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Domenico Giannetta

Corso di Analisi dei repertori (Biennio)

Dispensa n. 1: Introduzione all’analisi musicale

§1. Definizioni

«Analizzare una struttura musicale significa scinderla in elementi costitutivi relativamente più
semplici, e studiare le funzioni di questi elementi all’interno della struttura data.»
(Ian Bent)

«L’analisi musicale è quella disciplina che studia la musica a partire dalla musica stessa e non da
fattori extra-musicali.»
(voce «Analysis» dal New Grove Dictionary of Music and Musicians, 1980, a cura di Ian Bent)

«Nel momento in cui si analizza un brano musicale, in pratica lo si ricrea per se stessi; si arriva alla
fine con il medesimo senso di possesso che il compositore prova per l’opera che ha scritto […] si ha
la netta percezione di comunicare direttamente con i maestri del passato, e questa è una delle più
eccitanti esperienze che la musica possa offrire.»
(Nicholas Cook)

§2. L’analisi musicale inquadrata nell’ambito delle discipline musicologiche

STORIA DELLA MUSICA

ANALISI MUSICALE

TEORIA DIDATTICA DELLA


MUSICALE COMPOSIZIONE

Analisi musicale vs Teoria musicale: l’acquisizione di conoscenze di tipo teorico rappresenta un


requisito indispensabile per intraprendere qualsiasi indagine di tipo analitico;

Analisi musicale vs Storia della musica: allo storico l’analisi serve per stabilire le caratteristiche di
uno stile, o le correlazioni fra stili diversi, mentre l’analista può considerare i metodi storici come
strumenti di indagine analitica;

Analisi musicale vs Didattica della composizione: il fine ultimo di entrambe le discipline è la


costruzione del pezzo; l’analisi è però interessata a strutture musicali definite e fissate che devono
essere esplicitate, mentre la composizione si interessa direttamente della produzione della musica,
sicché le tecniche analitiche sono soltanto strumenti di indagine.
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In definitiva l’analisi è più interessata a descrivere che a giudicare, in quanto aspira ad essere
oggettiva e considera pertanto il giudizio un fatto soggettivo.
L’analisi musicale risponde ad un impulso fondamentalmente pragmatico: il punto di partenza è
quindi il fenomeno in sé, senza alcuna necessità di rifarsi a fattori esterni quali circostanze
biografiche, condizioni sociali, eventi politici o sistemi pedagogici.
Anche se l’esperienza uditiva dell’esecuzione musicale riveste la sua importanza, la partitura
rappresenta comunque il punto di riferimento da cui partire, in quanto rappresenta un «livello
neutro» che collega l’attività creativa all’esperienza estetica.
L’analisi consente di stabilire come funziona un pezzo soprattutto tramite la comparazione, principio
comune a tutte le metodologie analitiche: la comparazione avviene tra unità presenti all’interno di
una singola opera, oppure in due o più opere diverse, o ancora tra un’opera e un modello astratto
come la forma-sonata.
Occorre però tenere bene a mente una cosa: la percezione dell’analista e quella dell’ascoltatore
differiscono, e ciò rappresenta uno dei fattori chiave di cui occorre tener conto quando si parla di
analisi musicale.

§3. Le origini dell’analisi musicale: la teoria armonica di Rameau

Anche se l’analisi musicale si afferma come disciplina a sé stante solo nel tardo Ottocento, le prime
tracce della mentalità e della metodologia che le sono proprie risalgono alla metà del Settecento.

Il teorico più prestigioso del Settecento è stato Jean-Philippe Rameau (1683-1764), il quale, pur non
essendo interessato all’analisi morfologica, ha sviluppato una teoria dell’armonia ricca di
implicazioni per gli analisti a venire, asserendo il primato dell’armonia sulla melodia ed elaborando
i principi su cui si basa il sistema tonale.

Tra essi spiccano soprattutto i concetti di:


1) tonique, dominante e sousdominante;
2) ottava intesa come «replica» di un suono;
3) rivolto di un accordo e suono fondamentale;
4) suono fondamentale «sottinteso»;
5) basso fondamentale.

Una teoria del genere offriva molti strumenti all’analisi musicale:


1) spiegava le strutture accordali utili per realizzare un’analisi armonica;
2) concepiva la tonalità come un’entità altamente centralizzata;
3) assicurava ai metodi analitici una verificabilità scientifica mediante il primato acustico
riconosciuto alla triade maggiore.

