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MISTICA E LETTERATURA.
1
CATTABIANI A., Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Rusconi, 1994, pp. 106 ss.
2
La melagrana è frutto caro al dio induista Ganesha, detto "Bijapuraphalasakta,", "colui che gradisce la
frutta dai molti semi", la cui figura riunisce in sé e mette in equilibrio gli opposti del maschile e del
femminile, Shiva e Shakty.
Secondo una certa interpretazione3, il frutto raccolto da Eva dall’Albero del Bene e
del Male, che cagionò la Caduta dei progenitori dell’umanità, fu nientemeno che una
melagrana e non una semplice mela. Tanto basta a collegare il pomo granato all’età
primordiale dell’umanità e alla successiva caduta dallo stesso, così come lo stesso mito
di Agdistis/Cibele altro non è che una declinazione frigia del mitologema della perdita
di una pienezza primitiva, simboleggiata dall’androginia4.
Nell’ambito appena indicato, la melagrana assume un significato cosmico in ragione
della sua forma e struttura. Essa è, di fatto, un pomo, la cui ideale sfericità richiama il
globo terracqueo e, quindi, il mondo tutto. Ciò rileva per quella tradizione kabbalistica
secondo la quale la raccolta del pomo causò la caduta dell’umanità perché
simboleggiava la fascinazione della Vita (Eva) per il mondo materiale (il frutto sferico)
a discapito della Sapienza Divina (il frutto dell’Albero della Conoscenza). Coerente a
questa opzione ermeneutica, è l’accostamento, operato nella dottrina ebraica, tra la
melagrana e la Torah, avendo la prima 613 semi, secondo la tradizione, e la seconda un
eguale numero di versetti. Tenuto conto di questo accostamento e dell’esegesi rabbinica
secondo cui la Torah fu la matrice dell’intera Creazione5, può comprendersi come la
melagrana venga a colorarsi di particolari significati cosmogonici.
Nemmeno va obliterato che, per la sua struttura che raccoglie concentricamente,
all’interno di un scorza compatta, numerosi semi succosi, la melagrana si presenta come
una sorta di cosmogramma, la cui scorza può indicare il mondo esteriore e la sua
conoscenza profana, il cuore la Verità e i numerosi semi succosi gli esseri tutti,
variamente distanti dal centro a seconda della loro elevazione spirituale, analogicamente
la dottrina islamica dell’El-Qishr wa'l-Lobb, della “scorza e del nocciolo”6. Al di là
della sfericità, la melagrana presenta alla base un picciolo coriaceo potenzialmente
tossico, mentre alla sommità è incorniciata da un’elegante corona, quasi a inglobare in
sé una simbologia di elevazione e perfezionamento.
L’insieme dei chicchi affasciati nella scorza, d’altro canto, ha da sempre richiamato
le idee di unione, fratellanza, solidarietà, soprattutto in organizzazioni iniziatiche che
vedono nell’occultamento dei semi della melagrana un’affinità con la loro riservatezza 7.
La moltitudine degli stessi richiama poi, quasi in maniera propiziatoria, la fecondità,
quale abbondanza e perpetuarsi della vita e del suo principio. Il concetto di fecondità
pervade tutto il mito frigio di Agdistis/Cibele e Attis. Cibele, infatti, è una
personificazione anatolica della Grande Madre, che presiedeva la fertilità dei campi,
delle donne, dell’esistenza tutta. La melagrana stessa nasce poi dal sangue
dell’evirazione dell’Androgino, connettendosi al simbolismo dl fallo quale portatore del
principio vitale. Lo stesso pomo ha anche un’occulta capacità fecondante che riesce a
3
Genesi, 3: 6 fa riferimento solo a “frutto”, l’identificazione con la mela è postuma. Tuttavia, pensando
che la Terra Promessa replichi la vegetazione dell’Eden e che, in essa, sono presenti, secondo la profezia,
grano, orzo, vite, fico, melograno, olivo e palma da datteri (Deu. 8:8). L’unico pomo, tra questi, è la
melagrana. Cfr. GRILLI CAIOLA M. – GUARRERA P. M. – TRAVAGLINI A., Le piante nella Bibbia, Gangemi,
2014.
4
Su tutti, ZOLLA E., L'androgino: l'umana nostalgia dell'interezza, Red edizioni, 1980.
