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1912, Pietroburgo: intorno alla casa editrice L'araldo pietroburghese si forma il gruppo degli

egofuturisti, guidato da I. Severjanin: ne facevano parte, V. Sersenevic (imaginismo), G. Ivanov


(acmeismo), I. Ignat'ev, R. Ivnev, V. Gnedov, K. Olimpov.
Di futuristico in S. c'era poco. Aveva sentito parlare del futurismo di Marinetti, e non esitò ad
appropriarsi della nuova parola, premettendovi un"ego" che lo ricollega al clima decadente. Coi
cubofuturisti non ebbe molti rapporti (iniziò con loro una tournée nella Russia meridionale, ma li
abbandonò subito in seguito a contrasti con Majakovskij, il quale più tardi l'avrebbe deriso in La
nuvola in calzoni). La sua poesia fu una recidiva del gusto 1890. Rispolverando il tema del
solipsismo e il culto dell'istante, riportava il lettore alle cadenze d'un Bal'mont (non a caso fu
Sologùb a scoprirlo e a lanciarlo, ed ebbe come numi tutelari altri decadenti). La sua fortuna è
dovuta al fatto che seppe dare ai motivi deteriori del decadentismo un'espressione accessibile a un
largo pubblico borghese, trasformando i temi esoterici in una spicciola pornografia da salotto. In
versi galanti, che oscillano tra le rubrica mondana e le canzonette banali, descrive passeggiate in
vettura e colloqui discreti con le sue innumerevoli amanti, interni di "boudoirs", storie di "cocottes"
e di cortigiane, sfondi stilizzati da melogramma. Provinciale incolto, privo di gusto e di idee,
pretendendo d'essere un innovatore, introdusse nei versi il gergo del "demi-monde" e dei ristoranti
alla moda. Ma, a differenza dei cubuofuturisti, le sue esperienze sulla forma furono estremamente
superficiali. I suoi versi traboccano di locuzioni inglesi e francesi, di nomi di fiori frammischiati a
termini di profumeria e a nomi di strane cibarie e dolciumi. Ebbe vasta fama; i suoi libri avevano
tirature grandiose; i "poezokoncerty", in cui canticchiava i suoi versi, attiravano folle enormi.

1909 - Sadòk sudèj (Il vivaio dei giudici) - primo almanacco dei cubofuturisti
1913 - pubblicazione del manifesto del movimento, nella raccolta Schiaffo al gusto del pubblico.
"Solo noi siamo il volto del nostro Tempo. Il corno del Tempo risuona nella nostra arte verbale. Il
passato è angusto. L'Accademia e Puskin sono più incomprensibili che geroglifici. Gettare Puskin,
Dostoevskij, Tolstoj, dalla Nave del nostro Tempo. Chi non saprà dimenticare il suo primo amore,
non conoscerà l'ultimo. Chi dunque sarà così credulo da rivolgere l'ultimo Amore alla libidine
profumata d'un Bal'mont? V'è forse in essa il riflesso dell'anima virile del giorno d'oggi...?" [...] Noi
ordiniamo che si rispettino i diritti dei poeti: 1) ad aumentare il volume del vocabolario con parole
arbitrarie e derivate (neologismi); 2) a odiare il linguaggio esistito prima di loro; 3) a scostare con
orrore dalla propria fronte superba la corona di gloria dozzinale fatta da voi con le spazzole del
bagno; 4) a stare in piedi sul blocco della parola "noi", in mezzo a un mare di fischi e di sdegno. E
se nelle nostre righe son rimaste tuttora le luride impronte del vostro buon senso e buon gusto, in
esse tuttavia già palpitano per la prima volta i baleni della nuova futura bellezza della parola
autonoma e autosufficiente".
Anima del gruppo era David Burljuk, organizzatore sempre pronto a scoprire giovani artisti (fu lui
che esortò Majakovskij a scrivere versi): con Majakovskij e coi fratelli di Burljuk, facevano parte
del gruppo Chlèbnikov, Krucenych, Kamenskij, Gurò, Livsic.
