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Andrea Chegai

F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

FORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO.


CONVERGENZE E FINALITÀ DRAMMATICHE

1. Le ottocentesche teorie della forma, e della forma sonata in


particolare, rappresentano per chi si occupa di musica settecente-
sca un difficile quesito in termini di efficienza e di opportunità.
L’utilità pratica di punti di riferimento stabili e didatticamente
fecondi è fuor di dubbio; ma che nell’adattare quegli schemi ad
un’epoca antecedente sussistano difficoltà metodologiche, prim’an-
cora che terminologiche, è pure evidente (ha senso limitare il
nostro sguardo ai generi e alle forme filtrate dai teorici ottocente-
schi come esemplari di quell’impianto che andavano a descrivere?
è lecito formalizzare a ritroso le loro categorie? è utile postulare,
per il Settecento, un rapporto privilegiato fra forma sonata e
produzione strumentale, e considerare una sorta di contaminazio-
ne o di travaso l’impiego dello stesso impianto al di fuori di
quella, o viceversa ridurre la forma sonata ad indistinto e genera-
lissimo elemento di stile?). Ciononostante, nell’inquadramento
delle forme settecentesche prevale a tutt’oggi un’attitudine teleo-
logica, orientata a considerare come un conseguimento parziale
ciò che all’impianto manualistico ottocentesco ancora non si atta-
glia, e a cogliere nei generi strumentali una logica compositiva che
parrebbe invece meno sostanziale nelle forme vocali, generate,
secondo il senso comune, dalla struttura del testo e dalle esigenze
drammatiche.
La questione è di grande portata e travalica i limiti di questo
contributo; ma ai nostri fini preme un aspetto particolare, dalle
pretese più contenute. Le analisi di Antoine Reicha, Carl Czerny
o Adolph Bernhard Marx 1, esemplate essenzialmente sulla produ-
zione della Wiener Klassik (e forti della tradizione letteraria e
filosofica germanica: Goethe, Schiller e Hegel 2) furono il prodot-

1
Rispettivamente Traité de mélodie, 1814, e Traité de haute composition
musicale, 1824-26; School of Practical Composition, 3 voll., 1848 (ed. an. London,
Cocks & Co., 1979); Die Lehre von der musikalischen Komposition, praktisch-
theoretisch, 4 voll., 1837, 1838, 1845, 1847.
2
Cfr. G. Borio, La concezione dialettica della forma musicale da Adolf Bern-
hard Marx a Erwin Ratz. Abbozzo di un decorso storico, in Pensieri per un maestro.

«Musica e Storia», XVI/3 (2008) 681


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to di un’epoca concettualmente ben lontana dalle forme settecen-


tesche e a maggior ragione dalle forme dell’opera italiana, supera-
te a beneficio del molteplice ma più autoreferenziale strumenti-
smo romantico in un caso, nell’altro del melodramma ottocente-
sco con le sue diverse tradizioni e le proprie strutture, dotate
ormai di piena autonomia dalle forme strumentali. Forte della
propria collocazione storica, quell’orientamento di studi determi-
nò di fatto una marcata bipolarità nell’accostamento critico ai due
generi, quello strumentale e quello vocale, introducendo un im-
pianto analitico ritagliato essenzialmente sul primo di essi. La sua
estensione a ritroso è praticabile solo a prezzo di forti semplifica-
zioni e avallando la medesima separazione storico-analitica fra
generi; separazione che il Settecento non avvertì in egual misura.
Per prendere cognizione dello scarto estetico e culturale che si
verifica fra i commentatori dei due secoli è sufficiente scorrere
comparativamente alcune delle più fortunate pagine di Francesco
Galeazzi (Elementi teorico-pratici di musica, 1791-96). Il violinista
e compositore torinese, che si rivolge ai colleghi italiani, delinea
un orizzonte formale e stilistico flessibile: le sue osservazioni sul
trattamento del Motivo (per lui il primo tema di ciò ch’è per noi
forma sonata) allineano «Arie», «pezzi di Musica Teatrale, o Ec-
clesiastica» a «Sinfonie, Trii, Quartetti, Concerti ec.» 3; l’«Unità
delle idee» che deve scaturire da una buona «condotta» attiene

Studi in onore di Pierluigi Petrobelli, a cura di S. La Via e R. Parker, Torino, E DT ,


2002, pp. 361-386.
3
F. Galeazzi, Elementi teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di
suonare il violino, Roma, Puccinelli, 1796, II, p. 253 (una trascrizione parziale del
passo qui discusso in B. Churgin, Francesco Galeazzi’s Description (1796) of
Sonata Form, in «Journal of the American Musicological Society», XXI, 1968, pp.
181-199: 189-197). Le affinità fra vocale e strumentale, nello spirito di una analo-
ga conduzione retorica generatrice di forma, costituiscono peraltro un tema criti-
co di derivazione oraziana tutt’altro che originale già al tempo: «Alla Rettorica
della musica apparterrebbe l’insegnare a’ giovani che ogni sinfonia, ogni aria,
ogni componimento consti delle sue parti: che vi ha da essere il proemio, e questo
ordinariamente nelle sinfonie è generale, e si riduce a un certo arpeggio; ma che
Cafaro, Jommelli, Piccinni, ed altri valenti maestri han saputo trarlo talora ex
visceribus causa: che sussiegue la proposizione, e divisione de’ punti, o sia de’
motivi principali, che poi si dilateranno nel corso della sinfonia: che questa
dilatazione de’ motivi forma la narrazione: che indi ne viene una specie d’argo-
mentazione, o sien conseguenze, che si deducono da quella narrazione, cioè i
passaggi da un tuono all’altro, le proposte e le risposte, e un certo contrasto fra gli
strumenti, che poi riunendosi formano l’epilogo di tutto il componimento»: S.
Mattei, La filosofia della musica o sia la musica de’ salmi dissertazione, in Delle
Opere di Saverio Mattei, Napoli, Porcelli, 1779, V, p. 300. Ancora secondo Asioli,
«chi sa comporre un pezzo vocale, saprà comporre ancora uno istromentale»: B.
Asioli, Il maestro di composizione ossia Seguito del Trattato di armonia, Milano,
s.d. (ma 1836), Libro Terzo, art. VI: «Dell’imitazione fisica», p. 42.

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alla prassi compositiva di qualsivoglia genere («I Periodi e la


Condotta di questa breve Melodia [scil. l’esempio addotto dal-
l’autore] ci servirà di modello per tutte le altre di qualunque stile
vocale, o misto»). Preludio, Motivo, Modulazione, Ripresa – per
la quale la storia delle forme poetiche anticipa quella delle forme
musicali – debbono essere ricondotti a norme generalissime di
bello stile: in questo senso la sua non è una descrizione della
forma sonata nei termini di quanto abbiamo appreso esser tale
dagli scritti ottocenteschi e successivi, né una anticipazione di
quelli, bensì la sintesi degli elementi costitutivi di una qualsiasi
composizione moderna – vale a dire, per Galeazzi, una «Melodia»
lineare, non polifonico-imitativa 4 – ben organizzata.
2. Nei due maggiori studi di Charles Rosen 5 le forme vocali
vennero recuperate, con alcune semplificazioni, ad uno sguardo
analitico d’insieme, e non più disgiunte dalle forme strumentali,
affrancandole almeno in parte dalla convinzione ch’esse meritas-
sero una indagine a sé stante in quanto determinate prevalente-
mente dalla struttura del testo poetico e dalla logica scenica. È
pur vero che il testo poetico ne predispone di solito le peculiarità,
ma ciò non estromette forme vocali e strumentali da diffuse con-
vergenze 6 condotte sulla base di un repertorio condiviso di risorse
compositive, proprio in quanto, come è stato giudiziosamente
affermato, «la forma sonata è un modo di pensare in musica» 7,
ossia un metodo compositivo che prescinde nelle sue generalità
dalle diverse modalità di applicazione.
Nella delineazione delle svariate forme-sonata che si ritrovano
in una composizione strumentale d’epoca classica in più movi-
menti, è così da darsi per accertata la confluenza dei più antichi
schemi bipartiti, opportunamente modificati (quali la sonata scar-

4
Gli studi sulla conduzione ‘orizzontale’ di una composizione, vuoi dal
punto di vista motivico, vuoi come segmentazione strutturale, abbracciano classi-
cità e Ottocento operistico; al riguardo cfr. V. Bernardoni, La teoria della melodia
vocale nella trattatistica italiana (1790-1870), in «Acta Musicologica», LXII, 1990,
pp. 29-61.
5
Ch. Rosen, Le forme-sonata, Milano, Feltrinelli, 1986 (ed. or. Sonata Forms,
New York, Norton, 1980); Id., Lo stile classico, Milano, Feltrinelli, 1989 (ed. or.
The Classical Style: Haydn, Mozart, Beethoven, London - New York, Faber-Norton,
1971; ed. riveduta: London, Faber, 1976).
6
L’andirivieni delle mutue influenze è ripercorso in Rosen, Le forme-sonata
cit., pp. 36-75 (“L’aria”); cfr. p. 51: «Il nocciolo dello sviluppo musicale del
Settecento sta nell’assorbimento dello stile operistico nei generi strumentali puri:
a sua volta, a partire dagli anni Sessanta se non prima ancora, il nuovo stile
strumentale “drammatizzato” arricchì l’opera, rendendo possibile la concezione
dinamica dell’azione, ora finalmente realizzabile mediante forme musicali astratte».
7
G. Pestelli, L’età di Mozart e di Beethoven, Torino, E DT , 1991 2 , p. 16.

