Sei sulla pagina 1di 6

I

L 'analisi musicale in generale

A�alizzare una struttura musicale significa scinderla in elementi costitutivi


relativamente più semplici, e studiare le funzioni di questi elementi all'interno
della struttura data. La " struttura" a cui si riferisce tale processo può essere
di volta in volta un frammento di una composizione, una composizione com­
pleta, un gruppo o anche un repertorio di composizioni facenti capo alla tradi­
zione orale o a quella scritta. La distinzione tra analisi formale e analisi stilistica,
a cui spesso si ricorre, ha una funzione pratica ma, dal punto di vista teorico,
non ha ragione d'essere: da un lato perché ogni oggetto musicale, piccolo o grande
che sia, può essere riguardato come un dato stilistico; dall'altro lato perché tut­
ti i procedimenti comparativi che caratterizzano l'analisi stilistica scindono una
struttura nelle sue componenti, e quindi rientrano nell'attività analitica primaria.
Una definizione ancora più generale, ispirata all'uso quotidiano del termi­
ne, potrebbe essere questa: l'analisi musicale è quella disciplina che studia la
musica a partire dalla musica stessa e non da fattori extra-musicali.

l . Collocazione dell'analisi tra le discipline musicologiche

La locuzione "analisi musicale" , nella sua accezione più generica, si riferi­


sce a un gran numero di attività diverse. Alcune si escludono a vicenda, in quanto
corrispondono a vedute fondamentalmente divergenti sulla natura della musi­
ca, sul suo ruolo nella vita dell'uomo, nonché sul ruolo dell'intelletto umano
in relazione alla musica. Queste differenti prospettive rendono difficile defini­
re dall'interno il campo d'azione dell'analisi (di questa definizione ci occupere­
mo in seguito: nei capp. II e III, e nel paragrafo l del cap. IV) . Ma in qualche
modo è ancora più difficile precisare quale posto occupa l'analisi tra le discipli­
ne musicologiche: si pensi a come, dietro ogni aspetto della pratica analitica,
2 Analisi musicale

ci sia il fondamentale punto di contatto fra la mente umana e la materia sono­


ra, ,ossia la percezione musicale.
E possibile affermare che le competenze dell' analisi nel suo complesso han­
no molte affinità con quelle dell'estetica musicale, da un lato, e della tecnica
della composizione, dall'altro. Questi tre settori disciplinari potrebbero essere
considerati come insediamenti territoriali dislocati lungo un asse, a un'estremi­
tà del quale sia la collocazione della musica all'interno di schemi filosofici, e
all'altra estremità la trasmissione di conoscenze tecniche sull'arte del comporre.
L'analista ha qualcosa in comune con l'estetologo perché in parte s'interessa
anch'egli alla natura dell'opera musicale: a ciò che è, o racchiude, o significa;
a come è stata creata; ai suoi effetti e alle sue implicazioni; alla sua importanza
o al suo valore per chi la fruisce. Ciò che distingue le loro attività è il punto
di gravitazione rispettivo. L'analista fissa la sua attenzione su una struttura mu­
sicale (che può essere rappresentata da un accordo, da una frase musicale, da
una composizione intera, dalla produzione complessiva di un compositore o di
una corte ecc.), mirando a definirne gli elementi costitutivi e a spiegare come
funzionano. Invece l'estetologo si concentra sulla natura intrinseca della musi­
ca e sul posto che le spetta fra le arti, oppure nella vita e nella realtà empirica.
Non c'è dubbio che i due si scambino informazioni reciproche. L'analista rac­
coglie una quantità di materiali che l'estetologo può citare come prove al mo­
mento di tirare le sue conclusioni, e la definizione analitica del "particolare"
funge costantemente da monitor per la definizione estetica dell' "universale" .
Reciprocamente, le vedute dell'estetologo si trasformano per l'analista in pro­
blemi da risolvere, ne condizionano il modo di pensare e di procedere, e da
ultimo gli forniscono i mezzi per esplicitare le sue ipotesi di lavoro. Le rispetti­
ve attività possono sovrapporsi al punto che, spesso, essi si trovano a compiere
operazioni consimili. Ma ciò non toglie che fra loro sussistano due differenze
essenziali. Primo: l'analisi ambisce tendenzialmente allo status di scienza natu­
rale, mentre l'estetica è una disciplina filosofica; ciò produce un rapporto a senso
unico, per cui l'analisi risponde con prove di fatto alle domande empiriche del­
l'estetologo (la misura dei progressi scientifici che essa ha compiuto finora sta
nella sua capacità di assolvere efficacemente a questo compito) . Secondo: l'in­
teresse ultimo dell'analista va alla collocazione di una struttura musicale rispet­
to alla totalità delle strutture musicali, mentre all'estetica interessa
fondamentalmente la collocazione delle strutture musicali all'interno di una vi­
sione sistematica della realtà empirica.
Lo stesso può dirsi dei rapporti fra l'analista e il teorico della tecnica com­
positiva (la Satztechnik o Kompositionslehre dei tedeschi), che sono entrambi
interessati alle leggi della costruzione di un pezzo. È consuetudine diffusa ne­
gare che fra essi sussistano differenze di qualsiasi tipo e sostenere che l'analisi
è una sottocategoria della teoria musicale. Ma si tratta di un modo di vedere
indotto da determinate condizioni sociali e culturali. In realtà, contributi ana­
litici importanti si devono a didatti della composizione non meno che a esecu­
tori, insegnanti di strumento, critici musicali e storici della musica. E se è vero
L 'analisi musicale in generale 3

