Sei sulla pagina 1di 5

La poetica dell’ἀρετά nella Olimpica I di Pindaro.

L’Olimpica I fu composta da Pindaro nel 476 a.C. in occasione della vittoria a cavallo riportata da
Ierone, tiranno di Siracusa, nell’Olimpiade LXXVI. Quest’ode è un esempio compiutissimo di
come il poeta, con la sua sophia, riesca a coniugare perfettamente le aspettative della committenza
con la propria Weltanschauung. L’ode infatti, oltre a celebrare i giochi olimpici e la vittoria
riportata da Ierone, ha un velato carattere precettistico volto a fornire, attraverso l’inserzione
mitologica, il paradigma del buon sovrano e, in generale, a indicare le virtù che deve possedere la
buona aristocrazia.
L’ esaltazione dell’ἀρετά, caratteristica necessaria all’uomo per superare la condizione di caducità
in cui si trova, è il motivo sotteso a tutto il componimento. Virtù che però non deve mai sfidare i
limiti imposti dalla divinità la quale, altrimenti, interviene a punire colui che, peccando di hybris, ha
osato troppo.
Ma vediamo di seguito l’incipit dell’ode:

ἄριστον μὲν ὕδωρ, ὁ δὲ χρυσὸς αἰθόμενον πῦρ


ἅτε διαπρέπει νυκτὶ μεγάνορος ἔξοχα πλούτου:
εἰ δ᾽ ἄεθλα γαρύεν
ἔλδεαι, φίλον ἦτορ,
5 μηκέθ᾽ ἁλίου σκόπει
[10] ἄλλο θαλπνότερον ἐν ἁμέρᾳ φαεννὸν ἄστρον ἐρήμας δι᾽ αἰθέρος,
μηδ᾽ Ὀλυμπίας ἀγῶνα φέρτερον αὐδάσομεν:
ὅθεν ὁ πολύφατος ὕμνος ἀμφιβάλλεται
σοφῶν μητίεσσι, κελαδεῖν
10 Κρόνου παῖδ᾽ ἐς ἀφνεὰν ἱκομένους
μάκαιραν Ἱέρωνος ἑστίαν…1

Ottima l’acqua, come vampa di fuoco/sfavilla nella notte su ricchezze superbe l’oro,/
ma se tu, mio cuore,/vuoi cantare premi agonali/non guardare nel giorno/astro più caldo del sole/
splendente per l’etere deserto/né celebriamo gara più eccelsa di Olimpia,/donde ricinge quell’inno
famoso/le fantasie dei poeti perché onorino/il figlio di Crono convenuti al ricco,/beato focolare
d’Ierone…2

Attraverso il procedimento retorico della Priamel, alla superiorità di alcuni elementi naturali, quali
l’acqua l’oro e il sole, viene accostata la superiorità dell’agone olimpico su tutti gli altri agoni. Il
lessico riferito alla sfera dell’eccellenza e le immagini di luce che il poeta ci fornisce ci fanno
pensare che ‘per Pindaro la luce è il termine di paragone quasi unico: essa può significare e
sintetizzare tutto quello che per lui è nobile, bello, eccellente. Della luce Pindaro sembra sentire
l’ebbrezza’3.
1
Il testo greco utilizzato in questo breve saggio è tratto dal database Greek and Roman Materials della Perseus
Digital Library http://www.perseus.tufts.edu/hopper/ (consultato il 01-06-2013).
2
La traduzione utilizzata per i brani presi in esami è di L. Lehnus ed è tratta da Id., Pindaro. Le Olimpiche,
Milano 1989.
3
G. Perrotta, Saffo e Pindaro. Due saggi critici, Bari 1935, p. 193.
1
Anche Ierone, il committente dell’ode, menzionato al v.11, accumula in sé immagini di eccellenza.
Di lui si dice infatti che:
θεμιστεῖον ὃς ἀμφέπει σκᾶπτον ἐν πολυμάλῳ
[20] Σικελίᾳ, δρέπων μὲν κορυφὰς ἀρετᾶν ἄπο πασᾶν,
ἀγλαΐζεται δὲ καὶ
15 μουσικᾶς ἐν ἀώτῳ…

… legittimo scettro impugna nella Sicilia feconda/di frutti cogliendo il vertice a ogni virtù/e anche
si orna delle gemme del canto …

