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ANGELO BERARDI

RAGIONAMENTI
MUSICALI

Nuova edizione a cura di


ALCESTE INNOCENZI
E.A.Cod.
20066

© COPYRIGHT 2006
® EDIZIONI ANTEO

Via del Mandorlo, 7


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RAGIONAMENTI MUSICALI

INTRODUZIONE

L’autore
Come ha sostenuto Piero Gargiulo in un suo articolo1, Angelo
Berardi ha apportato un notevole contributo alla trattatistica ita-
liana del periodo barocco, sia per il gran numero di fonti anti-
che e coeve a cui ha fatto riferimento (dalle citazioni bibliche ai
filosofi della Grecia antica, dagli storici romani a s. Agostino, da
Boezio, Cassiodoro e i teorici dell’Ars Nova, fino a Zarlino,
Zacconi e Bononcini, prendendo posizione anche sulla disputa
tra Artusi e Monteverdi, tra la ‘antica’ e la ‘moderna pratica’), sia
per la citazione di un’ampia gamma di compositori e del loro
repertorio (polifonico, monodico, operistico, strumentale), il
tutto condotto con grande lucidità e competenza. L’analisi che il
Gargiulo porta avanti è poi mirata ad uno studio del lessico mu-
sicale usato dal trattatista marchigiano, ai fini di valutarne le
prescrizioni più correlate alle reali esigenze della musica del suo
tempo, indagata nella dialettica tra due filoni di repertorio: il
primo dedicato all’analisi del contrappunto di tradizione rina-
scimentale ed il secondo aperto alle innovazioni stilistico-
espressive introdotte dalla prassi moderna.
Secondo Carlo Vitali2, anche nella produzione musicale (dedita
prevalentemente al genere sacro), Berardi dimostra la sua pro-
pensione al passaggio dalla concezione modale e intervallare del
contrappunto ad una accordale e tonale, con il ricorso anche a
formule artificiose quali il contrappunto doppio, tipiche della
Scuola Romana. Caratteristica della ‘moderna pratica’ sarebbe sta-
ta la tripartizione degli stili – da chiesa, da camera, da teatro –
opposta alla relativa unità e indifferenziazione del contrappunto

1 Piero Gargiulo, La «Professione Armonica». Il lessico della musica nei trattati di

Angelo Berardi, in Le parole della musica, 3, Studi di lessicologia musicale, Firen-


ze, Olschki, 2000.
2 Carlo Vitali, voce Berardi, in DEUMM, Le biografie, I, p. 455.

-I-
ANGELO BERARDI

modale rinascimentale. Stili connotati da una nutrita serie di at-


tributi – secondo Gargiulo – e determinati come ambito espres-
sivo sia dai principi teorici che dalla prassi esecutiva.
I Ragionamenti Musicali, che come l’autore stesso afferma nella
sua prefazione, “a chi vuol leggere”, risultano essere un com-
pendio di aspetti della disciplina musicale: dalla grammatica alle
definizioni di armonia e contrappunto, dalla classificazione di
forme, connotazioni espressive e stili compositivi alla tecnica ed
esecuzione vocale fino alla descrizione e catalogazione di stru-
menti, il tutto passando attraverso una serie di definizioni, tratte
da testi sacri quanto profani, sul valore educativo ed estetico
della musica come ‘arte liberale’.
Questo trattato, come gli altri quattro scritti dal Berardi,
l’Aggiunta di Berardi alli suoi Ragionamenti musicali, nella quale si pro-
va, che la musica è vera e reale scienza (Bologna, 1681), i Documenti
armonici (Bologna, 1687), la Miscellanea Musicale (Bologna, 1689),
gli Arcani musicali svelati della vera amicizia ne’ quali appariscono diver-
si studij artificiosi, molte osservazioni e regole concernenti alla tessitura de
componimenti armonici, con un modo facilissimo per sonare trasportato
(Bologna, 1690) e Il perché musicale ovvero Staffetta Armonica nella
quale la Ragione scioglie le difficoltà, e gli Esempi dimostrano il modo
d’isfuggir gli errori, e di tessere con artificio i Componimenti musicali (Bo-
logna, 1693), oltre ad un altro volume, i Discorsi o Dicerie Musicali
(Viterbo, 1670) andato perduto, qualificano la sua opera come
uno dei contributi più importanti alla trattatistica italiana
nell’arco di due secoli. Pur nella varietà dei modelli di studio af-
frontati, il dettato teorico fa convergere queste opere verso una
complessiva assimilazione della materia, per “giungere ai miglio-
ri esiti di quella «Professione Armonica» indispensabile a chi
pretenda di apprendere e trasmettere l’esercizio dell’arte com-
positiva”3.

3 Piero Gargiulo, op. cit., p. 51.

- II -
RAGIONAMENTI MUSICALI

L’opera
Il testo, esposto in forma dialogica tra allievo e maestro (dove il
personaggio di Felice impersona l’autore e quello di Giuseppe in-
carna, verosimilmente, la parte di Giuseppe Orsolini, il dedi-
cante dell’opera) è suddiviso in tre parti: nella prima, si parla
della definizione ed origine della musica e delle tre categorie in
cui essa è divisa (le boeziane mundana, humana e instrumentalis);
nella seconda, si tratta della nobiltà di questa arte e dei suoi fini
educativi; infine, nella terza, si disquisisce sul concetto di armo-
nia, sulla diversità degli stili musicali (da chiesa, da camera e
rappresentativo), sul contrappunto doppio e si risponde a colo-
ro che si oppongono al valore della musica come scienza ed ar-
te. Fine ultimo è quindi quello della difesa del decoro e della
nobiltà della musica contro i provocatori del «suono sconcerta-
to» (urti dissonanti).
Per un decorso di centinaia di anni, Berardi costruisce le sue so-
lide fondamenta prima nel patrimonio ideale assicurato dai tra-
dizionali strumenti di studio: i testi di Agostino, Boezio, Cassio-
doro, Isidoro, Beda, Pitagora, Aristosseno, Platone, Aristotele, i
commenti al ciceroniano Somnium Scipionis. Tutti portano avanti
le teorie classiche greche entro gli schemi della filosofia occi-
dentale. “Intorno all’appassionante argomento dei rapporti di
Boezio con le fonti della cultura classica nella rifusione degli e-
lementi pitagorici, mistici e scientifici che confluiscono nella
nozione del Quadrivio”4 ha sempre dibattuto la tradizione degli
studi musicali, “incerta tra l’istanza aristotelica della musica co-
me scienza vera e propria e parte della filosofia, e la visione pla-
tonica della musica come propedeutica e strumento dell’azione
etica sui moti dell’animo”5.
Naturalmente Berardi non è semplicemente assorto dietro alle
affermazioni e alle formule in statica contemplazione delle loro

4 Giuseppe Massera, voce Teoria della musica, in DEUMM, Il lessico, IV, p. 516.
5 Ibidem.

- III -
ANGELO BERARDI

ragioni eterne, ma si pone anche in atteggiamento polemico di


fronte all’oggetto dell’indagine e ai dettami della tradizione, de-
ciso a non soffocare la sua voce per usarla in prima persona,
talvolta piegando a sua discrezione i testi e le affermazioni tratte
dalle fonti letterarie, cha da una attenta analisi spesso rivelano
evidenti difformità con gli originali (determinate probabilmente
anche dal fatto che l’autore, in alcuni casi, non cita fonti dirette,
ma trascrizioni riportate da altri trattati).
Dopo che nel Cinquecento, la figura musicale di riferimento era
stata quella di Gioseffo Zarlino, autore del dualismo armonico
(duplice scomposizione della quinta nelle due terze e sostanziale
scoperta del ‘maggiore’ e del ‘minore’), il Seicento musicale teo-
rico si era aperto nel segno del moto riformatore annunciato in
Italia dalla fortuna della monodia accompagnata e dalla nascita
delle forme strumentali autonome. Le esperienze maturate in tal
senso e collaudate alla fine del secolo precedente e già accolte
nei principali centri della Penisole e d’oltralpe, tanto nei cenacoli
culturali quanto nell’ambito delle cappelle di corte e delle acca-
demie, si traducono in più maturi atti di consapevolezza in or-
dine ai rapporti tra musica e pensiero. Questioni di ordine tec-
nico si intrecciano con problemi di estetica negli scritti teorici:
mai come ora si era verificata una intensa circolazione delle
idee, a riscontro di un indice di vivacità nel moto della riflessio-
ne sui grandi eventi che decidono dell’avvenire dell’arte musica-
le nell’Occidente europeo.
Sale agli onori della cronaca, dopo quello fiorentino della Came-
rata de’ Bardi, anche il circolo bolognese: dopo Ercole Bottriga-
ri, che nel Melone – Discorso Armonico… (1602) affronta il pro-
blema delle “moderne cantilene”, che non possono definirsi
‘diatoniche’, ma nemmeno appartenenti ad uno degli altri due
generi della teoria classica (‘cromatico’ ed ‘enarmonico’), compa-
re la figura di Giovanni Maria Artusi. Nei due Ragionamenti su
quelle che egli chiama le “imperfettioni della moderna musica”
egli tocca due argomenti: il confronto tra le accordature degli

- IV -
RAGIONAMENTI MUSICALI

strumenti e i criteri di un loro accostamento per definire


l’impossibilità di soluzioni al di fuori dell’adozione dell’ottava
aristossenica6.
L’altro argomento, occasione alla sua più clamorosa vicenda, è
oggetto di addebito ai ‘moderni’ quando credono di poter inse-
guire le ‘novità’ degli ‘affetti’ e imitare la “natura del verso et
giustamente rappresentare il senso vero del poeta” con l’uso di-
sinvolto delle consonanze nel contrappunto, rinnegando le
buone regole dei maestri che avevano insegnato a temperarne le
asprezze. In corrispondenza epistolare con un non meglio iden-
tificato “Ottuso Accademico”, Artusi sviluppa una nutrita po-
lemica contro la “seconda prattica” monteverdiana dopo aver
censurato l’uso della dissonanza non preparata sull’armonia di
dominante (nel madrigale Cruda Amarilli dal Quinto Libro di
Monteverdi)7. L’atteggiamento di Artusi riprende da Zarlino i
canoni di un formalismo musicale che avrà decisiva influenza
nella nascente teoria degli stili.
In Francia, nel frattempo, Cartesio, nel Compendium Musicae del
1618 si stacca da ogni altra trattazione precedente e coeva e le
sue osservazioni, unite a quelle di Marin Mersenne, conducono
la ricerca sulla moderna fisica del suono molto vicino alla sco-
perta della risonanza armonica naturale.
Intanto, nella fase di transizione fra Rinascimento e Barocco, il
pesarese Ludovico Zacconi, nel suo scritto Prattica di Musica,
torna sulla dicotomia tra musica “vetus” e musica “recens”. E
ancora una volta si confrontano le conquiste dell’arte vecchia e
le promesse della nuova, allentando risentimenti e prevenzioni e
attutendo l’intransigenza8.

6 Aristosseno di Taranto (Taranto, 370 ca. a.C. – Atene ?) fu autore di un


trattato, Elementi armonici, in cui espose la sua teoria sulle scale, impostata sui
principi della logica induttiva aristotelica, in cui l’ottava veniva divisa in 6 to-
ni, e il tono in semitoni e quarti di tono.
7 Giuseppe Massera, op. cit., p. 523.
8 Giuseppe Massera, op. cit., p. 524.

-V-
ANGELO BERARDI

Figura centrale nel nuovo clima è quella di Giovanni Battista


Doni, che riassume i contatti con i due filoni, quello fiorentino
e quello bolognese. Egli chiarisce l’intento di restaurare la musi-
ca “erudita e speculatrice” soprattutto nella ricomposizione
dell’opera d’arte musicale destinata alle moderne scene teatrali.
La controversia tra i sostenitori delle due ‘pratiche’ non si fer-
ma, comunque, solo ai confini delle polemiche personali, ma si
innesta su un filone teorico che cerca di condurre ad una scelta
tra forma e contenuto, tra la “musica come struttura di rapporti
esclusivamente formali e la musica come comunicazione di con-
tenuti affettivi abbandonati alla loro stessa natura sfuggente ed
emotiva”9.
Marco Scacchi, che fu maestro di Berardi, guarda con fiducia
alla seconda ‘pratica’, purché le sue conquiste innovatrici siano
soggette al “tribunale della ragione” e si sottraggano all’arbitrio
della facile improvvisazione.
Alla metà del Seicento Athanasius Kircher solleva la musica al
centro della competizione storica e la colloca come punto cen-
trale tra tutti gli interessi speculativi del tempo: compito asse-
gnato in questo caso alla retorica musicale, che classifica le figu-
re musicali a seconda della forma e della destinazione.
Nella Bologna sempre irrequieta, le discussioni si animano an-
che al limite degli scontri. Berardi, che pubblica tutti i suoi trat-
tati nella città felsinea, si impone quale teorico di vasta risonan-
za. Sostenitore, all’apparenza, della ‘prima pratica’ sul modello
di Josquin, Willaert e Palestrina (che tengono ferme le norme
della polifonia severe), egli non smentisce, anzi viene in difesa
anche della validità degli altri stili: contemperare le dissonanze
con le consonanze in modo che ne risulti una buona armonia,
sulla linea di quanto aveva già sostenuto il suo maestro.
Superate le regole di Zarlino, liberalizzato l’uso delle dissonan-
ze, allargato il campo delle risorse della tecnica (doppio con-

9 Ibidem.

- VI -
RAGIONAMENTI MUSICALI

trappunto e fuga, quest’ultima nel senso tardo-barocco di libera


risposta tonale, emancipata dalla severe imitazione canonica
propria del secolo precedente), Berardi rende un segnalato ser-
vizio alla memoria del proprio maestro, ma soprattutto all’arte
musicale10.

Alceste Innocenzi

10 Ibidem.

- VII -
ANGELO BERARDI

- VIII -
RAGIONAMENTI MUSICALI

NOTA AL TESTO

La trascrizione dei testi


Il testo è stato riportato in grafia moderna, facendo corrispon-
dere ai suoni che sicuramente o probabilmente sono il corri-
spettivo della iscrizione antica, la iscrizione oggi richiesta.
Tutti gli emendamenti apportati sono indirizzati a ottenere la
maggior chiarezza possibile nella lettura del testo originale, pur
senza cambiarne il senso. Resta chiaro che la presente non è e
non vuol essere una trascrizione diplomatica, ma un’edizione
moderna basata su un’attenta disamina delle fonti a cui ha attin-
to l’autore.
Nei titoli delle opere, sia nella versione diplomatica sia nella ver-
sione abbreviata, si è lasciata l’ortografia inalterata.
Nella trascrizione dei testi, si sono uniformati alle moderne
consuetudini l’ortografia, l’uso delle maiuscole e della punteg-
giatura e si è cercato di normalizzare la sintassi senza modificare
il senso delle parole originali. In particolare:
- si sono raddoppiate le consonanti, o viceversa, quando ritenu-
to necessario: «contrapunto» > «contrappunto»; «commodo»
> «comodo»;
- è stata realizzata la resa di iscrizioni latineggianti: -ii > -i; -ti- >
-zi-; -entia, -antia > -enzia, -anzia o -enza, -anza; eliminazione
delle h; «et» > «e» o «ed»; normalizzazione delle maiuscole;
- gli articoli e i pronomi sono stati normalizzati: «i studenti» > «gli
studenti»; «un’ottavo» > «un ottavo»; «li piace» > «gli piace»;
- «Però» > «perciò», quando ne assume il significato;
- si è normalizzata la grafia delle preposizioni, congiunzioni e
avverbi: «se bene» > «sebbene»; «tal hora» > «talora»; «adun-
que» >«dunque»;
- si sono normalizzate, nei limiti del possibile, le coniugazioni
dei verbi: «venghi» > «venga»; «furno» > «furono»;

- IX -
ANGELO BERARDI

- si sono normalizzate le concordanze: «Si è notato queste pa-


role» > «Si sono notate queste parole»;
- si è normalizzato l’impiego degli apostrofi, soprattutto elimi-
nando quelli non ritenuti eufonici: «grand’ingiustizia > grande
ingiustizia», «de’ buoni > dei buoni». Sono stati introdotti se-
gni diacritici e variata la punteggiatura;
- si sono aggiunte, quando ritenuto opportuno, le vocali con-
clusive agli infiniti: «accomodar» > «accomodare»;
- si sono normalizzati, nei limiti del possibile, i generi di alcune
parole che possono creare ambiguità: «il fine» > «la fine»;
- i nomi delle note musicali sono trascritti con la maiuscola
quando riferiti al nome assoluto moderno, soprattutto se cor-
redato con un numero in pedice indicante l’ottava (Do3 = Do
centrale); in tutti gli altri casi questi termini seguiranno le con-
suete regole dei nomi comuni;
- le indicazioni originali «B molle, B n, s», ecc. sono sempre sta-
te rese con i moderni bemolle, bequadro, diesis;
- si è scelto, per chiarezza, di conservare la maiuscola in alcune
parole chiave: «Mano» [guidoniana], «Canto fermo», «Sopra-
no» e in genere nei titoli di cortesia attribuiti ai dedicatari;
- sono state sciolte le abbreviazioni.

Le annotazioni
Le annotazioni si propongono di: fornire la ‘traduzione’ di pa-
role o brani che per ragioni di grammatica, lessico, sintassi o
lingua, possono non riuscire chiari al ‘lettore medio’ (per quanto
sia questa una astrazione difficilmente definibile) o a un utente
scolastico; segnalare o descrivere, con un minimo di riferimenti
alle trattazioni più note e accreditate, i fatti linguistici e retorici
che caratterizzano il testo; esplicare i riferimenti dell’autore a
eventi e personaggi storici, e indicare, se possibile, le fonti di cui
l’autore potrebbe essersi servito; indicare riscontri fra i Ragiona-
menti Musicali e le altre opere di Berardi.

-X-
RAGIONAMENTI MUSICALI

Le note rinunziano all’esame critico del pensiero dell’autore. Per


le indicazioni di lettura si può ricorrere all’Introduzione.
I rinvii interni sono dati al numero progressivo delle note.

A.I.

- XI -
RAGIONAMENTI MUSICALI

ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO
SIG. e Padron colendissimo

Paleso a V.S. Illustrissima in questo foglio i moti di quel cuore,


che non potendo star ristretti tra i confini dell’anima gli portano
quei più devoti ossequi, che gli può somministrare la riverenza e
l’infinite obbligazioni che gli professo. Si compiaccia, con la
presente dedica, di ricevere un capitale della mia umilissima os-
servanza, non per appagare con piccola espressione il suo gran
merito, ma per manifestare al mondo la mia devozione e il mio
debito. Il sig. D. Angelo Berardi, nostro Maestro di Cappella, ha
per ordinario trattenimento d’impiegare le ore che gli avanzano
per l’occupazione della carica e componimenti musicali, in di-
versi studi, e in particolare di far apparire la nobiltà e decoro
della musica con le ragioni e autorità, tanto dei santi padri,
quanto dei filosofi antichi. Mesi sono, per soddisfare ad alcune
mie virtuose curiosità, compose in pochi giorni i presenti RA-
GIONAMENTI MUSICALI, e perché stimo che possano esser
grati agli amatori di questa bella virtù, ho procurato farli riceve-
re quella luce che per altro non avrebbero mai potuto sperare.
Di ragione li devo appoggiare alla benigna protezione di V.S.
Illustrissima, mentre gareggiano insieme la riverente servitù, che
le professa l’autore, col desiderio, che tengo, di far sapere al
mondo l’infinito di quei favori, che ho ricevuto dall’innata sua
generosità e dall’illustrissima sua Casa. La musica altro non è
che armonia, causata dalle consonanze e dissonanze armonica-
mente poste fra di loro, e dai transiti da un intervallo all’altro,
ben considerato dal dotto compositore di musica: alle conso-
nanze corrispondono le corde dei miei pensieri, che sempre sta-
ranno armonicamente unite, aspettando d’esser toccate dalla
benigna mano dei suoi comandi.
Nelle dissonanze si riconosce la malignità di quel fato, che mi
tien ristretto tra l’angustie di un’oziosa impotenza. Vorrei entra-
re nelle sue lodi, ma non potendo in poche righe epilogare le

-1-
ANGELO BERARDI

grandezze di V.S. Illustrissima, mostrerei più temerarietà che


osservanza, tanto più che la mia penna non ha volo per il cielo
della gloria. Si compiaccia dunque di gradire i sentimenti di un
cuore, che misurando ogni felicità dalla sua benigna protezione,
eternamente si gloria d’essere
di V.S. Illustrissima e Reverendissima
umilissimo, devotissimo e obbligatissimo servitore.
Giuseppe Orsolini

-2-
RAGIONAMENTI MUSICALI

L’AUTORE
a chi vuol leggere

La virtù è una pianta che ha le radici amare, ma altrettanto dolce e soave


il frutto, e questo assai più pregevole di quello delle esperidi, mentre la virtù
è più preziosa dell’oro. Se rifletterai, o amico lettore, ai sudori che si stilla-
no per farne l’acquisto, che sono quelli d’Alessandro, che gettavano mille
odori, non disprezzerai queste mie povere fatiche, quali siano, tanto più che
nel tessere questi RAGIONAMENTI non ho avuto altra pretesa, che di
far apparire brevemente la nobiltà e decoro della musica, a confusione di
quelli che con le dissonanze dei loro concetti, uniti alla durezza della mali-
gnità, rendono un suono sconcertato intorno a quella nobil scienza la quale,
per esser tutta armonia, ogni animo ben organizzato si deve armare alla
sua difesa. Ho registrato alla fine una partitura di quegli autori che hanno
impiegato, tanto nella teoria quanto nella pratica, le loro dottissime penne a
favore della musica, acciò che si veda la professione armonica non è così vile,
come si figurano alcuni, che per aver letto i Capricci Macaronici di Mastro
Stopino, si fanno conoscere tanti macaroni nei loro discorsi. Amami, com-
patisci e vivi felice.

-3-
ANGELO BERARDI

-4-
RAGIONAMENTI MUSICALI

DEL SIGNOR
LIBERATO PALENGA
Canonico del Duomo di Spoleto

AL SIGNOR
D. ANGELO BERARDI
Maestro di Cappella nella Cattedrale di Spoleto,
eccellente scrittore e famoso compositore di musica

Il ciel ti diè la culla; e mentre ignota


Maraviglia di Cielo iscopri al Mondo,
Di gemina virtude sen fecondo
In te d’eterni rai luce dimora.

La Melodia de la Celeste Ruota


T’ammaestra la voce al suon giocondo:
E, se scrivi vegg’io Nume facondo,
Che ti porge a la Man Penna divota.

L’eloquente tuo dir desta la Fama;


E l’armonia de le tue Note intanto
Le Furie in sen di Pluto al sono chiama.

Ond’io non so, se in te sia maggior vanto,


O’ se Divino il metro mio t’acclama,
O’ à la penna, che tratti, overo nal Canto.

-5-
ANGELO BERARDI

Vidit D. Ioannes Chrysostomus Vicecome Cleric. Regul. S. Pauli, et in


Ecclesia Metropolis, Poenit, pro Eminentiss. Ac Reverendiss. D.D.
Hyeronimo Cardin. Boncompagno Archiepisc. Bonomia, et Pric.

Vidit P. Fr. Ioannes Antonius de Mavariis Lector Ordinis Pradicatorum


pro Reverendiss. P. Inquisitore.

Stante praedicta attestatione Imprimatur


Fr. Thomas Raineri de Forlivio, Vicar. Gener. S. Offici Bonomia.

-6-
DIALOGO PRIMO
Della definizione, divisione e origine della musica.

INTERLOCUTORI
Felice e Giuseppe

-1-
-8-
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – L’amore, sig. Giuseppe mio, così come si raccoglie dalla


filosofia naturale del cavalier Tesauro1, è la più nobile delle
passioni umane, e il più nobile frutto dell’amore è l’amicizia2.

1 Emanuele Tesauro (Torino, 1592 – 1675) La Filosofia Morale Derivata

Dall'alto Fonte del Grande Aristotele Stagirita, Dal Conte e Cavalier Gran Croce D.
Emanuele Tesauro Patritio Torinese, Venezia, Nicolò Pezzana, 1703. Tesauro,
“nato da illustre famiglia piemontese, entrò, a diciannove anni, nell’ordine
dei gesuiti. Nel 1631, a Torino, divenne predicatore della duchessa Cristina.
Nella città piemontese celebrò, nei suoi panegirici, i più importanti avveni-
menti della corte. Nel 1635 lasciò la corte, dopo aver abbandonato, nell’anno
precedente, l’ordine dei gesuiti, in seguito a un’aspra polemica, determinata
anche da motivi di ordine politico. Nel 1642 tornò a Torino, dove fu precet-
tore presso i Carignano e si dedicò alla stesura del «Cannocchiale aristoteli-
co». Tra il 1669 e il 1674 vennero pubblicati i primi volumi dell’«Opera
Omnia». Il Tesauro accettò poi l’incarico di direttore degli studi del Principe
Vittorio Amedeo II , in onore del quale compose l'ultima opera, La Filosofia
Morale..., che fu molto conosciuta e apprezzata” (Laterza 1966: vol. V, pag. 267).
Fu un teorizzatore, insieme al Pallavicino, della poesia barocca di ascendenza
mariniana, dove vengono utilizzate metafore, concettismi ed un gran numero
di figure retoriche e foniche. La metafora unisce, con un sottinteso parago-
ne, oggetti apparentemente lontani, ricorrendo ad analogie impensate
(l’uomo è un viandante sulla terra e ottiene biada d’eternità e stalla di stelle) e
il concetto, che ha origine da un procedimento analogo, fa però prevalere
l’intelligenza sulla fantasia. Le due procedure a volte coincidono, infatti,
entrambi codificano in poche parole una realtà che il lettore deve decifrare,
fornendo diletto su basi intellettuali, concettuali, logiche.
L’intelligenza esamina le cose e scopre che parole e forme sono ‘maschere’
dell’essere e che lo scorrere ineluttabile del tempo porta con sé l’idea della
morte.
2 L’introduzione al dialogo non avviene, quindi, in ambito retorico, bensì

in quello etico-morale della Filosofia morale, nel quale assume il valore di


“paradigma indiziario utile a muoversi con discernimento nei labirinti
dell’esistenza”. Non dunque leggi universali, né semplicemente detti memo-
rabili, ma appunto ammaestramenti (i “principi agibili” recita Tesauro)
accuratamente bilanciati fra la tesaurizzazione dell’esperienza e
l’insegnamento degli antichi - siano essi illustri auctores (è il caso di Tacito, del
quale lo scrittore seicentesco commenta parte della biografia di Tiberio per
estrarne ’rimedi’ per i cittadini che vivono sotto il regime tirannico) o maestri
di saggezza (i sette sapienti greci).

-9-
ANGELO BERARDI

Non si trova cosa più nobile, né più divina in terra, della perfet-
ta amicizia, avendo sua divina maestà comunicato a noi mortali
ciò, ch’egli ha in sé di miracoloso e di beato, cioè l’unità nella
pluralità. Cosa miracolosa è divenir due soggetti un sol soggetto,
e avendo ciascuno il proprio cuore e la propria anima, vivere
l’uno nel cuore, e con l’anima dell’altro. Qual cosa si trova poi
più gioconda, che mettere in comune il desiderio del bene l’uno
dell’altro; onde, sì come i caldi raggi del sole riflettendo da due
specchi in sé medesimi aumentano il lor calore, così godendo
ciascuno del bene dell’altro, mirabilmente s’aumenta il loro
godimento. Tre sono gli atti della vera amicizia: benevolenza,
beneficenza e concordia; se alla benevolenza è congiunta la
beneficenza, nasce la concordia, la quale in dolce e soave modo
incatena e unisce due cuori, i quali formano poi la reggia
dell’amore. Di due cetre, accordate nello stesso tono, se una si
tocca, l’altra per le stesse consona3. Ciò che nella cetra sono le

Il tema dell’amicizia interviene come elemento di conferma e insieme di


destabilizzazione dei temi della soggettività e dell’intersoggettività (rispetto e
persona, simpatia e empatia, consenso e concordia, reciprocità e asimmetria,
prossimo e fratello), e della temporalizzazione dell’esperienza morale (re-
sponsabilità, attesa, promessa).
3 Primo di una lunga serie di parallelismi tra il campo della morale e quel-

lo musicale. Come la concordia (conformità di voleri e quindi, accordo)


nasce dalla congiunzione della benevolenza (voler bene) e della beneficenza
(fare il bene altrui), così le due cetre perfettamente accordate (intonate)
vibrano per simpatia (provare le stesse affezioni; un corpo che per la sua
forma e per la sostanza di cui è costituito è capace di vibrare secondo una
determinata frequenza viene posto in vibrazione quando l’aria in cui è
immerso vibra con quella stessa frequenza). Sotto il profilo storico, il concet-
to di accordo risale ai secc. XV-XVI, quando cioè accanto alla simultaneità
dei suoni percepita come prodotto dell’incontro fra le diverse voci del
tessuto polifonico si venne gradualmente affermando quella di entità auto-
noma e funzionale nei confronti del decorso armonico. Tale coscienza andrà

- 10 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

corde, negli amici sono i loro cuori. Professando io, dunque, a


V.S. una vera e sincera amicizia, non posso interamente godere,
se all’atto della benevolenza non vi congiungo ancora quello
della beneficenza, pregandola di darmi campo di poterla servire
in tutto quello che potrà mai dipendere dalla debolezza del mio
povero talento.

Gius. – A caratteri d’eterne obbligazioni sarà sempre scolpita nel


più vivo del mio cuore la pronta volontà, che ella tiene di favo-
rirmi. Ma non vorrei, o mio caro sig. Felice, che l’amicizia che le
professo, si rendesse indegna del sacro nome della virtù, mentre
avesse per fondamento l’interesse d’utilità, perché non salendo
questa alla sfera dell’onesto, merita di giacere nella bassa regione
della concupiscenza, comune alle belve.

Fel. – È vero, che il solo frutto dell’amicizia deve essere l’amore,


ma, sebbene l’amicizia non segue l’utile, l’utile non di meno
segue l’amicizia.

Gius. – Dunque volendo V.S. esercitar con me le leggi della


beneficenza, che obbligano a fare all’amico quel bene, che
dall’amico vorrebbe gli fosse fatto nei suoi bisogni; riceverò le
sue grazie, riconoscendo il tutto da quella benignità e gentilezza,
che nel favorire gli amici non conosce né superiorità, né
uguaglianza.

accentuandosi nel corso del XVII sec. fino a giungere alla nozione di accor-
do come entità unitaria universalmente accettata.

- 11 -
ANGELO BERARDI

Fel. – Quell’animo, che è annodato dal laccio d’oro d’una pura e


sincera amicizia, stima superfluo ogni complimento e cerimo-
nia. Proponga pure con ogni libertà quelle materie, che mi
accennò nei giorni addietro, che dove non arriverà l’ingegno,
supplirà il vivo desiderio, che tengo di servirla.

Gius. – Veramente oggi, che siamo liberi dalle occupazioni della


Cappella, e che il caldo non è così noioso, possiamo in un
medesimo tempo ricreare il corpo alla vaga vista di queste
campagne, e sollevare l’animo col discorrere virtuosamente
intorno alle cose più curiose della musica: mi son talmente
lasciato rapire l’animo da questa mobilissima scienza, che repu-
to dolce ogni fatica, soave ogni incomodo, purché possa inten-
dere e sapere quel tanto, che si richiede, per meritare degna-
mente il nome di musico.

Fel. – L’intendere e il sapere conviene solo all’uomo, essendo


questa la sua propria operazione, e di qui nasce, che ognuno è
attratto dal desiderio di sapere, né mai si stanca di andare inve-
stigando i più reconditi segreti dell’arte e della natura. Per sod-
disfare in parte il suo desiderio cominceremo dalla definizione
della musica, osservando i precetti di Aristotele4 e di Cicerone5, i
4 Aristotele, nell’VIII libro della Politica, sostiene che la musica può essere

considerata come adempiente tre diverse funzioni: in primo luogo come


forma di educazione (di derivazione platonica), che misura il valore dell’arte
col metro moralistico dei risultati pedagogici da essa conseguibili; in secondo
luogo, come una purificazione terapeutica, cioè una «catarsi» e quindi libera-
zione dell’animo dall’oppressione e dagli affanni; infine come un libero
passatempo, rappresentante un generico edonismo. “I più – afferma Aristo-
tele – imparano la musica semplicemente per diletto […] perché la natura
stessa non cerca solo delle rette occupazioni, ma anche un ozio decoroso”.

