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Samantha Scorpioni

AMORE E SEPARAZIONE
Il mito classico in Marina Cvetaeva

Il presente lavoro tratta della presenza del mito classico nelle opere di Marina Cvetaeva. In particolare,
si farà riferimento ad alcune liriche presenti raccolta poetica Dopo la Russia e alle tragedie della trilogia
incompiuta L’Ira di Afrodite.
Sono state scelte queste opere, in quanto appartengono allo stesso periodo e sviluppano il tema
dell’amore contrastato dalla separazione e dall’incomunicabilità, il quale rappresenta il filo rosso che
corre attraverso tutte queste opere e le lega all’esperienza personale della poetessa.

1. LA POETESSA:

Marina Cvetaeva (1892 – 1941) è probabilmente una delle poetesse


maggiormente conosciute e rappresentative del cosiddetto secolo
d’argento della letteratura russa. Nasce in un ambiente privilegiato, da
una famiglia benestante che le permette di viaggiare e di acculturarsi il più
possibile, sebbene per quanto riguarda questo ultimo aspetto, la Cvetaeva
completerà la sua educazione a modo suo. Il padre era un filologo classico
mentre la madre era una pianista appassionata di poesia. Com’è possibile
intuire, l’ambiente famigliare la porterà fin da subito a sviluppare una
passione per la letteratura e in particolar modo per la poesia. Marina
Cvetaeva, infatti, compose i primi versi all’età di sei anni.
La vita della Cvetaeva può essere divisa in due “periodi” fondamentali che
hanno come punto cruciale il 1917, l’anno della rivoluzione. La poetessa
infatti visse agiatamente fino all’avvento della rivoluzione, evento che
cambiò la sua vita come quella del resto dei russi. Il 1917 segna, infatti,
l’inizio di una nuova fase della sua vita segnata dalla mancanza di soldi, tragedie famigliari, ostracismo
da parte degli intellettuali emigrati e da un matrimonio infelice. Dopo la rivoluzione la poetessa si
stabilisce a Praga dove però venne ostracizzata dagli intellettuali russi emigrati, sia a causa delle sue
opere che non vennero comprese, sia perché accusata di avere idee filosovietiche. Estenuata dalla
situazione in cui si trovava, nel 1939 decide di tornare in Unione Sovietica. In seguito all’invasione
tedesca venne sfollata nella città di Elabuga dove nel 1941 decide di togliersi la vita.

Prima di entrare nel merito del tema a cui è dedicato questo lavoro, vale la pena fare un accenno alle
influenze e alle caratteristiche della poesia di Marina Cvetaeva.
Fin da giovane, la poetessa ebbe l’occasione di assorbire il più possibile dall’ambiente simbolista e di
entrare in contatto diretto con i maggiori intellettuali dell’epoca 1 , per alcuni dei quali la Cvetaeva
sviluppò una vera e propria devozione. Oltre alla corrente simbolista, in voga allora, grazie alle sue
letture giovanili la Cvetaeva assorbe molto dello stile decadente e romantico che a cavallo tra ottocento
e novecento era ormai passato di moda e diventato oggetto di parodia. La poetessa non rinnegò mai le
sue passioni giovanili, anzi il suo merito è proprio quello di aver assimilato tutte queste influenze
rielaborandole però attraverso una poesia all’avanguardia.

1
E’ interessante ricordare a tal proposito, che la prima raccolta di poesie della poetessa venne recensita e accolta
positivamente da due grandissimo nomi del panorama letterario dell’epoca: Nikolaj Gumilëv e Velerij Brjusov.
Paradossalmente il punto più alto della sua creazione poetica è rappresentato dal periodo all’estero,
periodo estremamente difficile e doloroso. Proprio in questo periodo compone le tragedie di cui si
parlerà in questo lavoro, oltre che le liriche della raccolta poetica Dopo la Russia (После Роcсии). In
queste opere vediamo come nello stile della Cvetaeva confluiscano sia il fascino del mito classico (con
le tragedie e le liriche dedicate a Fedra e a Orfeo e Euridice), del folclore e del romanticismo, sia uno
stile all’avanguardia segnato da un estremo ermetismo, ricercatezza lessicale e sperimentazione in
campo metrico (un esempio potrebbe essere l’utilizzo del coriambo in Arianna).