Jérôme-Joseph de Momigny (1762-1842)


Cours complet d’harmonie et de composition (1803-06)
Teoria della tonalità espansa: una tonalità non si limiterebbe alle sette note della scala diatonica
corrispondente, ma ne avrebbe addirittura ventisette, per cui sono da considerarsi come modulazioni
vere e proprie solo quelle che effettivamente portano al di fuori di questo spazio tonale allargato.
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Gottfried Weber (1779-1839)


Versuch einer geordneten Theorie der Tonsetzkunst [Saggio di una teoria razionale dell’arte del
comporre] (1817-21)
Impiega lettere gotiche maiuscole e minuscole (poi sostituite da numeri romani) per indicare le
diverse triadi maggiori e minori, mentre le triadi diminuite e le settime sono indicate aggiungendo
rispettivamente un cerchietto e il numero 7: questo sistema venne rapidamente imitato da altri
studiosi, e divenne la modalità standard per indicare gli accordi nei principali scritti di teoria musicale
del XIX e XX secolo.

Simboli usati da Weber per indicare le triadi e le settime su tutti


i gradi della scala maggiore e della scala minore:

Gottfried Weber, Versuch einer geordneten Theorie der Tonsetzkunst (1817-21), II, p. 45

Simon Sechter (1788-1867)


Die Grunsätze der musikalischen Komposition [I principi della composizione musicale] (1853-54)
Le composizioni esaminate vengono interpretate contemporaneamente come se fossero situate in due
o più tonalità differenti: questo pensiero influenzò molto Schoenberg (dominanti secondarie e teoria
della monotonalità), e permise inoltre agli studiosi di comprendere meglio il linguaggio densamente
cromatico di Wagner.
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Applicazione dei principi esposti da Sechter per l’analisi della musica di Wagner

C. Mayrberger, Die Harmonik Richard Wagner’s, IV (1881), p. 176

§4. Struttura fraseologica e modelli formali

Il primo nucleo della morfologia musicale si sviluppa nel tardo Settecento, quando l’attenzione
cominciò a focalizzarsi sulla forma esteriore dell’oggetto di contemplazione anziché sul suo
contenuto.
Il primo riscontro pratico di questo nuovo modo di pensare non si concretizza però nel campo
dell’analisi o della critica musicale, come ci si sarebbe forse potuti aspettare, ma nella didattica della
composizione.

Heinrich Christoph Koch (1749-1816)


Versuch einter Anleitung zur Composition [Saggio d’introduzione al comporre] (1782-1793)
Viene illustrata per la prima volta la struttura fraseologica della melodia tramite i seguenti concetti:
- vollkommene Einschnitte (unità della grandezza di 2 battute)
- Sätze (frasi di 4 battute)
- Perioden (periodi di 8 battute)

Koch introduce inoltre il concetto di Verlängerungsmittel (procedimento dilatatorio) che si


concretizza nelle tipologie dell’espansione, dell’interpolazione e della compressione/elisione.
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Analisi della struttura fraseologica che mette in evidenza un caso di compressione/elisione

Heinrich Christoph Koch, Versuch einter Anleitung zur Composition (1782-1793), II, pp. 454-455

Le idee di Koch vennero riprese e sviluppate trent’anni più tardi dal compositore e teorico céco
Antonin Reicha (1770-1836), docente presso il Conservatorio di Parigi dal 1808 alla morte.

Nel suo Traité de mélodie (1814) vengono adoperati i termini:


- dessin (inciso);
- rythme (frase);
- période (periodo);
- coupe (pezzo formato da due o più périodes).

Una petite coupe binaire o ternaire sarà quindi formata rispettivamente da due o tre périodes, mentre
una grande coupe binaire o ternaire sarà prodotta da varie périodes raggruppate in due o tre parti.

L’aspetto più sensazionale del Traité de mélodie di Reicha sta nel fatto che i suoi numerosi esempi
musicali – tutti sottoposti a segmentazione e corredati da apposito commentario – citano altrettante
composizioni autentiche: ciò rappresenta di per sé una significativa virata da un’ottica compositiva a
un’ottica analitica.
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Analisi del Quartetto per archi ‘La caccia’ K458/IV di W.A. Mozart
segmentazione della melodia del tema principale

Antonin Reicha, Traité de mélodie (1814), p. 46

Antonin Reicha
Traité de haute composition musicale (1824-26)
La sezione riservata alle grandes coupes binarie e ternarie è corredata da diagrammi strutturali come
quello dedicato alla grande coupe binaire, che corrisponde di fatto alla forma-sonata, dove le sezioni
tematiche sono evidenziate tramite legature tratteggiate e i due temi vengono definiti première et
seconde idée mère.
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Grande coupe binaire con première et seconde idée mère


(prima schematizzazione della forma-sonata: i segni di interpunzione segmentano la struttura complessiva)

Antonin Reicha, Traité de haute composition musicale (1824-1826), II, p. 300

§5. Diverse concezioni della forma

Carl Czerny (1791-1857)


School of practical composition (1849)
Una composizione deve necessariamente appartenere ad un genere già esistente: l’originalità si
esprimeva quindi in altri modi.