5
Dal Seder Zeraim (in ebraico: ? סדר זרעים, lett. "Ordine dei Semi"), primo e più corto Seder ("Ordine")
della Mishnah, una delle maggiori opere della Legge ebraica.
6
Cfr. GUENON R., Scritti sull’esoterismo islamico e il taoismo, Adelphi, 1993, cap. II. Secondo questa
dottrina, che prende ad immagine metaforico un frutto, la scorza sarebbe la sharia, la legge religiosa e
sociale esteriore, il nocciolo costituisce la Verità Metafisica. Gli infiniti tragitti che, nella polpa, si fanno
spazio dalla scorza al cuore del frutto sono le Turuq, le vie iniziatiche.
7
Cfr. MAINGUY I., Simbolica massonica del Terzo Millennio, Edizioni Mediterranee, 2009, pp. 165-166.
ingravidare la madre di Attis al solo tocco. Infine, nel racconto, assistiamo al
germogliamento miracoloso, rispettivamente dal sangue dell’androgino e di Attis, della
melagrana e delle viole. Si può dire, quindi, che tutto il mito di Agdistis e Attis
contempla, come d’altronde quello di Demetra e Kore, di cui di seguito, il Mistero della
Fecondità, che è, prima di tutto, Mistero dell’atto della fecondazione, del sesso. La
forma della melagrana aperta, non a caso, rimanda a quella della vulva e, secondo
un’altra tradizione, questa volta di stampo ellenistico, fu una melagrana il pomo donato
da Paride ad Afrodite, divinità dell’amore, eleggendola a più bella tra le dee ed avendo
in cambio l’amore di Elena8.
Sesso e fecondità, tuttavia, non appartengono solo alla vita, ma altrettanto,
sottilmente, alla morte. Plutone, dio degli Inferi, è etimologicamente “il ricco”, perché il
suo regno ctonio – che non è sotto terra, ma è luogo oltre terra – è eternamente popolato
da aeree immagini anteriori e posteriori alla breve vita umana 9. Se fecondità nel mondo
dei vivi è attesa della fecondazione, nel mondo infero è perenne proliferazione
immaginale, di immagini non (ancora) rivestite di carne e irrorate dal sangue, ma che
presiedono la vita interiore e sorreggono il senso interiore della sessualità 10. A questa
immaginalità del regno infero allude il significato occulto del mito di Prosperpina,
“Kore” , “la fanciulla” sempreverde figlia di Demetra, destinata a regnare sugli Inferi e
a permanervi per sei mesi all’anno dopo aver mangiato alcuni chicchi di melagrana che
Ade le offriva11. La melagrana, con il suo impressionante numero di semi succosi,
fragilmente liquidi, non del tutto palpabili, richiama l’abbondanza infera più di qualsiasi
altro frutto.
Altro elemento che collega inesorabilmente il pomo granato alla morte - questa volta
nell’accezione più carnale - è il profondo color rosso rubino del suo succo, del tutto
simile al sangue. Questa linfa vitale, liminale tra la vita e la morte, la salute e la
violenza, è stata oggetto di precetti, superstizioni, reverenze, ritualità presso ogni
latitudine umana e in ogni epoca della storia. Pure se non è possibile, in questa sede,
analizzare tutta quella che si potrebbe chiamare “l’antropologia del sangue” 12, non di
meno non è difficile comprendere quale reverenza potesse imporre il sanguigno succo
della melagrana al pensiero analogico e simbolico dell’uomo antico, tanto da farla
accostare all’ambito mortuario. Ma il succo sanguigno della melagrana non evoca solo
la morte come dimensione, ma anche la morte come conseguenza di un gesto umano
non dovuto nella trama della Necessità: l’uccisione venatoria13. Il sangue diviene tabù
perché tramanda memoria del sacrilego passaggio all’uccisione dell’altro essere vivente,
8
Cfr. BOUCHER J., Simbolica massonica, Atanor, 2015, pp. 145-146. L’Autore afferma, significativamente,
“occorre quasi sempre sottintendere la melagrana, quando si parla di pomo nei miti e nelle usanze
popolari relative al matrimonio”.
9
Riflessioni magistralmente svolte da HILLMAN J., Il sogno e il mondo infero, Adelphi, 2003, pp. 50 ss.