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lattiana o le danze della suite preclassica, già contraddistinte dal


percorso armonico I  V, V  I, in cui l’episodio di diversione
che riconduce alla tonica è ancora indistinto e tutt’uno con la
seconda parte) e di schemi tripartiti (il più diffuso e antico model-
lo d’aria col da capo o il minuetto: in entrambi il movimento
armonico è irrigidito sulla tonica, su cui si conclude la prima
parte replicata in chiusa; ma vi fa appunto la sua comparsa una
sezione intermedia – vuoi ‘parte B’ ovvero ‘trio’ – caricata talvolta
del valore d’uno sviluppo).
L’aria tripartita, in momenti diversi, si trova quindi a condivi-
dere con la struttura sonatistica articolazioni formali e dinamiche
espressive, contribuendo al loro consolidamento: fra queste il
concetto stesso di ripresa, che segue una più breve sezione alter-
nativa (come più breve delle sezioni estreme fu, iniziamente, lo
sviluppo delle forme strumentali), o la caratterizzazione ‘soggetti-
va’ di motivi e temi, attori della composizione che da loro prende
vita, tanto celebrata nella produzione strumentale classica. D’al-
tra parte le forme d’aria si giovarono della condizione contraria
quando si trattò d’incamerare elementi riconducibili ai principii
dell’elaborazione motivica maturati nel genere strumentale, im-
portandone l’intrinseca drammaticità (secondo Tovey la musica
strumentale del periodo classico era in sé più drammatica del-
l’opera stessa 8) o, come si vedrà oltre, di dilatare la polarità I  V
sino a farla corrispondere con l’intera prima parte dell’aria nelle
forme tripartite 9 della seconda metà del secolo, dove la replica
della prima strofa di testo non è più realizzata da un indifferenzia-
to da capo musicale, bensì da una ripresa, scritta per esteso,
ricondotta alla tonalità della tonica. Sussiste insomma uno spazio
(formale, estetico) condiviso in cui i generi si incontrano, lungo la
loro pluridecennale evoluzione, fino alla definitiva affermazione
dello stile classico, che da un lato celebra quello che fu un comune
conseguimento, dall’altro sancisce l’autonomia delle forme stru-
mentali in virtù della loro capillare diffusione e di un repertorio
sempre più ricco, a fronte della progressiva contrazione di quello
dell’opera seria, che del da capo resta l’habitat primario.
Ma il lascito dell’opera seria non era stato di poco conto. Le
proprietà estetiche dell’aria metastasiana, incline alla «definizio-
ne di uno stile musicale sempre più “melodico” e svincolato dalla

8
D. F. Tovey, Musical Form and Matter, in Essays and Lectures on Music,
London, Oxford University Press, 1949, pp. 172-173.
9
Per non incorrere in equivoci le chiamerò così, con riferimento alle sezioni
e non alle repliche delle strofe, anche se di fatto si tratta ancora, a tutti gli effetti,
di arie pentapartite.

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logica contrappuntistica, sempre più improntato a isoritmia, re-


golarità fraseologica, ricorrenza periodica di segmenti simmetrici
e fra loro perfettamente bilanciati» 10, avranno ben potuto irra-
diarsi al repertorio strumentale dell’epoca, andando indiretta-
mente a costituire una delle premesse del classicismo musicale 11.
Al tempo stesso la drammaturgia dell’opera, e segnatamente la
drammaturgia dell’aria, poterono mettere a frutto nuove risorse
compositive mutuate dal genere strumentale, pur mantenendo
continuità e riconoscibilità.
3. Nonostante la sussistenza di questo fertile territorio di in-
dagine – giacché di arie solistiche è essenzialmente costituita l’opera
settecentesca –, gli studi rivolti all’‘applicazione drammaturgica’
della forma sonata hanno tradizionalmente preferito soffermarsi
sui ‘numeri’ che sembravano preannunziare una concezione otto-
centesca di dramma musicale 12, ossia i concertati e i finali mozar-
tiani, alla ricerca di analogie con le tecniche di sviluppo dei finali
di alcuni suoi concerti (esemplari quelli dei concerti K. 453 e K.
459), invocando la forma sonata a maggior riprova dell’intima
coerenza mozartiana, e in definitiva inseguire ciò che Webster, a
commento di scritti di Allanbrook, Bauman, Carter, Heartz, Kun-
ze, Rushton, Steptoe, ha acutamente definito ‘il mito dell’unità
musicale’ 13. L’idea che i grandi compositori d’opera del Settecen-
to e soprattutto Mozart (cui la storiografia tedesca ha spesso
attribuito il superamento della tradizione operistica italiana, an-

10
S. La Via, Poesia per musica e musica per poesia. Dai trovatori a Paolo
Conte, Roma, Carocci, 2006, p. 138. Sulla relazione fra il rallentamento del ritmo
armonico e la sintassi melodica nello stile galante N. Kovaleff Baker, Heinrich
Koch’s Description of the Symphony, in «Studi musicali», IX, 1980, pp. 303-316.
11
In D. Heartz, Music in European Capitals: The Galant Style, 1720-1780,
New York, Norton, 2003, il Metastasio, assieme a Watteau e al Farinelli, guada-
gna un ruolo centrale nel preclassicismo, il cui diretto riflesso musicale può
secondo l’autore essere colto in J. Chr. Bach, Paisiello e Boccherini.
12
La questione è ampiamente introdotta e commentata, con rinvii biblio-
grafici, in C. Abbate e R. Parker, Dismembering Mozart, in «Cambridge Opera
Journal», II, 1990, pp. 187-195.
13
J. Webster, Mozart’s Operas and the Myth of Musical Unity, in «Cambridge
Opera Journal», II, 1990, pp. 197-218; cfr. anche J. Platoff, Myths and Realities
about Tonal Planning in Mozart’s Operas, in «Cambridge Opera Journal», VIII,
1996, pp. 3-15. Invocando l’attenzione dell’opera in musica al ‘presente scenico’
degli affetti, già C. Dahlhaus, Drammaturgia dell’opera italiana, in Storia dell’ope-
ra italiana, a cura di L. Bianconi e G. Pestelli, Torino, E DT , 1988, VI: Teorie e
tecniche; immagini e fantasmi, pp. 77-162: 125, ridimensionava la legittimità di
letture analitiche che tentassero di aggregarla al concetto di dramma moderna-
mente inteso: «Tutt’altro che ovvio è il presupposto comune ai detrattori e agli
apologeti dell’opera seria, l’idea che occorra legare i numeri chiusi con un legame
più forte di quello dato dal mero progredire dell’azione drammatica se un’opera
vuole pretendere di essere un dramma musicale».

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che ai fini della determinazione di un concetto di classicità orien-


tato in senso germanico) procedessero nella pianificazione di
un’opera in musica senza perdere d’occhio i collegamenti armoni-
ci praticati nelle forme strumentali, trova la sua origine in una
linea critica tenace in campo d’opera in musica, dalle settecente-
sche comparazioni fra opera e tragedia 14, che i commentatori ri-
formisti avrebbero voluto assimilare ai fini di rendere la prima più
organica e unitaria, ai totalizzanti precetti wagneriani e agli studi
di Alfred Lorenz, il cui ascendente sulla critica mozartiana è
palese proprio nell’equazione – distante anni luce dalla sensibilità
e dalla pratica settecentesca – fra unità dell’opera e sua compiu-
tezza estetica. È così che sulla traccia della lettura di Hermann
Abert, nelle Nozze di Figaro o in Don Giovanni si è tentato, fra
difficoltà e incongruenze, di cogliere tonalità ‘di impianto’ di
interi atti o collegamenti sonatistici fra un’aria e l’altra, ed è così
che lo studio delle grandi forme contenute nella trilogia dapontia-
na ha determinato la loro assunzione a indiscusso modello di
riferimento, e di conseguenza l’isolamento forzato e specioso del-
la produzione drammaturgica mozartiana dal suo contesto stori-
co, che tanto ha nuociuto all’opera italiana, nonché alla compren-
sione di Mozart medesimo.
Non è questo il luogo per analizzare a fondo una simile linea
critica e il suo portato ideologico: non mancano studi in cui un tal
procedimento viene accortamente ridimensionato. Di sicuro quel-
le letture organicistiche, tutt’altro che univoche nel metodo e nei
risultati, non hanno giovato a richiamare l’attenzione sui giusti
termini dell’interscambio fra i generi strumentale e drammatico,
quelli relativi alla forma dei singoli pezzi, più che, inverosimil-
mente, alla stesura di interi atti o di intere opere, in cui i recuperi
tematici sono occasionali e mirati, mentre la disposizione delle
tonalità soggiace a tante e tali variabili (carattere e tradizione 15,
tessitura, compatibilità con strumenti d’orchestra o loro migliore
efficienza, distinzione o assimilazione con quanto segue o prece-
de, ecc.) da rendere improbabile il loro riassetto in funzione d’una
logica sonatistico-armonica nei collegamenti fra aria e aria.
4. Ma anche riguardo alla forma delle arie, quale che sia l’au-
tore, in tema di convergenze con la scrittura e le forme strumen-
14
Cfr. A. Chegai, Le parole-chiave della critica settecentesca sull’opera: fra
luoghi comuni e progetti di riforma, in Le parole della musica, III: Studi di lessicologia
musicale, a cura di F. Nicolodi e P. Trovato, Firenze, Olschki, 2000, pp. 65-87.
15
Al riguardo giovano le sintetiche ma eloquenti affermazioni di Salieri
riguardo alla stesura de Le donne letterate (1770), cit. in D. Heartz, “Le nozze di
Figaro” in cantiere, in Mozart, a cura di S. Durante, Bologna, Il Mulino, 1991, pp.
317-344: 343-344.

