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UN «CLASSICO»

Nella storia della musica, se si considerano le vite dei grandi maestri, che chiamiamo i "classici", nessuna ci appare così
chiaramente delineata come quella di Beethoven.
Mentre la vita di Haydn rimane ancora piuttosto avvolta nell'oscurità, il ritratto di Mozart ci appare già chiaramente
definito e l'opera di tutta la sua vita armoniosamente inserita nel tempo. Di nessun compositore tuttavia noi
possediamo tanti documenti, tante notizie come per Beethoven: i numerosi quaderni di schizzi, campi di battaglia
della sua titanica lotta per la materia e con la materia; i libri di conversazioni, toccanti testimonianze del genio
divenuto sordo nel suo estremo aggrapparsi al mondo esterno; le lettere, commossi resoconti dei suoi innumerevoli
visitatori; i ritratti e le critiche e infine la sua opera stessa, che già precocemente e con formidabile intensità
commosse i contemporanei.
Eppure, anche se il suo ritratto poté apparire così chiaro ai contemporanei, se parve poi nettamente delineato dai più
autorevoli studiosi della posterità, se oggi crediamo di avere penetrato con sicurezza la sua opera, tuttavia il
fenomeno Beethoven nel suo complesso rimane ancora discusso proprio al contrario di quanto ci accade per Haydn e
per Mozart.

Nel determinare il profilo di Beethoven, la critica posteriore, fino ai nostri giorni, ha frainteso la svolta, da lui
compiuta, verso una più piena espressione dell'intima commozione, dopo un'epoca mantenutasi entro binari ben
precisi. Per lungo tempo si è creduto di poter inserire senz'altro Beethoven nella triade dei tre grandi maestri della
scuola viennese; altri, sulle orme di E.T.A. Hoffmann, hanno preteso di scoprire un "Beethoven romantico"; in tempi
più recenti il tardo Beethoven è stato nuovamente spostato, a confronto con lo stile classico di Rembrandt e di
Goethe, nell'ambito dell'impressionismo; altre interpretazioni hanno dato eccessivo rilievo a quel lato eroico di
Beethoven strettamente collegato col tempo, e al suo pathos che è la caratteristica del periodo centrale della sua
opera. Ma Beethoven è, come noi riteniamo, il meraviglioso ripiegamento su se stesso di un ingegno creativo,
collocato con estrema precisione nel suo tempo, che rende in tal modo difficile, anzi quasi inattuabile un
inquadramento, altrimenti apparentemente ovvio, ma che contemporaneamente fa apparire la sua personalità e la
sua opera in una luce più remota, ma più splendente. E quest'opera d'altro canto si riflette nella vita di Beethoven, ne
informa l'essenza e il carattere. Lo sviluppo organico della concezione musicale si esprime nell'intensità della vita, che
egli desiderò e spesso si pose come programma, una vita a cui così ardentemente aspirava, ma che a causa delle
circostanze esterne sfavorevoli egli visse in modo tanto penoso e incompleto. In questo dissidio sta la tragicità, ma
anche la grandiosità del fenomeno Beethoven, la tenebrosa, demoniaca, ma al tempo stesso splendida necessità
dell'esistenza di un tale artista.
Come la dissonanza in musica non costituisce affatto un elemento di disarmonia, ma un impulso al movimento, alla
liberazione, e quindi al divenire di tutta la musica, così anche quell'apparente dissidio fra epoca, ambiente e individuo
porta infine ad una nuova indissolubile fusione nella configurazione eterna dell'opera.
TRE SECOLI DI STORIA DELLA MUSICA
La storia della musica occidentale è una storia di continue trasformazioni e di dinamiche evoluzioni. Essa rispecchia in
ogni sua fase la problematica spirituale e morale delle varie epoche, la conformazione artistico-psicologica delle sue
personalità creative, nonché i risultati dell'indagine teorico-scientifica del materiale musicale. Lo scopo e il risultato di
questa perenne trasformazione è un costante arricchimento dell'espressione artistica e del materiale espressivo.
La storia della musica dell'epoca moderna si può dividere, conformemente al suo sviluppo, in periodi singolarmente
simmetrici, che vanno sempre di pari passo con lo sviluppo storico-culturale dell'epoca.
Nell'ultimo decennio del XVI secolo muoiono i grandi maestri del Rinascimento musicale, dell'era polifonica: Palestrina
e Orlando di Lasso. Esattamente all'inizio del secolo XVII, all'inizio cioè dell'era del basso continuo e del barocco
musicale, comincia la storia della monodia accompagnata, dell'opera, della musica strumentale. Centocinquanta anni
più tardi, con Bach e Händel, questa grande era raggiunge il punto culminante e in pari tempo anche la sua
conclusione. Nel sesto decennio del secolo XVIII muoiono questi due artisti e nasce Mozart. Durante l'infanzia di
Mozart si sviluppa il nuovo stile classico, all'inizio omofonico, al posto del genere polifonico dell'alto barocco, l'era del
cosiddetto preclassico. I maestri di questo periodo Ph. E. Bach, Chr. W. Gluck, J. Stamitz, sono nati intorno al 1715 e
hanno raggiunto la maturità artistica verso il 1750, all'età di circa trentacinque anni. Quindici anni, ossia mezza
generazione, più tardi (1732), nasce il primo maestro classico, Joseph Haydn, nel 1756 Mozart e, ancora mezza
generazione più tardi, nel 1770, Beethoven. Il fatto che questi tre artisti si succedano a intervalli di mezza generazione
soltanto è significativo e dà il senso della distanza, ma anche della continuità. A ragione Ernst Bücken si è così espresso
in proposito: "La collocazione particolare della data di nascita di Beethoven lo pone - giudicando in base al suo destino
- al centro tra la posizione di semplice erede e di innovatore. Egli ha compreso questa posizione di centro con tutte le
sue forze irrazionali come con quelle dell'intelletto e l'ha posta a fondamento della sua opera e della sua gloria".
Come espressione della storia del pensiero, Beethoven è contemporaneo alla prima generazione del romanticismo
letterario. Quando egli nasce, Gluck ha donato al mondo le prime opere della sua riforma, Orfeo (1762), Alceste
(1767), Paride ed Elena (1770); Johann Stamitz (morto nel 1757) ha dato fama mondiale all'orchestra di Mannheim e
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le conquiste della sua tecnica sinfonica si perpetuano nelle composizioni dell'epoca. Per opera di Joseph Haydn il
genere del quartetto per archi e della sinfonia si evolve verso una concezione classica nella forma e nel contenuto.
Quando il diciassettenne Beethoven si reca per la prima volta a Vienna per un breve soggiorno, le grandi opere
dell'arte classica del quartetto, i quartetti russi di Haydn e i quartetti per archi di Mozart dedicati a Joseph Haydn, sono
già sui leggii dei musicisti di professione e degli amatori; Mozart è occupato a terminare il Don Giovanni, e il Ratto e il
Figaro vanno già in scena fuori della capitale. L'opera di riforma di Gluck appartiene ormai al passato e l'artista muore
il 15 novembre dello stesso anno, mentre un anno dopo chiude la sua esistenza Philipp Emanuel Bach.
L'evoluzione culturale della seconda metà del secolo XVIII è incredibilmente intensa. In questo periodo si sviluppano
incrociandosi, mescolandosi, annullandosi o completandosi, le più svariate correnti spirituali, tutte in certo qual modo
rispecchiate in opere significative di filosofia, letteratura, arte figurativa e musica: illuminismo, galanterie del rococò in
declino, sentimentalismo, ribellione e primo romanticismo dello "Sturm-und-Drang", e infine decantazione che porta
ad un più saldo e stretto legame col primo classicismo, sono alcuni dei principali aspetti di quell'ondata culturale
rigeneratrice che travolse il barocco. 

Nel 1781, quando Mozart in un ardito impeto di libertà si mette in urto col suo datore di lavoro, l'arcivescovo di
Salisburgo, e si stabilisce a Vienna come libero artista pieno di coraggio e fiducia, appaiono I Masnadieri di Schiller, il
classico dramma dello "Sturm-und-Drang"; nell'anno del Figaro, questo melodramma pieno di spirito rivoluzionario, la
Cabala e Amore di Schiller. Nel 1790, quando Mozart è occupato a comporre Così fan tutte, leggiadro epilogo del
rococò in musica, al di là del Reno, vicino alla città natale di Beethoven, divampa già la Rivoluzione francese. E nel
1791, l'anno del Flauto magico, la cui musicalità dolce e nuova schiude le porte di un'epoca che raggiungerà il culmine
solo nel secolo venturo, Goethe con lucida consapevolezza dell'esistenza ha trovato in Italia la conferma della sua
intima evoluzione dalle complicazioni dello "Sturm-und-Drang". Un anno dopo, Beethoven giunge a Vienna per
rimanervi per sempre.
Egli ha vissuto quella grande evoluzione nella viva spiritualità della sua città natale molto più consapevolmente e
molto più appassionatamente di quanto in generale si creda. Immediatamente partecipa della fiorente musica di
Vienna che, ancora improntata dall'afflato di Mozart, può tuttavia godere la maturità di Joseph Haydn. La profonda
umanità del Flauto magico e dell'Ifigenia continuerà in egual misura nel Fidelio. La simpatia di Beethoven per il Flauto
magico e l'antipatia che egli nutrì contemporaneamente per i testi del Figaro e del Don Giovanni non è da intendersi
da un punto di vista personale, ma piuttosto in base alla differenza di generazione; per Beethoven, che si è ormai
lasciato dietro il rococò e lo "Sturm-und-Drang", la rivoluzione è già qualcosa di superato, non è più un inizio, un
ideale. E interessante constatare che la sua arte affonda saldamente le radici in quel periodo pre-rivoluzionano, ma
che l'essenza e gli effetti, non appena diventano importanti dal punto di vista creativo, appartengono al secolo XIX. Tra
Haydn e Mozart da un lato e Beethoven dall'altro sta la Rivoluzione francese, così come essa sta tra le sinfonie di
Haydn e di Mozart e l'Eroica. Benché la Creazione e le Stagioni di Haydn siano nate solo sullo scorcio del secolo e
benché fra queste opere e le sinfonie del periodo di mezzo di Beethoven intercorra soltanto un breve lasso di tempo,
sussiste tuttavia la differenza di generazione, sensibilmente più marcata nel contenuto spirituale che nella struttura
musicale.
LE TAPPE DEL GENIO
In generale si suoi dividere le opere di Beethoven in tre periodi stilistici. Gli anni giovanili di Bonn sono il periodo di
preparazione. Negli anni dal 1793 fin verso il 1814 si concreta quello che potremmo chiamare lo stile creativo del
periodo di mezzo di Beethoven, paragonabile al mezzogiorno della vita, mentre gli ultimi tredici anni esprimono quella
trasfigurazione e quel coronamento che indichiamo brevemente col nome di "ultimo Beethoven". Il periodo centrale
porta una realizzazione geniale delle forme tipiche allora in uso, non vi si trova ancora traccia di rottura rivoluzionaria
o di superamento delle forme preesistenti. Solo nell'ultimo periodo creativo Beethoven ha trasformato le forme
tradizionali in modo così fortemente personale, che si può parlare praticamente di un superamento della tradizione,
mentre negli anni fino al 1814 si verifica esclusivamente un ampliamento, sia pure insolito, di tutte le forme tipiche.
Al centro della creazione di Beethoven stanno le sue nove sinfonie, che costituiscono anche il filo conduttore della
nostra ricerca; accanto ad esse, altro gruppo strumentale di altissimo significato, le trentadue sonate per pianoforte e i
sedici quartetti per archi. Figlia del dolore di Beethoven fu l'opera Fidelio, eseguita per la prima volta nel 1805 e
rielaborata ancora nel 1806 e nel 1814.
Prendiamo ora in considerazione la prima parte della vita e dell'opera di Beethoven, il periodo, giovanile. La stirpe dei
Beethoven è di origine fiamminga, ma già suo nonno funge da cantore nell'orchestra del principe elettore di Bonn.