che l'analisi può fungere da strumento didattico (sebbene l'ascoltatore o l'ese­


cutore possano trame vantaggio almeno quanto il compositore) , è anche vero
che essa può essere un' attività conclusa in se stessa: un modo per procedere
a delle scoperte. Pertanto essa è tanto poco inerente alla pedagogia della musi­
ca quanto lo è l'analisi chimica. Né è scontato che rientri nell' apprendistato
tecnico della composizione. Al contrario, sono le formulazioni dei teorici a po­
ter fornire il materiale di base per il lavoro dell'analista, giacché gli indicano
i criteri per esaminare la musica che esse illustrano.
Più significativa è la possibilità di applicare procedimenti analitici tanto a
stili di esecuzione e d'interpretazione quanto a stili compositivi. Tuttavia il punto
in cui finisce la composizione e comincia l'interpretazione è raramente indivi­
duabile con esattezza. Certo, la maggioranza delle analisi che conosciamo ha
come oggetto partiture che vengono implicitamente considerate come la for­
mulazione definitiva delle idee musicali dei rispettivi autori. Ma le musiche me­
dievali, rinascimentali e barocche hanno un tipo di notazione che fissa quelle
idee solo approssimativamente. E ciò è anche più vero per chi analizza un ma­
teriale etnomusicologico registrato su nastro. In tal caso, infatti, la partitura
è solo una soluzione di ripiego che non distingue affatto il compositore dall'e­
secutore: essa fornisce informazioni approssimative sul materiale registrato, ma
perlopiù questo va analizzato a orecchio, o con l' aiuto di apparecchiature elet­
troniche di misurazione. Peraltro è possibile applicare tecniche analitiche a ma­
teriali appresi uditivamente in qualsiasi cultura abbia sviluppato una tradizione
esecutiva.
Sintetizzando: l'analisi è interessata a strutture musicali comunque prodot­
te e fissate, e non soltanto alla composizione musicale vera e propria. Inoltre,
all'interno dei problemi comuni tanto all'analisi quanto alla teoria della com­
posizione, la prima tende per definizione a risolvere ed esplicitare (sicché il pro­
cedimento inverso - la sintesi - rappresenta solo un tipo di verifica), mentre
l'altra si interessa direttamente alla produzione della musica, sicché le tecniche
analitiche sono soltanto strumenti d'indagine. Una volta di più, i campi d'inte­
resse possono sovrapporsi, ma permangono differenze essenziali circa la pro­
blematica, le finalità, i metodi.

La relazione fra analisi musicale e storia della musica è qualcosa di abba­


stanza diverso. Allo storico l'analisi può apparire come un mezzo di ricerca sto­
riografica; egli se ne serve per indagare le correlazioni fra più stili, e dunque
per stabilire concatenazioni di cause ed effetti che agiscono nel tempo e vengo­
no definite cronologicamente grazie a dati di fatto verificabili. Per esempio,
egli può osservare i tratti che accomunano gli stili di due compositori (o di due
gruppi di composito"ri) e operare dall'interno o dall'esterno - con metodi ana­
litici, o documentari - in modo da stabilire se quelle affinità derivano dall'in­
flusso di un compositore sull'altro. Oppure può procedere nell'altro senso, e
cercare tratti stilistici comuni a partire dai collegamenti fattuali che gli sono
noti. Reciprocamente, può scoprire ciò che diversifica pezzi che, per una ragia-
4 Analisi musicale