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tali tante sono le questioni aperte. Sappiamo del legame biunivo-


co che sussiste fra le lineari forme primosettecentesche d’aria con
da capo, anni ’20-’40, e la forma sonata detta ‘del movimento
lento’ (più tardi, non a caso, denominata ‘forma lied’), priva di
sviluppo come prive di una reale continuità drammatica erano la
sezione A dell’aria e la successiva strofa B, fra loro in rapporto di
alterità, piuttosto che di derivazione; ci è chiaro il parallelismo
che sussiste fra la sezione B di certe arie col da capo e il trio del
minuetto, o del da capo in sé e la ripresa delle forme strumentali
– analogia che si manifesta con assoluta evidenza dagli anni ’70,
quando la sovrapposizione dei due generi si fece più marcata. Ma
ci sfugge l’incidenza dei principii del politematismo e dell’elabo-
razione motivica sull’aria medesima, né saremmo in grado di rac-
contare se non sommariamente la storia della parte B, il progres-
sivo suo modificarsi da semplice intercapedine a sezione tematica
derivata 16, e infine a funzione compositiva articolata e processual-
mente complessa; né, ancora, ci appare del tutto pacifica, nono-
stante la molteplicità dei riferimenti critici, l’affinità formale del-
l’aria e del primo movimento di concerto, evidente sin dall’epoca
barocca quanto a vario titolo problematica.
Dove cercarle, innanzitutto, le arie in forma sonata, o comun-
que le arie improntate a procedimenti sonatistici? L’acquisizione
progressiva di ciò che oggi intendiamo come forma sonata proce-
de, si è detto, lungo tutto il secolo, fino allo stabilizzarsi dello
schema tripartito politematico; le simmetrie sono durevoli, ma
sarà da lì che tale convergenza diverrà vieppiù evidente, persino
attraverso il velario frapposto fra noi e le arie del Settecento dalle
semplificative e parziali teorie ottocentesche. In ogni caso si trat-
terà di arie tripartite, ma con ripresa scritta per esteso 17; esse
costituirono a tutti gli effetti l’adeguamento in senso sonatistico

16
La soluzione, di origine barocca, è adottata con frequenza sin nell’ultimo
Hasse; cfr. R. Mellace, L’autunno del Metastasio. Gli ultimi drammi per musica di
Johann Adolf Hasse, Firenze, Olschki, 2007, p. 211.
17
La questione è affetta da una certa ambiguità terminologica. A rigor di
logica si dovrebbe parlare di da capo solo in caso di esplicito rinvio da capo, e di
forma ternaria o tripartita nel caso di intonazione estesa e continuativa (è la
soluzione adottata da M. McClymonds, s.v. “Aria”, in The New Grove Dictionary
of Opera, a cura di S. Sadie, London - New York, MacMillan, 1992, I, pp. 169-
177). Tuttavia il decorso del testo poetico, ovvero la sua realizzazione scenica,
propone in entrambi i casi la ripresa finale della prima strofa (pur intonata in
modo diverso da caso a caso): l’effetto del da capo continua perciò a verificarsi a
livello del testo, e così sarà stato senz’altro percepito dal pubblico. La questione
risulta quindi di poco conto: l’interesse starà semmai nell’individuare cosa di
nuovo apporti il mutato assetto armonico-tematico.

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della più anziana forma con da capo: una rivisitazione che andò ad
affiancarsi alle altre diverse form2e d’aria allora in auge, occupan-
do però luoghi di assoluto rilievo nel dramma. Ciò che individua
la forma sonata del classicismo maturo, e che più in simili arie ne
ricalca lo spirito, non è tuttavia la semplice trasposizione nella
ripresa di alcuni motivi dalla dominante alla tonica, comune ad
altre forme, ma la tendenza a contraddistinguere le due polarità
armoniche con materiale motivico netto e differenziato e il carat-
tere processuale che ne consegue (la «condotta» di Galeazzi). E
assumendo la forma tripartita 18 quale prerequisito, sarà in gioco
soprattutto l’opera seria metastasiana o comunque di tradizione,
dagli anni ’60 circa in poi, con le sue arie centripete, piuttosto che
l’opera buffa 19 o la seria a vario titolo riformata, con i loro modelli
d’aria continuativa (durchkomponiert), bipartita o multisezionale,
o le nuove forme di rondò (schemi centrifughi, come centrifughi
saranno i numeri dell’opera ottocentesca). Dovremmo anzi chie-
derci fino a che punto sia logico attendersi nell’opera seria del
secondo Settecento una forma d’aria tripartita che niente abbia da
spartire con la forma sonata strumentale 20.
Viceversa, andare in cerca di forme-sonata compiute nella tri-
logia di Da Ponte-Mozart esporrà prevalentemente a disillusio-

18
Fra le varie possibilità vi è invero anche la cosiddetta ‘forma sonata senza
sviluppo’ (AB |AB) dell’opera seria nell’ultima sua stagione (appare anche nel Re
pastore, e diviene la forma d’aria prevalente in Idomeneo), che in quanto a soluzio-
ne poetica si avvicina alle forme bipartite dell’opera buffa, concepite come anti-
doto al da capo. In quei casi il modello può essere la forma sonata bipartita, o più
probabilmente si segue la logica endogena del linguaggio musicale nel rapporto
bitematico I  V, a prescindere dalle risorse formali della coeva musica strumen-
tale. A tale variante sembrano potersi ricondurre anche i brani di Piccinni descrit-
ti da L. Mattei in Sul contributo dell’ultimo Piccinni allo sviluppo dell’opera seria
di fine Settecento: “Ercole al Termedonte”, S. Carlo 1793, in Niccolò Piccinni.
Musicista europeo, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Bari, 28-30 settembre
2000), a cura di A. Di Profio e M. Melucci, Bari, Adda, 2004, pp. 57-78: 75-78.
19
Difatti l’impiego della forma sonata diviene, ad esempio nelle opere buffe
di Haydn, tratto distintivo delle parti serie; un esempio efficace in “Ragion
nell’alma siede”, che Flaminia canta a I,7 del goldoniano Mondo della luna, 1777.
Al riguardo vedi M. Hunter, Text, Music and Drama in Haydn’s Italian Opera
Arias: Four Case Studies, in «Journal of Musicology», VII, 1989, pp. 29-57; vedi
anche Ead., Haydn’s Sonata-Form Arias, in «Current Musicology», XXXVII-
XXXVIII, 1984, pp. 19-32.
20
Non condivisibile quindi quanto prospettato in E. Fubini, Forma-sonata
e melodramma, in Enciclopedia della musica, IV (Storia della musica europea),
Torino, Einaudi, 2004, pp. 682-697: 685. L’autore individua nella forma sonata
un fattore di superamento del melodramma metastasiano in base ad un evanescen-
te legame fra l’opera rinnovata e la congenita ‘teatralità’ del sonatismo classico;
una sinossi prodotta sulla base di un generico allineamento storico, peraltro non
confermata da una più accurata disamina sul piano morfologico.

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ni 21, sebbene congiunture sonatistiche, per stile e forma, compaia-


