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Chopin e Fauré: le “affinità elettive”.

« Chopin, mer de soupirs, de larmes, de sanglots


Qu'n vol de papillons sans se poser traverse
Jouant sur la tristesse ou dansant sur les flots.
Rêve, aime, souffre, crie, apaise, charme ou berce,
Toujours tu fais courir entre chaque douleur
L'oubli vertigineux et doux de ton caprice
Comme les papillons volent de fleur en fleur;
De ton chagrin alors ta joie est la complice:
L'ardeur du tourbillon accroît la soif des pleurs.
De la lune et des eaux pâle et doux camarade,
Prince du désespoir ou grand seigneur trahi,
Tu t'exalte encore, plus beau d'être pâli,
Du soleil inondant la chambre de malade
Qui pleure à lui sourire et souffre de le voir...
Sourire du regret et larmes de l'Espoir! »

La poesia, dedicata al pianista Édouard Risler, è tratta dalla raccolta


Portraits de Musiciens di Marcel Proust; nella sinestesia emozionale che anima il
viaggio proustiano la musica , col suo potere d’astrazione evocativa diventa un
tramite eccellente per le sue metafore della rimembranza.
In una passeggiata attraverso due grandi anime musicali, mi piace pensare
ad un punto di vista altro, che possa leggere le suggestioni e cogliere le affinità
elettive. Proust, non a caso in questa breve “recherche”, è il mio immaginario altro
iniziale, il punto di vista di un ammiratore appassionato.
Nel capolavoro proustiano, Chopin è molto presente: adorato dalla marchesa
di Cambremer, che lo suona egregiamente, ad esempio suggerisce a Proust
l’immagine più idonea ad evocare le “fanciulle in fiore”, che non possono vedere un

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ostacolo senza divertirsi a superarlo perché a quell'età "…non ci si lascia mai
sfuggire l'occasione d'un salto o d'una scivolata senza abbandonarvisi
coscienziosamente, interrompendo, costellando il proprio lento cammino ,come
Chopin la frase più malinconica, di graziosi svolazzi, il cui capriccio si fonde al
virtuosismo…"1
Proust è tuttavia il poeta dell’eta di Gabriel Fauré, per il quale pure nutriva
una vera passione, come osserviamo in questa lettera: “…Signore, non è che mi
piaccia, ammiri e adori la vostra musica: ne sono stato e ne sono tuttora
innamorato. Molto prima di conoscermi, mi ringraziavate con un sorriso durante i
concerti e le esecuzioni private perché il mio fragoroso entusiasmo costringeva la
vostra sdegnosa indifferenza a rispondere a cinque chiamate. Sere fa mi sono per la
prima volta inebriato con il Parfum impérissable. Pericolosa ebbrezza, poiché poi
sono tornato ad ascoltare il pezzo tutti i giorni, ma anche, per lo meno,
chiaroveggente: mi ha fatto dire sul Parfum a Reynaldo cose che, anche sotto il
profilo musicale, gli sono sembrate giuste, e Dio sa con quanta severità egli
considera i giudizi dei letterati sulla musica. Vi ho detto, signore, cento cose meno
di quelle che potrei - conosco la vostra opera abbastanza per scriverci un libro di
trecento pagine - ma cento più di quelle che vi direi se dessi retta alla mia
timidezza.”
Più indirettamente lo cita nell’opera: "…la signora Verdurin pretese
dapprima un po' di violino. Con generale stupore, il signor di Charlus, il quale non
parlava mai dei suoi grandi doni, accompagnò con il più puro stile l'ultimo pezzo
della Sonata per pianoforte e violino di Fauré. Io sentii ch'egli avrebbe dato a
Morel, ricco di meravigliose doti quanto al tòcco e alla virtuosità, precisamente
quel che gli mancava: la cultura e lo stile”2
Proust esprime questi sentimenti non solo attraverso le sue pagine come
citazioni, ma li evidenzia anche in alcune cadenze stilistiche che divengono tra
l’altro un tratto inconfondibile della sua poetica .Egli dunque mostra di ben
intendere e far sue quelle assonanze, delicate ma profonde, nella espressione di due
straordinari poeti del pianoforte , ne coglie appunto alcune affinità elettive
Il pianoforte attraverso Chopin, conquista il trono della musica romantica,
in Fauré trova la naturale sintesi evolutiva che traduce lo strumento verso Debussy
ed il Novecento.
1
Marcel Proust: All’ombra delle fanciulle in fiore
2
Marcel Proust:: La strada di Swann

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Vite non parallele, ma legate dal sottile filo della commovente e piena
consacrazione alla propria arte, tanto che se il genio precocissimo di Chopin,
ricordò il Mozart fanciullo, così per Fauré si individua proprio nel polacco il nume
ispiratore; per ambedue poi il palcoscenico della vita fu la Francia.
Biograficamente il filo rosso pian piano si avverte: quando Fryderyk nel
1849 fu accolto nell’olimpo degli artisti, Gabriel aveva appena quattro anni, Per
entrambi fu fondamentale la prima formazione, ancor più se si considerano le
condizioni in cui questa avvenne. Il primo ed unico maestro per il pianoforte di
Fryderyk fu “il buon Albert Zywny”, come egli affettuosamente lo ricordava.
Pianista, didatta, direttore, discreto senza bagliori particolari, una figura
caratteristica, affabile e familiare. Zywny ebbe una primaria influenza sulla
personalità chopiniana, proprio perché ne seppe scorgere immediatamente le
infinite possibilità, evitando di imbrigliarne il temperamento. Lo stesso Chopin non
vide mai in lui il noioso educatore, quanto il buon consigliere, un consigliere che
rimaneva sbalordito e non contrariato dalle inattese e trasgressive soluzioni agli
esercizi da lui proposti, un buon consigliere che seppe avvicinare la mente
dell’allievo allo studio, non sempre consueto nel 1818, dei grandi viennesi, e
soprattutto di Johann Sebastian Bach, padre spirituale anche per l’altro protagonista
della nostra narrazione.
Gabriel Fauré, da principio trovò il suo buon consigliere in Louis
Niedermeyer il quale lo accolse nella sua scuola. Fauré ci parla nel 1922 dei suoi
studi pianistici: “Sotto la guida di Louis Niedermeyer …il programma
comprendeva Bach, Haydn, Mozart, Beethoven, Weber, Mendelssohn…si dirà che
sono i programmi di tutte le scuole? Attualmente si, nel 1853 no. A quell’epoca i
capolavori di Bach che costituivano il nostro pane quotidiano non erano ancora
entrati nella classe del Conservatoire…”.
Simile formazione dunque e stessa ammirazione per le opere di
Mendelssohn, del quale Fauré ammirava le sonate d’organo, mentre Chopin il
pianismo elegante e mozartiano.
Oltre al buon consigliere Fauré ebbe bisogno del buon amico per il suo
percorso; lo trovò in Saint Saens, suo giovanissimo maestro presso la scuola
Niedermeyer, che gli schiuse le porte della grande musica romantica e di Chopin.
Per Gabriel vi fu in più lo studio del Canto Gregoriano, che riapparirà spesso
come un fiume sotterraneo nelle suggestioni modali di tutta la sua opera. Per