Il mito classico in Dopo la Russia e le tragedie:


Prima di illustrare quali sono state le fonti di ispirazione e le tematiche affrontate nelle opere a tema
mitologico della Cvetaeva vale la pena soffermarsi brevemente sull’influenza che il classico ha avuto
nella letteratura russa a partire dall’epoca d’oro, in quanto saranno anche le opere di altri autori ad
influenzare direttamente o indirettamente le opere della Cvetaeva.
A partire dal Settecento, l’influenza della cultura e della letteratura francese (in generale l’apertura verso
l’occidente cominciata con il regno di Pietro I) ha portato alla nascita dell’interesse verso l’antichità
greca e latina. In quest’epoca vediamo le prime e numerose opere con temi legati al mondo classico, tra
cui il Télemaque di Tredjakovskij, la Dušenka di Bogdanovič (che riprende il mito di Amore e Psiche)
e Eliseo o il Bacco Irritato di Majkov.
Ma è nel Novecento che si vede con maggior vigore l’influenza e il fascino dell’antichità classica.
Questo grazie a decadentismo, simbolismo e acmeismo che prendono ispirazione dalla filosofia
Nietzschiana, dal paganesimo e dalle nuove scoperte della filologia e dell’archeologia. In questo periodo
i maggiori autori ed esponenti dell’intelligentsija scrivono opere di ispirazione classica: Brjusov scrive
romanzi di argomento romano, Kuz’min pubblica gli Aleksadrijskie Pesni e Vjačeslav Ivanov scrive due
tragedie, Tantalo e Prometeo, e fu autore di numerose traduzioni (es. da Saffo, Alceo, Sofocle ed
Eschilo). Infine, dopo la rivoluzione furono in particolar modo Osip Mandel’štam e Marina Cvetaeva
ad essere maggiormente influenzati dal mondo classico.

Per quanto riguarda Marina Cvetaeva e il suo rapporto con la classicità, è lei stessa a parlarci delle sue
fonti di ispirazione. Oltre, ovviamente all’influenza del padre che era un filologo classico, la poetessa
cita come fonte principale un libro di Gustav Schwab sulla mitologia greca a cui lei era particolarmente
affezionata. Dal momento che sembra molto improbabile che la sua unica fonte sia un libro per bambini,
non è fuorviante pensare che tra le fonti per le sue opere ci siano state le traduzioni dell’Iliade e
dell’Odissea di Gnedič e Žukovskij, Euripide e Seneca. Mentre per quanto riguarda le fonti più recenti
si possono citare Racine e D’Annunzio.
Nonostante ciò, in una delle sue lettere la poetessa afferma qualcosa di molto interessante, ovvero che:
“[…] Il materiale (le mie fonti sono in me: sono io stessa)”2. Questa frase riassume ciò che c’è di più
interessante nelle opere che verranno analizzate, ovvero, la visione personale della Cvetaeva, la sua
particolare rielaborazione del mito e dei temi che ne stanno alla base.
Marina Cvetaeva infatti prende ispirazione direttamente dalla sua vicenda personale per scrivere queste
opere, aspetto che verrà approfondito nei prossimi capitoli. Come suggerito dal titolo di questo lavoro,
l’amore (nelle opere prese in esame) non trova mai il suo compimento in quanto ostacolato dalla
lontananza, dalla separazione e dall’incomunicabilità. Tale visione dell’amore trova la sua origine non
solo dalle letture giovanili della Cvetaeva (in particolar modo l’Evgenij Onegin di Puškin), ma
soprattutto dalle sue vicende sentimentali e non. Inoltre, continuamente presente all’interno delle opere
è il rapporto tra eros e thanatos, tematica tipica della tragedia e della mitologia greca.

2. L’IRA DI AFRODITE: ARIANNA

2 Marina Cvetaeva: Fedra, Ospedaletto (Pisa), Pacini, 2011, p. 11


Arianna è la prima tragedia della trilogia incompiuta L’Ira di Afrodite. Marina Cvetaeva cominciò a
comporla nel 1923 e la pubblicò nel 1927 con il titolo Teseo sulla rivista Vërsty II. Nel 1940 Cvetaeva
vi appose della modifiche, tra le quali il titolo stesso dell’opera, che divenne appunto Arianna.
La tragedia è suddivisa in 5 quadri: Lo straniero, Teseo presso Minosse, Il labirinto, Naxos, La vela. La
trama riprende uno dei miti maggiormente conosciuti della tradizione classica, ovvero quello di Teseo
e Arianna.
Secondo il mito Arianna, figlia di Pasifae e Minosse, si innamora di Teseo, uno dei ragazzi ateniesi
mandati a Creta per essere sacrificati al Minotauro. Arianna decide di aiutare Teseo, dandole una spada
e un filo d’oro (dono di Afrodite alla fanciulla) in modo da permettergli di uscire sano e salvo dal
labirinto. Una volta superata la prova e scampato al
pericolo di morte, Teseo salpa per Atene portando
Arianna con sé. Tuttavia, durante il viaggio di ritorno
accade qualcosa di inaspettato: Teseo decide di
abbandonare Arianna sull’isola di Nasso lasciandola
proprio mentre è addormentata. Arrivato finalmente in
prossimità di Atene, Teseo commette un errore fatale:
dimentica di cambiare la vela della nave da nera a bianca.
Il colore bianco serviva per segnalare agli abitanti di
Atene la sua sopravvivenza. Suo padre Egeo, alla vista
della vela nera, credendo che suo figlio sia morto, si
butta dagli scogli nel mare che prenderà poi il suo nome.
La storia di Teseo e Arianna è ricca di punti d’ombra, il Antoine-Jean Gros - Bacchus and Ariadne, 1822 (National
loro amore è segnato fin da subito dall’incertezza. Teseo Gallery of Canada)

