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ERACLITO: LA LUCE DELL’OSCURO

IL POLEMOS ERACLITEO TRA FILOLOGIA E FILOSOFIA

Il pensiero di Eraclito è il più grande mistero della filosofia greca ancor prima dei dialoghi di Platone, a causa
della lontananza storica dell’autore e della lacunosità dei suoi testi. Sebbene Mouraviev abbia riorganizzato
in un volume tutte le fonti a noi pervenute di Eraclito, permangono alcuni problemi causati dalla difficoltà
interpretativa del testo, per la quale Eraclito ha guadagnato l’epiteto di “oscuro”, tuttavia anche avendo un
volume completo, non si colmerebbero queste lacune, ma anzi si aprirebbero nuovi fronti. Il modo di
scrivere di Eraclito è così oscuro o malevolo che appena noi restiamo al di là dei suoi congegni logico-
letterali, non riusciamo più a comprendere pienamente il suo testo a causa dello stile in cui sono frequenti
doppi sensi o artifici da lui escogitati.

Sebbene sarebbe stato utile compiere un controllo incrociato delle fonti in nostro possesso, gli studiosi
moderni sono ricorsi in maniera limitata a questa tecnica che li avrebbe esposti maggiormente alla
pericolosità di questa “oscurità”. Senza la percezione chiara di questo pericolo, le forze si sono disunite, e
questo è quello che è successo tra i filologi ed i filosofi: una silenziosa battaglia guidata dal polemos.

Alla riscoperta degli scritti di Eraclito, le due schiere erano ancora pacifiche, in quanto si scambiavano
favori, ignorando le complicazioni del loro rapporto, scaricandole in un sistema del sapere ancora unitario,
ma che sarebbe crollato di lì a poco a causa di Nietzsche, dal quale prende esempio Colli in Italia, con lo
scotto di essere rifiutato sia dall’una che dall’altra schiera. Heidegger rimane al di qua del dibattito tra il
“pensare troppo” e la “perizia filologica” cercando di trovare un ideale territorio neutro nel quale fare
accordare pacificamente le due schiere, ma appare come una visione troppo prudenziale e sospesa. La
situazione attuale è ancora peggiore di quella sopra descritta in quanto il conflitto non viene più
riconosciuto, non si tratterebbe dunque di elaborare un compromesso, quanto di riesumare la questione in
tutta la sua completezza e profondità.

Le due schiere necessitano di un dialogo e ciò si percepisce dal fatto che, come direbbe Kant, i testi senza
un’interpretazione più ampia sono ciechi, mentre le interpretazioni senza una verifica filologica sono vuote.
Bisognerebbe che le due visioni avessero un interscambio reciproco in una sorta di matrimonio di interesse,
che rendesse merito all’intelligenza delle due fazioni. In merito a questo discorso il lavoro di Mouraviev
starebbe segnando un’inversione di tendenza, in quanto starebbe presentato risultati notevoli anche sotto
un profilo filosofico portando all’estremo il suo metodo filologico, a prova del fatto che il terreno neutrale
di Heidegger non abbia senso in confronto ad una visione maggiormente approfondita e più aperta.

Mouraviev elenca alcuni principi filologici per stabilire l’autenticità dei testi:

 Principio di precauzione: tutti i testi attribuiti dalla tradizione a Eraclito sono considerati autentici
dalla tradizione fino a prove contrarie di falsificazione o alterazione
 Presunzione di innocenza: una testimonianza deve essere ritenuta affidabile e storicamente
significativa fino a che non si dimostra il contrario
 Principio di non identità: se ci sono testi simili ma dal contenuto differente devono essere
mantenuti entrambi sempre fino a prova contraria
 Principio di saggezza scientifica ripreso da Mondolfo (sostenitore dell’alleanza tra f. e f.)

