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INTERVENTI

ANTICID STRUMENTI DA TASTO:


ACCORDARLI, COLLEZIONARLI, IMMAGINARLI

Fisica, matematica, iconografi,z, .rtoria dell'arte, restauro, museologia, e owiamen-


te musica: le competenze disciplinari richieste allo specialista sono, nel caso dell'orga-
nologia, complesse e multiformi, e ne fanno una branca di studio sui generis. La co-
noscenza di uno strumento antico passa per l'analisi dei materiali di cui è fatto, per la
valutazione delle .rue origini e della storia collezionistica che ne hanno determinato lo
.rtato di conservazione, per la messa a punto dei criteri con cui dev'essere descritto,
catalogato, e se del caso accordate e rimesso in funzione. Ma talora l'organologo si
confronta anche con ciò di cr,i non può più dispo"e: degli strumenti dell'antichità re-
nzota non sussi.ltono che labili tracce materiali, a fronte di informazioni teoriche nu-
tnerose e sofisticate; e in presenza .di oggetti più recentz; pervenuti fino a noi, egli deve
co,nunque fare i conti con le modifiche cui lo strumento è stato sottoposto nel corso
dei secoli, con l'invecchiamento dei materiali, in buona sostanza con un suono che il
tempo ha modificato. La compren!iione e l'eventuale ripristino del pensiero sonoro del
passato costituiscono quindi un obiettivo mobile e in continuo aggiornamento, di cui
musicisti e musicologi non potranno non tenere conto nelle loro attività. Ci è parso
utile raccogliere in un singolo intervento tre scritti a commento di pubblicazioni re-
cent,; in cui la disciplina organologica, limitatamente agli strumenti da tasto, viene
inte"ogata nelle sue varie peculia-rità, tra loro diverse ma sempre concettualmente in-
tegrate.

GABRIELE GJACOMELLI (La Spezia): Sulle tracce di antiche intonazioni. - A proposito di


PATRIZIO BARBIERI, Enharmonic lnstru,nents and Music 1470-1900, Latina, 11 Levante,
2008 («Tastata. Studi e Documenti», 2), XIJ-616 pp., con un CD audio.

Quattro secoli e mezw di musica e strumenti enarmonici: questo l'oggetto del


volume, dove per 'enarmonia' - si sgombri subito il campo da possibili equivoci -
s'ìniende la pratica di sistemi musicali caratterizzati dalla presenza di microintervalli,
sulla falsariga del genere enarmonico teorizzato nell'antica Grecia. Non sembri questa
una precisazione superflua, dato che tale termine ha avuto anche in passato diverse
accezioni, come ad esempio nell'epoca barocca, quando si definivano enarmoniche
composizioni che in realtà non prevedevano affatto guani o quinti di tono, ma solo
un largo impiego di note alterate, come nel caso dell'emblematica Fuga • Diatonico
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Enannonico Cromatico tratta dalla Sonata per violino n. 6 (1754) di Nicola Porpora,
trattato nel volume qui discusso a p. 272.
Il libro di Patrizio Barbieri si compone di undici capitoli corrispondenti ad altret-
tanti saggi pubblicati fra il 1983 e il 2007 , in questa sede aggiornati, integrati, in al-
cuni casi ri~critti. A motivo di ciò non mancano parti ripetitive - relative soprattutto
ai concetti fondamentali della teoria del temperamento - che hanno tuttavia il merito
di consentire al lettore il reperimento delle informazioni necessarie alla comprensione
di ciascun capitolo senza dover ricorrere alla lettura dei precedenti.
Dietro il titolo un po' dimesso ed essenziale - com'è nello stile dell'autore, che
del mondo anglosassone ha assimilato, oltre alla lingua, l'asciuttezza della prosa - si
cela in realtà molto più di quanto si possa inizialmente immaginare. Infatti, i riferimen-
ti alla storia musicale, al repertorio e alla prassi esecutiva di cantanti e suonatori di
strument i come le tastiere, il violino o il flauto sono numerosi e pertinenti - si
perdona volentieri la sbrigativa etichetta di 'French impressionist' data a Debussy
(p. 10) - , ben oltre i confini dell'enarmonia e grazie a un quadro molto vasto dei
sistemi scalari antichi e moderni (anzitutto quelli europei), fino a sfiorare aspetti propri
della psicoacustica.
Il valore didattico del volume risulta evidente, oltre che per la chiarezza della pro-
sa (che non costituisce un fatto scontato nella saggistica di derivazione italiana), anche
per le schematiche conclusioni riassuntive poste in calce a ciascun capitolo: la lunga
esperienza dell'autore in qualità di insegnante prima nella scuola media superiore poi
nell'università ha lasciato felicemente il segno. Utilissimi sono inoltre i vari scherni, le
formule aritmetiche, le delucidazioni grafiche, le riproduzioni di disegni d'epoca, di
pagine contenenti diagrammi ed esempi inclusi in antichi trattari, le fotografie di stru-
menti musicali antichi o modernamente riprodotti in copia: tutti elementi che concor-
rono a costituire un apparato iconografico davvero imponente, forse il più ricco in
assoluto fra quelli dfaponibili sulla materia in oggetto. Né mancano gli esempi audio,
che trovano nel CD allegato al volume un prezioso complemento alla trattazione. Esso
contiene infatti le versioni sonore, riprodotte digitalmente, delle composizioni musi-
cali citate nel testo, ma anche degli intervalli grandi e piccoli intonati secondo i vari
sistemi, la cui comprensione risulterebbe assai ardua se basata sulle sole formule arit-
metiche. In appendice al volume sono pubblicati una vasta bibliografia delle opere
citate, l'indice del contenuto del CD, gli indici dei nomi e delle materie.
Il libro si suddivide in due ampie parti, ciascuna delle quali comprende cinque
capitoli, più una terza brevissima costituita dal solo ultimo capitolo. Nella prima par-
te, intitolata Open-chain Systems (pp. 1-276), sono presentati i sistemi enarmonici ba-
sati sulle scale pitagoriche, naturali e mesotoniche, ossia i sistemi aperti, non ciclici,
caratterizzati dalla presenza di differenti distanze intervallari fra i vari gradi della sca-
la, tali da determinare un uso priYilegiato di cene tonalità a scapito di altre che pos-
sono risultare impraticabili. La trattazione inizia ripercorrendo sinteticamente le vi-
cende legate al passaggio in epoca rinascimentale dall'accordatura pitagorica
ali'accordatura basata sulla scala naturale, ossia quella costruita sui rapporti esistenti
fra i primi sei numeri interi, il cosiddetto senari.o zarliniano, e all'accordatura meso-
tonica (nota ali'epoca come sistema partecipato, che annulla la differenza fra tono
ANTICHI STRUMllNTI DA TASTO: ACCORDARLI, COLLEZ IONARLI, IMMAGINARLI !O.I