- 12 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

quali vogliono che si cominci da questa, per maggiormente


delucidare quella materia della quale si deve discorrere. Per
usare la brevità, tralascerò la definizione data da Zarlino, Boezio
e altri, abbracciando l’opinione di S. Agostino, con il quale
conviene Beda il venerabile. La musica è una scienza liberale, la
quale dimostra il modo di cantare rettamente: Musica est Scientia
bene modulandi: così si può leggere nel primo libro della sua
Musica al cap. secondo6; oppure, seguitando Euclide7: la musica

Per Aristotele, dunque, la musica ha come fine il piacere: perciò rappresenta un


ozio, cioè qualcosa che si contrappone al lavoro; la musica, in quanto occupazio-
ne piacevole per il tempo libero, cioè per i momenti di ozio, è degna di un uomo
libero, e quindi può essere definita come discipline “liberale e nobile”.
5 Sergio Lanza, Il concetto di ornamento in musica. Cicerone, nel De oratore

parlando del ‘modo di ornare’ il discorso, dice che esso ha “come effetto di
rendere l’orazione gradevole al massimo grado, capace di far breccia nei
sentimenti dell'uditorio...”. Costante è negli autori il richiamo ad un uso
‘appropriato’ dell’ornamentazione: “...perché l’orazione sia disseminata dei
fiori delle parole e dei pensieri, non ne dobbiamo spargere in modo unifor-
me in tutto il discorso; dovremo invece distribuirli come fregi e luci in una
decorazione.... è necessario scegliere uno stile che non solo diletti, ma diletti
senza saziare” (traduzione italiana a cura di Martina, Ogrin, Torzi, Cettuzzi,
Milano 1994, p. 637). Cicerone, trova proprio nella musica l’immagine che
gli serve ad articolare questo concetto: “Quanto più delicati e voluttuosi
sono, nel canto, i trilli (flexiones) e le voci in falsetto rispetto alle note esatte e
gravi e tuttavia, se essi sono ripetuti con eccessiva frequenza, protestano non
solo le persone dai gusti sobri, ma anche il grande pubblico”.
6 Agostino non esclude che la musica possa produrre piacere in chi

l’ascolta, ma in ultima analisi considera il piacere dell’ascolto, così come


l’istinto del comporre o dell’eseguire, riprovevoli: la musica è anzitutto una
scienza, e come tale non ha nulla a che spartire con i sensi e con la memoria,
qualità entrambi presenti anche negli animali. L’essere un buon esecutore è
pertanto un fatto del tutto indipendente dal possedere la scienza della
musica. Il discorso di Agostino porta dunque ad una metafisica del numero,
in quanto, secondo la sua visione, l’essenza autentica della musica va ricerca-
ta in esso: essa acquista dignità di scienza e diventa oggetto di ragione
proprio nella misura in cui è riducibile a numero. Il piacere della bellezza

- 13 -
ANGELO BERARDI

è una scienza per mezzo della quale si contempla e si esercita il


concento. Questa definizione contiene in sé due parti, una di
contemplare, cioè speculare su tutto ciò che appartiene ai con-
cetti e regole musicali e, in quanto a questa parte, è speculativa
o teorica; l’altra parte è d’esercitare il concento8, cioè mettere in
pratica quelle regole che dalla prima vengono insegnate e, se-
condo questa parte, è pratica o attiva e in questa si dimostra il
vero modo di cantar bene e ottimamente pronunciare con
soave modo tutto ciò che dalla prima parte sarà insegnato.

Gius. – Questa definizione è molto bella e chiara; ma, se io fossi


interrogato in qual parte la musica sia nobile, che posso
rispondere?

Fel. – Alcuni vogliono che nella musica sia più nobile la pratica,
come quella che riduce questa scienza al suo ultimo fine, qual è

viene dunque escluso da Agostino nella sua prospettiva teorica, per lo meno
nella misura in cui non viene ricondotto e sottoposto al giudizio della
ragione. La bellezza più alta è solamente quella eterna e incorporea rappre-
sentata dall’unità numerica.
7 Euclide (Ευκλείδης), nato ad Alessandria d’Egitto intorno al 365 a.C. e

morto intorno al 275 a.C., fu uno dei più grandi matematici dell’antichità,
fondò nella sua città una scuola di matematica, che per tre secoli fu la più
importante del Mediterraneo. I suoi Elementi, che hanno avuto una straordi-
naria diffusione, si compongono di 13 libri, nei quali sono formulati i teore-
mi fondamentali della geometria piana e solida, viene sviluppata la teoria
delle proporzioni ed enunciate le regole aritmetiche per il calcolo del massi-
mo comun divisore e per la scomposizione del numero in fattori primi,
costruiti i 5 poliedri regolari e risolta geometricante l’equazione di II grado.
Egli si occupò anche di, ottica, astronomia, musica, meccanica. Tra le sue
opere di interesse musicale, si segnalano la Sectio Canonis di attribuzione
incerta e l’Introduzione armonica.
8 Applicare i principi teorici in una corretta prassi esecutiva.

- 14 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

di dilettare e ricreare i sensi. Altri sono d’opinione che la specu-


lativa avanzi di gran lunga la pratica, come si può vedere nel
primo tomo della Musica Teorica di Beda9. Noi abbiamo
dall’intelletto il sapere, e dal corpo, come suo ministro,
l’operare, l’uno essendo più nobile dell’altro, per conseguenza
ancora più nobili saranno le sue operazioni: è vero che la specu-
lativa non richiede l’atto, e che la pratica non può avere il suo
fine, se non è guidata dall’intelletto; ma, considerando la musica
nel suo essere perfetto, queste due parti sono così unite che,
volendole separare, sarebbe un contrastare con l’impossibile.

Gius. – Ho letto nei suoi Discorsi Musicali, stampati nel 1670 in


Viterbo10, quando ella era Maestro di Cappella nel Duomo di
quella città, che la musica tiene il principato fra tutte le arti
liberali, desidererei sapere quante, e quali siano.

Fel. – Tutte l’arti si contengono in questi versi, le prime sette


sono liberali, e le seconde meccaniche:
Lingua, Tropus, Ratio, Numerus, Tonus, Angulus, Astra.
Rus, Nemus, Arma, Ratis, Vulnera, Lana, Faber.

9 Uno dei principali esponenti della rinascita culturale anglosassone fu il mo-


naco Beda (672/3-735), detto il Venerabile. Tra i numerosi testi di agiografia,
innografia religiosa, trattati sulle arti liberali, cronologia, dei quali fu autore,
ricordiamo in particolare quello dedicato al computus, cioè al calcolo della data
della Pasqua cristiana, che gli valse la fama di computator mirabilis. La sua Historia
ecclesiastica gentis Anglorum contiene molte preziose notizie sul canto gregoriano e
sulla sua diffusione in Inghilterra, favorita da regnanti non contrari al cristianesi-
mo. Il trattato Musica teorica, tramandatoci sotto il suo nome, gli può essere
attribuito, se non con sicurezza, almeno con molta probabilità.
10 Si fa qui riferimento a un piccolo trattato, Discorsi musicali o Dicerie musi-

cali (Viterbo, 1670), andato perduto.

- 15 -
ANGELO BERARDI

Le liberali sono grammatica, retorica, dialettica, aritmetica,


musica, geometria e astrologia11. Le meccaniche sono agricoltu-
ra, caccia, arte militare, nautica, chirurgia, lanificio e ogni arte
fabbrile12.

11 Insegnamenti del trivio (grammatica, dialettica e retorica) e del quadrivio


(aritmetica, geometria, musica e astronomia) impartiti nelle scuole medievali
europee. Per arti liberali si intendono comunemente quelle arti che richiedo-
no attività intellettuale e applicazione della mente e dello spirito. Costituiva-
no il nocciolo imprescindibile degli studi: solo raggiunto il grado di ‘maestro
delle arti’ era infatti possibile accedere a una delle tre facoltà universitarie
superiori di teologia, diritto e medicina. La definizione è di origine romana.
Secondo Seneca e Quintiliano, già negli ultimi decenni della repubblica e
durante l’impero la grammatica, la geometria e la musica erano considerate
materie preparatorie allo studio della retorica e della filosofia. La prima
classificazione precisa si ebbe comunque con Marziano Capella, nel De
nuptiis Mercurii et philologiae (410). Inoltre Marziano Capella è il primo a
personificare le arti liberali, figure femminili che nella sua opera compaiono
quali doni nuziali di Mercurio alla sposa, presentate da Apollo in corteo,
ciascuna caratterizzata per abbigliamento e attributi, qualcuna anche dai
personaggi che la accompagnano, come la Musica, scortata da Orfeo, Arione
e Anfione che suonano arpe. Già sant’Agostino ne aveva sottolineato
l’importanza per chiunque fosse interessato a procedere sulla via della
conoscenza dell’anima e di Dio. Il successivo prevalere della dialettica tra le
materie del trivio come vera e propria introduzione al sapere filosofico e
quindi alla teologia, accentuò la funzione propedeutica delle arti liberali, che
rimasero per secoli, pur nell’ambito di una più ampia classificazione delle
scienze, a fondamento dei programmi scolastici e delle culture occidentali.
Lingua rappresentava la grammatica, tropus la retorica, ratio la dialettica,
numerus l’aritmetica, tonus la musica, angulus la geometria, astra l’astronomia.
12 Sono le artes, cioè le tecniche attinenti ai diversi campi disciplinari, che

si esercitano per lucro, a differenza delle arti liberali, che hanno come fine la
sapienza. Non ne esiste una precisa codificazione e il loro numero varia nei
trattati e nelle rappresentazioni figurative. Comprendono a esempio: medici-
na, architettura, pittura, metallurgia. Erano legate ad un’attività manuale e,
pertanto, venivano considerate inferiori. Spesso il termine mechanicus aveva
un significato negativo o almeno limitativo rispetto al livello illustre della
poesia e dell’arte. Erano considerate tipiche della vita pratica, del lavoro e
delle tecniche.

- 16 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – V.S. mi favorisca di spiegarmi la causa, per la quale sono


dette le prime liberali e le seconde meccaniche.

Fel. – Diverse ragioni si possono addurre, perché portino il


nome di liberali, e meccaniche. Si dicono liberali, perché rendo-
no l’uomo libero, col tenerlo lontano dal vil guadagno e da ogni
piacere illecito, somministrandogli la sapienza, della quale non si
trova cosa né più nobile né più bella: si dicono ancora liberali
perché richiedono una mente libera, mentre vengono esercitate
dal corpo libero, a differenza delle meccaniche, nelle quali
l’artefice geme sotto il grave peso d’una dura servitù e fatica.
Infine, queste arti liberali sono ordinate ad esercitare le loro
operazioni mediante l’anima, essendo questa libera rispetto al
corpo, e perciò con ragione si chiamano liberali; al contrario, le
meccaniche sono ordinate ad esercitare le loro operazioni me-
diante il corpo, il quale è servitore dell’anima, e perciò merita-
tamente portano il nome di servili.

Gius. – Ho inteso il tutto benissimo, ma desidero sapere che


reputazione, decoro e nobiltà possa ricevere la musica, essendo
enumerata fra le arti liberali.

Fel. – Quello che spetta alla nobiltà della musica si è che queste
arti erano solo permesse a persone libere e nobili. L’arte liberale
va congiunta con la scienza, non ritrovandosi prerogativa che
renda l’uomo libero e nobile, quanto questa. E perciò gli Stoici

Rus rappresenta l’agricoltura, nemus l’arte venatoria, arma l’arte militare, rates
l’arte nautica, vulnera l’arte chirurgica e farmacologica, lana l’arte tessitoria e
faber l’arte fabbrile.

- 17 -
ANGELO BERARDI

solevano dire: omnes sapientes, et doctos liberos esse13. E Cicerone


così va dicendo: Nullus vir doctus servuus, aut ignobilis esse potest, nisi
forte volutabro vitiorum fuerit infectus14. Dalle ragioni addotte chia-
ramente si vede che la musica riceve dalle arti liberali nobiltà,
decoro e reputazione.

Gius. – Adesso intendo l’equivoco di quel soggetto virtuosissi-


mo nella professione armonica, e tanto suo amico, che biasima-
va tutti gli autori, che avevano annoverata la musica fra le arti
liberali, doveva egli star fisso sul puro termine di arte col dire,
che se era tale, non poteva esser sua, ma da quello che V.S. ha
detto, si vede chiaramente che le scienze sono fra le arti liberali,
e che la musica è scienza perfettissima.

Fel. - Il tutto è vero, e nelle mie Dicerie Musicali15 mi riservo di


provarlo con ragioni vive ed efficaci, tutte fondate sull’autorità
dei Filosofi e dei Santi Padri. Per ora le basti, che essendo la
Musica parte dell’Aritmetica e della Geometria16, mentre piglia
da una i numeri, dall’altra le quantità misurabili; cioè, i corpi
sonori e queste ultime sono scienze perfettissime, necessaria-
mente bisogna confessare, che tale sia la Musica ancora.

Gius. – Mi sarebbe assai grato l’intendere dove abbia avuto la


sua denominazione la Musica.

13 “Tutti gli uomini sapienti e dotti sono liberi”. Citazione da Cicerone,


De finis bonorum et malorum e Tacito, Agricola e Germania.
14 “Nessun uomo dotto può essere sottomesso o ignobile, tranne che

non sia stato corrotto dal pantano dei vizi”.


15 Cfr. nota n. 10.
16 Cfr. nota n. 11.

- 18 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Alcuni sono stati del parere, che abbia avuto il nome dalla
parola Moys, che in lingua Egizia significa l’acqua17, ma pro-
priamente vien detta Musica dalle Muse, che vuol dire canto18.

Gius. – Ma che ha a che fare l’acqua con la Musica?

17 Per molto tempo si è ritenuto che il termine fosse egiziano e che deri-
vasse da donne musiciste, assurte al ruolo di dee e al servizio di un re. Ma
non è esatto perché nessuna delle antiche civiltà usava un nome specifico per
indicare la musica così come lo indichiamo attualmente, ma solo delle
‘espressioni’ o parole indicanti, più che altro, stati d’animo. Gli egizi usavano
il verbo msi (mosi) ossia ‘generare’; da ciò il nome di Mosè, molto vicino al
termine greco (Musa), che nel Medioevo fu, per alcuni studiosi, erroneamen-
te ritenuto l’inventore della musica. I danzatori che partecipavano alle
cerimonie funebri dei faraoni erano chiamati muu. Gli stessi egizi adoperava-
no l’espressione moys ikos legata alla origine divina di questa arte; infatti le
parole indicavano rispettivamente acqua ed arte, e ritenendo l’acqua il
principio della vita, legarono la musica al mondo divino. Per loro la musica
era ‘invenzione’ di alcune divinità, come Bes con l’arpa e Thoth e Baste con
il sistro.
18 Le Muse sono figure della mitologia greca e romana, figlie di Zeus e di

Mnemosine. Sono dette eliconie (per esempio nella Teogonia di Esiodo) perché
abitano il monte Elicona, altro appellativo è Aonie, poiché la Beozia (ove è
situato il monte Elicona) fu abitata dagli Aoni. L’idea delle muse fu una
concezione di grande rilievo della mitologia: personificavano le più elevate
aspirazioni artistiche e intellettuali e del valore supremo del pensiero
nell’universo. Esiodo attribuisce loro una forma, inoltre fissa il loro numero in
nove, dando ad ognuna un nome. La loro specializzazione nei diversi campi
artistici è più tarda. Furono i romani a dar loro una ispirazione propria. Erano
guidate da Apollo, danzavano e cantavano alle feste degli dei e degli eroi.
Sedevano spesso presso il trono di Zeus cantandone le imprese e narrando le
storie dei grandi dei ed eroi. Erano infatti le depositarie della memoria (grazie
alla madre Mnemosine, dea della memoria) e del sapere (grazie al padre Zeus,
padre supremo degli dei e garante/esecutore del Fato).
Le accademie dei pitagorici erano organizzate in associazioni che celebravano il
culto delle muse. Da qui il senso della parola musa, che in origine indicava il
luogo in cui veniva impartita l’educazione e si elaborava la ricerca. La parola
musa ha infatti la stessa radice della parola musica, che nell’antica Grecia aveva
un significato più ampio di quello attuale relativo alla cultura occidentale.

- 19 -
ANGELO BERARDI

Fel. – Si legge nella Margarita filosofica19, che sia detta dalla


parola Moys, per esser stata ritrovata vicino all’acqua.

Gius. – È più probabile, che la sua denominazione venga dalle


Muse, ma queste quante sono?

Fel. – Le Muse sono nove20, e per il numero novenario di tali


Dee ha avuta questa denominazione, poiché gli Antichi vollero
significare nei concenti delle otto Sfere, una massima concor-
danza21, la quale si fa di tutti gli altri concenti, che poi vien
chiamata Armonia22. Per il Fulgosi, significano i nove modi per
mezzo dei quali acquistiamo ogni scienza23, e dottrina. Le Muse,
essendo divise in tre Cori, significano le tre principali conso-

19 Gregor Reisch, Margarita filosofica del r.do p.f. Gregorio Reisch, nella quale

si trattano con bellissimo, & breue metodo non solo tutte le dottrine comprese nella
Ciclopedia degli antichi, cioe cerchio, ouero rotolo delle scienze; ma molte altre ancoraag-
giunteui di nouo da Orontio Fineo matematico regio, Venezia, Iacomo Antonio
Somascho, 1599.
20 Numero, nome e specificità delle muse, variano nei tempi e con gli au-

tori, nell’uso più frequente erano: Calliope, poesia epica e poesia lirica; Clio,
storia; Erato, canto corale e poesia amorosa; Euterpe, musica; Melpomene,
tragedia; Polimnia, inni religiosi; Talia, poesia gaia, poesia rustica e comme-
dia; Tersicore, danza; Urania, astronomia e geometria.
21 Esito ideale inteso come ‘modulazione di voci’.
22 Giovanni Paolo Lomazzo, Della forma delle muse: “E secondo Macrobio,

i Theologi antichi per le nove Muse vollero significare i canti Musici delle
otto sfere, & una massima armonia che di tutte ne risulta, & però Esiodo
chiamò l’ottava Musa Urania, perche doppo le sette vaghe, che sono soppo-
ste, l’ottava sfera sopraposta si chiama per proprio nome Cielo, & perciò
dalla soavità della voce, & del concento chiamò la nona Calliope, & li diede il
vocabolo di universale”.
23 Battista Fregoso (1453 – 1504), De dictis factisque memorabilibus collectanea,

a Camillo Gilino latina facta, Milano, Giacomo Ferrari, 1509.

- 20 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

nanze della Musica, Diatesseron, Diapente e Diapason24; oppure


i tre generi della Musica, Diatonico, Cromatico e Enarmonico25,
ovvero nel sistema Musicale le tre parti, di Grave, Acuto e
Sopracuto.

Gius. – Avendo sin qui udito la definizione, e denominazione


della Musica, la prego di seguitare il discorso intorno alla sua
divisione.

Fel. – Più che volentieri la voglio servire, per darle modo di


maggiormente affezionarsi a questa nobilissima professione
Armonica: la musica dunque si divide in Mondana, Umana e
Instrumentale26. La Musica Mondana è quella, che si trova nelle
proporzioni, che sono fra i moti Celesti27.

24 Diapason, Diatesseron e Diapente: gli intervalli di ottava, quarta e

quinta, come esemplificati nel De Musica di Boezio. Cfr., più avanti, nota
n. 171.
25 I tre generi dell’antica musica greca.
26 Nel I libro del De Musica, al capitolo XIII, Boezio distingue la musica

in tre parti: mundana, humana e instrumentalis. Questa suddivisione seguiva


l’impostazione che Aristotele aveva dato alla materia rispettivamente nel De
Caelo (quanto all’armonia delle sfere cosmiche), nel De Anima, quanto al
suono, e in alcune sezioni dei Problemata quanto all’acustica. La convinzione
che le sfere che accolgono i moti planetari nel cosmo sia tolemaico che
copernicano della prima ora, producessero con i loro moti sempiterni dei
suoni per contatto, ha portato ancora nel 1619 Johannes Kepler a trovare
nella sua terza legge dei moti planetari il suggello a 10 secoli di ricerca di una
regolarità matematico-geometrica giustificata a priori nelle dimensioni e nei
periodi dei moti planetari. L’Harmonices Mundi è il compimento di questo
percorso scientifico che aveva mosso i primi passi con Pitagora sei secoli
prima di Cristo.
27 Gli antichi autori intendevano alludere con questa espressione alla mi-

rabile armonia dei moti celesti, capace di dare diletto all’intelletto, che era in
grado di afferrarla autenticamente, cioè di comprendere l’universo come

- 21 -
ANGELO BERARDI

Gius. – Adesso mi ricordo, che quando mi favorì delle sue


Dicerie, lessi a questo proposito l’opinione di Democrito28,
Orfeo29 e altri Pitagorici, i quali assomigliavano il Mondo ad un
ben ordinato Monacordo30, ma per esser materia tanto oscura,
poco ne capii.

Fel. – Non vi ho dubbio alcuno, ma un giorno che siamo disoc-


cupati, me lo ricordi, che gli metterò il tutto in chiaro.

Gius. – A suo tempo riceverò il favore, ma V.S. mi dica, se fra le


Sfere si trova veramente l’armonia.

realtà interamente dominato dal numero e dalle sue leggi (le stesse da cui
sono regolate le proporzioni della musica), il che consente di parlare del
cosmo e di tutti i fenomeni che in esso avvengono appunto in termini
musicali.
28 Democrito di Abdera (460 – 370 a.C.), filosofo greco, amico e disce-

polo di Leucippo, il fondatore del primo atomismo, contemporaneo di


Socrate e Ippocrate. Viaggiò molto; visitò l’Egitto, la Babilonia e la Persia a
scopo di ricerca come fece Erodoto. Fondò ad Abdera, in Tracia, una vera e
propria scuola filosofica. Scrisse opere di etica, fisica, matematica, musica,
delle quali Cicerone ricorda anche la bellezza dello stile e dell’ornato poetico.
Restano oggi i titoli e più di duecento frammenti autentici.
29 L’immagine di Orfeo è così complementare a quella di Pitagora, e insieme

stanno a rappresentare le due facce della musica che nella cultura europea si sono
continuamente fronteggiate, dai greci a Nietzsche: la razionalità matematica delle
strutture musicali, la simmetria e l’armonia ordinata del cosmo e della composi-
zione, da un lato, e, dall’altro, l’irrazionalità delle pulsioni e delle passioni che la
musica può risvegliare o sedare a suo piacimento.
30 Forma dissimulata di ‘monocordo’, strumento pitagorico per la misu-

razione di consonanze e dissonanze.

- 22 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Non vi è da dubitare, poiché questo gran Volume dei


Cieli altro non è, che una Muta di Musica31, disse un
bell’ingegno, ma non già muta, poiché Coeli enarrant gloriam Dei:32
e il sopracitato Orfeo lasciò scritto: Tu totum Coelum quasi cano-
ram Citharam temperas33. Con questa sentenza s’accordarono
Pitagora, Platone, Tolomeo e Eratostene, i quali con la vivacità
dei loro spiriti s’innalzarono a conoscere ed intendere quella
ben ordinata armonia.

Gius. - Ma come possono generare armonia i Cieli, se questi


sono di materia fluida?

Fel. – La mia opinione è assai diversa dalla sua. Quello, che si


apre, e serra deve esser duro, e sodo: si legge nella Genesi:
Cataractae Coeli apertae sunt34. In Isa. e Mat. Clauditur vero Caelum35:
e Giobbe soleva dire: Coeli solidissimi, quasi aere fusi sunt36. Quello,
che contiene i corpi solidi è necessario, che sia duro, e solido; i
Cieli contengono le Stelle, che sono solide, dunque necessaria-
mente devono essere duri, e solidi37.

31 Partitura, spartito.
32 Libro dei Salmi, (18:2): “I cieli narrano la gloria di Dio”.
33 “Tu governi tutto il cielo allo stesso modo di una cetra armoniosa”.
34 Genesi (7:11): “Le cateratte del cielo si aprirono”.
35 “Era veramente circondato dal cielo”.
36 Giobbe (37:18): “il firmamento solido come specchio di metallo fuso”.
37 Secondo il sistema aristotelico-tolemaico, la Terra era ferma al centro

di un universo sferico, i cieli erano strati fisicamente solidi e tra uno e l’altro
erano incastonati i pianeti. L’ultima sfera era detta ‘delle stelle fisse’ e costi-
tuiva il limite oltre al quale nulla esisteva se non Dio (nella versione aristote-
lica del motore immobile che forniva il movimento alle sfere). La Terra,
immobile, era costituita dai quattro elementi (aria, fuoco, terra ed acqua)
mentre le sfere erano costituite da un materiale perfetto e incorruttibile.

- 23 -
ANGELO BERARDI

Gius. – Queste autorità mi piacciono assai: ma, se la curiosità mi


spingesse di vederle ne’ propri luoghi, come devo fare?

Fel. – V.S. guarderà nella Genesi al 7. in Isaia al 78. in Matteo al


3. e in Giobbe al 2838. Anzi legga S. Paolo nell’Epistola seconda
ai Corinzi, che egli medesimo attesta d’aver penetrato tre dei
Cieli: Raptum huiusmodi usque ad tertium Caelum39. Dunque sono
solidi, poiché se fossero fluidi uno solo se ne dovrebbe costitui-
re: essendo tali, chi vorrà negare, che nei loro rapidi movimenti
non rendano suono sensibile? E perciò soggiunse Giobbe: Quis
enarrabit Coelorum voces? Et concentum Coeli quis dormire faciet ?40
ovvero esponendo il testo, secondo l’edizione ebraica: Quis
exponet nubes in sapientia? aut instrumentum Coelorum quis faciet
quiescere?41 Quando ciò non le basti, legga Platone, Pitagora,

Il sistema tolemaico era accettato dalla Chiesa in quanto permetteva di


salvaguardare l’importanza della dimora dell’uomo. La centralità della Terra
era quel principio fermissimo che, derivante dal senso comune che vedeva
gli astri e il sole girare attorno alla Terra e la superficie rimanere ferma sotto i
piedi dei suoi abitanti, rendeva la giusta centralità a quella ‘Creazione Divina’
che era la realtà dell’uomo e della natura in cui era immerso.
38 La correttezza delle citazioni, come si può verificare dalle note prece-

denti, è dubbia.
39 Lettere di S. Paolo, Seconda lettera ai Corinzi (12:3): “Fu rapito fino al

terzo cielo”.
40 Giobbe (38:37). Il verso, tratto dalla prima edizione della Vulgata ap-

prontata da s. Girolamo, in realtà recita “Quis enarrabit coelorum rationem,


et concentum coeli quis dormire faciet?” (trad., “Che cosa racconterà la
misura dei cieli e chi farà dormire l’armonia delle sfere?”). Si tratta della
Vulgata nella prima edizione approntata da s. Girolamo
41 Nel testo ufficiale della Nova Vulgata, il versetto in questione è riporta-

to nel seguente modo: “Quis recensebit nubes in sapientia, et utres caeli quis
declinabit” (trad.: “Chi può con sapienza calcolare le nubi e chi riversa gli
otri del cielo”). L’autore modifica la seconda parte del verso secondo il senso
che intende dare al suo discorso (“o far tacere lo strumento dei cieli?”).

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Aristotele, Cicerone, Rodigino, Plinio, Boezio, Macrobio e altri,


che per brevità tralascio, e vedrà, che questi gran filosofi tutti
convengono, che le Sfere celesti rendono armonia soavissima, e
che al paragone di quella ogn’altra, che si oda fra di noi, sia pur
grata, e soave, è un’ombra imperfetta, anzi uno strepito orribile,
e dispiacevole.

Gius. – Essendo così soave l’armonia dei Cieli, e per qual causa
non viene goduta da noi?

Fel. – Sono diverse le cause. Prima; perché i metri di quella


mirabile armonia42 assai meglio con la mente purgata, che con
gli orecchi sensuali si capiscono, opinione di Plinio, e di Celio
Rodigino43.
La seconda, godendo il nostro udito il concento dei Cieli, gli
altri sensi resterebbero privi del loro uso, sentimento di Filone
ebreo44.

42 Da intendersi come ‘al di sopra dell’intelletto umano’.


43 Ludovico Ricchieri (Rovigo, 1469 – ivi, 1525), noto come Celio Rodi-
gino. In Lectionum antiquarium, V, 25 egli definisce la ‘musica mundana’ :
“Hanc ex celorum concentu, elementorum nexu, atque temporum varietate,
deprehensam esse” (trad., “Questa [La musica] viene scoperta dall’armonia
delle sfere, dalla connessione degli elementi e dalla diversità dei tempi”). I
Lectionum antiquarium del Rodigino (pubblicati per la prima volta a Venezia
nel 1516) vollero costituire un’ambiziosa sintesi del sapere umanistico nel
momento in cui complesse vicende storico-culturali spostavano oltralpe il
baricentro della res publica litterarum.
44 Filone di Alessandria (20 a.C. - 50 d.C.), filosofo ebreo di lingua greca,

nato ad Alessandria d’Egitto, noto anche come Filone l’Ebreo. Coltissimo


esponente della potente comunità ebraica di Alessandria, nel 40 d.C. fu
rappresentante della delegazione a Roma preso l’imperatore Caligola. Prove-
nente da una delle più ricche e influenti famiglie della città, è probabilmente
il primo grande commentatore dei testi biblici da lui conosciuti in traduzione

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ANGELO BERARDI

Finalmente il nostro udito non ne gode, o per l’estrema lonta-


nanza, oppure per la sua grandezza; così ha lasciato scritto S.
Anselmo45.
Beda46 però è di parere, che questo suono tacitamente venga
trasmesso nel nostro udito, ma, che noi non lo godiamo per la
consuetudine.

Gius. – In quella celeste armonia come vi possono essere


l’acuto, il grave, l’allegro ed il malinconico? 47

Fel. – I Cieli, che nei loro moti sono più veloci, producono
l’armonia allegra, e quelli, che sono più tardi generano armonia

greca. La sua originalità sta però nell’aver interpretato in maniera platonica le


verità bibliche. Egli vide nella ‘teoria del Demiurgo’ (esposta da Platone nel
suo Timeo) il divino architetto creatore del cielo e della terra, padrone incon-
trastato dell’universo. I testi mosaici del Pentateuco, contenenti la rivelazione
della creazione e le principali leggi divine insieme agli altri testi sacri accorpa-
ti a questi, verranno da Filone spogliati del loro significato più immediato e
letterale e reinterpretati allegoricamente. Questo modo di leggere i testi
biblici avrà di li a poco molta fortuna e costituirà il metodo interpretativo
principale per la tradizione neoplatonica di area cristiana.
45 Anselmo d’Aosta o di Canterbury (Aosta, 1033 o 1034 – Canterbury,

1109), santo e dottore della chiesa. Anselmo fu uno dei maggiori teologi e
filosofi del Medioevo, ed è detto “il padre della filosofia Scolastica”. Ansel-
mo riprende da s. Agostino la formula “credo ut intelligam, intelligo ut credam”
(cioè “credo per comprendere, comprendo per credere”). Tuttavia, la fede di
per sé non è sufficiente: esige dimostrazioni e conferme razionali. E in
questo, l’intelletto, proprio come la fede stessa, ha una sicura guida
nell’illuminazione divina. La sua ricerca è tutta concentrata sulla figura di
Dio, sulla quale pone due problematiche: la sua esistenza e la sua natura.
46 Cfr. nota n. 9.
47 I ritmi più veloci vengono giudicati più adatti per le tonalità maggiori,

mentre quelli più lenti per le tonalità minori. Queste sfumature connotano
l’armonia nei suoi effetti più legati all’espressione musicale.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

grave, e malinconica, e l’una, e l’altra vengono prodotte dalla


sua Sfera.