Sull'infanzia di Beethoven sappiamo assai meno che su quella di Mozart, il cui padre meticoloso e pedante ebbe tanta
influenza sul figlio che lettere, libri di musica, schizzi e documenti si sono conservati in uno stato di eccezionale
completezza.

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INIZIAZIONE MUSICALE. BONN
Bonn, sede principale degli arcivescovi di Colonia fino dal 1257, nell'ultimo decennio del secolo XVIII fu proprio il
terreno ideale per la maturazione e lo sviluppo di tutte quelle capacità e quell'apertura spirituale che noi ammiriamo
tanto nella maturità dell'artista. Il principato elettorale di Colonia e la sua residenza di Bonn videro allora la più grande
fioritura culturale. In tale periodo avvenne tra l'altro la soppressione dell'ordine dei gesuiti, la fondazione
dell'università e un consapevole progresso dell'illuminismo e della tolleranza religiosa. Massimiliano Francesco, figlio
minore dell'imperatrice Maria Teresa, che governò dal 1784 fino, alla caduta del principato per opera dei francesi
(1794), era bonario e parsimonioso e cercava di incoraggiare i giovani talenti. La tolleranza religiosa giunse al punto
che il protestante Christian Gottlob Neefe, che era venuto a Bonn come direttore di una compagnia operistica
ambulante e nel quale Beethoven trovò il vero maestro della sua giovinezza, poté essere assunto come organista di
corte. Neefe possedeva l'istruzione tipica di un valente direttore d'orchestra settecentesco, era ben orientato sulle
tendenze moderne del suo tempo, componeva un poco egli stesso, "diviso tra galanteria e sentimentalismo", tutto
preso dalla commozione melodica di questo stile musicale, ben informato sul teatro, la sinfonia, la sonata ed il lied, su
Vienna, Berlino e Mannheim, sui suoi maestri e sulla loro sfera d'interessi. L'influenza di Neefe sul giovane Beethoven
deve essere ritenuta considerevole non tanto dal punto di vista artistico, quanto dal punto di vista umano. Alcuni dei
suoi principi di vita, a noi casualmente noti, ritornano più tardi, affinati, nel mondo morale di Beethoven. Essi fiorirono
da quella pura sfera di idealità, elevata e umanitaria, da cui scaturiscono anche le figure di Nathan del Lessing, di Selim
Pascià del Ratto e di Sarastro del Flauto magico e, non ultima, tutta l'atmosfera pura e nobile del Fidelio. Neefe
trasmise al giovinetto l'entusiasmo per ogni cosa bella e nobile e io richiamò continuamente all'unità indissolubile del
buono, del bello e del vero. Dichiarazioni come quella che l'artista dovrebbe slanciarsi in alto fra le nuvole e non darsi
pensiero del volgo dei suoi ascoltatori, trovarono una profonda rispondenza nell'anima del giovane Beethoven. Neefe
era un filosofo della musica. Per lui ogni regola della composizione doveva avere un fondamento psicologico, anzi una
volta confessò che per la sua professione aveva imparato più dalle opere dei filosofi che dai manuali. Per lui la musica
era un linguaggio dell'anima, che può raggiungere l'ultima perfezione solo nella dedizione incondizionata del divino.
Beethoven consacrò a questi principi tutta una vita; per lui il concetto dell' "art pour l'art" era tanto estraneo, che gli
sembrava impossibile musicare un materiale operistico superficiale come quello del Don Giovanni e del Così fan tutte.
Per la sua carriera di compositore, perseguita con ardente passione, un tale atteggiamento ebbe la drammatica
conseguenza che per tutta la vita l'artista cercò invano libretti adatti, come gli prescriveva la sua nobilissima etica.
Fu proprio Neefe che, accorgendosi della limitatezza dei suoi mezzi pedagogici, suggerì nel 1787 al giovane di fare un
viaggio per recarsi da Mozart. Ma questo viaggio nacque sotto cattiva stella: Mozart era tutto preso da un pressante
lavoro per la prima esecuzione del Don Giovanni a Praga, e per di più era preoccupato per il padre gravemente
infermo a Salisburgo. Anche Beethoven, dopo quattordici giorni, fu richiamato in patria per la malattia della madre. Un
insegnamento regolare sia pure per un periodo così breve non ebbe luogo. In seguito Beethoven si espresse una volta
in maniera un po' peregrina sulla tecnica pianistica di Mozart: essa corrispondeva a ideali diversi da quelli alla cui etica
Beethoven era intimamente maturato.
Nonostante l'ambizione del padre, che egli imitasse il celeberrimo fanciullo prodigio di Salisburgo, Beethoven non fu
mai un fanciullo prodigio nel senso di Mozart. Senza dubbio si era sviluppato precocemente in lui uno spiccato senso
musicale. La ricca attività musicale della residenza renana attrasse ben presto a sé il giovane e nel 1784 Beethoven fu
nominato organista di corte. In quel tempo a Bonn si rappresentava la moderna produzione, accuratamente
selezionata: sinfonie, concerti e musica da camera, e ogni sorta di generi teatrali, l'opera seria e buffa, la comica
francese e la commedia musicale tedesca. Pertanto l'esperienza di Beethoven già in questi anni, quando egli inizia la
propria attività, si è formata su un terreno di viva attualità.

I primi lavori degli anni 1782-92, ossia del periodo di Bonn, sono essenzialmente opere per pianoforte. Tuttavia, nel
campo sinfonico, è rimasto un unico abbozzo di un tema che dimostra con quale circospezione Beethoven si accostò a
questo genere. Forse già allora esso costituiva per lui un ideale del tutto diverso dalla musica sinfonica corrente, che
non differiva ancora molto dalla verbosità superficiale della cosiddetta sinfonia operistica napoletana. Tale prudenza
anacronistica verso il soggetto sinfonico fa credere che Beethoven portò a compimento la sinfonia in do maggiore
poco prima dei trent'anni. Le difficoltà della vita colpirono per la prima volta il giovane con tutto il loro peso quando la
madre morì, e il padre, che ora indulgeva sempre più al vizio del bere, perse il posto. Ma Beethoven, con quell'energia
che gli era propria, si assunse ogni responsabilità. Si mise perfino a frequentare nel 1789 l'università di Bonn come
"studiosus philosophiae". Ancora più decisivo appare l'influsso spirituale esercitato sulla formazione umana di
Beethoven dalla famiglia Breuning, di raffinata cultura. A ciò si aggiunse l'amicizia col giovane Franz Wegeler; un
legame che durò fino alla morte di Beethoven fu poi quello col musicista Franz Ries, padre del suo biografo Ferdinand
Ries.