stesso è un personaggio ambiguo del quale, per quanto riguarda la relazione con Arianna, non si
capiscono bene gli intenti (aspetto che rimane anche nella versione della Cvetaeva). Esistono diverse
versioni riguardo la motivazione per cui Teseo decide di abbandonare Arianna a Nasso. La Cvetaeva
sceglie quella secondo cui Arianna sarebbe stata destinata al dio Dioniso, perciò Teseo decide di cedere
la fanciulla al dio, donandole così la bellezza e la vita eterne3.
Per quanto riguarda la tragedia della Cvetaeva, Rose Lafoy sottolinea come la poetessa sia riuscita a
comporre un’opera che sia “al tempo stesso profondamente ‘greca’ e profondamente ‘personale’”4.
Riguardo quest’ultimo aspetto si può dire che la Arianna sia una tragedia molto legata alla storia
personale della poetessa. L’amore tra Arianna e Teseo ricorda sia il rapporto che Marina aveva con suo
marito, ma anche e soprattutto l’esperienza con Rodzevič, una storia molto difficile e “tempestosa” che
la ferì profondamente. Bisogna ricordare inoltre che la Cvetaeva chiamò la sua prima figlia proprio
Ariadna.

Tematiche fondamentali:
Entrando nel merito delle tematiche che stanno alla base della tragedia, possiamo rintracciarne tre:
l’amore, l’incomunicabilità e il contrasto tra morte e attaccamento alla vita (eros e thanatos).
L’amore è rappresentato in primo luogo dalla dea Afrodite, a cui è devota Arianna. Tuttavia, in questa
tragedia, l’amore non è un sentimento puro e gioioso, anzi, l’amore che lega i due amati è quasi invisibile,
impalpabile e fragile. Proprio per questo aspetto si può parlare anche di “incomunicabilità” tra i due
amanti. Il dialogo tra Teseo e Arianna si configura come un monologo in cui ogni personaggio sembra

3
L’incertezza riguardo le vere motivazioni che hanno spinto Teseo sono dovute anche al fatto che molto probabilmente la parte
relativa a questo elemento nella versione originale del mito risulta perduta. Questa confusione permane, peraltro, anche nella
versione della Cvetaeva.
4 De Nardis, L - in Cvetaeva, M, 1991, Arianna, p.10
isolato rispetto all’altro. Nel terzo quadro Arianna dice: «тайнопись – дева: / надобен ключ5», e Teseo
non conosce la chiave, non ha possibilità di comprendere Arianna. Non c’è un vero dialogo tra gli amanti
quindi manca la base stessa su cui fondare il proprio amore. Per questo aspetto, pare che la Cvetaeva
abbia preso ispirazione anche dal rapporto tra Tat’jana e Onegin, la vicenda del quale ha sempre
affascinato la poetessa. Il “non amore” e il “non dialogo” tra i due amanti rispecchia l’idea cvetaeviana
secondo cui “l’uomo e la donna restano due mondi paralleli, che possono incontrarsi solo nella morte6”
(concetto che sarà presente in particolar modo nella Fedra).
La morte peraltro è un elemento presente lungo tutta la tragedia. Il primo quadro è dominato dal coro
delle fanciulle e dei ragazzi ateniesi che esprimono la propria angoscia e disperazione per la morte certa
che li aspetterà a Creta, a cui si aggiunge quello dei cittadini che piangono la (prossima) morte della
gioventù ateniese:
«Увы! Увы!
Лягут юные львы на знoйном
Щебне – ниже травы!
Едут юные лвы –
На бойню!»7
Quando Teseo si offre volontario ed Egeo acconsente, entrambi sanno - tutti sanno, che il giovane
principe stava accettando di andare a morire. Così, anche il viaggio verso Creta è caratterizzato dalla
minaccia della morte. Tuttavia, non solo la morte è presente in questa tragedia ma anche l’attaccamento
alla vita. Tale attaccamento alla vita è rappresentato dalla poesia, che è ciò che rende la vita piacevole e
degna di essere vissuta. Teseo, infatti, durante il primo incontro con Minosse esclama:
“ ― Водопады од,
Царь, как в пропасть, в тебя швыряю!
Ибо злейшее, что теряю
Днесь – не воздух и не перстов
Ошупь, - эхо в груди певцов!»8
Tale concezione della poesia appartiene, ovviamente, anche alla poetessa, che forse proprio per questo
motivo decide di far dire queste parole a Teseo, affermando implicitamente che la poesia (il canto degli
aedi) rappresenta ciò di bello che la vita può donare ad ogni essere umano. La poesia è viva e può donare
gioia e conforto ad ognuno. La Cvetaeva, infatti, afferma che “Io non amo la vita come tale, per me essa
comincia a significare, cioè ad acquistare senso e peso – soltanto trasfigurata, cioè – nell’arte”9.
Un altro elemento, forse maggiormente legato alla trama in sé, che simboleggia l’attaccamento alla vita
è il filo d’oro che Arianna dà a Teseo. Il filo rappresenta nel vero senso della parola l’elemento che tiene
attaccato Teseo alla vita. Il filo d’oro, dono di Afrodite, può essere interpretato anche in senso lato come
simbolo dell’amore. E’ proprio quando il legame tra i due amanti viene interrotto (proprio come se Teseo
tagliasse il filo che lo lega ad Arianna) che si compie la tragedia: Teseo abbandona l’amata, Egeo
commette il suicidio.
Prima di passare agli aspetti che riguardano la metrica e lo stile del testo, quindi ad un aspetto più tecnico,
vale la pena soffermarsi sull’importanza che le divinità hanno all’interno della tragedia. Tre divinità
sono il motore dell’azione: Poseidone, Afrodite, Bacco. In primo luogo è grazie a (o per colpa di?)
Poseidone se Teseo decide di andare volontario a Creta. Quindi gli eventi della tragedia si scatenano
grazie all’intervento della divinità nel primo quadro. Nel quarto quadro, invece, ovvero quello centrale
di tutta la vicenda, si vede (o meglio si sente) la presenza di Dioniso che chiede a Teseo di cedergli
Arianna, evento che scatenerà la tragedia finale. Tuttavia, c’è un altro aspetto da considerare e che