Gius. – Questi giorni addietro, discorrendo di non so che com-


posizione, a quel proposito V.S. mi disse, che sei qualità deve
avere una composizione ben tirata da maestra mano di dotto
compositore: e la sesta condizione era, che in essa si trovi il
numero delle figure convenienti, sotto quel tempo, che sarà
composta48; in quel celeste concento non essendovi le figure, né
tanto meno i tempi, per conseguenza non sarà sottoposto a
questa condizione.

Fel. – Ora V.S. noti, che per corrispondere al suo scherzo,


voglio farle vedere, che in quella celeste armonia vi si trovano
tutti quei requisiti che sono necessari nella Musica. Sono fogli le
Sfere, righe le Zone, chiave i Poli, segni dei tempi quelli dello
Zodiaco, si bequadro i quadrati, si bemolle gli aspetti benigni,
note le figure, diesis gli acuti, influssi, e triple i trigoni49.

48 Il modello è in questo caso il trattato di Vitruvio De Architectura. Vitruvio


definì l’architettura come il prodotto di sei qualità o categorie: l’ordine (il raziona-
le accostamento delle parti di un’opera), la disposizione (l’appropriata collocazio-
ne degli elementi), l’armonia (la bellezza dell’insieme, che risulta dal perfetto
accordo delle parti), la simmetria (la proporzione tra le parti, e tra le parti e
l’opera intera), il decoro (l’aspetto dell’opera, conformato alla natura), la distribu-
zione (l’economia nell’utilizzo dei materiali da costruzione e degli spazi).
49 La risposta si mantiene sullo stesso tono; qui il paragone viene istituito

tra gli elementi della musica e quelli dell’astologia (e della geometria). Già
Marsilio Ficino (Figline, 1433 – Firenze, 1499), nel De vita, aveva affrontato
questo rapporto in questo contesto di relazioni simpatetiche che connettono
l’uomo al cosmo dove l’immaginazione opera per migliorare la vita
dell’uomo di lettere.

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ANGELO BERARDI

Gius. – Finora ella ha discorso di quella celeste armonia, ora


sentirei volentieri la descrizione del Maestro di Cappella, che da
regola, e misura a quel concento.

È dato conosciuto che l’Europa del primo terzo del XVII secolo veda il
fiorire di scritti, manifesti, trattati, e di conseguenti polemiche, intorno ad
utopie simboliste, alla qabbalah, alle società segrete di stampo rosacrociano. Si
tratta, di un ultimo colpo di coda di un pensiero che si rifà costrutti di
pensiero magico e simbolico.
Parte delle polemiche, e del conseguente chiarimento di una linea metodologica
nuova, si giocano, all’interno o attraverso l’ambito musicale. Giovi ricordare, per
inciso, che Cartesio stesso pone mano ad un Breviario di musica, nel 1618, in cui
adombra il ‘Metodo’. Così alla musica faranno riferimento, con maggiore o
minore profondità, nei loro scritti più importanti, Robert Fludd, Johannes
Kepler, Marin Mersenne, Michael Maier, Petrus Gassendi, Athanasius Kircher,
solo per citare alcuni. Ma così come il tema musicale rappresenta un terreno
fecondo di incontri e scontri, esso, per la sua intrinseca malleabilità offre il destro
alla possiiblità di essere utilizzato in vari modi e con esiti (ed intendimenti) affatto
diversi e divergenti. D’altra parte gli intellettuali del primo Seicento non sempre
dimostrano una ineluttabile coerenza di tipo ‘progressivo’.
Marsilio, Pico, Agrippa, Cardano, Reuchlin, Tritemio, Bruno, Paracelso, Campa-
nella e Keplero credevano si potesse, a partire dall’arcana sapienza egizio-ebraica,
forzare gli angeli a modificare il moto delle sfere celesti ed i loro influssi sulla
Terra. I loro mezzi sono certo più raffinati di quelli delle streghe: l’astrologia, la
qabbalah, l’arte della memoria, la teoria delle simpatie, la mistica della parola e del
gesto, il prezioso talismano e l’alchemica fornace sono molto diversi dalle vili
tecniche dello stregone, dai caotici Sabba, dalle inquietanti formule magiche o
evocatorie, ma il segno e il tono culturale sono analoghi. Come il mago rinasci-
mentale essi ricercano, la possibilità di sfuggire al determinismo naturale, domi-
nare gli astri, associarsi alla sfera demiurgica.
La trattatistica musicale assume in quest’ottica, un’importanza notevolissima
nello sviluppo della storia culturale dell’Occidente; quasi un canto del cigno,
poiché il grande progetto panarmonico che collegava sapienza orientale ed
occidentale, antichità preclassica e classica attraverso il Medioevo, all’umanesimo
rinascimentale, andrà a morire, lentamente, ed ‘a testa alta’, proprio nel XVII
secolo, servendo però da spunto polemico, appunto, per l’affermarsi del moder-
no pensiero scientifico e dei suoi costrutti fondamentali.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Tutto questo bel Componimento vien retto, e governato


dalla battuta di quel Sommo Protomaestro, che è Creatore,
dispositore, governatore, e conservatore del tutto, in quanto il
tutto regge, e sostenta, in quanto dà regola, e misura a tutte le
cose, e delle cose tutte è cagione effettiva, e finale50.

Gius. – V.S. m’ha fatto godere l’armonia dei Cieli, ma io dubito


di corrisponderle, con un rauco, e rozzo suono d’importune
domande; se le piace possiamo far passaggio alla Musica umana.

50 Johannes Kepler (Giovanni Keplero, Würtemberg, 1571 – Regensburg,

1630), per ufficio anche astrologo, compilatore di oroscopi e per amore


filiale difensore di una presunta strega, pone in gioco anche le connessioni
tra astrologia e musica alla luce del discorso astronomico, come prima di lui
avevano fatto Tolomeo, Cardano e Pico della Mirandola, cui espressamente
egli si riconnette; ma anche nella speculazioni musicali barocche l’unione di
musica ed astrologia ha un ruolo di rilievo, soprattutto in autori come
Steffani o Werckmeister. Keplero si limita allo studio delle configurazioni ,
lasciando perdere una gran parte delle connessioni mitico-simboliche tradi-
zionali. Fatto salvo che per l’astronomo la Terra è un essere vivente dotato
di un’anima e manifesta la propria vita attraverso i fenomeni atmosferici,
nella sostanza Keplero riconduce l’astrologia alle sue speculazioni
sull’armonia del cosmo. È essenzialmente la geometria a configurarsi come
codice comune tra musica planetaria e astrologia. Se e quando questo accade
la speculazione astrologica diviene una funzione dell’anima del mondo e
della sua armonia; Keplero comunque utilizza dell’astronomia ciò che può
servire a dimostrare che anche da questo punto di vista il cosmo è ordinato
armonicamente. Per un certo verso, conseguentemente, l’astrologia kepleriana si
avvia ad una psicologizzazione che avvicina le cause delle leggi che governano le
configurazioni al concetto di anima. Nel corso di tutto il IV Libro dell’Harmonices
Mundi, Keplero mette in connessione configurazioni e armonia musicale insita
nella natura; tuttavia il peso di queste analogie e connessioni è esclusivamente
quello di un argomento a favore di un cosmo (macrocosmo e microcosmo) retto
da “...questo sommo Prothomaestro, in quanto creatore, dispositore, governato-
re... [che] infonde lo spirito della concordia in tutti gli altri mondi inferiori”, per
dirla con Giovan Battista Marino.

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ANGELO BERARDI

Fel. – Questa Musica, per essere la più breve fra tutte l’altre, in
poche parole ce ne sbrigheremo. Sappia dunque, che la Musica
umana è quella unione, che si trova fra i quattro Elementi, che
compongono il Corpo umano, questo unito con l’Anima si
accorda così bene a fare le sue operazioni, che necessariamente
bisogna confessare, che fra di loro vi sia, non aperta, ma occulta
armonia, e Musica51.

Gius. – E quanto dura?

Fel. – Dura fin tanto, che l’Anima sta congiunta col Corpo.

Gius. – Ma dissolvendosi quest’armonia, che ne succede?

Fel. – Quando si discioglie quest’armonia ne viene la morte, il


Corpo si risolve in polvere, e l’Anima se ne vola all’immortalità,
per vivere eternamente.

51 Boezio parla della musica humana, a sua volta divisibile in armonica, rit-
mica e metrica, come di una espressione della complessione interna,
dell’anima. E se la musica mundana può essere scrutata nel cielo, nella com-
pagine dei quattro elementi, per intendere la musica humana, scrive Boezio,
bisogna invece scendere in se stessi. Che cos’è infatti che tiene unita la
vitalità della mente con il corpo se non una compenetrazione e contempera-
zione di voci leggere e gravi in modo da produrre un’unica consonanza? E
che cosa tiene unite le varie parti dell’anima? Una musica “de interiore
nomine” che si genera dall’armonia interna allorché spira amore. La musica
umana è allora quella armonia tra spirito e materia, mente e corpo,
quell’armonia psicofisica che è specchio dell’armonia del cosmo.

- 30 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Questa è una Musica, che finisce molto presto, essendo


la vita umana così breve, che si può dire, che sia un vento, un
momento, poiché ogni giorno, che passa urta la tomba.

Fel. – Da questi due versi ella potrà congetturare quanto sia


miserabile la vita umana.
Vita hominum brexis est, varijs obnoxia curis.
Manè viret, languet vesperè, nocte cadit52.

Gius. – Io però mi do a credere, che la natura, vedendo tanta


brevità di questa vita, a bello studio nascondesse il tempo della
morte; poiché, se si sapesse avanti, molti innanzi tempo mori-
rebbero di dolore.

Fel. – Simonide considerando i dolori, e le miserie della vita


umana, soleva dire, che le forze degli uomini sono poche, e i
pensieri vani e alla vita breve sempre sovrasta travaglio sopra
travaglio, e cruda, e inevitabil morte, che con falce tagliente
uccide, tanto i buoni, quanto i cattivi53. Dice Pindaro, che gli

52 “La vita umana è breve, soggetta a inutili cure. Fiorente al mattino, de-
bole la sera, viene meno la notte”. Una affermazione molto simile relativa al
valore effimero della vita umana di fronte all’eternità, si riscontra in un
registro di visite dell’abbazia di Saint Rémy in Francia, datato 1650:
“Requierrant in pace(???) / Vita hominum brevis est multis gloria(???)
crucis(???) / mane viget, languet [...] morte cadit / In cruce fiducia”.
53 Simonide (Σιµωνίδης) (Isola di Ceo, 555 a.C. circa - Agrigento, 466

a.C.), fu un famoso poeta lirico greco. A Ceo, Simonide crebbe e venne


iniziato alla produzione artistica letteraria. In età adulta si spostò ad Atene
alla corte intellettuale del tiranno Ipparco. Dopo aver soggiornato in Tessa-
glia, il suo continuo peregrinare di corte in corte lo fece arrivare in Magna
Grecia, dove fu ospitato a Siracusa da Gerone I. Morì in Sicilia alla corte di
Terone d’Agrigento. La tradizione biografica lo indica come il primo di una

- 31 -
ANGELO BERARDI

uomini hanno due mali insieme: non possono essere immortali,


né soffrire modestamente i mali della vita. Era solito dire
Sofocle: tu piangi, perché sia morto un uomo, che è mortale,
eppure non sai, se quello, che ha da venire sia per giovare in
modo alcuno. Diceva Euripide: tu credi forse di sapere la
natura delle cose mortali, non le puoi sapere, poiché tutti gli
uomini sono mortali, né si trova chi di loro che possa dire,
domani sarò vivo.

Gius. – Queste sono considerazioni profittevoli all’Anima, per


astenersi dall’offese di Sua Divina Maestà, e utili al Corpo, per
incamminarsi con ogni maggior celerità all’acquisto della Virtù,
per poter ritrovare in questa quella felicità che non si trova nei
beni esterni e utili. Io per me credo, che l’uomo virtuoso sia
felice, in quanto non gli resta, che desiderare.

Fel. – V.S. dice ottimamente, poiché la Virtù non è sottoposta


ad alcuna necessità, non sa tributare d’ossequi, che se medesi-
ma, altra contemplazione non tiene, che delle proprie bellezze;

serie di poeti lirici che fecero della subordinazione e della produzione


letteraria su committenza a scopo di lucro la propria professione. Vero o non
vero, l’originalità simonidea può essere riconosciuta, tuttavia sul piano tematico:
gli studiosi hanno evidenziato gli elementi di tacita o aperta critica all’etica
tradizionale e all’ideologia aristocratica, per esempio nella contestazione all’idea di
‘perfezione morale’ che aveva da sempre costituito l’incarnazione dei valori
nobiliari (ad essa Simonide oppone l’ideale di una vita onesta e senza colpe,
consapevolmente inserita nel contesto della polis e non mirante a un’eccezionalità
del tutto individuale) o nell’esplicita professione di relativismo che sembra
contrastare – mettendo in forse la distinzione fra ciò che è bello e ciò che è turpe
– la stessa base ideologica di quell’aristocrazia che Pindaro tornerà a cantare
secondo i canoni etici tradizionali.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

sentimento di quel savio Cortigiano, che a questo proposito


così disse: Quaeris quare virtus nulla egeat? praesentibus gaudet, non
concupiscit absentia, nihil illi magnum, quia fatis [satis]54. E Cicerone
fu del medesimo parere, mentre diceva: Virtus se ipsa contenta55.
L’uomo virtuoso è quell’uomo di Zenone56, che è diviso da un
altro uomo, e quasi non uomo, non è soggetto ai sensi e
all’esser mortale. Gli Stoici stimarono l’uomo virtuoso esente da
qualsivoglia colpo di fortuna57. Ora ripigliamo il filo del nostro

54 La citazione è tratta da Lucio Anneo Seneca, Epistulae morales ad Luci-


lium, VIII, 74, 12: “Voi mi chiedete perché la virtù non ha bisogno di nulla?
Perché soddisfatta di quello che già ha, non desidera affatto quello che non
può avere e niente è un premio per lei, perché per lei tutto è sufficiente”.
55 Cicerone, De finibus, XXVII, 79: “La virtù è contenta di se stessa”.
56 Zenone di Cizio (333 a.C. - 263 a.C.), da non confondere con Zenone

di Elea, commerciante cipriota, giunse ad Atene in seguito ad un naufragio


che causò la sua rovina economica; qui scoprì la filosofia e la sua vita subì
una svolta radicale. Nel 301 aprì la sua scuola in un edificio dotato di un
magnifico portico affrescato dal pittore Polignòto: la Stoà poikìle (= portico
dipinto), da cui deriva il nome della scuola stessa (stoicismo).
Il problema centrale della logica zenoniana è quello della predicazione del reale
(e, prima ancora, della sua predicabilità): ovvero, anzitutto, il problema della
comunicazione logico-linguistica in sé, e poi della corrispondenza fra le strutture
del reale ed i princìpi logici in base ai quali l’uomo cerca di esprimerle. Zenone
giungeva a concludere, sostanzialmente, che la sola verità possibile per l’uomo è
quella che deriva da un ragionamento articolato in maniera corretta, ma che tale
verità dovesse rimanere su un piano puramente logico, senza che si potesse
sapere l’esistenza di un effettivo rapporto con la realtà: la quale, inevitabilmente,
nella sua essenza ci sfugge. In definitiva, anche quando crede di pensare la realtà
esterna, il pensiero pensa sempre se stesso.
57 Per i filosofi stoici, il baricentro della vita morale è tutto interno

all’uomo: la realizzazione consiste esaurientemente nella virtù, e la virtù


dipende solo dal soggetto umano, dall’individuo, e non viene determinata dal
contesto esterno. Nei confronti del contesto esterno, anzi, gli stoici chiedo-
no un atteggiamento di distacco: la salute o la malattia, la ricchezza o la
povertà, la fortuna o la sfortuna, devono esserci indifferenti (adiaphorà); il

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ANGELO BERARDI

discorso: dopo la Musica umana ne segue la strumentale58, la


quale è Maestra di tutte le Cantilene, ed è quell’armonia, che
nasce dai suoni e dalle voci.

Gius. – Si può dire, che ogni voce sia suono, ed ogni suono sia
voce?

Fel. – Che ogni voce sia suono va bene, ma che ogni suono sia
voce, questo non può essere; perché la voce è una ripercussione
d’aria59 respirata all’arteria vocale, che si manda fuori con qual-
che significato. Il suono è una ripercussione d’aria non sciolta,
che perviene all’udito senza rappresentare cosa alcuna
all’Intelletto.

Gius. – Che qualità deve avere il Corpo, per rendere il suono?


Poiché ho osservato, che il latte, e l’olio nei loro moti si sentono
appena.

Fel. – Il Corpo, che deve rendere il suono, facilmente si deve


muovere, acciò con più prestezza venga a ferire l’udito, e di qui ne
nasce, che il latte, e l’olio nei loro moti si sentono appena, a diffe-
renza dell’acqua e del Vino, ecc. La Musica Instrumentale si divide

saggio stoico è colui che è felice anche nelle circostanze esterne più sfavore-
voli, e non si turba per il loro alterno mutare.
58 Musica originata dagli strumenti, che è anche imitazione della musica

vocale.
59 La boeziana “vox aut repercussio aeris”, da intendersi come produzio-

ne sonora emessa dalla laringe e articolata tramite le corde vocali.

- 34 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

in Armonica, Organica, Ritmica, e Metrica60. L’Armonica è quella,


che con ragione di proporzioni discerne le voci umane, causate
dagli strumenti naturali, che sono polmone, gola, ecc. necessari
anche al parlare comune. Da questi nascono le voci, e i suoni,
che sono causa delle consonanze, e della Musica quale viene
chiamata vocale, ed è più nobile d’ogni altra, poiché la voce
umana di gran lunga avanza tutte le altre voci. La Ritmica, e
Metrica è quell’armonia, che si sente, e nasce nell’aggiustare la
quantità delle sillabe nel verso, le quali costituiscono diversi
piedi, come il Dattilo, lo Spondeo, ecc.

Gius. – Queste due sorti di Musica devono cadere piuttosto in


considerazione al Poeta e all’Oratore, che al Musico.

Fel. – È vero, però passeremo all’Organica, che è quella che


viene causata dagli strumenti artificiali, che sono di tre sorti.
Da Fiato; come
Organo, Pifferi, Cornetti, Flauti, Tromboni, Trombe, Fagotti,
ecc.
Da Corde; come
Lire, Viole, Arpe, Cetre, Cimbali, Monacordi61, Liuti, Violini,
ecc.
Da Battere; come
Tamburi, Gnaccare62, Campane, ecc.

60 Rispettivamente si intendono qui la musica prodotta dalla voce umana

(armonica), quella degli strumenti musicali (organica) e la metriva quantitati-


va testuale (metrica e ritmica).
61 Cfr. nota n. 30.
62 Nacchere.

- 35 -
ANGELO BERARDI

Gli Inventori, e descrizioni di tutti questi Instrumenti Musicali


V.S. le potrà vedere a suo tempo nelle mie Dicerie Musicali.

Gius. – Mi basta, che per ora mi dica solo chi fu l’Inventore del
Violino, essendo strumento caro, e grato all’uno e all’altro.

Fel. – Il Violino fu inventato da Orfeo, figliuolo d’Apollo, e di


Calliope63. Saffo Erista64 poetessa antica inventò l’Arco con i
crini di cavallo, e fu la prima, che suonasse il violino, e viola,
come s’usa, oggidì, e questo fu 624. anni avanti la venuta del
Signor Nostro Gesù Christo.

Gius. – Il Violino è Instrumento da corde, vorrei sapere perché


si dice corda.

63 Orfeo, mitico citareda di Ridope, era figlio di Eagro, re della Tracia, e

della musa Calliope (o secondo altri di Apollo e di Calliope). Il Dio Apollo


gli donò la lira e le muse gli insegnarono ad usarla.
64 Da intendersi ‘originaria di Ereso’, luogo di nascita della poetessa greca

Saffo, considerata la più grande poetessa dell’antichità, se non addirittura la


voce poetica femminile più eccezionale e più intensa di tutti i tempi. Nacque
nell’isola di Lesbo, a Èreso o a Mitilene, nella seconda metà del VII secolo
a.C.: precisamente intorno al 640 a.C. (secondo la testimonianza
dell’enciclopedia bizantina Suda) o al 610 a.C. (secondo la testimonianza del
cronografo Eusebio).
A Mitilene diresse un tiaso, una comunità di fanciulle appartenenti, come lei,
alle più influenti famiglie aristocratiche dell'isola, unite nel sacro vincolo del
culto di Afrodite, educate alla sapienza, alle buone maniere, al canto, alla
musica e alla danza. Proprio alle fanciulle del tiaso è dedicata la parte più
cospicua della sua opera, che la poetessa doveva cantare personalmente con
l’accompagnamento della lira.
Spesso i trattatisti, in particolar modo quelli rinascimentali (cfr. Silvestro
Ganassi, Regola Rubertina), cercavano di dare lustro ai loro strumenti prediletti
attribuendone l’invenzione ai greci. Per alcuni di questi la lira era uno stru-
mento suonato con l’archetto, identificato ai tempi con l’antico ‘plettro’.

- 36 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Aurelio Cassiodoro dice, che corda dicitur à corde; cioè che
la corda muove il cuore65. Franchino Gafforo nella sua Teorica
dice: Cassiodorus existimat chordam appellatam, quòd facilè corda
movet66. Isidoro ancor’egli dice così: Chorda à corde derivat, quia,
sicut pulms est cordis in pectore, ita pulms chordae in Cithara67.

Gius. – La spiegazione, che V.S. mi ha fatto della corda mi ha


legato interamente il cuore: ma prima che passiamo agli Inven-
tori della Musica, desidererei intendere, se anticamente nella
Chiesa di Dio era usato il canto, così ben intrecciato con gli
strumenti, come si sente oggidì.

Fel. – Molti Santi Padri hanno biasimato l’uso degli strumenti


nella Chiesa di Dio. S.Gio.Chrisost. nel Sal 150.68 S. Isidoro

65 Flavio Aurelio Cassiodoro, Epistola ad Boethium, 506/7 in Variarum liber,

II, 40: “Hinc etiam appellatam aestimamus chordam, quod facile corda
moveat”.
66 Franchino Gaffurio (Lodi, 1451 – Milano, 1522), nel suo trattato Theo-

rica Musicae, riprende la definizione di Cassiodoro (cfr. nota n. 65): “Cassio-


doro pensa che sia chiamata corda, poiché facilmente muove il cuore”.
67 Isidoro da Siviglia (Cartagena, 560 circa – Siviglia, 636), Etymologiarum,

3.22.6: “Chordas autem dictas a corde, quia sicut pulsus est cordis in pectore,
ita pulsus chordae in cithara” (trad.: Invece sono dette corde dal cuore,
poiché così come vi è il battito del cuore nel petto, così vi è l’impulso delle
corde nella cetra”).
Cfr. G. Casoni, Della magia d’Amore, f. 38, v-39: “Vuole Isidoro, che le corde
de gli instromenti siano cosi dette dal core; onde il Musico remperando i
moti veloci, e tardi, altro non procura tra i suoni formati dalle corde, che
Amore; da che si comprende, ch’egli ha instituito la Musica instromentale
per procurare amore tra i cuori”.
68 Il salmo CL è quello in cui per tredici volte risuona l’alleluia, in cui si

invita a lodare il signore con squilli di tromba, con arpa e cetra, con timpani
e danze, culle corde e sui flauti, con cembali sonori e squillanti.

- 37 -
ANGELO BERARDI

lib. 2 Epist. 176.69 scrivono, che solo agli Ebrei erano concessi
gli strumenti per la loro fragilità, e debolezza70, il che si raccoglie

Ma il repertorio simbolico cui attingono i libri veterotestamentari è troppo


più antico del cristianesimo. In realtà, nelle grida esultanti e nelle danze, la
chiesa avrebbe visto una rottura del proprio ordine sonoro, gestuale e
spaziale, uno ‘strumento del diavolo’ per confondere e corrompere le anime.
Perciò le processioni religiose venivano regolamentate dai Concilii, e le
manifestazioni di entusiasmo proibite. Tra i poteri del diavolo, i più temuti
sono quelli che scatenarono, secondo le varie esegesi, il peccato originale:
cioè orgoglio e lussuria. Il vitalismo blasfemo dell’urlo e la fisicità della danza
sono dunque le manifestazioni sonore e coreutiche dei massimi poteri
demoniaci.
Ma, per quanto riguarda l’uso della voce e di veri e propri strumenti musicali,
il potere più temibile del diavolo è un altro: l’inganno. Quando il diavolo
adopera autentici arnesi musicali li prende, per ingannare gli uomini, dalla
strumentazione degli angeli musicanti, quella che segue la speculazione
teologica e che quindi dovrebbe esprimere le metafore sonore dell’armonia
divina. La conclusione, inevitabile, è che la musica degli angeli e quella del
diavolo, pur esprimendo due funzioni comunicative ben diversamente
orientate, possono essere la stessa musica: l’etica del suono, che le società
arcaiche o quelle tradizionali sviluppano sempre in forme e formule precise,
diventa nel mondo cristiano l’oggetto di una riflessione e di una precettistica
sostanzialmente negative, che procede solo per proibizioni. Esiste un unico
strumento sonoro che rimane inaccessibile alla musica del diavolo, ed è la
campanella, il sonaglio metallico dal tintinnìo argentino. Fin dall’Antico
Testamento i sonagli sono sacri: perfino quelli dei cavalli lo diventano,
durante la festa dei Tabernacoli, e gli abiti dei sacerdoti portano sempre
attaccate delle campanelle: un uso che, nonostante la proibizione di San
Giovanni Crisostomo (Antiochia, ca. 350 – Comana, 407), continuerà fino
alla fine del Medioevo cristiano, e che permane ancora oggi nel rito greco-
ortodosso.
69 S. Isidoro di Pelusio (Alessandria d’Egitto, ca. 350 – ivi, ca. 435), mo-

naco e scrittore bizantino, abate di un monastero presso Pelusio in Egitto ed


autore di un Epistolario tra i più cospicui dell’antichità, insieme con s. Gio-
vanni Crisostomo, difese la cristologia ecclesiastica contro diverse eresie e
attaccò profondamente l’ebraismo.
70 Cfr. R. Bonfil, Gli ebrei in Italia nell’epoca del Rinascimento, Firenze, Sanso-

ni, 1991. Per la chiesa cattolica, “la funzione del segno distintivo era inizial-
mente quella di distinguere gli ebrei dai cristiani, di evitare promiscuità di

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RAGIONAMENTI MUSICALI

dal primo del Paralip. Cap. 15.71 16.72 e 25.73 S. Agostino lib. 17.
de Civit. Dei, attesta che al tempo, nel quale vivevano gli Aposto-
li, ed anche quelli, che succedettero in quei Secoli prossimi, non
usarono mai il canto concertato con gli strumenti74. Al tempo di
S. Atanasio fu introdotto il canto con le sinfonie, ma poiché
cominciarono i Cantori, e Suonatori di quei tempi a lasciare
quella gravità, che si conviene allo stile Ecclesiastico, con usare
le bizzarrie Teatrali, e stili indecenti75, questo Santo fu neccessi-
tato a bandire dalla sua Chiesa d’Alessandria la Musica concerta-

varia natura, e in particolare sessuali, tra cristiani ed ebrei. Successivamente,


esso assumerà, nella percezione dei cristiani e ancor più in quella degli ebrei,
il senso di un’umiliazione. Il segno nasce in un contesto generale in cui la
distinzione tra ebrei e cristiani va scomparendo, poiché nell’apparenza fisica
e nel modo di vestire non esiste specificità o differenza di rilievo […]Le
miniature italiane, in particolare quelle di età rinascimentale, mostrano ebrei
che indossano abiti e ornamenti simili a quelli dei cristiani, ma danzano e
suonano strumenti musicali.
71 Paralipomeni 1 (15:16): “Davide disse ai capi dei leviti di mandare i loro

fratelli, i cantori con gli strumenti musicali, arpe, cetre e cembali, perché,
levando la loro voce, facessero udire i suoni di gioia”. (15:28): “Tutto Israele
accompagnava l’arca dell’alleanza del Signore con grida, con suoni di corno,
con trombe e con cembali, suonando arpe e cetre”.
72 Paralipomeni 1 (16:5): “Erano Asaf il capo, Zaccaria il suo secondo, Uz-

ziel, Semiramot, Iechel, Mattatia, Eliab, Benaia, Obed-Edom e Ieiel, che


suonavano strumenti musicali, arpe e cetre; Asaf suonava i cembali. I sacer-
doti Benaia e Iacaziel con le trobe erano sempre davanti all’arca dell’alleanza
di Dio”.
73 Paralipomeni 1 (25:1): “Quindi Davide, insieme con i capi dell’esercito,

separò per il servizio i figli di Asaf, di Eman e di Idutun, che eseguivano la


musica sacra con cetre, arpe e cembali”.
74 In realtà non vi è una simile affermazione all’interno del testo agosti-

niano. Anzi, in XXII, 24,c afferma riguardo alla dotazione dell’uomo: “per
incantare l’udito ha ideato tanti strumenti musicali e magnifici ritmi di
canto”.
75 Spettacoli non conformi al decoro.

- 39 -
ANGELO BERARDI

ta con gli strumenti. S. Agostino tenne sempre lontano dal suo


Coro d’Ippona questo modo di cantare76.

76 Dall’epoca di s. Agostino fino alla metà del XVIII secolo, il repertorio

liturgico o devozionale ha accettato esclusivamente musica vocale. Bisognerà


attendere il 1749, alla vigilia delle grandiose celebrazioni dell’Anno Santo
(1750), perché papa Benedetto XIV ammetta l’uso degli strumenti musicali
in chiesa, al solo scopo della valorizzazione emotiva delle parole dei canti, e
comunque in modo estremamente selettivo e restrittivo. Le ragioni di questa
censura verso gli strumenti musicali sono duplici. La prima ragione discende
dal primato della musica vocale su quella strumentale: un primato che risale
già alla Grecia classica, dove trovò una base ideologica nel pensiero di
Platone, e che resterà immutato nelle riflessioni sulla musica fino a tutto il
Medioevo. In effetti pare che la liturgia del cristianesimo primitivo non
contemplasse strumenti musicali. Nel Nuovo Testamento e poi nella lettera-
tura patristica, fino al V secolo, ci sono pochissimi indizi di un uso cristiano
degli strumenti. Un unico passo di Clemente Alessandrino segnala tale uso
per accompagnare i canti nelle àgapi, i morigerati convivi dei primi cristiani:
non a caso vi interviene una cetra, strumento a corde per antonomasia. Ma
in generale, nella speculazione cristiana, il canto è qualità umana che sa farsi
alta e ineffabile, riconoscendosi sotto il dominio dello spirito, mentre gli
strumenti musicali sono di natura animale, vegetale o minerale, e dunque
appartengono a un gradino inferiore del creato.
Il canto sarebbe associabile, pertanto, al cosiddetto ‘coro angelico’, ma
l’iconografia musicale abbonda di angeli ‘musicanti’. Questa contraddizione
si può speigare con una una difformità tra i princìpi dell'etica ‘vocale’ della
musica sacra e quello che è il codice di riferimento delle immagini pittoriche
di contenuto religioso. Accade così che gli scrittori del cristianesimo delle
origini, mentre quasi non menzionano gli strumenti nell’uso liturgico, li
usino abbondantemente come termini metaforici. Origene, s. Atanasio, s.
Agostino, s. Gregorio Magno ed Honoré d’Autun, lodano il tympanon, il
salterio o il corno - cioè strumenti a percussione, a corde e a fiato - per il
fatto che sono costruiti con materie organiche, pelle, budello, o corno,
essiccate, incorruttibili, quasi a significare escatologicamente la resurrezione
dei morti e il ricongiungimento alle anime dei giusti dei loro corpi resi
immortali dalla grazia e dalla salvezza finale.
Si tratta, insomma, di metafore: e saranno proprio queste metafore a trovare
posto nell’iconografia degli angeli musicanti, eclettici polistrumentisti,
mentre la pratica della musica sacra rimarrà assolutamente restrittiva
(AA.VV., Segno senso suono sacro, Roma, 1997).