Al breve accenno alla vittoria conseguita da Ierone, con il suo κέλης Ferenico, a Olimpia, segue
una lunga sezione mitologica in cui si narra di Pelope che è l’iniziatore delle gare olimpiche e che
ad Olimpia era onorato da αἱμακουρίαι, sacrifici che si svolgevano annualmente presso la sua
tomba.
Secondo la versione tradizionale del mito, Tantalo, re di Lidia e padre di Pelope, aveva imbandito le
carni del figlio agli dei per provarne l’onniscienza e nessuno di loro, tranne Demetra. se ne era
cibato. Il corpo di Pelope venne poi ricomposto dagli dei in un calderone e la spalla mancante, che
era stata divorata da Demetra, venne sostituita da una d’avorio. Pindaro però opera una riscrittura
del mito ed epura la sua versione da tutti quegli elementi che vanno contro la sua pietas religiosa
che mai gli farebbe vedere una divinità ‘schiava del ventre’, forse tenendo in conto anche che i
Dinomenidi esercitavano il sacerdozio di Demetra e Kore4.
Secondo la nuova versione del mito, Pelope, dotato sin dalla nascita di una spalla di avorio, con la
sua bellezza fece innamorare Posidone che volle rapirlo e portarlo con sé nella dimora dei celesti; i
vicini invidiosi, allora, misero in giro la voce che gli dei si erano cibati delle sue carni. Tantalo fu
punito non per aver imbandito le carni del figlioletto agli dei ma per aver tradito la loro fides,
rubando nettare e ambrosia e avendone fatto parte ad altri mortali. Così Tantalo, che ‘pure non
seppe/smaltire l’enorme fortuna e per avidità/si guadagnò enorme rovina5’, fu condannato ad una
pena eterna e la sua colpa ricadde anche sul figlio Pelope che venne rimandato sulla terra. Tantalo,
preda della κόρος e ὑβριστής, costituisce un modello negativo di regalità a cui fa da contraltare la
luminosa vicenda di Pelope che occupa i vv.67-94. In questa sezione si narra del proposito di
Pelope di sposare Ippodamia, figlia del re di Pisa Enomao, la cui mano era concessa a chi avesse
gareggiato in una corsa con i cocchi contro il re in persona. Pelope ricorre all’aiuto di Posidone che,
in qualità di ex-amante, gli elargisce un carro d’oro e cavalli alati.
Ecco con quali parole il giovane Pelope si rivolse al dio:

‘φίλια δῶρα Κυπρίας ἄγ᾽ εἴ τι, Ποσείδαον, ἐς χάριν


τέλλεται, πέδασον ἔγχος Οἰνομάου χάλκεον,
ἐμὲ δ᾽ ἐπὶ ταχυτάτων πόρευσον ἁρμάτων
ἐς Ἆλιν, κράτει δὲ πέλασον.
ἐπεὶ τρεῖς τε καὶ δέκ᾽ ἄνδρας ὀλέσαις
80 ἐρῶντας ἀναβάλλεται γάμον

4
Cfr. B. Lavagnini, Atakta. Scritti minori di filologia classica, bizantina e neogreca, Palermo 1978, pp. 274-276.
5
vv.56-57a.
2
[130] θυγατρός. ὁ μέγας δὲ κίνδυνος ἄναλκιν οὐ φῶτα λαμβάνει.
θανεῖν δ᾽ οἷσιν ἀνάγκα, τί κέ τις ἀνώνυμον
γῆρας ἐν σκότῳ καθήμενος ἕψοι μάταν,
ἁπάντων καλῶν ἄμμορος; ἀλλ᾽ ἐμοὶ μὲν οὗτος ἄεθλος
85 ὑποκείσεται: τὺ δὲ πρᾶξιν φίλαν δίδοι.’