ne o per l'altra, sono normalmente considerati in rapporto reciproco, e riferir­


li, mediante l'analisi comparativa, a categorie e tradizioni separate. E ancora:
egli può ricorrere a una classificazione analitica di caratteristiche musicali co­
me strumento per determinare la cronologia di eventi esteriori.
A sua volta, l'analista può considerare i metodi storici come strumento d'in­
dagine analitica. Gli oggetti della sua ricerca sono come sezioni trasversali del­
la storia: mentre l'analisi è in corso, si situano fuori del tempo, diventano
" sincronici" , inglobano relazioni interne che l' analista si adopera a scoprire.
Tuttavia l'informazione documentaria, che registra fatti inseriti nel flusso del
tempo, può determinare la forma più attendibile tra diverse strutture possibili,
o spiegare in termini causali la presenza di elementi che analiticamente sareb­
bero incongrui. La condizione necessaria perché l' analisi comparata di due o
più fenomeni distinti (non importa se cronologicamente, geograficamente, so­
cialmente o ideologicamente) attivi effettivamente la dimensione del tempo,
e divenga pertanto "diacronica" , è che l'informazione storica relativa ai feno­
meni in questione entri in rapporto con le risultanze analitiche. In tal caso l'in­
formazione storica e quella analitica sono interconnesse in un rapporto di
reciprocità, basato sul fatto che hanno in comune tutto quello che riguarda l'og­
getto di studio ma operano con metodi perfettamente complementari.

Un'altra affinità di cui occorre dar conto è quella fra l'analista e il critico
musicale, dato che l'esercizio critico è strettamente congiunto da un lato all'e­
stetica, e dall' altro all'analisi. I critici stessi hanno incessantemente dibattuto
sulla natura - descrittiva o valutativa - del proprio lavoro. Le operazioni che
il critico "descrittivo" tende a compiere, ora separatamente ora contempora­
neamente, sono due: verbalizzare le proprie reazioni interiori di fronte a una
composizione o a un'esecuzione musicale - illustrando la propria risposta emo­
tiva nei loro confronti - oppure immedesimarsi nel compositore o nell'inter­
prete per riferire cosa gli sembra delle loro intenzioni. Il critico "valutativo"
giudica quello che esperisce in base a determinati parametri di giudizio. Questi
possono consistere in prescrizioni dogmatiche intorno al "bello", al "vero",
al gusto artistico: in valori aprioristici che consentono di valutare qualsiasi espe­
rienza musicale. Ma, all'opposto, possono anche consistere in valori che ven­
gono a precisarsi nel corso di ciascuna esperienza, in base al presupposto che
un compositore o un interprete, qualsiasi cosa si proponga di fare, deve realiz­
zarla nella maniera più chiara ed efficace. Quest'ultima tendenza rinvia al mo­
do in cui opera oggi gran parte dei critici musicali. Da ciò che esperiscono, essi
tendono a desumere la concezione artistica retrostante e a valutare l'efficacia
della sua realizzazione, senza però trascurare quanto tale concezione sa corri­
spondere a ciò che l'ha inizialmente sollecitata: l'occasione, nel caso di un lavo­
ro su commissione; lo spunto drammatico, nel caso di un pezzo teatrale; la
composizione stessa, così come ci viene consegnata dall'autore, nel caso di un'e­
secuzione musicale.
In nessuno dei casi precedenti l'esercizio critico si differenzia in maniera
L 'analisi musicale in generale 5

definitiva dall'analisi musicale. Il che spiega come anche tra gli analisti covi
il dibattito sulla natura descrittiva o valutativa della propria disciplina. Ma forse
si tratta di una differenza di grado. L'analisi è in genere più interessata a de­
scrivere che a giudicare; il punto d'arrivo di molte analisi è quello a cui pervie­
ne il critico "valutativo" , allorquando ritiene d'aver colto in maniera soddi­
sfacente la concezione artistica di un'opera e sta per formulare il proprio giudi­
zio. In questo senso l'analisi va meno lontano della critica, e ciò accade essen­
zialmente perché l'analisi aspira a essere oggettiva e considera il giudizio un
fatto soggettivo. A sua volta, però, tale considerazione rinvia all ' altra differen­
za fra analisi e critica musicale. Quest'ultima dà risalto alla reazione intuitiva
del critico, si affida alla vastità delle esperienze da lui accumulate, utilizza la
sua capacità di correlare reazioni attuali ed esperienze passate, considerando
questi due fattori alla stregua di dati concreti e di principi metodologici. Inve­
ce l'analisi tende ad assumere come dati elementi ben definiti: unità fraseologi­
che, agglomerati accordali, livelli dinamici, indicazioni di battuta, colpi d'arco
e di lingua, e altri particolari tecnici. Tuttavia si tratta ancora una volta di una
semplice differenza di grado. Se la reazione di un critico è spesso estremamen­
te competente e sorretta da cognizioni tecniche, gli elementi tangibili con cui
opera l'analista (incisi, motivi ecc.) sono spesso individuati in maniera sogget­
tiva. Sarebbe dunque troppo schematico concludere che l'analisi si basa su ope­
razioni tecniche e la critica su reazioni umane.
Infine va ricordato come la parola (seppure integrata da esempi musicali e
illustrazioni) sia lo strumento per eccellenza della critica musicale, mentre l'a­
nalisi può valersi, in sua vece, di schemi grafici, partiture annotate o, addirit­
tura, esemplificazioni sonore.