- 40 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Io resto molto meravigliato, che questo gran Santo, per


altro così favorevole, ed amatore della Musica, come dimostra-
no le sue Opere, la rendesse poi in atto pratico priva del suo
maggiore adornamento, e per così dire dell’anima, mentre riceve
spirito, brio, e vivacità dagli strumenti.

Fel. – S. Agostino godeva della purezza del canto, ma non


amava che questo, più che la parola cantata, movesse le sue
passioni, poiché in questo caso avrebbe piuttosto chiuse
l’orecchie al canto che aperta la mente al diletto; questo mede-
simo sentimento egli spiega nelle sue Confessioni lib. 10, cap. 33
cum mihi accidit, ut me amplius Cantus, quam res, quae cantatur, moveat,
penaliter me peccare confiteor, ut tunc mallem non audire canentem77. E
altrove parlando di quelli che frequentano le chiese, allettati più
dal mero diletto sensuale di godere la musica che attratti dalla
devozione, dice queste parole: Rogamus pro illis, ut, qui delectabiliter
audiunt organum, delectabilius audiant vocem Dei78. Per brevità trala-
scio molti altri autori, particolarmente Leone Papa nel quarto
Sermone, che fa de Ieiunio79, e una elegante Orazione fatta da S.
Aelredo80 abate e discepolo di S. Bernardo. Se lei avesse curiosi-

77 S. Agostino, Le confessioni, X, 33: “Tuttavia se mi accade di essere


commosso più dal canto che dalle parole, confesso di peccare e di meritare
punizione: allora preferisco non sentir più cantare” (trad. C. Vitali).
78 S. Agostino, Esposizioni sui Salmi, “Sul Salmo 98”, Compariamo la fatuità

dei pagani. “preghiamo Dio per loro affinché quanti provano gusto
nell’ascoltare musiche profane scoprano quanto sia più gustoso ascoltare la
voce di Dio”.
79 S. Leone Magno, Sermo IV De Ieiunio.
80 Aelredo di Rievaulx, nato ad Hexham nel 1109 e spentosi a Rievaulx

(Valleridente) nel 1167 fu uno dei più grandi autori ecclesiastici inglesi. Egli
riassunse in un breve trattato ciò che la scrittura e l’esperienza umana

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ANGELO BERARDI

tà di vedere l’uno e l’altro autore, guardi nel terzo tomo dei


Consulti del Pignatelli81 alla pagina 136, che resterà soddisfatto.

Gius. – Ringrazio V.S. della notizia che mi da, ma io non voglio


andar cercando chi biasima ciò che a me più diletta; se questi
lodassero l’uso degli strumenti leggerei molto volentieri quanto
hanno lasciato scritto.

Fel. – Orsù non si rammarichi, se qualcuno ha biasimato l’uso


degli strumenti nella chiesa di Dio, altri l’hanno lodato e l’hanno
ammesso, tra i quali Clemente Alessandrino82 lib. 2 Pedag. Cap. 4.

insegnano sull’amicizia. Aelredo abbandonò la corte di Scozia per la vita


religiosa. Nelle sue opere, lo Speculum charitatis e il De spirituali amicizia, svolse
alcuni temi cari a S. Agostino. Nel De spirituali amicizia il rapporto tra amici
(tipicamente una diade) costituiva una realtà triadica di cui Cristo stesso
rappresentava il centro e la fine, in una straordinaria esperienza spirituale che
non ignorava il lato umano del sentimento. Per la sua profondità e ricchezza
affettiva è stato spesso paragonato a S. Bernardo.
81 Si fa riferimento al testo del teologo napoletano Giacomo Pignatelli

(1625-1698), Consultationum canonicarum, in quo praecipuae controversiae de iis,


quae ad sanctorum canonizationem, ac sacros ritus; ad sac. Concilium Tridentinum;
ad episcopos, & regulares; ad immunitatem,libertatem, jurisdictionem ecclesiasticam,
ac huiusmodi alia potissimum pertinent; non solum ex utroque jure scripto, sed etiam
ex Sacrorum Congregationum decretis, rebus judicatis, placitis, atque consultis, ex
prudentum responsis ex moribus receptis, breviter ac perspicue dirimuntur. Opus
omnibus utriusque fori judicibus, juriconsultis ac politici studii mystis, in primisque
summorum Pontificum, & Rerumpublicanarum consiliariis, et advocatis utile plane
ac necessarium, Venezia, Baglioni, 1695.
82 Tito Flavio Clemente meglio conosciuto come Clemente Alessandrino,

teologo, filosofo e scrittore cristiano del II secolo (150 ca. - 215 ca.). La
figura di Clemente Alessandrino é significativa di un importante mutamento
nei rapporti tra cristianesimo e filosofia, già avvenuto verso la fine del
secondo secolo: l’istituzione di una scuola cristiana e l’integrazione della
filosofia nel curriculum didattico di essa. Oltre all’omelia Quale ricco si può
salvare, ci sono stati conservati tre scritti di Clemente: Il protrettico ai Greci, nel

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Prudenzio, il quale fiorì sotto Teodosio il vecchio; Giovanni


Sarisbericense83 vescovo carnatense, il quale visse nel medesimo
tempo in cui visse il suddetto S. Aelredo, essendo pontefice
Alessandro III, così ha lodato e ingrandito la musica strumenta-
le. Ad mores itaque instruendos, et animos exultatione virtutis trayciendos
in cultum Domini, non modo concertum hominum, sed etiam instrumento-
rum modos censuerunt Sancti Patres Domino applicandos, cum Templi
reverentiam dilatarent. Et si Militantis Ecclesia tibi parva videtur auctori-
tas, vel triumphatrix illa preconia Musicae non tacebit, cuius seniores vidit,
et tibi monstravit tonitrui filius, et voces eorum, sicut cytharedorum, cytha-
rizantium in cytharis suis. Quod si illos nondum audisti, Regem audias
exultantem, qui te Regni, et exultationis suae vult esse participem. Ait
enim sumite Psalmum, et date tympanum psalterium iucundum cum

quale i pagani sono esortati a convertirsi, data la superiorità del cristianesi-


mo; Il Pedagogo, in tre libri , dove il Cristo, unico vero maestro, impartisce al
pagano convertito i precetti della vita cristiana anche nei suoi aspetti più
quotidiani; Gli stromata (letteralmente ‘tappeti’, ossia tessuti intrecciati di
svariati discorsi), in 8 libri, nei quali Clemente intende dimostrare la superio-
rità della gnosi cristiana rispetto a ogni altra forma di conoscenza, in partico-
lare quella filosofica. Il Pedagogo è un documento fondamentale per conoscere
la chiesa delle origini, poiché affronta argomenti di grande attualità: pensan-
do ad un pubblico laico, di uomini e donne appartenenti alla classe agiata di
Alessandria d’Egitto, Clemente si propone di offrire un manuale di condotta
cristiana con precise indicazioni per ogni circostanza della vita:
l’abbigliamento, l’alimentazione, la frequentazione dei bagni pubblici, la
sessualità, gli spettacoli teatrali.
83 Giovanni di Salisbury (Salisbury, 1115ca. – Chartres, 1180), allievo in

Francia di Abelardo e di Gilberto Porretano, segretario di Thomas Becket, e


infine vescovo di Chartres. Le sue opere più importanti furono il Metalogicus
ed il Policraticus. Per Giovanni, la vera filosofia è la vera fede e consiste
nell’amore di Dio; questo non significa però che la filosofia non abbia un
suo ruolo ed una sua funzione importanti, che non possono essere negati
dalla stessa religione.

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ANGELO BERARDI

Cythara. Ad quid inquis? Ut laudetis Dominum in tympano, et Choro,


in cordis, et Organo84.

Gius. – Ora che la musica strumentale resta coronata con lode


così sublime, passiamo pure all’invenzione, che spero anche in
questa di sentire la sua gloria e nobiltà.

Fel. – Sono molte e diverse le opinioni degli antichi circa


l’origine e invenzione della musica. Alcuni sono di parere che
sia stata ritrovata dal canto degli uccelli; altri dal fischio del
vento; e molti dal rumore delle acque che il Nilo fa in alcuni
luoghi, e per questa causa ha avuto la sua denominazione da
Moys, come detto sopra85, che vuol dire acqua.

Gius. – Sia con pace di V.S. queste opinioni non mi soddisfano,


poiché se la musica dovesse riconoscere il suo essere dalla

84 La citazione è naturalmente disseminata di riferimenti biblici: “I Santi

Padri stimarono che per istruire alle usanze e trasportare gli animi
nell’esaltazione della virtù per il culto del Signore, non solo la voce umana,
ma anche l’uso degli strumenti aumentasse il rispetto della Chiesa. E sia che
l’autorità della Chiesa militante sembrasse diminuita, sia che sembrasse
trionfante, i proclami della musica non rimarranno inascoltati, come ti
mostrò il figlio del tuono (Giacomo o Giovanni apostoli, così vengono
definiti da Gesù nel Vangelo di Marco, 3:17, per il loro carattere ardente) e
come vedesti i più anziani e le loro voci, così come quella dei suonatori di
arpa, che si accompagnavano nel canto con le loro arpe (Apocalisse, 14:2).
Che se ancora non udisti quelli, ascolta il re esultante, che regna su di te, per
renderti partecipe della sua esultanza. Dice infatti: intonate il canto e suonate
il timpano, la cetra melodiosa con l’arpa (Libro dei Salmi, 80:3). A che fine lo
chiede? Affinché lodino il signore con timpani e danze, sulle corde e sui
flauti (Libro dei Salmi 150:4)”.
85 Cfr. nota n. 17.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

volubilità dei venti, oppure dall’instabilità delle onde, quale


fondamento sarebbe il suo?

Fel. – Anche io sono di questo parere, ma sappia che il primo e


vero inventore di questa mobilissima scienza è stato Tubal,
come si legge nella Sacra Scrittura86, questo fuit pater canentium

86 La musica fa la sua apparizione in epoca molto antica, poco dopo la

creazione del mondo, con la pastorizia e la lavorazione del bronzo e del


ferro. Il libro della Genesi (4:21), attribuisce a Iubal, un figlio di Lamech (discen-
dente di Caino), il primo uso degli strumenti musicali chiamati kinnor (chitarra o
lira) e 'ugab (flauto). Iubal era il fratello di Iabal un pastore. I loro nomi, che
evocano una stessa radice, potrebbero essere rapportati a yobel, ‘ariete’, ‘corno di
ariete’: “Lamech si prese due mogli: una chiamata Ada e l’altra chiamata Zilla.
Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti abitano sotto le tende presso il
bestiame. Il fratello di questi si chiamava Iubal: egli fu il padre di tutti i suonatori
di cetra e di flauto. Zilla a sua volta partorì Tubalkain, padre di quanti lavorano il
rame e il ferro. La sorella di Tubalkain fu Naama”. Pertanto Berardi fa confusio-
ne fra i nomi di Iubal e Tubalkain (Tubal era un popolo del nord, paese dei
metalli; kain in altre lingue semitiche significava fabbro) nell’assegnare la paternità
dell’invenzione della musica.
L’errore può essere stato indotto dalla consultazione di testi differenti,
magari da qualche versione della bibbia historiale. Nella Historia scolastica di
Pietro Comestorio (inizio XII sec. - 1179), al cap. 28 “De generationibus
Cain”, al posto di Iubal troviamo il nome Tubal: “Porro Henoch genuit Irad,
qui Maviael, qui Mathusael, qui Lamech, qui septimus ab Adam, et pessimus,
qui primus bigamiam introduxit, et sic adulterium contra legem naturae, et
Dei decretum, commisit. In prima enim creatione unica unico facta est
mulier, et Deus per os Adae decreverat: Erunt duo in carne una (Gen. II).
Accepitque duas uxores Adam et Sellam. Genuitque Ada Jabel, qui adinvenit
portatilia pastorum tentoria ad mutanda pascua, et greges ordinavit, et
characteribus distinxit, separavitque secundum genera greges ovium a
gregibus hoedorum, et secundum qualitatem, ut unicolores a grege sparsi
velleris, et secundum aetatem, ut anniculos a maturioribus, et commissuras
certis temporibus faciendas intellexit. Nomen fratris ejus Tubal, pater
canentium in cithara, et organo. Non instrumentorum quidem, quae longe
post inventa fuerunt, sed inventor fuit musicae, id est consonantiarum, ut
labor pastoralis quasi in delicias verteretur. Et quia audierat Adam

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ANGELO BERARDI

cythara, et organo87. La frase ebraica così legge: ipse fuit pater omnis
tractantis cytharam, et organum. Altri hanno letto: tangentium, aut

prophetasse de duobus judiciis, ne periret ars inventa, scripsit eam in duabus


columnis, in qualibet totam, ut dicit Josephus, una marmorea, altera latericia,
quarum altera non diluetur diluvio, altera non solveretur incendio.
Marmoream dicit Josephus adhuc esset in terra Syriaca. Sella genuit
Tubalcain, qui ferrariam artem primus invenit, res bellicas prudenter
exercuit, sculpturas operum in metallis in libidinem oculorum fabricavit”.
Stessa cosa avviene nella Postilla in libros Geneseos di Pietro Giovanni Olivi
(Pierre Jean Olieu, 1248ca. – 1298) che riporta il seguente testo: “Unde
Abel fuit pastor et pater primus quantum ad officium, sed quantum ad
aptum modum et singularem, Jabel dicitur primus. Nomen fratris ejus Tubal:
ipse fuit pater canentium cythara et organo, idest magnus inventor artis musicae
et musicorum instrumentorum. Si autem legimus quod post diluvium
longe ista facta et inventa sunt: respondetur quod isti invenerunt, sed
traditio ab isto et suis facta et etiam instrumenta in diluvio perierunt, ideo
alii revocaverunt. Multa enim inventa a primis per oblivionem vel aliam
causam perierunt, quorum similia postmodum a posteris sunt inventa. Nec
oportet quod isti fuerint etiam omnino primi, sed sufficit quod fuerint
solemniores respectu illorum temporum, et quasi consummatores: sicut
Aristoteles dicitur pater logicalium et Priscianus grammaticalium, cum
tamen plures logici et grammatici fuerint ante eos. Nota tamen quod
Josephus dicit, quod ars illa musicorum ab isto Tubal descendit. Et si
opponitur quod diluvium ista instrumenta musica destruxit: respondet
quod Tubal in duabus columnis musicam scripsit: in una lapidea quae non
dissolveretur, in altera ex lateribus, quae non consumeretur incendio. Nam
ista duo judicia Adam prophetice praedixerat ventura, ac ideo filii ejus
propinqui se contra ea muniebant. Et nunc potest solvi quod leguntur alii
inventores istius artis post diluvium, quia non intelligitur quod invenerunt
primarium actum et necessaria ad simplicem modum: sed quod invenerunt
aliquem singularem modum. Sed quaeritur quomodo potuit iste
consonantias musicas invenire? Ad hoc respondent aliqui historiographi,
quod a fratre suo malleatore fabricante qui vocabatur Tubalcain, qui erat
frater suus ex parte patris, sed de alia matre sicut infra eodem dicitur:
delectatus namque iste Tubal in sono et consonantia casuali, et sine arte
facta ex ponderibus malleorum, consonantias proximiores, quae ex eis
nascuntur, excogitavit”.
87 Genesi (4:21): “Egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto”.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

pulsantium: ovvero secondo la versione dei Settanta88: ludentis


super nablo, et scientium canticum cythara, et tybiae: oppure secondo
altri: tympanizzantis: poiché timpano personare, pro sono quolibet accipi
potest.

Gius. – Ho inteso con mia particolare soddisfazione l’autorità


della Genesi, con tutti questi altri nobili pensieri, ma quel ter-
mine Nablo non so che significhi.

Fel. – V.S. non è solo, poiché altri ancora si sono ingannati,


stimando la nabla strumento a corde, il che è falso: stando su la
voce ebraica Nebel vuol dire otre, e Nablum significa zampogna,
dunque è uno strumento a fiato89. Altri autori affermano poi,

88 La versione dei Settanta (Septuaginta in latino, abbreviata LXX) è una

versione della Bibbia in lingua greca, che la tradizione vuole tradotta


dall’ebraico da 70 saggi ad Alessandria d’Egitto, dove esisteva una importan-
te comunità ebraica. È l’unica versione diversa dall’ebraico realizzata prima
del Cristianesimo. L’intera versione della Septuaginta costituisce il canone dei
libri dell’Antico Testamento per le chiese ortodosse orientali.
89 Il nebel è un cordofono ebraico di struttura incerta ove la pelle è soltan-

to il materiale costitutivo della cassa di risonanza, menzionato nei testi biblici


a partire dall’epoca di Samuele, probabilmente un tipo di arpa di origine
assira introdotto in Palestina attraverso l’Egitto. Dall’età di David compare
stabilmente, insieme con la kinnor e con i cimbali, fra gli attributi dei musici-
sti del Tempio nelle occasioni solenni, ove era generalmente impiegato in
gruppi comprendenti da 2 a 6 esemplari. In alcuni passi biblici appare anche
associato a banchetti o ad altre occasioni profane. Lo storico Giuseppe
Flavio mostra di ritenerlo identico alla kinnor, fatta eccezione per il maggior
numero di corde (12 contro 10) e per l’esecuzione a dita nude anziché col
plettro. L’etimologia del termine nebel rimanda ad un significato di ‘otre di
pelle’, forse da porre in relazione con il materiale costitutivo della cassa di
risonanza. Nella traduzione dei Settanta e della Vulgata il termine è reso con
il greco psalterion, mentre in altri scrittori greci e latini (Ateneo, Clemente

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ANGELO BERARDI

che la musica l’abbiamo da Dio, leggendosi nella pratica di


Hermano Finck90 queste parole: Veresimilius tamen est Deum ipsum
Musicam tradidisse91. I gentili ancora, benché siano stati privi del
lume della fede, nondimeno sono stati dell’opinione che
l’origine della musica sia celeste: Cuius origo coelestis memoratur:
dicono il Beroaldo92 e Orazio. Non ho alcun dubbio che questa
scienza non sia stata data per particolare privilegio di Sua Divi-
na Maestà, mentre quel supremo protomaestro altro non ci
intona che cantate, cantate.

Gius. – Con l’inondazione del diluvio restò sommersa anche la


musica; ma dopo da chi fu di nuovo ritrovata?

Alessandrino, Strabone) si riscontra la corruzione nabla, nablas, nablum,


nablium, per designare uno strumento a 12 corde importato dall’oriente.
90 Hermann Finck (Pirna, 1527 – Wittenberg, 1558) viene considerato,

per la sua creazione musicale, un grande maestro del suo tempo. Nei suoi
epitalami vi sono tutte le caratteristiche della musica nata nell’ambiente della
Riforma. Comunque la sua produzione migliore è quella che concerne il
campo teorico-speculativo. Scrisse un trattato in 5 libri, Practica musica
Hermanni Finckii, exempla variorum signorum, proportionum et canonum, iudicium de
tonis, ac quaedam de arte suaviter et artificiose cantandi continens (1556), con nume-
rosi esempi che tratta i più importanti problemi della teoria musicale. Nel
primo libro Finck si dedicò alla grammatica musicale inclusa anche la solmi-
sazione, nel secondo si interessò alla ritmica e alla metrica e nel terzo trattò
la forma del canone. Gli ultimi due libri sono importanti, infine, per la prassi
compositiva dell’epoca.
91 Hermann Finck, Practica Musica…. cit., par. “De Musicae Inventoribus”.
92 Filippo Beroaldo il Giovane (Bologna, 1472 – Roma, 1518), nipote di

Beroaldo il Vecchio, insegnò a Bologna e poi all’Archiginnasio di Roma.


Segretario di Leone X, fu da lui nominato nel 1516 prefetto della Biblioteca
Vaticana. La sua fama è legata alla pubblicazione (1515) dei primi sei libri
degli Annales di Tacito; ma è rivalutata anche la sua poesia in latino: gli
Epigrammata, di sapore catulliano, e i Carmina, che, riecheggiando per la
prima volta nel Rinascimento la lirica oraziana, offrono nel contempo
preziose informazioni sulla vita della Roma papale nel primo Cinquecento.

- 48 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Alcuni dicono, che dopo qualche tempo fosse ritrovata


fra le comuni rovine da Mercurio, ma il vero inventore fu Am-
fione d’Etiopia93, che però cantò il poeta94. Io canto ciò,
ch’Amphion solea Cantar chiamando a’ pascoli l’Armento. E Stazio
scrive, come riporta il Garzoni: Dirò, come Amphion condusse i
Monti a le Mura di Tebe col suo canto, e i Tiry Monti se li fer vicini95.

Gius. – Facciamo un poco di digressione: io per me non capisco


che intenzioni abbiano avuto quei poeti, fingendo che Orfeo,

93 Amfione è un figlio di Zeus e di Antiope ed è il fratello di Zethos.


Amfione è un poeta e un musicista. Per vendicare sua madre maltrattata da
Dirce uccise quest’ultima, poi costruì i bastioni di Tebe suonando il flauto e
la lira. Poiché suonava la lira così bene le pietre lo seguivano e trovavano da
sé il loro posto. Aveva ricevuto da Hermes la lira in regalo. Apprese l’arte
della musica presso i Lidi e aggiunse tre corde alle quattro che la lira già
possedeva.
94 Si fa qui riferimento alla citazione di Dante ne l’Inferno (XXXII, 10):

“Ma quelle donne aiutino il mio verso ch’aiutaro Anfione a chiuder Tebe, sì
che dal fatto il dir non sia diverso”.
95 Publio Papinio Stazio nacque a Napoli intorno al 45 d.C. e cominciò

ad affermarsi “col nome che più dura e più onora” (Purgatorio, XXI, 85), con
il nome, dunque, di poeta, a Roma sotto l’impero di Tito, ricordato qui con
la sua impresa più famosa, la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C.,
impresa che, tuttavia, fu compiuta quando era ancora imperatore il padre di
Tito, Vespasiano. Stazio è autore della Tebaide, poema epico dedicato al
nuovo imperatore Domiziano, che aveva preso il posto del fratello Tito nel
93 d.C. e in cui si narra della vicenda di Amfione.
Tommaso Garzoni (Bagnocavallo, oggi Bagno di Romagna, 1549 – 1589),
studiò diritto a Ferrara e a Siena, e nel 1566 assunse il nome di Tommaso (in
luogo dell’originario Ottaviano), quando entrò nel convento di Santa Maria
in Porto di Ravenna. Si dedicò a numerose discipline, tra cui la filosofia, la
storia, lo studio dell’ebraico e dello spagnolo. Scrisse raccolte di aneddoti e
notizie di vario argomento: Il teatro de’ vari e diversi cervelli mondani (Venezia,
1583); La piazza universale di tutte le professioni del mondo e l’opera a cui è legata
la sua fama, L’Hospitale de’ Pazzi incurabili (Venezia, 1586), oltre a La sinagoga
degl’Ignoranti (1589) e Il Serraglio de gli stupori del Mondo (Venezia, 1613).

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ANGELO BERARDI

con la soavità del canto e dolcezza della sua lira movesse i


monti, le valli, le fiere e gli uccelli a seguirlo; e che il suddetto
Amfione con le corde sonore della sua cetra edificasse le mura
di Tebe, ed Arione ancor esso mobilissimo citaredo e poeta
lirico, con la maestria del suo canto movesse i delfini a portarlo
a salvezza sotto Tenaro96. Se devo dire il mio sentimento, questi
mi paiono tutti spropositi.

Fel. – V.S. mi scusi, che non sono tali; anzi se ella rifletterà
all’intenzione di Orazio, Pacifico e altri, vedrà che questi hanno
voluto dimostrare che, se i monti, le valli, le fiere e le pietre
fossero state capaci, avrebbero mutato natura mediante la forza
della musica.

Gius. – Or veda quanto m’ingannavo, mentre da me era stimato


sproposito ciò, che ridonda a maggior nobiltà, e decoro della
nobile professione armonica97. Ritornando all’invenzione della
musica ho inteso benissimo, essendo soddisfatto a pieno. Il
piacere che sento da questi discorsi mi rende importuno, pre-
gando V.S. a voler seguitare circa gli inventori delle consonanze,
toni, figure e sillabe, UT, RE, MI, FA, SOL, LA.

96 Arione, uno dei figli di Poseidone, maestro nell’arte di suonare la lira,

fu salvato in mare da alcuni delfini, messaggeri del dio Apollo. I marinai che
lo dovevano riportare a Corinto volevano ucciderlo e derubarlo, ma gli
concessero la possibilità di cantare un’ultima volta. I delfini, attratti dalla
bellezza della sua melodia, accorsero nei pressi dell’imbarcazione. Arione si
gettò in mare, un delfino lo raccolse e lo portò sul dorso fino al capo Tena-
ro. La lira di Arione e lo stesso delfino che gli aveva salvato la vita furono
trasformati in costellazione da Apollo.
97 Intesa come esercizio dell’arte compositiva.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Non ho altro sentimento che di incontrare il suo genio:


ma, perché nella lettura delle mie Dicerie Musicali98, potrà
soddisfare interamente ad ogni sua curiosità, si compiaccia, che
per ora me la passi sotto silenzio.

Gius. – Almeno mi dica l’inventore delle note UT, RE, MI, FA,
SOL, LA.

Fel. – Queste sillabe furono raccolte da Guido monaco aretino


dalla prima strofa dell’Inno di S. Giovanni Battista, composto
da Paolo Diacono, che comincia:
UT queant laxis
REsonare fibris
MIra gestorum
FAmuli tuorum
SOLve poluti
LAby reatum Sancte Ioannes.
Le note UT, RE, MI, FA, SOL, LA furono racchiuse da un
poeta moderno, conforme racconta il Vonio99 in questi due
versi, uno dei quali ha animato la lira, eretta da me per corpo

98 Cfr. nota n. 10.


99 Probabilmente si fa riferimento a Gerardus Johannis Vossius, nome
umanistico del filologo e teologo riformato olandese Gerrit Jansz Vos
(Heidelberg, 1577-Amsterdam, 1649). Insegnò a Dordrecht (1600), Leida
(1615), Amsterdam (1632); amico di Ugo Grozio e vicino alle posizioni degli
arminiani, trattò nei suoi scritti di grammatica, storia della letteratura classica,
poesia, politica ecclesiastica e storia dei dogmi: tra le sue opere si segnalano
le Poeticarum Institutionum e il De Arte Grammatica.

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ANGELO BERARDI

d’impresa, e posta nel frontespizio delle mie Sinfonie a Violino


solo, stampate in Bologna l’anno 1671100, e sono i seguenti.
Cur adhibes numeros Vates, cantumque labori?
UT, RElevet, MIserum, FAtum, SOLitosque LAbores101.

Gius. – Non sapevo che quell’impresa fosse invenzione di V.S.


poiché l’ho vista sopra molti libri di sinfonie stampati in
Bologna.

Fel. - È vero, ma lei non l’avrà vista prima che fossero stampate
le mie sinfonie, bensì dopo, poiché la disegnai in Viterbo e di
mio ordine fu intagliata in Bologna.

Gius. – Ma che lode ne riporta?

Fel. – Nessuna, essendo intraveduto a me, come ai compositori


delle commedie: di quelle se ne discorre, ma di loro non se ne
parla. Orsù, lasciamo questo discorso, come inutile e noioso, e
ritorniamo al nostro della musica. Dopo aver riepilogato in
poche parole la sua definizione, divisione e origine, un altro
giorno voglio che abbozziamo la nobiltà e gli effetti e a che fine
si deve imparare, tutte materie curiose, e anche necessarie per
maggior adornamento del musico.

100 Angelo Berardi, Sinfonie a violino solo, Bologna, Giacomo Monti, 1670.

L’autore si attribuisce il merito di aver per la prima volta presentato in forma


‘grafica’ tale frase nel frontespizio di un suo lavoro.
101 “Perché interroghi i numeri, o indovino, e canti durante la tua occupazio-

ne? Perché la musica dia sollievo al triste destino e al lavoro di tutti i giorni”.

- 52 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Ma perché non seguita adesso?

Fel. – Perché non è più ora, e poi per oggi mi pare d’aver di-
scorso abbastanza.

Gius. – A me pare che abbia cominciato in questo punto, e


tanto è stato il piacere che ne ho sentito, che è passato il tempo
senza accorgermene.

Fel. – E io ne godo, argomentando da questo la sua buona


applicazione. Ma perché vedo che il sole è ormai stanco per la
fatica dell’obliquo viaggio, è vicino a coricarsi in grembo a
Tetide102, daremo fine al nostro ragionamento concludendo che
la musica è parto dell’anima, esercizio del cielo, impiego delle
sfere e ricreazione di Dio.
Musica Dei donum optimi
Trahit homines, trahit Deos.
Musica torvos mollit animos.
Tristesque mentes erigit
Musica, vel ipsas Arbores,
Et horridas movet feras.103

102 Tetide, figura della mitologia greca, dea del mare, dove idealmente e
poeticamente si inabissa il sole al tramonto.
103 Il testo è tratto da un mottetto a 6 voci di Orlando Di Lasso, Musica Dei

donum optimi, pubblicato nel 1594: “La musica è dono di un buonissimo dio,
attira gli uomini e gli dei. La musica addolcisce gli animi crudeli e conforta le
menti tristi. La musica scuote sia le stesse piante che le belve orribili”.

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DIALOGO SECONDO
Della nobiltà della musica, suoi effetti e
a che fine si deve imparare.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Il desiderio che ho d’incamminarmi di buon passo per


l’angusto sentiero della virtù, m’ha fatto anticipare il tempo di
venire ad incomodare V.S.

Fel. – In tutte le congiunture mi si rende sempre più cara e grata


la sua dolce conversazione, anzi devo ringraziarla affettuosa-
mente, che si compiace di gradire le debolezze e freddure del
mio povero ingegno.

Gius. – Sotto le ceneri d’un devoto silenzio coprirò il fuoco di


quell’affetto, che sarà eterno verso la sua persona. Ieri sera,
dopo che ci separammo, nell’andare verso casa cominciai a
ruminare le cose più notevoli che avevo inteso nel discorso, e
riflettendo sulla brevità della vita umana e al vasto campo della
virtù, ritrovo che il cammino è molto lungo e il tempo è assai
corto. Dunque, chi ha pensiero di giungere a qualche grado di
quella non ha ora da perdersi in oziosi divertimenti.

Fel. – Nella carriera per il vasto campo della virtù ciascuno deve
procurare, se non può riportar la prima palma, di riportare la
seconda, e dove giunger non può con le forze, d’arrivarci col
desiderio. Essendo la virtù infinitamente desiderabile, è lecito
desiderare ancora ciò che non si può conseguire. Non per
questo si perda d’animo, faccia come quello che gioca a dadi:
egli desidera il miglior punto, ma qualunque viene procura con
esso di migliorare il suo gioco.

Gius. – Queste ragioni mi avvalorano in maniera che qual de-


strier generoso continuerò la carriera intrapresa: e se nel bel

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ANGELO BERARDI

teatro della virtù non mi sarà permesso di sedere fra i secondi,


mi glorierò di trattenermi tra gli ultimi.

Fel. – Lodo non poco il suo pensiero, poiché il nostro secolo


non godrebbe la copia di tanti uomini virtuosi e dotti in ogni
genere se questi, per timore di non essere i primi, avessero
ricusato di cimentarsi con i secondi.

Gius. – Ora che siamo fuori della città e che il tempo ce lo


permette, quando sarà con suo comodo, potrà dar principio a
discorrere sopra la nobiltà della musica, che le prometto di
tenermi a memoria tutto ciò che starà per dire.

Fel. – E perché tanta applicazione?

Gius. – Per poter confondere alcuni che si sforzano d’avvilirla


con parole e concetti indecenti.

Fel. – V.S. non si pigli collera, ma se ne rida, perché quelli che


biasimano e procurano d’avvilire la musica sono incapaci
d’armonia, la natura loro ha mancato, non avendogli propor-
zionatamente formato l’organo, e Mercurio nel loro cimento gli
è stato nemico, per il contrario favorevole a quelli che non
sdegnano il cantare e suonare, per sollevar l’animo dalle fatiche,
con ricreare lo spirito e riacquistare le smarrite forze.

Gius. – Questi tali, mentre sono incapaci d’armonia, non sa-


pranno nemmeno che anticamente si rendeva degno di grandis-
simo biasimo chi non era versato nello studio della musica,

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Temistocle, se non erro, poiché rifiutò in una certa ricreazione


la lira, venne stimato ignorante104.

