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L'episodio della 

monaca di Monza può essere considerato come un breve


romanzo in se stesso perfettamente compiuto, anche a prescindere dal complesso
dell'opera in cui è inserito. Forse mai come in questi capitoli appare in tutta la sua
evidenza l'eccezionale acutezza psicologica del Manzoni, che si serve di essa per
scrutare fino alle più insospettate profondità l'animo di questa giovane donna.
Gertrude è una creatura potenzialmente buone e di notevoli capacità spirituali, atta a
ricevere e a dare, qualora le circostanze della vita le fossero state favorevoli, tutto il
bene e la felicità possibili. La sua distruzione spirituale avviene a causa delle
aberrazioni della società e degli individui che la rappresentano, e compito dello
scrittore è quello di renderci evidente questo tragico paradosso. Già la presentazione
iniziale del personaggio, la stessa descrizione fisica di questa donna, la cui strana e
sconcertante bellezza, unita a una espressione di amara tristezza, come per il
"travaglio di un pensiero nascosto", appare così in contrasto con gli abiti monacali che
indossa e il luogo dove si trova, ci fanno presentire il dramma. Questo ci si rivela a
poco a poco, attraverso rapide presentazioni di fatti e immagini potentemente
sintetiche, a cui si alternano sottili analisi di stati d'animo e considerazioni di ordine
generale. La cieca accondiscendenza alle tradizioni, unita a considerazioni di gretto
egoismo, fanno sì che il destino di Gertrude sia quello di diventare monaca. Con
ironica amarezza lo scrittore indugia a descrivere le sottili ipocrisie dei familiari che
tentano di allettare con false e immorali prospettive la fanciulla perché si avvii per la
strada da essi voluta. Le lusinghe e il timore fanno sì che la povera Gertrude cresca
con delle nozioni completamente sbagliate circa la religione e la morale: il male, alla
sua mente inesperta, non può non apparire il seguire quelle che sono le sue
autentiche inclinazioni, mentre, solo sfruttando in modo conveniente queste ultime,
avrebbe potuto accostarsi al bene. Di qui un affastellarsi angoscioso di pensieri
incerti, di dubbi tormentosi, di desideri repressi e dolorose rinunce subito seguite da
contrastanti pentimenti, mentre gli avvenimenti la trascinano inesorabilmente alla
dolorosa conclusione: la accettazione esteriore del destino impostole, la ribellione
interiore ad esso. La narrazione dell'ultima parte del dramma si fa sempre più
concitata e veloce, quasi a rendere il senso di ineluttabilità, di ferrea necessità degli
eventi, a cui le precedenti analisi hanno introdotto. Quando Gertrude ci appare in
azione, inserita dal'autore nel quadro centrale del romanzo, il suo traviamento è già
avvenuto, ma non completamento, intuiamo: non al punto, cioè, di avere spento in lei
ogni eco di rimorso e di pentimento. Uno spiraglio che ci fa intravvedere la tragicità
di una lotta interna ancora in atto, è quel "sentite, Lucia" con cui, colta da improvviso
pentimento, Gertrude cerca di salvare la povera ragazza che essa stessa ha spinto,
quasi suo malgrado, nel pericolo. Non è che un attimo, e subito l'abitudine al
male ha il sopravvento; ma è un attimo che fa presentire il riscatto finale di questa
tragica figura di donna che, violenta nel male come nell'espiazione, concluderà la sua
vita in un "supplizio volontario tale che nessuno, a meno di non togliergliela, ne avrebbe
potuto trovato uno più severo".
La Monaca di Monza, il cui nome di battesimo è Gertrude, è un personaggio molto
enigmatico e abbastanza rilevante nella storia de “I Promessi Sposi”. Manzoni la
presenta come una donna abbastanza giovane, sui venticinque anni, dai forti contrasti
sia per quanto riguarda l’aspetto fisico sia per il comportamento. Gertrude, a prima
vista, dà un’impressione di bellezza ma non pura e genuina, anzi, appassita e quasi
scomposta, tanto che l’autore la descrive con tre aggettivi uniti da un climax
ascendente, sbattuta, sfiorita e scomposta. I colori principali che spiccano sul suo viso
sono il bianco della pelle e delle fasce che le incorniciano il volto e il nero delle
sopracciglia e degli occhi. Gli occhi sono misteriosi, soggetti a forti contrasti: a volte
ispezionano una persona cercandovi rifugio, affetto e quasi pietà, altre volte
sembrano ardere d’odio, rancore e orgoglio. Le labbra, invece, hanno un colorito rosa
sbiadito, che spicca nel viso candido, e come gli occhi assumono spesso espressioni