L’approccio sistematico di Mouraviev e la sua fecondità sono dimostrati dalle affascinanti conseguenze che
stanno derivando dalla sua applicazione, possiamo ora recuperare o rivalutare informazioni sulla vita di
Eraclito e disporre di testi più ricchi e affidabili grazie alla riabilitazione critica delle fonti post-arcaiche,
ellenistiche e cristiane. Proprio questo approccio è testimonianza del possibile e necessario dialogo
dapprima interno e poi esterno tra filosofi e filologi.
Considerazioni di Fornari in merito alla questione; 2 principi:

 Densità semantico-storica: compresenza nel linguaggio eracliteo di potenzialità e risonanze che in


più casi rimandano a sviluppi concettuali successivi, per cogliere ricostruzioni contestuali e
genetiche del testo
 Contestualità religiosa: assioma controverso ma che dimostra la sua importanza essendo escluso
dai due schieramenti impegnati nel polemos; questo principio afferma che è impossibile pretendere
di comprendere il pensiero greco arcaico senza un’adeguata comprensione della componente
religiosa che permeava la società ellenica, che ha interagito con la nascita della filosofia

Fra gli interpreti italiani più attenti al significato religioso di Eraclito ci sono Macchioro che identifica
l’insegnamento eracliteo con l’iniziazione orfica escludendo ogni forma intellettuale, Mazzantini che lo
colloca in continuità tra il pensiero greco e quello cristiano, Colli e Tonelli che si ispirano ad una visione
nietzschiana dei culti greci arcaici e del dionisismo in particolare. Marcovich al contrario ha una visione di
Eraclito maggiormente legata alla razionalità ed al rifiuto dei riti dionisiaci, mentre West si sbilancia su
ipotesi di possibili influssi iraniani e indiani sul pensiero eracliteo, ma non prende posizione in merito a
rapporti storici tra filosofia e religione.

Questi dibattiti non portano ad un risultato comune avendo ognuno una visione diversa, la sfida sta dunque
nel cercare di comprendere che importanza e che caratteristiche avesse la visione religiosa nella Grecia
arcaica, legata alle esperienze collettive più che a quelle individuali. Eraclito inoltre risente di una
componente magica desunta dalla religione dell’epoca. La magia non è un elemento da esorcizzare in
quanto è dotata di una razionalità, quella dimensione mediatrice che consentiva il passaggio dal mondo
quotidiano a quello degli dei. La conoscenza delle pratiche magiche e della religione ad esse collegate
consente una visione decisamente più completa dello svolgimento del pensiero umano nel corso della
storia, fino al rinascimento, ma ancor più se consideriamo il caso della filosofia greca e del logos, che
consiste in uno strumento magico carico di un nuovo potere conoscitivo, di cui i greci riconoscono la forza
in tutti gli ambiti della polis; la forza del logos sta nella sfera sacrale e realizza i suoi traguardi proprio grazie
alla suo essere un tramite con il mondo divino.

BREVE SAGGIO DI STORIA CRITICA DELLE EDIZIONI ERACLITEE

Mouraviev per ricostruire l’ordine interno dell’opera di Eraclito si è affidato alle fonti esterne come le
testimonianze di Diogene Laerzio ed alle fonti interne come le stesse indicazioni autodescrittive dello stesso
autore.

I tentativi ricostruttivi di quest’opera si potevano raggruppare in due tendenze:

 Ricostruzione testuale
 Suddivisione per argomenti

Diels-Kranz, secondo la tendenza ottocentesca della suddivisione per argomenti (ancora in voga),
raggrupparono per argomenti i diversi frammenti di testo che erano pervenuti, creando tuttavia una lista di
aforismi e non un testo organico e unitario secondo la tecnica della ricostruzione testuale, richiedendone
dunque un’interpretazione da parte di un filosofo. La conseguenza dell’”effetto Diels-Kranz” è stata un
inevitabile blocco filologico che ha fatto ricadere un enorme peso sulle spalle dei filosofi che si trovavano a
dover interpretare un’opera più che mai frammentata e frammentaria ed erano rimproverati per le
soluzioni di interpretazioni azzardate ed avventuristiche.