5 Cvetaeva, M, 1991, Arianna, p. 96


6
Cvetaeva, M, 1991, Arianna, p. 15
7 Cvetaeva, M, 1991, Arianna, p. 41
8 Cvetaeva, M, 1991, Arianna, p. 74
9 Losev L. – Marina Cvetaeva (1892 – 1941), tratto da: Storia della letteratura russa del Novecento”, p. 144
potrebbe sembrare in contraddizione con quanto appena detto: a Teseo viene dato il libero arbitrio. Non
sono gli dei a decidere per lui, ma è la loro eloquenza a convincere il ragazzo ad agire secondo il loro
volere. E’ interessante, inoltre, il rapporto che c’è tra Teseo e Bacco. Il personaggio di Teseo sembra
sdoppiato in due personalità opposte: da una parte si dimostra coraggioso, eroico e generoso, dall’altra
invece è volubile e codardo. E’ proprio quest’ultimo aspetto ad essere rappresentato da Bacco, il quale
non appare mai in scena, è sempre nascosto, proprio come la codardia di Teseo che si svela solamente
nella seconda metà della tragedia.

Aspetti formali:
Per quanto riguarda lo stile, questo si avvicina a quello delle altre liriche di Dopo la Russia scritte nello
stesso periodo, soprattutto nel carattere molto ermetico. Ricorrono molto spesso ritornelli e immagini
che riguardano l’epos popolare. Per quanto riguarda le figure retoriche, la poetessa ricorre molto spesso
all’anafora. Un esempio potrebbe essere l’incontro tra Teseo e Bacco, in cui il ragazzo ripete per ben sei
volte il nome del dio, quasi a sottolineare lo stupore provato da Teseo di fronte alla presenza divina.
L’anafora è inoltre presente in particolar modo nei cori, es. nel quinto quadro il coro dei cittadini ripete
più e più volte i versi «Горе! Горе!» e «Доля! Доля!».
Passando all’aspetto metrico della tragedia, si può rilevare all’interno dei cinque quadri un’alternanza
di giambi, trochei e anapesti. Tuttavia, il metro maggiormente utilizzato dalla Cvetaeva, e che avvicina
il ritmo dei versi della tragedia greca, è il coriambo (– ∪ ∪ –).
Per quanto riguarda la scelta del lessico, in questa tragedia come anche nella Fedra, la Cvetaeva sceglie
di alternare un registro basso (es. parole di uso colloquiale) e lessico alto (termini arcaici e provenienti
dallo slavo ecclesiastico). Questa è una caratteristica per cui è stata aspramente criticata.
Oltre al registro utilizzato, si può notare all’interno della tragedia sia una simbologia dei colori che la
ricorrenza di parole che fungono da filo conduttore in tutta l’opera. Per quanto riguarda i colori, ce ne
sono tre che ricorrono per tutti e cinque i quadri: bianco, nero e rosso. Il bianco è abbinato ad Arianna e
fa riferimento alla sua purezza, il nero è legato al dolore e al lutto così come il rosso, colore del sangue
(il rosso è anche il colore con cui viene descritto il Minotauro).
Infine, concludendo il discorso sul lessico della Arianna e il capitolo stesso, si può sottolineare
l’importanza che la parola «море» ha all’interno dell’opera. La parola ricorre circa 40 volte ed è
accompagnata da altri termini dello stesso campo semantico (es. schiuma, onda, etc.). Il mare in realtà
non è il luogo su cui si svolge l’azione, ha perlopiù una funzione simbolica, la quale è duplice: da una
parte simboleggia l’amore (dal momento che Afrodite stessa, secondo il mito nasce dalla schiuma del
mare) e dall’altra rappresenta la morte.
3. L’IRA DI AFRODITE: FEDRA