Il cubofuturismo fece le sue prime prove sul terreno della pittura. Agivano allora a Mosca due
associazioni di pittori d'avanguardia: Fante di quadri (Burljuk, Koncalovskij, Maskov, Lentulov, la
Ekster, Kul'bin) e Coda d'asino (Larionov, Malevic, Tatlin, la Goncarova). In un tempo in cui
dominava ancora nei quadri la maniera retrospettiva, le innovazioni cubistiche suscitarono grande
subbuglio. A. Benois, corifeo di Mir iskusstva, rimproverò ai nuovi pittori di portare all'assurdo i
metodi dei modernisti francesi.
I primi versi dei futuristi russi traspongono sul piano verbale i procedimenti del cubismo. Non va
dimenticato che Majakovskij e Burljuk erano stati allievi (poi espulsi) della Scuola di Pittura,
Scultura e Architettura di Mosca. La simultaneità dei piani, la scomposizione volumetrica delle
immagini provano quanto tenessero a modello la nuova pittura. Questa derivazione è più evidente in
B. e in M., ma si avverte anche nelle liriche di Chlèbnikov (es. Ritratto, tentativo di dissecare il
volto umano in diversi elementi sonori).
Se i pittori di Coda d'asino volgevano il loro interesse alle stampe popolari e ai rozzi cartelli di
provincia, M. s'ispirava nei suoi primi versi alle insegne delle botteghe e ai cartelloni delle strade di
Mosca. I cubofuturisti stampavano i loro almanacchi sul rovescio di carta da parati, ove sgorbi e
macchie d'inchiostro avevano valore grafico e le parole in diversi caratteri rano sparpagliate per la
pagina e quasi traboccanti dagli orli. Dopo la musica del simbolismo, ecco dunque la pittura
muovere alla riscossa su un largo fronte.
Come i pittori costruivano con il colore una realtà autonoma da quella naturale, così i cubofuturisti
facevano della poesia un intreccio non oggettivo di suoni e di immagini, una pura trama fonetica.
Parlavano di zvùkopis' (pittura acustica) e, sostenendo che il linguaggio è soltanto il materiale della
poesia come i colori lo sono della pittura, consideravano la parola, non come espressione d'un
pensiero logico, ma come fine a sè stessa. E per questa via giunsero al cosiddetto zaum', la lingua
transmentale, di cui Chlèbnikov e Krucenych furono i massimi rappresentanti. Ma bisogna
distinguere tra lo zaum' di K., il quale intesseva sequenze di lettere senza significato, orditure di
informi articolazioni verbali che non hanno nulla di russo, e quello di C., che fabbricava i suoi
neologismi senza alterare la sostanza dell'idioma russo, aggiungendo prefissi e suffissi a radici
esistenti (es. l'Esorcismo col riso, breve poesia tramata di variazioni sulla parola smech; la prosa
Ljubcho, costruita con derivati della parola ljubòv).
Con minuziose ricerche, i cubofuturisti trassero dalla parola tutte le possibilità nascoste. Si
incontrano nel loro arsenale persino caratteristici "palindromi", che essi chiamano perevertni (versi
che si possono leggere alla rovescia, ad es. Sten'ka Razin, Chlèbnikov).
Dopo essere stata per anni tempio di meditazioni teologali, la poesia divenne campo di manovre
filologiche. Non senza ragione essi furono in stretto legame con l'Opojaz di Pietrogrado. I
formalisti dell'O., filologi-ingegneri che intedevano la poesia come un atto tecnico, come un sistema
di trucchi e di accorgimenti, fiancheggiarono coi loro saggi la creazione dei cubofuturisti, cercando
esempi di zaum' nelle carte di antichi scrittori e nelle locuzioni dei bimbi e dei settari.
I cubofuturisti si compiacevano di assumere aspetti burleschi per provocare il buonsenso dei filistei.
Majakovskij andava in giro per le vie di Mosca col cilindro e una blusa gialla. Burljuk si presentava
con le guance impiastrate. Kamenskij soleva dipingersi un velivolo sulla fronte, ecc. Molte delle
loro gesta si tramutavano in spettacolo comico (M. stesso si esibì nel suo monodramma Vladimir
Majakovskij, e più tardi interpretò alcuni film).