Tuttavia il tentativo più famoso di ricostruzione dopo quello di Mouraviev fu quello di Marcovich, il quale
dispose i frammenti per temi restituendo ai testi una parte del metatesto dossografico.
Il risultato di questa edizione fu notevole, tuttavia non sappiamo se effettivamente Eraclito avesse inteso
l’opera come noi la intendiamo, con l’effetto collaterale di un aggravamento dell’effetto “Diels-Kranz”, in
quanto, in mancanza di una forma di testo unitario, si perdessero quelli che erano eventuali motivi o
pensieri dell’autore. Stilisticamente parlando, secondo Mouraviev, Eraclito non segue lo stile poetico della
tradizione omerica e lirica, ma una tecnica più vicina a quella usata nella poesia della maggior parte delle
lingue europee attuali.

IMMORTALI/MORTALI: IL SACRIFICIO IN ERACLITO

Fornari vuole combattere lo stereotipo secondo il quale il termine “filosofia occidentale” coincida con uno
spazio dove il logos regna incontrastato da presunte “contaminazioni” di carattere sacrale, magico e mitico,
che non è nulla di più sbagliato, così come aveva già detto nell’introduzione del medesimo libro quando ha
parlato di principio della contestualità religiosa; infatti questa come altre filosofie sono state rese possibili
solamente dal loro rapporto con il sacro, che nel mondo della Grecia arcaica è imperniato attorno al rito del
sacrificio, di notevole importanza storica e religiosa e indispensabile per capire la filosofia eraclitea. Come
già detto, il mondo di Eraclito era pervaso dal rituale del sacrificio.

Sacrificio e scrittura
Per collegarsi a ciò si cita un esempio che è riferito da Diogene Laerzio, ossia che Eraclito avesse donato al
tempio efesio di Artemide un rotolo papiraceo contenente i suoi scritti, giustificando la loro perdita con
l’incendio che lo colpì nel IV secolo, anche se questa giustificazione è erronea poiché ci sono delle influenze
di questi scritti nei secoli successivi al presunto rogo. Nel suddetto tempio, dedicato ad altre divinità
elleniche femminili, si celebravano riti orgiastici e violentemente sacrificali in onore a queste, e sebbene
Eraclito critichi questa tipologia di culto, egli riconosce la loro importanza nelle istituzioni cittadine, tuttavia
per meglio comprendere questi tipi di riti, bisogna approfondire le liturgie che si svolgevano nei templi.

Sebbene gli edifici templari non fossero direttamente collegati ai sacrifici, ne erano la più potente
emanazione, al di fuori di questi avvenivano i riti sacrificali con animali, dedicati alle principali divinità
(anche infernali) e anche i riti orgiastici da cui lo stesso Eraclito prende le distanze; tutti questi all’esterno e
rivolti verso est, perché l’interno del tempio era sacro (solo perché davanti ad esso scorreva il sangue delle
vittime sacrificali), e la forma periptera ricordava la folla di gente attorno al “banco” dove si sacrificava
l’animale. Al pari dei sacrifici (thysia) olimpici, si svolgevano riti sacrificali anche in città come testimonianza
di devozione e pietà. Eraclito introduce il suo testo in questo contesto sacro per consacrare e allo stesso
tempo riconoscere quelli che erano i riti cittadini e olimpici della Grecia arcaica.

Ai tempi di Eraclito la scrittura era collegata all’oralità e alla gestualità dei riti, e anche il gesto di srotolare il
rotolo su cui erano scritte le formule aveva un valore magico-rituale; la carica magica della parola
soprattutto in questi riti, derivava dalla carica magica che avevano le parole sin dai primi alfabeti geroglifici,
fino agli alfabeti sillabici, ai tempi di Eraclito infatti la parola era definita come un vero e proprio
incantesimo. Tra il 6 e il 5 secolo a.C. infatti non esiste testo che sia disgiunto da questo carattere magico-
sacrale.