E col sensibile intenditore di musica Ferdinand Ernst, conte di Waldstein, entrò nella vita di Beethoven il primo
mecenate. Nel luglio del 1792 Joseph Haydn, nel viaggio di ritorno da Londra, si trattenne per breve tempo a Bonn. In
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seguito alle incoraggianti parole di Haydn, Beethoven si impegnò a tornare a Vienna, riprendendo così l'antico
progetto. Il principe elettore gli concesse un permesso e un aiuto finanziario. Nel novembre del 1792 Beethoven lasciò
la città natale, che non doveva rivedere mai più. Alla partenza, il conte di Waldstein gli scrisse sull'album parole
profetiche, parole di uno spirito profondamente consapevole della sua epoca: "Il genio di Mozart è ancora in lutto e
piange la morte del suo allievo. Ha trovato rifugio, ma non impiego nell'inesauribile Haydn, per suo tramite aspira a
riunirsi ancora una volta a qualcuno. Con lo studio incessante Lei riceverà lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn".
A VIENNA, LA PATRIA DELLA MUSICA
La profezia del conte di Waldstein doveva avverarsi ben presto e in modo mirabile. Poco dopo, i trii op. 1, le prime
sonate per pianoforte, i quartetti e, in modo ancora più determinante, i primi concerti per pianoforte e le sinfonie
continuano chiaramente la linea dei due grandi predecessori. Al tempo stesso appare evidente in tutta la sua chiarezza
che già in queste primissime opere si manifesta una personalità decisamente unica nel suo genere e che uno spirito
totalmente nuovo parla a un'epoca nuova. "La musica deve fare scaturire il fuoco dallo spirito dell'uomo": queste
parole costituiscono la misura più alta dell'opera di Beethoven. Egli non possiede quella facilità a comporre che era
stata concessa così felicemente alla maggior parte dei suoi illustri predecessori. Le sue opere sono sottoposte ad un
continuo lavoro di lima, condotto con severa autocritica e i quaderni di schizzi sono un'eloquente testimonianza di
questo serio lavoro di precisione da autodidatta. Ogni opera di Beethoven è al tempo stesso esperienza e confessione.
Dal sentimento appassionato del contenuto scaturisce la forma, che è anch'essa espressione della personalità. Il
maestro era pienamente conscio della sua grandezza e della sua singolarità. Così non si peritava una volta a scrivere
orgogliosamente al suo grande protettore, il principe Lichnowsky: "Principe, ciò che siete, lo siete per nascita e per
sorte; ciò che sono io, lo sono per merito mio. Di principi, ce ne sono stati e ce ne saranno a migliaia; di Beethoven, ce
n'è uno solo!". Beethoven dunque giunse nella capitale della musica per rimanervi tutta la vita. I vincoli amichevoli fra
la sua città natale e la residenza imperiale sul Danubio gli resero facile l'ambientamento.
Fin dal XVI secolo, tra tutti i sovrani europei, gli Asburgo erano al primo posto come amatori e fautori della musica.
Francesco I d'Austria (1729-1835) era oltre modo appassionato di musica e aveva egli stesso attitudini musicali, ma era
troppo preso dalla politica. Più addentro nella vita musicale fu la sua seconda moglie, Maria Teresa, nata principessa
delle Due Sicilie. Beethoven in seguito le dedicò il Settimino, quella incantevole serenata musicale, insuperato nella
sua popolarità. Ma colui che in quel tempo godeva la più grande fama di intenditore era l'arciduca Rodolfo, figlio di
Leopoldo II. Tutta quanta l'alta aristocrazia viennese e, a gara con essa, la media e la bassa nobiltà, nonché la
borghesia, osavano rivaleggiare con la corte e spesso superavano di gran lunga la sua altezza. Alcuni di questi nobili
avevano loro proprie orchestre, soprattutto nota quella del principe Esterhàzy. Ma anche i principi di Lichtenstein,
Lobkowitz e Kinsky possedevano le loro compagnie musicali permanenti, che durante l'estate venivano trasferite nei
loro possessi di campagna. Nelle "Lettere di un francese in viaggio per la Germania" si legge in proposito: "Molte
famiglie nobili possiedono un'orchestra privata, e tutte le bande musicali pubbliche dimostrano che questo ramo
dell'arte gode qui un'eccellente considerazione. Qui si possono mettere insieme quattro o cinque grandi orchestre,
che sono tutte di prim'ordine. Il numero dei virtuosi veri e propri è minimo, ma per quel che riguarda le musiche
orchestrali difficilmente al mondo si può ascoltare qualcosa di più bello. Ci sono qui circa quattrocento suonatori
d'orchestra divisi in determinate compagnie, che spesso lavorano insieme inseparabilmente anche per anni".
Le calorose lettere di raccomandazione da Bonn procurarono ben presto a Beethoven l'accesso ai circoli viennesi. Ma
fu soprattutto la protezione del principe elettore e del conte Waldstein che lo introdusse subito e già circondato da
una certa fama di celebrità e singolarità, cui s'aggiungeva il fatto d'essere straniero in quei circoli liberali e pieni di vita.
Qui il principe Karl Lichnowski divenne il suo primo protettore ufficiale, e accolse l'artista nella sua casa per più anni.
Qui, nei primi anni di Vienna, si può collocare, per così dire, il centro della produzione di Beethoven dal punto di vista
sociale ed artistico.
Il favore di Lichnowsky rappresentò per lui la stessa cosa che l'orchestra degli Esterhazy per Haydn e l'orchestra di
Salisburgo per Mozart, la prima scorza riproduttiva attorno al nucleo della sua creazione, il luogo delle prime prove,
degli incitamenti pratici sino dall'immediato formarsi del suono, il campo sperimentato per nuovi tentativi. I nomi
della cerchia di Beethoven sono conservati nelle dediche delle prime composizioni viennesi, nelle lettere del maestro e
nelle memorie dei contemporanei.
Tali memorie ci danno un'idea straordinariamente esatta della comparsa di Beethoven negli ambienti viennesi. Molti
resoconti degli anni più tardi ci mostrano un'immagine dell'antico Beethoven, ringiovanita e alterata, un'immagine del
solitario, eroico artista in un ambiente piuttosto incapace di comprenderlo, lezioso e inconsistente, al quale egli si
ribella nella sua superiorità, scortese ad ogni costo, maligno e stizzoso, giovane genio maleducato e ignorante,
riconosciuto sebbene a malincuore, più ammirato per le sue battute triviali che per la sua arte. Ma questa, rispetto alla
verità, è soltanto un'invenzione senza secondi fini. Comunque è certo che Beethoven apparve estraneo e stravagante
alla società viennese. Tale stravaganza però non sembrò mai intenzionale: era frutto della mirabile originalità del suo
essere genuino e puro, del suo eroico spirito pugnace, e non nasceva su una specie di palcoscenico immaginario. Ben
presto a Vienna si capì la sua indole come la sua arte, si capì che era del tutto priva di pose e austeramente pura, e lo
si capì con la fine e longanime spiritualità nonché col sentimento dell'austriacismo, sublimato per così dire in quegli
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ambienti. La grandezza e la varietà del paese gli diedero capacità di assimilazione, capacità di comprendere e
conciliare e una notevole larghezza di vedute.
Come Mozart, anche Beethoven nei primi anni si sentì sorretto dalle simpatie dell'ambiente: "Sto bene e, oserei dire,
sempre meglio", scrive nel 1797.
Il ritratto di Steinhauser ci riproduce in maniera perfetta la personalità del giovane artista di quegli anni. il Beethoven
la cui intima natura non ha più niente a che vedere col secolo XVIII: diritto, slanciato, col collo irrigidito dalla cravatta
all'ultima moda, appassionato, tetro e poco affabile, pieno di progetti. Se non si sapesse che è un musicista, potrebbe
passare benissimo per un rivoluzionario. L'espressione dei lineamenti è decisa, ma piuttosto sinistra e chiusa. "Era
piccolo e poco appariscente, con un volto brutto, tutto butterato. I capelli erano molto scuri e arruffati intorno al volto.
Vestiva in modo ordinario, ben lungi dalla ricercatezza abituale in quei tempi e particolarmente nei nostri circoli.
Inoltre parlava spesso in dialetto e si esprimeva in una forma piuttosto banale, e del resto tutta la sua persona rivelava
una totale mancanza di educazione formale; era maleducato in tutti i suoi atteggiamenti e nel modo di comportarsi.
Era molto orgoglioso". Sappiamo però che Beethoven, subito dopo il suo arrivo a Vienna, prese lezioni da un maestro
di danza, per farsi insegnare da lui le buone maniere, e anche che per lunghi periodi della sua vita attribuì particolare
valore al ben vestire. Un abito elegante e l'acquisto di un cavallo da sella sono un indizio sintomatico del fatto che
Beethoven assume consapevolmente atteggiamenti aristocratici per dimostrare anche esteriormente che vuole essere
considerato un par inter pares. Egli non è più un impiegato come lo era ancora Haydn e, in parte, anche Mozart;
occupa da pari il suo posto nella società. Questo fatto è importante per la sua produzione. È il primo compositore che
lavora secondando l'ispirazione del suo genio. Si sente al centro della società e la sua arte gli sembra il centro
dell'universo: per Liszt, per Chopin e per le cerchie dei loro esaltati ammiratori romantici, rappresenterà un ideale
vivente. Il comportamento di Beethoven nei confronti della nobiltà potrebbe sembrare arrogante anche a chi in quei
tempi nutra sentimenti liberali. Ma il suo atteggiamento verso le persone di condizione "inferiore" non è affatto
migliore: soprattutto nei confronti delle persone che sono al suo servizio, pagate o non pagate. Esattamente come
cambia sempre casa, non è mai contento dei suoi servitori; anzi non riesce ad essere mai contento di nulla. Vorrebbe
sempre e dovunque rivoluzionare il mondo: lo fa con le sue opere, ma anche nella vita quotidiana non manca di
sfogare i suoi istinti da Napoleone in egual misura sull'alta aristocrazia e sulla servitù. Nessuna meraviglia quindi se col
tempo finirà per diventare una specie di macchietta, canzonato e turlupinato dai servitori.
Presto fu riconosciuto per quel rivoluzionario che era, per quell'appassionato fautore della personalità, non delle
avventure politiche. Ma si conobbe anche l'intimo legame di questo essere con l'ethos della sua arte e si apprezzò la
personalità eminente, della quale si sentivano gli artigli leonini, non solo per l'entusiasmo musicale, ma anche perché
alle soglie di una età eroica si avvertiva la grandezza dell'uomo. Quando Beethoven pensava "con la nobiltà è facile
trattare se si ha qualcosa per imporsi", aveva indubbiamente ragione. Quello che si imponeva era l'arte di Beethoven e
la sua personalità, per la quale si accettarono in blocco tutte le sue stravaganze, poiché scaturivano armonicamente
dal lato selvaggio, tenebroso, misterioso del suo temperamento artistico. Se una persona si dimenticava di ciò se
qualcuno cercava di tirare in ballo le differenze sociali, allora Beethoven liberamente si esprimeva in modo
inequivocabile. E la sua fierezza inflessibile riusciva sempre ad avere ragione: "La forza è la morale degli uomini che si
distinguono dagli altri, ed è anche la mia".
Quanto Beethoven insistesse sulla parità di grado dell'artista con la nobiltà, ebbe a provarlo anche il principe
Lobkowitz, quando questi al quale peraltro sono dedicati i quartetti per archi op. 18, l'Eroica, il concerto triplo e, in
parte, la quinta e sesta sinfonia, il quartetto per arpe op. 74 e la collana di lieder All'amata lontana durante una prova
generale osò fare educatamente un'osservazione. Beethoven andò su tutte le furie e, tornando a casa, gli gridò ancora
sul portone del palazzo: "Asino di un Lobkowitz!". E al conte Lichnowsky, a cui sono dedicate le sonate per pianoforte
opp. 35 e 90 indirizzo una volta il canone "Ottimo signor conte, Lei è una pecora". Ma tali sfuriate occasionali non
urtavano i sentimenti liberali né di Lobkowitz né di Lichnowsky.
MECENATI E MAESTRI
Fin dall'inizio l'attività di Beethoven a Vienna non fu certamente quella di un principiante o di un discepolo. Neppure
egli si considerava tale, benché si impegnasse molto seriamente per migliorare quei difetti della tecnica compositiva di
cui era ben conscio. In quel tempo si poteva anche a giudizio dei musicisti di professione essere già un compositore
apprezzato e ricercato, anche se non si era ancora del tutto sicuri nella tecnica della composizione. L'insegnamento di
Haydn deluse profondamente Beethoven, perché Haydn procedeva con lentezza e correggeva con negligenza. Con la
partenza di Haydn per Londra, i rapporti scolastici cessarono spontaneamente. I due uomini però rimasero in buone
relazioni tra di loro, benché ci fossero stati attriti e incomprensioni. Dall'inizio del 1794 Beethoven continuò a studiare
con l'insigne teorico Johann Georg Albrechtsberger

e nell'arte di accompagnare le parole con la musica prese occasionalmente lezioni dal maestro di cappella di corte
Antonio Salieri, che fu pure maestro di Schubert. E ovvio che Beethoven, anche in quel periodo di studio teorico,
proseguì la sua attività artistica. La sua celebrità però non era legata all'attività nei concerti pubblici, ma era dovuta
piuttosto alla molteplice operosità nell'ambito di una ricca, singolare cerchia di amatori viennesi, nei saloni della
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nobiltà e della borghesia agiata. Con Lichnowsky si recò a Praga nel 1796 e in seguito a Berlino, dove suonò a corte.
Per il berlinese Duport, virtuoso di musica da camera, Beethoven compose le due sonate per pianoforte e violoncello
op. 5, splendidi pezzi, tipicamente virtuosi, che una generazione prima avremmo inserito nel campo della musica
galante di società; composizioni che rivelano una chiara predisposizione a esibirsi del giovane maestro e dimostrano
che Beethoven, se si dava il caso, sapeva anche scrivere con mano facile.
Come pianista, Beethoven prediligeva la fantasia libera, una forma che allora aveva grande importanza nel mondo
della musica. Le cadenze nei concerti sono l'ultimo residuo, l'ultimo ricordo della fantasia libera di quei giorni.
L'esibizione di Beethoven costituiva un avvenimento memorabile per tutti; egli faceva vibrare ignote profondità e
riusciva a sollevare nelle più alte sfere dell'arte ciò che prima era un avvenimento mondano. Ma anche sotto altri
aspetti la sua musica era qualcosa di totalmente nuovo, non tanto per la maestria in cui alcuni lo superavano, quanto
per le capacità espressive ancora sconosciute.
IL GENIO DI BEETHOVEN
La carriera di Beethoven come, compositore si inizia in modo tutt'altro che rivoluzionario, perché il giovane genio vive
interamente nel presente, riprende le forme tradizionali, i generi e i mezzi compositivi già sperimentati in vari modi. Si
tratta appunto del mondo formale della sinfonia, della sonata per pianoforte, della musica da camera per pianoforte,
del quartetto per archi e degli altri generi di musica da camera, che allora erano ancora nuovi e non sfruttati, resi
celebri da Joseph Haydn. Non a caso pensiamo, per associazione con questo classico mondo di forme alla triade
Haydn-Mozart-Beethoven.
Il maestro di Bonn fu in questo campo non solo colui che portò questi generi a compiuta perfezione, ma anche colui
che li superò; egli accrebbe questa eredità nei suoi anni di magistero portandola ad una insospettata grandezza
esteriore ed interiore, per poi dissolvere sempre più consapevolmente le forme tradizionali, rinnovandole caso per
caso, senza diventare mai un demolitore: i vecchi schemi vengono superati soltanto a beneficio di una nuova
espressione soggettiva, che lo trascina ad una formulazione personale anche dal lato formale: "Sono le forze che
creano la forma". Il punto centrale è ora la lotta per un'espressione personale. Riccardo Wagner rileva molto bene che
il linguaggio tonale di Beethoven, diventando sempre più soggettivo, a poco a poco supera completamente certe
formule stereotipate. In questa accresciuta sfera personale del sentimento egli inserisce gli elementi spiritualizzanti e
oggettivanti della polifonia, armonizzandoli sempre di più, soprattutto nel campo della musica strumentale, dove
poteva disporre liberamente, da assoluto dominatore, degli elementi e strumenti formali a lui familiari. All'opposto del
genio universale di Mozart, che, come compositore strumentale e vocale, raggiungeva una eguale perfezione in tutti i
generi allora esistenti, l'opera vocale di Ludwig van Beethoven rimane piuttosto nell'ombra. Beethoven poté dunque
affermarsi pienamente a Vienna, come abbiamo veduto, in un periodo relativamente breve, grazie ad un fortunato
concorso di circostanze. Gli anni che vanno dal 1792 al 1804 segnano l'affermarsi della sua originalità artistica. Lo si
può rilevare molto bene dalle sinfonie: la prima raggiunge già il livello dell'arte sinfonica dell'epoca (Haydn, Mozart), e
in essa Beethoven sta, per così dire, al vertice delle conquiste dei suoi predecessori. Nella seconda guizzano già i lampi
del suo mondo artistico che, nella terza, l'Eroica, è ormai realizzato ed è stato, una volta, così felicemente definito: "È
un'espressione musicale completamente soggettiva, permeata da ideali di altissima umanità e da una purezza di
sentimento, che esclude senz'altro tutto ciò che è basso e frivolo. È l'espressione soggettiva di un singolo, del genio di
Beethoven, in cui si accentrano i valori oggettivi del sentimento e dello spirito".

