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Oggi si cerca nei complessi che seguono la classe filologica di usare sia gli strumenti sia le tecniche

specifiche di un dato periodo storico e corrente musicale, studiandone soprattutto i documenti e i


trattati per cercare di avvicinarsi il più possibile alla prassi esecutiva dell’epoca. Per quello che
riguarda le grandi botteghe di liutai che sono soprattutto di area padana, ricordiamo ad esempio:
Amati, Bergonzi, Stradivari, Guarnieri. Cremona è uno dei centri più importanti per quello che
riguarda la costruzione degli strumenti ad arco. Agli inizi del Cinquecento si vanno a distinguere
due gruppi di strumenti ad arco che portarono alla nascita definitiva degli strumenti odierni: la
famiglia del violino (detto anche viola da braccio) e la famiglia della viola da gamba. Le
caratteristiche della prima famiglia sono: 4 corde; accordatura per quinte, fori di risonanza a forma
di f, fondo della cassa bombato, “spalle” arcuate; della seconda invece: 6 corde, accordatura per
quarte (generalmente con una terza al centro), fori di risonanza a forma di c, fondo della cassa
piatto, “spalle” pendenti, tastiera con divisioni (segna-tasti con legacci di budello spostabili).
La “canzone da sonar” deriva dalla chanson vocale parigina e soprattutto dalla chanson di tipo
descrittivo di cui il principale esponente fu il francese Clément Janequin, ricordiamo fra queste
canzoni ad esempio “La guerre” (che richiama la Guerra di Marignano), “Voulez ouyr les cris de
Paris” o “Le chant des oiseaux”. Musica vivace spesso caratterizzata dall’utilizzo di onomatopee e
da un ritmo dattilico (lunga - breve - breve) iniziale con note ribattute, detto anche ritmo
narrativo. La “canzone da sonar” benché fossero chansons vocali, molto spesso potevano essere
eseguite anche con strumenti o addirittura solo da strumenti, dunque mantenevano comunque
un carattere di scrittura senza dubbio semplificato però al contempo polifonico poiché scritte per
la maggior parte da maestri e compositori esperti della scrittura contrappuntistico-polifonica,
caratteristica tipica degli organisti. Questi ultimi erano abituati ad utilizzare un cantus firmus per
poi arricchirlo con l’aggiunta di altre voci. I primi esempi di “canzoni da sonar” compaiono attorno
al 1610 in area lombardo-veneta, tra i compositori ricordiamo il nome di Giovanni Paolo Cima;
cominciano anche pian piano ad apparire le prime indicazioni dinamiche di piano e di forte con i
nomi di Giovanni Gabrieli e Adriano Banchieri. Il termine “sonata”, probabilmente derivante da
“canzone da sonar”, fa tuttavia riferimento ad un tipo di composizione la quale da più importanza
agli aspetti virtuosistici di strumenti monodici come il violino, cornetto, flauto ecc. abituati a
suonare solamente una linea continua, cioè un’unica melodia, e non più linee melodiche in stile
contrappuntistico. Essendo in epoca barocca abbiamo una chiara ripartizione tra melodia e basso
continuo il quale serve da sostegno. Tra i principali compositori di sonate ricordiamo: Biagio
Marini, Maurizio Cazzati, Giovanni Battista Vitali, Giovanni Maria Bononcini, Giuseppe
Torelli e soprattutto nella seconda metà del Seicento Arcangelo Corelli, il quale fu al servizio sia
della regina Cristina di Svezia (che morì nel 1689 a Roma), sia delle famiglie aristocratiche più
importanti della Roma dell’epoca, tra le quali quelle dei cardinali Benedetto Pamphilj e Pietro
Ottoboni (due cardinali dalle quali famiglie vennero estratti due pontefici). La prima opera
strumentale di Arcangelo Corelli s’intitola “12 sonate a tre, op. 1” anche conosciuta come
“Sonate da Chiesa a trè” è una raccolta di sonate del 1681 dedicata alla regina Cristina di Svezia;
la sonata cosiddetta “sonata a tre voci” presentava abitualmente un organico di due strumenti
melodici (ad esempio due violini) contrapposti al basso continuo. I due strumenti melodici
dialogavano fra di loro, si scambiavano i temi e le melodie o si raddoppiavano a vicenda con un
intervallo di terza e ricevendo il sostegno del basso continuo. Gradualmente la sonata si diversifica
in più movimenti o sezioni, nella “sonata da chiesa” si alternano movimenti che hanno come
indicazione di andamento generico come: allegro, adagio ecc. Secondo alcuni studiosi il termine
“da chiesa” può anche indicare il fatto che in alcune chiese che non potevano permettersi il coro e
le voci intervenivano questi strumenti: archi con l’orlo del basso continuo ad eseguire questi
movimenti di sonata al posto dei brani del “Proprium” (normalmente cantati) della Messa.
Invece la “sonata da camera” prevedeva che gli strumenti eseguissero danze, intrattenimenti
musicali molto comuni nei palazzi aristocratici. I giovani nobili studiavano appunto danza e il
maestro di ballo faceva alternare danze lente a danze veloci come ad esempio la danza di origine
trecentesca del “Lamento di Tristano” (di autore anonimo) con la sua variazione più veloce
chiamata “La Rotta”. Solitamente si accoppiavano queste danze alternando una lenta ad una
veloce, una binaria ad una ternaria, come la bassadanza (danza in cui gli esecutori non si
sollevano da terra) con il saltarello (una danza più movimentata che prevede dei piccoli salti) o per
esempio la pavana con la gagliarda. Di qui nacque la consuetudine seicentesca di riunire le
musiche per danza in quelle che vennero definite suites: successioni di danze, alternativamente
lente e veloci o viceversa, unificate dall’uso di una medesima tonalità. Johann Jakob
Froberger, aveva già usato il termine “suite” nella sua raccolta “30 suites per clavicembalo” e fu il
primo a riunire i quattro principali tipi di danza della prima metà del Seicento (allemanda,
corrente, sarabanda, giga). Col passare del tempo la “sonata a tre” decadde e si affermò
soprattutto la “sonata a due”, gli esempi più noti sono sempre appartenenti ad Arcangelo Corelli
con la raccolta del 1700 “12 sonate a due”, sei “sonate da chiesa” e sei “sonate da camera”, per
violino e basso continuo. La sonata conclusiva della raccolta è “La Follia”. L’ultima raccolta di
Corelli “12 concerti grossi” viene pubblicata un anno dopo la sua morte, ovvero nel 1714, e si tratta
di concerti detti “grossi” perché prevedono l’alternanza di un organico più ristretto ad uno più
ampio.

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