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Fryderyk l’incontro con il filo della modalità si avvertirà più evidentemente
attraverso la evocazione di scale legate ai canti della sua Polonia.
Cresciuti in due paesi differenti, istruiti in scuole diverse da maestri
lontanissimi, a più di trent’anni l’uno dall’altro, due tra i più grandi creatori del
pianoforte, fanno riferimento agli stessi modelli; per entrambi un’istruzione
inconsueta, anche se più accademica per il francese, e comunque ispirata alle più
grandi figure della storia musicale, il che ha concesso a Chopin di fare la storia, a
Fauré il distillarla.
Gabriel Fauré, scrive per il pianoforte lungo tutto l’arco della sua vita. Egli
ci ha lasciato, a differenza di Chopin anche diverse splendide opere da camera e per
orchestra, tuttavia lo strumento per eccellenza della risonanza e della musica
assoluta, diventa il suo confidente favorito ed il mezzo più efficace per esprimere
“l’inesprimibile”.
Come Chopin, il compositore francese sfrutta, le unicità dello strumento, nel
timbro, nelle esigenze della tastiera, e nel derivante condizionamento della scrittura
musicale, tanto da sembrare talvolta questa una emanazione di quelle ; come
Chopin ha creato dal nulla il caleidoscopio delle pedalizzazioni, Fauré ne sfaccetta
ancora i contorni alla luce delle nuove evocazioni dell’impressionismo e del
simbolismo; ancora, come l’arte del polacco risulta dunque impossibile a
trascriversi per orchestra, altrettanto si può dire della maggior parte dell’opera del
francese, il quale poi si è avvalso del mezzo espressivo anche negli aspetti meno
caratteristici, come si evince dalle opere più tarde: anche quando il pianoforte
presenterà, una tessitura più concettualizzata, sarà sempre la particolarità del
linguaggio adottato a rendere anche i brani più lontani da un’estetica ideale,
unicamente pianistici.
La filosofia artistica dei due compositori, germogliata in epoche
conseguenti, ambedue caratterizzate da profonde riflessioni filosofiche e
suggestioni letterarie sul significato e gli ambiti della musica, fa scorgere delle altre
similarità.
La figura di Chopin appare dunque un po’ atipica per la temperie del
romanticismo musicale in cui la grande coscienza si sarebbe riconosciuta in figure
poliedriche ed impegnate: egli non scese nell’agone musicale con il fare battagliero
d’uno Schumann, al fianco della Lega di Davide, non cercò la forzosa reazione alle
convenzioni che si nota anche in Liszt o Berlioz non volle sconvolgere il mondo

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come Wagner. Chopin seguì la sua strada senza proclami, e pur non dimostrandosi
necessariamente tenero con amici e colleghi, non ebbe contrasti. Allo stesso tempo
fu uno dei pochi a non essere trascinato nella imperante orbita di Beethoven;
tuttavia non una analoga forza dirompente, quanto la feconda aura del suo genio, ha
saputo far germogliare terreni inesplorati e con altrettanta audace autorità si è
imposta all’avvenire, egli ha davvero creato quello che ancora non era stato neppure
immaginato.
Quella stessa Francia che ha ospitato Chopin e ,da lui, irradiata di luce,
ancora una volta stava profondamente cambiando quando apparve la figura di
Fauré, crepuscolare eppur così luminosa. Era la Francia nata nella seconda meta
dell’ottocento, uscita cambiata dalla crisi del 1870, alla ricerca del suo tempo
perduto, dilaniata tra l’amore-odio per Richard Wagner e l’esplorazione di una sua
arte nazionale, la Francia di Mallarmé, di Debussy di Marcel Proust, , dell’ “Art
Noveau”.
Come Beethoven, per i primi romantici, così Wagner rappresentò per
l’epoca di Fauré quel sole alla cui possente luce alcuni si scaldarono e molti si
bruciarono. Fu un’epoca d’irrimediabile crisi del linguaggio, delle poetiche e delle
forme ereditate dalla cultura romantica del primo Ottocento, attratta dalle sinestesie
poietiche che davano vita a non pochi equivoci formali ed espressivi, un’epoca nella
quale prevalente era l’interesse per le contaminazioni e le forme cicliche. Poco ha
giovato dunque, la dedizione quasi esclusiva di Fauré, spesso fraintesa, ai generi di
derivazione classica, fondati sulle forme sonata e su quelle forme più intimistiche e
raccolte care alla poetica del primo romanticismo.
Si può comprendere come anch’egli, figura atipica , tra le tante, più o
meno “rivoluzionarie” che siamo abituati a scorgere nelle epoche di transizione, sia
quella che forse più ha pagato il fio di una consacrazione totale alla sua arte
commovente. In un’altra epoca di proclami anch’egli non ne fece, e dunque se da
un lato fu senza dubbio partecipe di questa variegata stagione, col suo ideale
personalissimo di musica assoluta, dall’altro fu travolto nella screziata temperie di
eventi talvolta così esasperati da suscitare il suo riserbo, finanche la sua
dissociazione.
Indubbiamente però è in questa complessità che s'inscrive il carattere,
allora tanto più originale, di un’opera dalle innumerevoli sfumature, che non tradirà
mai se stessa, che subirà influenze disparate ed eterogenee, ma che altrettante ne