no in finali o in concertati, o parte di essi – i sestetti da Nozze di
Figaro e Don Giovanni, e da questa stessa opera il terzetto “Ah
taci ingiusto core”, insignito da Kerman di alto valore emblemati-
co 22 –, e in qualche aria, o sezione d’aria come “Venite, inginoc-
chiatevi” di Susanna, Nozze, II,2, “Ah pietà, signori miei” di
Leporello, Don Giovanni, II,9 23. Ma si tratterà comunque di solu-
zioni diversificate, in cui la logica sonatistica viene addomesticata
e posta al servizio dell’impianto drammatico 24, abbandonando di
necessità l’evidente segmentazione che la forma sonata manteneva
nelle arie tripartite dell’opera seria. Soluzioni, quelle della trilo-
gia dapontiana, magari più mature delle precedenti mozartiane, in
un’ottica precipuamente teatrale – e difatti chi si occupi di ‘Mo-
zart drammaturgo’ concentra la propria attività su quella produ-
zione, e trascura quanto precede. Tuttavia ciò di per sé non signi-
fica che Mozart avesse rinnegato le sue più antiche procedure:
semplicemente non era quello il terreno di coltura giusto. D’altra
parte è pur vero che nella Clemenza di Tito – a suo modo un’opera
seria riformata, nelle minuziose modifiche al libretto metastasia-
no, nella varietà delle forme praticate – della forma sonata non si
fa grand’uso: il che soccorre nell’individuare un termine ultimo,
attorno agli anni ’90, quando la diminuzione del numero dei pezzi
chiusi, la predilezione per pezzi d’assieme, arie con coro, arie in
due tempi e nuove forme di rondò, e soprattutto il trasferimento
della dimensione virtuosistica dall’aria con da capo a rondò et
similia, aveva comportato la perdita di interesse per la forma
sonata – ossia per l’aria tripartita, in cui l’antica modalità intona-
zionale del da capo era stata rifusa 25.
21
L’assetto e la logica tonale delle arie buffe, anche in relazione allo stile
sonatistico, sono sintetizzate in J. Platoff, The Buffa Aria in Mozart’s Vienna, in
«Cambridge Opera Journal», II, 1990, pp. 99-120.
22
J. Kerman, L’opera come dramma, Torino, Einaudi, 1990, pp. 66-71.
23
A. B. Marx, Musikalische Kompositionslehre, praktisch-theoretisch, Leip-
zig, Breitkopf und Härtel, 1871 4 , pp. 480-481, nel paragrafo dedicato ad “Arie in
Sonatenform” prende a campione il Don Giovanni (ne “Il mio tesoro intanto” si
individua una ‘forma-sonatina’, vale a dire senza sviluppo): già per lui la forma
sonata in àmbito d’aria si consolidava essenzialmente nella flessibile trasforma-
zione drammaturgica che ne dà il Mozart viennese, escludendo l’ormai remota
opera seria dalla propria valutazione critica.
24
In F. Della Seta, Cosa accade nelle “Nozze di Figaro”, II, 7-8?, in Id.,
«...non senza pazzia». Prospettive sul teatro musicale, Roma, Carocci, 2008, pp. 65-
96, si mostra tuttavia come l’impianto in forma sonata venga adattato ad esigenze
scenico-drammatiche che lo rendono atipico.
25
Non è un caso che delle sei arie tripartite della Clemenza, “Del più
sublime soglio” (Tito, I,4), “Ah, se fosse intorno al trono” (Tito, I,6), “Torna di
Tito a lato” (Annio, II,1), “Tardi s’avvede” (Publio, II,5), “Se all’impero, amici
Dei” (Tito, II,11), “S’altro che lacrime” (Servilia, II,12), solo “Se all’impero”

689
A NDREA C HEGAI

V’è infine un altro aspetto di cui tener conto: l’intersezione


che si verificò attorno agli anni ’70 fra l’aria tripartita e la forma
sonata del primo movimento di concerto, evidente nella produ-
zione mozartiana. Accantonando il problema di dover stabilire
fino a che punto la forma del primo movimento di concerto clas-
sico sia davvero una forma sonata, o non piuttosto una forma
ritornello di derivazione barocca, o se il concerto classico non
partecipi dell’una e dell’altra natura 26, la questione delle sue affi-
nità con l’aria, già presente in epoca barocca 27, fu còlta all’epoca
da J.A. Scheibe, B.-G.-E. de Lacépède, H.Chr. Koch fra gli altri
(quest’ultimo si spinge a definire il concerto «eine Nachahmung
der Arie») 28, ed è stata sfiorata in modo continuativo quanto
incidentale dagli studi, che tendono a rilevarla come fenomeno da
ricondurre all’unità stilistica del periodo senza porla in relazione
con la storia dell’aria e con la drammaturgia dell’opera 29. Al di là

ancora manifesti la bipolarità motivica che individua l’applicazione della forma


sonata all’aria con da capo (secondo il modello qui più oltre descritto), congiun-
tamente alle poche colorature di cui Tito dispone in tutta l’opera. Le restanti arie
tripartite adottano la forma breve ABA', destituita di orientamento virtuosistico
a vantaggio di una più intima e fluida espressione degli affetti.
26
Una sintesi dei diversi orientamenti critici in G. Pagannone, W A. Mo-
zart: Concerto per pianoforte e orchestra K 491 in Do minore, Roma, Carocci, 2006,
pp. 42-65.
27
La fusione fra movimento di concerto e aria nelle opere vivaldiane è più
volte evocata sin da W. Kolneder, Vivaldi, Milano, Rusconi, 1978 (ed. or.
Wiesbaden, 1965). Non mancano casi di trasposizione di materiali più o meno
complessi dall’uno all’altro genere: cfr. R. Strohm, The Operas of Antonio Vivaldi,
2 voll., Firenze, Olschki, 2008, I, pp. 74-75 e 100-102.
28
Cfr. M. Feldman, Il virtuoso in scena. Mozart, l’aria, il concerto (K. 135, K.
216, K. 238), in «Rivista italiana di musicologia», XXVIII, 1993, pp. 255-298: 257-
258; riguardo alla concezione drammatica del concerto vedi anche S. P. Keefe,
Koch’s Commentary on the Late Eighteenth-Century Concerto: Dialogue, Drama
and Solo/Orchestra Relations, in «Music & Letters», LXXIX, 1998, pp. 368-385.
29
Fra gli altri concordano all’incirca sull’affinità dei generi D. F. Tovey,
Essays in Musical Analysis, III: Concertos, London, Oxford University Press,
1936, pp. 6-16; Ch. Rosen, Le forme-sonata, cit., pp. 36-101; R. Strohm, Merkmale
italienischer Versvertonung in Mozarts Klavierkonzerten, in «Analecta Musicologi-
ca», XVIII, Colloquium “Mozart und Italien” Rom 1974, 1978, pp. 219-236; L.
Ratner, The Concerto as a Dramatic Scena, in Classic Music: Expression, Form, and
Style, New York, Schirmer, 1980, pp. 297-305; M. Robinson, L’opera napoletana.
Storia e geografia di un’idea musicale settecentesca, a cura di G. Morelli, Venezia,
Marsilio, 1984, pp. 175-176. Più indecifrabile il punto di vista di J. Webster, Are
Mozart’s Concertos Dramatic? Concerto Ritornellos versus Aria Introductions in
the 1780s, in Mozart’s Piano Concertos: Text, Context, Interpretation, a cura di N.
Zaslaw, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1996, pp. 107-137; muovendo
dalla pressoché totale assenza di forme-sonata nelle arie delle opere buffe del
Mozart viennese, gli viene facile dimostrare le divergenze fra quelle arie e i coevi
concerti: ma si tratta di termini di confronto impropri, data l’irreperibilità, in quel
contesto, dell’aria col da capo dell’opera seria, su cui l’aria-concerto o comunque
lo stile sonatistico si dimensionano, come lo stesso autore rileva a p. 109.

690
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

delle oggettive differenze costituzionali – il testo dell’aria sbilan-


cia il rapporto fra solo e tutti a vantaggio del primo –, sta di fatto
che dalla presenza di un ‘solista’, collocato su un tessuto orche-
strale predisposto all’uopo, scaturisce in entrambi i casi una dia-
lettica dotata di affini scansioni strutturali (ritornello introdutti-
vo, politematicità, avvicendamento di solo e tutti, parallela collo-
cazione dei passi più scopertamente virtuosistici, presenza della
cadenza etc.). Non per nulla i due generi si ricongiungono nel-
l’aria da concerto, tanto praticata anche dal giovane Mozart.
Nella produzione giovanile seria italiana del Salisburghese,
serenate comprese, vale a dire Mitridate, re di Ponto (V.A. Cigna
Santi, da Racine, Milano 1770), Ascanio in Alba (G. Parini, Mila-
no 1771), Il sogno di Scipione (Metastasio, Salisburgo 1772), Lucio
Silla (G. De Gamerra, Milano 1772), Il re pastore (da Metastasio,
Salisburgo 1775), oltre metà delle arie a solo è dotata di ritornello
politematico, ove si innesca il principio dialettico che contraddi-
stingue la forma sonata (o forma-concerto, se si preferisce). Quei
brani vanno ad affiancare le arie con introduzione più breve e
monotematica – la forma sonata, se applicata, sarà allora quella
del ‘movimento lento’ – e le arie prive sia di ritornello sia di
introduzione ma tutt’al più dotate di una ‘mossa’ orchestrale di
poche note (qualora un personaggio intervenga di getto, o giunga
all’aria da un recitativo strumentato, e via dicendo 30), che più
raramente aderiranno alla forma sonata, e se sì sarà allora una
forma sonata senza soverchia partecipazione orchestrale, simile a
quella della sonata tout court (capita in arie di modo minore, vedi
“Sol può dir come si trova” di Agenore, a II,10 del Re pastore, con
carattere di movimento finale, e “Tiger, wetze nur die Klauen”,
dalla incompiuta Zaide 31).
5. Ciò premesso, nella storia delle convergenze fra forma sona-
ta strumentale e aria col da capo si possono identificare alcune
diverse condizioni, non necessariamente da porre in successione
cronologica, ma casomai in ordine di complessità e compiutezza.
Per comodità andremo ad individuarle in opere facilmente reperi-
bili in edizione moderna o in edizione anastatica.
La prima tipologia può essere individuata nelle arie in cui il da
capo è espresso ancora nell’antica modalità del rinvio, ma d’una
generazione nuova, quella di Sarti, autore che senza restare impli-
cato nelle effimere correnti riformistiche dell’opera seria concor-
30
Cfr. Galeazzi, Elementi cit., pp. 299-300: «Se le ultime parole del Recita-
tivo che precede l’aria non hanno col primo verso della stessa una necessaria e
stretta connessione si può comiciar l’Aria, con un Ritornello d’istromenti …».
31
L’aria è trascritta e analizzata anche in Rosen, Le forme-sonata cit., pp.
64-75.