Con il suo testo Eraclito attua una brillante sintesi tra il vecchio paradigma sacrale e l’innovativa
comunicazione personale tipica della lirica greca; i suoi testi dovevano essere letti ad alta voce per una
fruizione personale, anche perché come sosteneva lo stesso Eraclito leggendo ad alta voce si diventava
intelligenti respirando logos e dunque si entrava a far parte del ciclo che costituiva il kosmos: il logos
universale (argomentazione collegata alla cultura indiana della respirazione).

Questo fattore conferisce all’idea di singolo di Eraclito un valore totalmente diverso dalla nostra idea di
singolo, poiché il lettore del libro/rotolo eracliteo leggendo ad alta voce si collegava con la ragione
universale, dobbiamo quindi concludere che la funzione del rotolo di Eraclito era quella di collegare la
mente dell’autore con quella del lettore passando per un Fuoco universale e creatore.

Il linguaggio usato da Eraclito era un linguaggio che sfruttava fino agli estremi limiti le potenzialità della
lingua greca in termini di retorica e ambiguità, tanto da essere quasi paragonabile all’enigma dell’oracolo,
che conteneva realmente gli accadimenti futuri; ma anche l’enigma oracolare era estremamente legato al
sacrificio, infatti anche a Delfi era presente il sacrificio in termini di smembramento di vittime sacrificali.

All’interno della tragedia l’oracolo divino si manifesta come catastrofe che segna la vicenda di un eroe
assimilato al tragos, ossia alla vittima sacrificale. La scrittura era geneticamente collegata con il rito e con la
violenza che il rito stesso doveva veicolare e contenere e questo sarà sfruttato dai tragediografi successivi.

Un’immortalità sinistramente mortale


L’enigma sibillino di Eraclito è composto nei primi due versi da un chiasmo (immortali/mortali) e nelle
seconde due da un chiasmo semantico. Nella traduzione di Macchioro viene sottolineata la forte presenza
orfica all’interno dell’enigma, che descriverebbe l’esperienza dell’iniziato orfico consistente nel rivivere
morte e rinascita di Dioniso Zagreo (divinità soterica dell’orfismo). Il nesso sacrificale rimanda comunque al
rapporto che intercorre tra dèi e uomini, di cui il testo ci parla. Fink e Heidegger traducono il verbo vivere
alla lettera, così facendo dalla traduzione risulta che gli dei vivono la morte degli uomini poiché li divorano,
ma non solo questi non hanno bisogno del nutrimento degli uomini, ma neanche delle loro vittime
sacrificali e delle loro preghiere. Secondo Mouraviev invece il testo apparterrebbe ad una descrizione della
dottrina eraclitea delle anime, immortali ma connesse con corpi mortali, per cui finché i corpi vivono loro
sono “morte” e viceversa.

La seconda interpretazione escluderebbe ogni complicazione teologica. La ricostruzione di Mouraviev


conferma i legami di Eraclito con la concezione orfica dell’anima umana secondo la quale l’anima si libera
da un corpo attraverso i riti iniziatici e che la facciano uscire dalla metempsicosi (reincarnazione delle
anime). Ci sono comunque prove del rapporto di Eraclito con i riti orfici e con i culti di Demetra e Zagreo
(secondo Colli e Macchioro).