grande e tono piccolo, rispettivamente espressi dalle proporzioni 9: 8 e IO: 9), secon-
do UD lungo e non rettilineo processo che si snoda nel periodo compreso fra il 1470 e
il 1650 circa. lo questo contesto s'inserisce l'interessante polemica fra Gioseffo Zar-
lino e Vincenzo Galilei circa la pratica vocale del tempo. Secondo Zarlino, i cantori
intonavano infatti tutti gli intervalli puri, quindi le quinte erano cantate nel!'esatta
proporzione naturale di 3 : 2, tesi confutata da Galilei. A questo proposito è di grande
aiuto alla comprensione del probl.ema il CD allegato, che alla traccia n. 3 propone la
realizzazione di un esempio scritto, proprio negli anni della polemica citata, dal ma-
tematico Giovanni Battista Benedetti, che dimostra come l'intonazione pura di tutti
gli intervalli (quindi senza alcun battimento) conduca inevitabilmente a una significa-
tiva modifica del diapason nel giro di poche frasi musicali. Alla base di tale questione
sta, com'è noto, il problema della scala naturale ottenuta mediante la sovrapposizione
di quinte pure, procedimento che,. una volta riportati i suoni ottenuti nell' àmbito dcl-
i'ottava iniziale, non produce terze pure (corrispondenti quindi alle proporzioni 5 : 4
la maggiore e 6: 5 la minore), bensì terze maggiori più larghe di un comma sintonico
(81 : 80) e terze minori più strette -della stessa quantità, tali da risultare dissonanti. Da
qui la necessità di correggere, "temperare" alcuni intervalli di quinta in modo da ot-
tenere terze accettabili, che nella musica polifonica rinascimentale erano di fonda-
mentale importanza.
Se gli ensembles vocali hanno sempre potuto risolvere questi problemi aggiustan•
do l'intonazione dei singoli intervalli di volta in volta a seconda delle evenienze, ben
più complessa è la questione per gli strumenti musicali, in particolare per quelli a suo-
no fisso come le tastiere, per le quali si deve ovviamente scegliere a priori che tipo di
temperamento adottare, senza possibilità di aggiustamenti cammin facendo. Ora, fin.
tanto che il brano da eseguire rimaneva in un range limitato di note, cioè fino a che
non si superavano i limiti di due bemolli e di tre diesis, si potevano adottare varie so-
luzioni ricorrendo al temperamento di alcune quinte di una data quantità di suono (la
soluzione più frequente consisteva nel ridurle di UD quarto di comma); ma quando si
eccedeva tale àmbito - spesso a motivo delle trasposizioni cui venivano frequente-
mente sottoposti i modi ecclesiastici per assecondare le esigenze dei cantori - ecco
che entravano necessariamente in gioco altri dispositivi che permettevano di ottenere
buone consonanze, se non proprio perfette, su un numero più ampio di note.
Si spiega così la nascita, nella seconda metà del Quattrocento, di cembali e organi
dotati di tasti spezzati, soprattutto per le coppie di note Rei -Mi, e Soli-La,, intonate
alla distanza di un rnicrointervallo, noto come diesis enartnonico. Q\lando tale spez-
zatura fu estesa a tutti e dnque i tasti neri della tastiera, oltre al Mi e al Si corredaci
di un tastino per il Mii e il Sii, nacque il cembalo cromatico, così denominato per la
prima volta dal napoletano Ascanio lllfayone nel 1609, ma già conosciuto da teorici
come Nicola Vicentino 0555), Gioseffo Zarlino (1558) e Francisco Salinas (1577).
Un ulteriore passo nella direzione intrapresa fu costituito dalla realizzazione del cem-
balo enarmorùco, di cui parla Zadino a proposito di uno strumento costruito da Do-
menico da Pesaro nel 1548, caratterizzato dalla divisione di t\ltti i ton.i in quattro tasti;
esso disponeva dunque di Do, Re, Fa, Sol e Lall, mancanti nel cembalo cromatico.
Ancora, nel 1606 il cembalaro Vito Trasuntino realizzò un nuovo strwnento enarmo-
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nico denominato clavemusicum omnitonum, oggi conservato nel Museo della Musica
di Bo]ogna, in cw figurano altri sette tasti spezzati per le note Mj e Si U, Do e Fa 1, Si,
Mi e LaH, per un rotale di 31 tasti entro l'ottava. A questo proposito s'inserisce l'im-
portante riflessione di Barbieri, cl-,e nota come raie soluzione fosse assai prossima a
quella adottata nel famoso archicembalo del Vicentino, che però era dotato di un
temperamento equabile, l'ETS 31 - l'acronimo si scioglie in equa/ tempered system - ,
essendo in questo caso tutte le quinte risu:cttc di poco più di un quarto di comma.
L'autore nota inoltre come le denominazionj di cembalc cromatico e ,·embalo enarmo-
nico fossero spesso int:erscambiabili. La regola generale che individuerebbe nel primo
uno strumento avente un'estensione annooica di 20 quinte (Fa.-Sil) e nel secondo
un'estensione allargata a 30 quinte, arrivando a comprendere note con doppia altera-
zione (il circolo delle quinte procede in questo caso da Soh, a Lall) veniva io effetti
spesso disattesa, CO.me nel caso degli organi progettaù da Emilio de' Cava}jeri per la
~-orte medicea, indifferentemente descritù nei vari inventari ora come cromaùci ora
come enarmonici.
Se gli strumenti cromaùci ed enarmonici ad accordarura mesotonica trovavano
anche un'applic-.izione pratica (come nel caso appena citato degli organi di Cavalieri),
non altrettanto accadeva per quelli ad accordatura natural.e (nei quali, fra l'altro, si
avevano toni di due tipi, corrispondenti alle proporzioni 9: 8 e 10: 9), impiegati quasi
esclusivamente per finalità teoriche, come i cc.mbali progettati da Zarlino o da Ga-
leazzo Sabbatini. Quanto agli strumenti a corde tastate (liuti e viole), Barbieri asseri-
sce che non vi sia alcun documento storico che menzioni esplicitamente l'esistenza di
un ipoietico liuto cromatico, anche se alcuni esperimenti furono messi in atto in tal
senso mediante l'aggiunta di tastini di avorio che non percorrevano l'intera larghezza
del manico; casi diversi erano quelli del violone panarmonico di Giovanni Battista
Doni e del lirone enarmonico di Pietro Salvetti, strumenti muniti entrambi di tasti
di budello addizionali che, attraversando il manico nella sua interezza, dividevano tut-
ù i semitoni maggiori in semitoni minori e diesis enarmonici.
La produzione di strumenti a tastiera enarmonici decadde intorno al 1670, per
poi trovare un nuovo impulso verso il 1760. L'Inghilterra fu uno dei centri propulsori
di tale revival, che durò fin verso la metà del secolo XlX, periodo in. cui furono rea-
lizzati pianoforti enarmonici che, sebbene dotati di soli 12 tasti per ottava, grazie ad
una serie di registri o di pedali potevano produrre un gran numero di oote alterate,
come l'Harmonic Piano Forte di David Loeschmann pubblicizzato nel 1809 sul «l'vlu-
sical Magazine». Verso la fine del. secolo, con l'affermarsi di una scrittura cromatica
sempre più sviluppata e con il successivo avvento della politona}jtà e dell'atonalit:à, la
prodozione di strumenti enarmonici cessò completamente, data l'accettazione univer-
sale del temperamento equabile im base 12.
Un discorso a parte meritano gli strumenti ad arco e a fiato che hanno fatto uso
sia dell'intonazione naturale sia di quella mesotonica fin verso la metà del secolo
XVIII. La pratica di diteggiature enarmoniche al violioo è autorevolmente testimonia-
ta da teorici come Leopold Mozart (17.56), né mancano composizioni in cui è eviden -
te l'impiego di microintcrvalli, co,ne il diesis enarmonico nella Sonata terza a violino
solo op. 7 0660) di Marco Uccellini, in cui il violino muo~•e da Mi a Fa passando per
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un Mii (cfr. l'Ex. C.45 a p. 144). Segno dclla passione coltivata, soprattutto in Italia,
per questi microintervalli fu la diffusione della cosiddetta maniera smorfiosa, praticata
da cantanti e violinisti almeno sino dai primi anni del Settecento, la quale consisteva
nell'uso, talvolta aspramente condannato, di veri e propri ponamenti o glissandi. Bar-
bieri ricorda in panicolare i casi di Niccolò Paganini per il violino e del sopranista
Giovanni Battista Velluti, ampiamente testimoniati dai documenti del tempo. Scopo
di tale prassi esecutiva era quello di ottenere un maggior grado di espressività, e non
certo quello di far rivivere gli antichi modi greci, finalità che invece aveva mosso nella
prima metà del Seicento il teorico fiorentino Giovanni Battista Doni. Costui aveva in-
fatti approfondito la conoscenza del!' antica trattatistica greca, giungendo a progettare
e realizzare strumenti capaci di eseguite microintervalli, come la lyra barberina, così
denominata in omaggio al pontefice Urbano VIII. E' questo lo strumento che conferì
a Doni maggior fama, essendo capace di riprodurre anche l'antico genere enarmoni-
co. Tanto la lira quanto gli altri strumenti progettati da Doni ebbero tuttavia scar-
so impiego e caddero ben presto in disuso, avendo la musica europea virato verso
tutt'altra direzione.
E a tale direzione è dedicata la seconda parte del volume (Closed-cbain Systems,
pp. 277-545), in cui si affrontano i cosiddetti 'sistemi chiusi', ciclici, ossia quelli basati
sui numerosi temperamenti equabili, caratterizzati dall'uguale alterazione di tutte le
quinte del ci.rcolo annonico. Tali sistemi, com'è noto, si ottengono mediante la divi-
sione del!'ottava in n parti uguali; il più noto è il sistema temperato equabile attuai•
mente in uso, l'ETS 12, basato appunto sulla divisone dell'ottava in 12 parti uguali.
Vantaggio comune dei sistemi equabili è la possibilità di circolare in tutte le tonalità
senza alcuna preclusione. Ciò avviene a scapito della purezza degli intervalli che, ec-
cezion fatta per le ottave, risultano rutti temperati.
aa
Ora, se l'ETS 12, annullando differenza fra semi1.o no maggiore e semitono mi•
nore mediante la soppressione del diesis enarmonico, ha ben poco a che fare con l'e -
nam,onia - Barbieri ne ripercorre comunque la storia, ricordando come esso fosse
stato 1eoriz1.ato e anche messo in pratica oltre un secolo prima dell'età bachiana - ,
altri temperamenti equabili prevedono invece un gran numero di microintervalli.
Fra questi, il più importante è il già ricordato ETS 31, utilizzato da Nicola Vicentino
nel suo archicembalo (concepito intorno al 1540) e quindi nel successivo arciorgano,
singolari strumenti effigiati nella bella medaglia coniata da lui stesso e riprodotta sulla
coperta del volume qui recensito. Tali strumenti erano dunque dotati di 3 J tasti per
ogni ottava, distribuiti su due tastiere, ciascurut delle quali era munita di tre ordini di
tasti, il primo costituito dai tasti bianchi, gli altri due da tasti neri spezzati. Intento del
Vicentino era quello di far rivivere il genere enarmonico dell'ant.ica teoria greca; a tale
scopo offrì anche una dimostrazione pratica, pubblicando nel trattato L'antica ,nusica
ridotta alla moderna prattica (1555) alcuni madrigali a quattro voci (particolarmente
interessante il ptimo, intitolato ,'vf.usica prisca caput tenebris modo sustulit altis) conte-
nenti passi enarmonici che Barbieri provvede opponunamente a intavolare - dimo-
srrando anche la loro eseguibilità sull'archicembalo ETS 31 - e a riprodurre digital-
mente nel CO allegato. L'archicem'balo del Vicentino ebbe numerosi seguaci fino ben
addentro l'epoca barocca, essendo tuttavia costoro interessati più alle possibilità che
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tale strwnento offriva di modulare in ogni direzione e di trasportare i br-.llli in qualsiasi


tonalità che non alla riesumazione dell'antico genere enarmonico. Barbieri si sofferma
in particolare sulla sambuca lincea del napoletano Fabio Colonna, un archicembalo
realizzato con l'intento di semplificare e perfezionare il tricembalo ideato da Scipione
Stella. Quest'ultimo era stato, non a caso, al servizio del principe Carlo C'.esualdo, che
aveva avuto modo di conoscere e apprezzare l'archicembalo del Vicentino a Ferrara,
dove gli era stato presentato da Luzzasco Luzzaschi. Allo stesso filone appartengono
anche l'archicembalo progeuato a Roma dal pittore Domenico Zampieri detto il Do-
menichino (ma non l'arpa visibile nel suo celebre dipinto raffìgur-ante Re David, dotata
delle sole corde enarmoniche per le coppie Rei-Mii e Soll-La1), il cembalo onnicordo
di Francesco Nigeui, allievo di Girolamo Frescobaldi e organista del duomo di Firenze
nella seconda metà del Seicento, e l'archicembalo dotato di una tastatura nova pe,fecta
del tedesco Ivo Salzinger, attivo intorno al 1720 nella corte di Dusseldorf.
Di tutte queste realizzazioni, quella che secondo Barbieri ebbe migliore riuscita fu
l'archicembalo di Nigetti, la cui versione definitiva fu approntata nel 1670. L'autore si
sofferma anche sul ruolo svolto da Nigetti nel restauro degli organi di S. Maria del
Fiore, le cui tastiere rinascimentali erano dotate di tasti spezzati per le usuali coppie
MikRel e Soli-Lai,. A p. 469 vengono ripubblicati i disegni secenteschi di queste ta-
stiere (traendoli dalla monografia, debitamente citata, di G. Giacomelli ed E. Sette-
soldi, Gli organi di S. Maria del Fiore di Firenze: sette secoli di stona dal '300 al
'900, Firenze, Leo S. Olscbki, 1993, p. 294), nei quali è visibile la numerazione adot-
tata in corrispondenza dei suddetti tasti spezzati. A titolo di cronaca, rilevo come la
singolarità di tale numerazione stia nel fatto che- sebbene il disegnatore dichiari che i
numeri apposti ai tasti non siano quelli comunemente usati dagli organisti, avendo
egli preferito seguire «l'ordine della musica» (cfr. il documento pubblicato in Giaco-
melli-Settesoldi, G/; organi di S. Maria del Fiore cit., p. 273) in modo che a numero
maggiore corrisponda canoa più alta - il Sol è numerato 18, il Soli (spezzato anterio-
re) 19, il Lai (spezzato posteriore) 21, e il La 20. È altn.-sì da notare che nella prima
parte dell'ottava la numerazione è invece corretta: Re 26, Rei (spezzato posteriore)
27 , Mi1 (spezzato anteriore) 28, J\,fi 29. Al momento non è dato trovare alcuna giu•
stificaziooe plausibile per tale incongruente numerazione, che viene sistematicamente
adottata anche negli alrri disegni di tastiere non ripubblicati da Barbieò.
Dopo aver dedicato un capitolo al flauto enarmonico (del tipo ETS 24) realizzato
alla fine del Settecento dal napoletano Giovanni Battista Orazi allo scopo di imitare i
portamenti praticati dai cantanti e dai violinisti, come dimostra il divertente Trio ri-
prodotto nel c o allegato, il volume si conclude con una ter2a parte ("Deregulated" Sys-
tems, pp. 547-552), una sorta di divertissement fmale, avente com.e oggetto lo zoor-
gano, illusionistico marchingegno più adatto a una Wunderkammer che a un contesto
musicale.
Il valore del ponderoso volun1e risiede dunque tanto nella vastità della trattazione
- ma è lecito attendersi che l'autore si occupi in fururo della musica balcanica e me-
diorientale che ha influenzato musicisti come Mozart o Haydn e ha richiamato l'at-
tenzione di letterati come quel Giovanni Bauista T oderini, che nella sua Letteratura
turchesca (1787) pubblicò una scala di «note italiane» messa a confronto con una di
ANTICHI STRUMENTI DA TASTO , ACCORDARLI, COLLEZIONARLI, IMMAGINARLI 105

«note turche» ricca di microintervalli caratteristici di quel repertorio - quanto nella


puntualizzazione di alcuni concetti basilari tutt'altro che scontati. Cito, ad esempio,
quanto Barbieri afferma a proposito della definizione di semitono, che ogni princi-
piante identificherebbe con l'esatta metà del tono, quando invece in antico indicava
un tono più o meno ristretto (dr. p. 7). E trova così giustificazione la tradizionale de•
nominazione di scala diatonìca (rimasta tutt'oggi in uso, se pur con differente acce•
zione), in quanto interamente composta di toni, di cui cinque normali (espressi cioè
dal rapporto 9 : 8 nel sistema pitasorico) e due, appunto, ristretti.
Altro luogo comune che il volume contribuisce a sfatare - per la verità rimasto
tale solo nella mentalità corrente di appassionati e dilenanti di musica - è la convin-
zione che con l'affermarsi del temperamento equabile in base 12 gli altri sistemi siano
d'incanto scomparsi. Fra i tanti casi a smentita di tale convincimento l'autore ricorda
quello della Gran Bretagna (p. 59), ancora nell'Ottocento fedele al sistema mesotoni•
co per l'accordatura dei pianoforti, accordatura che è del resto riscontrabile in tanti
organi antichi, anche della nostra penìsola, fino alle soglie del Novecento .
Secoli di disquisizioni teoriche, accompagnate talvolta anche da esperimenti pra-
tici su come risolvere il problema dell'intonazione deg(j intervalli, su come suddivide-
re l'ottava e come spaccare il tono in tre, quattro, cinque e più parti: un dibattito che
da tempo è quasi assente_, o quanto meno silente, dall'orizzonte culturale, anche se
non mancano isolati revivals nella musica contemporanea, grazie soprattutto alle nuo-
ve possibilità offerte dal moderno computer. In definitiva, il mondo che Barbieri in-
daga con grande competenza e acuta attenzione presuppone un'aristocratica raffina-
tezza della percezione uditiva, davvero rara in un'epoca come l'attuale, così inquinata
anche dal punto di vista acustico.

