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Saffo secondo Vincenzo di Benedetto

L’Eros come nevrosi e sofferenza


1. L’eros istituzionalizzato
Il fr.102 delinea un sistema di rapporti ben preciso: la ragazza è immersa nel lavoro domestico e
parla con la madre dolcemente. L’intervento dell’eros interrompe il lavoro domestico. La ragazza
non appare dotata di una facoltà autonoma di scelta e delega il problema alla madre. Il modello
della ragazza che si confida nell’ambito familiare compare già in Omero al libro VI dell’Odissea
con il personaggio di Nausicaa (l’impulso erotico in questo caso appare nel sogno sotto forma di
una sua coetanea; alla base c’è l’imminente perdita della verginità e la probabilità di un matrimonio
prossimo). Anche nel Prometeo di Eschilo la giovane Io, turbata dalle visioni notturne he la
invitano a soddisfare i piaceri di Zeus, delega il problema al padre. Il modulo però viene stravolto
da Eschilo poiché alla base di un processo di espulsione dalla casa.
Un dato alla base dei carmi epitalamici di Saffo è la complementarietà tra sposo e sposa,
accompagnato da un parallelismo espressivo (alla nomina dello sposo segue quello della sposa),
come vediamo al fr.112 o al fr.115 (in cui compare il gioco dell’assomigliare). Il modulo della
ripetizione compare anche nel fr.114: è un dialogo tra una ragazza e la Verginità, a cui si chiede di
far ritorno. Questo è il cosiddetto modulo del ritornello, di origini magiche, poiché si pensava che
ripetere una parola o un verso attribuiva la capacità di agire sulla realtà e modificarla (un altro
esempio nel fr.111 con la ripetizione di “Imeneo”, “canto” oppure “membrana”).
Il parallelismo espressivo tra sposo e sposa non significava parità di ruolo e trattamento: allo sposo
è riservata l’iniziativa del matrimonio, mentre la sposa appare come l’oggetto del desiderio dello
sposo e se ne lodano le qualità che assolvono alla funzione di attrarre il compagno. Saffo non aveva
intenzione di modificare l’istituzione secondo norme ben precise dell’eros.
Il matrimonio doveva essere lo sbocco del periodo di scuola/noviziato che le ragazze passavano nel
tiaso. Fonti antiche ricordano alcuni nomi delle allieve: Atthis, Telesippa, Megara, Anaktoria,
Gongula, Eunika (dalla Suda), Gurinna (da Massimo di Tiro), Irene, Mika, Dika, Mnasidika,
Melanthis o Kleanthis, Arignota, Pleistodika e Arkheanassa (dai frammenti di Saffo). Alcune di
esse provenivano da fuori Lesbo a dimostrazione che la scuola di Saffo era tra le più importanti del
tempo. Un papiro ritrovato e pubblicato nel 1974 testimonia l’elevata estrazione sociale delle allieve
di Saffo.
2. Le esperienze omosessuali
Saffo, nonostante fosse sposata con Cercila di Andro ed avesse una figlia (Cleide), si muoveva in
ambito extraconiugale per quanto riguarda i suoi impulsi più intimi. Dall’intensità delle espressioni
con cui Saffo dà voce ai suoi sentimenti (fr.130 o fr.31) si pensa che ella si muovi in una
dimensione omoerotica. Dei dati significativi sono: nel fr.1 l’uso del verbo “amare” (philei…
philesei), oltre al contesto (la ragazza che fugge via dalla maestra, l’attesa dei doni, la richiesta
dell’intervento di Afrodite; nel fr.94 il ricordo della ragazza, il pianto per l’abbandono e il ricordo
della vita comune; inoltre, l’uso al v.23 di “exies potho[n”, ossia “davi soddisfazione al desiderio”.
Il concetto di pothos, di derivazione omerica da una frase di Il XXIV 27, ha un forte valenza
erotica: lo troviamo ai frr.102-48-22. Nel fr.94 le ultime quattro strofe sono articolate in modo da
avere un effetto di caduta; i ricordi di Saffo sono veloci e fulminei ed il mutamento di ritmo con
l’espressione “da cui noi fossimo assenti” costituisce l’apice di tutta la sequenza.
Confrontando il fr.135 con gli epigrammi di Meleagro (I sec. a.C.), che usa lo stesso motivo
dell’aurora prematura, si conferma che la persona a cui erano rivolte le parole del frammento
deplorasse che la rondine l’avesse svegliata troppo presto dopo una notte passata con Irene. Nel
testo però non c’è nessuna indicazione su chi pronunciasse queste parole (potrebbe anche essere un
uomo). Nel fr.91 si parla di Irene in modo negativo: Saffo afferma di non avere mai incontrato una
persona più fastidiosa di lei. Da un frammento testimoniato da Libanio (retore, IV sec. d.C.), ossia
il fr.197, sappiamo che Saffo si era augurata che la notte fosse diventata lunga il doppio
(collegamento al mito di Zeus e Alcmena), motivo tipico della poetessa di Lesbo.
3. L’eros come dissociazione e malattia
Le esperienze omosessuali di Saffo vanno calate nel contesto greco arcaico: Alcmane ci attesta per
la Sparta del VII sec. a.C. rapporti omoerotici tra allieve e “maestra” di cori e danze. Inoltre,
bisogna ricordare il modulo del rapporto omosessuale con un uomo più anziano presente anche in
Omero. Da un papiro del 1951 è attestata la realtà di rapporti omoerotici a proposito di Gorgo,
un’altra maestra di Lesbo.
La novità di Saffo non sono i rapporti con le allieve, ma il fatto che ella vive queste esperienze
con uno scarto tra sentimento e realtà: uno scarto che corrispondeva a una situazione di
sofferenza e nevrosi.
Nel carme I, Saffo ricorda che in passato la dea è venuta da lei e le ha chiesto cosa volesse avere nel
suo animo folle. Quest’espressione ricalca un modulo espressivo che ricompare nel fr.5 e
compariva già in Od. XVIII. Ma Saffo opera un’innovazione rispetto ad Omero: non parla solo di
animo (thumoi), ma di animo folle (mainolai thumoi). Questa follia non le impediva di svolgere le
sue attività quotidiane, ma piuttosto era un’agitazione insistente ed ossessiva determinata dal rifiuto
della ragazza. Ella chiede ad Afrodite di non soggiogarle l’animo con angosce e dolori: il vebo
usato è damna, di valenza erotica, “dominare” (il modulo sarà alla base di uno scherzoso carme di
Anacreonte), ma qui il dato erotico è in secondo piano rispetto alla nevrosi e alla dissociazione dal
presente. Il nesso di angosce e dolori (asai/oniai) trova riscontro in una delle opere mediche di
Ippocrate: asa indicava una situazione di disagio psico-fisico (vicino alla nostra nausea),
classificata come malattia (phrontis), intesa come pensiero fisso/fissazione, che comportava la
“manie”, cioè lo scoppio di reazioni forti ed incontrollate.

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