophy,
Mystery and Magic. Empedocles and Pythagorean Tradition, Oxford, 1995, passim.
71
Cfr EMPEDOCLE, Poema Fisico e Lustrale, cur. C. Gallavotti, Milano, 1975, fr. 1, 53
ss. (p. 12-13); DIELS-KRANZ fr. 6.
72
Ibid., fr. 35, 3 (ed. Gallavotti, p. 42-43); DIELS-KRANZ fr. 29.
73
Ibid., fr. 28, 1 (ed. Gallavotti, p. 38-39); DIELS-KRANZ fr. 28.
74
Ibid., fr. 48 (ed. Gallavotti, p. 46-47); DIELS-KRANZ fr. 38.
75
Cfr BACHOFEN, Il simbolismo funerario, p. 98 e p. 501 ss.; NILSSON, Das Ei,
p. 532-534.
76
Cfr BERTHELOT-RUELLE, Collection des anciens, I, p. 81.
77
Cfr TURCAN, L’oeuf orphique, p. 22.
68 E. ALBRILE

d’iniziazione narrato da Marziano Capella, anche se si deve sottolineare


che il testo del De nuptiis sembra riferirsi ad un Uovo reale, proba-
bilmente consacrato ritualmente con una colorazione scarlatta o pur-
purea. Nel libare questo cibo rigenerante, condensato dei quattro
elementi, Philologia acquista la forza per accedere ad uno stato di
esistenza non convenzionale, assoluto, simbolicamente rappresentato
dall’ascensione celeste.
In una sequenza orfica, anch’essa tratta dalla Teogonia di Ieronimo
ed Ellanico78 e riportata dall’apologeta cristiano Atenagora79, Zeus
inghiotte il qeòn ∫nta prwtógonon Phanes scaturito dall’Uovo cos-
mico, al fine di acquisire «l’esistenza infinita», âxÉrjtov, cioè per
conseguire il potere sul tempo illimitato. L’episodio ha un significativo
parallelo in una sequenza delle Rapsodie orfiche, citate da Proclo nel suo
commentario al Timeo platonico:
[Heùv] ¡v tóte Prwtogónoio xanÑn ménov ˆJerikepaíou t¬n pántwn
démav e¤xen ë±Ç ênì gastéri koíljÇ, m⁄ze dˆ ëo⁄v meléessi qeoÕ
dúnamín te kaì âlkßn…
«Allora [Zeus] inghiottendo la forza di Erikepaios Protogonos80 racchiuse
nel suo ventre profondo le forme di tutti gli esseri81 e mescolò alle sue
membra la potenza ed il vigore del dio…»82.

L’universo è quindi virtualmente racchiuso in Zeus, che divorando il


dio ne assimila la forza e la potenza infinite: di fatto è il medesimo
mitologhema implicante l’assimilazione di un’esistenza virtuale —
intesa come conseguimento di uno stato d’essere totale ed infinito — che
troviamo iterato nella vicenda di Philologia nel De nuptiis.
I testimonia paralleli di Plutarco83, di Macrobio, degli alchimisti greci,
nonché dei glossatori neoplatonici, autorizzano a supporre che la liba-
zione rituale dell’Uovo, inteso quale ricettacolo sorgivo degli elementi
cosmici, abbia il valore rigenerante e trasmutativo di un nutrimento
magico che permette di raggiungere uno stato d’essere fuori dal comune,
78
Il Turcan (Ibid., alla n. 6 di p. 22) pensa che il passo sia da collegare alle Rapsodie
Orfiche menzionate da Proclo.
79
Pro Christ. 20 (KERN fr. 58); cfr WEST, I poemi orfici, p. 190 ss.
80
Cioè Phanes; cfr WEST, I poemi orfici, p. 215-216.
81
Episodio che i neoplatonici interpretano come la creazione del cosmo eidetico. Cfr
A.J. Festugière, in PROCLUS, Commentaire sur le Timée, Tome Second, Livre II, Paris,
1967, p. 183.
82
In Tim. II, 99B (in PROCLI DIADOCHI, In Platonis Timaeum commentaria, I, ed.
E. Diehl, Lipsiae, 1903 [repr. Amsterdam, 1965], p. 324, 29-325, 2); KERN fr. 167; e
Festugière, in PROCLUS, Commentaire.
83
Sul retaggio orfico di Plutarco vd. anche la magistrale messa a punto di A. BER-
NABÉ, Plutarco e l’Orfismo, in I. GALLO (cur.), Plutarco e la Religione, Atti del VI
Convegno Plutarcheo (Collectanea, 12), Napoli, 1996, p. 63-104.
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 69

eccezionale. L’Uovo non è soltanto l’oggetto di un culto vagamente


idolatrico o simbolico, esso è venerato dai seguaci dei misteri orfico-
dionisiaci come ciò che porta ad una trasformazione dell’esistenza,
poiché intriso di una forza primigenia in virtù del suo compendiare gli
elementi cosmici; la medesima forza che conferisce a Zeus il potere
dell’esistenza infinita. Da sottolineare la prospettiva eminentemente
antropologica di questo simbolismo «ovulare»: l’aspetto suggestivo
della dottrina orfica — come d’altronde di quella gnostica — è infatti
l’idea del tempo demiurgico84 quale prigione dell’anima luminosa e
divina. Estromessa dalla plenitudo, l’anima è rinchiusa in uno spazio
limitato di tempo, prigioniera in una frazione temporale in cui esperisce
infiniti cicli metempsichici. Il corpo è soma ed è anche, e sostan-
zialmente, sema, tomba, poiché vincolato all’iterazione infinita di un
medesimo ciclo temporale: l’Uovo primigenio frantumandosi genera lo
spazio cosmico e, di riflesso, dà origine alla sua estensione invisibile, il
tempo, cioè la prigione demiurgica in cui l’iniziato orfico-gnostico si
dibatte nell’attesa della liberazione, che sarà l’anamnesis, il ricordo, il
rammemoramento della propria filiazione divina.
Nella gnosi mandea il termine hilbuna designa l’Uovo cosmico-
cosmogonico inteso come abitazione celeste e dimora degli esseri di
Luce85; in esso è quindi implicito un valore ed un significato palin-
genetici, quale elemento di rigenerazione e di perfezionamento del
cosmo e dell’uomo. In un passo poco chiaro del Ginza, uno dei più
significativi scritti mandaici, il redentore celeste Manda ∂-Hiia, «Gnosi
di Vita», disquisisce sulla grande immagine del Mana, lo pneÕma
gnostico-mandaico, nascosta nella segretezza assieme a tutti gli ‘Utria
che stanno nei trecentosessantacinque mondi, celati nelle segrete e
supreme Uova di Luce (qum ata ‘hauiak dmutÌ ∂-mana umana udmuta
rabtia kasita ∂-ks‘ia mn kulhun ‘utria btlatma usitin uhamsa almia
uhilbunia kasiia rurbia ∂-nhura)86.
84
Cfr G. QUISPEL, The Demiurge in the Apocryphon of John, in R.MCL. WILSON
(ed.), Nag Hammadi and Gnosis, Papers read at the First International Congress of
Coptology (Nag Hammadi Studies, XIV), Leiden, 1978, p. 1-33 (sul Demiurgo gnostico,
il tempo e l’Uovo cosmogonico).
85
Cfr E.S. DROWER-R. MACUCH, A Mandaic Dictionary, Oxford, 1963, p. 144a; nei
testi mandaici per indicare l’Uovo è utilizzato anche il termine bita (Ibid., p. 64b); di
questo ho trattato in partic. nel mio lavoro Le Acque e la Morte, dove si spiega il «mistero
dell’Uovo».
86
Ginza Iamina V, 1 (H. PETERMANN, Thesaurus, sive Liber Magnus, vulgo «Liber
Adami» appellatus, opus Mandaeorum summi ponderis, I [text. cont.], II [lect. codd.
addit. et corr. cont.], Lipsiae, 1867, 134, 19-22; M. LIDZBARSKI, Ginza. Der Schatz oder
das grosse Buch der Mandäer [Quellen der Religionsgeschichte, 13], Göttingen, 1925,
151, 8-10, che dà una versione sostanzialmente differente segnalando le difficoltà di
interpretazione del testo).
70 E. ALBRILE