10
HILLMAN J., op. cit., p. 61: « L’Ade che è in Dioniso dice che esiste un significato invisibile negli atti
sessuali, un senso per l’anima nella parata fallica, che tutta la nostra forza vitale (…) allude al mondo
infero delle immagini (…) Dioniso è anche una divinità infera (che attira giù, come un’esperienza
depressiva) (…) L’altro lato di quella misteriosa divinità, il Dioniso che è in Ade, significa che esiste una
zoe, una vitalità, in tutti i fenomeni del mondo infero (…) Le immagini di Ade sono anche dionisiache:
non fertili nel senso naturale, ma nel senso psichico, immaginativamente fertili. C’è, sotto la terra,
un’immaginazione che trabocca di forme animali, che boccheggia e fa musica. C’è una danza nella
morte. Ade e Dioniso sono lo stesso dio. »
11
È quanto mai interessante notare come, nel folklore meridionale, sognare di condividere il cibo con
persone defunte sia di cattivo e macabro auspicio.
12
Si veda l’eccellente articolo apparso su questa stessa rivista, EUSEBIO R., La metafisica del sangue,
2020 (https://axismundi.blog/2020/03/18/metafisica-del-sangue/).
non ancora animale distinto dall’uomo, per il sostentamento, che ha lasciato una traccia
indelebile nella civiltà14.
Quello che appare dalla ricognizione fino ad ora operata è che la melagrana, non solo
accoglie in sé i concetti opposti di caduta, abbondanza, morte, vita, ma, evocando
chiaramente anche elementi “intermedi” come la fecondità e il sangue, introduce ad
un’intera simbologia della transizione, soprattutto a livello esistenziale o rituale. Per
questo motivo, la melagrana può assumere un ruolo particolare nell’ambito del rito di
passaggio per eccellenza, quello iniziatico, finalizzato ad introdurre l’iniziando ad una
nuova vita, con implicazioni palingenetiche. In particolare, studi antropologici 15 hanno
rinvenuto una struttura tripartita dell’iniziazione, nella quale si distinguono:
- la fase pre-liminale della separazione ed isolamento da un precedente contesto
umano, culturale, sociale;
- la fase di transizione liminale, strettamente rituale o di esame, caratterizzata
dall’ambiguità della condizione personale dell’iniziando;
- la fase post-liminale, di reintegrazione in un nuovo status.
La melagrana, per gli sviluppi simbolici anzidetti, inerisce particolarmente alla fase
intermedia e liminale.
Essa, ovviamente, appare nell’ambito dei Misteri Eleusini, segnatamente nei Grandi
Misteri, ispirati alla vicenda mitologica di Demetra e Proserpina. Ivi vigeva il divieto di
mangiare la melagrana, assieme ad altri cibi quali fave, mele, alcuni pesci 16. Ma la
melagrana assurge a fondamentale importanza, più che per ruoli rituali, per il
fondamentale ruolo simbolico-mitologico, essendo il frutto che, mangiato, vincola
Proserpina al Regno dei Morti. Addirittura, una terracotta greca del IV secolo a.C.
raffigura Prosperpina inginocchiata su una melagrana, quasi a promanare da essa. Ciò
conferma quanto il frutto fosse inteso, nel mondo greco, come una sorta di compendio
dell’intera misteriosofia eleusina, in cui il carattere della liminalità si concreta,
mitopoieticamente, nella perenne divisione di Prosperpina/Persefone tra mondo infero e
mondo superficiale, dovendo risiedere in ognuno, per sei mesi all’anno, senza
possibilità alcuna di addivenire ad una reintegrazione in uno status definitivo.
13
Lo spargimento di sangue, anche in ambito bellico, ha sempre costituito una grave trasgressione
dell’ordine precostituito. Ancora a Roma, l’augure feziale, prima della battaglia, lanciava nel campo
occupato dal nemico un giavellotto insanguinato, così chiamando a testimonianza gli dei e sottraendo la
guerra dall’ambito della trasgressione. Non è difficile o peregrino pensare che le prime uccisioni
venatorie abbiano impresso, nella psiche primitiva dell’uomo, la traccia mnestica di una colpa ancestrale
tradottasi in un più o meno velato tabù del sangue.
