“L’opera lirica è quella rappresentazione in cui il tenore cerca di portarsi a letto il soprano,
ma c’è sempre un baritono che glielo vuole impedire.” (George Bernard Shaw)
“L’opera lirica è un posto dove un uomo viene pugnalato e, invece di morire, canta.”
(Leopold Fechtner)
“Dicono dunque, anzi tengono per fermo i nostri pratici Contrapuntisti di avere espressi i
concetti dell’animo in quella maniera che conviene, e di avere imitato le parole, tutta volta
che nel mettere in musica un Sonetto, una Canzone, un Romanzo, un Madrigale o altro, nel
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quale trovando verso che dica per modo d’esempio Aspro core e selvaggio, e cruda voglia,
che è il primo d’uno de’ sonetti del Petrarca, averanno fatto tra le parti nel cantarlo di molte
settime, quarte, seconde e seste maggiori, e cagionato con questi mezzi negli orecchi degli
ascoltanti un suono rozzo, aspro e poco grato [...] Altra volta diranno imitar le parole quando
tra quei lor concetti ve ne siano alcune che dichino fuggire, o volare: le quali proferiranno
con velocità tale e con sì poca grazia, quanto basti ad alcuno immaginarsi. Et intorno a quelle
che averanno detto sparire, venir meno, morire o veramente spento, hanno fatto un istante
tacere le parti con violenza tale, che invece di indurre alcuno di quelli affetti, hanno mosso gli
uditori al riso, et altra volta a sdegno, tenendosi per ciò d’esser quasi che burlati. Quando poi
averanno detto solo, due, o insieme, hanno fatto cantare uno solo, due, e tutt’insieme con
galanteria inusitata. Hanno altri nel cantare questo particolar verso d’una delle sestine del
Petrarca Et col bue zoppo andrà cacciando Laura, proferitolo sotto le note a scosse, a onde, e
sincopando, non altramente che se eglino avessero avuto il singhiozzo; e facendo menzione il
concetto che egli hanno tra mano (come alle volte occorre) del romore del Tamburo, o del
suono delle Trombe, o d’altro strumento tale, hanno cercato di rappresentare all’udito col
canto loro il suono di esso, senza fare stima alcuna d’aver pronunziate tali parole in qual si
voglia maniera inusitata.”
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e su corde più liete il canto mio
tempro al nobile cor dolce diletto.
Mentre Senna real prepara intanto
alto diadema, onde il bel crin si fregi,
e i manti e seggi degl’antichi regi,
del tracio Orfeo date l’orecchia al canto.
LA MUSICA
Dal mio Permesso amato a voi ne vegno,
incliti Eroi, sangue gentil de’ Regi,
di cui narra la Fama eccelsi pregi,
né giunge al ver, perch’è tropp’alto il segno.
Io la Musica son, ch’ai dolci accenti
so far tranquillo ogni turbato core,
et hor di nobil ira, et hor d’Amore
poss’infiammar le più gelate menti.
Io su Cetera d’or cantando soglio,
mortal orecchio lusingar talora;
e in questa guisa à l’armonia sonora
de la lira del ciel più l’alme invoglio.
Quinci à dirvi d’Orfeo desio mi sprona,
d’Orfeo che trasse al suo cantar le fère,
e servo fé l’Inferno à sue preghiere,
gloria immortal di Pindo e d’Elicona.
Hor mentre i canti alterno, hor lieti, or mesti,
non si mova Augellin fra queste piante,
né s’oda in queste rive onda sonante,
et ogni auretta in suo camin s’arresti.
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📢 Giovanni Battista Pergolesi, Son imbrogliato io già da La serva padrona (1733)
- scritto nel 1733, l’intermezzo buffo di Pergolesi va in scena nel 1752 all’Académie
Royale de Musique scatenando una disputa, nota come la Querelle des bouffons, fra i
sostenitori dell’opera tradizionale francese, incarnata dallo stile di Jean-Baptiste Lully
e Jean-Philippe Rameau, e i sostenitori della nuova opera buffa, fra cui alcuni
enciclopedisti (in particolare Jean-Jacques Rousseau, anch’egli compositore),
portando ad una rapida evoluzione del gusto musicale
- Uberto ha al suo servizio la giovane e furba Serpina, prepotente e indisponente. Per
darle una lezione, le dice di voler prendere moglie; Serpina gli chiede di sposarla, ma
lui dapprima rifiuta. Per farlo ingelosire la serva gli dice di aver trovato marito, un
certo capitan Tempesta, che in realtà è Vespone, il servo muto, travestito da soldato.
Uberto rimasto solo si interroga e, pur se innamorato di Serpina, sa che i rigidi canoni
dell’epoca rendono impensabile il matrimonio tra un nobile e la propria serva.
📢 Christoph Willibald Gluck, Che farò senza Euridice da Orfeo ed Euridice (1762)
- rappresentata per la prima volta a Vienna il 5 ottobre 1762, aprendo la stagione della
cosiddetta “riforma gluckiana”, con la quale si voleva semplificare al massimo
l’azione drammatica, superando le astruse trame dell’opera seria italiana e i suoi
eccessi vocali, ripristinando quindi un rapporto più equilibrato tra parola e musica
- le grandi arie virtuosistiche con il da capo lasciano strada a pezzi di più breve durata
strettamente legati l’un l’altro a formare strutture musicali più ampie: i recitativi,
sempre accompagnati, si allargano naturalmente nelle arie, per le quali Calzabigi
introduce sia la forma strofica sia il rondò
Ranieri de’ Calzabigi, il librettista, nel 1784 scrive: “Arrivai a Vienna nel 1761, pieno di
queste idee. Il signor Gluck non era tenuto in conto (e a torto senza dubbio), fra i più grandi
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maestri… Gli feci la lettura del mio Orfeo e gliene declamai più pezzi a più riprese,
indicandogli le sfumature che mettevo nella mia declamazione, le sospensioni, la lentezza, la
rapidità, i suoni della voce ora caricata, ora affievolita e trascurata nel modo in cui se ne
facesse uso nella sua composizione. Lo pregai, nel frattempo, di bandire i passaggi, le
cadenze, i ritornelli e tutto ciò che si è messo di gotico, di barbaro, di stravagante nella nostra
musica. Il signor Gluck aderì ai miei punti di vista.” (Mercure de France)
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[N. 7 Duettino]
Andante
Archi, 1 Flauto, 2 Oboi, 2 Fagotti, 2 Corni in la.
DON GIOVANNI
Là ci darem la mano,
là mi dirai di sì.
Vedi, non è lontano:
partiam, ben mio, di qui.
ZERLINA
(Vorrei, e non vorrei...
mi trema un poco il cor...
Felice, è ver, sarei;
ma può burlarmi ancor.)
DON GIOVANNI
Vieni, mio bel diletto!
ZERLINA
(Mi fa pietà Masetto.)
DON GIOVANNI
Io cangerò tua sorte.
ZERLINA
(Presto non son più forte.)
ELVIRA
Nella testa ho un campanello
Che suonando fa din din.
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ISABELLA e ZULMA
La mia testa è un campanello
Che suonando fa din din.
LINDORO e HALY
Nella testa ho un gran martello
i percuote e fa tac tà.
TADDEO
Sono come una cornacchia
che spennata fa crà crà
MUSTAFÀ
Come scoppio di cannone
la mia testa fa bum bum
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Arpa d’or dei fatidici vati,
perché muta dal salice pendi?
Le memorie del petto riaccendi,
ci favella del tempo che fu!
O simile di solima ai fati,
traggi un suono di crudo lamento;
o t’ispiri il signore un concento
che ne infonda al patire virtù