"Fin dall'anno scorso, scrive Beethoven nel 1801, Lichnowsky mi ha assegnato una somma fissa di 600 fiorini che io
posso percepire finché non trovo un impiego adeguato. Le mie occupazioni mi rendono molto e posso dire di avere
tante commissioni che non mi è più possibile soddisfarle tutte. Se lo volessi, avrei sei o sette editori per ogni pezzo, e
anche di più: non si discute nemmeno, io chiedo e loro pagano". Queste orgogliose parole danno in certo modo
un'idea della ricca produzione di Beethoven intorno alla fine del secolo. Si tratta di una dozzina di sonate per
pianoforte, due concerti per pianoforte, tre sonate per violino e due per violoncello, e numerose altre opere di musica
da camera, come la prima sinfonia, ossia, in genere, delle opere numerate dall'1 al 21, benché parecchie opere con
numeri più alti il lied Adelaide, il sestetto per strumenti a fiato op. 71, le scena e l'aria Ah perfido op. 65 e così via
appartengano pure a questo periodo. Questo primo gradino del suo magistero corrispondente alla prima parte del
secondo periodo fondamentale, secondo la suddivisione adottata all'inizio si conclude spontaneamente nel 1803 con
l'Eroica, la cui posizione limite viene ancora ampliata e consolidata con le sonate a Waldstein e a Kreutzer. È il periodo
del raggiungimento della perfezione tecnicocompositiva, l'epoca che segna il conseguimento di una completa libertà
artistica dello spirito; sempre meno è determinante la "commissione" sempre più fondamentale diviene l'impulso
personale e soggettivo.
IL TESTAMENTO DI HEILIGENSTADT
La stessa lettera che ci mette al corrente dei trionfi di Beethoven entro la società viennese, ci dà anche la prima notizia
della sua sordità: "Adesso, da quando sono tornato tra la gente, la mia vita è diventa un po' più piacevole. A stento si
può concepire quanto sia stata vuota e triste la vita passata, quale incubo mi sia sembrato dappertutto il mio debole
udito e come io abbia dovuto sfuggire la gente e sembrare un misantropo, mentre lo sono così poco. Oh, vorrei
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abbracciare il mondo, se fossi liberato da questo male. Allora io ritornerei a voi come un uomo completo e maturo.
Dovrete rivedermi felice come mi è destinato su questa terra, non infelice. No, questo non potrei sopportano voglio
afferrare il destino per la gola. Non deve piegarmi per intero. Oh, è così bello vivere mille volte la vita".

La sede della sordità di Beethoven era nel nervo acustico, presumibilmente nell'orecchio interno. Il senso del suono
però era chiarissimo e non solo il maestro poté fino agli ultimi istanti immaginare i suoni e i toni, ma la sua sordità
aveva addirittura l'effetto di sublimarli. Sì, si può dire che tale infermità fu un fattore decisivo per lo stile della sua
maturità; ciò si rivela particolarmente negli ultimi quartetti per archi. Per comprendere la gravità della disgrazia, dalla
quale Beethoven si vide minacciato sin dall'età di ventotto anni, giova ricordare che allora egli era soprattutto un
artista di professione, un virtuoso di pianoforte. Ancora negli ultimi anni di Bonn era stato ammirato come maestro di
pianoforte, e i viaggi da lui fatti a Praga e a Berlino nel 1796 si potrebbero considerare come vere tournées
concertistiche. Proprio per questa sua arte e maestria trova rapido accesso nei circoli della nobiltà e suona volentieri
in società, a meno che non ve lo si voglia costringere. Quando si manifestano i primi sintomi dell'incipiente sordità, egli
si vede costretto dalla crudeltà di un destino, per lui ancora dopo molti anni incomprensibile, a rinunziare al sogno
della carriera pianistica. Così si chiude per lui il mondo della società viennese, e il lato espansivo della sua personalità è
morto. La sua giovinezza si interrompe bruscamente ed egli diventa, come afferma lui stesso, "filosofo negli anni
giovanili".
Soltanto la natura, la bellezza conferitale da Dio e le sue composizioni gli impedirono in quel tempo di abbandonarsi
alla disperazione, anzi gli diedero la forza, come spesso ha dimostrato, di vivere per l'arte, e soltanto per l'arte.
Beethoven concepiva la natura come fonte delle più nobili energie umane. Una volta annotò il seguente pensiero: "Si
può chiamare giustamente la natura una scuola del cuore. Attraverso di essa conoscerò Dio, nella sua conoscenza
pregusterò le gioie del cielo". E dalla natura si riprometteva anche un effetto benefico per la sua infermità. Un luogo
ove spesso Beethoven si rifugiava, nelle immediate vicinanze di Vienna, era Heiligenstadt. Anche nell'estate del 1802 il
maestro sofferente vi si era ritirato. Esiste ancora nella Probusgasse la casa che allora fu testimone della sua creazione
come della sua rassegnazione. Ma era veramente rassegnato Beethoven, quando compose quello scritto destinato ai
suoi due fratelli, che noi oggi conosciamo sotto il nome di Testamento di Heiligenstadt e che non fu mai recapitato?
Tutto il suo dolore, la sua perplessità sul mondo e forse anche su se stesso appaiono concentrati in questo che è il più
umano di tutti i documenti, simbolo della misera vita terrena di uno dei più grandi geni della storia dell'umanità:

"O uomini, che mi giudicate o mi dichiarate ostile, scontroso e misantropo, quanto è grande il torto che mi fate. Voi
non conoscete la causa segreta di ciò che l'apparenza vi mostra. Il mio cuore e il mio animo erano portati al tenero
sentimento della benevolenza fin dalla fanciullezza. Ero perfino disposto a compiere grandi atti; ma pensate solo che
ormai da sei anni mi ha colpito un male incurabile. Trastullato da un anno all'altro dalla speranza di una guarigione, e
infine messo faccia a faccia con la visione di una lenta malattia, nato con un temperamento vivo e ardente, sensibile
alle distrazioni della società, fui costretto ben presto a isolarmi e a condurre una vita solitaria. A volte, quando mi sono
sforzato di superare la difficoltà, come crudelmente i miei tentativi sono stati frustrati dall'esperienza doppiamente
dolorosa del mio malfermo udito; eppure non avevo ancora il coraggio di dire alla gente: Parlate più forte, gridate,
perché io sono sordo! Ahimè, come sarebbe stato possibile denunziare la debolezza di un senso, che in me avrebbe
dovuto essere in grado più perfetto che negli altri, un senso che io possedevo ad un alto grado di perfezione, che pochi
nella mia professione certamente hanno mai avuto? Tali avvenimenti mi hanno portato sull'orlo della disperazione; c'è
mancato poco che io stesso mettessi fine alla mia vita. Solo l'arte me lo ha impedito. Ah, mi pareva impossibile lasciare
il mondo prima di aver portato a termine quanto sentivo di essere chiamato a compiere. Costretto a diventare filosofo
già a ventotto anni! Non è facile, anzi per un artista è più difficile che per chiunque altro... O Dio, tu vedi nel mio
intimo, tu sai; tu vedi che l'amore per l'umanità e tutti i sentimenti più generosi vi albergano. O uomini, se un giorno
leggerete queste parole, ricordate che mi avete fatto un torto; e l'infelice si consoli trovando un suo simile che,
malgrado tutte le difficoltà della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso al rango degli artisti e degli uomini
degni... Così dunque io prendo congedo e ben mestamente... Sì, la speranza accarezzata, che fin qui ho portato con
me, di essere risanato, almeno fino ad un certo punto, ora deve completamente abbandonarmi. Come le foglie
d'autunno cadono perché sono appassite, così anch'essa è inaridita per me. Quasi come sono venuto qui, me ne vado.
Perfino quel grande coraggio, che spesso mi animava nelle belle giornate estive, è scomparso. O provvidenza, fammi
apparire almeno una volta sola un puro giorno di gioia! Già da tempo mi è ignorata l'eco intima della vera gioia.
Quando, quando, o divinità, potrò di nuovo gustarla nel tempio della natura e degli uomini? Mai?... No, sarebbe
troppo crudele!".

Ma da questo testamento non è possibile ricavare qualcosa di più della rassegnazione, del desiderio di abbandonare
per sempre questo mondo? Non è una risposta di Beethoven alla vicenda di Werther, della cui celebre lettera
riproduce quasi letteralmente un passo; non significa piuttosto un superamento dell'era dello "Sturm-und-Drang" per
mezzo di quella volontà autonoma che sfida il cielo e l'inferno e si costruisce da sé il suo universo contro un mondo
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pieno di insidie e di ostacoli? Il testamento è, sì, un documento della crisi, ma anche il sollevamento dalla più profonda
disperazione alla semplice confessione: "Sono rassegnato".
Proprio gli anni della sordità furono un periodo di feconda operosità, allo stesso modo che la sua vita in quegli anni
registrava una gloriosa ascesa. Straordinaria e molteplice è la produzione dei primi anni del nuovo secolo: Otto sonate
per pianoforte, il concerto per pianoforte in do minore op. 37, numerose altre composizioni per lo stesso strumento, i
sei quartetti per archi op. 18, il settimino op. 20, cinque sonate per violino, le due romanze per violino opp. 40 e 50,
l'oratorio Cristo sul monte degli olivi op. 85 e la musica per il balletto Gli uomini di Prometeo. A tanta copiosità si
contrappongono l'anno seguente (1803) due capolavori soltanto, la sinfonia Eroica op. 55 e la sonata per violino in la
maggiore opera 47, dedicata al virtuoso di violino Rudolph Kreutzer, e inoltre i sei lieder di Gellert.