GABRIELE Rossr RoGNONl (Firenze): Sul/'edizione di alcuni cataloghi di strumenti. - Al-


ia ni:erca dei suo11i perduti: arte e musica negli strumenti della collezione di Fernanda
Giulini: ,\fila110 e Briosco I In Search o/ Lost Sounds: Art and Music in the lns/rument
Coll.ection o/ Fernanda Giulini, catalogo a cura di John Henry van der Meer, in col-
laborazione con Grani O'Brien et .al., Briosco, Villa t.ledici Giulini, 2006 («Alla ricer•
ca dei suoni perduti»), 715 pp., con due CD audio; Schanz lo strumento dei Pri,rcipi:
arte e musica nella Milano dell'Ottoce11to al tempo di Cristi11a Archinto Trivulzio I
Schanz tbc l,1strument o/ Pni1ces: Art and Music in the Nineteenth-Century Milan at
the Time o/ Cristina Archinto Tn·vulzio, a cura di ·F ernando Mazzocca et al. , Briosco,
Villa Medici Giulini, 2008 («Alla ricerca dei suoni perduti», Appendice 1), 143 pp.,
con un DVD; Collezione Tagliavini. Catalogo degli strumenti musicali, 2 voli., a cura di
John Henry van dcr Meer e Luigi Fetdinando Tag(javini, Bologna, Bononia Unìver-
sity Press, 2008, 760 pp.

N egli s tudi organologici i cataloghi di strumenti musicali vantano una tradizione


che si sviluppa in Europa e negli Stati Uniti dalla seconda metà del secolo X1X A
partire aln1eno dal secondo dopoguerra, essi trascendono progressivamente la funzio-
ne di elencare i pezzi di una collezione, trasformandosi sempre più spesso in studi
106 GABRIELE ROSSI ROGNONI

approfonditi sugli strumenti considerati e divenendo quindi un tassello importante


per lo sviluppo metodologico della disciplina. Il risultato di questa tendenza è una
tradiijone catalografica tutt'altro che standardizzata, all'interno della quale ogni auro-
re ha ampie possibilità di scelta nell'àmbito degli interessi e delle inclinazioni perso-
nali, dei vincoli imposti volta per volta dalle risorse tecnologiche e finanziarie dispo-
nibili e, specie nel caso di collezioni privare, dall'influenza esercitata dal comminente.
Tra gli studiosi determinanti nello sviluppo di un linguaggio catalografico speci-
fico nel secondo Novecento è certamente da annoverare .fohn Henry van der Meer,
curatore della sezione musicale del Gemeentemuseum dell'Aia tra il 1954 e il '62, e
poi primo direnore della collezione di srrwnenti musicali e del laboratorio di restauro
del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga, di cui curò il catalogo scientifico
(Wilhelmshaven, Heinrichshofen, 1979). Tra le sue quasi duecento pubblicazioni so•
no di particolare rilievo quelle dedicate all'Italia (una bibliografia sintetica fu pubbli-
cata nel 1996 in ,m volume di «Liuteria Musica e Cultura» dedicatogli dall'allora cu-
ratore Renato Meucci), tra cui spiccano i cataloghi di tre importanti collezioni
(Catalogo degli stn,menti musicali dell'Accademia Filarmonica di Veroft4, Verona, Ac-
cademia Filarmonica, 1982; Clavicembali e spine/le tUll XVI al XIX secolo: collezio11e
L F. Tagliavini, Bologna, GrafIS, 1986; Strumenti musicali europei del Museo Civico
Medievale di Bologna, ib,d., Nuova Alfa, 199>) che, aggiungendosi ai due considerati
in queste righe, fanno di lui in assoluto il più prolifico tra gli autori di cataloghi su
collezioni italiane di strumenti musicali.
Se si confrontano i cataloghi italiani di Van der Meer, è possibile tracciare lo svi-
luppo di un sistema di pensiero e di un metodo. Il catalogo della collezione del!' Ac-
c-ademia Filarmonica di Verona colpisce per l'estrema sintesi delle descrizioni di molti
strumenti - poco più della trascrizione del marchio e delle misure fondainentali -, ma
già io esso le schede tecniche sono intercalare da resti che forniscono w1 inquadra-
mento storico-musicale (l'ùitroduzione affronta gli strumenti cinquecenteschi nell'ot-
tica dell'emancipazione della musi.ca strumentale, e più avanti si trova una discussione
sul diapason degli strumenti rùiascimentali): un indice dell'impegno, che sarebbe poi
stato la marca dei cataloghi di Van der Meer, a concepire il catalogo non come Wla
pubblicazione puramente tecnico-descrittiva, ma come Wl progetto storico-culturale
più ampio basato sul gruppo di strumenti in esame.
Tale aspirazione, che là compariva solo in embrione, si sarebbe poi sviluppata d el
tuno nel successivo catalogo italiano da lui curato, quello degli strumenti a ta~1iera a
corde pizzicate della collezione di Luigi Ferdinando Tagliavini, compilato a quattro
mani con il collezionista e pubblic.ato grazie alla Cassa di Risparmio in Bologna in oc-
casione della mostra organizzata nella Chiesa di S. Giorgio in Poggiale durante I' au-
tunno 1986. Qui emergevano già tulle le qualità che avrebbero caratterizzato il lavoro
caralografico di Van der Meer: un saggio introduttivo ("Panorama storico del!' arte
cembalaria in Italia", pp. 1}-57), di respiro tale da fame nei successivi vent'anni il te-
sto italiano di riferimento su questo argomento (con un primo superamento degli stu-
di di Frank Hubbard che, pur col merito di individuare le peculiarità della cembalaria
italiaiia, ne avevano ridotto le varietà locali e cronologiche a un singolo modello);
un'attenzione al recupero di una terminologia storicamente accurata che avrebbe por-
ANTICHI STRUMENTI DA TASTO, ACCORDARLI. COLLEZIONARLI, IMMAGINARLI 107

tato negli anni all'abbandono di anglicismi tardi (come virginale) e alla loro sostituzio-
ne con termini riconducibili invece alla tradizione storica italiana e che, se alla loro
prima comparsa moderna apparivano oscuri, si sono negli anni ampiamente affermati
(ne è un esempio l'uso di arpicordo per indicare la spinetta poligonale); e qui si impo-
neva inoltre, per la prima volta in run catalogo ital.iano, la scelta di articolare la descri-
zione di ogni singolo strumento in sezioni chiaramente individuate, relative alle sue
pani principali o caraticri distintivi, col duplice obiettivo <li permettere un migliore
orientamento da pane del lettore in schede lunghe e dettagliate, e soprattutto di im-
porre al catalogatore un metodo ricorrente, ripetibile e confrontabile tra <liversi stru-
menti (e quindi veramente "scientifico"). Altri elementi di novità, almeno rispetto alla
tradizione italiana, erano il numero e il dettaglio di fotografie, finalizzate non più solo
a individuare l'oggetto, ma che costituivano un vero e proprio corredo tecnico alla
descrizione; il ricorso a metodi scientifici di indagine - la radiografia e il rilevamento
delle modanature - allora pionieristici, specie per il catalogo di una colle1.ione privata;
il trattamento degli aspetti pittorici e decorativi come elemento a sé, aflìdato a una
storica dell'arte (Wanda Bergamini); infine, il dettaglio delle misurazioni, vera miniera
di informazioni per il confronto con strumenti analoghi, la cui ricchezza - lo eviden-
ziò Edward L. Kottick io una recensione apparsa nel «Journal of the American Mu-
sical lnstrument Society» (XIV, 1988, pp. 174-177) - poteva essere superato solo da
un disegno tecnico.
11,1olti cli questi elementi - contesrnalizza,jone storica, sistematicità delle schede,
attenzione terminologica - si ritrovano negli ultimi due cataloghi curati da Van der
Meer prima della sua scomparsa nel febbraio 2008: quello della collezione di Fernan-
da Giulini, e la seconda edizione, ampliata e aggiornata, <li quello della collezione di
Luigi Ferdinando Tagliavini. I due cataloghi, due monumenti per mole e qualità
scientifica, divergono in maniera :sostanziale nell'impostazione per via del differente
pubblico a cui si rivolgono: un àmbito rigorosamente scientifico e specialistico per il
secondo, uno più ampio per il primo, tale da includere anche lettori appassionati ma
privi di una preparazione specifica. (La pubblicazione del catalogo Giulini è stata in•
trodotta da \'falter e Stein: gli strumenti di Mozart, a cura di G. Barigazzi, J. H. van
der tvleer et al., Briosco-Milano, Villa Medici Gi.ulini • Teatro alla Scala, 2006.)
Fernanda Giulini, imprenditrice milanese cli successo, collezionista e pianista per
passione (diplomata con Brw10 Canino), offre cenamente uno degli esempi recenti
più notevoli e brillanti in Italia nel campo del collezionismo privato cli strumenti mu-
sicali a tastiera. Un.endo la propria curiosità alla capacità <li avvalersi di collaboratori e
consulenti d'eccellenza - primo tra tutti Van der Meer stesso-, ella è riuscita, nell'ar-
co di alcuni anni, a costituire una delle collezioni di strumenti a tastiera più ricche e
interessanti d'Italia. La sua raccoka, divisa tra la residenza milanese e la villa secente-
sca di Briosco, riuni.sce infatti una sessantina di strumenti (ma il nun1ero è in continua
crescita), tra cui spiccano, per numero e importanza, i pianofoni, che ne costituiscono
l'esatta metà. Tra essi brilla in particolare la sezione degli strumenti viennesi a cavallo
tra Sette e Ottocento, il periodo d'oro di questa scuola: uno strumento di Nannette e
Matthaus Andreas Stein (databile. tra il 1794 e il 1805; scheda n. IO), due cli Anton
\X/alter (ca. 1789 e 1796; nn. 11-12), due (ma come si dirà più avanti, un terzo si è
108 GABRIELE ROSSI ROGNONI