Dal momento che è l’embrione del cosmo, l’Uovo è la soglia che


introduce nel mondo dello splendore pleromatico, è la «Porta
dell’Uovo», baba ∂-hilbunÌ, menzionata in Drasa ∂-Yahia87. Nello
stesso testo si celebra Manda ∂-Hiia quale sovrano splendente di tutti gli
‘Utria e come ‘Utra del «grande specchio»88 (∂-naura rba anat ‘utra
malka saia ∂-kulhun ‘utria k∂ hazin) che «illumina le Uova paterne»
(anhar hilbunun ∂-abahatak)89. Anche Abatur, il pesatore cosmico
celato nelle ascosità celesti, dimora in un Uovo (abatur bhilbunÌ
‘tiksia)90, anzi, «Abatur sussurra nascosto nel segreto del suo Uovo»
(abatur bhilbunÌ ‘tiksia umn hilbunÌ ra†in)91. Un altro fugace accenno
di Drasa ∂-Yahia alla zaua uhilbunia, la «Sposa92 e le Uova»93, fa
pensare a qualcosa di simile alle syzygiai pleromatiche dello gnosti-
cismo, dove l’inconoscibilità del Dio trascendente si rivela in una serie
di emanazioni eoniche ordinate appunto per coppie, espressione
dell’androginia che, riscontrabile ad ogni livello della divinità, indica la
perfezione dell’Uovo primigenio nei confronti del cosmo, luogo in cui vi
è scissione e polarità senza mediazione. Ma è in un inno liturgico tratto
dal Qolasta che troviamo l’involucro ovulare interpolato in un contesto
misterico e antropologico. Il passo è quello dove si parla del Padre
supremo e ineffabile, che viene consacrato
bhak birikta ∂-birkh nba† malka lhilbuna raza kasia ∂-mn napsiÌ hua tum
titibrik anat abun bhak birikta ∂-birkÌ hilbuna raza kasia lilbusia gauaiia
∂-mn kasia
«con la benedizione che Re Nba† conferì all’Uovo, il misterioso segreto
che proviene da lui stesso.
Poi sarai benedetto, Padre nostro, con la benedizione che l’Uovo, il
misterioso segreto, conferì al vestimento interiore che proviene dal
segreto…»94.
Questo perché, sostiene un altro inno, «l’Uovo è il mistero nascosto
che ti ha santificato e ti ha reso stabile» (hilbuna raza kasia birkak
uqaimak)95.
87
M. LIDZBARSKI, Das Johannesbuch der Mandäer, I-II (testo e traduzione), Giessen,
1905-1915, 59 (p. 220, 10 [testo]; p. 208, 17 [trad.]; vd. anche la discussione a p. 208,
n. 7).
88
Sullo specchio nella gnosi mandea vd. ancora il mio articolo Le Acque e la Morte.
89
LIDZBARSKI, Das Johannesbuch, 69 (p. 256, 5-7 [testo]; p. 231, 15-17 [trad.]).
90
LIDZBARSKI, Das Johannesbuch, 71 (p. 258, 8-9 [testo]; p. 233, 2 [trad.]).
91
Ibid. (p. 258, 14-259, 1 [testo]; p. 233, 8-9 [trad.]).
92
Il Lidzbarski propone di tradurre zaua con Kind (Das Johannesbuch, p. 236, n.2) in
alternativa all’usuale Weib (cfr DROWER-MACUCH, A Mandaic Dictionary, p. 157b).
93
LIDZBARSKI, Das Johannesbuch, 73 (p. 264, 4-5 [testo]; p. 236, 9-10 [trad.]).
94
Qolasta 376 (E.S. DROWER [ed.], The Canonical Prayerbook of the Mandaeans,
Leiden, 1959, p. 416r, 2-6 [testo]; p. 277v [trad.]).
95
Ibid. 377 (ed. Drower, p. 423r, 17-18 [testo]; p. 282v [trad.]).
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 71

4. La Fenice gnostica

Rilevante per la nostra ricerca è la rielaborazione gnostica di un


popolare mito antico, quello della Fenice96.
È noto che fulcro della mitologia gnostica è il frantumarsi del
plßrwma luminoso per opera di una hybris femminile personificata
dalla Sophia celeste. In un suggestivo scritto di Nag-Hammadi, ascri-
vibile alla gnosi ofitico-sethiana, lo Scriptum sine Titulo, meglio
conosciuto come trattato «Sull’Origine del Mondo»97, la Sophia-Zoe, la
Sapienza cosmica, interviene direttamente nella creazione della Fenice.
Ciò si intuisce dall’azione che la stessa intraprende contro gli Arconti,
colpevoli dell’espulsione dell’Adamo e dell’Eva terreni dal Paradiso:
difatti, «quando Sophia-Zoe vide che gli Arconti delle Tenebre avevano
maledetto le sue immagini [= Adamo ed Eva], ella si irritò (âganak-
te⁄n) e, uscita dal primo cielo, con tutta la forza (dúnamiv) scacciò
(diÉkein) questi Arconti fuori dai loro cieli e li precipitò nel cosmo del
peccato, affinché (ÿna) abitassero sulla terra nella forma di demoni
malvagi (daímwn ponjróv)…»98. Il testo prosegue con una breve
lacuna, che può essere integrata con l’accenno all’opera demiurgica di
Sophia-Zoe, la quale crea uno h¬çon ∂mcuxon, un «vivente dotato di
un’anima» chiamato Fo⁄niz, Fenice; questo perché il cosmo arcontico
si trasfiguri ed in esso fioriscano i mille anni del Parádeisov. Infatti la
Fenice
«si dà la morte e nasce a nuova vita quale testimone del giudizio contro di
essi [= gli Arconti], poiché furono ingiusti (âdike⁄n) verso Adamo e la sua
stirpe (geneá) fino alla consumazione (suntéleia) dell’Eone (aîÉn)…
Tre uomini e tre stirpi esistono sino alla consumazione del cosmo: lo
spirituale (pneumatikóv) dell’Eone, lo psichico (cuxikóv) e il terreno
96
Su questo mito vd. le fondamentali messe a punto di J. HUBAUX-M. LEROY, Le my-
the du Phénix dans les littératures greque et latine (Bibliothèque de la Faculté de Philo-
sophie et Lettres de l’Université de Liège, LXXXII), Liège-Paris, 1939 (per l’antichità
greco-romana) e di R. VAN DEN BROEK, The Myth of the Phoenix according to Classical
and Early Christian Traditions (EPRO, 24), Leiden, 1972 (per l’antichità cristiana).
97
Su questo vd. anche quanto dico nel mio «…In principiis lucem fuisse ac tenebras»,
p. 109 ss.
98
Or. Mund. II, 121, 27-35. Cfr M. TARDIEU, Pour un phénix gnostique, in Revue de
l’Histoire des Religions, 183 (1973), p. 123; l’articolo, molto importante per lo studio
della «Fenice gnostica», al quale faccio costantemente riferimento, è poi confluito
nell’opera maggiore di TARDIEU, Trois mythes gnostiques. Adam, Éros et les animaux
d’Égypte dans un écrit de Nag Hammadi (II, 5), Paris, 1974, p. 231 ss.; vd. anche
A. BÖHLIG-P. LABIB (Hrsg.), Die koptisch-gnostische Schrift ohne Titel aus Codex II von
Nag Hammadi (Deutsche Akademie der Wissenschaften zu Berlin — Institut für
Orientforschung — Veröffentlichung, 58), Berlin, 1962, p. 92-95; B. LAYTON (ed.), Nag
Hammadi Codex II, 2-7 (Nag Hammadi Studies, XXI), Leiden-Köln, 1989, p. 78-79;
L. MORALDI (cur.), Testi Gnostici, Torino, 1982, p. 242.
72 E. ALBRILE