L'EROICA

Beethoven è il primo fra i compositori che vuole essere più che un semplice musicista. Ama essere considerato un
poeta della musica e con la sua arte vuole migliorare il mondo e l'umanità. In effetti da lui promana un ethos che fu
raggiunto solo nelle grandi poesie di Schiller. Il grande, il sublime e il bello sono i motivi che hanno ispirato Beethoven
per tutta la vita. Vi è in lui una forza irrefrenabile, che nelle grandi sinfonie tocca il titanico. Il suo ideale è il console
Napoleone, dal quale naturalmente si allontana quando quegli si fa proclamare Imperatore: "La nostra epoca ha
bisogno di spiriti possenti che sferzino questi meschini, perfidi, miserabili farabutti di individui, anche se il mio cuore si
rifiuta di far del male ad un essere umano".
L'Eroica costituisce, per così dire, una svolta nella valutazione del maestro da parte del grande pubblico. Non che i
numerosi attacchi contro di lui diminuiscano di intensità, al contrario; ma ora si formano due schiere opposte: quelli
che desiderano che egli ritorni al suo vecchio stile, allo stile delle prime due sinfonie e del leggiadro settimino, e il
ristretto gruppo di quelli che, entusiasticamente o intimamente conquistati, gli tributano un riconoscimento
incondizionato. Il critico dell'autorevole "Allgemeine Zeitung" di Lipsia così giudicava la sonata a Kreutzer: "A rigor di
termini non abbiamo ancora niente del genere, o piuttosto ancora niente che allarghi tanto i confini di questo genere
e poi effettivamente li colmi". E sull'Eroica il medesimo giornale scrive: "È stupefacente con quale maestria il primo
movimento, nonostante la sua lunghezza, si mantenga unitario". Un giudizio che è tuttora valido nella sua felice
concisione. È significativo che, alla prima esecuzione parigina del 1811, l'Eroica fu accolta con applausi frenetici. Già
nel 1798 era venuta a Beethoven l'idea di una sinfonia eroica quando il generale Bernadotte gli aveva suggerito di
esaltare il console Napoleone con una composizione musicale.
In Napoleone, Beethoven scorgeva il trionfatore sul caos rivoluzionario e lo paragonava ai più grandi duci romani.
Quando la proclamazione a Imperatore distrusse quell'immagine, più vicina agli eroi del suo prediletto Plutarco che
non alla realtà, dopo il simbolico gesto di stracciare la dedica a Napoleone, il contenuto essenziale della poderosa
opera risultò ancora più nitido: cadde l'eroicità esteriore ed emerse quella interiore, quella giustamente celebrata,
un'eroicità che egli stesso incarnava, oscillando tra i poli della rinuncia alla vita e della ribellione contro il destino in
una terribile lotta dell'anima. Quando egli, attraverso questa lotta, ebbe imparato, nello spirito della primitiva
aspirazione classica ad un canto eroico a rivestire di eroici panni i sentimenti dell'umanità vittoriosa e sofferente prese
forma in lui la prima gigantesca opera sinfonica.

AMORE E MUSICA

Se la differenza tra Mozart e Beethoven corrisponde all'antitesi fra realismo e idealismo, tale
contrapposizione è applicabile anche ai rapporti dei due compositori con le donne. Mozart era realista non
solo nella musica, ma anche nelle relazioni col prossimo. Il comportamento di Beethoven verso le donne,
sempre sui generis, noti è stato quasi mai capito esattamente dai posteri, soprattutto da quelli che
pretendevano di attribuirgli una vita monastica o che affermavano "che nella sua vita l'elemento erotico
aveva avuto poca o nessuna parte"' cosicché la forza dell'eros poteva accrescere la sua spiritualità.
Intesa in tal modo, la tesi della "sublimazione dell'erotismo, radice di ogni creazione artistica", si adatta così
poco a lui come a chiunque altro.
È bene rilevare ancora una volta che i fattori esterni della vita, ai quali in tal senso appartiene, nella
personalità di Beethoven, anche l'amore, hanno costituito per lui soprattutto un impulso, una temperie
forse, mai un elemento essenziale nella sua opera. Infatti "la sua opera scaturì da quella profondità che né
salute né malattia, né felicità domestica né avversità possono raggiungere". Abbiamo già detto che la sua
operosità poté essere particolarmente feconda proprio nei periodi di più penoso travaglio intimo o di una
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parte decisiva sia nella sua vita sia nella sua opera. Egli stesso sottrasse ai contemporanei e ai posteri tutte
le esperienze amorose che oltrepassavano i termini dell'esaltazione e anche il limite borghese del
"desiderio di sposarsi" un aspetto borghese veramente strano nel profilo biografico del grande Solitario con
quel senso di pudore che gli era proprio, perché per tutta la vita rimase rigorosamente lontano da ogni
frivolezza. E nessuno fu capace di scrivere un'opera più morale, più lontana dall'erotismo, più pura di
quanto sia il Fidelio.
Così avviene che noi conosciamo i nomi soltanto di poche figure femminili nella vita dell'artista, benché
Beethoven sembrasse sempre tutto preso dall'amore, anzi credesse di non poter vivere senza di esso. "A
Vienna Beethoven era sempre al centro di avventure amorose e talvolta fece delle conquiste che per
qualche Adone erano state, non dico impossibili, ma molto difficili. Ma fin dagli inizi aveva un concetto
straordinariamente elevato dei rapporti fra uomo e donna, un concetto che corrispondeva in tutto e per
tutto al suo carattere morale". Non per niente, dalla Critica della ragion pratica di Kant, una volta annotò
questa frase lapidaria "La legge morale in noi e il cielo stellato sopra di noi! Kant!!!". Così è da intendere
anche quando scrive nel suo diario: "La soddisfazione dei sensi senza comunione dell'anima è e rimane una
cosa bestiale. Dopo di essa non resta traccia di un sentimento più nobile, ma piuttosto rimorso".
Come anche in Mozart, spesso l'infatuazione artistica si accoppiò in Beethoven alla simpatia affettuosa. Così
gli fu particolarmente vicina la contessa Erdödy, una donna delicata e malaticcia, ma valente pianista, nella
cui casa Beethoven abitò lungamente e alla quale scrisse lettere particolarmente tenere.
Non è stato però finora appurato con certezza, malgrado gli sforzi appassionati degli studiosi, se la celebre
lettera, divisa in tre parti, all'" immortale amata ", che fu trovata dopo la morte di Beethoven in un cassetto
segreto di un vecchio armadio e quindi non giunse mai a destinazione, come il testamento di Heiligenstadt,
riguardasse lei o Amalia Sebald, la "cantante dalla voce incantevole", o la contessa Teresa Brunswick o
un'altra dama sconosciuta.

"Angelo mio, mio tutto, mio io!... Perché questa profonda angoscia, quando parla la necessità? Può il nostro amore
sussistere solo a prezzo di sacrifici, con la rinuncia a tutto? Puoi tu non essere tutta mia e io non interamente tuo? Oh
Dio, guarda la bellezza della natura e calma la tua ansia per il dovere! L'amore chiede tutto, e con diritto; così sento
che è per me verso di te, per te verso di me. Solo che tu dimentichi facilijnente che io devo vivere per te e per me. Se
non fossimo completamente uniti, proveresti poca pena di ciò, quanto me. Tu soffri. Ah, dovunque io sia tu sei con
me, io parlo a me e a te. Fa' che io possa vivere con te! Quale sarebbe la nostra vita!!! così!!! senza di te. Sto per
addormentarmi e i miei pensieri si affollano verso di te, mia immortale amata, ora gioiosi, poi di nuovo tristi, mentre
attendo di sapere se il destino ci vorrà esaudire. Sii serena! Solo considerando serenamente la nostra esistenza
possiamo raggiungere lo scopo di vivere insieme. Sii serena! Amami! Oggi, ieri, quale straziante desiderio di essere con
te, con te, con te! Vita mia, mio tutto, addio! Amami sempre, non dubitare mai del fedelissimo cuore del tuo amato
Ludwig. Eternamente tuo, eternamente mia, eternamente noi!".

Una parte importante nella cerchia delle donne intorno a Beethoven ebbe anche Bettina Brentano, da lui conosciuta
nel 1810. Non ancora ventenne, essa possedeva allora non solo il raro dono di saper ascoltare, ma anche una vivace
fantasia. Forse Beethoven si aprì con lei tanto più volentieri, in quanto essa non fu così vicina al suo cuore come
diverse altre, ma seppe per questo ascoltare meglio i soliloqui del maestro sordo. Delle tre famose lettere a Bettina,
una sola tuttavia è probabilmente autentica, le altre inventate da lei, come le confidenze di Beethoven nelle lettere di
Bettina a Goethe. Comunque queste notizie sono importanti come immagine dell'intimo di Beethoven riflesso in una
giovane anima femminile, romantica ed esaltata.

"Quando vidi colui del quale ora voglio parlare, dimenticai tutto il mondo. Anche il mondo svanisce per me, quando mi
prende il ricordo… sì, svanisce. E Beethoven quello di cui parlo". Per opera di Bettina, Goethe si fece un'idea
entusiastica di Beethoven. Il destino poi volle che essi si incontrassero personalmente: i più grandi nel loro campo.
Beethoven in devota ammirazione per il principe dei poeti, che dal canto suo respinse il temperamento disordinato e
titanico del compositore, dimostrando soltanto uno scarso interesse per la sua musica. La differenza di generazione si
esprimeva naturalmente nella concezione musicale: le idee musicali dl Goethe erano ancora profondamente ancorate
al razionalismo del XVIII secolo. Mettere in musica le sue poesie, come egli avrebbe desiderato, voleva dire solo dare
una ve te alla poesia e non distogliere l'attenzione dell'ascoltatore dai suoi versi. Nessuna meraviglia quindi che
preferisse compositori come Reichardt e Zeltet a maestri come Schubert e Beethoven
LE SUGGESTIONI DELLA NATURA
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"È una specie di scossa elettrica che muove la spirito ad una creazione musicale fluida, corrente. Io sono una natura
elettrica", disse un giorno Beethoven di sé. Queste parole esprimono la sua profonda comunione con ogni forza
primordiale si tralascerebbe un aspetto importante della sua vita, se si dimenticasse il suo profondo amore per la
natura e per tutto ciò che è semplice. Anche sotto tale rispetto è un autentico figlio del suo tempo, lontanissimo dal
XVIII secolo, col suo concetto della natura singolare, stilizzato, sensitivo (si ricordi il retour à la nature di Rousseau e
per conseguenza l'infatuazione pastorale delle classi elevate, frutto di un equivoco) e già partecipe del più forte senso
della natura del romanticismo letterario
"Noi dobbiamo immaginarci in Beethoven un uomo, scrive un antico biografo, nel quale la natura si è pienamente
immedesimata. Non le leggi, ma piuttosto la potenza elementare della natura lo aveva affascinato, e l'unica cosa che
era commossa nell'effettivo godimento della natura erano i suoi sentimenti
In tal modo lo spirito della natura gli si è palesato in tutta la sua potenza e lo ha reso capace di creare un'opera, la
sinfonia pastorale, che non ha pari in tutta la letteratura musicale.
Anche se al contrario della quinta, la quarta sinfonia può essere considerata come un rifugio nella natura, un tal
carattere è ancora più accentuato nella sesta, per esplicito proposito di Beethoven stesso. L'opera nacque durante il
lavoro per la quinta, la sinfonia del destino, in completa indipendenza, quasi come antitesi spirituale e compromesso
creativo. La dichiarazione di Beethoven: "Più espressione del sentimento che pittura", premessa all'opera veramente
divina, dimostra la sua preoccupazione di essere frainteso come "programmatico"; il suo intenso sentimento della
natura doveva trasformarsi in suono, in forma rigorosamente sinfonica, senza la più semplice illustrazione.
Beethoven diceva una volta a Bettina Brentano:

"La musica è una manifestazione più alta di ogni sapienza e filosofia. Chi è in grado di capire la mia musica, deve
liberarsi da tutte le miserie in cui gli altri si trascinano".