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eserciterà sui grandi musicisti della generazione immediatamente successiva , e di
cui Maurice Ravel sarà l’esempio più perfetto, nella fusione di equilibrio ed
esigenza di ricerca espressiva .
Mentre l’astro di Wagner estendeva la sua luce nella Francia, Fauré
conosceva attraverso Saint Saëns la grande musica di Schumann, Chopin,
Mendelssohn, e Liszt, che suonando la sua Ballade affermò di non avere dita
sufficienti, conobbe Flaubert , George Sand, Marguerite Long , affascinata da
“…quel “dongiovanni” che si faceva allontanare dagli uffici ecclesiastici per
essersi presentato di mattina con un frac , testimone di inconfessate
nottambulerie…”. Come Chopin conobbe i salotti, che al tempo significavano la
principessa Edmond de Polignac, ed una gloria mondana che lo stancò presto.
Se ,in concreto, Chopin fu immune da Beethoven non altrettanto può dirsi di
Fauré nei confronti di Wagner, il quale penetrava in Francia, secondo le stesse
parole di Fauré, “come l’acqua penetra la sabbia”. La sua preferenza andava ai
Meistersinger, legata probabilmente al caldo lirismo di alcune scene, e alle
suggestioni da Tableau. Il tema della rinuncia, legato al personaggio di Hans Sachs,
doveva assumere poi una singolare valenza emotiva in rapporto alla intensa e
dolorosa esperienza affettiva, con Marianne Viardot.
Fauré era soggiogato dalla Tetralogia quando affermava “è imbottita di una
filosofia e d’una quantità di simboli che sono solo la dimostrazione della nostra
miseria, del nostro nulla senza rimedio”.
Fin nel primo decennio del 1900 si esprime in questi termini: “ ...tutto
quanto ho fatto mi sembra brutto, oltraggiosamente imitato da Wagner…non v’è
sistema migliore che quello wagneriano...quel diavolo d’uomo sembra aver
esaurito tutte le formule”.
Come il grande Richard Strauss lo chiamava “il Maestro” , così anche
Fauré ne colse l’essenza tecnica e musicale, l’arte assoluta. Ciononostante nella sua
ricerca Fauré non tenta una contaminazione tra le arti, la sua concezione resta
classicamente evocativa delle forme e degli autori più amati, non è un caso che la
sua musica si nomini di volta in volta semplicemente: Notturno, Barcarola ,
Improvviso, ballata, tema e variazioni, sonata. La musica è arte assoluta , quando è
emanazione originale di emozioni e suggestioni:“...così imprecise che in realtà non
sono pensieri e che sono tuttavia qualcosa di cui ci si compiace...desiderio di cose
inesistenti, forse; ed è quello il dominio della musica...”. Consona sublimazione

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simbolista di ciò che aveva messo in pratica Chopin , anch’egli senza particolari
enunciati, virtualmente contraddittori nel momento in cui tentano di definire
l’indefinibile.
Se dunque a Chopin va associata senz’altro l’unicità creatrice del suo
genio nella storia, bisogna riconoscere come l’opera di Fauré,troppo spesso relegata
sbrigativamente nel limbo degli epigoni, probabilmente rappresenti, oltre ad una
produzione in se raffinatissima, un vero e proprio anello di congiunzione
fondamentale tra l’arte ispirata dal polacco e più d’una ricerca espressiva
novecentesca.
Lo studio profondo delle grandi opere del romanticismo, produsse le
prime e più immediate influenze sul modo di comporre di Fauré; gli echi delle
giovani romanze senza parole o le delicate armonie pianistiche dei primi Notturni
sono li a ricordarci quali fossero le sue preferenze: Mendelssohn, che definisce
“genio incantevole”, e poi senza dubbio Schumann e Chopin.
Come una farfalla sui fiori, Fauré si disseta col nettare contenuto nei
boccioli musicali dei grandi romantici. Così la prima melodia per voce e pianoforte,
scritta a sedici anni, sembra proprio evocare un primo omaggio, fresco e leggero
quanto appunto il volo della farfalla, al delicato mondo di Schumann.

Gabriel Fauré “Le papillon et la fleur” op. 1 n. 1 – 1861

Robert Schumann: Papillons

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Coprendo oltre cinquant’ anni di attività la produzione pianistica di Fauré
può suddividersi in tre periodi principali, corrispondenti ad una divisione più ampia
dell’arco compositivo . Se la grande fase creativa si può far iniziare nel 1875 epoca
del primo importante Notturno, la fattura deliziosa di alcune antecedenti rivelazioni
come le “Romanze senza parole” del 1863 , ci fa scorgere un primo estremo
cronologico, il cui opposto confine possiamo forse scorgere nella Barcarola op. 44
del 1886 che conclude il primo periodo. Il secondo periodo si può far terminare nel
1905 ed il terzo ovviamente nel 1924. Come per Beethoven non sarebbe del tutto
sconveniente indicare il primo periodo come quello dell’ “imitazione”, in quanto è
ora che sono più evidenti gli influssi della grande scuola romantica:
contestualizzando sarà più appropriato definirlo simbolicamente dell’ “evocazione”.
La fluidità della scrittura ricca, preziosa e mai superficiale porta alla mente
le raffinatezze timbriche ed espressive dei Notturni chopiniani, così come ci
affascina l’apollinea e mendelssohniana purezza di certe linee. Tuttavia già si
avverte l’originalità della tessitura musicale del maestro francese: figurazioni
alternate tra le mani linee indipendenti, frasi ampie ed articolate, melodie sinuose,
variazioni metriche inusuali, delicate suggestioni modali. Armonicamente Fauré
gioca sui cromatismi, le relazioni di terza tra gli accordi, nonché le armonie
“napoletane” da lui sapientemente rielaborate come nota Bortolotto: “…Questo
accordo di sesta napoletana in Bach e Beethoven, divenuto quarta e sesta
napoletana con Chopin, e accordo di quinta napoletana con Fauré, resta senza
eccezione una semplice alterazione decorativa sprovvista di ogni potere modulante
in sé; ma anche via aperta alla modulazione se la musica prospetta di
trascinarvela; Franck e Fauré hanno liberato la sesta napoletana dalla risoluzione
fino allora obbligata, in ogni caso abituale, sulla dominante.”3
Attinge altre relazioni dal parallelismo maggiore minore , un cardine anche
delle esperienze di Ravel e Debussy. Egli è anche affascinato dalle triadi aumentate,
dagli accordi di sesta tedesca,e dalla loro versatilità enarmonica che gli permette,
nelle fasi di cadenza o di sviluppo, con seducenti procedimenti, di modulare a
tonalità, talvolta solo percettivamente, lontane e comunque inattese. Le sue
progressioni sono sempre fluide , levigate, acute, talvolta impercettibilmente sottili,
ma lo stesso ingannevolmente semplici.

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Mario Bortolotto : Dopo una Battaglia