(xoflkóv). Nel medesimo modo vi sono tre Fenici paradisiache: la prima è


immortale (âqánatov), la seconda vive mille anni; quanto alla terza, sta
scritto nel Libro Sacro (ïerà bíblov)99 che sarà divorata100. Così vi sono
tre battesimi: il primo è spirituale, il secondo è di fuoco, il terzo è d’acqua.
Come la Fenice si è manifestata quale (Üv) testimone rispetto agli Angeli
(ãggelov), così in Egitto le idre d’acqua (-Àdra)101 sono come il testimone
di chi discende [nelle acque] per il battesimo di un uomo veritiero
(âljqinóv). I due tori che sono in Egitto102 custodiscono un mistero
(mustßrion), il Sole e la Luna, poiché sono i testimoni di Sabaoth, il
quale è al di sopra di essi. Sophia infatti ha ottenuto il cosmo dal giorno in
cui essa ha creato il Sole e la Luna, ed ha sigillato (sfragíhein) il suo
cielo sino alla [consumazione] dell’Eone. Ma (dé) il baco generato dalla
Fenice è anche un uomo. A suo riguardo sta scritto103: “Il giusto (díkaiov)
crescerà come una Fenice”. E la Fenice prima si manifesta come vivente,
poi muore e nuovamente (pálin) risorge, poiché essa è un segno
(sjme⁄on) per colui che si manifesterà alla consumazione [dell’Eone].
Solo in Egitto questi grandi segni [si manifesteranno]104. Nessun’altra
regione (xÉra) è contrassegnata (sjmaínein) così da assomigliare al
Paradiso di Dio»105.

È significativo che nello Scriptum sine Titulo il Paradiso di Sophia,


dimora della Fenice gnostica, si contrapponga al Paradiso fondato da
Eros106. Nato dal desiderio della Pronoia (il «Primo pensiero» del

99
Si tratta di uno dei numerosi scritti apocrifi, magici o presunti tali, menzionati nello
Scriptum sine Titulo e dei quali si è persa ogni traccia; per questo vd. MORALDI, Testi
Gnostici, p. 200 e S. GIVERSEN, Solomon und die Dämonen, in M. KRAUSE (ed.), Essays
on the Nag Hammadi Texts in Honour of Alexander Böhlig (Nag Hammadi Studies, III),
Leiden, 1972, p. 16-21 (sulla tradizione dei libri ascritti a Salomone).
100
Cfr TARDIEU, Pour un phénix gnostique, p. 125, n. 3.
101
Il Böhlig (BÖHLIG-LABIB, Die koptisch-gnostische Schrift, p. 95, 16) traduce
Wasserschlangen, discutendo la possibile identificazione con i coccodrilli che popolano il
Nilo, interpretazione seguita dal Moraldi (Testi Gnostici, p. 243, n.1); curiosamente
un’associazione simbolica affine ricorre nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare (II, 7,
44-45), dove al coccodrillo sono attribuite facoltà metempsichiche: «… it lives by that
which nourisheth it, and the elements once out of it, it transmigrates» (in W. SHAKES-
PEARE, Anthony and Cleopatra, ed. J. Dover Wilson, Cambridge, 1950, p. 47-48). Ringra-
zio il dr. Riccardo Valla per avermi gentilmente segnalato il passo in questione.
102
Sull’identità e la natura dei tori vd. MORALDI, Testi Gnostici, p. 242, n. 2, e TAR-
DIEU, Trois mythes gnostiques, p. 222 ss.
103
Cfr Ps. 91, 13 (vers. LXX); vd. anche C.-M. EDSMAN, Ignis Divinus (Publications
of the New Society of Letters at Lund, 34), Lund, 1949, p. 194.
104
Si cfr i possibili paralleli con l’apocalisse ermetica dell’Asclepio III, 24a ss. (ed.
W. Scott, Vol. I, London, 1968, p. 339 ss., con commento in Vol. III, p. 168 ss.; vd. an-
che la trad. it. in C. MORESCHINI, Dall’Asclepius al Crater hermetis. Studi sull’ermetismo
latino tardo-antico e rinascimentale [Biblioteca di Studi Antichi, 47], Pisa, 1985, p. 167
ss.).
105
Or. Mund. II, 122, 1-123, 1 (TARDIEU, Pour un phénix gnostique, p. 121-122;
BÖHLIG-LABIB, Die koptisch-gnostische Schrift, p. 94-97; LAYTON, Nag Hammadi Codex,
p. 78-81; MORALDI, Testi Gnostici, p. 242-244).
106
Cfr Or. Mund. II, 109, 1-111, 28.
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 73

Demiurgo omicida)107 per l’Adamo-Luce, cioè nato dall’aspersione del


«sangue luminoso» che la stessa effonde sulla terra fecondandola, Eros
riassume in sé l’ambiguità del principio maschile e del principio
femminile congiunti, ossia del fuoco unito all’«anima di sangue»108. La
sua androginia lo colloca nella mesótjv tra Luce e Tenebra, in una
posizione intermedia tra gli Angeli e gli uomini. L’Eros gnostico, a
differenza di quello recepito nella tradizione classica, ha quindi una
funzione cosmogonica separatrice e ordinatrice, ma anche e soprattutto
di disordine, caotica, in quanto causa di caduta e di salvezza: con esso si
compie infatti la sunousía che è all’origine del piacere sessuale109 e
quindi dell’ineluttabile ciclo di creazione e di distruzione, di generazione
e di morte, inaugurato dal Demiurgo omicida. Su di un altro stato
d’essere, nell’intermondo celeste, si colloca quindi il Paradiso di Sophia.
Si può dire che esso sia frutto di una kenosis planetaria: all’azione
negativa di Sophia che espelle dai loro cieli gli Arconti segue infatti
un’azione positiva della stessa, che pone nei cieli planetari ormai vuoti
uno h¬çon ∂mcuxon. La Fenice appare di conseguenza come strumento
della palingenesi cosmica: essa introduce nel cosmo arcontico i mille
anni del Paradiso, riportando i cieli ad una condizione di trasfigurazione
edenica originaria, pre-lapsaria. La Fenice opera una trasformazione, un
rovesciamento di prospettiva: all’antico ordine delle cose, effigiato dagli
Arconti, essa contrappone un mondo nuovo, ri-creato, atemporale ed
eterno110.
Come ha dimostrato il Tardieu, esiste una stretta corrispondenza tra le
tre stirpi, le tre Fenici, ed i tre battesimi, sintetizzabile nel seguente
schema111:

107
Vd. anche G. MANTOVANI, Il valore del sangue in alcuni testi gnostici di Nag
Hammadi, in F. VATTIONI (cur.), Sangue e antropologia biblica, Vol. I (Centro Studi
Sanguis Christi, 1), Roma, 1981, p. 143-144; ed il mio articolo «…In principiis lucem
fuisse ac tenebras», p. 110 ss.
108
Cfr Or. Mund. II, 109, 5
109
Cfr anche MANTOVANI, Il valore del sangue, p. 145-146; ed il mio L’Anima viva e
la Seduzione degli Arconti, p. 168 ss.
110
Un approfondimento a parte andrebbe fatto sulla Fenice iranica, il Simurg, studiata
da Gianroberto Scarcia in numerosi lavori (vd. ad es. Leucippidi e Dioscuri in Iran, I:
Samand e Îing, in Annali di Ca’ Foscari, 9 [1970], [Serie Orientale, 1], p. 39 ss.; e I
Magi Afghanizzati, in Gh. GNOLI-L. LANCIOTTI [cur.], Orientalia Iosephi Tucci Memoriae
Dicata [Serie Orientale Roma, LVI, 3], Roma, 1998, p. 1295 ss.); dello stesso è impor-
tante l’ultimo, magistrale Sulla Fenice dei Baluci (di prossima pubblicazione in un vo-
lume miscellaneo di «Studi Baluci» curato da A.V. Rossi, dell’Istituto Universitario
Orientale di Napoli), nel quale sono studiate le relazioni tra la Fenice-AîÉn e l’iranico
Zal-Zurvan (ringrazio il professor Scarcia per avermi fornito il dattiloscritto del suo
prezioso lavoro).
111
Cfr TARDIEU, Pour un phénix gnostique, p. 125.
74 E. ALBRILE