E in questa lettera si legge: "Attraverso la sofferenza si giunge alla gioia". Da queste asserzioni appare chiaro che
proprio negli anni più amari poterono nascere opere così "distaccate" come la quarta e la sesta sinfonia, la sonata
Pastorale, la sonata Primavera, che per la sua grazia e la sua forza accanto alla sonata a Kreutzer, si colloca in un
contrasto pieno di effetto rispetto alle più popolari sonate per violino e alle due romanze per violino.
UN ARTISTA EUROPEO
La posizione di Beethoven non solo nella storia della musica, ma anche fra i musicisti del suo tempo, fu
definitivamente consolidata dall'Eroica. L'asprezza e la violenza degli avversari musicali, dei critici, d'ora in poi non
poteva più nuocere alla fama sempre crescente e alla stima dei contemporanei. Il suo prestigio non rimase però
circoscritto alla sola Vienna. Dopo la morte di Haydn era considerato indiscutibilmente il primo maestro della musica
strumentale, e va tenuto presente che le sue opere ottennero i maggiori successi specialmente in Francia e in
Inghilterra. Che la musica della terza e della quinta, affine allo spirito della Rivoluzione francese, trovasse un'eco
entusiastica in Francia, è ovvio. Dell'incredibile messe di questi anni, ossia del periodo creativo di mezzo, che ha i suoi
limiti estremi nella terza e nell'ottava sinfonia, si potrebbero ricordare il magnifico concerto per violino op. 61, l'unica
opera rimasta di questo genere, i tre quartetti Rasumowsky op. 59, i due quartetti per archi opp. 74 e 95, la fantasia
per coro op. 80, il grande concerto per pianoforte in mi bemolle maggiore op. 73, le sonate per pianoforte opp. 78 e
81a (Les adieux), l'ultima sonata per violino op. 96 e le musiche operistiche per il Coriolano e per l'Egmont. In queste
opere Beethoven forza i limiti della consueta interpretazione musicale. Egli aspira a rendere determinante un nuovo
principio creativo, che definisce in questi termini: "La fantasia vuole affermare anche il suo diritto, e oggigiorno
nell'antica forma tradizionale deve entrare un altro elemento, un elemento veramente poetico". Ora la musica cambia
in Beethoven la sua essenza, perché egli non la giudica più come qualcosa di assoluto, che abbia significato
esclusivamente per se stesso, ma fare della musica acquista per lui lo stesso sensodi una confessione. Le opere di
questo periodo creativo pertanto non sono più musiche di società nel senso del XVIII secolo, ma esprimono le
confessioni di una personalità che si sente coscientemente "poeta della musica" ed avanza l'assoluta esigenza di
porgere al mondo detestabile, a dispetto di tutti i colpi del destino, la propria immagine umana del mondo riflessa
nell'opera artistica. Con ciò penetrano nella sfe;a della musica tendenze morali, idealistiche, ideologiche e, talvolta,
politiche, e vi lasciano la loro impronta. La musica romantica dell'individualistico secolo XIX acquista forma.

In questi memorabili anni di operosità, Beethoven raggiunse quel grado di potenza espressiva per cui gli venne
tributato il pieno riconoscimento della sua maturità artistica. Un'autorità del valore di Reichardt lo aveva proclamato
l'autentico erede di Mozart e di Haydn nel campo del quartetto per archi, l'Accademia delle Scienze di Amsterdam lo
nominò suo membro corrispondente Era esattamente il momento in cui Haydn scomparve. Poi, nel 1815, Vienna, sua
patria d'elezione, gli conferì il diritto di cittadinanza.
Nel 1808 Beethoven aveva ricevuto, tramite il siniscalco conte Waldburg, la nomina a direttore d'orchestra di corte a
Kassel alla corte del re Girolamo. Benché l'offerta sembrasse allettante e fosse lasciata ampia libertà alle sue richieste,
Beethoven esitò a lungo e alla fine, quando si dichiarò disposto per iscritto, la sua accettazione fu complicata da tante
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condizioni e osservazioni, da far sorgere il dubbio che vi venissero aggiunte proprio allo scopo che l'altra parte non
acconsentisse all'accordo. Le ragioni per cui Beethoven esitò sono evidenti: l'atmosfera venniese, nella quale si sentiva
senz'altro a suo agio e che a nessun costo o solo ad un prezzo molto alto era disposto a lasciare, lo teneva avvinto.
D'altra parte indubbiamente giocava con successo anche una certa diplomazia di Beethoven, perché nella cerchia degli
uomini che seppero veramente apprezzarlo con tutto il cuore, ora ce n'erano tre particolarmente cari, l'arciduca
Rodolfo, da qualche tempo suo scolaro, e i principi Lobkowitz e Kinsky. Essi destinarono a Beethoven, contro l'obbligo
del soggiorno a Vienna e nella giurisdizione austriaca, una pensione annua di 4000 formi, un gesto patriottico che
tornerà ad immortale onore di quegli uomini, i quali riuscirono a conservare Beethoven alla capitale imperiale per
tutta la sua vita. Salvaguardando ottimamente e in senso del tutto moderno la piena indipendenza dell'artista,
l'accordo venne formulato in questi termini:

"Aspirazione e scopo di ogni artista deve essere quello di assicurarsi una posizione che gli garantisca di poter attendere
all'elaborazione delle più grandi opere, senza esserne distolto da altre occupazioni o da considerazioni di ordine
economico. Pertanto un poeta della musica non può avere nessun desiderio più vivo che quello di dedicarsi
indisturbato alla concezione delle più grandi opere per portarle quindi a conoscenza del pubblico. Inoltre egli deve
tener presenti i giorni della vecchiaia e cercare di procurarsi una rendita sufficiente".

Adesso finalmente l'esistenza di Beethoven aveva raggiunto la piena sicurezza. "Rimane però ancora una mania di
Beethoven, quella di lagnarsi delle sue condizioni economiche". Il suo patrimonio, in contanti e in azioni bancarie,
ammontava alla sua morte a circa 9000 fiorini, una somma considerevole per quei tempi. Anche nell'autunno del 1811
(inflazione viennese), quando il decreto finanziario ridusse la sua rendita, e il principe Lobkowitz fu posto sotto
curatela, mentre il principe Kinsky perdette la vita un anno dopo per una caduta da cavallo; Beethoven non subì
alcuna perdita sostanziale, perché l'arciduca Rodolfo gli fece pagare la rendita senza trattenute" e infine, dopo alcuni
contrasti, ottenne anche l'intero pagamento delle somme dovutegli da altre parti. Nel 1813 Beethoven doveva
registrare il più grande trionfo pubblico della sua vita, caso strano proprio con un'opera che egli aveva composta in
opposizione per così dire, al suo genio. Si tratta della curiosa sinfonia di battaglia La vittoria di Wellington nella
battaglia di Vittoria op. 91. Fra i progetti di perfezionamento di Beethoven, che furono molteplici e ínteressanti, parte
importante anche un viaggio artistico in Inghilterra, l’"America" di quei tempi, che egli voleva intraprendere col
meccanico Mälzel, inventore del metronomo e costruttore di diversi strumenti musicali meccanici. Mälzel aveva
fabbricato un'orchestra meccanica, chiamata "Panharmonikon", un carillon in grande stile, per il quale il maestro
abbozzò l'opera suddetta. Quando i progetti di viaggio andarono in fumo. Beethoven strumentò l'opera e la fece
eseguire nella sala dell'università di Vienna, contemporaneamente alla settima sinfonia, che dopo quel colossale
quadro di battaglia apparve quasi una cosa secondaria. Durante una replica di essa fu inserita anche la prima
esecuzione dell'ottava sinfonia.
Nel 1814, l'anno che possiamo considerare il vertice del successo nella vita di Beethoven, si ebbero due repliche,
dinanzi ai principi del Congresso di Vienna. "L'entusiasmo del pubblico, composto di circa 6000 spettatori, riferisce un
biografo, nonché quello del numeroso stuolo dei componenti l'orchestra e il coro, fu indescrivibile. Ognuno sembrava
avere la sensazione che un tale momento non si sarebbe mai più ripetuto nella propria vita".
L'ULTIMO PERIODO. IL FIDELIO
In questo anno così mirabilmente fecondo Beethoven non solo raggiunse l'apice della sua gloria terrena, ma ritrovò
anche una vena creativa piena di freschezza quasi giovanile, prima che cominciasse il periodo di isolamento, di
completamento e di perfezionamento, le cui opere noi assegnamo al terzo ed ultimo periodo stilistico nella
produzione del maestro. Nel 1814 avviene la ripresa del Fidelio nella sua elaborazione definitiva. Poi cala il sipario su
quell'importante periodo della sua vita. Ora egli diverrà sempre più solitario, la sua sordità completa. Comincia l'era
del silenzio, di un ascolto nell'intimo alle ultime fonti della creazione. È un fatto significativo che le ultimissime opere
di Beethoven non sono né sinfonie né opere teatrali, ma quartetti per archi, quindi richiedono quello strumento
ideale, qualificato come pochi altri ad esprimere quanto vi è di più intimo e personale, in una veste scevra da ogni
fasto e splendore esteriore.
La stagione teatrale viennese 1802-1803 aveva presentato le tre opere della salvezza di Cherubini, Lodoiska, Il
portatore di acqua ed Elisa. La cosiddetta opera della salvezza, nelle sue profonde aspirazioni umane, dovette far
vibrare il cuore di Beethoven, mentre una materia romantica come quella della Melusina, che una volta Grillparzer
propose al maestro in perenne ricerca di soggetti, poteva suscitargli tutt'al più qualche interesse, ma non ardore
interno. Beethoven esprime la sua stima per Cherubini in una lettera che non ricevette mai risposta:

"Apprezzo le vostre opere teatrali più di tutte le altre. Sono anche entusiasta ogniqualvolta sento una vostra opera
nuova, e vi prendo parte più intensamente che alle mie. In breve, io vi onoro e vi amo".