104 Come la conoscenza della musica costituiva la più chiara manifestazione

dell’educazione ricevuta da un individuo, così l’amousia era un segno palese di


incultura: era in particolare la pratica del canto simposiale (in cui ci si accompagna-
va con la lira) il test che distingueva il pepaideumenos dall’amousos (cfr. Plutarco,
Quaestiones convivales, 615b). Fra gli amousoi spicca la figura di Temistocle, la cui
amousia – nella Vita Themistoclis di Plutarco – viene a completare lo stato di incom-
petente che è il ‘leitmotiv’ della sua biografia. Essa era oggetto di scherno nei
simposi (Plutarco, Vita Themistoclis, 2, 4): ne è testimonianza l’aneddoto riferito da
una fonte coeva, Ione di Chio (apud Plutarco, Vita Cimonis, 9, 1; nel passo si noti
l’ironia del dexioteron, allusione alla dexiotes riconosciuta dagli Spartani a Temistocle,
secondo Erodoto), ove l’incultura di Temistocle era paragonata alle notevoli doti
musicali di cui era capace di dar prova a simposio Cimone. Come mostrano
entrambi i passi plutarchei appena citati, alle critiche Temistocle rispondeva con
una tattica difensiva fondata sulla concessio, ovvero sull’ammissione del proprio
difetto (incapacità musicale) seguita da una autogiustificazione (il possesso, in
compenso, di sicure doti di statista): una mossa tanto più necessaria quanto forte
era la rivalità fra i due statisti (cfr. Aristotele, Respublica Atheniensium, 28), con risvolti
anche sul piano della ricerca del favore della ‘pubblica opinione’ (cfr. Plutarco, Vita
Themistoclis, 5,4). Allusioni alla amousia di Temistocle ritornano frequenti nella
letteratura greca e latina: nelle Vespe di Aristofane; in un frammento del dialogo
Alcibiade di Eschine Socratico (Oxyrinchus Papyrus, Xiii, n. 1608, fr. 1. ll. 1-15:
connessione fra l’amousia di Temistocle e il suo cattivo comportamento verso i
genitori); in un frammento del De musica di Filodemo di Gadara; in Cicerone
(Tuscolanae Disputationes, 1,4: la fama di indoctior cui fu vittima Temistocle cum in epulis
recusaret lyram è segno del fatto che summam eruditionem Graeci sitam censebant in
nervorum vocumque cantibus, è possibile che, nel passo, vi sia una sottotestuale disap-
provazione della musica); in Quintiliano (Institutiones oratoriae, 1,10: riprende Cicero-
ne); in Agostino (Epistolae,. 118,3,13, ove l’esempio di Temistocle – ripreso da
Cicerone – ha valore positivo, come segno dello scarso valore della cultura classica;
Epistolae,. 231,3, ove viene ricordata anche l’orgogliosa replica di Temistocle, non
citata da Cicerone: Agostino doveva avere una seconda fonte, forse una raccolta di
aneddoti come quella di Valerio Massimo). Dopo il Medioevo, il tema conosce
rinnovata diffusione in età umanistica e rinascimentale (la fonte è in genere Cicero-
ne, Tuscolanae Disputationes, 1,4), spesso nell’ambito della laus musices (ad es. Petrarca,
de remediis 1,23), anche se talora sono evidenziati altri aspetti (vd. Erasmo, Adagia
4,8,89, respublica nihil ad musicum, che sta in una relazione di contrario rispetto alla
storia di Temistocle narrata da Plutarco), a volte con specifico riferimento al

- 59 -
ANGELO BERARDI

Fel. – Se nei secoli andati questa scienza era in tanta stima, che se ne
deve giudicare oggi? Poiché l’arte, fabbricando sopra gli insegna-
menti della natura, ha ridotto la musica ad una perfezione che non vi
è potere che non soggioghi, ne impossibilità che non superi.

Gius. - Avanti, che V.S. passi più oltre, vorrei pregarla di farmi
sentire come si definisce la musica.

Fel. – La musica è una vaga donzella, che porta le tempie cinte


da una corona d’oro, di vaghi fiori adorna, nella destra tiene
uno scettro di finissimo oro, e nella sinistra, vicino al cuore, ha
una fiamma di purissimo splendore adorna; prerogative tutte
che la dichiarano, per la corona, regina di tutte le scienze, ador-
na di vaghi fiori, vergine; per lo scettro di finissimo oro, domi-
natrice di tutte le nostre passioni; la fiamma poi, che porta
vicino al cuore, altro non significa che l’amore e l’affetto degli
uomini e degli animali verso questa gran signora.

Gius. – Che quella fiamma significhi l’amore e l’affetto degli uomini


lo credo, ma circa quello degli animali mi pare una cosa impropria.

«convivial music making» (vd. Thomas Morley, Plaine and Easie Introduction to
Practicall Musicke, 1597), oppure in connessione al tema dell’insensibilità alla musica
come espressione di ‘inumanità’ o comunque di un animo non harmonice compositus e
quindi inadatto a reggere le sorti dello Stato. È possibile anche che Temistocle,
possa trovarsi alle origini di una lunga tradizione di pensiero che equipara musica e
vita dello Stato, come in Platone, Respublica, 4,431-e432a (ripreso da Cicerone De
repubblica, 2,69), in Elio Aristide, Origines, 26,29 e in Agostino, De civitate Dei, 2,21;
tuttavia né nella tradizione classica, né in quella successiva tale tematica è connessa
alla figura di Temistocle. Un unico cenno in tal senso è nella orazione Per i quattro di
Elio Aristide, in cui la difesa di Temistocle è condotta affermando che Temistocle
“fu superiore a Terpandro nella mousiké” perché, se Terpandro portò ‘armonia’ fra i
soli Spartani, Temistocle “armonizzò bene la Grecia” intera (hermósato), portandola
nella concordia alla vittoria contro i Persiani.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Non è così; s’ella leggerà Plinio lib. 8 della sua istoria105 e
Pier. Valer. Lib. 7 de Cervo, troverà che questo animale è così
innamorato dell’armonia, che sentendo il suono di qualche

105 Gaio Plinio Secondo il Vecchio, naturalista e storico, nato a Como nel

23 d. C. Più ancora che i fatti della sua vita – militò nella cavalleria in Ger-
mania e fu amministratore delle rendite imperiali in varie province al tempo
di Vespasiano – conosciamo, caso eccezionale, la sua personalità grazie alla
testimonianza diretta del nipote Plinio il Giovane, il quale ci informa, con
ricchezza di particolari (Epistolae, III 5 e VI 16) della sua passione per la
scienza, della sua copiosa produzione letteraria, del suo carattere, come pure
delle tragiche circostanze in cui perse la vita. La prima, indirizzata allo
storico Tacito, racconta come Plinio il Vecchio, allora comandante della
flotta romana a Miseno, perì a Stabia sotto una pioggia di cenere e lapilli
durante l’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano (79 d. C.),
vittima della scienza e del dovere per aver osato sbarcare su quella costa, al
fine di soccorrere la popolazione e di osservare meglio il terrificante feno-
meno. La seconda contiene notizie sulla sua attività e sulle sue abitudini e
l’elenco, in ordine cronologico, delle sue opere: De iaculatione equestri (sulle
tecniche del combattimento a cavallo), De vita Pomponii Secundi, Bella Germa-
niae, Studiosus (trattato sull’arte oratoria), A fine Aufidii Bassi (continuazione,
in trentuno libri, presumibilmente dalla morte dell’imperatore Claudio fino al
71 e forse oltre, dell’opera di Aufidio Basso, che a sua volta era la continua-
zione delle Storie di Livio), a quanto pare la sua opera più importante ed
ambiziosa. Tutte queste opere di Plinio sono andate perdute, e particolar-
mente grave è la scomparsa di quelle storiche, che furono utilizzate anche da
Tacito.
Ma una grande sua opera si è conservata, intera: la Naturalis historia, in
trentasette libri, destinata a inventariare la somma delle conoscenze acquisite
dall’uomo. Il successo di questa opera fu tale che continuò a essere copiata
nel Medioevo, periodo in cui Plinio funzionò come un’immensa zattera di
salvataggio. I suoi smisurati indici di fonti e autori erano una garanzia,
promettevano accesso a tesori di sapere che rischiavano di perdersi. Fra
Trecento e Cinquecento egli fu oggetto di cure filologiche da parte degli
umanisti (che imputano gli ‘errori’ di Plinio alla corrotta tradizione mano-
scritta), ma la fede nell’autorità di Plinio vacillò a seguito delle nuove scoper-
te tecnico-scientifiche.
Il libro VIII tratta di zoologia e descrive gli animali di terra: elefanti, leoni, tigri,
pantere, mucche, cavalli, asini, muli, cammelli, pecore, capre, topi e altri.

- 61 -
ANGELO BERARDI

strumento musicale, scordatosi il naturale timore, fermo e


immobile se ne resta106. Gli elefanti diventano mansueti al

106 Giovanni Pietro Bolzani delle (o dalle) Fosse, scelse il nome umanisti-

co di Valeriano. Di origini modeste e rimasto orfano, entrò presto nella vita


religiosa seguendo lo zio Urbano Bolzanio. Studiò a Venezia e pubblicò la
raccolta di componimenti latini Praeludia quaedam (Venezia, 1509). Si trasferì
a Roma al servizio dei Medici e pubblicò nel 1521 uno studio filologico sulla
tradizione di Virgilio, Castigationes et varietates virgilianae lectionis. Divenne
protonotario nella Curia romana e insegnò eloquenza (ebbe come allievi
Alessandro e Ippolito de’ Medici). Dopo il Sacco di Roma (1527) si trasferì a
Firenze, tornò poi a Roma nel 1536, per trasferirsi definitivamente a Belluno.
Al periodo romano risalgono i Hieroglyphica (di cui uscirono due edizioni nel
1556, la prima, incompleta, a Firenze, la seconda a Basilea) e il dialogo in due
libri De litteratorum infelicitate (pubblicato postumo a Venezia nel 1620). Morì a
Belluno nel 1558.
Gli Hieroglyphica di Valeriano (il titolo completo dice: “Geroglifici, ossia
commentari sulle sacre lettere degli Egiziani e di altri popoli”), vera enciclo-
pedia antiquaria di immagini simboliche in cinquantotto libri, hanno una
storia editoriale tormentata: pubblicati per la prima volta a Basilea presso
Michele Isingrino nel 1556, con dedica a Cosimo de’ Medici, sono di nuovo
stampati nel 1567, ancora a Basilea (presso Tommaso Guarino), in una
versione accresciuta di due libri di più evidente ispirazione neoplatonica,
composti da Celio Agostino Curione, figlio del celebre umanista erasmiano
Celio Secondo. Il lento ma costante crescere e costituirsi del corpus iconologi-
co di Valeriano si lega all’interesse diffuso, negli ambienti culturali neoplato-
nici, per gli Hieroglyphica di Orapollo editi per la prima volta a Venezia nel
1505 da Aldo Manuzio. L’ideazione ed elaborazione dell’opera avvenne in
gran parte nella curia romana, dove l’autore visse gli anni decisivi delle sue
scelte e dei suoi progetti letterari, tra il 1510 e il 1530. Sono presenti, infatti,
diversi accenni alla cabala e al ruolo di iniziatore e maestro che svolse a
Roma in questa disciplina il cardinale agostiniano Egidio da Viterbo. La
stessa interpretazione simbolica delle favole antiche, custodi di una sapienza
riposta, come il mito di Orfeo divenuto immagine di Cristo, viene elaborata
da Pierio Valeriano sul fondamento dell’ermetismo di Egidio.
Ogni libro degli Hieroglyphica, introdotto da una lettera di dedica a un perso-
naggio di rilievo della cultura contemporanea, svolge una trattazione organi-
ca sul significato simbolico di oggetti, pietre, piante, animali, figure geome-
triche, numeri, attributi mitologici, espressioni dell’uomo e fenomeni della
natura, opportunamente scelti in relazione al dedicatario. A Egidio da

- 62 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

suono dei timpani. I cammelli, sentendo il suono di certi tam-


burini usati dai cammellieri, si rallegrano e camminano più
veloci. I delfini godono talmente del suono e del canto, che
cavando il capo fuori dell’acqua guizzano e saltano intorno alla
nave. Di modo tale che le fiere, gli uccelli e i pesci, che non
conoscono altra ragione che la forza della natura, vivono inna-
morati del canto e dell’armonia. La tigre sola, se dobbiamo

Viterbo, a esempio, è indirizzato il libro XVII, relativo alla cicogna, simbolo


di pietà e vigilanza; a Achille Bocchi il VII, sul cervo, nel quale riallacciandosi
ad una discussione avuta proprio con Bocchi su quella specie di uomini che
invece di apprezzare gli amici sinceri è piuttosto sensibile agli adulatori,
scrive: “Ora un principal geroglifico appresso gli Egiziani era questo del
cervo, che volendo significare questa cecità di giudizio dipingevano il cervo
allettato dalla zampogna, accioché se cotali lacci ne fosser tesi, sapesse
l’uomo d’ingegno quello che dovesse principalmente fuggire”. Ancora: a
Iacopo Sannazaro è dedicato il libro XX sulla fenice, con una interessante
allusione all’immortalità della poesia latina; a Sadoleto il XXI, sullo sparviero
simbolo della rapacità che dilaga in tutta Europa, ma che colpisce la corte
pontificia in particolare; a Vittoria Colonna il XXII, sulla colomba, simbolo
di vedovanza fedele; ad Angelo Colocci il XXIII, sul cigno, che, secondo il
mito di Er, nella Repubblica platonica, è l’animale in cui si reincarna Orfeo, e
quindi diviene metafora di canto poetico. Nel dare sistemazione organica a
un vastissimo materiale, attinto dai più disparati campi, Valeriano mirava a
creare un linguaggio costituito di sole immagini, confondendo il significato
del geroglifico egizio con quello del simbolo, in senso morale o emblemati-
co. Nella sua sintesi enciclopedica rivivono le pagine di Orapollo accanto alle
opere naturalistiche, storiche e geografiche di Aristotele, Eliano, Solino,
Pausania, Plinio il Vecchio. Lo sforzo combinatorio dell’umanista sembra
voler unire, in un vero e proprio universo simbolico fittizio, tutto il mondo
antico da Theuth a Claudiano, da Ermete Trismegisto a sant’Agostino,
mediante un “discorso muto da concepirsi con la mente attraverso le imma-
gini delle cose” (mutam quandam orationem per rerum imagines mente concipiendam).
La fortuna dell’opera si iscrive all’interno dell’enorme sviluppo che la lettera-
tura e teoria delle immagini ebbe nel corso del secolo (una particolare
diffusione con la trattatistica legata alle imprese e agli emblemi), divenendo
veicolo straordinariamente veloce ed efficace di problematiche religiose,
morali e politiche.

- 63 -
ANGELO BERARDI

credere a Plinio, quanto più soave ode la musica, tanto più


diviene crudele e fiera.

Gius. – Son restato capacissimo delle fiere e dei pesci, ma non


m’ha portato alcun esempio degli uccelli.

Fel. – Non si ricorda che ieri le dissi che alcuni sono stati del
parere che la musica sia stata ritrovata dal canto degli uccelli?
Questa opinione è fondata sopra la diversità e maestria dei canti
di quegli animali, particolarmente degli usignoli. Ora ritorniamo
alla nobiltà di questa bella regina; trattando nel discorso passato
della sua origine, lasciai intendere che la musica noi l’abbiamo
da Dio, datore d’ogni bene: ritoccherò questo punto di sfuggita,
per maggiormente confermare la sua antichità. Plutarco107 disse

107 Plutarco nacque in Grecia nel 46 d.C. ed è da considerare filosofo con

spiccate attitudini a trarre dagli accadimenti storici insegnamenti di carattere


morale, didattico. Viaggiò molto per la Magna Grecia; fu anche sacerdote di
Apollo a Delfi, e compì studi in Egitto ed in Italia, e fu molto apprezzato
dall’imperatore Adriano. Per il presente saggio ci siamo immersi nelle sue
Vite parallele, ma tra le sue opere di vario genere spiccano altresì i Moralia ed
il trattato Sulla Musica; quest’ultimo è, con ogni certezza, il primo trattato di
storia della musica dell’umanità. Il De musica tratta l’argomento sotto l’aspetto
dell’informazione storica e del significato culturale di quest’arte nella Grecia
antica: una fonte particolarmente preziosa perché attinge alle opere di
studiosi pitagorici, accademici e peripatetici, quali Glauco di Reggio, Eraclide
Pontico, Aristosseno, ben informati sulla cultura musicale della Grecia
arcaica (Aristosseno attribuiva alla musica un notevole influsso etico ed
educativo, ma anche un uso terapeutico: scrisse che i pitagorici “usavano
medicine per purificare il corpo e musica per purificare la mente”). Nel
trattato, strutturato in forma di dialogo, uno dei personaggi, Lisia, ricorda i
nomi di coloro ai quali era attribuita l’istituzione dei diversi generi poetico-
musicali: Amfione, figlio di Zeus, iniziatore della citarodia, Lino dei threnoi
(canti funebri), Ante degli hymnoi. Questa impostazione distingue il trattato
plutarcheo da altri scritti sulla musica pervenutici dall’antichità, per lo più

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RAGIONAMENTI MUSICALI

che amore è padre della musica, la nobiltà del suo genitore è


nota, essendo la più potente passione dell’anima, vince ogni
cosa, riporta trofei da tutto il mondo, e finalmente trionfa dello
stesso Dio. I poeti sono stati d’opinione che la musica sia nata
dalla dea Diana, figlia della dea Latona: tralascio le favole poeti-
che e mi rapporto a quello che dicono Platone e S. Agostino, i
quali vogliono che l’amore sia più antico di tutti. Se una famiglia
viene stimata per la nobiltà di centinaia e migliaia di anni, qual
sarà la nobiltà della musica, che riconosce per suo genitore
amore, che è eterno, e dall’eternità e nell’eternità è nato?

Gius. – In questa parte nobilissima senza paragone si rende la


musica; ma in quanto alla nobiltà umana, che ne dice?

Fel. – Se poi si guarda alla nobiltà umana, questa fu la prima


scienza ritrovata al mondo. Nel discorso passato, adducendo il
sacro testo della Genesi, ho detto che Tubal fu il primo inven-
tore della musica, non fu senza mistero, che questo in terra
fosse padre di questa mobilissima donzella, perché cominciando
da Dio fino alla sua generazione, ci furono otto produzioni o
generazioni. Dio per la creazione produsse Adamo, Adamo
Caino, Caino Henoc, Henoc Irad, Irad Maviael, Maviael Matu-
sael, Matusael Lamec, Lamec Tubal: tanto che Tubal fu genera-
to nell’ottavo luogo e fece l’ottava a Dio. Dio uno in essenza,

limitati a problemi tecnici o teorici. Plutarco sosteneva che il dio Thoth


avesse inventato la musica ed inoltre che Osiride in persona la usasse nella
sua missione di civilizzazione del mondo. Narrò, inoltre, che gli abitanti di
Busiris e Lycopolis evitavano la tromba, perchè il suo suono aspro e striden-
te richiamava il dio Seth. Plutarco morì nel 120 d.C. circa, a Cheronea, in
Beozia.

- 65 -
ANGELO BERARDI

primo autore della musica in cielo ab eterno108 fece l’unisono,


Tubal in tempo fece l’ottava a Dio; e in capo a otto generazioni
cominciò la musica in terra109.

Gius. – Di modo tale, che la musica per tutti questi capi nella sua
nobiltà non si riconosce inferiore a qualsivoglia altra scienza.

Fel. – Non solo per queste condizioni, me per ogni altra, che
possa concorrere a nobilitare qualsiasi professione, che sono i
grandi in ogni genere, quali in ogni tempo, in ogni età e in ogni
grado hanno dato opera a questa bella scienza. I dotti, che
hanno impiegato la loro penna nel trattare le materie armoni-
che. Papa Marcello I romano110, che fu martire, fu dottissimo

108 L’impiego di locuzioni latine è ampiamente documentato nell’uso del

tempo, conferendo al dettato una nota di familiare dimestichezza.


109 Cfr. nota n. 86.
110 Marcello I, papa, succedette a Marcellino, dopo un considerevole in-

tervallo, molto probabilmente nel maggio del 307. Sotto l’Imperatore Mas-
senzio venne bandito da Roma nel 309 per via dei tumulti causati dalla
severità delle penitenze che aveva imposto sui cristiani che avevano smesso
di praticare a causa delle recenti persecuzioni. Morì quello stesso anno,
venendo succeduto da Eusebio. San Marcello è anche un problema. Anzi, un
groviglio di problemi, perché sulla sua figura fanno confusione anche i
documenti antichi: Martirologio Romano e Geronimiano, Catalogo Liberia-
no, Liber pontificalis... E i dati contrastanti si possono capire: quelli di
Marcello I erano tempi di sconvolgimento per la vita di tutta la chiesa, in
Roma e altrove, a causa della persecuzione che va sotto il nome
dell’imperatore Diocleziano, ma che è stata voluta dal suo ‘vice’, e poi
successore, Galerio (morto nel 311). Secondo il grande storico tedesco
Theodor Mommsen e altri studiosi, addirittura Marcello non sarebbe stato
vero pontefice, bensì un semplice prete romano, che per qualche tempo può
aver funzionato da reggente della chiesa, dopo la morte di papa Marcellino
nel 304. Ma il pontificato di Marcello I, dopo alcuni anni oscuri, è bene
attestato dalle fonti antiche. E di lui si sottolinea il comportamento nel

- 66 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

nella musica, anzi ho letto nel Museo Historico Legale di mon-


signor Carlo Pellegrini111, che la messa intitolata a Papa Marcel-
lo, sia composizione di questo santo.

dopo-persecuzione, verso i cosiddetti lapsi (ossia “caduti”, “scivolati”), come


si chiamavano i cristiani che per paura avevano rinnegato la fede. Altrove (in
Africa, per esempio) molti vogliono escluderli per sempre dalla chiesa.
Marcello non è così severo: li accoglierà, sì, ma soltanto dopo un periodo di
penitenza. A questo proposito si cita l’elogio di Marcello dettato da papa
Damaso I (366-384): “Manifestò ai lapsi l’obbligo di espiare il loro delitto
con lacrime di penitenza: da quei miserabili fu considerato come un terribile
nemico... Per il delitto di uno, che anche durante la pace rinnegò Cristo,
Marcello è stato deportato, vittima della crudeltà di un tiranno”.
Il Martirologio Romano, infatti, dice che fu perseguitato e costretto a fare lo
stalliere nelle scuderie della posta imperiale, mentre secondo il Liber pontifi-
calis lo mandarono in esilio. Ma queste narrazioni non sono considerate
attendibili. Nelle fonti antiche troviamo anche differenti date del pontificato
e della morte. Seguendo il Martirologio Romano, oggi la chiesa commemora
Marcello I il 16 gennaio. Sappiamo infine con certezza che egli è stato
sepolto nel cimitero detto di Balbina, lungo la via Ardeatina, a Roma.
111 Carlo Pellegrini (1614-1673), Museum historico-legale bipartitum in cuius

primo libro sub prestantiae musices involucro diversae disciplinae prelibantur. In altero
vero quaedam de Angelis, Coelis, Planetis, Anima et Elementis apertius expenduntur.
Ex probatis authoribus collectum et in unum congestum ab Abbat. Don Carolo Pellegri-
no Vtrimsque Juris Doctore, Sac. Theol. Professore Prothonotario Apostolico ac Patritio
Ciuitatis Castriuillarum. Cum Indice Rerum Notabilium in fine cuiusbet Libri, Roma-
e, Ex typographia Fabij de Falco, 1665.
Il frontespizio è preceduto da un antiporto col ritratto inciso in rame del
Pontefice Alessandro VII cui è dedicata l’opera dal Pellegrini con sua lettera
sottoscritta Rom. Prid. Martij 1665. Segue un avviso dell’autore “al benevolo
Lectori, dove sul bel principio racconta com’ei determinossi a scrivere il
presente trattato sulle lodi della Musica”; e qui ne trascriviamo le sue stesse
parole: “Quisquis Musicam laudare velit, vel ipsius Divi Bernardi, ac Tira-
quelli, testimonio laudabilem, Noctuas Athenas, et aquam Oceano ut dicitur
attulisse comperiet. Meum itaque institutum huic labyrintho implicari tam-
quam immensum pelagus adire haud est; sed occasionem scribendi causidi-
cus quidam (in controversia inter Virum quendam et Musicae Magistrum cui
imbuendum pactis adiectis infra certum tempus filium suum tradiderat)
praestitit, qui hanc Musices artem, ignobilem interpellare non erubuit. Cui
tunc, ut par erat, vim vi repellendo, responsum fuit, se nempe in principiis

- 67 -
ANGELO BERARDI

Gius. – Ho grandissimo gusto di sapere questa curiosità, poiché


ho sempre stimato che fosse di Palestrina, avendola più volte
cantata a otto con l’organo, a sei a cappella, e poi ridotta a
quattro da Anerio112, Ma qual è la sua opinione?

errare, parumque in scientiis versatum se prodere; sciret enim si bene stu-


duisset Musicam unam ex septem liberalibus artibus esse et non ignobilem
effutiret. Hinc factum est, ut decurrentibus diebus canicularibus ad animi
levamen, turn temporis magia seriis studiis cuiusdam Praxis fori Ecclesiastici
tum civilium, tum criminalium causarum implicati (ut brevi Deo Dante)
animum ipsum ab omni gravi cura relaxare et recreatione quadam ad Musi-
cae dignitatem tuendam convertere, calamumque conferre decreverim, ad
hoc, ut reipsa causidicus ille Palinodiam canere cogeretur”. Prosegue poi col
dire che “quanto egli rapporta nell’opera, tutto fu tolto da gravi autori e anzi
perciò niun s’attendesse cose nuove, ché egli protestava di scrivere il già
scritto da tanti altri”. Dapprima (così attesta il Pellegrini) s’era proposto di
“dare il libro in volgare onde fosse a portata de’ professori di Musica per lo
più ignari del latino”; ma non dice poi per che causa lo componesse ‘latina-
mente’. Da una epistola di certo fra Tomaso Reni impressa nella sesta carta
del libro si ricavano le seguenti notizie sul Pellegrini: “Quantus qualisque sis
satis novit primum Patria tua, novit S. Marci Civitas inter primarias Provin-
ciae nostrae Calabriae non infima; novit Sarsinaten Ecclesia; novit lata
Militensis Dioecesis, in quibus tanta cum laude, et totius Cleri beneficio
Vicarij Generalis munus per plures annos exercuisti. Novit tandem Hispania,
cum Excellentissimi Ducis Montis Leonis Regni Aragoniae Proregis con-
scientiae factus es arbiter ... Perge igitur (così conchiude fra Tomaso
l’epistola) nec te ab incoepto dimoveri patiaris labor enim tuus non erit
inglorius cum tu solus sis, qui inter scriptores, et aures permulces dulcisonis
Musicae laudibus, et mentes ditas eruditionibus non vulgaribus etc.”.
112 Giovanni Francesco Anerio (Narni, 1567 – Roma, 1630) fu allievo di

Palestrina e, ancor prima, fanciullo cantore nella basilica di San Pietro in


Roma. Fu chiamato alla corte di Sigismondo III re di Polonia e lì mantenne
l’incarico fino al 1608. Tornato in Italia, rimase per qualche anno a Verona
come direttore della Cappella della cattedrale, per tornare poi a Roma nel
1611. Maestro di cappella dapprima in San Giovanni in Laterano, passò poi
dal 1613 al 1620 alla chiesa della Madonna dei Monti. Quindi si avvicinò al
mondo della Congregazione romana dell’Oratorio, fondata da san Filippo
Neri. Per l’istituzione filippina, l’Anerio compose il Teatro armonico e spirituale,
pubblicato a Roma nel 1619, che segna un momento di capitale importanza

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Io sono del parere che sia opera di Palestrina. Questo


grande maestro fiorì al tempo di Giulio III, al quale dedicò il
primo libro delle sue messe; a questo pontefice succedette
Marcello II, il quale per diversi abusi si era risoluto di levare la
musica dalla chiesa; difese Palestrina bravamente il contrario,
provando che era vizio dei compositori e non della scienza, e in
tale occasione fece questa messa, che intitolò Papae Marcelli, che
dedicò poi a Paolo IV, e questa fu stampata nel secondo libro
delle sue messe113. Lascio però la verità al suo luogo, ognuno
creda chi gli pare. Ora ritorniamo da dove siamo partiti.
S. Damaso, S. Gregorio, S. Leone, S. Ambrogio, S. Agostino e
S. Atanasio sono stati dottissimi nella musica. Pelagio II114,

nello sviluppo dell’oratorio in volgare. Tra la sua ampia produzione di


musica sacra, si ricorda la trascrizione a quattro voci della Missa Papae Marcelli
di Palestrina.
113 La Missa Papae Marcelli è certamente il lavoro più conosciuto di Pale-

strina e deve la sua fama alla leggenda che l’autore divenne il ‘salvatore’ della
musica polifonica nel periodo in cui il concilio di Trento discuteva del fatto
di eliminare gli eccessivi artifici dalla musica sacra, anche se le ricerche più
recenti danno come infondata questa tesi. Tuttavia, non è possibile fare
completa luce sulle origini dell’opera: il primo manoscritto è datato 1563, ma
il titolo ci fa propendere per l’opinione che il lavoro possa essere retrodatato
al 1555, l’anno del pontificato di papa Marcello II. Palestrina potrebbe essere
stato indotto alla composizione della messa da una affermazione papale
relativa ai difetti della musica sacra. Poiché Marcello morì appena 22 giorni
dopo l’inizio del suo pontificato, Palestrina poteva solamente dedicare la
messa alla sua memoria. La supposizione del Berardi è forse dovuta al fatto
che il successore di Marcello II, Paolo IV, lo allontanò dagli incarichi musi-
cali poiché venne a conoscenza del fatto che era sposato (con un motu proprio
aveva vietato che fossero scelti maestri, cappellani e cantori non celibi e
aveva proibito ai musicisti di comporre musica profana): la dedica sarebbe
stata, pertanto, un modo per rientrare nelle grazie papali?
114 Pelagio II fu papa dal 579 al 590. Apparentemente nativo di Roma,

era però di origine gotica, suo padre di chiamava infatti Vinigildo. Gli atti più
importanti di Pelagio sono da mettere in relazione ai longobardi, o allo

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ANGELO BERARDI

Vitaliano I e Nicola I sono stati professori, e particolari amatori


della nobilissima scienza musicale. Per non tediarla, tralascio il
numero degli eminentissimi porporati, arcivescovi e vescovi,
che sono stati eccellentissimi nella professione armonica.

Gius. – Mi ricordo di aver letto, che diversi imperatori siano


stati molto versati nella musica, e questi ancora accrescono le
glorie a questa bella regina.

Fel. – È vero: fra questi furono Agesilao, Alcibiade, Epaminon-


da, Caio Caligola, Nerone, Costantino, Carlo Magno, Tito
Vespasiano, Alessandro Severo, Adriano, Teodosio, Teofilo e
C. tutti questi, invaghiti delle rare prerogative di questa vaga
donzella, non sdegnarono di posare alle volte lo scettro imperia-
le, per maneggiare l’arco sopra l’armoniosa lira. Nel nostro
secolo l’imperatore Ferdinando III è stato dottissimo nella
musica, e la maestà di Leopoldo primo, che al presente regna,
possiede interamente questa mobilissima scienza. Molti re
hanno tributato ogni loro affezione a questa potente regina:
Davide con le corde sonore della sua cetra mai si stancava di far
risuonare alle orecchie dell’altissimo le sue lodi, intrecciate in
diversi componimenti: Licurgo, re dei Lacedemoni, Eleatto re
dei Sidoni, Gilimero re dei Vandali, Emanuele I, Giovanni IV e

scisma dei tre capitoli. Pelagio si appellò all’imperatore Maurizio I, chieden-


do sostegno contro i longobardi, ma i bizantini furono di scarso aiuto. Il
papa si rivolse quindi ai franchi, che invasero l’Italia, ma se ne andarono
dopo essere stati pagati dai longobardi per farlo. Pelagio lavorò per promuo-
vere il celibato del clero ed emise regolamenti così stringenti su questo punto
che il suo successore, papa Gregorio I, li modificò per renderli un po’ più
elastici. Pelagio cadde vittima della peste che devastò Roma alla fine del 589.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Francesco IV re di Portogallo; Filippo IV re di Spagna; Giaco-


mo I e Giacomo III re di Scozia; Sigismondo III re di Polonia;
Bardo Pipino re di Francia, e tanti altri, che per brevità tralascio.
Al presente è così amata da principi, cavalieri e dame, partico-
larmente in Roma, che molti signori nelle loro nobilissime
accademie fanno pompa d’una squisita maestria. Nel medesimo
tempo tempo risplende maggiormente la nobiltà arricchita, dal
prezioso tesoro della virtù e apportano onore, gloria e splendo-
re a questa bella regina, che per tutti i capi e ragioni addotte,
nobilissima si rende fra tutte l’altre scienze.