STIRPE FENICE BATTESIMO


1 spirituale immortale di spirito
2 psichica di mille anni di fuoco
3 terrena che sarà divorata di acqua

Le tre stirpi (pneumatikóv, cuxikóv e xoflkóv) riprendono schema-


ticamente la triplice divisione, enunciata nello stesso trattato gnostico,
tra l’Adamo-Luce (il «primo Adamo»), l’Adamo psichico (il «secondo
Adamo») e l’Adamo terreno (il «terzo Adamo»)112. Distinzione che
rinvia ai tría génj dei Naasseni113 ed alle tre⁄v fúseiv dell’an-
tropologia valentiniana114.
L’esistenza della Fenice «psichica» è legata ad una cifra d’eternità115,
che nell’interpretatio gnostica è rappresentata dai mille anni della terra
immortale, cioè il Paradiso sito «al di fuori del ciclo della Luna e del
ciclo del Sole, in una regione rigogliosa, ad Oriente, in mezzo alle
pietre116…»117; esso è quindi contemporaneamente l’Eden della
cosmografia interiore ed il luogo escatologico per l’adunanza degli
eletti.
Gli Esseni di Plinio, gens socia palmarum, «vivono senza donne ed
hanno rinunciato ad ogni desiderio sessuale, non fanno uso di denaro»118
e, cosa incredibile a dirsi, riescono a sopravvivere per migliaia di anni in
un locus felix, il Paradiso, luogo in cui vive la Fenice119. Plinio allude
infatti all’ambiguità del greco fo⁄niz (palma, fenice)120 e fa riferimento
al doppio simbolo di longevità, vegetale ed animale, implicito nella
112
Cfr Or. Mund. II, 117, 28-118, 1.
113
Cfr HIPP. Ref. V, 6, 7 (ed. Wendland, p. 78, 19-20).
114
Cfr Ex. Theod. 54, 1-2; 56, 3 (in CLÉMENT D’ALEXANDRIE, Extraits de Théodote,
ed. F. Sagnard [Sources Chrétiennes, 23], Paris, 1948, p. 170-175); vd. in partic. gli
schemi in TARDIEU, Pour un phénix gnostique, p. 126-127.
115
Cfr H.L. STRACK-P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud
und Midrasch, III, München, 1926, p. 252.
116
Le pietre sono le «pietre preziose» di Ez. 28, 14 ss. e di Gen. 2, 8 ss. (cfr TARDIEU,
Pour un phénix gnostique, p. 130, n. 1).
117
Or. Mund. II, 110, 2-6 (BÖHLIG-LABIB, Die koptisch-gnostische Schrift, p. 64-65;
LAYTON, Nag Hammadi Codex, p. 54-55; MORALDI, Testi Gnostici, p. 229-230).
118
Nat. hist. V, 3 (in GAIO PLINIO SECONDO, Storia Naturale, I: Cosmologia e Geo-
grafia [Libri 1-6], cur. A. Barchiesi-R. Centi-N. Corsaro-A. Marcone-G. Ranucci, Torino,
1982, p. 600-601).
119
Cfr HUBAUX-LEROY, Le mythe du Phénix, p. 110-115; per la localizzazione della
Fenice in Paradiso vd. anche VAN DEN BROEK, The Myth of the Phoenix, p. 310-332.
120
Cfr anche W. BAUER, A Greek-English Lexicon of the New Testament and
Other Early Christian Literature, english translation and adaptation by W.F. Arndt and
F.W. Gingrich, Chicago, 1957 (sull’edizione tedesca del 1952), p. 872a; e vd. anche
J. KRAMER, Phöenix, in E. KIRSCHBAUM et alii (Hrsg.), Lexikon der christlichen Ikono-
graphie, III, Rom-Freiburg-Basel-Wien, 1971, col. 430-432.
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 75

parola. Un’identica sovrapposizione simbolica è nel Leucippe e Clito-


fonte di Achille Tazio121, dove l’isola di Herakles prende nome da una
pianta, poiché ö dè fo⁄niz futón.
Secondo la leggenda la Fenice è il pennuto celeste in cui si congiun-
gono i due estremi del tempo e dello spazio, poiché la sua renovatio si
compie al termine di un viaggio «iniziatico» da Est (India, Etiopia o
Arabia) ad Ovest (Egitto). Di conseguenza il luogo che ospita l’animale
si trasforma nello spazio ierocosmico in cui si uniscono i confini
dell’esistenza, la nascita e la morte, l’inizio e la fine del tempo cosmico:
esso è il Paradiso e chi vi dimora diventa, come la Fenice, un ∂mcuxov,
un vivente che ha in sé il principio della propria palingenesi.

5. Altre Fenici

In Ovidio la leggenda della Fenice è collocata al termine di una serie


di miti che descrivono differenti tipi di nascite animali prodotte dal
calore. La palingenesi della Fenice è descritta come una metamorfosi
quae reparet seque ipsa reseminet122: trascorsi cinquecento anni la Fe-
nice prepara il suo nido-sepolcro su di un albero di palma, e lì finitque in
odoribus aevum123. Il riferimento mitico alla rinascita dal «proprio
seme» sembra un’allusione ad un tipo di rigenerazione embrionale che
abbiamo visto teorizzata e praticata ritualmente nelle conventicole
orfiche: vedremo più avanti come questo specifico cenno comparativo
non è portato a caso, per ora basti rilevare come il mitologhema della
Fenice si presenti costante nelle più diverse interpretazioni e nei più
svariati autori.
I versi 45-71 del poema sulla Fenice di Claudiano124 sono dedicati al
momento più importante e significativo del mito: la morte e la rinascita
del pennuto paradisiaco125. Il poeta segue la versione del mito secondo
cui la Fenice muore divorata dalle fiamme attizzate dal Sole: il dio
Apollo frena i cavalli della sua quadriga celeste e rivolge al pennuto un
eloquio diretto126, quindi il Sole adempie alla richiesta della Fenice

121
Cfr Leuc. et Clit. II, 14, 2 (in ACHILLE TATIUS D’ALEXANDRIE, Le roman de
Leucippé et Clitophon, ed. J.-Ph. Garnaud, Paris, 1991, p. 45); per questo vd. anche
R. MERKELBACH, Roman und Mysterium in der Antike, München-Berlin, 1962, p. 129-
132.
122
Metam. XV, 392.
123
Ibid. XV, 400.
124
Cfr CLAUDII CLAUDIANI, Phoenix (carm. min. 27), cur. M.L. Ricci, Bari, 1981,
p. 59-83.
125
Ibid., p. 59 ss. e EDSMAN, Ignis Divinus, p. 184-185.
126
È interessante rilevare come un episodio per certi versi affine si trovi nel mito
babilonese di Etana, dove un’aquila dialoga con il dio del Sole Samas, il quale custodisce
76 E. ALBRILE