Quantunque Beethoven apprezzasse in modo particolare Il portatore d'acqua dal punto di vista musicale, quella che
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incontrò maggiormente il suo favore fu l'Elisa, un'opera nella quale l'eroismo di una donna ottiene la salvezza
dell'amato. È interessante notare come Beethoven ancora un principiante nel campo operistico si accinga
prudentemente al lavoro per la prima redazione del Fidelio che, iniziato nel 1803, come indicano i primi schizzi,
presenta ancora molte caratteristiche del Singspiel. (Una riprova della sua prudenza è il fatto che egli non cominciò
con l'alta drammatica, che certamente era più vicina alla sua indole!).
Quando Beethoven iniziò questo lavoro, in quello stesso anno era stato assunto mediante contratto da Schikanekr
come compositore operistico al teatro "an der Wien". E, fedele agli impegni, si accinse a musicare un testo di
Schikaneder Il fuoco di Vesta, grande opera eroica. Ma quando al posto di Schikaneder subentrò Joseph von
Sonnleithner, prese forma quell'opera alla cui eroica atmosfera il mondo del sentimento di
Beethoven era più congeniale.
La prima esecuzione del Fidelio avvenne nel 1805, una settimana dopo l'ingresso di Napoleone a Vienna; fu un fiasco
che
gli amici attribuirono giustamente alla povertà drammatica dell'opera. Cominciò allora la memorabile battaglia intorno
al Fidelio: "I primi due atti furono riveduti dalla prima all'ultima nota: si teneva d'occhio l'orologio e si tempestava
Beethoven perché sopprimesse alcune parti secondarie tirate troppo in lungo, ma egli difese ogni battuta, con
un'autorità e una dignità artistica tale, che avrei voluto gettarmi ai suoi piedi. Ma quando si venne al punto principale,
alle sostanziali abbreviazioni del testo e alla possibile fusione dei primi due atti in uno solo, andò fuori di sé e
continuava a gridare: Neppure una nota! E voleva andarsene con la partitura". Beethoven, che non aveva eguali nel
campo della sinfonia, difende accanitamente la struttura della sua opera, mirabilmente costruita dal punto di vista
formale e musicale, ma insufficiente sotto il profilo drammatico. Il maestro stesso impedisce il successo dell'edizione
riveduta, perché ritirerà anzitempo la partitura, costrettovi dalla sfiducia nella gestione finanziaria dell'impresario.
Solo per l'intervento dell'esperto di teatro Georg Treitschke l'opera ottenne, in nuova veste, un clamoroso successo
nel 1814 e intraprese il suo cammino trionfale per il mondo.
La parabola delle opere drammatiche di Beethoven, che comprende il Fidelio, si innalza dalla musica del Prometeo
(1801-1802), prosegue con l'ouverture del Coriolano, fino a raggiungere il culmine nella musica per l'Egmont, e
ridiscendere poi rapidamente nei lavori occasionali del 1811 (Le rovine di Atene, Il re Stefano).
Le ouvertures della Leonora n. 3, del Coriolano e dell'Egmont sono una magnifica costellazione, che fa parte del
repertorio fisso di tutti i programmi concertistici e che sa unire in modo magistrale l'elemento squisitamente sinfonico
ad un simbolismo musicale poetico trasfigurato nello spirito. Il terzo periodo stilistico coincide press'a poco con
l'ultimo decennio della vita di Beethoven, e culmina anzitutto nella nona sinfonia e nella Missa Solemnis, per sfociare
quindi nel sereno mondo ideale delle ultime sonate per pianoforte e degli ultimi quartetti per archi.
Nel duplice Credo dei due monumentali capolavori, Beethoven supera il battagliero individualismo degli anni centrali
dissolvendolo in un più alto sentimento di universalità e di contemplazione. Esso trova la sua incomparabile
espressione nelle ultime composizioni di musica da camera. La forma rimane anche qui un mezzo di espressioni
soggettive sapientemente impiegato, ma il linguaggio nella sua evoluzione si è nuovamente trasformato. È divenuto
più semplice nel fraseggiare, più ricco di significato nella sua struttura, avvicinandosi alla polifonia spiritualizzata di
Bach.
In questo periodo Beethoven mise per iscritto il memorabile pensiero:

"Anche se mi trovo tanto in alto, se vivo felici momenti nella mia sfera artistica, i miei spiriti terreni mi riportano in
basso".

Questa influenza oscura degli spiriti terreni intervenne potentemente anche nella continuità della sua opera. Nel suo
ambiente si diede la colpa della sua scarsa produzione degli anni dopo il 1813 ad un esaurimento. In realtà furono le
circostanze esterne a distoglierlo dal lavoro creativo. Il fratello di Beethoven, Karl, nel suo testamento aveva nominato
tutori del figlio minorenne la moglie e il maestro. Ne derivarono naturalmente dei conflitti di competenza. Con la
stessa intensità con cui amava il fratello Karl e in seguito il nipote, odiava la cognata Johanna.
Si direbbe ch'egli accrebbe l'odio e il disprezzo per lei fino ad una intensità quasi innaturale. Questi tratti di Beethoven
e le ripercussioni positive e negative che ne derivarono, nella sua vita privata e artistica, vanno intese come una specie
di "titanismo", che dal lato artistico si sublimò nel suo grandioso mondo musicale, ma nella vita terrena si concretò in
manifestazioni spesso deteriori. Beethoven dedicò ora tutte le sue energie all'opera di educazione con piena
responsabilità morale: "Allora incominciò per Beethoven, se così posso esprimermi, una nuova vita affettiva: sembrò
che egli si volesse consacrare anima e corpo al giovane, e secondo che era contento del nipote o doveva sopportare
fastidi o dispiaceri, scriveva o non riusciva a scrivere niente".
Nello stesso periodo la cerchia di amici si va assottigliando e lascia intorno al mestro, portato per la sua sordità alla
vita solitaria, un vuoto ormai incolmabile: muore il principe Karl Lichnowsky, il più antico protettore di Beethoven a
Vienna, il quartetto Rasumowsky si scioglie, Schuppanzigh e il violoncellista Linke lasciano la capitale per parecchi anni.
Beethoven allora si mette a progettare viaggi per sfuggire alla solitudine. Per un progettato viaggio in Inghilterra
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dovrebbe preparare due sinfonie. Aderisce con gioia alla proposta e si accinge all'abbozzo di queste due opere, ma alla
fine ne esce una sinfonia sola: la "nona". Intorno al 1818 comincia anche il lavoro per una grande Messa per
l'insediamento dell'arciduca Rodolfo, nominato arcivescovo di Olmütz. Per quanto avesse due anni di tempo per
terminare il lavoro, l'opera assumeva dimensioni sempre più gigantesche, e si protrasse per un periodo assai più
lungo, finché Messa e sinfonia furono completate definitivamente nel 1823-1824.
LA NONA SINFONIA
La nona sinfonia di Beethoven è la chiave di volta di tutto il complesso delle sue opere sinfoniche e insieme l'apoteosi
che le sintetizza. Tutti i temi fondamentali delle grandi sinfonie drammatiche compaiono armonizzati nella nona:
l'eroicità della terza il fatalismo della quinta e l'esaltazione vitale della settima. Nessuno dei suoi precedenti lavori ha
preso così intensamente Beethoven come la nona, e gli abbozzi per la gigantesca opera risalgono al 1815. Da decenni
accarezzava l'idea di musicare l'inno di Schiller Alla goia. A inserire però una parte dell'inno nel finale della sinfonia si
decise solo quando i primi tre tempi erano già quasi finiti. Riccardo Wagner credette di dover riconoscere in questa
innovazione "la dichiarazione di fallimento della musica strumentale", ma difficilmente si può essere d'accordo con
tale giudizio, in considerazione della forza espressiva così enormemente accresciuta negli ultimi quartetti per archi.
Già nella Fantasia per coro Beethoven aveva tentato di introdurre il coro in un'opera schiettamente strumentale, un
concerto per pianoforte. Che egli si decidesse ora alla medesima eccezione anche per la nona, dipese probabilmente
dal desiderio di esprimere al massimo grado, mediante l'inserimento delle voci umane, la gioia di vivere e
l'affermazione dei valori della vita, che già nella settima aveva portato ad una espressione così travolgente, da essere
salutata da Riccardo Wagner, in un accesso di entusiasmo, come "grandiosa apoteosi della danza".
LA MISSA SOLEMNIS
La Missa solemnis di Beethoven appartiene alle creazioni più significative e in pari tempo più problematiche dell'arte
occidentale. Questa monumentale opera religiosa spicca, fuori del tempo, in mezzo alla grande fioritura di musica
profana come atto creativo individuale. Nella strutturazione della sua messa, Beethoven non può più poggiare sul
terreno sicuro di una grande tradizione. Per lui l'adattamento al testo della messa diviene una lotta spasmodica,
personale nel senso più profondo, con i problemi religiosi, lotta che peraltro lo accosta ai problemi escatologici
dell'esistenza umana. Di famiglia cattolica, Beethoven per tutta la vita non si era sentito né si professò mai un
credente ortodosso. Quando era organista a Bonn, era ovviamente pratico di tutti gli atti del culto. D'altra parte il
principe elettore Massimiliano Francesco era aperto alle idee razionalistiche e i circoli che il giovane Beethoven
frequentava erano saturi di idee illuministiche.

A Vienna poi trovò il terreno già perfettamente preparato al razionalismo dall'imperatore Giuseppe II. Se Beethoven
tuttavia sia divenuto un massone, è cosa men che sicura. Un uomo come lui, che durante tutta la vita si preoccupò
sommamente di andare alla radice delle cose, non poteva essere un credente privo di senso critico. Un biografo
contemporaneo dice in proposito che le idee religiose di Beethoven si fondavano non tanto sulla fede "quanto
piuttosto trovavano la loro sorgente nel deismo. Senza basarsi su alcuna teoria, egli riconosceva apertamente Dio nel
mondo e anche il mondo in Dio".
Gli inizi della Missa solemnis risalgono al 1814, ma il progetto acquista contorni definiti nel 1818 e nel medesimo anno
vengono tracciati i primi abbozzi. I problemi dinanzi ai quali viene a trovarsi Beethoven nella composizione del testo
della Messa lo assorbono tanto, che il lavoro cresce fino ad assumere proporzioni enormi. Già le dimensioni stesse
dell'opera rendono problematico il suo inserimento nella liturgia: anche dal punto di vista del carattere, è più una
confessione personale che un'opera liturgica. In essa si configurano grandissimi problemi creativi. Nella sua ampiezza
la Missa solemnis corrisponde, in campo religioso, alle sinfonie.
L'ESECUZIONE ORCHESTRALE E IL PIANOFORTE
Negli anni dal 1815 al 1818 diviene impossibile per Beethoven capire il prossimo anche con l'aiuto degli strumenti
acustici. Così a poco a poco la sua "vita mondana" come egli stesso l'ha definita ha termine. Il rapporto naturale da
persona a persona diviene impossibile e al suo posto subentrano i quaderni di conversasioni, documenti inestimabili
per i posteri.
Il maestro, divenuto ormai quasi sordo, aveva potuto ancora assaporare i primi successi del Fidelio rielaborato sul
podio di direttore d'orchestra, ma il merito fu del direttore Umlauf che, dietro le sue spalle, rimediava le confusioni
provocate da Beethoven. Nello stesso periodo suonò ancora in pubblico il suo trio per pianoforte op. 97; se vogliamo
credere a Spohr, che ascoltò una prova, non era più "un godimento". E come giudicavano i contemporanei le sue
prime interpretazioni? "La sua maniera di suonare il piano non era corretta e la diteggiatura spesso errata, per cui la
bellezza della musica ne soffriva. Ma chi, trattandosi di lui, poteva pensare al concertista? Quando si era affascinati
dalle sue concezioni, che cosa importava il modo con cui le sue mani le esprimevano?".
Tanto nel periodo giovanile quanto nel primo periodo viennese del suo magistero, il pianoforte occupa il primo posto
nella sua opera come mezzo di comunicazione. Naturalmente dobbiamo tener presente che proprio sullo scorcio del
secolo si intende sul piano culturale la struttura del pianoforte subì una profonda trasformazione. Mentre prima
l'ideale era un suono chiaro, se pure tenue, che permetteva un'interpretazione sciolta e trasparente (clavicordo e
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cembalo), fin dal primo istante del periodo viennese Beethoven fu un pianista che diede la preferenza
all'interpretazione forte e sonora.
Le prime 15 sonate del periodo viennese dimostrano che Beethoven, come compositore, si familiarizzò
splendidamente col suono e con l'anima di quei nuovi strumenti. Così queste sonate costituiscono senz'altro una
novità non solo dal punto di vista tematico, formale e armonico, ma quasi più ancora dal punto di vista dell'acustica e
della "strumentazione". I compositori dai quali sono influenzate le prime sonate per pianoforte di Beethoven sono i
due maestri viennesi Haydn e Mozart, il tedesco settentrionale Philipp Emanuel Bach, ma soprattutto Muzio Clementi,
un musicista che al pari del maestro di Bonn sia pure limitatamente al campo della sonata per pianoforte si sforzava di
ottenere il massimo della forma e dell'espressione spirituale del tempo. Opere dell'ultimo periodo in Beethoven
sarebbe completamente sbagliato parlare di uno stile della vecchiaia sono anche le ultime cinque sonate per
pianoforte, composte negli anni dal 1817 al 1822. La fuga viene ora accolta nella sonata in una forma nuova, come
elemento informatore. Nuovo è anche il suono, e la caratteristica delle sonate è un mondo nuovo di tonalità
coloristiche e di suoni velati, che non possono essere imputati alla sordità, ma anzi sono esplicitamente voluti. Per
Beethoven ora non c'è più uno schema formale, tutte le opere sono differenti nella loro impostazione a grandi linee,
senza però dare l'impressione dell'arbitrarietà. Esse ci permettono di gettare ancora una volta lo sguardo in tutta la
profondità della sua vita spirituale: tutti i sentimenti, tenerezza, esaltazione intima, romanticismo, potenza
demoniaca, dolore, tempesta, tutto, quasi senza eccezione, connesso col motivo essenziale, ci parla da esse; ora è
raggiunta una unità intima senza precedenti.