Gius. – È indicibile il piacere che ho sentito da questo discorso;


ma V.S. poteva aggiungere un’altra prerogativa, per maggior-
mente coronare la sua nobiltà.

Fel. – Ho inteso: potevo dire per ultimo, che fra tutte le scienze
nessuna ha avuto l’ardire d’introdursi dentro le porte dei sacri
templi, solo che la musica, col portare la ragione addotta da S.
Agostino nel lib. 9 delle sue Confessioni, così afferma: Consuetu-
dinem canendi probat Ecclesia, ut propter oblectamenta aurium infirmior
animus ad effectum pietatis assurgat115. Il qual uso fu per antico rito

115 S. Agostino, Le confessioni, X, 33, “La concupiscenza della carne:

l’udito”. Questa è l’esatta collocazione della citazione e non nel libro IX


come afferma l’autore. Anche il testo latino originale non corrisponde
esattamente a quello riportato da Berardi: “cantandi consuetudinem appro-
bare in Ecclesia, ut per oblectamenta aurium infirmior animus in affectum
pietatis assurgat” (“inclino ad approvare l’uso del canto nelle chiese, affinché
il piacere delle orecchie risollevi gli animi alquanto deboli verso il fervore” -
trad. C. Vitali). Probabilmente l’autore ha tratto la citazione non dalla lettura
diretta, ma riportandola da qualche trattato circolante in quel tempo (cfr. De
vita et honestate clericorum Joannes XXII di Bartolomé de Quevedo, maestro di

- 71 -
ANGELO BERARDI

osservato nel secolo dell’antica legge: Salomone fu peritissimo


nella musica, compose diversi libri di odi, e più di cinquemila
versi, e nel coro del suo gran tempio ordinò un concento mera-
viglioso di quattromila cantori, per cantar salmi in lode e bene-
dizione del creatore116. Ma, poiché sopra questo punto vi sareb-
be da dire assai, e non poco, e perciò a bello studio non ne
facevo menzione.

Gius. – V.S. mi perdoni, che non avendo la mira così lontana,


ora m’immagino ciò che voleva significare passando questo
punto sotto silenzio, cioè, che molti imitando l’ape da questa
bella rosa ne cavano il miele; altri, a guisa dei ragni ne fuggono il
veleno.

Fel. – Lei non dice male; ma poiché mi pare di essermi trattenu-


to abbastanza nel provare la nobiltà della musica, potremmo

cappella a Toledo nella metà del XVI sec.; fonte: Karl-Werner Gümpel,
“Der Toledaner Kapellmeister Bartolomé de Quevedo und sein Kommentar
zu der Extravagante ‘Docta Sanctorum’ Johannes XXII”, in Gesammelte
Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens, Spanische Forschungen der Görresgesellschaft,
I/21, Münster, Aschendorff, 1963, pagg. 297-308.
116 La musica del cerimoniale del tempio, ai tempi di Salomone, era colle-

gata con il normale sacrificio del mattino e della sera e con le importanti
festività dell’anno religioso. A parte il suono delle trombe (Numeri, X, 1-10)
essa consisteva soprattutto nel canto di componimenti lirici religiosi con
accompagnamento di strumenti a corda. Nel tempio salomonico erano
prevalentemente cantati tre tipi di salmi: canti di lode (ad esempio, salmi
CXLV, CXLVII) che celebrano la maestà della divinità, canti di petizione
(salmi XLIV, LXXIV) che si adattano al rituale dei giorni di digiuno ordinari,
e canti di ringraziamento (salmi XXX, LXVI) che sono stati collegati con le
cerimonie delle offerte votive e quindi con l’osservanza annuale di una delle
grandi feste ebraiche, la festa dei tabernacoli, durante la quale si facevano di
solito tali offerte.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

passare al racconto in qualche parte dei suoi effetti, i quali in


verità sono potentissimi117. I pitagorici, con i suoni musicali
intenerivano gli animi feroci. Teofrasto118 ritrovò alcuni modi

117 Inizia il riferimento ad alcuni personaggi della Grecia antica che, gra-

zie agli effetti mirabili della musica, riuscirono ad ottenere risultati miracolo-
si. Le stesse vicende le troviamo riportate nelle Istituzioni harmoniche (1558) di
Gioseffo Zarlino e ne L’Artusi ovvero Delle imperfettioni della moderna musica (due
parti, 1600-1603) di Giovanni Maria Artusi. Ha qui inizio la riflessione
teorica dell’autore sulla discontinuità tra la ‘pratica antica’ (rappresentata da
Zarlino e da Artusi) e la ‘pratica moderna’. In particolare Berardi giungerà ad
identificare la specificità della pratica moderna nell’uso emancipato in
funzione espressiva della dissonanza e della ‘legatura’ (ritardo armonico),
così da rendere possibile l’adesione della musica al senso e all’affetto delle
parole, secondo la poetica che già era stata di Monteverdi.
118 Alla morte di Aristotele nel 322 a.C., gli successe nella direzione del

Peripato aristotelico Teofrasto, soprannome (che in greco significherebbe


‘divino parlatore’) che gli fu attribuito dallo stesso Aristotele. In realtà
Tirtamo era il vero nome di questo pensatore nato ad Ereso, nell’isola di
Lesbo, verso il 370 a.C. Appartenente a famiglia benestante, Teofrasto poté
ben presto trasferirsi ad Atene per seguire gli studi di filosofia. Il suo primo
maestro fu Platone in persona, alla cui scuola rimase fino alla morte del
filosofo (347 a.C. circa); il sodalizio di Teofrasto con Aristotele iniziò poco
dopo, quando i due ebbero modo di incontrarsi ad Asso o a Militene fra il
347 e il 345. Lo stagirita ebbe subito modo di apprezzare le grandi qualità del
giovane allievo e gli dimostrò la propria stima affidandogli la direzione del
Peripato nel 323 a.C., quando dovette allontanarsi da Atene sotto l’infamante
accusa di empietà. La medesima accusa colpì anche Teofrasto, il quale però,
a differenza del maestro, non ne rimase minimamente danneggiato. Nel 318
a.C. egli dovette però abbandonare il capoluogo attico perché un decreto
impediva ai filosofi di tenervi scuola, ma l’anno successivo il decreto fu
abrogato e Teofrasto poté rientrare in città e riprendere la guida del Peripato,
che mantenne senza altri rilevanti incidenti fino alla sua morte, avvenuta
all'incirca nel 286 a.C. Nell’arco di un’esistenza trascorsa interamente a
studiare e a riflettere (sul letto di morte, ottantacinquenne, si sarebbe ramma-
ricato di dover morire proprio quando cominciava ad imparare qualcosa),
Teofrasto fu autore di circa 240 opere che spaziavano dalla morale alla
politica, alla fisica, alla metafisica, alla logica, alla retorica, alla poetica, alla
botanica, alla zoologia: in pratica gli stessi campi che erano stati esplorati dal
maestro Aristotele. Con lo stagirita, Teofrasto condivideva vastità di interessi

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ANGELO BERARDI

musicali per acquietare gli spiriti turbati. Senocrate, col suono


degli organi, ridusse alcuni pazzi alla primitiva salute119. Talete di

e un sapere altrettanto enciclopedico, pronto ad investigare su qualsiasi


argomento, dal più complesso al più banale (ad esempio la meteorologia, il
miele, gli odori, la vertigine, il sudore e altro ancora), sempre con la curiosità
e il piglio analitico dello scienziato. Tuttavia non è facile oggi riconoscere i
concreti contributi teofrastei all’opera aristotelica pervenutaci, né stabilire se
egli sia stato soltanto uno zelante e prezioso sistematore degli scritti del
maestro; certo è che contribuì al progresso di indagini scientifiche (come
quella sulla botanica) già avviate da Aristotele. Ben poco ci è pervenuto della
vasta produzione di Teofrasto: qualche centinaio di frammenti e tre opere
complete, delle quali due trattano di botanica (Ricerche sulle piante, in 9 libri, e
Sulle cause delle piante, in 6 libri) e una, i Caratteri, risulta non facilmente
ascrivibile ad un genere preciso. Di altri scritti possiamo formarci un’idea da
estratti conservatici in via indiretta, come nel caso del trattato Sulla religiosità.
Importante è anche il trattatello Sulla musica (Περι µυσικης), conservatoci dal
commentario di Porfirio alle Armonie di Tolomeo, nel quale si argomenta che
le note musicali possono essere rappresentate da numeri, senza però ipotiz-
zare nessuna relazione oggettiva fra la lunghezza d’onda delle note e la
quantità del numero.
La tradizione che vuole Teofrasto scopritore di modi musicali terapeutici è
riportata anche da Cornelio Agrippa (Heinrich Cornelius Agrippa von
Nettesheim; Colonia, 1486 – Grenoble, 1535): “Democrito e Teofrasto
assicurano che con l’impiego della musica è possibile guarire o procurare
certe malattie del corpo e dello spirito e in tal modo Terpandro e Arione
Metimneo hanno curato i Lesbiani e gli Ionici e Ismenio il Tebano s’è
servito della musica per combattere non pochi morbi crudeli” (cfr., De occulta
Philosophia, cap. XXV). All’antica idea pedagogica della musica, Aristotele,
oltre alle funzioni di svago e ricreazione, aggiunge una funzione specifica-
mente medica (di origine già pitagorica), che trova riscontro in altri peripate-
tici citati in Ateneo, come Cameleonte (secondo cui Achille si metteva a
suonare la musica per calmarsi) e Teofrasto (la musica dell’aulo guarisce dalla
sciatica: forse perché l’aulo è connesso, come detto, con la kínesis).
119 Senocrate (Calcedonia, 396 a.C. – Atene, 314 a.C.), filosofo greco, di-

scepolo di Platone, alla morte del maestro abbandonò, come Aristotele,


l’Accademia per il disaccordo con il nuovo maestro Speusippo. Alla morte di
questo gli succedette alla guida dell’Accademia, dal 339 alla morte. Dei suoi
scritti ci sono giunti solo alcuni frammenti. Senocrate diede sistemazione
all’ultima fase matematizzante del pensiero di Platone, accentuando

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Candia, col suono della cetra, scacciò la pestilenza. Timoteo


Mileto120, suonando, faceva prender l’armi ad Alessandro e col

l’influenza pitagorica che è palese nella concezione dell’anima come numero


che muove se stesso (da intendersi come anima del mondo) e nella trasfor-
mazione dell’uno e della diade, in quanto principi della realtà e del movimen-
to, in divinità maschile e femminile. La sua etica, distinguendo i beni
dell’anima, del corpo e della vita esteriore, pone come sommo bene la virtù,
identificata platonicamente con la felicità. Alla virtù più pura, alla vita più
felice, perviene il filosofo.
La citazione è tratta da Gioseffo Zarlino, Istituzioni Harmoniche, II: “come
ancora leggemo di Senocrate, il quale col suono de gli organi ridusse li pazzi
alla pristina sanità; et di Talete di Candia, che col suono della Cetera scacciò
la pestilenza”.
120 Timoteo di Mileto (450 ca. – 360 a.C.) fu un compositore molto fe-

condo di inni, nomoi, ditirambi e próoimia strumentali; famoso citarodo, portò


sino a 11 il numero delle corde della cetra per adeguarne le possibilità
espressive alle esigenze del suo virtuosismo ed eseguire in uno stesso canto
melodie del genere diatonico, enarmonico e cromatico. Il pubblico ateniese
non accolse subito con favore unanime le sue innovazioni musicali e, nel
primo periodo della sua attività, Timoteo si trovò al centro di polemiche
vivaci delle quali possiamo avvertire gli echi nelle tirate antieuripidee di
Aristofane (Euripide aveva sostenuto e incoraggiato Timoteo all’inizio della
sua carriera). A distanza di qualche decennio, quando ormai la ‘nuova
musica’ si era affermata, anche Platone fece sue le critiche e le accuse che i
conservatori avevano mosso al poeta di Mileto. Nella Repubblica (III, 397c
sgg.; X, 595a sgg.) a proposito della funzione etica dell’arte nel suo stato
ideale, egli prende in esame la poesia e la musica, assumendo una posizione
di netto rifiuto nei confronti della nuova musica che suscita nell’uomo
passioni ed emozioni che ne turbano l’equilibrio razionale. A differenza di
Platone, Aristotele (cfr., nota n. 4) dà una valutazione sostanzialmente
positiva della musica del suo tempo. Egli afferma che l’educazione musicale
deve procurare all’uomo un dignitoso godimento nei periodi di riposo, oltre
che favorire lo sviluppo di un carattere moralmente irreprensibile e guidarlo
alla saggezza.
Va precisato, però, che il Timoteo a cui si fa riferimento non è il famoso
citaredo, bensì Timoteo auleta: l’omonimia ha spesso impedito anche solo di
riconoscere l’esistenza di quest’ultimo. Eppure anche la Suda ha cura di
distinguere i due personaggi (vd. s.v. Timótheos Milésios) e le fonti su di lui non
mancano. Beota, ebbe la sua prima affermazione importante nel 360-357

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ANGELO BERARDI

medesimo strumento lo veniva a pacificare. Antegenide121, al


detto di Plutarco, col canto violentava gli spartani a pigliare le
armi. Chirone guariva con la musica molte infermità.

Gius. – Felicità di quel secolo, nel quale le infermità si medica-


vano con la musica; la curiosità mi spinge a sapere chi era que-
sto Chirone, così virtuoso.

Fel. – Chirone, figlio di Saturno e di Fillira, figlia dell’Oceano,


era medico rarissimo e pedante d’Achille, al quale insegnò
prima i precetti musicali che l’arte della scherma, e volle che le
sue mani, prima d’impugnare la spada, si avvezzassero a trattar
soavemente l’arco d’una lira. Insegnò l’astrologia ad Ercole e ad

a.C. (ca. ventenne) ad Atene, accompagnando il coro nell’Aiace furente di


Timoteo di Mileto; partecipò poi agli agoni musicali indetti da Filippo II di
Macedonia durante l’assedio di Metone (354 a.C.), concorrendo contro i più
anziani Antigenida e Crisogono (tutti e tre gli auleti interpretarono un
ditirambo, Ciclope, di autori della prima metà del IV sec.: Filosseno, Stesicoro
II, Oiniade di Tebe); Alessandro lo volle per le cerimonie d’avvio della
spedizione antipersiana; concorse al grande agone musicale per le nozze
d’Alessandro a Susa nel 324 a.C.; l’uso del verbo chenízein, ‘stridere’, per
indicare la sua musica e quella dei suoi imitatori, potrebbe alludere ad un
vero e proprio stile esecutivo, forse d’avanguardia e come tale attaccato dai
comici. Quanto sappiamo del suo repertorio (due ditirambi, di cui uno di
Timoteo di Mileto) lascia pensare ad un auleta non ‘conservatore’ (come ad
es. il Telefane di Megara di [Plutarco], De musica, 1138a) ma che si offriva di
interpretare le ‘nuove musiche’ con entusiasmo (ciò spiega perché fu scelto,
ancorché giovane, da Timoteo di Mileto per il suo Aiace). Timoteo l’auleta,
dunque, fu figura importante della musica innovatrice del IV sec. a.C., una
star internazionale in stretti rapporti con la corte macedone (del resto,
Alessandro usò musicisti di spicco per promuovere la propria politica
culturale), dotato di tanto prestigio da potersi permettere anche una certa
indipendenza verso Alessandro.
121 Cfr. Agostino Agazzari, Musica ecclesiatica, Siena, Bonetti, 1638.

- 76 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Esculapio la medicina: essendo poi mortalmente ferito a caso


con una saetta da Ercole, fu trasportato in cielo, e fra i segni
celesti meritò quello di Sagittario. Higino122, nella Poetica Ar-
monica123, così cantò:
Trattar Cetre insegnò nelle sue Scole.

Gius. – I nostri antichi sono stati degni di lode grandissima per


le loro invenzioni e favole.

Fel. – Non vi è dubbio; ora ripigliamo il nostro filo. Gilimero, re


dei Vandali, da me nominato sopra, essendo sconfitto da Belisa-
rio, prese una cetra, per consolarsi nelle sue miserie124. Parasio125

122 Gaius Julius Hyginus (Higino; 64 a.C. – 17 d.C.), scrittore, astronomo e


mitografo latino, nato in Spagna, fu allievo di Cornelio Alessandro Polistore e un
liberto di Ottaviano Augusto, il quale lo nominò soprintendente della biblioteca
palatina. Le sue opere principali sono il De Astronomia (normalmente denominato
come Poetica Astronomica) in quattro libri, contenente una elementare trattazione
dell’astronomia e dei miti connessi con gli astri, basata sul Catasterismos di Erato-
stene, e Fabulae, in cui racconta brevemente e sommariamente le leggende
mitologiche classiche. Comunque, il suo merito principale consiste nel fatto di
aver riassunto la trama di alcune tragedie di Euripide e di Sofocle. Durante la sua
esistenza, egli introdusse nell’astronomia greco-latina nozioni e definizioni della
mitologia egizia e caldea.
123 In realtà, come abbiamo osservato nella nota precedente, il titolo au-

tentico dello scritto è Poetica Astronomica. La vicenda del centauro Chirone è


narrata, nell’originale latino, in II, 38.
124 Gelimero (480 - 553), re dei Vandali e degli Alani dal 530 al 534. Fu

l’ultimo comandante del regno nord-africano dei Vandali. Divenne re nel


530 dopo aver deposto suo cugino Ilderico, che aveva irritato la nobiltà
vandala a causa della sua conversione al cattolicesimo. La maggior parte di
loro, infatti, era devota all’arianesimo. L’imperatore d’oriente, Giustiniano I,
che appoggiava Ilderico e voleva restaurare l’impero nel Nord Africa,
dichiarò guerra ai Vandali. L’esercito vandalo oppose una grande resistenza
al generale bizantino Belisario e al suo esercito, ma fu sconfitto due volte nel
533 nella battaglia di Ad Decimium e nella battaglia di Ticameron. Gelimero,

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ANGELO BERARDI

e Nicia126, pittori di gran nome, accompagnavano il lavoro della


mano con la soavità del canto. Achille in Sciro, tornando dalle
selve carico di prede, a sé medesimo il trionfo cantava. Silla il
crudele affaticato nelle stragi di Roma si ristorava col canto.

tuttavia, sfuggì alla stretta e con pochi fedeli si rifugiò nelle inaccessibili
montagne della Numidia meridionale, bene accolto dalle locali popolazioni
berbere. Ma non contava più nulla: era un re senza sudditi e senza regno.
Braccato dai Romani, passò i suoi ultimi anni componendo un poema in
latino in cui lamentava le proprie sfortune. E quando l’opera fu terminata
inviò un messaggero con bandiera bianca a Pharade, il comandante locale
delle forze romane, chiedendo una cetra con cui accompagnare il proprio
canto, una spugna per tergersi le lacrime e un tozzo di pane. Finalmente,
verso la fine di marzo del 534, si consegnò a Belisario accettando le offerte
dei Bizantini. Secondo Procopio (La guerra vandalica, II, 9) Belisario portò
Gelimero a Costantinopoli per festeggiare il trionfo sui Vandali. Gelimero
giunto sotto la tribuna imperiale si gettò ai piedi dell’imperatore in atto di
riverenza. L’imperatore lo ricompensò donandogli delle terre dove vivere
con la famiglia in Galazia. Non poté diventare però un patrizio perché non
abiurò la sua fede ariana.
125 Parràsio, pittore greco nato intorno alla metà del V secolo a.C. ad E-

feso in Asia Minore. Lavorò soprattutto ad Atene, dove raggiunse la celebri-


tà grazie al suo virtuosismo nell’uso del disegno. Plinio pone la sua fioritura
intorno al 400 a.C. Non ci è pervenuta alcuna sua opera, ma solo notizie
dalla tradizione letteraria che esalta la perfezione della linea di contorno e le
armoniose proporzioni delle sue figure.
126 Nìcia, pittore greco attivo ad Atene nel sec. IV a. C. Secondo le fonti

letterarie fu abile negli effetti di luce e di colore e nel ritocco policromo di


statue marmoree, tra cui alcune di Prassitele. Oltre a pitture di soggetto
funerario (tra cui una figurazione dell’oltretomba secondo la nékyia omerica),
le fonti ricordano quadri di soggetto mitologico esposti a Roma: Giacinto,
Danae, Andromeda liberata da Perseo, Io, Calipso, Dioniso, Alessandro
Magno. Echi di alcune pitture di Nicia sono in affreschi di età romana:
Andromeda liberata da Perseo, che ritorna con uguale schema in quattro pitture
pompeiane; Io custodita da Argo e liberata da Ermete, tema di varie pitture
pompeiane e di un affresco della casa di Livia sul Palatino.

- 78 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Se un cantore fosse interrogato su cosa sia il canto, che


dovrebbe rispondere?

Fel. – Potrebbe rispondere che il canto è primogenito


dell’anima, e i vagiti di un bambino appena nato non sono altro
che note, le quali, benché male articolate, danno pure a vedere
che la prima scienza che insegna l’anima è il canto. La musica è
regolatrice delle passioni dell’animo, eccone l’esempio in Achil-
le, questi tutto guerriero e iracondo (e pure da Omero vien
dipinto con la cetra in mano127) in quel tempo appunto, che egli
sdegnato con l’oste greca, per l’ingiuria ricevuta da Agamenno-
ne, macchinava gran cose, dagli ambasciatori viene trovato in

127 Omero, Iliade, IX, vv. 235-255 (trad. Vincenzo Monti)


Alle tende venuti ed alle navi
de’ Mirmidóni, ritrovâr l’eroe
che ricreava colla cetra il core,
cetra arguta e gentil, che la traversa
avea d’argento, e spoglia era del sacco
della città d’Eezïon distrutta.
Su questa degli eroi le glorïose
geste cantando raddolcìa le cure:
Solo a rincontro gli sedea Patròclo
aspettando la fin del bellicoso
canto in silenzio riverente. Ed ecco
dall’Itaco precessi all’improvviso
avanzarsi i legati, e al suo cospetto
rispettosi sostar. Alzasi Achille
del vederli stupito, ed abbandona
colla cetra lo seggio; alzasi ei pure
di Menèzio il buon figlio, e lor porgendo
il Pelìde la man, Salvete, ei dice,
voi mi giungete assai graditi: al certo
vi trae grand’uopo: benché irato, io v’amo
sovra tutti gli Achei.

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ANGELO BERARDI

sembianze di musico, il che chiaramente dimostra che la musica


è regolatrice degli affetti e dei costumi128. Si legge nell’Iliade, che
nella celeste magione di pace vennero gli dei fra di loro a sì

128 Achille è uno dei principali eroi leggendari greci della guerra di Troia e

il protagonista dell’Iliade, il poema di Omero che narra le vicende dell’ultimo


anno di quella guerra. È figlio di Peleo, re di Ftia, una città localizzata nella
regione della Tessaglia, e di Teti, una dea marina, figlia di Nereo.
Quest’ultima era così bella che sia Zeus che Poseidone avrebbero voluto
sposarla, ma sapendo che essa avrebbe dato alla luce un figlio più forte del
padre e temendo perciò di venirne spodestati, rinunciarono alle nozze a
favore del mortale Peleo. Secondo una tradizione posteriore ad Omero,
quando Achille era ancora bambino, Teti lo rese invulnerabile immergendolo
nelle acque del fiume Stige. Tuttavia, nell’immergerlo, lo resse per il tallone,
che quindi rimase vulnerabile. Ella tentò allora di renderlo immortale sotto-
ponendolo al rito del fuoco, rito mediante il quale si sarebbe bruciato tutto
ciò che di mortale vi era in lui. Ma la cerimonia non poté essere portata a
termine in quanto il padre, non avvertito di ciò, scorgendo il figlio avvolto
nel fuoco, lanciò spaventato un urlo che ruppe l’atto magico. Teti affidò
allora Achille al saggio centauro Chirone, affinché lo istruisse e fu così che
egli crebbe e apprese l’arte di guarire. Gli antichi narratori non riuscirono
mai a collegare tra loro le singole storie senza entrare in contraddizione,
pertanto non è chiaro se alcuni fatti accaddero primo o dopo. Resta tuttavia
evidente che ad un certo punto i capi greci si riunirono attorno ad Agamen-
none per riportare in patria Elena, la sposa di Menelao, e cominciarono i
preparativi (durati dieci anni) per la guerra di Troia. Teti, sapendo che se suo
figlio vi avesse partecipato avrebbe perso la vita, lo sottrasse allora a Chiro-
ne, lo vestì di abiti femminili e infine, lo nascose alla corte di Licomede, re di
Sciro, dove, in ragione del colore dei capelli, visse con il nome Pirra (il cui
significato è ‘la bionda rossiccia’) assieme alle figlie del re. Purtroppo però
l’indovino dell’esercito, Calcante, rivelò che senza l’arco di Ercole e il giova-
ne Achille figlio di Teti e di Peleo, Troia non sarebbe mai caduta. Ulisse, che
in un primo tempo si era finto pazzo per sottrarsi alla guerra, si assunse
l’incarico della sua ricerca. Avendo saputo dove Achille si nascondeva, si
recò alla corte di Sciro travestito da mercante e giunto davanti al re e alle
fanciulle della corte espose tutte le vesti ed i gioielli che portava seco. Tra
queste mise in bella evidenza uno scudo e una lancia. Indi, mentre le fanciul-
le erano intente ad ammirare la merce, fece squillare le trombe di guerra.
Immediatamente tutte fuggirono, tutte tranne una che corse ad afferrare le
armi. Inutile dire chi fosse e che accettò con entusiasmo di andare in guerra.

- 80 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

spaventevole contrasto, che il cielo un fiero campo di battaglia


sembrava. In così grave tumulto Apollo con plettro sonoro,
accompagnato dalle muse, nel cominciare il suono diede fine
alle contese, poiché all’armonia della musica si ridessero in
concerto gli dei129; e, se tanto poté nelle menti divine la musica,
non è meraviglia che Clinia pitagorico130 desse di mano ad una
lira per mitigare i suoi ingiusti furori nel bollore dell’ira e del suo
sdegno? Al detto di Teopompo131, buona parte dei barbari
erano soliti mandare ai nemici i loro ambasciatori con gli stru-
menti musicali per addolcirli e disporli alla bramata pace.

129 Omero, Iliade, I, 801-802 (trad. Vincenzo Monti).

“Né l’aurata mancò lira d’Apollo,


né il dolce delle Muse alterno canto”.
130 Il filosofo pitagorico Clinia di Taranto sottolineò la facoltà della musi-

ca di placare le passioni ed in questo fu vicino a Platone.


131 Teopompo nacque a Chio intorno al 378, da famiglia oligarchica e

filospartana: per questo orientamento politico dovette ben presto subire


l’esilio insieme al padre Damasistrato. Durante l’esilio Teopompo si fermò
ad Atene, dove fu allievo di Isocrate ed intraprese la carriera oratoria, specia-
lizzandosi nel genere epidittico e giungendo persino, nel 351, a vincere la
gara indetta per il migliore panegirico del re Mausolo di Caria. Oltre a
studiare l’oratoria e la filosofia, secondo le regole della scuola di Isocrate,
Teopompo si rivolse in questi anni allo studio di Erodoto e Tucidide,
iniziando a comporre storia sulle loro orme e in contrapposizione a Seno-
fonte, le cui Elleniche erano appena state pubblicate. Del maestro, Teopompo
condivise l’orientamento anti-platonico e l’attenzione per la politica di
Filippo, presso il quale rimase molti anni: da questa sua personale conoscen-
za del sovrano fu spinto a comporre la sua opera maggiore, le Filippiche. Nel
332 tornò a Chio grazie all’intercessione di Alessandro, me ne fu scacciato
definitivamente alla sua morte, nel 323. Da questo momento ricominciò
l’esilio di Teopompo, che infine fu accolto in Egitto presso Tolomeo I. Col
sovrano entrò ben presto in contrasto per motivi, forse, di corte, ma fu
salvato da alcuni amici dall’essere assassinato. Poiché l’ultima data certa che
si ricava dalla sua opera è il 324, si presume che Teopompo sia morto
intorno al 320.

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ANGELO BERARDI

Gius. – Mi pare d’aver letto nelle storie sacre che i profeti mag-
giormente ricevevano il dono della profezia nel sentire il suono
di qualche strumento.

Fel. – Di questa materia ne tratto diffusamente nelle mie Dicerie


Musicali con tutte le autorità, anzi se lei volesse portarsi a con-
siderazione più alta, perché l’armonia abbia forza di incitare i
profeti a profetare, legga il padre Mersenni132 nelle questioni

132 Scienziato e filosofo francese, Marin Mersenne nacque a La Soultière,


presso Oizé, Maine nel 1588, e morì a Parigi nel 1648. Dopo un biennio di
teologia alla Sorbona, entrò, nel 1611, nell’ordine religioso dei Minimi per
insegnare filosofia, e, dal 1619, si stabilì nel convento parigino
dell’Annunziata, in cui rimase, fatta eccezione per alcuni brevi viaggi, fino
alla morte. Amico e corrispondente dei principali esponenti della cultura del
tempo (Cartesio, Hobbes, Fermat, Huygens, Torricelli, Gassendi), divenne il
centro di collegamento di quanti, al di fuori della vecchia cultura universita-
ria, si occupavano con serietà di ricerche e dibattiti in largo senso scientifici.
Nelle vesti informali di segretario della repubblica delle lettere dell’epoca,
grazie alle periodiche riunioni da lui tenute nel 1666, presso il convento
dell’Annunziata, trasse origine l’Accademia delle Scienze. I contributi scienti-
fici di Mersenne spaziano su un ampio fronte di argomenti, estendendosi
dall’esegesi biblica alla filosofia, dalla meccanica alla teorica musicale e
all’acustica, dalla geometria all’ottica, dalla pneumatica alla linguistica. Al di là
degli esiti specifici di questa intensa attività di ricerca, Mersenne svolse un
ruolo particolarmente rilevante nell’organizzare la cultura europea del tempo.
Il Minimo francese favorì le relazioni tra i dotti, mettendoli in contatto e
promuovendone il dibattito e la cooperazione scientifica. Mersenne è noto
anche per essere stato in Francia, a lungo, il punto d’incontro di un gruppo
di studiosi che per suo mezzo si comunicavano le principali scoperte scienti-
fiche che venivano fatte in Europa e i principali contributi filosofici che si
venivano elaborando nei vari paesi. Nelle vesti informali di segretario della
repubblica delle lettere dell’epoca, Mersenne partecipò attivamente al dibatti-
to sui problemi del vuoto, soprattutto a partire dal viaggio in Italia effettuato
nel 1644. In quella occasione, egli ebbe modo di assistere ad alcuni esperi-
menti barometrici e di discutere con i principali esponenti del movimento
scientifico italiano, diffondendone, poi, in ambiente francese, le acquisizioni.

- 82 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

sopra la Genesi133, che sentirà pensieri veramente sublimi. La


musica ha la forza d’addolcire gli animi adirati, come si legge di
Ludovico Pio134, il quale fece liberare dalle carceri Theodolfo
per aver cantato con voce soavissima alla sua presenza l’inno:
Gloria laus, et honor tibi sit Rex Christe Redemptor, etc135. Ha forza

Mersenne occupa una posizione predominante fra i teorici francesi del


Seicento e sostiene un ruolo di transizione fra Zarlino e Rameau. Nella sua
Harmonie universelle egli concede largo spazio alle esperienze fisiche sui
fenomeni della risonanza e a minuziose descrizioni organologiche.
133 Marin Mersenne, Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata textus

explicatione, Parigi, 1623.