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La fitta tessitura pianistica presenta linee di basso nonché interne
delicatamente indipendenti. La voce principale, si complica nell’essere anche un
importante fattore nel moto e nella generazione armonica. Gli accordi e le armonie
strutturali sono continuate e prolungate in modo contrappuntistico, talvolta quasi
canonico, al pari della parte melodica. Il tutto poi non si esaurisce quasi mai in
semplici soluzioni pianistiche, neppure in momenti di culmine dinamico, ma segue
costantemente l’agogica melodico-armonica fino al suo naturale dissolversi.
La promessa come anticipato è rappresentata dalle tre "Romanze senza
parole" opera 17. Marcel Proust era innamorato della sincera delicatezza sonora
della terza, non a caso il gioiello della serie. Formalmente evidenziano la
predilezione per la forma tipicamente romantica del piccolo brano tripartito. Le idee
ruotano attraverso i gradi della tonalità d’impianto - significativo il citato uso della
versatile “sesta tedesca”- velati da alterazioni transitorie che sfiorano le semplici
cadenze senza sottolinearle.
Evidente poi è l’allusione a Felix Mendelssohn, nondimeno, pur nella
affinità stilistica , cogliamo già preziosi barlumi nella elegante semplicità e nel
curato dettaglio di queste miniature che si riproporrà anche in brani come la suite
Dolly o l’ottavo Notturno.
Se la Mazurka op. 32 è un poco velato omaggio a Chopin , che si muta in un
“pastiche” di ampio respiro e non altrettanta efficacia, con la Ballade siamo in
tutt’altra situazione: nobile espressione di sentimenti accesi, ma ancor più di
emozioni intime e segrete, di inconfessati languori e desideri. Il clima è
delicatamente rarefatto , la strumentazione leggera, la melodia, tenera e composta ,
si arricchisce a tratti anche di trasparenti imitazioni, procedendo pervasa di
commovente fascino ed eleganza prima di lasciare spazio ad un afflato più
intensamente romantico ed appassionatamente interiore che doveva dischiudere allo
Swann di Proust i più inconfessati orizzonti.
Trova posto anche una melodia di ispirazione popolareggiante, altro
riferimento alla poetica chopiniana, derivata dalla introduzione che conduce
l’episodio, da un lato più brillante della composizione, e dall’altro più fantastico ed
estatico nelle sue cristalline evanescenze impreziosite da figurazioni trillanti e
volatili d’ascendenza lisztiana.

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Nei primi Notturni Fauré mostra una chiara preferenza per una larga
struttura ternaria, tipica anche del notturno chopiniano, tuttavia egli dilata ancora la
forma aggiungendo code od ulteriori sviluppi derivati dalle idee portanti.
A differenza di Field ed in comunanza con Chopin, predilige una parte
centrale spesso sensibilmente contrastante con il resto: ove il primo tema è sognante
e riflessivo, il secondo è agitato ed appassionato. Come le prime Barcarole i
Notturni sono scritti in una forma A-B-A’ con una codetta; eccetto che nel terzo
Notturno la parte centrale rivela, come anticipato, un netto contrasto con le parti
esterne e comunque, anche in quello, è sensibilmente più estesa delle altre due. La
ripresa è più completa nei primi tre ; nel quarto e quinto Notturno è leggermente
ridotta e condensata ma comunque richiamante anche gli elementi centrali .
Fauré utilizzerà , questa forma più o meno variata in prevalenza, anche negli
Improvvisi, in alcuni preludi e con sempre più significative elaborazioni o
deviazioni nelle Barcarole e nei Notturni successivi al 1893.
E’ interessante notare tra le caratteristiche di “genere” che le prime
Barcarole , pure ternarie come i Notturni, presentano discrete differenze nei
rispettivi dettagli a partire dalla sezione centrale, meno antitetica rispetto alle parti
esterne ed in generale una minore complessità strutturale cui si affianca d’altro
canto forse un più accentuato languore espressivo.
In almeno tre dei primi cinque Notturni il tempo rappresenta un fattore di
forte distinzione tra le sezioni identificando una struttura che ricorda i Notturni
opera 15 di Chopin. E’ fuor di dubbio che Fauré avesse ben presente questi esempi
ed anche altri come la Ballata op. 38 o lo studio op.10 n.3 . Nel primo e ancor più
nel secondo egli manifesta questa intenzione marcando “allegro non troppo” la
sezione centrale in contrasto all’ “andantino” d’apertura. Il terzo Notturno non
segue questa direzione ed il quarto ha una sezione centrale sostanzialmente più
tranquilla, ma il quinto riprende più decisamente le intenzioni iniziali. La differenza
più evidente con il n. 3 è la presenza, in questo, di sezioni derivanti da una
medesima concezione che vanno a formare, una A tesi, B “antitesi”, e C sintesi,
lineare ma dai contorni sfumati; il risultato è una tripartizione meno evidente.
Una differenza visibile con il notturno chopiniano è, senza dubbio,
rappresentata da una molto maggiore presenza in Fauré del contrappunto che
condiziona la linea melodica alterandone l’aspetto puramente cantabile e lirico.

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Dal punto di vista armonico, Fauré è molto interessato ai rapporti tonali tra
le sezioni A e B che nei primi brani si riferiscono principalmente al relativo minore
ed alle distanze di terza; egli utilizza gli accordi derivanti dalle scale maggiori e
minori, provocando un continuo scambio tra i due modi principali. L’utilizzo di
scale gregoriane e di blocchi accordali da esse derivate è una caratteristica presente
già dai primi lavori; questo comporta anche un diverso rapporto funzionale tra i
gradi della scala non assoggettati, ad esempio, agli obblighi della sensibile, o alle
cadenze perfette, spesso eluse e sfumate nel frequentissimo uso degli accordi in
rivolto, oppure nella modulazione per terze che permette a Fauré di allontanarsi
tanto repentinamente quanto delicatamente dai toni d’impianto.
Con l’uso dei gradi in comune, gli è sufficiente cambiare l’alterazione di un
accordo per “aprire” letteralmente una cadenza e modulare più che in una tonalità
diversa ,in un nuovo piano sonoro . Sarà utile per argomentare quanto elencato dare
uno sguardo più ravvicinato ad alcune pagine.
L’incipit del primo Notturno ricorda il Preludio op.28 n 4 di Chopin anche
se il carattere, più compostamente malinconico nel caso di Fauré , più doloroso in
Chopin, segna anche la differenza del genere, giacché siamo di fronte ad un’ampia
forma di notturno tripartito laddove, l’esempio chopiniano è un più condensato,
preludio. Ciò che accomuna e allo stesso tempo differenzia i due stili è il giocare
sui legami tra la melodia e l’armonia rendendole interdipendenti. L’
“accompagnamento” in crome è un continuo scivolare o eludere cromatico che ha
una significativa conseguenza per la risultante sonorità verticale; la melodia pare
basarsi e completarsi appunto su alcune strutture armoniche e sul loro venirsi
incontro; in Fauré la cosa è molto più “contrappuntistica”: l’armonia si genera oltre
che dai rapporti funzionali tradizionali,dagli incontri dati nel moto delle parti che
donano un effetto “locale” e temporaneo, ma per questo sorprendentemente
evocativo, alle progressioni funzionali.
Sono suggestioni momentanee; la musica di Fauré, come ha giustamente
asserito Jankelevitch, è un continuo divenire; aggiungerei che, pur nel rigore
compositivo, fluisce da “se stessa”; l’idea è sempre viva, melodia ed armonia non si
sottomettono l’un l’altra, bensì è come se s’ispirassero a vicenda fino consumarsi
naturalmente.
Il Secondo Notturno introduce un’altra sfumatura: la scrittura è più evoluta
ma ancora conscia della lezione chopiniana da cui, occorre sottolinearlo, si

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differenzia per la minore “indipendenza cantabile” della linea superiore che è legata
agli sviluppi delle figurazioni interne. Come Chopin, Fauré mostra una predilezione
per gli intervalli armonici e melodici di sesta che si avvertiva anche nella Ballade:
questo intervallo è uno dei più dolci all’ascolto; inoltre risulta dinamico e nel
momento in cui si presenta come risoluzione, già annuncia qualcosa di nuovo.
Fauré amava senz’altro la qualità “nuance” delle seste, non è un caso che
presenti spesso i suoi accordi perfetti in rivolto, il che gli permette di guardare al
basso sia come elemento dell’accordo sia come nuova fondamentale: ad esempio, in
questo Notturno, il contrappunto in semicrome, ritarda tutti i blocchi accordali e
sfuma immediatamente il luminoso Si M d’impianto in un sereno crepuscolo estivo.