ULTIMI PROGETTI E COMPOSIZIONI

Dopo avere terminato le due opere gigantesche, la nona sinfonia e la Missa solemnis, Beethoven non si riposò affatto,
anzi continuò a lavorare indefessamente a nuovi abbozzi. Ancora nel 1827 tali progetti avevano una parte importante
nella sua corrispondenza. Egli lavorava intensamente ad una ouverture B-A-C-H e alla decima sinfonia, come ci
indicano i libri di schizzi conservati. Più tardi disse che in quest'opera avrebbe voluto realizzare la conciliazione fra il
mondo moderno e l'antico, cosa che aveva cercato di fare Goethe nella seconda parte del Faust, e niente sta a indicare
che questa sinfonia dovesse essere esclusivamente strumentale. Una messa in do diesis minore lo tenne così
tenacemente occupato che già era in trattative con gli editori. Pensò anche ad un requiem, ad un oratorio (vennero
presi in considerazione La vittoria della croce e altri testi), ad una musica per il Faust "la cosa più alta per me e per
l'arte", sta scritto di suo pugno in un quaderno di conversazioni e con Grillparzer discusse ampiamente il progetto per
l'opera Melusina, con Rellstab altri soggetti operistici. I progetti si accavallano l'uno sull'altro. La fantasia lavora più
febbrilmente che mai. Egli sente la forza di completare tutte queste opere progettate, senza sapere però se gli sia
ancora concesso il tempo: "Avessi la millesima parte della sua forza e della sua resistenza!", scrive nel 1826 il giovane
Grillparzer nel quaderno di conversazione. Già da anni la salute di Beethoven, dopo un periodo di relativo benessere,
circa dal 1813 al 1816, è andata sempre peggiorando. Nel 1820 un'itterizia è la prima avvisaglia della malattia di
fegato, che infine lo porterà alla tomba. Nel 1825 lo affligge e lo angoscia una "infiammazione intestinale": "Dottore,
chiudete la porta
alla morte; la nota aiuta a uscire dalle difficoltà", grida al medico in uno di quei canoni scherzosi che allora prediligeva.
Quando si sente meglio, compone il Canto di ringraziamento di un convalescente alla divinità nel quartetto per archi
op. 132.

I QUARTETTI PER ARCHI

Ancora prima di completare la nona, aveva cominciato a scrivere un quartetto per archi e, mentre tutti gli altri progetti
rimasero inattuati, nei tre anni di vita che ancora gli rimanevano scrisse cinque quartetti, cinque opere della massima
importanza e di somma maestria. I primi tre furono un "lavoro commissionato": glieli aveva ordinati il principe
Galitzin, un giovane ammiratore di Pietroburgo. Il fatto che Beethoven rimase affezionato a questo genere dimostra
quanto corrispondesse ad una sua intima esigenza. Se non sapessimo niente della commissione e degli altri progetti,
nessuno penserebbe che i quartetti non siano il necessario epilogo della sua vita di compositore. Un epilogo del
massimo vigore, senza traccia di rilassamento della forza creatrice, in un tale grado di spiritualizzazione che, come per
Johann Sebastian Bach, non si può assolutamente concepire qualcosa di più sublime.
Oggigiorno non ci si deve più meravigliare se ci volle molto tempo perché gli.ultimi quartetti (opp. 127, 130, 133 e 135)
ottenessero più che un ammirato rispetto, perché contengono veramente qualcosa di insolito. Perfino a Ciaikovskj
questo mondo rimane chiuso: "C'è un barlume, ma niente di più. Il resto è caos, al di sopra del quale circondato da
nebbie impenetrabili si libra lo spirito di questo Geova musicale". E un biografo scrive: "Uno dei più illuminati
intenditori della musica beethoveniana era il suo amico conte Franz von Brunswick di Pest, che si potrebbe chiamare a
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buon diritto suo allievo. Il nostro studio di questi quartetti, condotto in comune con i suoi eccellenti colleghi e
protrattosi per due interi inverni, ci aveva rivelato le bellezze armoniche e soprattutto quelle tecniche, ma in quanto a
riconoscere la necessità logica nella connessione delle idee, il risultato in ogni caso è stato incerto. Il conte di
Brunswick, col suo acuto telescopio, di tanto in tanto credeva di aver trovato quello che si cercava, ma tosto la
scoperta svaniva nella nebbia ed egli tornava a darsi dell'imbecille. Dopo qualche anno mi annunziò che su molti punti
gli era rimasto sempre lo stesso buio come al niomento della nostra separazione, nella primavera del 1829". Solo il
nostro secolo è riuscito a rivalutare e ad amare l'opera quanto merita, e ha trovato nel caos apparente di pensieri,
impressioni, sentimenti e immagini, la logica musicale in un centro trascendente, attorno al quale questi si
avvicendano in uno scambio caleidoscopico. Non per nulla gli ultimi quartetti di Beethoven sono divenuti oggi un
punto di partenza e di riferimento per la creazione della moderna musica da camera.
Se si leggono con attenzione i suoi inseparabili compagni, i grandi libri di abbozzi, è probabile che Beethoven alludesse
alla Pulzella d'Orléans dicendo: "Non posso venire senza la mia bandiera". Per la storia e la conoscenza di Beethoven i
libri di abbozzi hanno lo stesso valore che hanno i quaderni di conversazioni per la vita del maestro. Sotto questo
aspetto Beethoven, rispetto ai suoi predecessori, è unico nel suo genere. Il numero di queste annotazioni, interi libri o
fogli staccati, è enorme. Anche Mozart ha certamente lasciato degli, abbozzi, ma il loro numero, in confronto a quelli
di Beethoven, è irrilevante: un fatto questo che può essere ben giustificato dalla diversità nel processo creativo dei
due maestri. Mozart attingeva le sue ispirazioni da una ricca vena intuitiva, per noi quasi inconcepibile. Beethoven
invece lavorava lentamente e faticosamente. I pensieri gli venivano a sprazzi, doveva provarli e più volte cambiarli,
prima che la forma definitiva venisse stesa a pulito. A ciò si aggiunga che Beethoven lavorava di solito
contemporaneamente a diverse opere, sicché la memoria non poteva sempre seguire il processo incessante di
formazione e di correzione in atto, e quindi si rendeva necessario fissare per iscritto quanto aveva elaborato. Durante
la composizione delle opere principali la maggior parte del tempo veniva spesa nel tracciare abbozzi. In tal modo si
spiega come il musicista, nonostante trent'anni di infaticabile attività, non abbia prodotto tante opere quante uno
qualsiasi degli altri maestri, come per esempio Haydn e Mozart. Sul suo modo di lavorare, Beethoven stesso ci ha
lasciato interessanti annotazioni: "Io cambio parecchio, rifiuto e cerco di nuovo finché non ne sono soddisfatto; ma poi
comincia nella mia testa l'elaborazione in lungo, in largo, in alto e in basso, perché mi rendo conto di quello che voglio,
e così l'idea fondamentale non mi abbandona più, si innalza, cresce, ed io sento e vedo l'immagine spiegarsi di getto
dinanzi alla mia mente in tutta la sua estensione".

LA FINE

Durante la sua gioventù Beethoven era stato talvolta additato come il ritratto della salute. La sua vita sregolata, le sue
forti emozioni e la sua caparbietà ebbero tuttavia come conseguenza che la sua fibra, originariamente robusta, andò
col tempo notevolemente indebolendosi. La cirrosi epatica manifestò i primi sintomi inquietanti nel 1821, quando egli
scrisse all'amico Franz Brentano: "Nell'estate sono stato colpito da itterizia, che è durata fino alla fine di agosto".
L'idropisia, di cui oggi si sa che è per lo più il sintomo di una malattia maligna, denuncia in modo minaccioso negli anni
dopo il 1825 l'imminente fine del grande paziente.
Alla fine del 1826 si sviluppò così rapidamente, che furono necessarie tre punture a breve distanza. Un lieve
miglioramento fece sì che il malato si sentì rinascere le speranze, anzi volle addirittura ricominciare a comporre. La
decima sinfonia, forse anche un oratorio, Saul e David, lo tennero occupato. Anche il suo spirito del resto era sveglio e
sentiva un intenso desiderio dei "suoi antichissimi amici dell'Ellade, Plutarco, Omero, Platone e Aristotele".
Ma tutte le cure dei medici non valsero più ad arrestare il declino. Solo negli ultimissimi giorni però lo spirito perdette
vigore. Quando alla fine si avvicinò il momento del trapasso, gli amici erano usciti per cercare una degna sepoltura.
Soltanto Hüttenbrenner e la cognata erano presenti. Beethoven morì il 26 marzo 1827 verso le sei di sera, mentre un
temporale accompagnato da una tempesta di neve infuriava sulla città.

Hüttenbrenner descrive questi memorabili istanti: "Un lampo illuminò vivamente la stanza del moribondo. A questo
inaspettato fenomeno di natura Beethoven aprì gli occhi, alzò la mano destra e per parecchi secondi guardò in alto col
pugno serrato, con un volto truce e minaccioso, quasi volesse dire: Vi sfido, potenze nemiche! Lungi da me, Dio è con
me!... Aveva anche l'apparenza di voler apostrofare, come un ardito condottiero, i soldati trepidanti: Coraggio, soldati,
avanti, abbiate fiducia in me, la vittoria è certamente vostra! Quando lasciò ricadere la mano sul letto, gli occhi gli si
socchiusero. Non più un respiro, non più un battito di cuore. Il genio del grande musicista era sfuggito via da questo
mondo fallace nel regno della verità!"

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