aggiunto dopo la pubblicazione del catalogo) di Johann Schanz (ca. 1810 e 1810-20;
nn. 13-14) e due di Conrad Graf (ca. 1834; nn. 16-17). Ad essi si aggiungono tra l'al-
tro due pianoforti cli Pleyel (1839 e 1852; nn. 22-23 ), il primo dei quali coevo e so-
stanzialmente identico a uno strumento che appartenne a Fryderyk Chopin e che il
compositore portò con sé nel 1848 allorché lasciò Parigi per Londra, e alcuni rari
e interessanti strumenti di costrutt:ori italiani (in particolare i fratelli Elli, n. 28; e Gae-
tano Scappa, n. 29), realizzati a cavallo tra Sette e Ottocento. Di epoca più recente
sono poi sci strumenti, tutti successivi alla metà dell'Ottocento, tra cui un interessante
mezza coda aliquot (un sistema ideato da Julius Bliithner nel 1873 per arricchire il
timbro del pianofotte tramite corde di risonanza; n. 36). Dello stesso gruppo fanno
inoltre parte uno strumento combinatorio (pianoforte e cembalo) costruito a Berna
nel 1763 (a meno di un ventennio di distanza dall'analogo e celebre strumento com-
binatorio di Giovanni Ferrini, ora nella collezione di Luigi Ferdiando T agliavini; n. 9),
e un cembalo trasformato in pianoforte già nel 1759 (n. 8).
Questi ultimi due ~,rumenti fanno da /ra11 d'union con il secondo nucleo, in or-
dine di rilevanza, della collezione, quello cioè costituito dai sette strumenti a corde
pizzicate: quattro cembali, di cui due napoletani (il primo, del 1679, il più anrico stru-
mento superstite di Giovanni Natale Boccalari, n. 1; l'altro attribuito a Onofrio Guar-
racino, n. 3) e uno probabilmente appartenuto al cardinale Pietro Vito Ottoboni (pa-
pa Alessandro Vlll tta il 1689 e il '91), con un dipinto sul coperchio attribuito a Luca
Giordano (n. 2); inoltre, un arpicordo rettangolare (n. 7) e due spinette ottavine
(nn. 5-6). Un terzo nucleo cospicuo è costituito dalle undici arpe datate tra l'ultimo
quarto del Sette e il primo dell'Ottocento (nn. 42-52), in larga parte francesi - tre di
Jean-Henri Naderman -, salvo due strumenti inglesi degli anni '20 dell'Ottocento.
Completano la collezione tre organi positivi italiani datati tra i secoli XVII e XVIII
(nn. 39-41), cinque salieri (nn. 53-57), tre dei quali italiani, due mandolini e una chi-
tarra (on. 58-60).
Le schede sono ordinate per tipologia di strumento (cembali, pianoforti prece•
denti e successivi al 1850, organi, arpe, salteri, mandolini, chitarra) e, in subordine,
su base geografica e cronologica. Ciascuna tipologia è stata affidata, come è ormai
consuetudine in un settore di studi che tende sempre più alla specializzazione, a
un diverso studioso, a partire dai più autorevoli nomi a livello internazionale: i cem•
balie i pianoforti antecedenti al 1850 sono stati descritti insieme ai salieri da Van der
Meer stesso, mentre Grant O'Brien, per anni curatore della Russell Collection dell'U-
niversità di Edimburgo, si è occupato dei pianoforti moderni. Le schede degli organi
sono state predisposte da Oscar Mischiati - la sua scomparsa nel 2004 evidenzia in
qualche modo la lunga gestazione di questo catalogo -, mentre le schede delle arpe
sono state affidate a Dagmar Droysen-Reber, già direttrice dello Staatliches Institut
fiir Musikforschung Preu.Bischer Kulturbesitz di Berlino e autrice di un catalogo del-
le arpe del Musikinstrumentenmuseum di quella città, vero e proprio modello di ri-
ferimento per gli studi su questo strumento (cfr. D. Droysen-Reber e B. \'qolf, Ha,fen
des Berliner Musikinstrumenten-Museum, Berlin, Staatliches Institut fiir Musikfor-
schung, I 999). Le schede di mandolini e chitarre sono state redatte da Tiziano Rizzi,
unico italiano tra gli autori delle schede, ben noto tra l'altro per le collaborazioni ai
ANTICHI STRUMENTI DA TASTO, ACCORDARLI, CO LLEZIONARLI, IMMAGINARLI 109

cataloghi del Museo Teatrale alla Scala e della collezione del Castello Sforzesco di
Milano.
Pur differenziandosi pec l'impostazione impcessa da ogni autoce, ciascuna scheda
è costituita da una pcima parte, in cui oltre ali'eventuale attribuzione, figura la descri-
zione oggettiva, priva cioè di commenti personali, delle caratteristiche costruttive del-
lo strumenro. Con la sola eccezione dei salteri, le schede si articolano in sezioni; una
descrizione-tipo di un cembalo, ad esempio, si articola in: iscrizioni, cassa esterna "le-
vatoia", corpo dello strumento, supporto, leggio, tavola acmonica, somiere, ponticelli,
tastiera, disposizione attuale (dei salterelli), salterelli, alcune misure, attribuzione. Alla
parte descrittiva segue, se opportuna, una parte dedicata alla descrizione storico-arti-
stica delle decorazioni (a cuca di Daniela Di Castro, Carlo Bertelli e Linda Martino) e,
nel caso, una nota araldica (di Andreina Bazzi). Le schede sono corredate da un' am-
pia documentazione fotogcafìca a colori degli strumenti nella loro interezza, a volte
inseriti nello sfondo della villa in cui sono custoditi, e di numerosi particolari tecnici
e decocativi.
Ciascun gruppo di schede è preceduto da un ampio studio, affidato ali' autoce che
le ha curate, di taglio storico (o metodologico, nel caso dei pianoforti moderni), che
amplia l'orizzonte del lettoce dagli strumenti della collezione a una ricostcuzione di
cespko e dettaglio tale da costituire, in molti casi, la più estesa e particolaceggiata sin-
tesi esistente in lingua italiana sulle vicende e trasformazioni di quella tipologia.
La ricchezza degli appacati iconografici, a volte addirittura sovrabbondanti e tutti
a colori (con la sola eccezione delle immagini cicavate da altee pubblicazioni in bian•
co-e-ncco), contribuisce a tendere il volume attraente e a fornirgli una doppia perso-
nalità che combina - secondo la volontà della collezionista - un prodotto scientifico
di altisskno livello con i caratteri di un co/fee table book in carta patinata. Copertina
rigida e considerevole peso (di quasi quanro chili in oltre 700 pagine) non lo rendono
di agevole consultazione per lo studioso itinerante, così come il prezzo di 150 euro,
pur ampiamente giustificato dalla ricchezza e qualità del volume, ne limita fatalmente
la fruizione.
Concludono il catalogo sette saggi che offrono una cornice metodologica e teo•
rica generale sulle competenze compendiate nella stesura del volume, dall'iconografia
musicale (C. Bertelli, "Le immagini della musica", pp. 564-581, e D. Di Castro, "For-
tepiani, oggetti d'arredo", pp. 582-593), all'araldica (A. Bazzi, "Nota introduttiva di
araldica", pp. 594-597), dall'organologia (R Meucci, "Fondamenti di Organologia
musicale", pp. 598-617) ai rapporti tra musica e architettura (P. F . Bagatti Valsecchi,
"Musica e architenura", pp. 632-637), accanto a due approfondimenti relativi alle
origini degli strumenti a tastieca (L. Libia, "Riflessioni sulla storia dei primi stcumenti
a tastiera", pp. 626-63 l) e a una fonte coeva concernente gli strumenti di Streicher e
Schanz (M. Latcham, "Johann Ferclinand Schiinfeld: conversazioni su Streicher e
Schanz", pp. 618-625) , costruttori rappresentati nella collezione.
Una bella serie di schizzi (pp. 638-653 ), realizzati dal noto architetto milanese
Guglielmo Mozzoni e ispirati da F ernanda Giulini, dalla sua collezione e dai concetti
che ella stessa organizza nella residenza di Briosco, precede le appendici tecniche:
profili delle modanature negli strumenti a tastiera a corde pizzicate (di A. Gatti e
110 GABRIELE ROSSI QOGNONI

V. Ricetti, pp. 654-66:5), glossario relativo a essenze legnose e cordofoni a tastiera (A.
Bonza, pp. 666-685), alle arpe (D. Droysen-Reber, pp. 686-691) e agli strwnenti a
pizzico (T. Rizzi, p. 692 sg.), i curricula degli autori (sedici in tutto; pp. 694-698),
una tavola di confronto tra le no-tazioni italiane e quelle definite "Helrnholtz" (ma
la definizione è impropria in quanto il sistema qui utilizzato è una rielaborazione
con apici e pedici numerici di quello introdotto dal fisico tedesco; p. 699), le biblio-
grafie relative a strwnenti a tastiera, alla decorazione, alle arpe e agli strumenti a piz-
zico (pp. 702-708), l'indice dei nomi (pp. 709-712) e l'indice generale (pp. 713-715).
Il testo è integrahnente tradotto in lingua inglese a fronte; a corredo del volume, due
CD con registrazioni, in parte eseguite dalla medesima collezionista, che riproducono
il suono di ciascuno degli strwnenti descritti.
Nel suo complesso, il volume rappresenta un'impresa degna di ammirazione per
la quantità e la qualità del materiale che vi è confluito, per il coinvolgimento di auto-
revoli collaboratori che offrono un compendio di metodi e competenze di rara effi-
cacia e per una continua tensione ali'eccellenza che non ha dovuto misurarsi con i
limiti, abituali in questo genere di pubblicazioni, imposti da considerazioni di tipo
economico o da ristrettezze di tempi e di risorse umane. Proprio l'enorme ricchezza
ne costituisce, paradossalmente, il limite maggiore: infatti, il volume sarebbe forse
risultato più facilmente consultabile se fosse stata operata una selezione più drastica
del materiale. La sezione sulle arpe è preceduta da ben due saggi storici introduttivi,
uno di Van der Meer ("Nascita e sviluppo dell'arpa", pp. 388-409) e uno di Droyser-
Reber ("Notizie storiche sulle arpe dell'Europa occidentale", pp. 414-431), sostan-
zialmente sovrapponibili. Del pari, sorprende ritrovare ampi stralci del saggio con-
clusivo di Bertelli anche nel COfipO delle schede dei cen1bali. L'organizzazione di
una simile mole di materiale avrebbe richiesto l'intervento di un abile redattore al
quale affidare la messa a punto dell'intero lavoro. Sono frequenti i refusi: solo per
citare i più evidenti, Musicoogia nel sommario (p. 9) e Dagmar Droyser-Reber che
diventa Dogmar nell'intestazione di p. 686, senza contare la doppia etinlologia di cor-
dofoni, a p. 388, in cui entrambi i termini greci citati sono errati; c'è qualche errore
di impaginazione (il glossario di Rizzi scompare dall'indice di p. 666); e manca un
criterio uniforme per i rinvii bibliografici (pp. 700-708) e per le didascalie delle im-
magini a corredo dei saggi (a questo proposito, colpisce anche l'assenza di referenze
fotografiche, soprattutto in considerazione dei numerosi prestiti da libri e opere di
pubblico dominio).
Una critica già mossa da un :p recedente recensore (cfr. Thomas McCraken nel
«Journal of the American Musical lostrument Society», XXXIV, 2008, pp. 144-
149) riguarda la traduzione; ma anche in questo caso i difetti sono da imputarsi
più alla mancanza di un'accurata redazione che al lavoro, per altri aspetti eccellente,
dell'anonimo traduttore: una sorprendente discrepanza tra scelta del traduttore e
volontà dell'autore è rappresentata ad esempio dall'utilizzo nell'italiano della vec-
chia dfatinzione tra fortepiano per gli strumenti costruiti prima del 1850 e pianoforte
per quelli successivi (entrambi i termini compaiono però in inglese come piano). Si
tratta chiaramente di una scelta arbitraria del traduttore, visto che nel testo inglese
- quello originale - Van der ?.1eer stesso dedica un capoverso polemico a chi «oggi
ANTICHI SlRUMENTI DA TASTO, ACCORDMlLJ, COl.1.F.ZIONAJ\Ll. IMMAGINARLI IJI