691
A NDREA C HEGAI

Es. 1. Primo tema (esposizione)

se in più d’un caso ad aggiornarne i contenuti formali 32. Fra i


molti casi possibili “Son quel fiume che gonfio d’umori” che
Jarba canta nella Didone abbandonata (Copenaghen 1762, I,12,
Tav. 1, p. 693) 33 presenta un ritornello bitematico ove si dispon-
gono, alla tonica, i motivi poi recuperati in corso d’aria. Limitan-
doci all’assetto armonico-testuale, vi si individuano tutte le arti-
colazioni della più antica aria col da capo: passaggio da I a V in
seno ad A 1A 2, riconduzione a I alla fine della prima parte, seconda
parte (B) in tonalità vicina (qui il IV grado con chiusa sul VI), da
capo. È però altresì evidente come la prima parte nella sua totali-
tà, dal lato del solo testo schematizzabile con le formule AA' o
A 1A 2 , si faccia leggere come una più moderna forma sonata (o,
pedantescamente, ‘forma-sonatina’ per l’assenza di una ampia se-
zione di sviluppo) dotata di esposizione, riconduzione progressi-
va alla tonica, ripresa. Il profilo concertante conferito al brano sin
dal ritornello e la bipolarità tematica si adattano qui al contesto
poetico-drammatico: al fluttuante primo tema è affidata la rap-
presentazione sonora del «fiume gonfio d’umori» (Ob, Cor, Vni I-
II, Vle, basso; Es. 1, limitatamente, come in seguito, alle prime
battute), quando il secondo, contraddistinto da più brevi e ripetu-
te unità motiviche e dall’alleggerimento della strumentazione (senza

32
Cfr. M. Beghelli, Alle origini della cabaletta, in «L’aere è fosco, il ciel
s’imbruna». Arti e musica a Venezia dalla fine della Repubblica al Congresso di
Vienna, Atti del Convegno internazionale di studi (Venezia, Palazzo Giustiniani
Lolin, 10-12 aprile 1997), a cura di F. Passadore e F. Rossi, Venezia, Fondazione
Levi, 2000, pp. 593-630; e A. Chegai, La cabaletta dei castrati. Attraverso le ‘solite
forme’ dell’opera italiana tardosettecentesca, in «Il Saggiatore musicale», X, 2003,
pp. 221-268.
33
G. Sarti, Didone abbandonata, introduction by E. Weimer, New York -
London, Garland, 1982 («Italian Opera, 1640-1770», 84), pp. 67-77. Il testo
poetico si attiene nella Tavola 1 all’edizione P. Metastasio, Drammi per musica, I:
Il periodo italiano (1724-1730), a cura di A. L. Bellina, Venezia, Marsilio, 2002, p.
89 (nell’originale metastasiano a I,13).

692
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

Tav. 1. Giuseppe Sarti, “Son quel fiume che gonfio d’umori” (Didone
abbandonata, Iarba, I,12), 1762 – Aria con da capo (forma sonata senza
sviluppo): A 1A 2|B, da capo a Fine

Son quel fiume che gonfio d’umori, 1


quando il gelo si scioglie in torrenti, 2
selve, armenti, capanne e pastori 3
porta seco e ritegno non ha. 4

Se si vede fra gli argini stretto, 5


sdegna il letto, confonde le sponde 6
e superbo fremendo sen va. 7

basso, Es. 2, p. 694), stabilisce un’ideale analogia con la pluralità


di «selve, armenti, capanne e pastori».
In esposizione e ripresa chiude il secondo tema e, come anche
Galeazzi raccomandava, un’istantanea ricongiunzione al primo a
mo’ di coda. Il canto, sempre secondo una logica concertante, non
si appropria dei temi nella loro interezza, ma vi si sovrappone in
modo discontinuo, su derivazioni dei temi stessi ma senza perdere
d’individualità: il bitematismo agisce così da sfondo espressivo,
determinando la chiarificazione del decorso drammatico (qui la
progressiva illuminazione cui è soggetto il secondo distico, «selve,
armenti, capanne e pastori | porta seco e ritegno non ha», che
slitta dal primo al secondo tema, alle figurazioni di coda: cfr. Tav.
1, terzo e quarto riquadro). La riconduzione inizia dal primo tema
alla dominante, e stabilizza nuovamente la tonica sul secondo
tema (Es. 3, p. 694): non si dà ancora sviluppo, ma la discorsività

693
A NDREA C HEGAI

Es. 2. Secondo tema (esposizione)

Es. 3. Secondo tema (ripresa)

determinata dalla concatenazione dei motivi è già quella del più


moderno stile sonatistico (doppio riquadro nella Tav. 1). A brani
siffatti si deve verosimilmente l’aggancio della forma sonata al più
tradizionale schema col da capo.
L’aria dal segno, salutata dagli storici come un passo avanti
nella semplificazione delle forme, in quanto costituirebbe un
accorciamento del classico da capo verso uno schema più agile (in
linea con le osservazioni di un Mattei, che deplorava le molteplici
ripetizioni della prima strofa 34), può ben essere assunta come
seconda tappa del nostro percorso nella tavola 2 (p. 695). In
questo impianto, di antiche origini – la generazione di Hasse ne
aveva fatto un uso cospicuo – ma riadattato alle nuove modalità
di scrittura verso gli anni ’70 da Galuppi, Piccinni 35, Sacchini, dal
34
S. Mattei, La filosofia della musica cit., pp. 308 ss.
35
L’aria di Cesare “Tremo per l’idol mio”, nel Catone in Utica del 1770, ne
è un buon esempio; cfr. N. Piccinni, Catone in Utica, introduction by H. Mayer
Brown, New York - London, Garland, 1978 («Italian Opera, 1640-1770», 50), cc.
39r-56v: a fronte di motivi fra loro strettamente imparentati, le aree tonali appaio-
no già delineate in senso sonatistico. Prefigurazioni dell’incipiente reinterpreta-
zione di questa forma d’aria, caratterizzate da un melodizzare fluido e privo di
nette divaricazioni motiviche, anche nell’ultimo Jommelli, ad esempio in “Resta

694
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

Tav. 2. Antonio Sacchini, “Ah se in ciel, benigne stelle” (L’eroe cinese,


Siveno, I,1), 1770 – Aria dal segno: A 1A 2A 3A 4|B|A 3A 4 (ritornello  rie-
sposizione riconduzione ripresa |B| ripresa D.S.).

Ah se in ciel, benigne stelle, 1


la pietà non è smarrita, 2
o toglietemi la vita 3
o lasciatemi il mio ben. 4

Voi che ardete ognor sì belle 5


del mio ben nel dolce aspetto, 6
proteggete il puro affetto 7
che inspirate a questo sen. 8

primo Paisiello 36 e dal Mozart milanese fra gli altri, la ripresa


ripropone solo parte della prima sezione. Non si tratta tuttavia di
un colpo di rasoio, come si evince dalla formula di rito (A 1A 2BA 2 ),
ma di una soluzione organica che, una volta introdotto il princi-
pio politematico, necessita di un accurato bilanciamento sul pia-
no armonico e motivico, e che alla fin fine può risultare altrettan-
to dispendiosa in termini di decorso temporale. Nell’aria di Sive-
no “Ah se in ciel, benigne stelle” dall’Eroe cinese di Sacchini

ingrata, io parto addio” da Armida abbandonata (1771, Rinaldo I,6); cfr. N.


Jommelli, Armida abbandonata, introduction by E. Weimer, New York - London,
Garland, 1983 («Italian Opera, 1640-1770», 91), pp. 63-83.
36
Cfr. “Cade dal monte appena” che Oscarre canta a I,10 nell’Annibale in
Torino (Torino, 1771), trascritta in A. Rizzuti, “Annibale in Torino”. Una storia
spettacolare, Torino, E DT /De Sono, 2006, cd-rom allegato, pp. 166-196.

695
A NDREA C HEGAI

Es. 4. Primo tema (ritornello)

Es. 5. Primo tema (riesposizione)

Es. 6. Secondo gruppo, motivo a (ritornello)

Es. 7. Motivo a (riesposizione)

696
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

Es. 8. Secondo gruppo, motivo b (ritornello)

Es. 9. Motivo b (riesposizione)

Es. 10. Secondo gruppo, motivo c (ritornello)

Es. 11. Motivo c (riesposizione)

(Monaco di Baviera 1770 37, I,1, Tav. 2) il primo tema e i diversi


motivi del secondo gruppo (Ess. 4 e 6, 8, 10), diversi per ampiez-
za, disegno melodico e strumentazione ma imparentati fra loro,
alla tonica nel ritornello introduttivo e poi ripresi alla riesposizio-
37
A. Sacchini, L’eroe cinese, introduction by E. Weimer, New York - Lon-
don, Garland, 1982 («Italian Opera, 1640-1770», 90), pp. 28-46; nella stessa
opera cfr. anche “Da quel sembiante appresi” (Lisinga, I,3). Il testo poetico si
attiene nella tavola 2 all’edizione P. Metastasio, Drammi per musica, III: L’età
teresiana (1740-1771), a cura di A. L. Bellina, Venezia, Marsilio, 2004, p. 253.