Fedra è la seconda tragedia della trilogia. Viene pubblicata nel 1928 su Sovremennije Zapiski con il
titolo Teseo, trilogia, parte seconda. Fedra si pone in un rapporto di continuità con la prima tragedia
della trilogia, in quanto si svolge quando Teseo è il re di Atene e al centro dell’azione ci sono la sua
terza moglie Fedra e suo figlio Ippolito.
Secondo la mitologia10, Fedra si innamora del suo figliastro Ippolito, il quale è un giovane devoto a
Artemide, che vive nei boschi dedicandosi alla caccia ed evitando il genere femminile. Spinta dalla sua
nutrice, Fedra decide di confessare il suo amore ad Ippolito tramite messaggio scritto su una tavoletta.
Tuttavia, Ippolito rifiuta l’amore della matrigna, cosa che porterà Fedra al suicidio. Teseo, venuto a
conoscenza della vicenda grazie alla lettera d’addio di Fedra (dove lei, mentendo, afferma di essere stata
violentata da Ippolito) decide di punire il figlio scagliandogli una maledizione e condannandolo ad una
morte terribile. Poseidone, padre di Teseo, esaudisce il
suo desiderio mandando un toro dal mare, il quale
spaventa i cavalli di Ippolito che lo trascinano lungo il
bosco. Alla fine della corsa fatale, il corpo di Ippolito
è ormai smembrato. Artemide decide di rivelare la
verità a Teseo, il quale fa ricomporre e seppellire il
corpo del figlio. In un’altra versione del mito, Ippolito
viene riportato in vita da Asclepio dio della medicina.

Il rapporto con le fonti:


Marina Cvetaeva aveva già trattato il tema dell’amore
della matrigna per il figliastro nell’opera Zar ’-
Jozef Geirnaert - Phaedra and Hippolytus, 1819, Bowes Fanciulla. Ciò dimostra come lei avesse interiorizzato
museum e rielaborato il tema. In Fedra, infatti, si nota sia una
ripresa delle fonti (sia classiche che recenti), sia una rielaborazione e interpretazione personale della
storia da parte della poetessa.
Per quanto riguarda le similitudini con le opere classiche, Cvetaeva inizia la tragedia con il coro degli
amici di Ippolito come nell’opera di Seneca, mentre da Euripide riprende i due oggetti che avranno un
ruolo centrale nella storia, ovvero la cintura e la tavoletta. Dai più recenti Racine e D’Annunzio riprende,
invece, il simbolo del mirto e l’insistenza sui sensi come mediatori della presenza di Afrodite.
Tuttavia, è nelle differenze con la tradizione precedente che risiede la particolarità dell’opera della
Cvetaeva. In primo luogo, nella Fedra cvetaeviana la matrigna non è “colpevole”, non sente il bisogno
di colmare i propri desideri proibiti insieme al figliastro. Fedra è come sgravata dalla colpa che la
contraddistingueva nella tradizione, la quale invece viene posta sulla testa della nutrice. Inoltre, un’altra
differenza sostanziale tra la Fedra classica e quella cvetaeviana è la mancanza del sentimento della
vendetta. Il suicidio di Fedra non è causato dalla vendetta ma dalla disperazione per un amore che non
potrà mai realizzarsi.
Fin dall’inizio del processo di scrittura di quest’opera, la Cvetaeva ci ha lasciato delle importanti “note”
attraverso cui interpretare il suo personaggio di Fedra, annotando idee riguardanti gli stati d’animo, il
comportamento e soprattutto il meccanismo che regola le “responsabilità” e le “colpe”.
La Fedra della Cvetaeva è vittima della sua nutrice, la quale cerca maliziosamente di spronare la donna
a rivelare il proprio amore al figliastro. Tutto ciò non per affetto, anzi quasi per egoismo: la nutrice
brama di rivivere le emozioni della propria giovinezza attraverso l’amore proibito di Fedra per Ippolito.

10
La versione maggiormente conosciuta del mito ci viene dalla tragedia di Euripide Ippolito Incoronato, la quale
rappresenta una delle fonti principali della Cvetaeva.
In una delle sue note, la Cvetaeva mette in luce come la sua Fedra sia innocente, che a farla cadere nella
trappola sia lo stordimento che quasi sempre segue il colpo di fulmine: “[…] bisogna dare il
disorientamento della prima passione: colpo di testa. Fedra è forte della sua innocenza!11”
Un’altra differenza che contraddistingue l’opera della Cvetaeva rispetto alle fonti e anche rispetto alla
tragedia precedente, è il ruolo degli dei nella storia. Nella Fedra, gli dei sono quasi dei personaggi di
sfondo. Non compaiono quasi mai e non hanno una vera importanza all’interno della storia.