... ancora pensa che gli strumenti costruiti prima del 1850 ca. dovrebbero essere
chiamati /ortepiani meotre quelli costruiti io epoca successiva dovrebbero chiamarsi
invece pianoforti. Questa opinione manca totalmente cli fondamento storico»
(p. 39).
Circa l'articolazione delle schede non si spiega, ad esempio, la decisione di iose•
rire le misure delle arpe in appendice alle schede anziché nel corso del testo, come
avviene per tutti gli altri strumenti. Si tratta di difficoltà evidentemente insorte nel
corso della lunga e complessa gestazione del lavoro: le s.i sarebbe potute evitare defi-
nendo preliminarmente criteri uniformi di stesura delle schede.
Restano da segnalare due omissioni, una per scelta e l'altra probabilmente per svi-
sta. La prima riguarda la decisione di non inserire infonnazioni sullo scato di conser-
vazione, e su eventuali interventi di rescaurn e manutenzione degli strumenti (indiC'a•
zione tanto più preziosa in una collezione in cui tutti gli strumenti sono efficienti,
anche per meglio valutare criticamente l'attendibilità del suono offerto dalle registra·
zioni dei CD allegati); la seconda riguarda .invece la carenza diffusa - che contrasta con
l'opulenza del volume - nel rinviare alla bibliografia di riferimento da cui sono tratte
alcune informazioni sostanziali per talune schede: penso in particolare ai lavori di
Francesco Nocerino su Onofrio Guarracino, che non compaiono io bibliografia
pur essendo la fonte evidente della biografia pubblicata a p. 114 sg. a firma di Grant
O'Brien, e a quelli di Elena Previdi sui fratelli Elli, fonte taciuta della nota biografica
di p. 262 sg. Si tratca tuttavia di mancan,.e che non sminuiscono il val.ore di un volume
destinato a essere ricordato come un evento eccezionale nel campo degli studi sulle
colle-1:ioni di stru.menLi musicali.
Una collezione di strumenti n111sicali, specialmente quando appartiene ancora al-
i' appassionato collezioni.~ta che l'ha creata, è un organismo vivo, destinato a crescere
ed evolversi nel tempo, così come lo sono le conoscenze sugli strumenti che la com-
pongono. Per quesra ragione, quando il catalogo della collezione Giulini non era an-
cora stato completato, il progetto editoriale si arricchiva di una serie cli appendici mo-
nografiche destinate a illustrare le nuove acquisizioni o approfondire alcune sezioni
della collezione.
La prima di queste appendici è stata pubblicata a due anni di clistanza dal cara-
logo, quando la nobildonna milanese Beatrice ManrllZ7.o Aiclùnto ha donato a Fer-
nanda Giulini un pianofone costruito da Johann Schanz - nel volume il nome figura,
rispecchiando l'uso ottocentesco, anche come Schantz - a Vienna nel 1816 circa e ap•
panenuto a Cristina Archinro Trivulzio. Il dono, oltre che dalla pubblicazione del vo-
lume qui discusso, è stato celebrato con un concerto per il quale è stata eccezional-
mente concessa in prestito la celebre viola "Archinto" di Antonio Stradivari
(Cremona 16%, posseduta dalla Royal Acaderny of Music di Londra dal 1890, ma
già appartenuta a Giuseppe Archinto, marito di Cristina, tra il 1800 e il '60) e con
una mostra ospitata dal Museo Poldi Pezzoli di t.1ilano tra il 2008 e il 2009. La cu-
ratela del volunie è attribuita, nel frontespizio, ai cinque aotori dei saggi ivi contenuti
(cooicché esso risulterebbe ipso facto privo di curatore), ma si può immagioare che
dietro tale scelta si celi il ruolo di coo.rdinamento e armonizzazione esercitato in prima
persona dalla collezionista.
112 GA5RnlL~ ROSSI ROGNONI

Il saggio di apertura, del noto critico d'arte Fernando t,,1azzocca ("Passioni eru-
dite e il culto del bello, tra quadri e oote, nelle case Trivulzio e Archinto ai tempi del-
l'Impero e del Regno Lombardo-Veneto", pp. 8-31}, affronta il contesto estetico e
cuhui:ale delle case Trivulzio e A.rchinto nella Milano del primo Ottocento, con par•
ticolare attenzione al grande ritratto di Pelagio Palagi esposto alla Galleria di Brera
nel 1824 e qui riprodotto in copertina, che raffigura Cristina Archinto Trivulzio,
già proprietaria del pianoforte, in nobile posa neoclassica con il figlio Luigi accanto
a un'arpa Érard e a uno spartito ancora da identificare (si tratta di una riproduzione
talmente accurata da lasciare ipotizzare un significato specifico del brano riprodotto
- un quartetto vocale in Mi maggiore con accompagnamento di pianoforte - in relazio-
ne ai committenti). Sulla base di testimonianze artistiche superstiti (dipinti, schizzi),
Mazzocca ripercorre le vicende di due delle più importanti famiglie milanesi dell'epo-
ca, legate a vario titolo a personaggi del calibro di Vincenzo Monti, Giuseppe e Gian
Giacomo Poldi Pezzoli (quest'ultimo fondatore del museo omonimo), Nicolò Tom-
maseo e Alessandro Rolla (l'esecuzione di una sua sonata per viola e pianoforte ha
costituito il momento culminante del già menzionato concerto). Rolla peraltro dedicò
rispettivamente a Giuseppe e Luigi (padre e figlio) Archinto due serie di tre duetti
per due violini, pubblicati da Ricordi.
Il pezzo forte del volume, quello che reca le maggiori novità al di là dell'impor•
tanza di questo singolo strumento, è il saggio dell'organologo palennirano Giovanni
Paolo Di Stefano ("Johann Schantz e i pianoforti viennesi in Italia", pp. 32-77), in cui
si analizza la produzione di Schanz nel suo complesso a partire dalle testimonianze
che figurano negli epistolari di Haydn e di Beethoven, suoi contemporanei in una
Vienna in cui le provvigioni per i celebri compositori disponibili a legare il proprio
noroc ai molti costruttori di pianoforti si aggiungevano alle fonti di sostentamento tra•
dizionalmente disponibili per i musicisti liberi professionisti. Di Stefano prosegue de-
scrivendo le più rilevanti innovazioni introdotte da Schanz nella costruzione dei pia-
noforti, in particolare il sistema di fissaggio dei paramartelli, la divisione del
ponticello in due sezioni e l'adozione dell'equalizzazione della posizione delle punte
sul ponticello, prima di affrontare con risultati sorprendenti la diffusione dei piano•
forti di questo costruttore in Italia: dei 61 strumenti che l'autore è riuscito a indivi-
duare in collezioni pubbliche e p-rivate in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone,
oltre la metà si trova infatti attualmente nel nostro paese. Un fenomeno storicamente
giustificato dai dominii austriaci sui territori italiani dell'Ottocento, dalle mode cultu-
rali dell'epoca e dai dazi che sfavorivano la concorrenza francese e inglese.
Al saggio seguono due appendici. La prima è costituita da schede sintetiche re-
lative a ciascuno dei pianoforti Schanz individuati, un repertorio di grande utilità la
cui unica pecca consiste nelle dimensioni troppo ridotte delle fotografie (una per eia•
scwio strumento) a corredo delle schede. La seconda appendice riproduce invece 28
placchette del nome di altrettanti strumenti, con immagini la cui qualità non sempre
eccellente è ampiamente giustificata dalla difficoltà di reperire il materiale da un nu-
mero così vasto di proprietari. Spiace rilevare, ma la responsabilità oon è dell'autore,
che tra i pochissimi strumenti di cui non è stato possibile raccogliere informazioni
ANTICHI STRUMENTI DA TASTO: ACCORDARLI, COLLEZIONARLI, IMMAGINARLI 113

compaiano i tre custoditi nel Museo nazionale degli Strumenti musicali di Roma, che
sono quindi solo elencati.
1 due saggi successivi risultano piuttosto tangenziali all'argomento trattato nel vo-
lume: uno affronta il rapporto delle sorelle Cristina e Rosina Trivulzio con la musica
(cfr. L. Galli, "Le sorelle Cristina e Rosina Trivulzio e la musica", pp. 78-85) e l'altro
è di fatto uno studio araldico su uno stemma d'alleanza della famiglia Archinto (cfr.
A. Bazzi, "Nota araldica i,er lo stemma di alleanza Archinto", p. 86 sg.), che l'autrice
data al primo Settecento (quindi circa un secolo prima del periodo cui è dedicato il
volume).
Conclude il volu.m e la relazione tecnica sullo strumento, redatta da Grant
O'Brien ("Relazione organologica. Pianoforte viennese, Johann Schanz, Vienna, ca.
1816. Collezione di Fernanda Giulini, Briosco, Italia", pp. 88-141) che, oltre ad
un•accurata descrizione del pianoforte stesso, offre un esempio magistrale dei risultati
che si possono ottenere mediante l'applicazione delle metodologie d'indagine messe
a punto negli anni dall'autore stesso: lo studio del sistema di incordatura (precedu-
to dall'enunciazione, utile al di là di questo specifico esempio applicativo, dei cri-
teri per decidere se una corda è o non è originale) e la ricostruzione dei criteri secon•
do cui è stato progettato lo strumento, ipotizzatì per via induttiva, applicando i me•
todi della MaEanalyse sulla scorta dell'unità di misura in origine utilizzata dal costrut•
tore, lo Zoll e il FuB (pollice e piede) viennesi. Anche in questo caso, il volume è
infine corredato da un CD contenente approfondimenti e registrazioni effettuate sul-
lo strumento.
Nel complesso, la prima appendice al catalogo costituisce un i,rezioso studio mo•
nografico dedicato al costn1ttore, oltre che un'eccellente documentazione relativa allo
strumento en1rato a far pane della collezione, ed è destinata a diventare un indispen•
sabile punto di partenza per successivi s1udi su Schanz, il cui numero di strumenti
noti si è ora accresciu10 di un teczo. Dal i,un10 di vista editoriale, il volume unisce
la stessa generosità del catalogo (carta patinata, numerose immagini rune a colori)
a una maggior cura redazionale. !La 1endenza alla sovrabbondanza è qui molto più
contenuta (sebbene i ritratti di Gian Giacomo Trivulzio e di Beatrice SerbeUoni siano
riprodotti, identici salvo che nella resa cromatica, sia a p. 19 sia a p. 8} , e il ritrailo di
Cristina Archinto Trivulzio compaia, intero o in particolare, non meno di se1te volte
inclusa la copertina). AU'arclùtettura complessiva avrebbe probabilrnen1e giovato l'in-
tervento più spietato nella selezione dei contributi in base ali' attinenza con I'argomen•
to - il rischio è quello della dispersione -, ma è Wl raro lusso potersi lamentare del-
l'eccesso di informazioni, e nell'abbondanza si 1rova comunque sempre anche quel
che si cerca. (Mentre questo testo è in redazione, sono stare pubblicate anche le Ap-
pendici 2 e}: si traila rispe1tivamenre di Note di valzer nel mondo viennese: arte e mu•
sica nel /ortepiano di Heitz.mann, a cura di F. L. Arruga, L. di Fronzo, E. Previdi e
G. P. Di Stefano, Briosco, Villa Medici Giulini, 2010; e Chopin e 11 suono di Pleyet. Arte e
tnusica nella Parigi romantica, a cura di FI. Gétreau, ibid., 2010, con un CD audio.)
È impossibile presen1are in poche parole la figura di Luigi Ferdinando Tagliavini,
muskologo e organista, professore emerito di Musicologia nell'Università di Friburgo
nello Uechtland, accademico di santa Cecilia, medaglia d'oro per la cultura del Mini-