Questo trattamento trova una naturale evoluzione nella sezione centrale


contrastante ma legata alla precedente da sottili richiami: gli arpeggi che avevano
addolcito la prima sezione si trasformano nel movimento ritmico su cui si dipanerà
il secondo tema importante; Fauré trasforma la tenerezza armonica della sesta del Si
M ,nella irrequietezza, stavolta melodico ritmica, dell’intervallo di Si m6 . Si ottiene
così un’introduzione in cui il compositore, amplifica le sonorità con posizioni late
di 13a, che danno una grande ricchezza nel registro pianistico oltre che, ancora una
volta, una spinta agogica.

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Altro momento, è lo sfioramento con le armonie “Napoletane”, spesso in
tono maggiore ,come ad esempio, nella risoluzione a Fa# M.(dominante) di battuta
27, o ancora l’utilizzo frequente della terza “Piccarda”.
Il Notturno presenta la ripresa con un doppio omaggio, infatti questa,
introdotta da un trillo, ricorda da un lato, l’abbellimento clavicembalistico della
grande tradizione francese, dall’altro ,o forse in comunanza, le corone di trilli che
accompagnano la ripresa del Notturno, pure in Si M op. 62 n. 1 di Chopin. Il
periodo è ripetuto nella sua interezza variato dalle ottave e da un pieno
accompagnamento di semicrome che ne distende maggiormente l’arco melodico.
Il terzo Notturno, non mostra il contrasto interno accentuato dei primi due,
dunque può avvicinarsi alle linee più morbide dei Notturni chopiniani come i primi
due op. 9 o l’opera 72; Fauré ha scelto di legare delicatamente le sezioni utilizzando
frammenti tematici ed anticipazioni.
Il brano, anche per conduzione sonora, è il più chopiniano dei primi tre, fin
dall’inizio con l’incipit anacrusico: ancora le seste.

F.Chopin Notturno op. 9 n.2

F.Chopin Notturno op.62 n 2

G.Fauré Notturno op.33 n 3 (Tema e Ripresa)

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L’andamento è disteso, nella ripresa, vi è quasi un’aura di Barcarola ,
come si nota anche dal variare dell’accompagnamento. Le frasi fluidamente
affermative sfociano l’una nell’altra senza punti di netta demarcazione. Anche la
scrittura , dal cantabile più indipendente ,richiama le morbide e solitarie linee
chopiniane sostenute dalle risonanze ora degli arpeggi ora degli accordi.
La cosa è ancor più evidente nel quarto Notturno: talvolta definito un
brano poco ispirato, risulta invece uno straordinario modello delle risorse espressive
e sonore di Fauré, un esempio di quella già citata simbiosi ora citata ora nascosta tra
melodia ed armonia .
Non si può certo dire che il canto sia spianato e lineare, con la sua curva
melodica irregolare ed i suoi salti proibiti, tuttavia questo conferma il peculiare
carattere pianistico dell’opera. Melodia ed armonia sono asservite all’uso sonoro,
sul pianoforte, che Fauré ha deciso di farne. Il tema è fatto di “sfioramenti” sugli
accordi, caratterizzati dall’uso chiaro e frequente di settime maggiori. Addirittura
stavolta è una semplice melodia accompagnata e non contrappuntata, una pianistica
carezza.
Il suono del pianoforte, che ricorda ,nella prima esposizione,
l’ introduzione della Ballade, è arricchito dall’ampliamento degli accordi sul basso.
Fauré usa none e undicesime sulla dominante, inoltre è frequente l’uso di dominanti
secondarie ,con effetto non modulante, che impreziosiscono il giro armonico. Le
variazioni sonore sono affidate a piccole aggiunte come i raddoppi in ottava della
melodia, ottave timbriche, quasi delicati rintocchi o tintinnii di campane ,segnali
molto apprezzati dal Ravel di Jeux d’Eau.
E’ da rimarcare già in questo caso come le ottave di Fauré siano quasi
sempre melodiche e ben lontane anche nei passaggi virtuosistici dalle ottave di tipo
lisztiano. Il suo pianismo mai si compiace di vacui preziosismi: nella indubbia
difficoltà esecutiva ed interpretativa è alieno dal puro virtuosismo strumentale
quanto lo fu quello di Chopin.
Il trattamento “rotondo” del pianoforte della sezione centrale del Notturno
ed una tessitura fatta di arpeggi che non richiedono articolazione ma lo sfioramento
delle corde, come di un’arpa, ricordano la magistrale scrittura dello studio n 1 op 25
di Chopin; come non rivelare poi le suggestioni chopiniane di pagine come la terza
ballata o la straordinaria Berceuse.

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Uno dei più bei passaggi, della letteratura pianistica, si ha nel crescendo
della parte centrale che è anche un esempio dello stile originalmente faureano: il
tema è struggente ed appassionato , tuttavia dove si potrebbe serenamente preferire
una soluzione “pianistica”, ad esempio aggiungendo una fondamentale nelle
risposte al basso, Fauré sceglie di lasciare evidenziata, appunto, solo l’imitazione,
come dire, spegnendo un po’ gli ardori ; proseguendo inoltre evita un culmine
statico portando i temi a naturale dissoluzione ....ha eletto ancora una volta il
contrappunto;

G.Fauré: Notturno n.4 ( b. 40-43)

Nel sesto e settimo Notturno questa soluzione trova una superiore


giustificazione espressiva in uno stile più solenne.
Questa ambiguità irrisolta comunque differisce molto da Chopin.
Fauré spesso pare voler tornare sui suoi passi: il contrasto tra l’invenzione
felicemente spontanea ed il rigore coerente della sua estetica costituiscono un tratto
emblematico che lo ha portato, riguardo diversi momenti della sua opera ad essere
amato più dagli “iniziati” che dalla platea.
Nel quinto Notturno, che anticipa, sotto alcuni aspetti, lo stile di mezzo torna
una tripartizione più marcata e segnata da un contrasto maggiore; l’opera è ampia
ed elaborata, tanto da porsi come un punto di arrivo nel genere, anche perché il
grande sesto Notturno appartiene al decennio successivo; le opere più vicine sono
dunque la seconda e terza Barcarola, il secondo e terzo Improptu, nonché i primi
due Valses-Caprices.
Le dimensioni si dilatano tanto da portare alla luce delle ulteriori singole
partizioni delle sezioni principali, sfumate l’una nell’altra da frasi che procedono
spesso per enjambement . Ad un tema meditativo rispondono frasi più inquiete e

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dubbiose che risolvono ancora serenamente prima di lasciare il posto all’impeto
onirico della sezione centrale che richiama pagine schumanniane come la
Kreisleriana.