Tragedia della separazione:


Oltre rappresentare l’amore per il classico della poetessa, Fedra come anche Arianna, rappresenta una
tragedia che si lega all’esperienza personale della Cvetaeva. Fedra, come afferma Marilena Rea nella
sua introduzione alla traduzione della tragedia, non è una storia d’amore o d’incesto, ma una tragedia
della separazione. Guardando le vicende sentimentali della poetessa è facile capire come mai abbia
elaborato una così dolorosa visione dei rapporti sentimentali. Le storie d’amore della poetessa non
furono mai felici e molto spesso anche i rapporti di stima e affetto con altri scrittori e poeti furono segnati
dall’impossibilità di incontrarsi (es. l’incontro mai avvenuto con Blok e Rilke o l’incontro tanto atteso
ma segnato dalla delusione con Boris Pasternak)
L’amore che non può realizzarsi, nella Fedra trova compimento nella morte e vediamo così l’emergere
di un altro tema proveniente dal mondo classico, quello di eros e thanatos: Fedra incontrerà Ippolito
solamente nella morte, alla fine della tragedia:
“Там, где мирт шумит, ее стоном полн,
Возведите им двуединый холм.
Пусть хоть там обовьет – мир бедным им! —
Ипполитову кость – кость Федрина12”
Teseo, infatti, venuto a sapere della menzogna detta dalla nutrice decide di seppellire Fedra e Ippolito
vicini l’uno all’altra, così da concedere alla donna di rimanere insieme al figliastro almeno nella morte.

Mirto, cintura e tavoletta:


Nel passo appena citato viene nominato il mirto, pianta sacra ad Afrodite e elemento ricorrente lungo
tutta la tragedia. Il mirto svolge nella Fedra lo stesso ruolo che il mare ha avuto nell’Arianna. La pianta
ricorre lungo tutta la vicenda e rappresenta la dea Afrodite, la sua influenza, la sua volontà.
Fedra nomina diverse volte questa pianta la quale ha un aspetto duplice: da una parte rappresenta l’amore,
dall’altra è la pianta da cui si impiccherà Fedra. Quindi ancora una volta ricorre il legame tra eros e
thanatos:
“Fedra che delira d’amore percepisce in maniera ossessiva l’imminente appressarsi del ramo
di mirto: da albero che avrebbe potuto nascondere e proteggere, secondo le fantasie della
nutrice, un incontro d’amore tra i due giovani amanti, si trasforma nel corso della tragedia nel
ramo sporgente cui legare la corda mortale”.13

La cintura e la tavoletta sono due oggetti che la poetessa riprende direttamente dalle fonti classiche.
La cintura a cui si fa riferimento è quella che stringe la vita di Fedra e assume all’interno della tragedia
un significato funesto. Da una parte la nutrice fa riferimento alla cintura stretta in vita per alludere al
matrimonio poco felice tra Fedra e Teseo («Федра! Пояс досель не туг —/ Амазонских рук / Дело”14)
dall’altra la cintura è lo strumento che la donna utilizzerà per impiccarsi.

11
Cvetaeva, M, 2011, Fedra, p.13
12
Cvetaeva, M, 1997, Федра, p. 99
13
Rea, M. – da Cvetaeva, M, 2011, Fedra, p. 17
14
Cvetaeva, M, 1997, Федра, p. 34/35
Infine, la tavoletta rappresenta lo strumento attraverso cui Fedra tenta di confessare il proprio amore a
Ippolito. La tavoletta viene distrutta da Ippolito quando gli viene consegnata dalla nutrice, diventando
essa stessa il simbolo di un amore che viene negato sul nascere. Il messaggio di Fedra viene ricomposto
alla fine della tragedia, quando un servo rimette insieme i pezzi rivelando il messaggio della matrigna.
La lettera di Fedra a Ippolito ci rimanda a una delle due liriche che la Cvetaeva dedica al personaggio
di Fedra in Dopo la Russia: Epistola (Послание).
Prendendo in considerazione anche queste liriche è interessante notare la differenza tra le “due Fedre”
cvetaeviane.

Il personaggio di Fedra – confronto tra la tragedia e le liriche:


Nonostante si tratti dello stesso personaggio, la Fedra della tragedia differisce molto dalla protagonista
del dittico a lei dedicato in Dopo la Russia. Tale differenza si manifesta in due elementi principali: la
natura dei suoi sentimenti e il silenzio.
La Fedra di Dopo la Russia è caratterizzata dalla passione, esprime i suoi sentimenti in maniera molto
forte e confessa apertamente il suo amore al figlio. Tali sentimenti sono perfettamente descritti dalla
prima quartina della prima lirica, i quali mettono in luce i sentimenti tormentati e dolorosi che Fedra
prova per il figliastro:
«Ипполит! Ипполит! Болит!
Опаляет... В жару ланиты...
Что за ужас жестокий скрыт
В этом имени Ипполита!15»
Partendo proprio da questa prima quartina si può vedere come il nome Ippolito ricorre continuamente
sia attraverso la sua ripetizione quasi ossessiva, sia attraverso un gioco di assonanze e “scomposizioni”
del nome stesso in altre parole.
Le parole derivate da “Ippolito” sono tutte legate tra di loro, facendo riferimento alla sfera semantica
del dolore, dell’arsura e al calore, ma anche a quella del bere e del dissetarsi. Ciò dimostra come per
Fedra il figliastro rappresenti sia la fonte del suo tormento che la sua cura.
Es. Ипполит → Болит (che rimanda alla sfera semantica del dolore), пил, утолит (sfera semantica
del bere e dissetarsi), плит (sfera semantica del calore e dell’arsura), палит, etc.
Ma il nome di Ippolito non è presente solo in altre parole, ma continua a ricorre e a risonare in entrambe
le liriche attraverso la ripetizione dei suoni dei suoni l, i, p. Fedra è ossessionata dal figliastro tanto che
è come se fosse intrappolata in un vortice di pensieri dove anche i suoni gli ricordano Ippolito.
Nella tragedia ci troviamo davanti a tutt’altro comportamento. Dopo l’incontro con il figliastro, Fedra
fatica a confessare i suoi sentimenti alla nutrice. Da personaggio caratterizzato da una passione ardente
si trasforma in un personaggio stordito, che prova vergogna per i suoi sentimenti ed è incapace di
esprimerli. Il nome stesso di Ippolito, così frequente nelle due liriche, diventa pesante e impossibile da
pronunciare, dal momento che farlo significherebbe rivelare il segreto del suo amore. Il nome di Ippolito
viene sostituito da una metonimia – “galoppo del cavallo” (конский скок) – che fa riferimento sia alla
radice etimologica di Ippolito (da ἵππος – cavallo), ma anche al martellante battito del cuore di Fedra.

Tale cambiamento ci suggerisce come la Cvetaeva dal 1923 (anno di pubblicazione delle liriche) al 1928
(pubblicazione della tragedia) abbia riflettuto a lungo sul personaggio di Fedra, dandoci un altro esempio
di come lei non solo abbia preso ispirazione dalla tradizione classica ma l’abbia rielaborata e fatta sua.

15
Cvetaeva, M., 1997, Dopo la Russia, p. 50
4. DOPO LA RUSSIA: EURIDICE A ORFEO

Для тех, отженивших последние клочья Per chi ha sciolto gli ultimi brandelli
Покрова (ни уст, ни ланит!..) del velo (né guance, né labbra!…)
О, не превышение ли полномочий non è forse abuso di potere
Орфей, нисходящий в Аид? Orfeo che scende nell’Ade?

Для тех, отрешивших последние звенья Per chi ha slegato gli ultimi anelli
Земного… На ложе из лож del terrestre… e sul talamo ha lasciato
Сложившим великую ложь лицезренья, l’alta menzogna del vedere in volto
Внутрь зрящим — свидание нож. e in dentro guarda – il nuovo incontro è spada.

È già pagato – con tutte le rose


Уплочено же — всеми розами крови
del sangue – questo dovizioso taglio
За этот просторный покрой
d’immortalità…
Бессмертья… . Fino all’alto Lete
До самых летейских верховий amante tu – io chiedo a te la pace
Любивший — мне нужен покой
della smemoria… Giacché in questa casa
Беспамятности… Ибо в призрачном доме illusoria tu, vivo, sei fantasma, e vera
Сем — призрак ты, сущий, а явь — io, morta… Che posso dirti – oltre:
Я, мёртвая… Что же скажу тебе, кроме: «Dimentica e abbandonami!»
— «Ты это забудь и оставь!»
Non riuscirai a turbarmi! Non mi farò portare!
Ведь не растревожишь же! Не повлекуся! Non ho neanche mani! Né labbra
Ни рук ведь! Ни уст, чтоб припасть da posare! Dal morso di vipera
Устами! — С бессмертья змеиным укусом dell’immortalità
Кончается женская страсть. la passione di donna prende fine.

Уплочено же — вспомяни мои крики! — È già pagata – ricorda le mie urla! –


questa distesa estrema.
За этот последний простор.
Orfeo non deve scendere a Euridice.
Не надо Орфею сходить к Эвридике
I fratelli – turbare le sorelle.
И братьям тревожить сестёр.

23 марта 1923 23 marzo 1923

La poesia è stata composta nel 1923 ed è stata pubblicata nella raccolta Dopo la Russia.
Riprende il mito di Orfeo e Euridice16, secondo il quale Orfeo compie un viaggio nell’Ade (κατάβασις)
in modo da riportare indietro la sua amata Euridice. Ade e Persefone acconsentono a patto che Orfeo
non si volti mai a guardare Euridice fino a quando non sarebbero usciti dall’Ade. I due amanti erano ad
un passo dalla riuscita dell’impresa quando Orfeo, mettendo piede fuori dall’Ade si volta verso Euridice
che era un passo dietro di lui. Così facendo la fanciulla scompare per sempre, lasciando Orfeo disperato.