È proprio in questa cornice che la lettura di Fornari acquista significato, in quanto la legge orfica e la
dottrina eraclitea dell’anima sono uno sviluppo della vicenda sacrificale di Dioniso, sbranato dai titani e
fatto poi rinascere da Zeus dalle loro ceneri; gli uomini ereditano da Dioniso, sia la violenza sia la scintilla
della saetta che ha fulminato i titani stessi, che l’iniziazione orfica ha il compito di liberare. Alla scintilla
orfica corrisponde la scintilla stellare dell’anima sapiente secondo Eraclito, e sarebbe questa scintilla che
reca con sé l’antico legame con il Fuoco ad essere il dio in seno agli iniziati e a rivelarsi poi immortale.
Questo legame tra uomini e dèi è simile a quello concepito da Evemero, vissuto tra il 4 ed il 3 secolo a.C.
secondo il quale gli dei sarebbero eroi morti e divinizzati, da questa teoria si sviluppa poi quella dello
scambio generatore e trasfiguratore tra uomini e dei. Il mito orfico insieme all’evemerismo presupporrebbe
all’interno del testo eracliteo una forma di sacrificio volta alla divinizzazione delle vittime sacrificali e al
mantenimento del rapporto con gli dei tramite esse, che poco si ricollega all’ancestralità del rito orfico e del
sacrificio umano. Tuttavia nell’antica Grecia allorché si verificassero particolari emergenze tali per le quali i
sacrifici animali non fossero bastati, si sarebbe ricorsi al sacrificio di una vittima di maggiori dimensioni
individuabile facilmente nell’uomo, infatti non mancano testimonianze nel tempio di Efeso di sacrifici umani
alle dee madri come quelli compiuti ad Artemide sin dalla preistoria. Un celebre esempio contemporaneo
all’efesio è quello di Plutarco, che drammaticamente racconta quanto successo ad Atene (centro della
civiltà ellenica) prima della battaglia di Salamina (480 a.C.) quando Temistocle assecondato dalla folla
esaltata sacrifica tre giovani prigionieri al Dioniso carnivoro, la quale rappresenta una breve testimonianza
di teologia sacrificale e di prassi politica. Si ha qui una retroversione dai sacrifici animali a quelli umani, che
sia Eraclito che Platone che Plutarco rifiutano; ammettendo invece quelli animali, Platone infatti afferma
che non ci sia logos più bello e più vero dell’atto del sacrificare. Come già detto il culto di Dioniso è quello di
Dioniso carnivoro (divoratore di carne cruda e viva) a cui in alcune isole dell’Egeo si compivano sacrifici
umani tramite omofagia, ossia divorando la vittima sacrificale ancora viva, come nel mito orfico, con
funzione magico-propiziatoria per l’esito della guerra.

Lo stesso caso di Plutarco che introdotto dalla massa scanna i tre giovani, è simile a quanto indagato da
Euripide in epoca classica nell’Ifigenia in Aulide, dove è l’intero esercito greco a reclamare l’immolazione
della giovane e dove tutti i politici a cominciare dal padre Agamennone obbediscono, pur di mantenere il
comando e di non fare la sua stessa fine.

Tuttavia nel finale dell’Ifigenia che non è originale ma che costituisce la versione più nota del mito, Ifigenia
viene sostituita da una candida cerva (trasfigurazione di Artemide: dea della caccia) da immolare al suo
posto, anche se non ritornerà mai a far parte del mondo dei vivi, è da notare però come ci sia un’evoluzione
dal sacrificio umano a quello animale, che nella nostra cultura è più vicino al sacrificio di Isacco, sostituito
con un ariete da un angelo e restituito al padre Abramo, a differenza del mito di Euripide. Nelle concezioni
antropologiche di molti autori come Freud, Girard, etc. la divinità sarebbe proprio la trasfigurazione della
vittima sacrificale, da cui la necessità dell’uccisione di vittime umane e animali per il mantenimento della
compagine sociale o addirittura per la nascita di un ordine culturale. Per la scuola psicologica degli
strutturalisti invece un’unica categoria di “sacrificio” non avrebbe senso in quanto a questo sono collegati
innumerevoli e distinti comportamenti che non sarebbero riunibili sotto una tale categoria.

Gli indizi storici finora raccolti porterebbero alla conclusione che la vittima sacrificale fosse dapprima stata
umana ed in seguito sostituita con quella animale; la vittima aveva funzione purificatrice ed espiatoria per
una società allorché si presentassero condizioni di emergenza o pericolo per l’incolumità di questa o
genericamente per liberarla dai mali che la affliggevano. Tutta la negatività ricadeva dunque sulla vittima e
veniva espulsa ed annientata con lei nel momento del sacrificio.