‘Se, Posidone, i doni preziosi/di Afrodite valgono la tua gratitudine,/lega per me l’asta bronzea di
Enomao,/portami su velocissimo carro/ in Elide, appressami alla vittoria./Già tredici aspiranti/ha
sterminato:/rinvia le nozze/della figlia. Rischio grande/ ripudia il codardo./Se bisogna morire,
perché mai seduti/nell’ombra ruminare invano opaca/vecchiezza? Io/sosterrò questa prova:/lieta
vittoria concedimi tu’

Ed è proprio in questi versi che si delinea la poetica dell’ἀρετά. Il nostro eroe disprezza
una vita passata nell’ombra e sfida l’effimera condizione umana con imprese che gli possano
garantire fama e immortalità, non è il buio che cerca ma, auspici gli dei, la luce imperitura della
gloria.
Ottenuta la vittoria su Enomao, Pelope sposò Ippodamia che gli generò

…λαγέτας ἓξ ἀρεταῖσι6 μεμαότας υἱούς…

…sei capitani smaniosi di prodezze...

I figli, dunque, raccolgono l’eccellente eredità del padre e la menzione di queste ἀρεταί
richiama nuovamente l’attualità e le virtù che Ierone coglie al v.13, quasi a voler fare intendere
che il βασιλεύς siceliota è un continuatore ideale della stirpe dei valorosi. Ma non esiste
nessuna gloria se non c’è un abile poeta a cantarla:

ἐμοὶ μὲν ὦν
Μοῖσα καρτερώτατον βέλος ἀλκᾷ τρέφει:
ἐπ᾽ ἄλλοισι δ᾽ ἄλλοι μεγάλοι. τὸ δ᾽ ἔσχατον
κορυφοῦται βασιλεῦσι. μηκέτι πάπταινε πόρσιον.
115 εἴη σέ τε τοῦτον ὑψοῦ χρόνον πατεῖν, ἐμέ τε τοσσάδε νικαφόροις
ὁμιλεῖν, πρόφαντον σοφίᾳ καθ᾽ Ἕλλανας ἐόντα παντᾷ.

A me/la Musa nutre di vigore uno strale robusto./Chi è grande in questo e chi in quello,/ma il
vertice sommo/
è dei re. Non scrutare oltre!/Avvenga a te per questo tempo d’ incedere alto,/a me per altrettanto di
frequentare/i vincitori degli agoni, insigne per la mia arte/ovunque fra gli Elleni.
6
Il termine ἀρετά, declinato nei suoi casi, compare ben 67 volte nel corpus degli epinici di Pindaro. Oltre che
nell’ Olimpica in esame in cui compare al v.13 e al v.89 (tale dato non mi pare affatto casuale dato che ci troviamo di
fronte ad uno schema compositivo ad anello in cui gli elementi cardine che ritroviamo nel proemio vengono ripresi
nella parte finale), lo ritroviamo, a titolo d’ esempio, in O. II v.53; III v.18, 37, 43; IV v.10; V v.15 etc.; La ricerca del
lemma è stata effettuata sul database TLG su cd-rom versione ‘E’ tramite il programma di interrogazione Diogenes
3.1.6.
3
La σοφία7 così come l’ἀρετά sono qualità che servono a raggiungere il vertice sommo.
L’ode, con la sua trama fatta di gnomai e di mito e attualità che si richiamano
costantemente tra di loro, è il mezzo attraverso cui Pindaro fornisce alla classe di agathoi
una serie di indicazioni, ammonimenti, esortazioni. L’ ἀρετά insieme alla μετριότης e alla
pietas religiosa appartengono a quel sistema di valori che non deve mai mancare al buon
aristocratico.

7
Tale lemma ricorre altre 11 volte nel corpus degli epinici e precisamente a: O. VII v.53; P. I v.15; II v.56; III
v.54; IV v.248,263; VI v.49; N. VII v.23; I. VII v.18. La ricerca del lemma è stata effettuata sul database TLG su cd-rom
versione ‘E’ tramite il programma di interrogazione Diogenes 3.1.6
4
Bibliografia

C. Brillante, Tantalo e Pelope nell’ Olimpica I di Pindaro, in ‘Quaderni urbinati di cultura


classica’, XXXVIII, n. 67, 1991, pp. 15-24.

B. Lavagnini, Atakta. Scritti minori di filologia classica bizantina e neogreca, Palermo 1978.

L. Lehnus, Pindaro. Le Olimpiche, Milano 1981.

C. O. Pavese, Le Olimpiche di Pindaro, in “Quaderni Urbinati di Cultura Classica”, XX, 1975, pp.
65-121.

G. Perrotta, Saffo e Pindaro. Due saggi critici, Bari 1935.

Potrebbero piacerti anche