scagliando un raggio che colpisce l’animale. Si compie così la combu-


stione che ne provoca la morte e la rinascita, cui fa seguito una serie di
eventi miracolosi peculiari delle epifanie divine nelle culture antiche: la
Luna ferma i suoi giovenchi, il cielo arresta il suo corso, ed infine la
Natura ordina alle fiamme di seguire la legge loro assegnata e di
rigenerare la bellezza dell’animale. In questo modo si realizza il «mis-
tero» della Fenice: qui fuerat genitor, natus nunc prosilit idem/ suc-
ceditque novus127.
Un altro nesso saliente tra il mito palingenetico della Fenice e la
rigenerazione dello spazio e del tempo128 si trova nei Papiri Magici
Greci129, dove è menzionato un anello magico che arreca potere, suc-
cesso, fortuna, sul quale sono incise le immagini di un serpente che
inghiotte la propria coda, cioè il classico Ouroboros magico-teurgico130,
e di un Sole splendente. Il dio a cui il mago rivolge la propria invo-
cazione è collegato con AîÉn, ed il mago stesso si autodefinisce Fo⁄niz,
Fenice131.
Immagine della resurrezione di Gesù Cristo, la Fenice prefigura la
resurrezione dei defunti al momento della parusia. Il frammento di un
sermone copto-sahidico edito dal Van den Broek ed una versione siriaca
del Fisiologo132 sviluppano in parallelo una tipologia sistematica della
Fenice in rapporto al Cristo. Quel Cristo che Eusebio di Cesarea133
qualifica come monogenßv, «unigenito» Figlio di Dio la cui prefi-
gurazione è l’uccello chiamato da Origene h¬çón ti monogenév, poiché
la provvidenza divina ha creato un «animale unico nella sua specie» per
far ammirare nella creazione non l’animale in se stesso, ma colui che lo
ha creato134.
Dalla Pasqua alla parusia la Fenice è inviata da Dio quale aiuto nella
comprensione e nel discernimento dell’economia salvifica. Testimone
della resurrezione di Gesù e di chi riceve il battesimo nel suo nome, il
il segreto della «pianta del procreare» (cfr C. SAPORETTI, Etana [Prisma, 124], Palermo,
1990, p. 82 ss.).
127
Phoen. 69-70.
128
Vd. in partic. G. SCARCIA, Sulla Fenice dei Baluci (per i paralleli iranici).
129
Cfr K. PREISENDANZ (Hrsg.), Papyri Graecae Magicae. Die griechischen Zauber-
papyri, Vol. I-II, Leipzig-Berlin, 1928-1931 (nuova ed. cur. da A. Henrichs, Stuttgart,
1973-1974), testo XII, 202 ss.
130
Cfr anche K. PREISENDANZ, Aus der Geschichte des Uroboros, in F. HERRMANN-W.
TREUTLEIN (Hrsg.), Brauch und Sinnbild. Eugen Fehrle zum 60. Geburtstag, Karlsruhe-
Heidelberg, 1940, p. 194-209.
131
Cfr CLAUDII CLAUDIANI, Phoenix (ed. Ricci, p. XXIV-XXV).
132
Cfr VAN DEN BROEK, The Myth of the Phoenix, p. 45 ss. e TARDIEU, Pour un phénix
gnostique, p. 134.
133
De laud. Const. 10 ( ed. Heikel, p. 223, 10); vd. anche PG 20, 1373.
134
Contra Cels. IV, 98 (ed. Kötschau, p. 372, 7).
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 77

pennuto della leggenda diventa il modello dell’astensionismo alimentare


e della vita continente. Il riappropriarsi encratita della Fenice nel mondo
cristiano appare quindi come una logica conseguenza dell’impossibilità
per il mito di definirne la sessualità ed il regime alimentare135. Sotto
questo aspetto essa serve infatti da modello mitologico, da túpov, al
genere di vita continente dei risorti. Nella sua funzione cosmogonica di
animale paradisiaco in cui si compendiano creazione, caduta e rigene-
razione136, essa rappresenta lo stato ultimo dell’uomo ricongiunto al
pleroma luminoso, coniugazione di ârxß e télov137: «nutrice di se
stessa, e sempre figlia (alumna) di se stessa, sempre a sé identica, la
stessa e non la stessa» scrive Lattanzio138, poiché la Fenice è il mono-
genßv il cui essere si dissolve nell’unità dove tutte le divisioni ed i
contrasti si annullano.
Così ha recepito l’immagine della Fenice Tertulliano, che parla di si
parum universitas resurrectionem figurat, si nihil tale conditio signat,
quia singula ejus non tam mori, quam desinere dicantur, nec redani-
mari, sed reformari existimentur, accipe plenissimum139; cui fa eco
un’omelia teologica di Gregorio di Nazianzo, che secondo l’esegesi
dello scoliaste Elia di Creta alluderebbe alla Fenice140 quale animale
palingenetico:
ˆEstì dè ° kaì êzístataí pwv ëaut¬n, êz ãllwn hÉçwn eîv ãlla
meqistámená te kaì metapoiúmena, filotimíaç fúsewv. ‰Jdj dè kaì
toÕ aûtoÕ, tò mèn oû génnjma, tò dè génnjma, pl®n ömooúsia…141.

Secondo la descrizione del bizantino Michele Glica142, la Fenice è


monogen®v ãhugov ên t±Ç djmiourgíaç, cioè libera dalla creazione delle
cose esistenti, non vincolata alla polarità ed alle antinomie mondane, ma
unica ed indifferenziata. Libera dalla eïmarménj gnostica, poiché in
essa azygia e syzygia coincidono143.

135
Cfr VAN DEN BROEK, The Myth of the Phoenix, p. 335-389.
136
Per questa tematica nello gnosticismo cfr il mio «…In principiis lucem fuisse ac
tenebras», p. 109 ss.
137
Vd. anche D.M. COSI, Nota sull’utilizzazione cristiana della leggenda della fenice,
in U. BIANCHI-H. CROUZEL (cur.), Arché e Telos. L’antropologia di Origene e di Gregorio
di Nissa. Analisi storico-religiosa, Atti del Colloquio (Studia Patristica Mediolanensia,
12), Milano, 1981, p. 274-279.
138
De ave phoen. 168-169 (in E. RAPISARDA, L’Ave Fenice di L. Cecilio Firmiano
Lattanzio [Raccolta di Studi di Letteratura Cristiana Antica, 4], Catania, 1946, p. XV).
139
De resurr. mort. 13, 1-2 (PL 2, 811).
140
Cfr PG 36, 829A; VAN DEN BROEK, The Myth of the Phoenix, p. 359, n. 3.
141
Orat. 31, 10 (in GRÉGOIRE DE NAZIANZE, Discours 27-31, ed. P. Gallay, avec la
coll. de M. Jourjon [Sources Chrétiennes, 250], Paris, 1978, p. 294-295).
142
Ann. I, 46 (PG 158, 108).
143
Cfr TARDIEU, Pour un phénix gnostique, p. 135.
78 E. ALBRILE

Nel significato gnostico della Fenice si compendiano sostanzialmente


tre aspetti: la Fenice come immagine del battesimo, della dissoluzione
del tempo e della transizione dalla dualità all’unità, evento che a livello
antropologico si realizza in interiori homine nello gnostico stesso.
Utilizzata dai Padri quale simbolo della resurrezione, nella letteratura
cristiana delle origini raramente la Fenice è messa in relazione con il
battesimo. Di conseguenza il dato di cui ci fa partecipi il redattore dello
Scriptum sine Titulo è tanto più originale quanto unico: lo sfondo
ideologico in cui esso è collocato è la classica tricotomia gnostica di
pneumatikoí, cuxikoí e xoflkoí, che l’autore mette in relazione con le
tre Fenici (l’immortale, quella che vive mille anni, e quella che sarà
divorata) e con i tre battesimi (di spirito, di fuoco, e di acqua). La
menzione dei tre battesimi rinvia alle pericopi di Matteo 3, 11 e di Luca
3, 16, dove si oppone al battesimo di acqua impartito dal Battista — che
è il battesimo di metánoia — il battesimo di fuoco conferito da Gesù nel
segno dello pneÕma, lo Spirito. Il battesimo d’acqua è la catarsi purifi-
catoria, il lavacro della conversione conferito in vista della trasfor-
mazione definitiva, che sarà l’identificazione con lo Spirito di Dio
tramite il battesimo di fuoco.
Nell’interpretazione tradizionale non esiste soluzione di continuità tra
il battesimo d’acqua ed il battesimo di fuoco, veicolo dello pneÕma
igneo: al contrario nell’ermeneutica gnostica l’elemento igneo occupa
una posizione intermedia e svolge una funzione di transizione, di
mediazione tra l’alto ed il basso, cioè tra il génov xoflkón in basso, ed il
génov pneumatikón in alto. Il fuoco rigenera i fedeli nel battesimo,
come la Fenice divorata dalle fiamme sulla pira cosmica si rigenera a
nuova vita. Ora il fuoco del battesimo è il fuoco inestinguibile che
divora il mondo nel giorno messianico144, lo stesso, unico fuoco che
purifica e fa germogliare lo Spirito Santo inaugurando il tempo escato-
logico. Nello Scriptum sine Titulo, la Fenice che vive mille anni
simboleggia appunto il battesimo di fuoco, che è il segreto della propria
palingenesi.
Nel trattato gnostico la Fenice è messa in relazione sia con l’Angelo
di Luce che con l’Arconte di Tenebra: essa infatti funge da «testimone»
nel «giudizio» contro gli Arconti e si manifesta «quale testimone
rispetto agli Angeli»145. Come la Fenice è un animale che vive nel
fuoco, puríbion, poiché tramite esso si rigenera a nuova vita, così
l’Angelo è un essere celeste il cui elemento connaturale è il fuoco146.
144
Cfr Mt. 3, 12.
145
Or. Mund. II, 122, 17.
146
Cfr ad es. PS. CLEM. Hom. IX, 9, 4-5.
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 79