697
A NDREA C HEGAI

ne con Siveno, delineano nel loro trattamento una limpida forma


sonata, circoscritta, come già in Sarti, alla prima quartina di testo.
A seguito di quelle proprietà l’elaborazione motivico-tematica va
ad incidere direttamente sul carattere del testo e sul suo decorso.
Ma differentemente da Sarti, stavolta si deve attendere la ri-
presa, dopo l’episodio centrale B (condotto in questo caso secon-
do la logica del ‘trio’, ossia come sezione alternativa diversificata
da quanto precede e segue) perché la struttura si definisca nella
sua compiutezza: solo sul raccordo anteposto al dal segno il primo
tema è ripreso alla tonica (doppio riquadro nella Tav. 2).
Tramite quella duplicazione (analoga al ritornello che nelle
forme strumentali racchiude sviluppo e ripresa, preceduto dal-
l’inserzione della sezione B) la forma sonata, dotata anche qui di
uno spiccato profilo concertante, viene ulteriormente espansa,
pur in uno schema d’aria apparentemente ridotto rispetto al da
capo di tradizione. Ridondanze di casa, in quegli anni, nell’opera
seria, in cui fra le possibili forme d’aria (cavatine monostrofiche,
arie tripartite ‘brevi’ di forma ABA', rondò e arie multisezionali)
erano contemplati anche campioni di estensione inusitata, rag-
giunta proprio tramite l’impianto dal segno. Nel Mitridate, nel
Sogno di Scipione e nel Lucio Silla di Mozart è quella la forma più
rappresentata nelle arie tripartite 38 (chiusura della prima parte
sulla tonica, trio centrale, ripresa a partire dalla sezione modulan-
te dell’esposizione, in genere la terza enunciazione della prima
strofa): il collegamento di A con B può consistere, ancora, nella
semplice loro successione – ma non mancano sezioni B a carattere
di sviluppo –, né la ripresa è in sé essenziale al compimento del
decorso armonico-tematico, già risolto nella prima parte, tanto
che le due ultime sezioni potrebbero essere tagliate senza che
l’equilibrio musicale della prima ne venga turbato 39. Si trattò di
una soluzione transitoria; lo stesso Mozart da lì in poi andrà
riducendo, con gradualità e non senza lasciarsi tentare da arie
vocali ardimentose per difficoltà e lunghezza, la propria esube-
ranza formale a vantaggio di forme agili e contenute.
Se quindi il politematismo, con ripresa alla tonica di motivi
prima esposti alla dominante, non è difficile da rinvenirsi nelle
38
La stesura con rinvio dal segno è invero assai rara in Mozart (un esempio
in “Al destin che la minaccia”, prima aria del Mitridate): tuttavia la gran parte
delle arie tripartite, pur scritte per esteso forse per agevolarne la variazione,
seguono in quelle prime opere la medesima logica (nella maggioranza dei casi
nella stesura mozartiana la ripresa non si differenzia dalla prima esposizione, cui
si riaggancia nella sezione di riconduzione alla tonica).
39
“Quel ribelle e quell’ingrato” che chiude l’atto I del Mitridate, d’una sola
strofa, è appunto concepita come una qualsiasi prima parte d’aria tripartita.

698
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

Tav. 3. Wolfgang Amadeus Mozart, “Ah, se il crudel periglio” (Lucio


Silla, Giunia, II,5), 1772 – Aria tripartita con sviluppo centrale: A 1A2BA 3A4.

Ah, se il crudel periglio 1


del caro ben rammento, 2
tutto mi fa spavento, 3
tutto gelar mi fa. 4

Se per sì cara vita 5


non veglia l’amistà. 6
Da chi sperare aita, 7
da chi sperar pietà? 8

arie tripartite di quegli anni, pur di diversa formulazione, resta


adesso da circoscrivere l’impiego dello sviluppo inteso come sezione
appositamente destinata alla riconduzione verso la tonica attraverso
l’elaborazione motivica, e la sua collocazione nel quadro dello
svolgersi del testo. Apparentemente fu la funzione di più graduale
assorbimento in un contesto drammaturgico, in sé caratteristica
dello stile strumentale e connaturata alla natura processuale del
gioco motivico; nondimeno la si riscontra con una certa frequenza
a partire dagli anni ’70, e in bell’evidenza nella produzione
mozartiana giovanile. Nella ipervirtuosistica aria di Giunia “Ah,
se il crudel periglio” a II,5 del Lucio Silla 40 (Tav. 3), già illustrata
da Martha Feldman riguardo alle analogie architettoniche che si
instaurano col successivo Concerto per violino e orchestra n. 3 K.

40
W. A. Mozart, Lucio Silla, 2 voll., a cura di K. Kuzmick Hansell, Kassel
ecc., Bärenreiter, 1986 («Neue Mozart Ausgabe», II/5/7), II, pp. 244-267 .

699
A NDREA C HEGAI

216 (1775) 41 e uno degli esempi più limpidi di un ipotetico genere


d’intersezione ‘aria-concerto’ 42, la funzione di sviluppo è adem-
piuta dalla strofa B, che abbandona il tradizionale ruolo di diva-
gazione incidentale che aveva nell’aria con da capo di vecchia
generazione, per prender parte attiva a ciò che si profila come un
discorso musicale e drammatico coeso; lo confermano la continui-
tà con quanto precede e segue, l’impiego di elementi motivico-
ritmici già introdotti, l’assetto modulante, il carattere cinetico
(doppio riquadro in Tav. 3, Es. 12, pp. 701-703). Continuità
legittimata dalla natura del testo 43 e resa possibile dalla disloca-
zione della dominante a fine prima strofa (e prima parte dell’aria),
in modo da far corrispondere la seconda alla riconduzione verso
la tonica: ed è l’elemento che distingue queste agili forme tripar-
tite, con da capo scritto per esteso (ovvero attinente alla sola
dimensione verbale), dalle forme con da capo espresse con solo
rinvio, in cui, necessariamente, la tonica veniva confermata alla
chiusa della prima parte.
Non fu, questa diversa funzione assegnata a B, un ritrovato
mozartiano (ad esempio la si rinviene, pur senza la lussureggiante
vocalità mozartiana, in J.Ch. Bach: vedi i suoi Carattaco, 1767 44,
Temistocle, 1772, La clemenza di Scipione, 1778), né una condizione
in Mozart eccezionale. Saggiata con insistenza in Ascanio in Alba,
in avvicendamento alla forma lunga dell’aria dal segno, ad arie

41
Feldman, Il virtuoso in scena cit., concerto tematicamente imparentato,
nell’Allegro iniziale, anche con “Aer tranquillo e dì sereni” del pressoché coevo
Re pastore (Aminta, I,2).
42
Concepita per Anna de Amicis, l’aria di Giunia, come altre arie dal Re
pastore, fu riproposta da Aloysia Weber in accademie vocali-strumentali a Mann-
heim, nella residenza del compositore Christian Cannabich; cfr. Feldman, Il
virtuoso in scena cit., pp. 256-257.
43
Galeazzi non considera questo modo di intonare la seconda strofa una
soluzione definitiva, ma piuttosto una delle due possibili varianti, ove però solo la
prima si accosta alla ‘Melodia’ in due parti (ossia, per lui, la forma sonata moder-
na suddivisa in esposizione più sviluppo/ripresa): «Qui i casi sono due: o le
parole della seconda parte sono della stessa espressione e carattere della prima, ed
allora si può seguitar lo stesso tempo, ma modulando e circolando con periodi di
Melodie espressive, finché a poco a poco si riprende il motivo principale dell’Aria
colle parole stesse della prima parte, e si forma allora ciò che è veramente la
seconda parte della Melodia […]. Se poi la seconda parte dell’Aria sia di diverso
Carattere, si muterà tempo in mezzo […]» (Elementi cit. pp. 300-301).
44
Fra i casi più antichi che mi è riuscito di trovare “Ho fra catene il piede”
(Cassibelane, II,2), in cui alla strofa B è assegnata la funzione di breve ma intenso
sviluppo (J. Ch. Bach, Carattaco, introduction by E. Weimer, New York - Lon-
don, Garland, 1982 («Italian Opera, 1640-1770», 86). Sulle forme d’aria impiega-
te dal Bach di Londra, comparativamente a quanto avviene nel giovane Mozart,
vedi L. Quetin, L’“Opera seria” de Johann Christian Bach à Mozart, Genève,
Minkoff, 2003, pp. 73-83 e passim.