La fraseologia particolare del brano propone strutture irregolari o che


confluiscono l’una nell’altra senza punti di separazione netta; forse da qui deriva
consequenziale anche il frammento cadenzale che chiude i primi due periodi. Il
movimento armonico di Fauré ancora una volta è fatto di formule pregiate, di
movimenti brevi ma costanti, di trasformazioni, reali mediante semplici alterazioni
singole, o apparenti, come nel fine utilizzo di rivolti e settime secondarie, in breve
di momenti che, con leggerezza, sembrano mostrarci una nuova luce.
Con il sesto e settimo Notturno l’evoluzione a prima vista più evidente è
un’ulteriore partizione delle sezioni principali , in proporzione ad una maggiore
ricorrenza delle diverse idee tematiche . il grande arco del VI Notturno,
caratterizzato da equivoci melodico armonici che diluendosi differiscono le
risoluzioni e dilatano le frasi, è un grande esempio di melodia “faureana” .
Fauré utilizza distintamente l’armonia modale non più come semplice
suggestione momentanea ma come vera e propria “modulazione”. La sezione B poi
sorprende con un meraviglioso tema “impressionista”: precedentemente si levava
un canto lirico e solenne, qui è un mormorio dolcissimo ed immateriale. Nella
ripresa si ripropone una situazione emblematica già anticipata nel quarto Notturno:
il compositore, pur avendo lungamente preparato una frase “pianisticamente”
appagante la frustra spogliandola delle risonanze con la riproposizione del tema al
basso, che va ad esaurirsi solo melodicamente e non timbricamente. La soluzione
scelta ancora una volta è evasiva, contrappuntistica, al primo ascolto destabilizzante
ma anche estremamente affascinante. La cattedrale sonora del sesto Notturno inoltre
mostra quella tessitura in cui gli arpeggi si elevano ad elemento espressivo e
timbricamente indipendente , con una intensità che si può riscontrare nello Chopin
della terza sonata.

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F. Chopin: Sonata op. 58 Adagio (b. 28-33)

A questa profondità fa da corollario la ancor più austera coralità organistica del


settimo Notturno. Qualcosa di arcaico ed addirittura “primitivo” traspare da una
tessitura scarna,eppure imponente, sobria e dolorosa che diverrà sempre più
frequente.
Ove Chopin con la sua unica sublime Barcarola ha consegnato una lezione
di colore e struttura su una forma pittoresca , nelle tredici Barcarole di Fauré
troviamo, come anticipato, il lato più evocativo della sua poetica evoluzione.
Formalmente anche le prime composizioni di questa raccolta, sono scritte in
una classica forma ternaria, la differenza con i Notturni è visibile principalmente
nell’assenza di un marcato contrasto tra la sezione centrale e le due estreme,che pur
ben distinte non necessariamente si trovano in opposizione ; la parte mediana, viene
anzi caratterizzata spesso da una situazione ancor più riflessiva. Il contrasto, o
meglio la differenziazione, viene da sfumature ritmiche e metriche che danno vita a
sottili ejambement, oppure a figurazioni di emiola , a dilatazioni del ritmo armonico
e nello stesso tempo di frequente suggeriscono una unificazione recondita, tra le
sezioni, di antichissima memoria.
L’atmosfera delle Barcarole d’altro canto, con le sue frasi sognanti le sue
ritmiche flessuose le sue sfumature modali, in una nobile poetica della
rimembranza, suggerisce in più occasioni, il venturo colore di grandi opere come la
Iberia di Isaac Albeniz.
Nelle prime, le immagini di un acqua appena increspata, vedono la nostra
gondola mollemente adagiata sui flutti, in altre come la quarta o la sesta avvertiamo

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nostalgici ripiegamenti, in altre ancora soffia la possente e narrativa aura di
Nettuno, come tra le sonorità della quinta, ove ancora qualcosa di chopiniano è
evocato nella potenza accordale dell’inizio, che pare improvvisato o nelle
sospensioni tonali.
In ogni caso parallelamente le Barcarole seguono gli sviluppi evidenziati
nei Notturni presentando evoluzioni e ripensamenti. Allo stesso modo in tali
oniriche pagine sono trasfigurate evoluzioni di possenti afflati tematici che
ricordano nel melodiare molle e cedevole certi spunti di Sergej Rachmaninov come
quelli che si incontrano nella poesia degli Improvvisi poco posteriori.
All’inizio del terzo periodo uno degli sviluppi è rappresentato dal
crescente uso delle tensioni dissonanti; una preparazione a quello che poi sarà
espresso anni dopo con ancora maggiore potenza negli ultimi Notturni, come
l’undicesimo ed il dodicesimo. Fauré associa note estranee con toni armonici
creando significative dissonanze, ora aspre ora evanescenti: precedentemente si è
servito della ricchezza timbrico armonica di accordi come le none, ora ne mette in
luce i fattori maggiormente contraddittori, presentando posizioni insuete e di forte
tensione sonora. L’altro fattore evolutivo sarà poi il sempre maggiore utilizzo della
elaborazione motivica e delle germinazioni tematiche che nelle ultime opere diverrà
fondamentale.
La settima e l’ottava Barcarola ,fa intendere Cortot, presentano una
tensione profonda e sono ancora brani di transizione; infatti se a prima vista la
scrittura appare immediatamente più austera e sguarnita, in realtà ancora nasconde
una sensualità armonica e pianistica memore delle opere anteriori .Anche la nona e
la decima seguono lo stile , ma significative deviazioni si avvertono nella forma che
nella nona, similmente al parallelo Notturno, si avvicina ad un tema e variazioni. Il
tema della decima poi ostenta un sofisticato modalismo, nonché una parentela con
la elegante movenza del settimo Notturno, la cui affinità spirituale meglio si
concretizza nella coda finale. Nell’undicesima l’iniziale affermazione del tema è
particolarmente rappresentativa dell’ultimo periodo di Fauré ,in quanto presenta
un’armonia o meglio una sonorità a quinte aperte, una melodia in ottave ed una
tessitura disadorna che invocano lo scorrere del tempo tra le pieghe di questa ode
antica.
Similmente il Notturno n.11 è uno dei migliori esempi del tardo stile
contrappuntistico; scritto interamente a quattro parti, si snoda su una lunga e