Se tutta questa ricostruzione antropologica risulta corretta allora possiamo correttamente interpretare
l’enigma di Eraclito che nella prima parte parlerebbe della teoria orfica delle anime reso esplicito dalla
teoria di Macchioro e in seconda lettura alluderebbe ai processi di trasfigurazione dionisiaca da cui
l’orfismo aveva sviluppato la sua concezione magico-rituale delle anime che dovevano liberarsi della loro
prigione (corpo). La distinzione di due letture differenti sarebbe tuttavia troppo moderna e poco eraclitea in
quanto lo stesso Eraclito vedrebbe le due letture come parti di un unico significato.

Tuttavia Eraclito non poteva assolutamente elaborare una moderna teoria antropologica, manca inoltre la
categorizzazione di un unico concetto di

sacrificio e la percezione di una società storica e collettiva, dal momento che per Eraclito il mondo è un
insieme vivo e tensionale di forze opposte.

Ciò non significa che Eraclito non sia a conoscenza del funzionamento del sacrificio, ma che egli lo sia senza
le nostre riflessioni antropologiche e filosofiche, nella misura in cui esiste un unico comun denominatore
sacrificale che bilanci le tensioni opposte in un equilibrio.

I trucidati da Ares
Nell’enigma dei trucidati da Ares, Eraclito esprimerebbe in forma enigmatica la sua visione politica ed etica
di stampo aristocratico, in polemica contro la democrazia cittadina che stava compromettendo la stabilità
della polis. Una simile decifrazione però non tiene conto della dottrina dell’anima e del fatto che ogni
riferimento politico in Eraclito rimanda alla sua concezione cosmica e spaziale. In particolare il frammento
in questione racchiude in sé un universo di rapporti sacrali, sociali e cosmici, in quanto antropologicamente
la guerra è una proiezione esterna del sacrificio in quanto porta alla luce ogni pericolo di violenza interna.
Mouraviev fa emergere grazie ad un altro frammento che le anime dei morti in battaglia sono più pure delle
anime dei morti per malattia in quanto i tre membri del triangolo “morti in battaglia-dei-uomini” non sono
al pari livello ma sono i morti in battaglia che determinano una differenziazione tra uomini e dei.

Nell’enigma del polemos, questo è conflitto corrispondente al principio del Fuoco, che ha una componente
inevitabilmente violenta e consente al principio ordinatore universale di esistere, la guerra è dunque un uso
controllato della forza che permette al Tutto di esistere. Il conflitto eracliteo quindi è l’esplicarsi concreto
del principio universale in eventi memorabili e carichi di potenza come il morire impavidamente in
battaglia. Possiamo concludere che l’azione coincide con l’accettazione di polemos da cui deriva anche
l’ordinamento del kosmos che vede organizzati e distinti polarmente uomini e dei, schiavi e liberi secondo
organizzazioni gerarchiche simili a quelle delle caste indiane.

La verità di Dioniso/Ade
Tavolette ossee rinvenute ad Olbia e databili intorno al 4 secolo a.C., all’incirca contemporanee ad Eraclito,
testimoniano l’uso di opposti (con concezione cosmica eraclitea) all’interno di riti sacrificali a Dioniso,
confermando lo stretto rapporto intercorrente tra orfismo e dottrina dell’anima.

Ma che rapporto c’è tra Eraclito e Dioniso? Eraclito condanna totalmente i riti dionisiaci che nell’antica
Grecia coincidevano con i riti orgiastici e che talvolta terminavano con dei sacrifici umani, concludendo che
in questi riti Dioniso coincide con Ade, il dio dei morti appunto. Tuttavia ci sono due punti da rilevare:

 Eraclito condanna la violenza dionisiaca e la morte causata da violenza cruenta che porta in ultima
istanza all’identificazione Dioniso/Ade (dio dei morti)
 Eraclito non può condannare in toto Dioniso ed i culti menadici e l’intero sistema sacrale e cultuale
secondo una concezione moderna