700
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

Es. 12. Sviluppo e ripresa

701
A NDREA C HEGAI

Es. 12. segue

702
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

Es. 12. segue

703
A NDREA C HEGAI

multisezionali d’azione o a forme di rondò, con una sorprendente


inventiva, appare in altre quattro arie del Re pastore e sopravvive
persino in un paio d’arie del ‘riformato’ Idomeneo 45. Scandaglian-
do le residue forme tripartite nella produzione seria di Cimarosa,
Paër 46, Paisiello, Tritto o Zingarelli se ne trovano altre applicazio-
ni, multiformi ma accomunate dallo stesso carattere processuale.
6. Quest’ultimo modello d’aria risulta sovrapponibile alla nota
descrizione ‘sonatistica’ di Galeazzi 47, il quale, come si è visto,
manifesta una certa unità di vedute fra vocale e strumentale, aria
e concerto; riguardo alla collocazione delle cadenze, congruente
con la maggioranza dei campioni mozartiani sopra indicati (quelli
dal Re pastore sono addirittura paradigmatici al riguardo 48), Gale-
azzi impiegò una terminologia ambivalente, accostando senza distin-
zione strumentale e vocale, «mano» e «voce». Gioverà al riguardo
una ricapitolazione dello schema tripartito con sviluppo, da compa-
rarsi alle articolazioni fissate dal teorico italiano (Tav. 4, p. 706).
Trattandosi di arie teatrali, non furono convergenze fini a loro
stesse, o semplici convenzioni di scrittura: la logica processuale di
brani simili genera difatti un articolato sfondo sentimentale con
cui il testo è fatto dialogare, contribuendo a renderlo più dinami-
co. Nelle arie tripartite con trio o sviluppo centrale (qui rispetti-
vamente l’aria di Siveno e quella di Giunia) i distici costitutivi
della prima strofa – vv. 1-2, vv. 3-4, spesso intonati ancora secon-
do la formula hassiana abb cdd 49 – vengono a corrispondere, rispet-
45
Si tratta, rispettivamente nelle tre opere, di “L’ombra de’ rami tuoi” (Ve-
nere, I,1), “Cara, lontano ancora” (Ascanio, I,2), “Per la gioia in questo seno”
(Aceste, I,4), “Come è felice stato” (Silvia, I,4), “Al chiaror di que’ bei rai” (Vene-
re, I,5), “Sento che il cor mi dice” (Aceste, II,6); “Alla selva, al prato, al fonte”
(Elisa, I,1), “Si spande al sole in faccia”, (Alessandro, I,3), “Di tante sue procelle”
(Tamiri, I,5), “Sol può dir come si trova” (Agenore, II,10); “Se il tuo duol, se il
mio desio” (Arbace, II,1), e “Fuor del mar ho un mar in seno” (Idomeneo, II,3).
46
Al riguardo L. Mattei, Come «opporsi al metastasiano torrente»: novità
formali nelle prime opere serie di Ferdinando Paër (1792-1795), in Ferdinando Paër
tra Parma e l’Europa, Atti del convegno internazionale di studi (Parma, Casa della
musica, 28-30 settembre 2006), a cura di P. Russo, Parma - Venezia, La Casa della
musica - Marsilio, 2008, pp. 27-68, dove in “Perfido, ah! qual disegno” da Ero e
Leandro (Napoli, 1794) si individua una forma sonata in cui la funzione di svilup-
po è adempiuta da un distico finale, successivo alla coppia di quartine che con-
traddistinguono invece, unitariamente, esposizione e ripresa (ringrazio l’autore
per avermi resa possibile la lettura del saggio ancora in bozze).
47
Galeazzi, Elementi cit., pp. 253-259.
48
Nel modello dal segno i passi cadenzali più estesi sono invece general-
mente collocati alla prima occorrenza del secondo distico, all’uscita di tono, in
corrispondenza del “secondo Motivo” di Galeazzi. La medesima posizione può
essere conservata anche nelle arie tripartite con sviluppo qualora il testo lo richieda.
49
Ciò è agevolato anche dalla propensione dei librettisti per distici dotati di
senso compiuto pur nel quadro di strofe di quattro versi, in modo da costituire

704
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

tivamente, ora al primo ora al secondo tema 50, ora alla transizione
ora alla coda; nel caso dell’aria dal segno la medesima prima strofa
nella sua interezza assolve da sé sola anche la funzione di sviluppo.
La realizzazione melodica dei vari segmenti di testo dà quindi
luogo a forme espressive diversificate dei medesimi contenuti
poetici. Nell’aria di Giunia, il «crudel periglio» cui incorre l’amato
Cecilio per vendicare il defunto Mario è prima raffigurato dalla
svettante invettiva melodica in unisono con gli archi sul primo
tema, quindi è riproposto sul secondo tema con incedere frammen-
tato e inflessioni decisamente patetiche, a sottolineare stavolta
non il «periglio» in sé, quanto i suoi riflessi sull’animo della
protagonista (Ess.13-14): un procedimento combinatorio indotto
dall’impianto sonatistico e precluso all’aria con da capo di più
anziana generazione, che si affidava essenzialmente alla continuità
della cantilena anche nelle trasposizioni della ripetizione di A in
A' (alla dominante o alla maggiore relativa nelle arie in minore).
Il mutamento retorico, oltre che di polarità armonica, che
contraddistingue il passaggio da primo a secondo tema, produce
nelle forme vocali una diffrazione direttamente incidente sul-
l’enunziato affettivo; il senso del testo si modifica in relazione al
contesto armonico-motivico con cui di volta in volta è messo a
reagire. Grazie all’assetto concertante la realizzazione musicale
delle strofe poetiche può inoltre avvalersi di un rapporto articola-
to e prospettico con la compagine orchestrale, laddove il canto
restituisca direttamente i temi musicali proposti in prima istanza
dall’orchestra, oppure si limiti a contrapporgli una propria linea,
lasciando che siano gli strumenti a realizzare i motivi nella loro
forma intera; vedi, all’esempio antecedente, la diversa distribu-
zione e conformazione melodica del testo fra primo e secondo
tema, restituiti dal canto in forma intera e continuativa in un caso,
parziale e intercalata da lunghe pause nell’altro.

nuclei poetici più maneggevoli. Tuttavia i compositori possono prendersi l’arbi-


trio di fissare un motivo conchiuso al primo distico, come ai successivi, pur in
mancanza di autonomia semantica. Non mancano al riguardo eloquenti e ricor-
renti esempi mozartiani: cfr. l’aria di Giunia di cui sopra, o, in epoca matura, “Se
all’impero, amici Dei” (La clemenza di Tito, Tito, II,11); in entrambi i casi il
primo motivo si conclude, con cadenza perfetta alla tonica, al termine del secondo
verso, alla protasi del periodo ipotetico. Viceversa, in alcuni altri casi la prima
quartina del testo è intonata di lungo per non incorrere in interruzioni di senso
(cfr. ad esempio “Al chiaror di que’ bei rai”, a I,5 di Ascanio in Alba, in cui il testo
non rende possibile una segmentazione a due a due: «Al chiaror di que’ bei rai, |
se l’amor fomenta l’ali | ad amar tutti i mortali | il tuo cor solleverà»).
50
Altrove il secondo motivo del ritornello orchestrale diverrà, alla riesposi-
zione col solista, quello della coda. Tuttavia ciò non altera il senso dell’impianto
formale e il suo effetto complessivo.

705
A NDREA C HEGAI

Tav. 4. Forma dell’aria tripartita

Forma dell’aria tripartita Articolazioni sonatistiche Schema della moderna


con sviluppo centrale suggerite da Galeazzi forma sonata

Ritornello/esposizione Esposizione (I)


[primo tema  secondo
tema  coda]
vv. 1-2 / primo tema Motivo principale Riesposizione (I)
vv. 3-4 / transizione 51
secondo Motivo - Usci- 
ta a’ Toni più analoghi
vv. 1-2 / secondo tema Passo caratteristico52 V
vv. 3-4 / cadenza Periodo di Cadenza53 V
ritornello / coda (primo Coda54 V55
tema)
vv. 5-8 Motivo - Modulazione Sviluppo (V )
56
vv. 1-2 / primo tema Ripresa  Ripresa (I)
vv. 3-4 / transizione [Vedi esposizione] I

51
«[…] un pensiere che, o dedotto dal primo, ovvero interamente ideale,
ma bene col primo collegato succeda immediatamente al periodo del motivo, e
che serve talvolta anche per condurre fuor di Tono» (Galeazzi, Elementi, cit., p.
255).
52
«[…] s’introduce per maggior vaghezza verso alla metà della prima parte;
deve questo esser dolce, espressivo e tenero quasi in ogni genere di composizio-
ne» (ivi, p. 256).
53
«Segue poi il Periodo di Cadenza. È questa una nuova idea, ma sempre
dipendente dalle precedenti, e specialmente dal Motivo, o secondo motivo; ed in
esso si dispone e prepara la Melodia alla Cadenza. Se nel passo Caratteristico la
voce o l’istromento ha fatto spiccare la sua dolcezza, la sua espressione, nel
periodo di cui si tratta si farà pompa di brio e di bravura coll’agilità della voce o
della mano; onde nella Musica vocale in questo periodo si collocano specialmente
i passaggi e gorgheggi, e nell’istromentale i passi più difficili, che si chiudono poi
con Cadenza finale» (ivi, pp. 256-257; cfr. anche p. 300).
54
«[…] non è un periodo necessario, ma molto serve a concatenare le idee
che chiudono la prima parte con quelle che l’hanno incominciata, o con quelle
con cui s’incomincia la seconda parte» (ivi, p. 257).
55
«In tutti i pezzi di Musica, di qualunque genere o stile siano essi, divisi in
mezzo da un ritornello ovvero tutti seguiti, si chiude sempre la prima Parte alla
Quinta del Tono principale, raramente alla Quarta, e spesso alla terza minore ne’
Toni di terza minore» (ivi, p. 257).
56
«Se il pezzo è lungo si riprende, come si è detto, il vero Motivo nel Tono
principale, se poi non si voglia tanto allungar la Composizione basterà riprendere
in sua vece il Passo Caratteristico nello stesso Tono Fondamentale trasferito» (ivi,
pp. 258-259): questa seconda eventualità pare riferibile anche ai modelli col da
capo e dal segno (cfr. Esempi 1-2), dove la riconduzione muove dal primo tema,
alla dominante, per confermare la tonica sul secondo tema.