2 . Natura dell'analisi musicale

Ciò che porta ad analizzare è fondamentalmente un impulso pragmatico: ve­


nire a capo di qualcosa nei termini suoi propri, anziché nei termini di qualco­
s'altro. Il punto di partenza, dunque, è il fenomeno in sé, senza alcuna necessità
di rifarsi a fattori esterni quali circostanze biografiche, eventi politici, condi­
zioni sociali, sistemi pedagogici, e quanti altri fattori possono contornare il fe­
nomeno in esame. Come tutte le arti, tuttavia, anche la musica presenta un
problema che inerisce alla natura della materia di cui è costituita. Essa non è
tangibile o misurabile com'è un liquido o un solido per chi compie un'analisi
chimica. Occorre quindi stabilire se l'oggetto dell'analisi musicale è la partitu­
ra come tale (o almeno l'immagine sonora che essa prospetta) , oppure l'imma­
gine sonora cui pensava l'autore nel comporla, o l'esperienza uditiva della sua
esecuzione. Teoricamente tutte queste cose sono suscettibili di essere analizza­
te. Ma gli analisti non concordano su quale rappresenti il punto di partenza
più corretto. Vanno d'accordo solo sul fatto che la partitura - quando c'è­
rappresenta un punto di riferimento da cui procedere per cogliere l'una o l'al-
6 Analisi musicale

tra di tali immagini sonore, un "livello neutro" (per dirla con i semiologi) che
collega attività creativa ed esperienza estetica.
L'analisi dà la possibilità di rispondere direttamente aJla domanda: « Come
funziona? ». Suo procedimento basilare è la comparazione. E tramite il confronto
che essa definisce gli elementi strutturali e ne scopre le funzioni; e il confronto
è comune a ogni metodo, sia esso morfologico o statistico, funzionale o infor­
mazionale, schenkeriano, semiologico, stilistico ecc . : tutti comparano unità con
unità, tanto all'interno di una singola opera quanto tra due opere diverse, op­
pure tra un'opera e un modello astratto come la forma-sonata o uno stile stori­
camente determinato. Centro dell'esperienza analitica è pertanto la verifica
dell'identità. E ciò dà luogo alla quantificazione delle differenze o alla gradua­
zione delle somiglianze, cioè alle due operazioni che servono a evidenziare i
tre procedimenti costruttivi fondamentali della ricorrenza, del contrasto e del­
la variazione.
Questa è però un'immagine del tutto astratta dell'analisi musicale come at­
tività imparziale e oggettiva, capace di rispondere: « Funziona in questo mo­
do», anziché: « Funziona bene » o: « Funziona male ». Nella realtà l'analista opera
con gli schemi mentali propri della sua cultura, della sua generazione, della sua
personalità. Così l'interesse preminente dell'Ottocento per la natura del genio
ha portato a riformulare la domanda: << Come funziona? » come: « Cosa lo rende
grande?». E questa è rimasta la domanda che certe tendenze analitiche, anche
a Novecento inoltrato, hanno continuato a mantenere come punto di partenza.
Per tendenze siffatte il metodo "scientifico" della comparazione prevaleva, sì,
sul momento della valutazione, ma nella convinzione che solo l:.Opera del genio
avesse il dono della coerenza strutturale. Di conseguenza, il confronto di un'o­
pera con un modello strutturale o procedurale idealizzato diventò il metro per
valutarne la grandezza.
Questo è solo uno dei molti esempi possibili. La storia dell'analisi musicale
che stiamo per tracciare è inevitabilmente la storia dell'applicazione al mate­
riale musicale di concetti teorici maturati in epoche successive: i fondamenti
della retorica, le nozioni di organismo e di evoluzione, la psicologia del profon­
do, il monismo, la teoria delle probabilità, lo strutturalismo linguistico e via
dicendo. Così come non esiste l'oggettività assoluta (preclusa, in fondo, dalla
presenza stessa di un osservatore, scienziato o analista che sia) , non esistono
neppure un metodo o un atteggiamento mentale atti a cogliere la verità della
musica meglio di altri. Ciò però non ha impedito a ciascuna epoca di ritenere
di avere individuato il metodo analitico per antonomasia.

Potrebbero piacerti anche