Tale consustanzialità si manifesta nel fuoco battesimale, che soggioga il


potere igneo dell’Angelo o dell’Arconte, e tramite il mysterium coniunc-
tionis lustrale si comunica quale fuoco intelligibile (nojtón), ossia
come veicolo dello Spirito/pneÕma147. Il fuoco che divora e rigenera il
pennuto celeste può ben rappresentare il lavacro igneo descritto negli
Excerpta ex Theodoto148, vale a dire l’annientamento del fuoco arcon-
tico, oscuro e demoniaco, nel caso del giudizio di condanna degli Ar-
conti, e la renovatio del noÕv angelico conseguita in virtù del battesimo
«pneumatico», spirituale, stigma escatologico di «colui che si mani-
festerà alla suntéleia dell’Eone»149. Di fatto — continuano gli
Excerpta ex Theodoto — il battesimo d’acqua è un battesimo sensibile
(aîsqjtón) opposto al battesimo intellegibile (nojtón), veicolo del
fuoco e dello Spirito.
È possibile ancora un avvicinamento alla mitologia della Fenice in cui
l’acqua svolge la funzione di mitigare, di sedare, sbestßrion, la
potenza ignea del pennuto celeste. Nel Fisiologo di Vienna150 si dice che
«quando il Sole inizia a sprigionare i primi deboli raggi la Fenice, non
sopportando il calore del fuoco solare, si immerge nell’oceano sino a
quando il Sole, percorso il vasto spazio celeste, non ha oltrepassato
l’orizzonte ed è tramontato lontano dalle terre oceaniche». L’immer-
sione nelle acque lustrali e cosmiche rappresenta la renovatio, la palin-
genesi della Fenice: in questa narrazione troviamo anche un’allusione al
mitologhema gnostico della catabasi nelle acque/hyle, cioè la discesa nel
mondo della morte, nell’universo delle forme oscure e cangianti, cui
segue la risalita verso il mondo pleromatico, a prefigurare l’anelito verso
la resurrezione e la vita eterna, eonica.
Conferito in vista della metánoia, il battesimo d’acqua rappresenta
nella liturgia gnostico-sethiana151 la prima tappa di una «conversione» e
di una morte rituale il cui momento saliente e definitivo è costituito dal
battesimo igneo. Esiste quindi, a livello sia ideologico che rituale,
un’intima corrispondenza fra i tre battesimi, le tre Fenici, ed i tre génj
dell’antropologia gnostica, ognuno legato ad un particolare stato d’es-
sere conseguibile attraverso una ben precisa liturgia cultuale e lustrale.
Questo implica che la Fenice — imago cristica — non è solo da
intendersi quale kosmokrátwr che esercita la propria egemonia sulla
147
Cfr Ex. Theod. 81, 1-3 (ed. Sagnard, p. 204-207).
148
Ibid.
149
Or. Mund. II, 122, 32-33.
150
Cfr HUBAUX-LEROY, Le mythe du Phénix, p. XXXVI.
151
Cfr anche J.-M. SEVRIN, Le dossier baptismal Séthien. Études sur la sacramentaire
gnostique (Bibliothèque Copte de Nag Hammadi — Section «Études», 2), Québec-Ca-
nada, 1986, p. 247 ss.
80 E. ALBRILE

sfera celeste, ma anche come immagine del percorso iniziatico compiuto


dallo gnostico.
Nello Scriptum sine Titulo la Fenice condiziona i tre momenti del
tempo sacro prefigurati nella liturgia lustrale, cioè nel fluire a ritroso di
futuro, presente, e passato. Testimone del passato è la Fenice della cos-
mogonia: essa infatti dimora in un locus felix situato ad Oriente, luogo
che è il giardino paradisiaco; una terra beata nella quale la scaturigine ed
il compimento dell’economia salvifica si dissolvono. Questo luogo
attraversa indenne i due cataclismi cosmici che annientano il mondo alle
origini: il rogo della terra ad opera di Fetonte ed il diluvio scatenato da
Deucalione152. Secondo il Talmud babilonese poi la Fenice riposa,
impassibile e continente, al fondo dell’Arca di Noè, attendendo la tras-
figurazione nell’immortalità153. La sua funzione di araldo del Sole
all’alba ed al tramonto e la sua esemplarità soteriologica quale immagine
della renovatio battesimale inverantesi per mezzo dell’acqua e del fuoco
ne fanno il testimone del tempo presente, dell’huius mundi arcontico, un
mondo che, pur corrotto e degradato moralmente, lede la Fenice solo
superficialmente154. Infine i mille anni della sua esistenza fanno del
pennuto celeste il testimone del tempo futuro e ne giustificano la fun-
zione escatologica di «testimone del giudizio contro gli Arconti».

6. Il colore dell’immortalità

Importanti per la nostra ricerca sono due sequenze di Horapollo: nella


prima, la Fenice è rappresentata come «un’anima che rimane a lungo nel
mondo»155 (cux®n dè êntaÕqa polùn xrónon diatríbousan). Ciò
significa che essa domina il fluire del tempo, segnato a livello rituale dal
susseguirsi di êpidjmía e âpodjmía, di presenza e di assenza. Di fatto,
come narra Horapollo, l’esistenza della Fenice si evolve tra due livelli,
effigiati nella trasmigrazione fra due paesi diversi: all’approssimarsi
della morte, e quindi della propria rigenerazione, la Fenice si reca in
Egitto156. Quest’evento rappresenta la âpokatástasiv poluxróniov, il
«rinnovamento di più lunga durata», la palingenesi cosmica che ha
luogo al termine del viaggio iniziatico.
152
Cfr CLAUDIANO, Phoen. 11-14 e LATTANZIO, De ave phoen. 105-109; vd. anche
TARDIEU, Pour un phénix gnostique, p. 139, n. 1 e 2 (dove i nomi sono scambiati).
153
Cfr Sanhedrin XI, 3 (ed. Goldschmidt, t. 7, p. 488).
154
Cfr III Baruch 8, 6-7 (ho trattato diffusamente di questo testo nel mio lavoro
L’anomalia gnostica, p. 142-143).
155
Hierogl. I, 34 (in HORAPOLLO, I Geroglifici, a cura di M.A. Rigoni-E. Zanco,
Milano, 1996, p. 122-123).
156
Ibid. II, 57 (ed. Rigoni-Zanco, p. 184-185).
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 81