Per Eraclito si tratta di riprendere la tensione polare a livelli più alti escludendo i riti orgiastici del dionisismo
utilizzandone però la potenza creatrice e trasformatrice. L’efesio si opponeva ai sacrifici più cruenti ed in
particolare a quelli di carattere orgiastico, secondo una volontà di purificazione iniziatica e magica dalla
violenza che stava sempre più condizionando l’orfismo. Nel mazdeismo zaratustriano troviamo delle
analogie con il pensiero eracliteo come il rifiuto dei riti orgiastici, la visione accentuatamente polare della
realtà ed infine il legame cultuale con il fuoco che si lega profondamente al ciclo cosmico. Inoltre Eraclito
rifiuta l’orfismo matematizzante dei pitagorici e vuole riformare sia l’orfismo stesso che il dionisismo
attraverso la sua sapienza antitetica e portatrice del più profondo significato del sacrificio in qualità di
vettore delle leggi di purificazione. Eraclito sente la necessità di quelle che potremmo chiamare “leggi
sacrificali” per mantenere un ordine sociale e cosmico; i sacrifici popolari o volgari secondo l’efesio
testimoniano a livelli più bassi e meno puri la verità cosmica di polemos grazie al quale uomini e dei, schiavi
e liberi hanno una disposizione chiastica e gerarchicamente ordinata.

Ekeinon
Per analizzare la seconda parte dell’enigma/detto di Eraclito bisogna fare due distinzioni, ovvero che il
pronome “ekeinon” (quelli) si riferisca a mortali o ad immortali:

 Se si riferisce a mortali allora il senso è che gli immortali vivono se i mortali muoiono e viceversa
 Se si riferisce a immortali allora il senso è che i mortali vivono se gli immortali muoiono e viceversa

Il ciclo teogonico cui il testo allude si rifà alla dottrina delle anime che vivono quando i corpi muoiono e
muoiono quando i corpi sono in vita. La lettura di Fornari però aggiunge al pronome anche un
complemento d’agente che in seconda istanza introduce un vero e proprio dinamismo di lotta e contesa del
tutto congeniale alla visione polare e tensionale eraclitea. Per Eraclito si può dire che la teoria delle anime
sia direttamente collegabile e collegata al rapporto intercorrente tra uomini e dei, seguendo un
parallelismo.

Vi è in Eraclito un’incertezza di fondo derivante dal fatto che egli pur avendo un sapere quasi
destabilizzante sui riti sacrificali, non dimostri come il ruolo dell’uomo e della società riesca a riformare
l’ordine del kosmos; in altre parole il sacrificio in Eraclito non ha solo funzione esemplificativa da penetrare
e riformare, perché esso lascia trasparire nelle sue forme degenerate la concreta possibilità che gli uomini
detengano la forza di mettere in crisi lo stesso ordine universale e di sovvertirlo ad immagine e somiglianza
della polis. Il seguito del pensiero di Eraclito va ricercato all’interno del teatro tragico, che dopo qualche
anno avrebbe avuto ad Atene il periodo di massima fioritura. Frankel osserva che il vero continuatore di
Eraclito è Sofocle, con la usa aspirazione ad un’armonia superiore, tuttavia ricostruisce il pensiero in
maniera troppo prevedibile.

I risvolti magici sondati da Fornari all’inizio del libro mostrano proprio ora la massima pertinenza: Eraclito
contava di assicurare un nuovo ordinamento del mondo di cui i suoi stessi logoi sarebbero diventati
strumento efficace; in questo autentico dramma culturale trova un’originale continuazione l’esperienza che
più di ogni altra traduceva la tensione da cui è sorto l’ordinamento del pensiero che noi superficialmente
oggi tendiamo a dare per scontato, ossia il sacrificio: l’azione sacra per eccellenza, piattaforma di lancio per
un sapere che gradatamente si porrà come sostituto cognitivo e performativo.

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