134 Carlo Magno, un anno prima di morire (813), aveva associato al pote-

re il suo terzo figlio, Ludovico il Pio, il quale, dopo la morte del padre, era
stato incoronato imperatore a Reims dal papa Stefano IV. Dalla prima
moglie Ludovico aveva avuto tre figli, Lotario, Pipino e Ludovico il Germa-
nico. Rimasto vedovo e risposato, dalla seconda moglie aveva avuto un
quarto figlio, Carlo il Calvo. Per regolamentare la sua successione aveva
emanato nell’817 la «Ordinatio imperi», che indicava come unico erede al
trono il primogenito Lotario. Questa legge andava contro la consuetudine
franca di dividere l’eredità in parti uguali fra i figli maschi e scatenò una
lunga lotta per il potere. Al tempo dell’«Ordinatio» una delle sue maggiori
perplessità era che, procedendo ad una divisione dei possessi carolingi tra i
figli, questa pluralità di regni potesse provocare scissioni nella fede cristiana,
recando grave offesa a Dio e qui emerge il carattere di Ludovico, che
dimostra una impronta più ecclesiastica che imperiale, per cui era più adatto
a fare il monaco che l’imperatore. Probabilmente non aveva previsto la
reazione negativa dei figli, che continuavano a litigare, Lotario I e Ludovico
il Germanico alla testa dei tedeschi (o franchi orientali) e Carlo il Calvo alla
testa dei francesi (o franchi occidentali) e la conclusione fu che i figli prima
gli tolsero il trono, poi ve lo ricollocarono fino alla sua morte (840).
135 Teodulfo o Theodulfus (ca. 750 – ca. 821), arcivescovo d’Orléans, era

un poeta ispano-visigoto attivo alla corte di Carlo Magno dopo il 784 d.C.
Uomo di grande cultura, ebbe da Carlo Magno il titolo di missus dominicus e
l’incarico di riformare l’amministrazione e la giustizia nell’Aquitania. Sospet-
tato d’aver preso parte al complotto di Bernardo, re d’Italia (817), Teodolfo
fu imprigionato e successivamente esiliato ad Angers e poi a Le Mans, dove
morì. Fu uno dei promotori della cosiddetta ‘rinascita carolingia’ presso
l’Accademia Palatina, tanto che fu soprannominato Pindarus per la sua

- 83 -
ANGELO BERARDI

ancora di muovere in maniera tale gli affetti e le passioni, che


con tutto che l’animo sia applicato altrove, l’armonia lo distrae e
tira dove vuole. Racconta Cosimo Bartoli136 nei suoi Ragiona-
menti Accademici, che un tal Giulio da Montana col suono d’un
arpicordo si vantava di attirare a sé e di invaghire qualsivoglia
distratta ed occupata mente. Fu messo alla prova
nell’anticamera di Papa Clemente VII137 con alcuni che intenti a
negozi gravi, e di premura, si erano ritirati in un’altra stanza, col
fermo proposito di non volerlo sentire; in poco tempo li co-
strinse ad accorrere al suono.

attività di poeta. Fu autore di sermoni (Sermones), poesie religiose, morali,


didascaliche e encomiastiche (Carmina), ma anche di trattati su controversie
teologiche come la natura della Trinità (De ordine baptismi, Interpretatio missae,
De processione spiritu sancti). La sua opera più famosa fu l’inno Gloria laus et
honor, che fu inserito nella liturgia della domenica delle Palme. La leggenda
narra che Teodolfo, attraverso il canto di questo inno, poté riconciliarsi con
Ludovico, che lo reintegrò nelle sue precedenti cariche.
136 Cosimo Bartoli (1503-1572) fu un diplomatico, matematico, filologo e

umanista. Operò e visse a Roma e Firenze, prendendo gli ordini minori. Fu


amico del Vasari e lo aiutò nella pubblicazione delle sue Vite. Lavorò nei
circoli diplomatici, inclusa la segreteria del cardinale Giovanni de’ Medici e
come agente per il duca Cosimo I. Scrisse i Ragionamenti accademici (Venezia,
1567), che risultavano essere, fondamentalmente, una critica a Dante. Un
capitolo, il terzo, menziona alcuni tra i migliori compositori e strumentisti
del suo tempo, tra i quali Giulio da Montana. Egli cita i compositori Johan-
nes Ockeghem e Josquin Des Prez come equivalenti a Donatello e Miche-
langelo nelle loro rispettive arti e afferma che Ockeghem e Donatello furono
i precursori di Des Prez e Michelangelo. Nel volume vengono trattate anche
l’architettura e la pittura, focalizzando in particolar modo le espressioni
artistiche della nativa Firenze.
137 Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici (Firenze, 1478 – Roma,

1534), esponente della famiglia fiorentina dei Medici, eletto papa nel 1523.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Vorrei sapere perché oggi la musica muova così poco o


niente le passioni dell’animo, a differenza dell’antica, che infe-
rociva, placava, rallegrava, attristava, facendo mille altri effetti,
come mi ha favorito di raccontare.

Fel. – V.S. s’inganna, perché la musica, essendo ai tempi nostri


in maggior perfezione, maggiormente deve operare i suoi effet-
ti138; si richiede la disposizione negli uditori, per uscir fuori dai
suoi termini a chi più, a chi meno. E perché di questo punto ne
ha scritto così bene una regia mano nel suo libro intitolato La
Difesa della Musica moderna139, interamente a quello mi rimetto.

138 L’autore ritorna ancora sulla contrapposizione e sulle polemiche tra i

sostenitori dell’’antica’ e della ‘moderna pratica’ (cfr. nota n. 117) e porta a


sostegno della sua preferenza per la seconda, Giovanni IV re del Portogallo.
139 Giovanni IV di Braganza, re del Portogallo e dell’Algarve (Vila Viço-

sa, 1604 - 1656) fu il ventunesimo re del Portogallo e dell’Algarve. Giovanni


IV fu un grande musicista e compositore. Su sua iniziativa venne avviato in
Portogallo il culto dell’immacolata concezione, che egli proclamò protettrice
del regno, e decise che i monarchi portoghesi non portassero più in testa la
corona, che da allora fu posta su un cuscino accanto al re. Durante il suo
regno, collezionò una delle librerie più grandi al mondo, che purtroppo
venne distrutta successivamente da uno dei più tragici eventi che colpirono il
Portogallo, e cioè il maremoto di Lisbona del 1755, che provocò più di
centomila vittime.
Nonostante fosse stato il padre a spingerlo allo studio della composizione, la
vocazione musicale di Giovanni IV è incontestabile, ed è testimoniata, oltre
che dagli studi da lui pubblicati e dall’interesse per l’attività come cantore
della cappella ducale di Vila Viçosa, pure dal fatto che anche dopo la morte
del padre (1630) egli conservò e anzi sviluppò il suo interesse per la musica,
attraverso commissioni e acquisti di nuove opere per la biblioteca.
La sua austerità era tale che non permetteva ai cantori di interpretare brani
profani, cosa che rispondeva allo spirito cattolico dell’epoca nella penisola
e all’inclinazione per l’austero e per il solenne. Come teorico, difese l’arte
polifonica e imitativa del suo tempo (Defensa de la música moderna contra la
errada opinion del obispo Cyrilo Franco, Lisbona, 1649; trad. italiana, Venezia,

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ANGELO BERARDI

Gius. – Se i re ancora impiegano le loro penne in difesa di que-


sta bella donzella, questa è una prova maggiore della sua nobil-
tà. Ma poiché il libro non sta in mio potere, la prego almeno
con un solo esempio di soddisfare la mia curiosità.

Fel. – Ogni volta che vorrà leggere questo libro glie lo darò:
essendo ormai tardi, con poche parole procurerò di servirla.
Noti, che quando si suonano balletti140, correnti141 e canari142,
vedrà che non si trova uomo, o molti pochi, che non si scom-
pongano in qualche modo, muovendosi con i piedi, le mani o la
testa. Faccia questa riflessione, che tanto in Roma, quanto fuori,
cantando musici eccellenti, l’anima se ne vola dietro alla loro
voce se ella è dolce e languente languisce, se è flebile e armonica
si intenerisce, se da una sol nota non muove il passo e pure
vada passeggiando, non passeggia ma resta immobile. Guerriero
simile alla bocca non si trova, la quale dando il fiato alla tromba

1666), contro la mitologia sostenuta dai rinascimentali, d’intesa con


l’educazione che ricevette, basata più sui testi ecclesiastici che su quelli
dell’antichità classica.
140 Denominazione di un determinato genere di brani vocali e strumentali

con caratteri di danza, in uso alla fine del sec. XVI e per tutto il secolo
successivo. In questa accezione è sostituito anche dal termine ‘ballo’ ed
indica un genere di danza in forma bipartita, ritornellata, in ritmo binario
veloce.
141 Danza di origine italiana, in voga nel XVI e XVII sec. Di carattere vivace,

fu in tempo dapprima binario, poi ternario, ed entrò a far parte della suite e della
partita strumentale, spesso accoppiandosi all’allemanda, che aveva, per contrasto,
un andamento grave. Si distinsero un tipo di corrente francese e uno italiano,
questo più rapido ed impetuoso, quello più contenuto.
142 La canaria (o canario) era una danza spagnola di andamento veloce, in

3/8 o 6/8, diffusa tra il XVI e il XVII sec. e adottata nella suite strumentale
e nei balletti francesi. Veniva danzata in coppia, percuotendo il suolo col
piede sul primo tempo di ogni misura.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

della sua voce, muove battaglia alla soldatesca degli umani


affetti. Notai una volta che mentre cantava il nostro Giuseppe
Fede143, vera gloria del nostro secolo, alcuni, che si trovavano
presenti in quella nobile adunanza, nel sentire un certo passo
flebile e poi portato da simil soggetto, non fu possibile che
potessero contenerli dal non versare le lacrime.

Gius. – V.S. non poteva dir meglio, il sig. Giuseppe Fede vera-
mente è gloria e splendore del nostro secolo, sì per
l’impareggiabile virtù come anche per le rare qualità che
l’adornano.

Fel. – Stimo e amo tanto il sig. Giuseppe Fede, che non posso
contenermi dal dire che, se anticamente i poeti hanno favoleg-
giato, che le sirene con il canto addormentano i passeggeri e
affondano le navi, hanno voluto maggiormente esprimere la
forza della musica, mentre alla soavità del canto l’uomo beve
l’acqua del fiume Lete, scordandosi i travagli e le fatiche. Di
tutto questo al presente ne abbiamo un vivo esempio nella

143 Il sopranista Giuseppe Fede (1640-1700) entrò a far parte dei cantori
della Cappella Sistina dal 1662. La sua presenza è attestata nelle rappresenta-
zioni della commedia per musica Dal male il bene (1654) su libretto di Giulio e
Giacomo Rospigliosi, musica di Marco Marazzoli e Antonio Maria Abbatini
e rappresentata a Palazzo Barberini alle Quattro Fontane in occasione delle
nozze di Maffeo Barberini; nel dramma per musica La comica del Cielo or La
Baltasara (1668) su libretto di Giulio Rospigliosi (Papa Clemente IX), musica
di Antonio Maria Abbatini, rappresentato a Roma a Palazzo Rospigliosi nel
carnevale dello stesso anno; partecipò alla rappresentazione dei Diari Listini il
6 giugno 1669 insieme con i migliori cantori romani; era presente anche ad
un’accademia data da Cristina di Svezia in onore del re Giacomo I
d’Inghilterra nel 1687.

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ANGELO BERARDI

persona del sig. Giuseppe e del sig. Francesco Maria144 suo


fratello, che con la soavità e maestria del loro canto, non solo
rinnovano i potentissimi effetti dalla musica operati negli antichi
secoli, ma accrescono vantaggiosamente onore e gloria a questa
nobilissima professione armonica.

Gius. – Le qualità singolari di questi soggetti sono a somiglianza


delle stelle, che si moltiplicano col guardarle, e vi perde gli occhi
chi ardisce numerarle.

Fel. – Concorro anch’io con l’opinione di Seneca, che il lodare


con termini ordinari sia una specie di biasimo. Le cose grandi si
devono encomiare con l’ammirazione nella stessa maniera che i
Gimnosofisti145 veneravano il sole col dito alla bocca.

144 Ruggiero Caetano, Le memorie de l’anno Santo M.DC.LXXV celebrato da

Papa Innocenzo XII. Descritte in forma di giornale da l’abb. Ruggiero Caetano romano,
Roma, Marc’Antonio & Orazio Campana,1691.
Un genere particolare di scritti furono i ‘resoconti’ delle attività a Roma
durante gli anni santi, che descrivono la presenza di un numero notevole di
pellegrini, la magnificenza delle chiese, la grandezza delle processioni e la
devozione mostrata da cardinali, prelati e popolazione cittadina e il notevole
numero di pellegrini. Una di queste memorie è stata scritta dal monaco
benedettino Ruggiero Caetano durante l’anno santo 1675. Come impiegato
nella «Camera apostolica», Caetano ben comprese il significato della sua
cronaca delle attività, dei personaggi e delle celebrazioni associate all’anno
santo. Scritti in forma di diario, i suoi articoli annotano la data, la significati-
vità nell’ambito del ciclo liturgico, i personaggi di rilievo presenti con il loro
seguito e i loro parenti, le informazioni riguardanti la cerimonia, il rituale e le
decorazioni. Ad esempio, Caetano menziona la “scelta musica di Francesco
Maria Fede celebrata nella professione”.
145 Nome con il quale erano noti in Grecia i rappresentanti della casta

braminica in India, con i quali vennero in contatto durante la spedizione in


Asia di Alessandro Magno. Parecchi storici greci ne parlano, fra cui il più
noto è Onosicrito (IV secolo a.C.) il quale, avendo avuto stretti rapporti con

- 88 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Ormai sarà ora di rivoltare i passi verso la città, ricrean-


dosi la vita nella vaghezza di queste ville, e l’intelletto anch’esso
godrà nel sentire il fine per il quale si deve imparare la musica.

Fel. – Si deve dar opera a questa scienza non per dilettare


l’udito, come hanno pensato alcuni, poiché in questa parte non
riguarda l’atto virtuoso, essendo cosa da uomini meccanici e
volgari soddisfare semplicemente i sensi; nemmeno si deve
apprendere spinti dal motivo che sia posta fra le discipline
liberali, le quali servivano solo per esercizio dei nobili; ma si
deve imparare non tanto per far acquisto della perfezione
dell’intelletto, quanto per riceverne sollievo, quando la persona
tralascia i negozi e si trova libera dalle occupazioni. La musica
dispone l’animo alla virtù, avvezzandolo a rallegrarsi e dolersi
virtuosamente, con disporlo a buoni costumi, da bando all’ozio,

i gimnosofisti per un incarico conferitogli da Alessandro nel 326 a.C., ne


descrive diffusamente i costumi, confrontando la loro morale con quella dei
cinici, ed arrivando alla conclusione che tra le due non ci fosse alcuna
differenza sostanziale. Essi vivevano come eremiti, in vita contemplativa.
Talvolta, grazie alla loro profonda dottrina, erano chiamati presso le corti
con funzioni di consiglieri. Quando erano colpiti da malattie, soprattutto
allorché si appressavano alla vecchiaia, erano soliti suicidarsi gettandosi tra le
fiamme. Secondo Ulisse Bacci (Il Libro del Massone italiano, Roma, 1908), “I
Gimnosofisti possono essere considerati i Magi del Braminismo. Collegio di
Anacoreti, essi si diffusero rapidamente in Africa, ed in Etiopia furono
maestri di quel sacerdozio per cui tanta parte della teosofia asiatica rivisse
poi sulle sponde del Nilo. Andavano appena vestiti, ed avevano grande
semplicità di vita e di costumi; si cibavano di erbe, credevano in un solo Dio,
nell’immortalità dello spirito e nella metempsicosi, elevazione progressiva
verso l’Ente supremo. Ebbero fiorenti istituti, tra i quali fu celeberrimo
quello di Meroe, e rapporti continui con i collegi sacerdotali egiziani. Si
riunivano annualmente ai confini tra i due paesi, offrendo sacrifici comuni al
dio Amon, e celebrando quel sacro rito festoso che i Greci chiamarono
Eliotrapezio, ovvero Tavola del Sole”.

- 89 -
ANGELO BERARDI

rende l’uomo prudente che trapassa poi a far cose migliori e


degne di maggior lode, questo è il vero fine, come chiaramente
lo manifesta Platone.

Gius. – Gli antichi in qual ordine di scienze collocarono la musica?

Fel. – Fu collocata fra quelle scienze che servono agli uomini


liberi, non altrimenti tra quelle che sono necessarie, né tanto-
meno le diedero luogo tra le utili, come sono quelle che si
acquistano solamente per il desiderio dei beni esteriori, che
sono i denari, nemmeno la numerano tra quelle, che servono
alla sanità del corpo, come è fare alla lotta e tirar di scherma e
altre cose che si aspettano dall’arte militare. Concludo, che
questa scienza si deve imparare non come necessaria ma come
liberale e onesta, servendosi di questo mezzo di pervenire ad un
abito buono e virtuoso, quale poi ne conduca per la via dei
buoni costumi all’auge di ogni felicità e contento.

Gius. – La musica, perfezionando l’intelletto e producendo


ottimi effetti nell’uomo, per quale causa non si deve imparare
come necessaria?

Fel. – Suppongo che lei abbia inteso di quale necessità ho volu-


to parlare.

Gius. – Non so quante siano le necessità, per tanto mi farà


molto grato averne qualche cognizione.

- 90 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Succintamente procurerò di servirla. Compatirà, se non


incontrerò interamente il suo genio, poiché è da tempo che ho
tralasciato gli studi di filosofia; gradirà bensì la prontezza di
quell’animo che altro non brama che le sue soddisfazioni. Se
non erro, Aristotele nel 5. della Metafisica al cap. 5 dimostra che
cosa vuol dire necessario146, e dice: Illud dicitur necessarium, quod
non potest aliter se habere. Quattro sono assegnate come necessità:
la prima vien detta metafisica ed è quella che neque per divinam
potentiam potest aliter se habere, sic necessarium est, ut homo sit animal.
La seconda fisica, la quale è quella che non potest aliter se habere,
potest tamen per divinam potentiam. I tre fanciulli nella fornace di
Babilonia necessariamente si dovevano bruciare, nondimeno
mediante la divina potenza, il fuoco resto privo della sua attività
e i fanciulli senza lezione alcuna. La terza si dice morale ed è
quella che potest aliter se habere: ma con tanta difficoltà che è
impossibile poterla superare, come sarebbe tirare cento volte i
dadi sempre col medesimo segno: lo conferma Aristotele nel 2.

146 Il libro quinto della Metafisica è interamente dedicato alla definizione

dei termini più importanti per la filosofia aristotelica. Si può definirlo come il
primo ‘vocabolario filosofico’ della cultura occidentale. La sua struttura
morfologica è molto semplice: ogni capitoletto del libro tratta un termine,
esponendo alcune definizioni e spiegandole molto brevemente con esempi.
Alla fine viene generalmente riassunta una definizione principale. Il cap. 5
tratta il ‘necessario’ (anankaion). Anche qui Aristotele dà alcune definizioni
sommarie, prima di arrivare a quella principale:
- è ciò che costituisce una causa ausiliaria, senza la quale non è possibile
vivere;
- è una causa ausiliaria senza la quale il bene non può esserci o nascere, o
senza la quale non si può evitare il male o liberarsi da esso;
- si tratta di ciò che, contrario all’impulso e alla scelta, impedisce e ostacola;
- è necessario ciò che non può essere altrimenti.
La definizione che coglie meglio il senso di ‘necessario’, per Aristotele è ‘ciò
che è semplice, perché non può essere in più modi’.

- 91 -
ANGELO BERARDI

de Coelo al tes. 63 dove dice Impossibile est iacere mille tallos semper
cum signo Veneris147.

Gius. – Questa senza dubbio è una cosa impossibile; ma mi dica la


difficoltà grande che si incontra nell’acquistare le scienze in statu
perfecto e ancora alcune altre in statu imperfecto, come si supera?

Fel. – Questa difficoltà viene superata mediante la logica artifi-


ciale, la quale è moderatamente necessaria per l’acquisto delle
suddette scienze. Ne viene per la quarta e ultima necessità ad
bene esse, ed è quella che potest aliter se habere, et de facto aliter se
habet, ma con qualche difficoltà che, per superarla, aliud dicitur
necessarium: per portarle anche di questa il suo esempio, si è che
avendo noi determinato nei giorni precedenti di andare a Roma,
potevamo fare questo viaggio a piedi, ma con grave difficoltà,
per superarla, si ricordi, stabilimmo di andare in calesse. Ora
V.S. stia attenta: Pietro senza la musica tanto sarà un grandissi-
mo teologo, ma con questa si renderà sempre più pratico dei
passi di teologia, avendo in molti luoghi correlazione con la
matematica mediante i numeri, e questi si trovano nella musica,

147 Il De Coelo di Aristotele rappresenta l’applicazione ai problemi astro-


nomici e cosmologici delle prospettive epistemologiche e filosofiche già
affrontate nella Physica e nella Metaphysica. Nello stesso tempo, tuttavia, esso
contiene nei libri 3-4 un’ampia trattazione di problemi relativi proprio al
mondo sublunare. Nel libro II viene proposta l’iscrizione dell’uomo
nell’universo per definirne le coordinate secondo le quattro parti geografi-
che. L’universo è rappresentato dall’ultimo cielo (orbis), il suo cerchio massi-
mo, mentre l’uomo è posto all’interno con la testa, le mani e i piedi tangenti
il cerchio.
La frase riportata si traduce con “è impossibile gettare i dadi mille volte
sempre col colpo di Venere” (il miglior colpo nel gioco dei dadi, quando
ognuno dei quattro dadi presenta facce differenti).

- 92 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

come dice S. Agostino de Doctrina Christi lib. 2 Ita multis aliis


numerorum formis quedam similitudinem in libris sanctis secreta promun-
tur, quae propter numerorum imperitiam legentibus clausa sunt. Non
pauca etiam claudit, atque obtegit nonnullarum rerum Musicarum ignoran-
tia148. Francesco senza musica sarà un bravissimo filosofo, ma
con questa maggiormente considererà l’ordine e l’armonia delle
cose create, essendo chiaro che i filosofi antichi hanno impiega-
to le loro penne intorno a questa scienza. Platone nel Dialogo
settimo de leg. vuole che s’insegni ai bambini149. Aristotele nella
Polit. Lib. 8 considera che i giovani devono imparare quattro
cose, e fra queste la musica150. Socrate, che fu stimato sapientis-

148 S. Agostino, La dottrina cristiana, II, 16.25-16.26: “Così in moltissime

altre forme numeriche certe misteriose rappresentazioni sono poste nelle


sacre Scritture, forme che rimangono inesplorate ai lettori a causa dell'igno-
ranza dei numeri. Non pochi contenuti impedisce e nasconde l’ignoranza di
certe realtà in campo musicale”.
149 Platone, Dialoghi, IX, “Leggi” (secondo l’ordinamento in tetralogie

risalente al grammatico Trasillo del I sec. d.C.). In quest’opera Platone, in


particolare, si occupa dei fenomeni musicali per la loro influenza sulla
formazione del carattere dei giovani e in generale sul comportamento dei
cittadini: “L’educazione si raggiunge attraverso i cori, le danze, e la musica
che ad essi è connessa […] Ma l’educazione si ottiene anche grazie alla
ginnastica per il corpo e alla musica per l’anima […] per una perfetta educa-
zione occorre la musica, per l’anima, e la ginnastica, per il corpo: entrambe
hanno a che fare con il ritmo e la proporzione matematica”.
150 Aristotele, Politica, VIII. L’autore pone la questione di un sistema edu-

cativo controllato o diretto dallo stato, o meglio, dal governo della polis.
L’importanza dell’educazione è bivalente: con essa l’uomo concorre alla
realizzazione della propria felicità da un lato, e dall’altro tutta la società ne
trae giovamento. Su questa base Aristotele propone che lo stato cominci ad
occuparsi dell’educazione dei bambini a sette anni. Fra le quattro discipline
che, secondo Aristotele, formano il nucleo dell’istruzione - scrittura, ginna-
stica, musica e disegno - egli dedica alla musica una posizione particolare.
Essa non è, come le altre tre discipline, ordinata a un’occupazione o a una
finalità, ma insegna all’uomo il giusto otium, che non abbisogna di alcuna

- 93 -
ANGELO BERARDI

simo dall’Oracolo d’Apollo, stimò tanto la musica che si diede


ad impararla nella età cadente, si trovò chi rimproverandolo
ebbe ardire di dirgli: nunquid non verecundaris in senectute his operam
dare studiis? Rispose: Maiorem verecundiam esse in senectute ignorantes,
quam in senectute studere151. Antonio senza musica sarà peritissimo
grammatico, ma con questa tesserà con maggior armonia l’ordine
proporzionato delle parole, dal quale partendosi come da tante
dissonanze, ne resta offeso l’udito. Giovanni sarà medico eccel-
lentissimo, ma senza musica non potrà avere perfetta cognizione
dei polsi, quali Nierofilo152 e Erasistrato153 disposero a compara-
zione dei numeri musicali, né tantomeno arriverà a conoscere
perfettamente la tacita armonia del corpo umano, dovendo
considerare la corrispondenza del cuore, del cervello e del fegato;
la proporzione dell’inguine, dell’ombelico e del cuore; il battito e
tenore del polso moderato; come si ha la respirazione al sistole e

giustificazione esterna, ma contiene in se stessa il proprio fine (VIII 3, 1338


a 121).
151 Citazione ripresa da altri due testi. Il primo è il Liber philosophorum mo-

ralium antiquorum (pag. 452) attribuito a Johannes de Procida databile agli


ultimi anni del XIII secolo. L’altro è il De Musica (cap. IX) di Adam von
Fulda (1445-1505), scritto nel 1490.
152 Erofilo, (335 a.C. – 280 a.C.), medico greco, noto come primo ana-

tomista della storia e per essere stato, insieme ad Erasistrato, il fondatore


della grande scuola medica di Alessandria d’Egitto. Nacque a Calcedonia,
città dell’Asia Minore ora chiamata Kadiköy e facente parte della Turchia.
Egli fu il primo a basare le sue conclusioni sulla dissezione del corpo umano.
Erofilo ha anche studiato il cervello individuando il centro del sistema
nervoso e la sede dell’intelligenza. Esaminando con attenzione il sistema
nervoso, distinse i nervi dai vasi sanguigni e i nervi sensori dai nervi motori.
Le sue opere sono andate perdute, ma sono state ampiamente citate da
Galeno nel II secolo.
153 Erasistrato di Chio (Isola di Ceo, 330 a.C –- 250 a.C.?), anatomista

greco lavorò come medico reale al servizio di Seleuco I Nicatore e, insieme a


Erofilo, fondò la grande scuola medica di Alessandria d’Egitto.

- 94 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

diastole del cuore e del polso, avendo osservato Riolano154, che


durante una respirazione il polso batta cinque volte. La musica
perfeziona tutte le scienze e tutte le arti e in questa maniera è
necessaria al poeta, per rappresentare il suo poema, che per altro
resterebbe nelle tenebre sepolto. All’oratore, per usare gli accenti
musicali a tempi debiti, a conferma di questo, Caio Gracco155
chiarissimo oratore dei suoi tempi, quando doveva parlare davan-
ti al popolo, teneva dietro le spalle un musico, che con un flauto
nascostamente gli dava i modi della pronuncia, ora dimessi, ora
concitati. All’architetto, per il temperamento delle macchine e per
disporre bene e musicalmente gli edifici nei teatri. L’astrologo
non predirà mai gli influssi buoni o cattivi, quali succedono per le
opposizioni o congiunzioni dei pianeti, mentre non venga aiutato
dai fondamenti armonici. La musica è necessaria ai giovani per
distoglierli dall’ozio, fonte e radice d’ogni male: Otia si tollas periere
Cupidinis Arcus156.

154 Jean Riolan (italianizzato in Riolano), medico francese (Parigi, 1580 -


1657). Si occupò di anatomia descrittiva ed è ricordato soprattutto come il
più accanito avversario della teoria sulla circolazione del sangue di W.
Harvey, da lui scoperta nel 1616.
155 Gaio Sempronio Gracco (154 ca. – 121 a.C.), tribuno della plebe, fra-

tello di Tiberio Sempronio. Oratore brillante, fu educato secondo i princìpi


liberali della propria nobile tradizione familiare. Continuò l’opera riformatri-
ce del fratello Tiberio, aggiungendovi concretezza ed una più ampia visione
dei problemi. Cicerone ricorda che Gaio Gracco si faceva spesso accompa-
gnare sulla tribuna da un flautista che, nascosto agli occhi dell’uditorio, aveva
il compito di dargli una specie di avvertimento musicale quando la sua voce
stava per raggiungere i toni estremi, e perciò sgradevoli, della contentio,
innalzamento della voce che indicava energia e impetuosità nell’orazione e
della remissio, abbassamento della voce al fine di ottenere un effetto di
indulgenza e clemenza (De oratore, III 225).
156 Citazione dal Remedium Amoris (v. 139) di Publio Ovidio Nasone: “se

abbandoni la tua vita tranquilla, l’arco di Cupido perderà il suo potere”.