L’apocatastasi, cioè la rigenerazione escatologica, è il ritorno alle


origini. Allorchè nello ierocosmo egizio l’avito genitore ha esalato
l’ultimo respiro, la giovane Fenice fa ritorno alla sua terra d’origine157;
nel medesimo modo lo gnostico, al compimento della propria apodemia,
l’«assenza» dal mondo pleromatico, che rappresenta l’estraniazione e
l’esilio nel cosmo fenomenico, cioè la doppia alienazione ontologica, dal
mondo divino e dal mondo arcontico158, «ritorna al luogo donde è
venuto»159.
La vita della Fenice, dalla nascita alla palingenesi, pare modulata tra i
poli estremi dell’esistenza, la generazione e la morte. Poiché legata
all’astro che scandisce il fluire del tempo, il Sole, essa raffigura in modo
esemplare l’epilogo ed il cominciamento di ogni cosa, la morte e
l’accesso ad un nuovo stato d’essere equiparabile al conseguimento della
vita angelica160. Come si è già detto, il dominio, l’egemonia sul tempo e
l’acquisizione di un’esistenza infinita, non vincolata al caso, è un’idea
costante nell’orfismo: è l’idea del superamento di una condizione
lapsaria, della dissoluzione dei vincoli che soggiogano l’uomo alla sfera
dell’heimarmene gnostica. L’aver stabilito una relazione, anche se
puramente teoretica e fenomenologica tra i due ambiti esistenziali, pone
quindi i presupposti non solo ontologici per una comparazione ed un
avvicinamento tra il mito della Fenice gnostica ed il rito orfico descritto
nel De nuptiis di Marziano Capella.
Innanzitutto si deve sottolineare come secondo il pagano Celso,
confutato nella diatriba origeniana161, l’involucro che raccoglie le
spoglie mortali della Fenice è una bara di mirra a forma sferica, sfa⁄ra
smúrnjv; testimonianza che ha un possibile parallelo in Claudiano ai
versi 73-74: auctoremque globum phariae telluris ad oras; ed un
ricordo lessicale in Lattanzio: … in formam conglobat ore pio162. Ma la
fonte di quest’idea è in Erodoto163, dove si afferma esplicitamente che la
bara della Fenice è un Öçón, un Uovo contenente le spoglie del genitore
morto, che essa reca ad Heliopolis in Egitto, come sostiene Horapollo164.
Il salto semantico e lessicale dalla Fenice all’Uovo libato ritualmente

157
Cfr De mens. IV, 11 (in IOANNIS LIDI, Liber de mensibus, ed. R. Wuensch, Stutt-
gart, 1898 [repr. 1967], p. 76).
158
Per questo vd. quanto detto in H. JONAS, Lo gnosticismo, Torino, 19952, p. 69 ss.
159
Or. Mund. II, 127, 14-15 (BÖHLIG-LABIB, Die koptisch-gnostische Schrift, p. 108-
109; LAYTON, Nag Hammadi Codex, p. 90-91; MORALDI, Testi Gnostici, p. 248).
160
Cfr VAN DEN BROEK, The Myth of the Phoenix, p. 422.
161
Cfr Contra Cels. IV, 98.
162
De ave phoen. 120; cfr CLAUDII CLAUDIANI, Phoenix (ed. Ricci, p. 85-86).
163
HEROD. II, 73, 4-5.
164
Hierogl. II, 57.
82 E. ALBRILE

nella cerimonia orfica sembra così una logica conseguenza, tenendo


conto che il greco fo⁄niz indica altresì il colore rosso-porpora165.
Questo legame tra il pennuto del mito ed il colore rosso, rubrescente,
come ha segnalato il Borghini166, è presente ancora nell’Aquila descritta
nello Scudo d’Ercole esiodeo167, e per questo chiamata flegúav, con il
significato di «rosso fiammeggiante»168 (da flégw, «infiammare,
ardere»). Il colore porpora dell’Uovo orfico permette quindi di spiegare
il simbolismo palingenetico del rito: il punto di contatto è infatti rap-
presentato dal colore rosso-porpora dell’Uovo, il che si coniuga con il
colore della Fenice e dell’Aquila di Esiodo.
Inghiottendo l’Uovo orfico, dal colore purpureo, si acquisisce la forza
di Prwtógonov, cioè l’«esistenza infinita» conseguita attraverso il
mescolamento, l’unione in sé della potenza e del vigore del dio (m⁄ze dˆ
ëo⁄v meléesi qeoÕ dúnamín te kaì âlkßn). Come abbiamo visto,
quest’idea si ritrova nella gnosi mandea, dove il mistero dell’Uovo è le-
gato al conferimento del lilbusia gauaiia, il vestimento interiore che
proviene dal segreto. Il tema ha un retaggio mitologico molto arcaico, da
ricercarsi in un comune milieu religioso che possiamo definire indo-
iranico-gnostico169: esso fa riferimento all’acquisizione, da parte del pio
o dell’iniziato, di un Abito di Luce immaginato quale vestimento
glorioso che l’anima riceve in cambio delle buone azioni compiute in
vita. Ecco ad esempio come quest’idea è efficacemente descritta in un
testo mazdeo-zoroastriano, il Dadestan i denig170:
u-s brehenid be o *paydag paymozih i xwad <i> ast getig paymogih <i>
cer i *tagig ahlawan frawahran. u-s payrast ke zamanag zamanag pad
xwes gohrag estend ud rasend be o getig paymogih

165
Cfr ROCCI, Vocabolario Greco-Italiano, p. 1975b.
166
Cfr in partic. A. BORGHINI, Cane-uccello, cani e uccelli: incomprensione culturale
e recupero del «reale» come retorica in alcuni passi di Agatia, in AA.VV., Atti del
Convegno «Prospettive nel tardo-antico» (Pavia 27-28.11.1997), in corso di stampa;
singolare figura di studioso al crocevia tra antropologia, religionistica e filosofia, il prof.
Borghini ha dedicato a questo affascinante argomento una parte del corso di Antropologia
Culturale nell’A.A. 1997-1998.
167
Scut. Herac. 134 (in HESIOD, The Homeric Hymns and Homerica, ed. H.G. Evelyn-
White, London-Cambridge [Mass.], 1959, p. 228-229).
168
Cfr ROCCI, Vocabolario Greco-Italiano, p. 1970b.
169
Di questo ho trattato in numerosi miei precedenti lavori; qui vorrei solo richiamare
il magistrale ed indispensabile studio di G. WIDENGREN, Die iranische Hintergrund der
Gnosis, in Zeitschrift für Religions- und Geistesgeschichte, 4 (1952), p. 97-114, poi
compendiato in K. RUDOLPH (Hrsg.), Gnosis und Gnostizismus (Wege der Forschung,
262), Darmstadt, 1975, p. 410-425.
170
Dadestan i denig 37, 35-36 (ed. Anklesaria, p. 84-85 = 36, 25-26), in C.G. CERETI,
La figura del redentore futuro nei testi iranici zoroastriani: aspetti dell’evoluzione di un
mito, in Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, N.S., 55 (1995), p. 42.
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 83

«Egli [= Pisotan] rese visibile la propria veste che è l’esistenza corporea, il


vestimento vittorioso e potente delle anime dei giusti. Stabilì che di tempo
in tempo [alcuni] congiungendosi con se stessi, acquisissero il vestimento
corporeo».

È l’idea dell’esistenza psichica come esistenza corporea (perfetto è lo


stato menog, invisibile; perfetto sarà lo stato getig, corporeo)171, cioè
quale «abito di gloria» ed espressione della vittorialità animica, l’aura
gloriae di Henry Corbin, ottenuta nel post mortem oppure nel corso di
un’esperienza estatica. È significativo inoltre come, secondo un altro
testo zoroastriano, Pisotan consegua l’immortalità dopo aver libato una
coppa di latte offertagli da Zoroastro172.
L’idea di un abito glorioso che al medesimo tempo è vestimento cor-
poreo dell’anima ha larga diffusione nella gnosi di ambito giudeo-ira-
nico173, il cui principale testo a noi pervenuto è l’Inno della Perla, con-
tenuto negli apocrifi Atti di Tommaso174. Ancora, in un trattato sethiano
di Nag-Hammadi, il Secondo Discorso del Grande Seth, le altezze
pleromatiche sono descritte come un luogo immacolato ove si celebrano
le nozze dell’anima, le quali implicano la «vestizione dell’abito nu-
ziale» (pigi seleet pe ente tistole)175. Ma l’ambito gnostico in cui questa
tematica è stata più esaustivamente sviluppata è quello manicheo; basti
citare un significativo passo dell’Angad rosnan, un inno che celebra il
grande noÕv cristologico come il vestimento di Luce indossato dal corpo
psichico:
ud to *ay man tan padmoza[n bam]ig
«… e tu sei lo [splendido] vestito del mio corpo»176.