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continuata melodia la quale trascina dietro di se altre linee, che si accompagnano o
si incrociano ad essa conferendo una risultante sonorità verticale di spontanea e
sobria bellezza che ricorda, pur nel differente contesto estetico e linguistico, da un
lato la composta malinconia di pagine chopiniane come il Valzer in La m . op. 34,
la mazurka op.17 n.4 o il secondo Preludio, dall’altro le visioni raveliane di
“Le gibet”.
Cortot mette a confronto le due composizioni nate contemporaneamente
nel 1916 ossia la dodicesima Barcarola ed il dodicesimo Notturno per evidenziare
come in due composizioni tanto vicine possano scorgersi così divergenti differenze
di sentimento ed espressione:
“...la Barcarola è incantevole, felice, penetrata da una luce eguale e dolce
, ed il suo ondeggiamento ritmico non ha più nulla della segreta malinconia delle
due che la precedono.Il Notturno ,invece , tormentato e patetico, si sviluppa in una
gamma di sentimenti dolenti...”4
Scritto parallelamente all’ultima Barcarola, anch’essa tredicesima, il
tredicesimo Notturno occupa per importanza ,la posizione che fu del VI tra i
mediani o del V tra i primi, infatti per complessità formale e ricchezza costruttiva
può essere considerato un capolavoro tra i suoi prossimi.
Nell’ultimo brano che avrebbe scritto tra i Notturni, per quanto egli
potesse sapere, Fauré torna ad una grande concezione ternaria quasi classica, eppure
mentre l’ultimo Notturno è ancora attraversato da fremiti improvvisi, non sembra
casuale la scelta della, inconsueta, e solare tonalità di Do M per esprimere
attraverso il mezzo, senza dubbio più adatto della Barcarola, un contrappunto
ancora complesso ma ormai sublimato in una interiore pace raggiunta. Il tema,
messo a confronto con quello proprio del contemporaneo Notturno, mostra relative
similitudini come la stessa raffinata scrittura a quattro parti, trasparente ma non
spoglia, omofonica ed insieme contrappuntistica; è caratterizzato dalle stesse
ingentilite ma pungenti dissonanze.
Prima la sfaccettatura impressionista poi il rigore concettuale ha donato
alle pagine di Fauré un tratto sempre più evidente personale ed originale. Tuttavia
se negli aspetti più esteriori si è indubbiamente allontanato dalle suggestioni
profonde di Chopin, non altrettanto può dirsi riguardo le concezioni estetiche
profonde.

4
A.Cortot: La musica pianistica francese.

19
L’influsso del maestro polacco riaffiora ancora sotto forma di affinità
elettiva fin nelle opere della piena maturità. Tra queste affinità infatti non può
essere considerato solo l’utilizzo di figurazioni morbide , rigogliose o cantabili, ma
anche l’aspetto disadorno del pianoforte chopiniano.
In Fauré L’eco di pagine intensissime, talvolta malinconicamente
meditative, quasi visionarie o compostamente desolate come lo Studio n 6 ,i Preludi
n. 2 e 14, a lungo incompresi per le loro arditezze, si può riscontrare fin nelle opere
più tarde come il Notturno n 11 del 1913 o l’ultimo Preludio.
Anche con gli Improvvisi , Chopin ha lasciato pagine di delicata poesia
senza rinunciare né alla forma né al colore, e così si è comportato Gabriel Fauré.
Nei suoi lavori possiamo trovare sia le nuances momentanee ,sia una forma che
amplifica la sostanza delle idee. Come per i Notturni e le Barcarole, troviamo nei
primi Improvvisi, l’incanto armonico e la gioia di una ricca e raffinata tessitura
pianistica. Fauré si distingue per la semplicità “apparente” del disegno , o meglio
per la fluidità dei suoi , pur sottilissimi trattamenti, delle sue armonie che si
compenetrano a vicenda. Si confronti l’utilizzo, in funzione diversa, della melodia
terzinata nel secondo Improvviso di Fauré con quella dello studio op.25 n.2 di
Chopin: dove negli esempi chopiniani si produce anche una riverberazione
armonica , nell’Improvviso di Fauré si odono il ritmo ed il carattere di una tarantella
che sembra essere passata per lo Studio-variazione di Brahms .
Un mondo totalmente diverso è presentato invece, in un’opera il cui
carattere improvvisativo mostra una novità ed un impeto dalla forza travolgente; Il
quinto Improptu pare quasi pervaso da un moto di evidente ribellione, nel suo
disegno vorticoso ed incalzante in cui davvero la scala per toni interi si esprime in
tutta la sua potenza dissolutrice ricordando talune pagine di Debussy .

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Questo Improvviso è un soffio di vento, in cui non si trova una melodia, ma
le figurazioni in semicrome che la dissolvono in un fremito; cadenze, pure sfiorate,
e frustrate, settime di dominante, diatoniche e parallele, progressioni per tono o
semitono, in una efflorescenza dalle inesauribili variazioni. Quando qualche valore
lungo viene evocato, è presente solo per manifestare ancor di più l’andamento
esatonale, rintocchi di campane ,distorte forse, come quelle che purtroppo doveva
percepire il sofferente udito di Fauré fino alla beffarda conclusione su un V-I.
Siamo davvero lontani dalle flessuose linee del primo periodo ed anche dalla
elevata poesia del secondo eppure ancora una volta non si può non trovare una
degna ispirazione in colui che conosceva dell’animo umano il calore e le foschie,
che seppe creare un vento ancor più gelido ed inarrestabile nel vortice sonoro del
finale della sua seconda sonata, Fryderyk Chopin.

Nei Valses-caprices, il confronto con Chopin è stavolta meno fecondo, il


polacco rimaneva un esempio poetico insuperato , essendo riuscito a unire, come
sempre, una mirabile cantabilità e raffinatezza con procedimenti brillanti di grande
colore. All’epoca la forma era più vivacemente rappresentata dai brani di Liszt pieni
di fascino ed arditezze pianistiche. Fauré, nel riprendere questa danza,tenta una
modernizzazione, che se da un lato,ne ha accentuato un carattere spiritualizzante
,dall’altro forse ne ha affievolito la carica emotiva. Cortot ne evidenzia la
pregevolezza di fattura, nonché la sensuale grazia tuttavia pur contenendo pagine
mirabili, come il n. 2, i Valzer costituiscono l’anello relativamente più debole, della
produzione pianistica di Fauré, proprio per l’aspetto forse troppo edonisticamente
capriccioso, che ne rende un po’ artificiosa la conduzione.
La raccolta dei Preludi appare negli anni 1910, 1911 è di grande interesse
per il particolare trattamento armonico e pianistico che contraddistingue ciascun
brano. Sono, un frutto nostalgico della maturità ed in velata forma ora di studio
tecnico e polifonico, ora di notturno rappresentano un piccolo diario stilistico.