14
Cfr., su tutti, CALASSO R., Il cacciatore celeste, Adelphi, 2016. Dal rsvolto: “Ci fu un'epoca in cui, se si
incontravano altri esseri, non si sapeva con certezza se erano animali o dèi o signori di una specie o
demoni o antenati. O semplicemente uomini. Un giorno, che durò molte migliaia di anni, Homo fece
qualcosa che nessun altro ancora aveva tentato. Cominciò a imitare quegli stessi animali che lo
perseguitavano: i predatori. E diventò cacciatore. Fu un processo lungo, sconvolgente e rapinoso, che
lasciò tracce e cicatrici nei riti e nei miti, oltre che nei comportamenti, mescolandosi con qualcosa che
nella Grecia antica fu chiamato «il divino», tò theîon, diverso ma presupposto dal sacro e dal santo e
precedente perfino agli dèi. Numerose culture, distanti nello spazio e nel tempo, associarono alcune di
queste vicende, drammatiche ed erotiche, a una certa zona del cielo, fra Sirio e Orione: il luogo del
Cacciatore Celeste. Le sue storie sono intrecciate in questo libro e si diramano in molteplici direzioni, dal
Paleolitico alla macchina di Turing, passando attraverso la Grecia antica e l'Egitto ed esplorando le
connessioni latenti all'interno di uno stesso, non circoscrivibile territorio: la mente.”.
15
In particolare, VAN GENNEP A., I riti di passaggio, Bollati boringhieri, 2012.
16
MAGNIEN V., I Misteri di Eleusi Origini e rituale delle iniziazioni elusine, Edizioni di AR, 1996, p. 219.
Sempre in ambito iniziatico, la melagrana trova posto nell’architettura del tempio
massonico. Se non è un segreto, infatti, che il tempio massonico si ispira al Tempio di
Salomone, è da rilevarsi immediatamente che l’elemento della melagrana nella
tradizione massonica si differenzia dalla descrizione biblica. Nell’Antico Testamento,
infatti, si legge che Hiram, il leggendario architetto, “fuse due colonne di bronzo,
ognuna alta diciotto cubiti e dodici di circonferenza. Fece due capitelli, fusi in bronzo,
da collocarsi sulla cima delle colonne; l'uno e l'altro erano alti cinque cubiti. Fece due
reticolati per coprire i capitelli che erano sopra le colonne, un reticolato per un capitello
e un reticolato per l'altro capitello. Fece melagrane su due file intorno al reticolato per
coprire i capitelli sopra le colonne; allo stesso modo fece per il secondo capitello. I
capitelli sopra le colonne erano a forma di giglio. C'erano capitelli sopra le colonne,
applicati alla sporgenza che era al di là del reticolato; essi contenevano duecento
melagrane in fila intorno a ogni capitello. Eresse le colonne nel vestibolo del tempio.
Eresse la colonna di destra, che chiamò Iachin ed eresse la colonna di sinistra, che
chiamò Boaz” (1Re 7,15-21). In Massoneria, invece, le due colonne Boaz e Jachin si
differenziano tra loro, simboleggiando, con le proprie caratteristiche, le dualità
universali. La melagrana, in particolare, si trova sulla colonna Jachin, mentre su Boaz
viene posto un globo acqueo.
La posizione delle melagrane come ornamento delle colonne d’ingresso dei due
templi, quello biblico e quello massonico, ben si sposa con la loro simbologia del
liminale, come sopra accennata. Così come Prosperpina, per il tramite della melagrana,
sancisce la sua appartenenza irreversibile (anche se non esclusiva) ad un altro mondo,
quello infero, allo stesso modo, l’iniziando in Massoneria, transitando e sostando per la
melagrana, si appronta ad abbandonare la profanità e rinascere iniziato. Tanto detto, le
numerose melagrane che ornano il Tempio di Salomone si spiegano attraverso diversi
riferimenti alla tradizione biblica, come poi si vedrà. Nell’ambito muratorio, invece, il
significato del pomo si comprende nell’ambito dello stratificato simbolismo dualistico
delle due colonne. La colonna di sinistra, bianca, detta Boaz, ossia “nella forza”, è
sormontata da un globo d’acqua, mentre la melagrana orna la sommità della sola
colonna di sinistra, la rossa Jachin, il cui nome significa “sarà saldo”. Il bianco
spermatico di Boaz e il riferimento ad una possanza attiva, la connotano in senso
maschile. Il rosso mestruale di Jachin e il riferimento ad un recettivo essere salda la
connotano in senso femminile. Così caratterizzate sessualmente 17 e in termini di
rispettiva attività e ricettività, Boaz e Jachin sono idonee a simboleggiare ogni dualità.