8
114 GABRIELE ROSSI ROGNONI

stero della Pubblica Istruzione, dottore honcris causa nelle Università di Bologna e di
Edimburgo oltre che del Pontificio Istituto di Musica sacra di Roma, e organist of the
year della American Guild of Organists. La sua collezione - si legge nell'introduzione
al catalogo - nasce dall'in.teresse del musicista a esplorare, ali'alba della riscoperta ita-
liana della musica "antica" nel dopoguerra, il suono "autentico" degli strumenri sei-
settecentesch.i, abbandonando i cembali industriali diffusi in quegli anni. Il fatto che
lo stimolo colle,ionistico sia derivato dalla ricerca sonora più che dal gusto di racco-
gliere oggetti preziosi è evidente dalla lista dei sedici strumenti, solo una pane della
colle-.1:ione di allora, esposti in occasione della già citata mostra del 1986: grandi nomi
- pur presenti, come nel caso di Onofrio Guarracino e Silvestro Albana - vi occupa-
vano un ruolo marginale, mentre einergeva la varietà dei modelli, pur nel setiore ben
delimitato degli strumenti italiani a tastiera a corde pizzicate: sette clavicembali co-
struiti tra il 1679 e il 1791 (compresi i tre ~"trumenti del bolognese Giovanni Maria
Goccini, unica concessione al collezionismo puro), due spinette (o arpicordi, nella de-
fmizione di Van der Meer) poligonali cinquecentesche, una spinetta ali'ottava, tre spi-
nette rettangolari costruite tra la fine del Cinquecento e il primo Ottocento, due spi-
nette traverse e uno strumento combinatorio, il celebre cembalo-pianoforte di
Giovanni Ferrini (Firenze 1746), forse la più bella testimonianza della sopravvivenza
di quella scuola costruttiva sperimentale fiorentina iniziata da Bartolomeo Cristofori,
di cui Ferrini era stato uno dei due soli allievi, e che aveva portato negli ultimi anni
del Seicento all'invenzione del pianoforte.
Come si è detto, la most.t a e ili catalogo furono sostenuti, ali' epoca, dalla Cassa di
Risparmio in Bologna, e alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna Tagliavini ha
deciso, alcuni anni or sono, di don.are la propria t-ollezione, esposta permanentemente
nell'oratorio di S. Colombano, un nuovo museo appositamente realizzato. Tale dona-
zione è stata celebrata con la pubblicazione di una nuova edizione, questa volta inte-
grale e ampiamente aggiornata, dd catalogo della collezione.
Agli strumenti sopradencati, alcuni dei quali - anonimi nell'86 - sono stati nel
frnttempo attribuiti con certezza o in via ipotetica, si aggiungono ne clavicordi (uno
dei quali italiano e cinquecentesco: scheda Al), alcune nuove acquisizioni (in panico-
lare un clavicembalo del napoletano Nicolò Albana, BI), dodici pianoforti, tre dei
quali bolognesi del primo Ottocento (due di Luigi Barbieri, 1820 circa: D8-9), due
organi positivi (El-2), due armonium (indicati rispettivamente con il nome ottocente-
sco di physharmonica efisar111011ica a seconda della provenienza geografica: Fl-2) e tre
curiosità - wi pianoforte a cristalli, uno a diapason e uno a barre metalliche (Gl-3) -,
cui si aggiungono un salterio italiano (Hl), un mandolino napoletano (Il) e alcuni
strumenti a fiato (tra cui una collezione di ocarine 1,l -l O).
Le schede degli strumenti, oltre sessanta, sono ordinate per tipologia secondo un
modello classificatorio elaborato appositamente per questa occasione. La suddivisio-
ne, interessante in sé dal punto di vista metodologico, è la seguente: cordofoni con
tastiera a leve (clavicordi, strumenti a tastiera a corde piz,.icate, strumenti a tastiera
combinatorii, strumenti a tastiera a corde percosse), aerofoni con tastiera a leve (or•
gani, aerofoni ad ancia libera), idiofoni (a tastiera), cordofoni sen.za tastiera a leve (sal-
teri, strumenti a corde pizzicate), aerofoni senza tastiera a leve (flagioletti, flauti tra-
ANTICHI ST RUMENTI DA TASTO, ACCOI\DA.RLI, COJ.LEZIONA.RLI, IMMAGINARLI J 15

versi, ocarine, aerofoni ad ancia doppia, aerofoni ad ancia semplice), strumenri auto•
matici (organi automatici, pianoforti automatici, carillons). T aie ordinamento, il cui
criterio purtroppo non viene esplicitato neppure nel saggio di Van der ~1eer ("La
classificazione degli strumenti musicali", pp. 555-565), rappresenra anche l'aspetto
che più lascia perplessi in un catalogo - vale la pena dirlo subito - peraltro ineccepi•
bile: il criterio primario di suddivisione è la p resenza di una tastiera a leve, la sua as•
senza ovvero la presenza di un'azione meccanica; tale scelta in parte risponde allo
schema proposto da Francis Galpin nel 1910 per la lnteroational Music Exhibition
(Londra, Crystal Palace): questo era però il primo degli attributi secondari, mentre
il criterio su cui si fondava la classificazione era la divisione tra sonorous substances,
qui idiofoni; vibrating membranes, qui non rappresentati; wind instruments e stringed
mstruments. Questo criterio richiederebbe però che la terza classe fosse definira come
idiofoni con tastiera a leve, mentre qui compare semplicemente come idiofoni, con
una sottodivisione in idiofoni a tastÌl'Ta. Stabilito inoltre l'ordine ricorrente cor@foni,
aerofoni, idiofoni (anche questo corrispondente all'inversione del!'ordine proposto da
Galpin nel 1910 con l'omissione dei membranofoni), esso viene sovvertito nella classe
strumenti automatici, in cui sono presentati nell'ordine aerofoni, cordofoni e idiofoni.
Infine risulta strana - se questa classificazione è stata realmente creata ad hoc per que-
sto lavoro- la presenza di sottoclassi apparentemente ridondanti in quanto conteneo•
ti ciascuna un solo oggetto (ad esempio la classe cordofoni senza tastiera a leve è sud-
divisa nelle sottoclassi salieri e strumenti a corde piv.ìcate, contenenti ciascuna un solo
oggetto).
Le schede, chiaramente rivolte a un pubblico di specialisti, contengono una serie
di informazioni che difficilmente potranno essere superate per quantità e qualità in
una successiva impresa catalografica. Il confronto con le schede pubblicate nella pri•
ma edizione evidenzia il recupero della stn1ttura fondamentale delle descrizioni e dei
commenti, ampliati però grazie alle informazioni raccolte nel corso di accurati restauri
e di ulteriori snidi iconografici svolti da Maria Cristina Casali, in aggiunta a quelli di
Wanda Bergamini già pubblicati nel 1986. L' anicolazione delle schede è metodolo•
gicamente analoga a quella adot.tata per il catalogo Giulini, ma se ne discosta per
la presenza di alcuni campi aggiuinti,~. Una descrizione-tipo si articola nelle seguenti
sezioni: fuma, data e iscrizioni; cassa esterna; supporto; corpo del cembalo; costnizio•
ne interna; tavola armonica; somiere; cornici sulla tavola armonica e sul somiere; pon•
ticelli; attacco delle corde; tastiera; guarnizioni; listc•guida dei registri; salterelli; cor•
de; misure; lunghezza delle porzioni vibranti delle corde e punti di pizzico; restauro;
vicende storiche; provenienza; nota biografica; nota bibliografica; discografia; si ag•
giunge inoltre un'eventuale sezione dedicata alle decorazioni. Al di là dei campi tee•
nici, sono preziosi quelli relativi alla provenienza dello strumento, in cui sono rego-
larmente indicati non solo la daua, ma anche la fonte e gli eventuali "debiti'' nei
confronti di chi ba segnalato lo stn1mento al!' attenzione del collezionista (è il. caso,
ad esempio, di Annalisa Bini e Renato Meucci cÌrC'J l'acquisto del già menzionato
cembalo Albana). Altrettanto dett:agliate e preziose risultano le bibliografie e le disco-
grafie, con l'indicazione di autore, brano, casa discografica, numero di catalogo e an•
no in calce a ciascuna scheda. Particolarmente curate sono inoltre le relazioni dei re•
116 GABRIELE ROSSI ROGNONI

staur-atori Arnaldo Boldrini e Renato Carnevali, che da anni accompagnano T agliavini


nella manutenzione attenta di una collezione di. strumenti tutti in condizione di suo-
nare (per ascoltarli è però necessario reperire il CD Ermitage 427-2, pubblicato nel
1996 e meritevole di riedizione) e sono autori anche della maggior parte degli schemi
costruttivi pubblicati in appendice (pp. 719-733). Le descrizioni sono corredate da
fotografie a colori degli strumenti e dei particolari necessari a coglierne le peculiarità.
Alle schede sono intercalati al,cuni saggi a fìnna di Van der Meer, relativi alla sto-
ria del clavicordo, alle vicende del!'arte ccmbalaria in Italia, agli strumenti combina-
torii, agli strumenti a tastiera a corde percosse e alla classificazione degli strumenti
musicali. Tali saggi sono complementari a quelli pubblicati nel catalogo Giulini:
più sintetico, qui, il testo sui pianoforti (pp. 375-407), molto più esteso invece quello
relativo al "Panorama storico dell'arte cembalaria in Italia" (pp. 83-149). Si tratta di
una revisione del saggio già apparso sotto il medesimo titolo nella prima edizione del
catalogo, e offre un'impressionante riprova dei progressi che le conoscenze sugli stru-
menti musicali "antichi" hanno compiuto nell'arco degli ultimi vent'anni. Esso con-
tiene inoltre una sintesi esplicativa delle scelte terminologiche adottate nel catalogo:
l'attenzione meticolosa di Van der Meer nel recupero della terminologia storica pog-
gia infatti, in questa edizione, su una consapevolezza ben più generalizzata e solida,
anche e soprattutto grazie all'opera di Renato Meucci, che ba radicalizzato alcune
scelte: in particolare l'adozione del termine arpicordo, al posto di spinetta, per desi-
gnare gli strumenti a tast iera a co.rde pizzicate con somiere laterale, e l'uso esclusivo
di .rpinetta a pianta rei/angolare (che nel 1986 doveva essere corredato dalla specifica
virginale, ora abbandonata) per gli strumenti che in inglese sono appunto definiti vit-
ginal. Vieoe inoltre individuata la tipologia 'spinetta napoletana a pianta rettangolare'
come variante specifica con somiere a sinistra, anziché a destra, della porzione vibran•
te delle corde.
Nel saggio relativo agli strumenti a tastiera a corde percosse si riscontra invece
proprio in àmbito terminologico una sorprendente discrepanza rispetto alle scelte
operate nel catalogo Giulini: in entrambi i casi si è infatti deciso di tradurre in italiano
i termini Sto,Bmechanik e Prellmechanick (sinora abitualmente mantenuti in tedesco
nella letteratura scientifica). Il primo è reso con meccanica a spinta, mentre il secondo
nel catalogo Giulini diventa meccanica a contraccolpo e qui meccanica a bila11ciere: a
questo punto, sarà necessario da parte degli studiosi italiani prendere una decisione
definitiva (ripensando anche se la scelta di conservare i termini tedeschi, in mancanza
di una tradizione storica italiana, non sia tutto sommato preferibile), onde evitare l'in-
sorgere di ulteriore confusione in. un settore che vi si presta volentieri.
Nelle appendici, oltre alla rieclizione ampliata dei profili delle modanature e delle
radiografie (rimpicciolite rispetto al 1986, ma rese più leggibili grazie ai progressi del-
!'elaborazione grafica), sono stati aggiunti i frontalini dei tasti, con le eccellenti foto-
grafie di Giancarlo Tagliavini, fratello del collezionista. Alcune piccole sviste editoriali
(il costruttore Albana compare come Abana nel titolo di p. 680) sono del tutto tra-
scurabili. Il lavoro è sorprendente per qualità e quantità dei contenuti e per rigore
metodologico, e costituirà un modello, o quantomeno una fonte di ispir-azione, per
la catalogazione degli strumenti a tastiera. Del catalogo è disponibile inoltre una tra-
ANT ICHI STRUMENTI DA TASTO: ACCO RDARLI, COLLEZIONARLI, I MMAGINARLI 1 17

duzione inglese ridotta a un solo volume, il terzo (Collezione Tagliavini: A Concise


English Catawgue, Bologna, Bononia University Press, 2009), che non è però stata
presa in esame per questo testo.