Adolf Bernhard Marx (1785-1866)


Die Lehre von der musikalischen Komposition [La teoria della composizione musicale] (1837-47)
È la composizione stessa a determinare la sua forma: i modelli formali fungono quindi solo da guida
per il compositore, che dovrà però distaccarsi progressivamente da essi.

Marx è il primo ad adoperare l’espressione Sonaten-form ma indica con essa solo un modello di
riferimento, aggiungendovi poi tanti modi per aggirarlo.
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Con gli scritti del teorico inglese Ebenezer Prout (1835-1909), autore di Musical form (1893) e di
Applied forms (1895), e successivamente con quelli dello studioso tedesco Hugo Leichtentritt (1874-
1951), autore di Musikalische Formenlehre [Teoria della forma musicale] (1911), la teoria della
forma cessò di essere un’esercitazione didascalica per studenti di composizione e divenne una branca
dell’analisi musicale intesa come disciplina autonoma, entrando così nel novero delle specializzazioni
musicologiche.

§6. Approccio empirico

Lo storico inglese George Grove (1820-1900) propone un’analisi delle sinfonie di Beethoven (1896)
dove la composizione viene descritta basandosi sui dati emersi direttamente dalla sua esperienza di
ascolto: nei suoi scritti è come se l’ascoltatore venisse preso per mano e accompagnato ad esplorare
i vari momenti dell’opera.

A questa impostazione si ispira Donald Francis Tovey (1875-1940), personaggio decisamente ostile
alle speculazioni astratte e a ogni teoria sistematica della musica. La concezione analitica di Tovey
non era rivolta a professionisti della musica, ma ad ascoltatori non professionisti, privi di specifiche
competenze tecniche, dotati però di sensibilità musicale.
Tovey ha polemizzato contro tutti i dogmatismi della sua epoca, scagliandosi in particolare contro:
- i teorici dell’armonia che davano troppo peso all’importanza strutturale dei fenomeni
armonici (Schenker su tutti);
- coloro che davano grande peso alla logica tematica (Schoenberg), sostenendo al contrario che
i temi non siano affatto importanti rispetto alla costruzione formale;
- gli esponenti della Formenlehre tardo-ottocentesca, ritenendo che le forme «non erano calchi
da riempire di musica», stabilendo quindi che non fosse possibile scindere la forma dal
contenuto.

Le sue analisi, effettuate bar-to-bar (battuta per battuta), mettono in evidenza la struttura fraseologica,
mentre concetti peculiari della forma-sonata come primo tema o secondo tema vengono sostituiti con
termini più neutri come primo gruppo tematico o secondo gruppo tematico.
Abbondano poi le immagini metaforiche: un movimento può quindi essere «misterioso» o
«notturno», mentre un episodio può «crollare improvvisamente», oppure «estinguersi».
Un’altra tecnica consiste nel «personalizzare» l’orchestra («il flauto presenta un tema grottesco»), o
nell’accompagnare l’ascoltatore come la guida di un museo («ci troviamo al centro di una ripresa
assolutamente regolare»).

Le analisi «empirico-descrittive» di Tovey hanno trovato un acceso avversario in Hans Keller (1919-
1985), il quale riteneva che nessuna descrizione potesse sostituire una vera analisi, anche perché
un’analisi empirica rischia fatalmente di risultare troppo soggettiva.

Con le sue idee, Tovey ha esercitato un enorme influsso sulla tradizione analitica e critica del suo
paese: la sua impostazione ha però conosciuto un riscontro che andasse anche al di fuori
dell’Inghilterra solo a partire dagli anni Settanta, soprattutto grazie ai lavori di Charles Rosen (1927-
2012).
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Nei suoi libri, Lo stile classico (1971) e Le forme sonata (1980), Rosen sostiene che la questione della
forma fosse estremamente importante per gli autori classici, e la sua trattazione si basa proprio sul
tentativo di spiegare l’apparente diversità delle varie forme.
La sonata va quindi considerata non più come un modello formale fisso, ma piuttosto come uno
«stile», un insieme coerente di metodi per mettere in evidenza i contorni di un certo ambito musicale
in maniera sistematica.
L’obiettivo dei classici era quello di ottenere una forte coerenza strutturale: la forma-sonata è quindi
una sorta di «dramma» (piuttosto che una schematizzazione di temi o di tonalità) che si instaura fra
una tonalità principale (strutturalmente «consonante») e tutte le altre («dissonanti»). Una sezione
basata su una tonalità diversa dalla tonica sarà «dissonante», e richiederà pertanto una «risoluzione
formale»: è questo, in definitiva, il principio da considerare come fattore comune a tutte le forme
classiche, l’innovazione più radicale e basilare dello «stile-sonata».

Riferimenti bibliografici:
Ian Bent – William Drabkin, Analisi Musicale, EDT, Torino 1990
Nicholas Cook, Guida all’analisi musicale, Guerini, Milano 1991

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