enigmatiche. Manzoni sottolinea che le labbra sono tinte, un particolare che si addice
ben poco ad una monaca. Altri particolari insoliti sono il suo portamento,
abbandonato e poco grazioso, il modo di portare la tonaca attillata sulla vita, un ciuffo
di capelli neri che ricade sulla fronte candida contrariamente a quanto dice la regola.
Nonostante questo all’interno del convento viene chiamata “signora”, come se
appartenesse ad un rango abbastanza alto da potersi permettere di trasgredire le
normali regole. Effettivamente aveva occupato da sempre una posizione particolare
nel monastero.
Suo padre era un ricco principe lombardo che, come prevedeva una legge dell’epoca,
non aveva intenzione di dividere l’eredità tra i figli cadetti ma destinarla interamente
al primogenito. Così tutti gli altri figli venivano destinati al convento. Gertrude venne
plagiata dai parenti, cresciuta cioè con la consapevolezza che sarebbe diventata una
suora. I genitori le regalavano bambole vestite da suora e per farle un complimento o
un’osservazione usavano sempre termini inerenti alla gerarchia ecclesiastica. A sei
anni entrò in convento, dove le era riservato un trattamento speciale da parte delle
suore in quanto figlia del principe. Il fatto di essere privilegiata le impedì di stringere
amicizie con le compagne, che la invidiavano moltissimo. Rimase nel monastero senza
mai uscirne per otto anni interi, fino all’età di quattordici anni. Gertrude fu quindi
costretta a scrivere la supplica e a prepararsi per trascorrere un mese nella casa
paterna prima di iniziare la sua nuova vita da monaca, come previsto dall’iter
ecclesiastico dell’epoca. Trascorse gli ultimi giorno al convento confusa da mille
pensieri opposti e ancora una volta in contrasto. Il giorno del ritorno a casa era da lei
bramato perché non vedeva l’ora di uscire dal monastero che era stato la sua prigione
infantile, ma al tempo stesso era temuto per la tensione di rivedere il padre, sempre
duro e severo nei suoi confronti. Decise quindi di confidarsi con una compagna, che le
consigliò di scrivere una lettera al padre in cui spiegava la sua situazione. Gertrude
scrisse la lettera ma non ricevette mai una risposta. Venne il giorno del ritorno e
finalmente la ragazza poté osservare di nuovo il mondo esterno, ma non permise a sé
stessa di rilassarsi veramente perché terrorizzata appunto dall’idea di dover
affrontare il padre. Giunta a casa fu completamente ignorata da tutti, come fosse un
fantasma, ad eccezione di un giovane paggio. Gertrude decise di ringraziarlo per la
sua vicinanza con un innocente biglietto. Il biglietto, però, venne intercettato da una
serva e consegnato successivamente al padre, che lo considerò uno scandalo e punì la
figlia costringendola a rimanere nella sua stanza sorvegliata a vista dalla serva.
Gertrude si trovò a preferire la vita del monastero a quella tortura e cominciò a
sentirsi in colpa, caratteristica propria delle persone abituate ad essere trattate male.
Scrisse così una seconda lettera al padre, per scusarsi e implorare il suo perdono.
Dopo vari discorsi che fecero soffrire moltissimo Gertrude, il padre accettò le scuse e
dichiarò tutto dimenticato. Nonostante Gertrude sapesse che a breve sarebbe dovuta
tornare al convento in veste di monaca, quando venne finalmente accolta dalla
famiglia si sentì invadere da una felicità che non provava da molto tempo. Al
monastero, a Gertrude fu riservata una stanza vicino a una casa abitata da un giovane
di nome Egidio. Vedendosi tutti i giorni attraverso la finestra, i due si conobbero e
s’invaghirono l’uno dell’altra. Cominciarono anche a frequentarsi di nascosto finché
non vennero scoperti da una suora conversa. Egidio e Gertrude furono costretti ad
ucciderla per farla tacere ma nessuno sospettò nulla, infatti le altre suore credevano
fosse fuggita in Olanda attraverso un buco scavato nel muro. Circa un anno dopo
questo fatto, Lucia e Agnese si presentarono alle porte del monastero.
Tutte queste esperienze dimostrano la debolezza di Gertrude, incapace di prendere
una decisione definitiva perché spaventata dalla possibilità di prendere quella
sbagliata. Il carattere e la mentalità dell’epoca la obbligano a sottomettersi e la
costringono ad agire di conseguenza, peggiorando ulteriormente la sua eterna
indecisione tra bianco e nero, tra pietà e odio, tra sottomissione e ribellione.

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