PASCAL WEJTMANN (Kiel): Lesenotizen betre/fend die Orge/ der Antike. - PAOLA DESsi,
L'organo tardoantico. Storie di sovranità e diplomazia, Padova, CLEUP, 2008, 399 pp.

Der Text auf dem riickseitigen Umschlag des Bandes - es handelt sich um eine
iiberarbeiteie Dissenationsschrift «in Musicologia e Beni musicali» an der Universitat
Bologna (2005/06) - setzt das Interesse von Herrschem und Kirchenvenretern an
der Orge!, vom Hellenisrnus bis in ottonische Zeit, ins Zentrum des hier zu bespre•
chenden Buches. Naturwissenschaftler, Kunstler und Historiker hatten je auf ihre
Weise die konigliche Rolle der Orge! auszudriicken versucht.
Die Einleitung ($. 7-11) referiert einige spektakulare Falle von Orgeln als Sraats•
geschenken, zuriickgehend vom 1'9. Jh. bis ins 1.3. Jh. Von einer naheren Zielsetzung
de.r Arbeit erfahren wir nichts, ebensowenig von Oberlegungen zur Methode oder
Abgrenzungen des Untersuchung:sgegenstandes. Eine Gesamtzusammenfassung mir
Ergebnissen am Schlu.B des Buches fehlt vollstandig.
Es erscbeint angreifbar, die Orge! auf offizielle bzw. liturgische Funktionen ein•
zuscbranken. SchlieBlicb gah sie etWa Cicero, Tusculanae disputatwnes III 18, 43 als
Gerat epikureischer Geniisse - sie .muB also auch in einem iiber den Umkreis der
Herrscher weit binausreichenden Bereich luxuri.oser weltlicher Feste Verwendung
gefunden haben, sie war «corredo musicale dell'intero Mediterraneo» und «legato
al mondo dello spettacolo», wie Dessì S. 93f. selbsr schreibt.
Die Arbeit gliedert sich in zwei Hauptteile. Der erste Haupteil, unter dem Titel
Una macchina sonora per la regalità, ist der antiken Geschichte der Orge! zwischen
dern 3. Jh. v. Chr. und dem 6. Jh. n. Chr. gewidmet (S. 13-109). Ein erster Abschnitt
behandelt die iiberlieferte Erfindung der Orge! durch den in Alexandria verschie-
dentlich fiir die Ptolemiier wirkenden Ktesibios bis hin zur Rezeption der Orge! bei Vi-
iruv ("Scienza e poiere", S. 15-31) . Dessìs Betonung der rituellen Bedeutsamkeit des
Friseurberufes dcs Ktesibios ist, soweit diese Herkunft nicht ohnehin T eil einer Er·
fmderanekdote sein solite, welche aus dcrn Verschieben des viitcrlichen Frisicrspic-
gels die grundlcgende Erftndung von Druckkolben und Orgelpfeifen zu crkliiren ver-
suchi (Vitruv, De architectura IX 8 , 2f.), sckundar gegeniiber der Rolle des t-fouseions
als Forschungsstiitte unter den Augen des Herrschers. M.i t Reinhold Hammerstein
(Mach1 und Klang, Bern, Francke, 1986, S. 24) ware au&rdem zu fragen, ob der Or•
gel oder der Hydraulik fiir Ktesibios das i.ibergeordnete Interesse zukam. Hier wie
durchgehend vermillt man einen kritischen Umgang mit den Quellen. So dann auch
S. 43f. die unkritische Referierung von Suetons Nerobild, obgleich clic noch postume
Popularitat dieses Herrschers, wie sie sogar Sueton, Nero 57 selbst einrawnen mu.Bte,
darauf hinweist, daB Sueton einseltig die senatorische Sicht vertrirt. Die Herleitung
des Begriffs machina aus «potenza, forza, efficacia» Oetzteres doch wohl allenfalls
oachantik), «nozione di intelligenza pronta e versatile» {S. 26f.) unterschlagt die eot-
118 PASCAi. WE1Th1ANN

scheidende zweideutige Grundbedeutung von 'List' und 'Betrug'. (Fr. Krafft, Kunst
und Natur: Die Heronische Froge und die Technik in der klarsischen Antike, «Antike
und Abendland», XIX, 1973, S. 1-19: 5-8, und andere seiner Schriften scheinen Dessì
unbekannt zu sein.)
Ein zweiter Abschnitt geht auf die Bedeutung der Orge! fur Nero und auf die
drei in Fragmenten erhaltenen Orgeln von Aventicum, Dion und Aquincum cin
("L'hydraulis nell'Impero romano", S. 33-61). Hier erstmals wird ein weiterer ge-
nereller Zug des Buches deutlich, Dessìs Ncigung zu ex,-essiven Exkursen, die mit
der Orge! oder ihrer Funktion wenig zu tun habeo: S. 38-42 han.delt allcin von der
Domus Aurea. Filr die Orgel von Dion wird S. 53 fiilschlich eine Datierung auf
das 3. stan l. Jh. v. Chr. (vgl. D. Pantermales, Dion, Athen, Adam, 1997, S. 85) sug-
geriert. Ein Exkurs S. 54-57 behandelt die Rolle des collegium centonariorum, in des-
sen Vereinshaus sich in Aquincum die Orgelfragmente fanden. Derartige collegia wa-
ren auch zustandig fiir die wurdige Bestanung ihrer tvlitglieder; aber auf der Basis
einer in dem Gebliude gefundenen Statuene des Cerberus (S. 124 ist er zum Sarapis
geworden) einen Kult des Sarapis zu behaupten und dann weiter, die Orge! von
Aquincum S. 59 «costituiva quindi la dimensione sonora del culto di Serapide», geht
angesichts der Fundlage im Schun des Kellers eines eingestilrzten Hauses zu weit.
Keineswegs bewiesen ist ebenso S. 61 die abschlieBende Folgerung, auch die Orgeln
von Dion und Aquincum seien der «dimensione sonora del potere politico del-
l'imperatore» zuzuordnen.
Ein dritter Abschnitt behandelt romische Schriftquellen und Denkmiiler des
2.-6. Jh. ("Insigne regiae dignitatis'', S. 63-92), die auf die Orge! bezugnehmen.
S. 75-84 ist dabei den Reliefs des Theodosiusobeliks in Istanbul gewidmet, die
S. 80f. als «celebrazione/rappresentazione del mito della vittoria» gedeutet werden.
Weshalb die zwei winzigen Orgeln, die auf der Sudostseite im untersten Register
eine Gruppe von Tanzerinnen rahmen, jedoch «i fattori principali della "presenti-
ficazione del mito''>, (S. 83) darsrellen sollen, ist nicht nachvollziehbar. Sie sind le-
diglich Beiwerk, Orchester fur eine Tanzdarbietung irn Hippodrom. S. 84 -91 folgt
ein Exkurs uber Contomiaten, auf denen, nach Dessìs Liste S. 90, bei drei heidni-
schen und einem christlichen Kaiser (Valentinian II.) eine Orge! aufgepragt ist.
Die Hypothese S. 91, daB auch bei diesen Orgeldarstellungen das konstantinische
Programm der lntegration heidni~cher und christlicher Elemente deutlich werden
solle, ist schon wegen des einzigen, und nachkonstantinischen, christlichen Bei-
spiels zu l,e-.,weifeln.
Ein vierter Abschnin handelt ubergreifend von der Rolle der Orgel in romischer
Zeit bei Schauspielen und bei Hofe ("La manifestazione sonora del potere", S. 93-
109). Der Exkurs S. 94 -102 zu den Schauspielen, mit manch gewagten Tbesen zu
den Gladiatoren, miindet S. 99 in die durch nichts belegbare These, daB der den ludi
inhiirente <<mito di Poseidone e il simbolismo del!'acqua che scaturisce dalle sorgenti
... s.i conservava anche nel!'organo>>.
Der zweite Haupneil, unter dem Titel Rapporti musicali tra Est e Ovest, kon:wn-
triert sich auf die Geschichte der Orge! im frilhen Mittelalter zwischen dem 6. und 8.
Jb. (S. 111-241).
ANTICHI STRUMENTI DA T ASTO, ACCORDARLI. COLLEZIONARLI. IMMAGINAKLI 1J9

Vorab werden weiterlaufende T raditionen der Kaiserzeit aufgewiesen ("Persi-


stenze", S. 11.3-138), ebenso der anscheinende Abbruch einer westlichen Tradition
der Orge! mit dem Ende des Ostgotenreiches. Aber hierzu folgt S. 118-123 der Nach-
weis des metaphorischen Vorkommens der Orge! im fruhchristlichen Sch.rifttum seit
Terrullian, der S. 123 in die fragwiirdigen Thesen einrniindet, da.B «il cristianesimo,
fin dal principio, individuò nello strumento un possibile veicolo del messaggio cristia-
no», ja spatestens seit dem 4. ]h. «la religione cristiana accolse anche quel carattere
salvifico attribuito ali'organo»; S. 125 wird gar <<il legan1e tra organo e idea di rina-
scita» bellauptet. Einziger Beleg dafur ist die auf Taf. 14 "~edergegebene linke Ne-
benseite des Sarkophages des hl. Sidonius in Saint-Maximin-la-Sainte-Baume. (Vg).
Br. Christem-Briesenick, Frankreich Algerien Tunesien, Mainz, Zabern, 200.3, «Reperto-
riwn der christ!ich-antiken Sarkophage», Bd. III, S. 233-2.35, Kat. 497 mit Taf. 121,
l. Diese, "~e manch andere wichtige kunsthistorische Literatur, wird von Dessì nicht
zitiert.) Ch.ristem-Briesenick ebd., S. 234 deutet die Orge! ganz entgegengesetzt, als
antikes Trauersymbol. Obergangen wird die Veruneilung heidnischer Schaustellun-
gen und Musik bei den friihchristilichen Autoren (vgl. dazu etwa E. W ellesz, A His-
lOry o/ By:r.antine Music a11d Hymnography, 3. Aufl., Oxford, Oarendon, 1998, S.
79-94). S. 118 fmdet sich aber der fiir die Auswenung der Quellentexte wichtige
Hinweis, daB orga1111m als Bezeichnung sowohl fiir die Orge! u~e fiir sonstige lnstru-
mente verwendet wurde.
Ein zweiter Abschnitt ("Relazioni diplomatiche nei secoli VIII e JX", S. 139-199)
handelt von der Aufnahme und Rolle der Orge! am karolingischen Hof zwischen Pip•
pin und Ludwig dem Frommen. S. 140-157 widmet sich dem Geschenk einer Orge!
durch den byzantinischen Kaiser Konstantin V. an Kèinig Pippin im Jahre 757, wozu
S. 145-148 die Kurzberichte slimt!icher erreichbarer Annalen der Zeit priisentien
werden. Dies aber wieder vèillig unkritisch, in einer Weise, als ob es sich um lauter
gleichwenige, parallele Quellen handeln wiirde, ohne die Frage gegenseitiger Abhan-
gigkeiten zu stellen. Der Exkurs S.. 151-158 zu den bei gleicher Gelegenheit anstellen-
den Unterhandlungen mit Tassilo von Bayern bringt teilweise Oberinterpretarionen
des \Vortlauts der Annalen, hat vor allem jedoch "1ieder keinerlei Bezug zu der Orge!,
was Dessì S. 157 selbst feststellt.
S. 162-169 handelt von der Ankunft eines venezianischen Orgelbauers am Hof
Lud...~gs des Frommen. Sein Erscheinen im Gefolge eines Grenzbearnten ist einfach
als Tatsache hinzunellmen, beleuchtet deshalb hier ebensowenig wie 757 clic parallel
dazu stattfindenden Ereignisse. S. 169-182 schlie.Bt sich dem ein Exkurs zu den en•
komiastischen Gedichten des Hermoldus Nigellus und Walahfrid Strabo an, der
S. 175 genutzt wird, die Rhetorik des Hermoldus (Dessìs Textbeispiel Nr. 63) ohne
U mschweife als Bekundung von Ludwigs angeblich g)eichanigem Selbstverstandnis
aufzufassen, «di mettersi in armonia con l'universo ... L'organo diveniva cioè
l'immagine dell'harmo11ia mu11di.» S. 183-189 werden die Orgeldarstellungen im
Utrechtpsalter bellandelt, der aber mit Sicherheit nicht das «più antico manoscritto
miniato di epoca carolingia» (S. 183) ist, sondern von der bereits mindestens zweiten
Generation karolingischer Buchmaler stammt. Stillschweigend wird angenommen,
da.B er fur Ludwig aus David e.in christ!iches Herrscherideal eotwickle. lnsofern
120 PASCAL WJ;lTMANN