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Possono essere avvicinati, per lo stile espressivo, alla concisa densità dei
Preludi chopiniani, e come in quelli le diverse forme assunte sono volte ad esplorare
le possibilità espressive del pianoforte da diversi punti di vista. Dall’altro lato, per
le suggestioni interne e le esplorazioni sonore, rimandano alla fondamentale
raccolta di Claude Debussy .Infine da ambedue le raccolte differiscono per una
maggiore complicazione ed ambiguità espressiva, rivelata ora nella osservazione
timbrica ora in quella formale ed armonica, che si avvicina talvolta all’ermetismo
musicale. Anche questa raccolta racchiude lampi poetici di geniali intuizioni.
Si è evocato in principio un legame spirituale tra Proust, Chopin e Fauré; ed
in effetti in un’arte di reminiscenze si può tentare un tale accostamento poetico.
Ove si prenda in considerazione il respiro melodico si possono sottolineare
appunto le frasi “…dal lungo collo sinuoso di Chopin, così libere, così flessibili,
così tattili, che s'iniziano cercando e provando il loro posto fuori e ben lungi dalla
direzione di partenza, ben lontano dal punto cui si credeva giungesse il loro tocco,
e che si librano in quella lontananza fantastica solo per tornare più
deliberatamente, in un ritorno più premeditato, con precisione più grande, come su
un cristallo che risuoni fino a strappare un grido, a colpirci nel profondo del
cuore…”5; frasi che si esprimono nella grazia sensuale degli arabeschi sonori dei
Notturni, o nell’irruenza appassionata dell’ultimo Preludio o ancora nella bellezza
sognante del secondo tema della sonata op.58, il quale pare fluire da se stesso ed
inseguire un innato climax.
In Fauré queste caratteristiche vengono distillate fino a divenire strutture
irregolari cantate in “frasi alla Fauré”, prolungate e mai dome se non portate allo
sfinimento, cosi come quelle di Proust “..lunghe, dal respiro interminabile ma
discreto, con subordinate che mettono a dura prova la nostra memoria, quella
musica di allitterazioni che supplisce alle nostre difficoltà di fronte alle
ramificazioni logiche…” come afferma la semiologa Julia Kristeva, la quale
sottolineando pure l’affinità con talune figure chopiniane aggiunge “…essa
comprende incastri indefiniti che ne rendono ambiguo il senso
…scrivere l'impressione di una presenza della sensazione, al di qua e al di là del
linguaggio, con gli strumenti stessi della sintassi: questo il progetto "involontario"
della frase proustiana, che produce "grammaticalmente" l'opera "stilistica" della

5
Marcel Proust: La strada di Swann

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metafora… La frase di Proust è una polifonia mentale, sonora e grafica al tempo
stesso”.
Come non notare una tale risonanza stilistica nelle estenuanti figurazioni dei
grandi Notturni faureani.
Dal primo decennio del Novecento in modo graduale ma definitivamente
costante Fauré rinuncia alle tessiture riccamente sonore o alle lusinghe dell’armonia
romantica, rievocate talvolta in forma nostalgica o per lo più parossistica lacerata e
stridente, in favore di una scrittura più severa, scarna ma non meno densa.
Ancor più commovente nella sua poesia solitaria e raccolta si leva allora il
nobile e malinconico canto dell’ultimo Preludio, cosi moderno ed antico allo stesso
tempo che pare ,ora volersi liberare, ora ripiegare in una decorosa e romita elegia.
Quasi contemporaneamente, con un simile afflato melodico ed una
evidente tensione armonica, Alban Berg, tormentato dalle fascinose malizie del
sistema tonale eppure orientato verso la ricerca di una sensibilità nuova e
maggiormente interiorizzata si affacciava sul futuro della musica..
Nella prossima immagine, lungi dal proporre una forzatura analitica vorrei ,
solo evocare una suggestione visiva, un ideale raffronto tra poetiche distanti ma
germogliate da ricerche ancora elettivamente affini, un sottolineare quei transitori
bagliori riflessi che sfaccettano la poesia sonora d’ogni tempo.

Gabriel Fauré : Preludio n 9 op 103 ( b. 22 –26)

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Fryderyk Chopin: Notturno op. 48 n. 2 (b. 67-72)

Alban Berg: Sonata op.1 (incipit e b. 38-40)

Quando Fauré scomparve si disse di lui che la vita non gli aveva dato ne
troppo ne troppo poco. Troppo poco invece gli ha dato finora la fortuna storica che
rende inaccessibili alcuni tesori della sua produzione condannati ad un oblio
incomprensibile , o forse ancora una volta ha ragione Marcel Proust quando
afferma: “I veri ingegni sono come le stelle. La loro luce mette tanto tempo a
giungere sino a noi che, quando finalmente la possiamo distinguere, l’astro è già
spento da tempo...”.

Cesare Marinacci

Deo Gratias A.D. MMIV

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Bibliografia:

• Jean-Michel Nectoux: Fauré. Solfeges Edition du Seuil. ;


• Alfred Cortot, La musica pianistica francese, Milano 1957 ;
• Lettres intimes. Edited By Philippe Fauré- Fremiet. Paris – La Colombe 1951 ;
• Vladimir Jankelevitch : Le Nocturne , Fauré , Chopin et la nuit satie et le matin.
Editions Albin Michel ;
• Vladimir Jankelevitch : Gabriel Fauré , ses melodies, son estetique ;
• Vladimir Jankelevitch : Debussy e il mistero. Il Mulino 1991 Bologna ;
• Gervais Francoise. “Etude comparee des languages harmoniques de Fauré et
Debussy”- Revue Musicale 1971 ;
• Mario Bortolotto : Dopo una Battaglia .Origini francesi del Novecento musicale –
1992 Adelphi.;
• Henry Collet Albeniz et Granados – “Amour de la musique” – editions le bon
plaisir librairie plon Paris- 1926;
• Jean-Michel Nectoux : Gabriel Fauré , a musical life . Translated by R. Nichols
1991 Cambridge University Press;
• Gudo Salvetti: La nascita del Novecento .Torino EDT;
• At the piano with Fauré / by Marguerite Long ; translated by Olive Senior-
Ellis.London : Kahn & Averill, 1980;
• Arnold Schonberg : Manuale di Armonia .Il saggiatore Milano ;
• Helen-Jourdan-Morhange: Ravel et nous. Editions Du Milieu du Monde Paris
1945 ;
• Cesare Marinacci, Caratteri e forme della musica pianistica di Gabriel Fauré.
Tesi di laurea - Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, a.a.,2000-2001 ;
• J.-M-Nectoux, Gabriel Fauré. Le voci del chiaroscuro. Traduzione italiana di Raoul
Meloncelli, Torino 2004.

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