L’attività di Boaz, poi, deve essere resa graficamente dalla linea verticale, simbolo della
posizione eretta della vita. La passività di Jachin si rende, all’incontrario, con la linea
orizzontale, che richiama l’idea della morte. Coerentemente, dunque, il globo d’acqua
sopra Boaz va a riconnettersi all’idea di vita, mentre le melagrane su Jachin si
sovrappongono, ancora una volta, all’ambito mortuario. Il cammino iniziatico
massonico, d’altronde, procede tramite l’avvicendarsi simbolico di morte e ritorno in
vita del libero muratore18.
Nel diverso ambito religioso e mistico la melagrana, invece, incomincia a connotarsi
in maniera certo più positiva, venendone evidenziati la dolcezza e i profumi, nonché la
tipica abbondanza. Nella tradizione ebraica, oltre quanto già riportato sopra e a
importanti funzioni ornamentali (es. dei paramenti sacerdotali), la melagrana è uno dei
frutti che abbondano nella Terra Promessa (Deu. 8:8) e, nel Cantico dei Cantici, vetta
della mistica biblica, la bellezza dell’Amata, anima, Popolo d’Israele o Chiesa che sia,
viene descritta tramite leggiadri riferimenti al pomo (Ct, 4,3; 6,7), mentre l’amore con
l’Amato, il Signore, potrà consumarsi solo quando i melograni, nel giardino dell’Amata,
saranno in fiore (Ct 6,11). Anche nel Corano la melagrana cresce nei giardini del
Paradiso (55:068). In questi casi, la melagrana simboleggia, con le dovute differenze,
stati di pienezza paradisiaca, che è, anche e prima di tutto, un ritorno ad una condizione
primordiale già nota al simbolismo del frutto.
Nella tradizione cristiana, certo la più influenzata tra quelle abramitiche dalla cultura
greca, il rosso succo della melagrana la fa nuovamente accomunare con il sangue,
rendendola simbolo e presagio della passione di Cristo e inaugurando il motivo, assai
ricorrente nella pittura europea del XV sec., del Bambino o delle Madonne che
mantengono il frutto tra le mani (vedere la Madonna della Melagrana del Botticelli o la
17
Si aggiunga che i nomi delle due colonne, al contrario, risultano essere, considerando le sole
consonati, ZB e NK, che in ebraico significano rispettivamente “fallo”/”organo fecondatore” e
“coito/copula”, cfr. J. BOUCHER, Simbolica massonica, Atanor, 2015, p. 186.
18
Su tutti, anche con riferimento ai nomi delle Colonne e relativa simbologia, REGHINI A., Le parole sacre
e di passo dei primi tre gradi e il massimo mistero massonico, ATANOR, 1994.
Madonna “Salting” di Antonello da Messina). Sempre all’interno del cristianesimo,
però, la dolcezza del frutto attrae gli accenti estatici della poesia mistica, come nel caso
di San Giovanni della Croce: “le melagrane rappresentano i Misteri più alti di Dio, i
suoi più profondi giudizi e le sue più sublimi grandezze. I chicchi della melagrana sono
simbolo degli innumerevoli effetti delle perfezioni divine. La forma rotonda esprime
l’eternità di Dio, che non ha, come il cerchio, né inizio né fine. Il succo di melagrana
indica il godimento dell’anima per mezzo della comunione e dell’amore, della natura
degli attributi di Dio, e la mirabile letizia che essa trae dal suo possesso”19.
La conclusione di questo lavoro viene affidata, ora, alla splendida testimonianza del
poeta del duende, Federico Garbia Lorca, che nella sua “Canzone orientale”, con brevi e
vividi versi, cantò l’opaca dolcezza e gli antichi presagi di questo frutto che da millenni
accompagna l’anima dell’uomo.
“La melagrana è la preistoria
del sangue che portiamo,
l’idea di sangue, chiuso
in globuli duri e acidi,
che ha una vaga forma
di cuore e di cranio.
19
GIOVANNI DELLA CROCE, Tutte le opere, Bompiani, 2014, pp. 303 ss.