16
Il tema fu trattato anche dal poeta Rainer Maria Rilke, poeta tedesco molto amato da Marina Cvetaeva con il
quale ella intratteneva anche un rapporto epistolare.
Il ragazzo, distrutto dalla sua perdita si lascia morire di fame.

Essendo stata composta circa nello stesso periodo delle tragedie, sono presenti gli stessi temi
dell’Arianna e della Fedra e la tendenza a rielaborare il mito.
Questa lirica, infatti, riprende sia il tema dell’amore e della separazione,
che il rapporto tra eros e thanatos. Orfeo e Euridice sono destinati a non
ricongiungersi mai più dal momento che la donna rimarrà intrappolata
nell’Ade nonostante il tentativo di Orfeo di riportarla indietro. In questo
senso è curioso notare come il nome stesso di Orfeo rimandi in lingua
greca alla sfera semantica della solitudine e della privazione (ὀρϕανός –
orfanós).

Per quanto riguarda gli aspetti formali, la lirica è composta da sei


quartine legate da uno schema rimico ABAB. La poesia assume le
caratteristiche di un monologo pronunciato da Euridice. La voce narrante
sembra parlare e ragionare più con se stessa che con l’ascoltatore. Infatti,
Euridice si rivolge direttamente a Orfeo solamente a partire dalla quarta
quartina. Alla luce di ciò si può affermare che la lirica è suddivisa in due Anselm Feuerbach - Orpheus und Eurydike,
parti: nella prima parte Euridice riflette sulla sua condizione, mettendo 1719 (Österreichische Galerie Belvedere)
in luce come l’impresa di Orfeo rappresenti una sfida alle leggi della natura e degli dei. Nella seconda
Euridice si rivolge direttamente a Orfeo pregandolo di dimenticarla.
Questo aspetto è quello che contraddistingue la versione cvetaeviana del mito rispetto alla tradizione.
Euridice vuole dimenticare Orfeo, in quanto il ricordo della vita e del suo amore terreno le procurano
nient’altro che dolore. Nella poesia possono essere trovate molte parole legate al campo semantico del
dolore e del dimenticare. Es:
« […]
До самых летейских17 верховий
Любивший — мне нужен покой

Беспамятности… Ибо в призрачном доме


Сем — призрак ты, сущий, а явь —
Я, мёртвая… Что же скажу тебе, кроме:
— «Ты это забудь и оставь!18»

In questi versi Euridice sottolinea anche come ormai lei e Orfeo appartengano a due mondi diversi e
sono ormai estranei l’uno per l’altra: Orfeo è un fantasma nel mondo dell’Oltretomba, tanto quanto lei
lo sarebbe nel mondo dei mortali. Euridice è convinta che dalla morte non si deve tornare indietro.
E’ interessante notare come dal punto di vista fonetico ci sia una ripetizione dei suoni с, ж, x, ш, щ, che
suggeriscono l’idea del fruscio e del bisbiglio. Euridice ormai si è trasformata, anche nella voce, in uno
spirito. Attraverso le sue parole e le sue suppliche sancisce l’ormai irreparabile separazione da Orfeo.
Il loro amore è destinato a svanire dalla memoria.

17
Riferimento al fiume Lete, il fiume dell’oblio.
18
Cvetaeva, M., 1997, Dopo la Russia, p. 88
BIBLIOGRAFIA

Bethee, D – Pljuchanova, M, Cvetaeva – Picchio, Colucci (a cura di), 1997, UTET (Vol. 2).

Kelly, C, Marina Cvetaeva (1892 – 1941) 1994 – in A History of the Russian Women’s Writing 1820 -
1992, Oxford, Clarendon Press.

Kossman, N (Edited by), 2001, Gods and Mortals – Modern poems on classical myths, New York,
Oxford University Press.

Losev, L, Marina Cvetaeva (1892 – 1941) – Strada, Nivet (a cura di), 1990, Storia Della Letteratura
Russa, Torino, Einaudi.

Cvetaeva, M., 1991, Arianna, Roma, Bulzoni Editore.

Cvetaeva, M., 1997, Dopo la Russia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A

Cvetaeva, M., 2011, Fedra, Pisa, Pacini.

Cvetaeva, M., 1997, Федра, Терра, «Книжная Лавка – Ртр».

SITOGRAFIA:

http://www.treccani.it/enciclopedia/apollineo-dionisiaco_%28Dizionario-di-filosofia%29/
http://www.treccani.it/enciclopedia/arianna/
http://www.treccani.it/enciclopedia/teseo/
http://www.treccani.it/enciclopedia/dioniso_%28Enciclopedia-Italiana%29/
https://www.libfox.ru/169160-marina-tsvetaeva-fedra.html
http://www.treccani.it/enciclopedia/euridice_res-26271f8a-a833-11de-baff-0016357eee51/
http://www.treccani.it/enciclopedia/orfeo/

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