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SAFFO

Saffo era originaria di Eresos, città dell'isola di Lesbo nell'Egeo; le notizie riguardanti la sua vita
sono state tramandate dal Marmor Parium, dal lessico Suda, dall'antologista Stobeo, e da vari
riferimenti di autori latini (come Cicerone e Ovidio), oltre che dalle testimonianze dei grammatici.
Ciò che sappiamo di Saffo è stato dedotto dalle liriche e frammenti a lei attribuiti, o riportato da
storici dell'antichità le cui fonti erano di dubbia attendibilità, seppure essi avessero accesso a un
numero molto maggiore di versi della poetessa.
Nacque in una famiglia aristocratica; per una decina di anni Saffo seguì la propria famiglia in esilio
in Sicilia, probabilmente a Siracusa o ad Akragas.. Successivamente ritornò a Ereso, dove fu
direttrice e insegnante di un tiaso, sorta di collegio in cui veniva curata l'educazione di gruppi di
giovani fanciulle di famiglia nobile, incentrata sui valori che la società aristocratica di allora
richiedeva a una donna: l'amore, la delicatezza, la grazia, la capacità di sedurre, il canto,
l'eleganza raffinata dell'atteggiamento.
OPERE
Gli studiosi della biblioteca di Alessandria suddivisero l'opera della poetessa in otto o forse nove
libri, organizzati secondo criteri metrici: il primo libro, ad esempio, comprendeva i carmi composti
in strofe saffiche, ed era composto da circa 1320 versi.
Di questa produzione ci rimangono oggi pochi frammenti: l'unico componimento conservatoci
integro dalla tradizione è il cosiddetto Inno ad Afrodite (fr. 1 V.), con cui si apriva il primo libro
dell'edizione alessandrina della poetessa. In questo testo, composto secondo i criteri dell'inno
cletico, Saffo si rivolge alla dea Afrodite chiedendole di esserle alleata riguardo a un amore non
corrisposto.
Tra gli altri componimenti che ci sono noti in maniera frammentaria si può ricordare almeno il fr. 31
V., Phainetai moi kenos isos theoisin, cui si fa spesso riferimento come "Ode della gelosia". Il
contenuto di questo carme, in realtà, ci sfugge in larga parte, dato che non ne conosciamo la
conclusione; nella parte conservata, Saffo descrive le reazioni dell'io lirico al colloquio tra una delle
ragazze del tiaso e un uomo, presumibilmente il promesso sposo di costei. La vista della ragazza
suscita in chi dice 'io' una serie di sintomi (sudore, tremito, pallore) che sembrano adombrare un
vero e proprio attacco di panico[13]. Questo componimento fu imitato da Catullo nel suo carme 51
(Ille mi par esse deo videtur).
POESIA “INNO AD AFRODITE”
«Afrodite eterna, in variopinto
soglio,
Di Zeus fìglia, artefice d'inganni,
O Augusta, il cor deh tu mi serba
spoglio,
Di noie e affanni.
E traggi or quà, se mai pietosa
un giorno,
Tutto a' miei prieghi il favor tuo
donato,
Dal paterno venisti almo
soggiorno,
Al cocchio aurato
Giugnendo il giogo. I passer lievi,
belli
Te guidavano intorno al fosco
suolo
Battendo i vanni spesseggianti,
snelli
Tra l'aria e il polo,
Ma giunser ratti: tu di riso ornata
Poi la faccia immortal, qual soffra
assalto
Di guai mi chiedi, e perché te,
beata,
Chiami io dall'alto.
Qual cosa io voglio più che fatta
sia
Al forsennato mio core, qual
caggìa
Novello amor ne' miei lacci: chi,
o mia
Saffo, ti oltraggia?
Se lei fugge, ben ti seguirà tra
poco,
Doni farà, s'ella or ricusa i tuoi,
E s'ella non t'ama, la vedrai tosto
in foco,
Se ancor nol vuoi.
Vienne pur ora, e sciogli a me la
vita
D'ogni aspra cura, e quanto io ti
domando
Che a me compiuto sia compi, e
m'aita
meco pugnando.»

L'inno, composizione in onore di una divinità, recitata davanti alla sua statua in quanto
considerata sua incarnazione terrena, è da dividersi in tre parti: la prima parte, epìklesis,
nella quale la poetessa invoca la divinità ed esprime le sue principali invocazioni
utilizzando l'imperativo e forme esortative; la seconda parte, omphalòs, la parte narrativa
dell'inno, in cui la divinità viene presentata nel contesto di un'azione della quale è
protagonista, di solito di carattere mitico; la terza parte, euchè, la preghiera vera e propria,
la cui metrica è simile alla epiclesi.

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