171
Cfr Gh. GNOLI, Osservazioni sulla dottrina mazdaica della creazione, in Annali
dell’Istituto Orientale di Napoli, N.S., 13 (1963), p. 163 ss.; e S. SHAKED, The Notions
menog and getig in the Pahlavi Texts and their relation to Eschatology, in Acta
Orientalia, 33 (1971), p. 57-70.
172
Cfr Zaratust Name 1170, cit. in CERETI, La figura del redentore, p. 43; della
libagione di latte narcotico nella tradizione iranica ho trattato (con ampia bibliografia) nel
mio Il segreto della Madre Lucente. Estasi e teurgia nel sincretismo gnostico (di pros-
sima pubblicazione).
173
Per la definizione di gnosi «giudeo-iranica» e la relativa bibliografia, vd. il mio
lavoro I Sethiani: una setta gnostica al crocevia tra Iran e Mesopotamia, in Lauren-
tianum, 37 (1996), p. 377 ss.; ed in partic. Il mistero di Seth. Sincretismo gnostico in una
perduta apocalisse, ivi, 39 (1998), p. 413 ss.
174
Si tratta di uno scritto gnostico sul quale mi sono soffermato più volte. Mi
permetto quindi di rinviare, per la bibliografia e gli ulteriori approfondimenti, ai miei due
lavori Zurvan tra i Mandei? Un excursus sulle origini dello gnosticismo, in Teresianum,
47 (1996), p. 223 ss., e Le Acque del Drago. Note in margine alla Passione e martirio di
santo Stefano Protomartire, in Studi sull’Oriente Cristiano, 3 (1999), p. 5-53.
175
II Log. Seth. VII, 57, 14 (ed. B.A. PEARSON, Nag Hammadi Codex VII [Nag
Hammadi and Manichaean Studies, XXX], Leiden-Köln, 1996, p. 168-169).
176
T II D 178 III verso 4a = Angad Rosnan VI, 9a; cfr M. BOYCE, The Manichaean
Hymn-Cycles in Parthian (London Oriental Series, Vol. 3), London, 1954, p. 140 (testo),
84 E. ALBRILE

Echi di questo mitologhema indo-iranico-gnostico li troviamo ancora


in un Inno di Efrem Siro, dove si parla dei lbwsÿ spr’, gli «splendidi
abiti» che Adamo ha perduto in seguito all’estromissione dal Paradiso
terrestre177. Un’altra testimonianza significativa si trova nel Testamento
di Abramo, uno scritto giudeo-cristiano presente in numerose recensioni
(copta, etiopica, araba, rumena, paleoslava) di cui la più antica è quella
greca: qui Abramo sveste l’anima, intesa quale involucro psichico, che
gli Angeli al seguito di Michele depongono «in un lenzuolo tessuto da
Dio»178, ên sindóni qeoÓfant¬ç.
In una dimensione magico-teurgica si inseriscono inoltre i riti magici
riguardanti le manipolazioni dello Öçón, editi dal Delatte179, ai quali
dedicherò un prossimo lavoro. Per ora vorrei concludere tornando sulla
funzione palingenetica ascritta all’Uovo nel rituale orfico e sui suoi
punti di contatto con l’immagine rigenerantesi della Fenice «purpurea»:
ciò implica — come ampiamente documentato — l’acquisizione di un
potere sul tempo e sull’esistenza pari alla dissoluzione dei limiti spazio-
temporali. In altre parole l’iniziato a tali mysteria si pone ai limiti del
mondo noetico e percepisce nella sua plenitudine l’eternità dell’istante.
Tutto muore, quindi tutto rinasce, il fluire del tempo ha una sua ragion
d’essere all’interno di uno spazio esistentivo, al di fuori della vita
corporea, del cosmo fisico. Il tempo di fatto non esiste e questo significa
porsi al di là della ricorrenza animica, cioè dei cicli metempsichici, ed
acquisire una forza ed una capacità uniche: il potere di cogliere

p. 141 (trad.), che segnala (n. 2 p. 141) come testo parallelo il Keph. 51; vd. anche
G. WIDENGREN, The Great Vohu Manah and the Apostle of God. Studies in Iranian and
Manichaean Religion, Uppsala-Leipzig, 1945, p. 17, che integra con padmoza[n ke
padmuxt], senza però aver preso visione del manoscritto; l’integrazione dell’aggettivo
bam[ig] è fatta seguendo il testo di W. SUNDERMANN, The Manichaean Hymn-Cycles
Huyadagman and Angad Rosnan in Parthian and Sogdian (Corpus Inscriptionum
Iranicarum, Suppl. Ser. 2), London, 1990, p. 17, gentilmente segnalatomi dal dr. Morano,
che ringrazio sentitamente.
177
Cfr EPHRAEMI SYRI, Hymni et Sermones (ed. Lamy, IV, col. 629, 2), in G. WIDEN-
GREN, Mesopotamian Elements in Manichaeism. Studies in Manichaean, Mandaean, and
Syrian-Gnostic Religion (King and Saviour, II), Uppsala-Leipzig, 1946, p. 59.
178
Test. Abram. 20 (rec. A), ed. M.E. STONE, The Testament of Abraham. The Greek
Recensions (Texts and Transl., 2 — Pseudepigrapha Ser. 2), SBL — Missoula, 1972,
p. 54-55; vd. anche il comm. di M. Delcor in Le Testament d’Abraham (Studia in Veteris
Testamenti Pseudepigrapha, II), Leiden, 1973, p. 171-173. Devo questa segnalazione al
prof. F. Pennacchietti, che in un lavoro di prossima pubblicazione nella Festschrift
Fronzaroli tratterà proprio del «lenzuolo celeste» in relazione alla daena iranica; vd. poi
la recente trad. it. di C. Colafemmina (Roma, 1995), che rende la frase con «drappo
divinamente intessuto» (p. 76).
179
Cfr A. DELATTE, Anecdota Atheniensa, I: Textes grecs inédits relatifs à l’histoire
des religions (Bibliothèque de la Faculté de Philosophie et Lettres, XXXVI), Liège-Paris,
1927, p. 467, 43; 468, 8; 523, 17; 596, 16.
L'UOVO DELLA FENICE: ASPETTI DI UN SINCRETISMO ORFICO-GNOSTICO 85

l’esistenza eterna dell’attimo. Tutto ciò si realizza per mezzo della


libagione d’immortalità, la stessa che la Mátjr orfica mesce ai puri
iniziati (to⁄v ösíoiv kígkrjti) nell’epigrafe di Festo180. Dietro al cibo
rituale181 si cela quindi molto probabilmente una sostanza ad azione
enteogena182, una sostanza cioè che dà la possibilità di accedere ad uno
stato d’essere fuori dal comune, permettendo che il divino si generi, si
riveli nell’interiorità dell’iniziato; ciò in vista di un rinnovamento totale
dell’esistenza, di un’immortalità che non è frutto di mera riflessione
intellettuale, ma possiede una reale — e forse inquietante — «corpo-
reità», una concreta quanto invisibile fisicità.

Via Paisiello, 76 Ezio ALBRILE


I-10154 Torino
Italia

180
Cfr KERN fr. 32b IV (p. 106).
181
Sulle agapi orfiche vd. ancora V. MACCHIORO, Zagreus, p. 65 ss.
182
Per questo mi riferisco in particolare ai lavori del prof. G. Samorini pubblicati in
Eleusis, 1 (1998) e 2 (1999). Nel concludere ringrazio vivamente la dr.sa Emanuela Turri.

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