706
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

vv. 1-2 / secondo tema Replica del passo carat- I


teristico
vv. 3-4 / cadenza - coda Replica del Periodo di I
Cadenza
Ritornello Replica della Coda I

Ess. 13, 14. Forme tematiche del primo verso

Ne trae giovamento la dimensione conflittuale di quella ch’è


ancora una poetica metastasiana, ove si miniaturizzano alla misu-
ra delle singole arie gli affetti tematizzati dal dramma. Il perso-
naggio evolve in corso d’aria 57 e svela la propria condizione senti-

57
In K. Berger, Bach’s Cycle, Mozart’s Arrow. An Essay on the Origins of
Musical Modernity, Berkeley ecc., University of California Press, 2007, si prospet-
ta l’accostamento delle forme musicali ad un più generale schema filosofico rela-
tivo alla connotazione del tempo lineare come distintivo della modernità, con-
trapposto ad un tempo ciclico di derivazione classica. Quel modello è stato
ampiamente riconsiderato anche in sede filosofica, ove si tende oggidì ad accredi-
tare più la moderna compresenza di circolarità e linearità che non l’affermazione
del secondo impianto temporale sul primo (cfr. P. Rossi, Vicissitudo rerum, in Il
passato, la memoria, le idee. Sei saggi di storia delle idee, Bologna, Il Mulino,
2001 2, pp. 95-117). Persino nel caso di forme non lineari come l’aria con da capo
non si verifica una reale ciclicità: la ripresa risente in misura diversa dell’esperien-
za maturata nel corso del brano. La riproposizione della prima strofa in coda ad
un’aria non verrà percepita, nel quadro della definizione del personaggio e dei
suoi affetti, come pura e semplice ripetizione, ma piuttosto come la definitiva
asseverazione e affermazione di un concetto prevalente, rigenerato dal procedi-
mento dialettico appena trascorso (lo dice bene, riguardo alla forma sonata stru-
mentale, P. Gallarati, Il primo movimento dell’“Incompiuta”, in «Musica e Storia»,
XIV: La didattica dell’ascolto, 2006, pp. 607-615: 613: «la ripresa non apparirà
come una semplice ripetizione variata ma, piuttosto, come il ritorno da un viaggio
le cui esperienze ci fanno apparire sotto una luce diversa il luogo da cui siamo
partiti». In J. Hepokoski-W. Darcy, Elements of Sonata Theory: Norms, Types, and
Deformations in the Late-Eighteenth-Century Sonata, Oxford, Oxford University
Press, 2006, si introduce il concetto di rotational structure che, a seguito di diversi
gradi di variazione, suggerisce riguardo alla forma sonata l’immagine di una
traiettoria ‘a spirale’ piuttosto che non quella di una struttura realmente ‘ciclica’).

707
A NDREA C HEGAI

mentale con sottigliezza persino maggiore di quanto non gli fosse


possibile in arie incardinate su più stabili simmetrie nell’assegna-
zione di motivi ai segmenti di testo di volta in volta intonati, in cui
la più evidente articolazione dialettica sussisteva nel rapporto
della prima strofa con la seconda. Da parte sua la strofa B incre-
menta, al sopraggiungere dello stile sonatistico, la consueta pate-
ticissima intensità senza però perdere contatto con la restante
parte del testo. La vocazione intrinsecamente drammatica del-
l’aria settecentesca ne esce potenziata 58.
Se è vero quindi che i grandi nomi (Gluck e Mozart su tutti,
ma anche Sacchini o Cherubini) dopo essersi formati a quella
scuola prendono risolutamente altre strade che non l’opera seria –
tragédie lyrique e generi derivati, opera buffa e generi derivati –
ciò non significa che solo all’opera buffa o alla tragedia musicale
spettasse l’onere di aggiornare i canoni dell’opera, o di tentare di
farlo: anche le forme dell’opera seria mantennero una loro endo-
gena vitalità, vincolata ad un lessico formale più stabile ma non
per questo meno ricco. Ciò può ben disorientare lo storico: ad
una forma nascente e in progressiva affermazione (la moderna
forma sonata bitematica tripartita) viene a corrispondere una for-
ma d’aria viceversa alla sua ultima stagione, che tramite l’acquisi-
zione dello stile sonatistico vive una sorta di seconda giovinezza.
Osservando il tutto da un punto di vista più generale, un simile
impianto appare in linea con le tendenze dell’opera italiana di
quegli anni. Arie siffatte non rappresentano il futuro delle forme
drammatiche 59, ma delineano la conclusione di un’epoca: non la-
sciano gran traccia nell’opera successiva, ma costituiscono sem-
mai il fulgido compimento di un percorso tutto interno all’aria
medesima, e attestano al contempo come non sempre occorra
progredire verso altri congegni formali per dire cose diverse o per
dirle in altro modo. Il politematismo e la presenza di sezioni di
sviluppo introducono qui quella plasticità affettiva altrove – ad
esempio nell’opera buffa – perseguita con la successione di ‘tem-
pi’ ovvero sezioni diverse. Si tratta nel nostro caso di una dinami-
ca affettiva introiettata, ma non per questo meno efficace in ter-

58
Il concetto di ‘aria come dramma’ trova un ampio commento in J. Webster,
The Analysis of Mozart’s Arias, in Mozart Studies, a cura di C. Eisen, Oxford,
Clarendon Press, 1991, pp. 101-199.
59
Non è un caso che riguardo alle arie dell’opera buffa e ai rondò Galeazzi,
calandosi nel suo ruolo storico-didattico, ostenti una sprezzante indifferenza,
rinunziando a darne un modello: semplicemente la loro imprevedibilità non era
riducibile a forme standard, e men che meno all’impianto sonatistico che accomu-
na a fine secolo altri disparati generi (Galeazzi, Elementi cit., pp. 300 ss.).

708
F ORMA SONATA E ARIA COL DA CAPO

mini di progressione emotiva, ossia, per dirla con Dahlhaus, di


azione interiore 60.
In quest’ottica anche la presenza di ritornelli orchestrali poli-
tematici così articolati (praticati già prima dell’affermazione dello
stile sonatistico, ma lì più fertili di conseguenze sul piano della
forma) finisce per acquisire un senso un poco diverso rispetto alle
più circoscritte ‘introduzioni’. Se in quelle ci si limita a prospet-
tare in poche battute lo stato d’animo del personaggio tramite
l’anticipazione del motivo d’attacco, irradiato, si direbbe, dal per-
sonaggio medesimo, nel ritornello politematico («a microcosmos
of the movement» secondo Webster 61) è la stessa dialettica affet-
tiva ad essere prefigurata con mezzi propriamente musicali. Gale-
azzi si poneva il problema dal punto di vista scenico-attoriale,
deplorando la lunghezza di quei momenti 62, in cui l’intervento
strumentale è da intendersi prevalentemente come un «sostituto
“deverbalizzato” del canto» 63. Il quesito del senso teatrale di quelle
sezioni è concreto e forse irrisolvibile. Certo non sarà già in gioco
quell’onniscienza che il compositore d’epoche successive manife-
sterà negli interventi strumentali rispetto all’animo dei propri
personaggi, come nella più romanzesca opera dell’Ottocento –
troppo alto il tasso di formalizzazione e tipizzazione delle arie
settecentesche. Tuttavia quegli spazi introduttivi puramente so-
nori, indotti magari da motivazioni architettoniche, danno vita a
un tempo scenico autonomo, lasciando che sia la musica ad illu-
strare con dovizia di particolari quali saranno i termini della que-
stione, carpiti dal personaggio e suggeriti anzitempo allo spettato-
re. Lo si interpreti in chiave diegetica o meno, il processo di
allontanamento dell’opera seria da una concezione logocentrica,
sempre che sia davvero esistita, è pienamente intrapreso.

S UMMARY
This essay looks at the intersections between genres. In the second
half of the eighteenth century, the aria with da capo and sonata form,
which the modern critical tradition tends to differentiate according to

60
Dahlhaus, Drammaturgia dell’opera italiana cit., pp. 132-135.
61
Webster, Are Mozart’s Concertos “Dramatic”? cit., p. 111.
62
«Oggi giorno però di rado si fanno i ritornelli così lunghi, che comporti-
no tutti questi Periodi, perché è veramente cosa indecente il far restar un Attore
tanto tempo mutolo a passeggiar sulle scene; onde si fa per lo più un sol periodo
di poche battute, che serva a dare il Tono al Cantante, e si fa subito entrar la
parte» (Elementi cit., p. 300).
63
L. Zoppelli, L’opera come racconto. Modi narrativi nel teatro musicale
dell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1994, pp. 86-87.

709
A NDREA C HEGAI

their diverse use and diverging fate (the decline of the aria with da capo
starts as the sonata form is gradually establishing itself) displayed a
similar compositive logic. On the basis of works by Sarti, Sacchini, Mo-
zart and others, and by comparing the literature of several of the main
essayists of the period, the overlapping of the two formal arrangements is
clear to see – it is today that any distinction is actually made; at the same
time reflections are made on the procedural nature of the aria with da
capo and the support offered by the sonata form in the creation of a
diverse, more complex dramaturgical perspective.

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