ein Bezug des Manuskriptes zum Hof jedoch allcnfalls um 870 erweisbar ist (vgl. W.
Kohler, PI. Miitherich, Die Schule von Reims, I: Von den Anfiingen bis zur Mitte des 9.
Jahrhunderts, Berlin, Deutscher Verlag fiir Kunstwisse.nschaft, 1994, «Die karolingi-
schen Mi.niaturen», Bd. VI, l, S. 85; nicht zitiert}, konnte uber,eugender umgekehrt
geschlossen werden, daJI im Utreclitpsalter eine Anpassung der IJ<onographie fiir Da-
vid u.nd Saul nach dem zeitge.nossisch Oblicben erfolgt se.i. Die Beruck~ichtigung der
Orge! diirfte dabei wieder auf der Doppeldeutigkeit des lateinischen wortes organum
beruhen. S. 191-199 folgt abschlie&nd die lnterprctation der A.nekdote des Notker
Balbulus uber das Kopieren der byzanti.nischen Orge! und Musik anliilllich des Ge-
sandscbaftsbesuches von 812, bei der es sich aber nicht bloB um ein «aneddoto» ha.n-
delt (S. 195), insofem entsprechend beeinfluBte l>felodien tatsiichlich nachweisbar
sind (vgl. J. Handschin, Sur quelques tropaires grecs traduits en latin, «Annales musi-
cologiques», Il, 1954, S. 27-60: 30-45; nicht zitiert).
Ein dritter Abschnitt ("L'impegno della Chiesa", S. 201-241) handelt vom Ober-
gang des Gebrauchs der Orge! aus dem weltlichen Bereicb in denjenigen der Kirche
zwischen dem 9. und 12. Jh. Hier ist S. 206,208,212 und 228 die These vorgebracht,
die Orge! sei Ende des 9. Jh. fiir lntervallstudien bevorzugt worden, weil es bei ihr zu
deren Intonation keiner Erfahrung mit den Teilungen des Monochordes bedurft bat-
te. Das Argument widerlegt sich jedocb selbst, denn ein Instrument mit durch Zahl
u.nd Gestalt der Pfeifen fest justierten lntervallen ist selbstverstandlich gerade nicht
fur die vergleichende Untersuchung variabler lntervallverbindungen gceignet.
Die Arbeit schlie.Bt mit umfangreichen Anhiingen (S. 243-399). Die herangezoge-
nen Zitate aus schriftlichen Quellen fmden sich in einem alphabetisch geordneten,
katalogartigen Anhang (Testi, S. 279-328) in Originalsprache (der syrische Text
Nr. 76 des Johannes von Ephesos nur englisch); die me.isten davon sind im Haupttext
ins Italienische iibersetzt .
In Text Nr. 119 sind die Eigennamen Srraton, Aenesidem, Heraclit alle groB ru
schreiben, bei Nr. 105 fehlt im lateinischen Text die wichtige und in Dessìs Taf. 15
auch lesbare Oberschrift. Die Obersetzungen, Ruckgrat von Dessìs Bucb, sind teil-
weise sehr frei gehalten (etwa, in Rcihenfolge der herangezogenen Textnwnmem,
S. 109 Anm. 47 zu Nr. 44; S. 21f. zu Nr. 65; S. 232 zu Nr. 73; S. 128 zu Nr. 82; aben-
teuerlich der Martial S. 98 zu Nr. 9 1). S. 118 zu Nr. 120 ìst von «la preghiera» bei
Tertullian nicht die Rede, und dcr Sinn des Vergleichs erfordert zwingend, daE
der Herrgott nicht auf «suo strum.ento», sondem auf «suo organo» spielt. Geme wird
der Pluta! in einen Singular verwandelt, obgleich es beispielsweise durchaus nicht
gleichgiiltig ìst, ob Konig Pippin 757 «l'organo» oder organo aus Konstantinopel ge-
schenkt bekarn (S. 148 A.nm. 37 :zu Nr. 13; ebd. Anm. 35 zu Nr. 20. Gerade dieser
Pluta! liillt den Wert dieser Quellen bezweifeln; abnlich S. 239 zu Nr. 51). Nicht dank
Gottvaters, sondem wegen der Verdienste seines Vaters Karl sieht sich Ludwig der
Fromme gekront (S. 176 zu Nr. 61). Nicht «pienamente», sondem Rom und das
Ftankenland alle zusammen (cuncta) beherrscht er demnach (S. 174f. zu Nr. 63) .
.Es wiire also auch das lateinische 'Francia' mit 'paese dei Franchi' oder mit 'Franco-
nia' zu iibersetzen, nicht mit 'Francia/Frankreich'. S. 237 zu Nr. 87 verschweigt die
Obersetzung, d:ill die Monche von Malmesbury vertrieben waren und die dortige
ANTICHI STRU MENTI DA TASTO , ACCORDARLI, COLLF.Z.I ONARLI, IMMAGINARLI 121

Orge! restaurierungsbedurftig war nicbt als Opfer ciner cinfachen oblivio, sondem
wegen oblivionis senium, also etwa 'Hinfiilligkeit des Alters'; zudem faszinierte sie
nicbt lediglich durch «suono», sondem concentu, Harmonie. S. 134 zu Nr. 5 wird
barbita falscblich von 'barbio' abgeleitet. dadurch das Saiteninstrument 'Barbitos/
Barbiton/barbita' explizit als <<Strumento a canne» erkliirt und mit der Orge! gleich-
gesetzt, obwohl auf derselben Seite unten ein Riìtselgedicbt (Nr. 6) iibersetzt wird,
das dieses lnstrurnent iiber andete Saiteninstrumente deftoiert; S. 135-138 bringen,
obwohl sich zeigt, dal!, Dessi das Saiteninst.rument bekannt ist, Weiterungen aus die•
scr Fehliibersetzung. (Zur Existenz der Namensform 'barbita', vgl. Lexicon musicum
Latinum Medii Aevi s.v. hllp:l lwww.lml.badw.de/in/ol glossarb.htm, Juli 2012.)
S. 234f. zu Nr. 118 (don falsche Kapitelangabe 83 statt richtig 82) werden/o//es ('Bla•
sebiilge') und con/latorium ('Wincllade') beide mit dem doppeldeutigen 'mantici/
mantice' iibersetzt statt zu differenzieren. Oberhaupt: Im ganzen Buch wird oirgen•
dwo auf den technischen Aufbau einer Orge! oder gar deren technische Entwicklung
schon zwischen Hellenismus und Hochmittelalter, etwa Wasserorgel versus Orgel mit
Magazinbalg, eingegangen.
Die Bibliographie (S. 331-375) gliedert sich io Quellen und Sekundiirliteratur.
Von der Bibel wird nur eine italieniscbe Ùbersetzung unter dem Lemma 'Atti degli
Apostoli' ve.rzeichnet. Einige Quellentexte sind unter die Sekundiirliteratur geraten
(so Einhards K.arlsvi/4 - die Translatio s1eht dagegen bei den QueUen; die Schriften
Epikurs taucben nur, und gar noch vcrteilt auf zwci Stcllen, io dcr Sckuodiirliteratur
auf - unter 'Epicuro' und unter 'Opere'); auch die Einordnung von Pizzani/Milane•
ses Kommentar zu Augustios De ,nusica unter 'De·' statt 'Agostino' oder 'Pizzani' er•
staunt. Immer wieder begegnen falsche Angaben (Herausgeber der Teubner-Edition
Herons ist nicht G. sondern W. Scbmidt; Mignes Patrologia erschien zuerst in Paris,
nicbt bei Brepols in Turnhout; M. Bergmann schrieb Der Ko/ofl Neros, nicht M.
Bergamm; Kerényi schrieb das Dionysos-Buch, nicht Karényi - der Autor ist sogar
noch unter 'Ka' einsortiert; Schreibfehler im Titel von Schubert) oder unvollstiinclige
Angaben (Mehrbiindigkeit der Budé-Ausgabe des Zeremonienbuches Konst.antins
VII.; der sonst immer exzessiv angegebene Reihentitel fehlt zu Perrin). Poppe ist
in der Literaturliste richtig zitien; .im Text S. 235f. ftm1iert er aber teilweise als «Pop-
per». Die Scbreibung der Titel ist auch nicht immer ganz exakt reproduziert (Machi-
11a-Kolloquium 2004, Hammerstein, lvf.acht u11d Klang; Perrin; Datun1 bei Zsicli). \'Qir
fiihreo die Miingel hier nur stichprobenanig an. Diese Fehler finden sicb, weil n1echa-
nisch kopiert, identiscb in den Anmerkungen wieder.
Bei Oberpruf1mg der Anmerkungen fiillt hauftg auf, dal!, dort Titel scheinbar le-
diglich als Zierde erwiihnt werden, jedenfalls lassen sich in den benannten Referenzen
vielfach keinerlei Beziige zu Behauptungen des Textes finden, so etwa S. 17 Anm. 8
Hurschmann; 38 Anm. 19 Bergmann; 42 Anm. 27 Epikur; 71 Anm. 27; 178 Anm.
121 und 123.
Die dem Buch beigegebencn Abbildungen weisen mehrfacb leichte Farbstiche
(4, 12-14), Unscharfen oder Oberbelichtungen (6-9, 14) auf. Es handelt sich grofl..
tenteils um bekannte Motive. Dafur ist aber leider keine eiozige Abbildung voo
den erhaltenen Fragmenten antiker Orgeln darunter; Statt dessen fioden sich Objekte,
122 PASCAL WElTMANN

die nur einen indirekten Bezug zur Orgd aufweisen (2f., 6f., 9). Die Grundrisse der
Domus Aurea (S. 40) sind unscharf reproduziert.
Ihrem Thema entsprechend, mu.Bte Dessì (iber weite Strecken referieren und zi.
rieren; zentrale der von der Autorin neu gebotenen Schliisse sind aber unseres Erach-
tens oft nicht haltbar. Im Blick auf das von Titel und riickseirigem Umschlagstext an-
gedeut.ete Thema bleibt clas Buch in seiner Argumentatioo weitschweifig und unl<lar,
wobei im Detail auJlerdem viele Ungenauigkeiten und Irrtiimer zu beklagen sind. Ins-
gesamt kann diese Dissertation als. eine interessante, aber mit Vorsicht zu benutzende
Quellensamm!ung zum historischen Umfeld der Orge! nut.zlich sein.

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