Ma a parte il nome e gli spettacoli buffi, il futurismo russo non ebbe molto in comune con quello di
Marinetti. E in realtà, se M. pagò il suo tributo al tema della città moderna, riecheggiando motivi di
Brjusov, altri membri del gruppo come Chlèbnikov e Kamenskij opponevano le epoche primordiali
alla civiltà contemporanea esaltata da Marnietti. Nè va dimenticato che in principio, quando quei
poeti si rifiutavano di accettare l'etichetta del futurismo, il loro movimento ebbe nome Gileja
(regione sul litorale del Mar Nero, dove abitavano i fratelli Burljuk) che, denso di memorie greche e
scitiche, aprendo una prospettiva su quella regione di antichi tumuli e idoli di pietra, inseriva in una
cornice vetusta le innovazioni del cubofuturismo. C. rievocava l'età della pietra e il mondo del
paganesimo slavo, K. celebrava le imprese di Sten'ka Razin. Si aggiunga che nella scelta dei generi,
nella ripresa dell'ode e del poema burlesco, della satira e dello stil comico, il cubofuturismo segnò
un evidente ritorno ai modi e alle tradizioni del 18° sec. (affinità tra C. e Lomonosov). Inoltre, a
differenza dei futuristi italiani, i seguaci di Burljuk fecero aperta professione di pacifismo e
descrissero in toni violenti gli orrori della guerra.
Nei primi anni del regime sovietico i cubofuturisti, che avevano accolto con entusiasmo la
Rivoluzione, ebbero campo franco in tutti i rami dell'arte. La pittura parve riprendere il sopravvento
sulla poesia. Con l'appoggio di Lunacarskij, i pittori futuristi ottennero scuole, cattedre, accademie,
e persino la Direzione delle arti figurative presso il Narkompròs fu nelle loro mani. Ne facevano
parte artisti d'avanguardia come Al'tman, Punin, Majakovskij, Tatlin, Kandinskij, Malevic. Sulle
colonne di L'arte della comune, organo di quella Direzione, redatto da Al'tman, Punin e dal critico
Osip Brik, pittori e poeti vantavano il futurismo come arte ufficiale del nuovo stato.
Era il tempo del "suprematismo" di Malevic, una sorta di zaum' figurativo che disponeva sul nudo
spazio del quadro le più elementari figura della geometria piana; Chlèbnikov scriveva il poema
drammatico Zangezi; Krucenych imperversava con le sue bizzarrie transmentali, cercando tracce di
zaum' persino nella fonetica del teatro, e attirati dal fascino del materiale grezzo, molti pittori
venivano sostituendo al cavalletto e alla tavolozza l'incudine e il banco da falegname, per
congegnare forme di legno e metallo. Così, a mano a mano la creazione di un'opera si mutò in un
semplice processo tecnico, simile alla costruzione di un oggetto qualsiasi; e la parola poesia,
spaurita fra tanti tecnicismi, cominciò ad apparire tra virgolette.
Con un'estrema trasformazione, essi diedero vita al Fronte di sinistra delle arti (LEF), la cui
attività suggellò il passaggio dalla teoria della parola autonoma alla "letteratura del fatto". Il LEF
ebbe costituzione eterogenea e riunì letterati ed artisti di varia provenienza: oltre ai poeti del
cubofuturismo (+ Pasternàk), entrarono nelle sue file molti costruttivisti (Rodcenko, Lavinskij,
Popova), critici della scuola formale, D. Vertov e S. Ejzenstejn. Sotto la direzione di M. il Fronte di
sinistra pubblicò tra il 1923 e il 1928 un'ardita rivista dal nome "LEF". Lottando contro le vecchie
formule letterarie, che riteneva inadatte all'epoca industriale, il LEF, "sindacato degli oggettivisti",
innalzo in primo piano la "fattografia". Desiderosi di avvalorare fra i generi artistici l'articolo di
giornale, i documentari, le interviste, gli schizzi di viaggio, i cartelloni, le memorie, i fotomontaggi
e persino gli stenogrammi di avvenimenti politici, i "lefovcy" si proponevano una produzione
funzionale. Gli scrittori, i cineasti, i poeti avrebbero dovuto trattare solo di cose concrete ed evitare
l'invenzione, elaborando cronache e protocolli di vicende accadute, schematiche registrazioni di
fatti. Ostentavano grande disprezzo per la creazione del passato che, a loro parere, storceva con
l'intervento della fantasia la linea della realtà. "Lo stesso termine arte è in sostanza
controrivoluzionario" (D. Vertov).

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