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ANGELO BERARDI

È di giovamento agli uomini, per sollevarli, quando tralasciano i


negozi, poiché nella virilità la persona geme sotto il peso di
gravi affari. È di sollievo ai vecchi, poiché mediante l’armonia,
sentono meno il grave carico degli anni, oltre a questo innalza-
no l’animo ai godimenti del Paradiso, e meno noiosa gli si rende
la morte. S. Gregorio Magno e il Venerabile Beda, essendo in
età avanzata, non tralasciarono mai di ricreare l’animo loro con
la musica. Questa è necessaria all’ecclesiastico per tenere la
mente sollevata ai godimenti del Paradiso, e per disporre il
devoto cristiano a fare la medesima cosa. Al dottore in legge, in
modo che si governi armonicamente nello studio delle cause,
contemperando le dissonanze del cliente povero con le conso-
nanze del ricco, in modo che da queste ne risulti una buona
armonia di retta giustizia e equità157. È necessaria alle monache,
rappresentandosi in quel sacro coro di verginelle la musica
stessa, si può dire di loro ciò che disse S. Paolo della chiesa: Non
habet maculam, neque rugam, aut aliquid huiusmodi, sed sancta, et
immaculata est158. E queste sempre stanno unite con Gesù Cristo

157 L’insistenza sul concetto di armonia riconduce ancora al tema della

contrapposizione tra la ‘antica’ e ‘moderna’ pratica. Viene introdotto peren-


toriamente il concetto di un’armonia diversa da quella di «prima pratica»
(determinata dalla dizione modulata, cioè dalla parola da cui nascono
l’armonia ed il ritmo). Qui invece si vuole intendere una armonia che scaturi-
sce emozionalmente dall’espressione verbale in particolare fase sensibile e
non obbediente a tendenzialità sonore e a ricerca di un equilibrio di architet-
tura armonica che tenesse solo conto delle affinità dei suoni riferibili ad un
sistema da ascriversi al formarsi di un linguaggio musicale nel quale la parola, se
presente, assume solo carattere esplicativo delle intenzioni emotive proposte
dall’autore all’esecutore e, per esso, all’ascoltatore.
158 Lettere di S. Paolo, Lettera agli Efesini (5:27): “senza macchia, né ruga o

alcunché di simile, ma santa e immacolata”. L’epistola agli Efesini è diretta


alla chiesa che Paolo aveva fondata ed edificata in quella celebre città fra gli

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RAGIONAMENTI MUSICALI

loro caro sposo: Virgines enim sunt, et sequuntur Agnum quocumque


ierit159. Giova non poco alla donna onesta, essendo questa un
cielo, dal cui sereno dipende la quiete di tutta la famiglia, e un
sole che influisce raggi vitali nelle cure domestiche, deve pur
dare qualche sollievo all’animo, se fa questo con la musica,
rimuove l’occasione di farsi vedere alle finestre, da bando
all’ozio e cammina per la strada della virtù. Infine, la musica è
necessaria ai grandi principi, ritrovandosi in questi la giustizia e
la misericordia, addolcisce l’animo loro, distogliendolo dall’ira e
dalla vendetta, mantenendolo placido per l’esercizio della cle-
menza: e questo volle intendere Seneca, quando insegnò l’arte
del dominare in Ottaviano:
Consulere Patriae, parcere afflictis, Fera
C[a]ede abstinere tempus, atque ira[e] dare
Orbi quietem saeculo pace[m] -in- suo.
Ha[e]c sum[m]a virtus, petitur hac Caelum via160.

anni 54 e 57. La scrisse circa l’anno 62, mentre era in prigione a Roma, e la
mandò per mezzo di Tichico amato fratello e fedele ministro. È la lettera
della chiesa, del suo mistero; anche il concilio Vaticano II se ne ispira
largamente, trattando della chiesa. L’attenzione all’unità, alla carità, al pro-
gresso nella comunità è la prima esigenza della nuova vita ricevuta con il
battesimo. In questa parte si trovano i testi sull’organizzazione della chiesa e
sul matrimonio cristiano, con raccomandazione sulla condotta personale e la
morale familiare. È anche l’occasione per riprendere un’ultima volta la
riflessione sulla chiesa, presentata come la sposa di Cristo.
159 Apocalisse (14:4): “sono infatti vergini e seguono l’Agnello ovunque va”.
160 Pseudo Seneca, Octavia, II, 473-476: “provvedere al bene della patria,

rispettare gli afflitti, astenersi da crudeli massacri, controllare la propria ira e


darle modo di calmarsi, assicurare la tranquillità al mondo e pace all’età in cui
viviamo. Questa è la più alta forma di virtù, ed è la sola strada per arrivare al
cielo”. Ad ogni modo Berardi fa un po’ di confusione, poiché il vero Seneca
non fu precettore di Ottaviano, bensì di Nerone (e la stessa citazione è tratta

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ANGELO BERARDI

Ovidio seguitò la medesima opinione:


Sed piger ad poenas Princeps ad praemia velox
Quique dolet, quotie[n]s cogitur esse ferox161.

da un dialogo tra i personaggi di Seneca e Nerone), a meno che con il nome


Ottaviano non volesse riferirsi alla qualifica imperiale di Cesare.
Fra le dieci tragedie tradizionalmente pervenute sotto il nome di Seneca (le
uniche in lingua latina integralmente conservate) l’Octavia si distingue per almeno
due ragioni: è una praetexta, cioè una tragedia di ambiente e di argomento romani;
non è assegnabile a Seneca, ma a un ignoto autore, vissuto verosimilmente in età
flavia, che si è ispirato all’opera, non solo tragica, del grande filosofo. Difficile del
resto, ad onta degli sforzi di alcuni studiosi, anche recenti, spiegare come mai tra i
personaggi della tragedia compaia lo stesso autore (fatto eccezionale nella
produzione teatrale antica), o come possa lo spettro di Agrippina profetizzare a
Nerone una fine alquanto simile a quella che sarebbe veramente toccata al figlio
nel 68, quando Seneca era già morto da tre anni. L’azione è ambientata nel 62,
l’anno durante il quale Seneca, secondo il racconto di Tacito, aveva deciso di
interrompere i suoi rapporti con Nerone, di cui era stato prima il pedagogo e, in
seguito, il consigliere politico. Rigorosamente storici, nella sostanza, i fatti:
Nerone, che già ha fatto assassinare la madre Agrippina, incapricciatosi della
bellissima Poppea, decide di liberarsi anche della moglie Ottavia, figlia del
predecessore Claudio (a sua volta fatto avvelenare dalla consorte Agrippina, nel
54, per favorire l’ascesa al trono del figlio), in un primo momento ripudiandola,
poi, a seguito di una sommossa popolare favorevole alla giovane moglie, dando
l’ordine di imbarcarla su una nave e di farla morire in mare. Inutilmente Seneca
tenta di ostacolare il progetto: un Nerone spietato e freddamente raziocinante,
ormai lontano dal suo antico maestro, respinge ogni argomento, travestendo i
suoi desideri con la necessità politica di salvaguardare un potere che sente
minacciato. L’autore interpreta i personaggi e gli avvenimenti della storia secon-
do modelli mitici. L’introduzione degli schemi e delle situazioni tradizionali della
tragedia di argomento eroico e mitico conferiscono alla vicenda toni cupi e
sinistri, a volte spaventevoli: l’angosciosa apparizione dello spettro di Agrippina, i
raccapriccianti incubi di Ottavia e di Poppea, le dolorose meditazioni dei cori
costituiscono non a caso i momenti più alti e patetici dell’intera tragedia.
161 Publio Ovidio Nasone, Epistulae ex Ponto, I, 2, 121-122: “ma un principe

lento a punire, veloce nel premiare, che si lamenta ogni volta che è obbligato a
usare il rigore”. Nell’8 d.C., con procedura eccezionale, Ovidio venne relegato da
Augusto a Tomi (oggi Costanza), sul Mar Nero, nella Scizia, e nonostante le
suppliche sue, della moglie e degli amici, vi rimase fino alla morte avvenuta nel
17 o nel 18 a.C. Sulle vere ragioni dell’esilio, è calata, sin dall’antichità, una fitta e

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Signor Felice mio, oggi V.S. m’ha annodato il cuore con
catene indissolubili d’eterne obbligazioni, avendomi fatto gode-
re in un breve discorso quel tanto che non avrei saputo trovare
in diversi libri: se la fortuna mi darà i mezzi, per degnamente
corrispondere alle sue grazie, non potrà mai contendermi la
gratitudine per professare, finché avrò vita e spirito gli atti della
mia osservanza verso il suo gran merito.

Fel. – Le obbligazioni sempre saranno dalla mia parte, mentre


lei non sdegnerà di accogliere tutto quello che potrà provenire
dal mio debole ingegno: mi consolo, che se rifletterà che non
tutte le miniere sono atte a produrre oro, come tutte le conchi-
glie non generano perle, V.S. gradirà maggiormente la prontezza
dell’animo mio, avendo supplito col cuore dove ha mancato il
sapere. Ora, che siamo dentro la città, lei prenda la sua strada e
con libertà di vera amicizia ognuno se ne vada a casa sua.

Gius. – I suoi cenni daranno sempre regola alla mia volontà. Se


domani le sarà comodo di favorirmi non mancherò di venire a
ricevere le sue grazie, con far nuovo cumulo d’obbligazioni.

Fel. – La sua persona è così cortese, che obbliga nello stesso


tempo che professa obbligazioni; venga pure liberamente, che
inalterabile sempre troverà il mio cuore.

impenetrabile cortina di silenzio e la vicenda di Ovidio costituisce ancora oggi un


enigma per la cui soluzione si possono formulare soltanto ipotesi: la più probabi-
le è che Ovidio sia stato più o meno involontariamente complice o per lo meno
testimone di qualche grosso scandalo che coinvolse la stessa famiglia imperiale.
Le Epistulae ex ponto (“Lettere dal Mar Morto”) costituiscono un vero e proprio
epistolario, in quattro libri, che comprende lettere sottoforma di elegie, indirizza-
te ad amici e familiari; viene affrontato il tema dell’amarezza dell’esilio tra
disperazione, pianti e suppliche al fine di ottenere il ritorno.

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ANGELO BERARDI

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RAGIONAMENTI MUSICALI

DIALOGO TERZO
Dell’armonia mondiale, della diversità degli stili e contrappunti,
con la risposta ad alcune opposizioni contro la musica.

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ANGELO BERARDI

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RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Stavo col pensiero tutto intento alla sua persona e, non ve-
dendola comparire, m’ero posto in ordine di venire a trovarla a casa.

Gius. – La gentilezza di V.S. è tanta e tale, che supera ogni mia


espressione, onorandomi senza merito saprà compatire i difetti,
compartendomi le sue grazie con eccesso di benignità, si con-
tenterà di godere interi gli affetti del cuore.

Fel. – Riconosco il suo gradimento, come bontà di genio e


sovrabbondanza di cortesia. Mentre me ne stavo solo passeg-
giando per la sala, consideravo che fra gli animali, l’uomo è il
più sociale di tutti, perché imparando l’uno dall’altro, necessa-
riamente deve amare la vita sociale, e per questo con desiderio
particolare attendevo la sua venuta.

Gius. – Tutto effetto della sua benignità: ma non credo che fra
gli animali, privi di ragione, si dia la vita sociale.

Fel. – Quegli animali, che procacciano per il proprio individuo,


non sono sociali ma solitari, come sono gli uccelli di rapina, che
amano solo loro stessi, altri sono campagnoli e famigliari, che
amano la loro specie vivendo in comune, e queste sono le api. Sia
come si voglia, la vita sociale conviene solo all’uomo e la conversa-
zione e la mutua conservazione; con questo fondamento ci pos-
siamo incamminare verso il solito passeggio, consumando la
preziosa gioia del tempo in discorsi virtuosi e onorati.

Gius. – Nel primo ragionamento ebbi tanta soddisfazione,


sentendo in che maniera le sfere producano armonia soavissi-

- 103 -
ANGELO BERARDI

ma, che la prego di favorirmi a seguitare quel discorso intorno


al mondo elementare abitato da noi.

Fel. – Sempre sarò pronto ad incontrare il suo genio. Per cam-


minare, dunque, con ordine, partiamo dalle sfere e caliamo
all’aria, nella quale troveremo tutti gli accidenti musicali. Questa
sulla carta, imprime di sé medesima per righi i fregi, per chiavi
le nubi, per note le impressioni, per B molle le piogge, per B
quadro le siccità, per diesis le esalazioni, per triple le intemperie,
per punti i sospiri, per suono, le comete, la serenità e il tuono.

Gius. – Questo scherzo mi è piaciuto grandemente.

Fel. – Il mondo elementare, abitato da noi, fu chiamato da


Dorlao Pitagorico162 organo di dio, e ciò fu confermato da
Alessandro Milesio163 e da Gregorio Nazianzeno164. Benché

162 Questo termine potrebbe riferirsi a “Apollo Iperboreo dalla coscia


d’oro” e quindi a Pitagora. D’altra parte, di quello che può essere stato il
Pitagora storico - anche il nome ha destato sospetto, perchè Pitagora signifi-
ca ‘l’annunciatore del Pizio’ e la leggenda vuole ch’egli fosse figlio di Apollo
Pizio o di Hermes - non sappiamo altro dalle fonti più antiche se non ch’egli,
figlio di Mesarco, nativo di Samo, si sia occupato di una quantità di studi
(matemata - Eraclito) e che quindi sarebbe stato spinto da un largo desiderio
di sapere. Forse di qui la fama di Pitagora, che per primo avrebbe usato il
termine di filosofo, desideroso (filos) di sapienza (sophia); che sostenne
l’immortalità dell’anima; che giunto a Crotone fondò una conventicola
politico-religiosa. Da Apollonio apprendiamo di un fenomeno di bilocazio-
ne: apparve a Crotone e a Metaponto nel medesimo giorno e ora, mentre
Aristotele narra che una volta, mentre si trovava a teatro, si alzò, e ai seduti
mostrò che la sua coscia era come d’oro.
163 È probabile che si faccia riferimento ad Anassimandro di Mileto, filo-

sofo vissuto a Mileto, tra il VII ed il VI secolo a.C.,: la tradizione lo traman-


da come discepolo diretto di Talete e continuatore della sua scuola (detta dei

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RAGIONAMENTI MUSICALI

tanti, e diversi, siano gli effetti, uno nondimeno è il concento


del mondo, e da una virtù sola vien regolato il coro di tutte le
cose create, mentre la mente divina con la sua eterna e infallibile

“filosofi ionici”, “filosofi della physis” o “filosofi naturalisti”). Il suo maggior


contributo alla storia del pensiero, che ne fa uno dei massimi scienziati, è
avere compreso per primo che la terra è un corpo finito che fluttua nello
spazio senza cadere, circondata dal cielo sia sopra che sotto.
Nella sua opera chiamò per primo la sostanza unica con il nome di principio
(αρχή, archè); egli non riconobbe questa particolare verità in un qualche
elemento, ma in un principio infinito o indeterminato detto àpeiron nel quale
tutte le cose hanno origine e tutte si dissolvono. Questo principio abbraccia
e governa ogni cosa ed è divino, poiché immortale ed indistruttibile. Esso
non sembrava concepito come una miscela fra i vari elementi corporei,
piuttosto come una materia nella quale gli elementi non sono ancora definiti.
Anassimandro ha anche provato a capire e studiare il processo con cui le
cose derivano dalla sostanza primordiale. Questo processo si chiama «sepa-
razione»: i contrari si separano da questa sostanza infinita. Questa separazio-
ne è però una rottura dell’unità del principio primo, una sostituzione
dell’armonia originale con un contrasto, una diversità. Viene così a crearsi
un’«ingiustizia», che viene pagata con il ritorno della cosa mortale e finita al
principio: la morte è, pertanto, un ritorno all’indefinito.
164 S. Gregorio Nazianzeno, nato nel 330 a Nazianzo da nobili genitori,

fu coetaneo e amico di san Basilio. Uomo di studio e poeta, per la sua


eccellente dottrina ed eloquenza ricevette l’appellativo di ‘teologo’. Intrapre-
se molti viaggi a scopo di istruzione e seguì poi nel deserto l’amico Basilio.
Ordinato sacerdote fu vescovo a Sisimo e quindi a Costantinopoli. Insieme a
san Basilio, contribuì in modo decisivo con i propri scritti, al concilio ecu-
menico di Costantinopoli del 371. A causa delle fazioni che dividevano la sua
chiesa, si ritirò a Nazianzo dove spirò nel 390. È riconosciuto dalla chiesa
cattolica come dottore della chiesa e padre della chiesa.
Nel suo pensiero, la rivelazione biblica dell’uomo creato ad immagine di Dio
e storicamente chiamato in Cristo alla novità di un’intima, escatologica
filialità, connessa con la categorie filosofiche greche di nous e di psyche,
determina diverse soluzioni teologiche. Il nous non è solo organo del divino,
ad esso ontologicamente congenere, ma viene pensato persino come spiri-
tuale corpo di Cristo eternamente creato ed amato, come logos creaturale
sprofondato nel Logos creatore.

- 105 -
ANGELO BERARDI

soprintendenza, raccoglie le mondane varietà in un solo e ben


ordinato concento165.

165 Una delle più importanti ipotesi sull’origine e sulla provenienza della

musica ci giunge dalla tradizione orfeico-pitagorica. Pitagora insegna come la


musica non sia altro che un pallido riflesso di quel divino suono prodotto dai
moti armonici dei dieci corpi celesti che ruotano attorno ad un fuoco centra-
le (di qui le dieci note del salterio decacorde, lo strumento mistico che svelò
a Gioacchino da Fiore il mistero della trinità). Per Pitagora quindi lo studio
della musica e dell’astronomia, già note dai tempi dei caldei, condotto su
leggi matematiche, costituirebbe un notevole tramite per raggiungere la
conoscenza. Non è indegno di nota il fatto che tale ipotesi sistematica abbia
avuto ampio consenso in tutto il mondo culturale di allora, e abbia influenza-
to attivamente il pensiero di grandi personaggi come Platone, Aristotele e
Plotino, tanto da sopravvivere anche alle scoperte rivoluzionarie di Coperni-
co e Galileo. Fin dagli albori della cultura post-atlantidea, troviamo quindi
musica ed astri legati indissolubilmente in un rapporto che verrà più chiara-
mente esposto in quella meravigliosa sintesi del sapere umano (ed iniziatico)
cinquecentesco che è il De occulta Filosofia di Cornelius Agrippa. Il noto,
seppur misterioso filosofo di Nettesheim (cfr. nota n. 118), facendo pieno
riferimento al sistema dei pitagorici, riporta (capitoli XXIV, XXV, XXVI)
uno schema di corrispondenza tra muse, corde del salterio, scale musicali e
pianeti che troviamo già anche nel Pratica Musicae di Franchino Gaffurio,
andandolo ad inserire nel capitolo dedicato al “Mondo celeste”. Quest’ultima
considerazione è fondamentale poiché introduce a quella concezione
dell’universo che vedeva il cosmo diviso in tre livelli: - mondo elementare,
costituito dai quattro elementi, tutto il terrestre quindi. - mondo celeste,
costituito dai corpi celesti e dalle stelle fisse. - mondo intellettuale, occupato
dal creatore e dalle sue dirette emanazioni. Ad ognuno dei tre mondi veniva
inoltre riferito un particolare tipo di conoscenza, che si trovava quindi scissa
in tre grandi gruppi di sapere: - magia naturale (fisica), che studiava i feno-
meni che avvengono nel mondo organico ed inorganico. - magia celeste
(matematica), che si occupava del moto dei corpi celesti. - magia cerimoniale
(teologia), che trattava di Dio e di tutte le creature divine. L’importanza di
aver dovuto ricordare il sistema di Agrippa s’identifica con la necessità di
mostrare in quale circostanza egli si sia occupato della musica: il mondo
celeste. Questo, che governava il mondo elementare e dal mondo intellettua-
le era retto, faceva da tramite alle influenze che dal creatore erano dirette alla
terra: da un lato abbiamo, quindi, la musica come dono, messaggio prove-
niente dalla divinità e recepito sulla terra dall’uomo; dall’altro l’astrologia

- 106 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Mi vado immaginando che le menti nostre per la loro


debolezza mal possano capire e considerare questo universal
concento.

Fel. – È verissimo, nondimeno s’avviene che altri raggiri il


pensiero all’armonia mondiale e alle basi di esso inchini
l’orecchie, sentirà negli elementi una moderata antiparistesi166, e
nei loro composti una melodia, dalla somma sapienza soave-
mente organizzata, quale dispose il tutto in pondere, numero, et
mensura167.

come prodotto dello sforzo umano di una conoscenza superiore. Sono


entrambi due tentativi di comunicazione tra gli stessi estremi. Per cui anche
Agrippa non riteneva certo fuori luogo l’idea che studiando gli effetti della
musica sull’animo umano e riferendoli a teorie astrologiche, si potesse
giungere ad un più alto grado di conoscenza
166 Senso vagamente preparatorio di percezione sonora.
167 Nel Libro della Sapienza (11:21) viene dato ampio spazio al concetto di

bellezza e viene introdotta l’idea fondamentale che Dio dispose “omnia in


mensura et numero et pondere” riprendendo il pensiero espresso da Aristo-
tele nella Retorica, in parte nella Metafisica e nell’Etica Nicomachea. Attraverso il
recupero del concetto catartico sostenuto dai pitagorici, quello edonistico dei
sofisti e quello platonico dal contenuto morale, Aristotele pone, infatti, a
fondamento della bellezza e dell’arte tre essenziali proprietà: taxis, simmetria,
kài mégethos, indicando che il ‘bello’ dipende dalla ‘misura’, dall’‘ordine’ e dalla
‘proporzione’.
“Si tratta di una concezione estetica ripresa anche nella Patristica da Clemente
Alessandrino, da Gregorio Nazianzeno e, soprattutto, da Basilio di Cesarea.
È nel pensiero basiliano, in particolare nella Omelia sull’Exaemeron, che
ritroviamo il concetto di origine stoico-aristotelica del Bello come relazione e
proporzione tra le parti, dove però si specifica, sulla scorta di Plotino, che la
bellezza si fonda anche sulla luce e lo splendore visti come fattori del Bello,
non meno determinanti dell’armonia degli elementi compositivi” (Ivan
Rainini, La bellezza e l’arte, Università Ambrosiana Milano, atti del congres-
so“Being and Beauty – the Future of a Young world” in occasione del X°
Anniversario della fondazione della World Federation and Societies of
Adolescentology - W.F.S.A., Milano, 2004).

- 107 -
ANGELO BERARDI

Gius. – Io credo che negli elementi si trovi una meravigliosa


consonanza, perché il numero, misura e proporzione è un
suono, un canto, anzi un incanto potentissimo, per muovere gli
umani affetti.

Fel. – V.S. non poteva dir meglio, principiando dal numero


quaternario, questo è la radice e principio di tutti i numeri,
abbraccia e genera tutte le consonanze: l’esempio è chiaro; l’1
con il 2 unito e raddoppiato forma il Diapason168; l’1 con il 3
per la proporzione della tripla, il diapason diapente169; il 3 con il
2 la Sestupla, ovvero Sesquialtera, chiamata dai greci Emilion170;
e il 4 al 3 la Dictaseron ovvero epitrito171. Il numero quaternario
genera il 10 congiungendo insieme le sue parti. Se si divide il

168 Diapason viene inteso in questo caso come termine della teoria musica-

le greca, indicante l’intervallo di ottava (letteralmente: “attraverso tutte le


corde”) che si costruisce in rapporto di 2:1.
169 Nella terminologia musicale greca (“attraverso cinque corde”) indica

l’intervallo di quinta giusta.


170 La sesquialtera era detta anche Hemiolia, termine greco che indica il

rapporto di 3:2. Esso venne quindi usato in musica per indicare l’impiego di
3 minime al posto di 2 minime puntate nelle battute in 6/4 e in 3/4. In
alcuni trattati italiani del sec. XVII si distingueva l’emiolia maggiore (3/4)
dall’emiolia minore (3/8).
171 Il termine significa letteralmente “uno e un terzo”. E si riferisce al

rapporto di 4:3.
Diapason, Diatesseron e Diapente: gli intervalli di ottava, quarta e quinta, come
esemplificati nel De Musica di Boezio. Questi numeri costituiscono una serie
ricorsiva: sono composti da 1+1/n = n+1/n, in cui un numero è in rappor-
to con il precedente. Come, ad esempio, 1 ½ (sesquialtera, 3:2), 1 e 1/3
(sesquitertia, 4:3), 1 e ¼ (sesquiquarta; 5:4). La nostra notazione delle frazio-
ni con i numeri arabi era ancora incerta ai tempi del Berardi e la trattazione
di questi problemi matematici era assai complicata anche proprio dalla
notazione. Si veda che l’intervallo di quinta, diapente, corrisponde ad una
frazione sesquialtera, mentre quello di quarta o diatesseron ad una sesquitertia.

- 108 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

quaternario in due parti in questa maniera ½ - ¾, che da una


parte sia l’1 e il 2, dall’altra il 3 e il 4 nell’1 e 2, si trova tutta
l’uguaglianza e disuguaglianza, dalle quali come dipendenti se ne
cavano tutti i numeri, e l’altre consonanze; dal 3 e 4 ne nasce il
numero perfetto del Settenario; il raddoppio dall’1 al 4 compie il
10 oltre il qual numero nessuna ragione è passata giammai, ma
si ritorna da capo all’1172.

172 Secondo la narrazione degli antichi, i Greci usavano solo gli intervalli

che danno consonanze dette ‘perfette’, ovvero l’ottava, la quarta, la quinta


(più gli intervalli ottenuti aggiungendo ai precedenti un’ottava, con il limite
invalicabile delle due ottave). Zarlino rivendicherà però la legittimità anche
delle terze e delle seste, chiamate consonanze ‘imperfette’, al punto da
dichiarare che la musica dei greci “sia stata da principio semplice, rozza, &
povera di consonanze” proprio perché mancante di queste consonanze.
L’origine di tutta la faccenda sta, secondo Zarlino, nel fatto che Pitagora
aborriva il non semplice. Si dà il caso che le proporzioni che esprimono
ottava, quarta e quinta siano tutte dei tipi semplici, cioè il molteplice ed il
superparticolare. Per la verità, anche le proporzioni superparticolari che
esprimono le terze sono di per sé semplici, ma non possono essere ammesse
perché creerebbero un problema: combinandosi con la quarta genererebbero
infatti le seste (esacordi) maggiori e minori, espresse, da proporzioni super-
partienti (5:3 e 8:5), che per i pitagorici erano assai ‘meno razionali’ e ‘meno
semplici’ e generavano intervalli composti. Seguendo questo modo di
ragionare, dunque, le terze, che generano le seste, che a loro volta sono
consonanze poco razionali e quindi imperfette, devono a loro volta essere
considerate imperfette. Abolendo terze e seste e limitandosi dunque alle
consonanze di ottava, quarta e quinta, il quattro (ovvero Quaternario,
numero per il quale i pitagorici avevano una particolare venerazione) diventa
quello che potremmo definire il ‘numero generatore’ di tutte le consonanze
perfette. Combinando i primi quattro numeri in proporzioni di maggiore
inegualità, otteniamo infatti l’ottava (2:1), la diapasondiapente (ottava più
quinta, 3:1), la disdiapason (due ottave, 4:1), la quinta (3:2), la quarta (4:3), e
ancora l’ottava (4:2 = 2:1), che corrispondono a intervalli che si possono
ottenere combinando fra loro unicamente quarta, quinta ed ottava. Si tratta
di un modo di ragionare che a noi appare bizzarro, e tale sicuramente doveva
apparire a molti musicisti pratici anche ai tempi di Zarlino. Va osservato
però che la critica zarliniana non tocca affatto le basi teoriche di questo

- 109 -
ANGELO BERARDI

Gius. – Oh, quanto è bella questa osservazione sopra il numero


quaternario, voglio far diligenza particolare per tenermela a
memoria.

Fel. – Gli elementi nell’armonia mondiale fanno l’ufficio delle


quattro parti. La terra, come più profonda e grave, è base cioè
fondamento d’ogni cosa, questa sostiene la parte di basso, le sue
corde alte sono unisone con i gradi di freddezza, nei quali è
simile all’acqua, che è sopra la terra. L’acqua, secondo elemento,
fa la parte del tenore, nelle corde basse tocca le alte del basso e
con le sue alte tocca le corde dell’aria, comunicando con lei in
umidità, essendo l’aria umida e calda. L’aria, terzo elemento,
canta la parte di contralto, le cui corde basse sono unisone con
quelle del tenore, per l’umidità simile all’acqua, le corde alte
arrivano ai gradi di calore del fuoco. Questo, come più alto fa la
parte del soprano, nelle corde basse canta all’unisono con il
contralto, nelle corde alte arriva al sopracuto, dove nessun altro
elemento vi può arrivare.

Gius. – Se queste quattro parti camminano armonicamente e,


con uguale proporzione, somministrano ai corpi le loro qualità,
chiara cosa è che questi godranno il concento d’una perfetta
salute.

ragionamento, ma lo attacca sul versante pratico. Dato che un’armonia priva


di terze e seste è inaccettabile sul piano pratico, argomenta Zarlino, occorre
ammettere terze e seste, ricorrendo non più al quaternario come numero
generatore, ma al senario, cioè al numero sei.

- 110 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Non vi è dubbio, essendo i quattro elementi le quattro


corde del canto fermo, sopra le quali stanno appoggiate le note
della vita umana173.

Gius. – Ma, se poi per la variazione del tempo si sconcerta


quest’armonia, che ne avviene?

Fel. – In questo caso le note perdono il loro valore, e in cadenza


finale va a terminare il canto della nostra vita.

Gius. – Il mondo sublunare174 cammina con regola musicale?

173 Nella scuola pitagorica è soprattutto Filolao ad affermare che il mon-

do è relazione, armonia. La ragione umana ha una certa affinità con il cosmo


e il simile “è compreso dal simile” (Sesto Empirico, Adversus Mathematicos,
VII, 92). La conoscenza è essenzialmente corrispondenza tra processi fisici e
processi mentali. La mente, per conoscere, deve fabbricarsi delle entità sue
che funzionano, nelle loro dinamiche formative, come le entità fisiche. Il
cosmo è fatto di opposti in relazione. Così portano a concludere le osserva-
zioni compiute negli ambiti più disparati (fisico, psicologico, ecc.), giacché
fra i pitagorici non esistono ancora ambiti determinati di ricerca. “La sensibi-
lità di Pitagora coglie immediatamente le corrispondenze tra le cose, nella
convinzione che questa sia la via per giungere al cuore di esse. Il filosofo
nota ogni somiglianza, ogni riecheggiare, sia pur vago, di una cosa in un’altra.
È questa di stabilire intuitivamente analogie tra realtà anche molto diverse e
lontane, una capacità della quale dispongono gli scienziati più creativi”
(Alberto Madricardo, Musica, filosofia e scienza in Grecia: Pitagora e Filolao).
174 Il sistema geocentrico fu delineato da Eudosso (prima metà IV sec.

a.C.), che concepì l’universo come un complesso di sfere solide concentriche


(ognuna delle quali trasportava un pianeta) ruotanti l’una sull’altra con moto
uniforme. Aristotele ne favorì la definitiva affermazione. Egli stabilì che
l’universo era diviso in due zone nettamente distinte: il mondo sopralunare,
caratterizzato da sfere cristalline di assoluta perfezione, e il mondo subluna-
re, teatro del perenne mutamento dei quattro elementi (terra, acqua, aria,
fuoco). Tolomeo, nel II secolo d.C., elaborò questa cosmologia mediante
una complessa struttura matematica. Il sistema sviluppato da Tolomeo fu

- 111 -
ANGELO BERARDI

Fel. – Certo che sì; e poiché vedo che le piacciono gli scherzi
andrò scherzando col dire che sulla carta della terra si stendono
per righe i fiumi, le tre chiavi rappresentano il nascere, crescere
e morire, le note le creature, le figure i diversi accidenti, cantano
le quattro parti che sono le quattro stagioni, in questo concerto
serve per misura il tempo, per punti i giorni, per moto il variare,
per sospiri i venti e per pause il tempo quieto.

Gius. – Ora godiamo ancor noi di questa musica, essendo il


tempo quieto, facciamo un poco di pausa sotto l’ombra di
questo bell’albero.

Fel. – Lodo non poco il suo pensiero, poiché senza muoverci di


luogo, passeremo dalla sublimità di questi mondi superiori alla
profondità dell’infimo mondo, secondo il consiglio del profeta,
che dice: Descendant in Infernum viventes175; e ritroveremo, che lo
scettro di questa gran regina176 anche fra quelle pene esercita il
suo dominio.

accolto quasi universalmente fino alla fine del Cinquecento. Per far corri-
spondere l’ipotesi astronomica ai dati dell’osservazione, Tolomeo fece
ricorso a soluzioni geometriche ingegnose (epicicli, equante, ecc.), che resero
estremamente complessa la struttura del suo sistema. Secondo l’ipotesi
tolemaica, la Terra è immobile al centro dell’universo. Intorno ad essa, in
orbite circolari via via maggiori, procedono, tutti con moto costantemente
uniforme, la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove e Saturno. Le
sfere dei pianeti sono circondate dal cielo delle stelle fisse, che ruota grazie
all’impulso del Primo Mobile (il nono cielo, velocissimo e privo di stelle).
175 Libro dei Salmi, (54:16): “scendano vivi negli inferi”.
176 La musica.

- 112 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – E che cosa è questa, che io sento? Nell’inferno vi è la


musica?

Fel. – Questo vollero intendere i nostri antichi, quando finsero


che intenerito Plutone dal plettro di Tracia177, impietosite le
furie e addolcite l’ombre infernali, tra le gravi pene dei loro
sempiterni flagelli, pigliassero alquanto di respiro.

Gius. – Nella musica si richiede il tono, le parti, il genere, le


note, le legature, ecc. Nell’inferno non credo vi si trovino questi
requisiti, credo bene vi sia una musica molto dolorosa, mentre
quei ministri della divina giustizia, a battuta crudele e senza
pause, tormentano quelle anime infelici.

Fel. – Quello che in questa materia sto per dirle non lo pigli per
scherzo, ma lo tenga per verità infallibile. Vi è il tuono, e questo
è grave e profondo, quei miserabili musicisti tutti sono bassi,
che toccano l’ultimo fondo, il genere è sempre cromatico e
tutto di note nere, tutto pieno di sospiri, le legature non si
scioglieranno mai e le cadenze sono così lunghe, che non a-
vranno mai fine178. Ma non più, sento che Giobbe m’intona

177 Riferimento al mito di Orfeo e alla sua discesa negli inferi. Cfr. Virgi-

lio, Eneide, VI, 119-120: “Se Orfeo poté evocare i Mani della sposa, fidando
nella tracia cetra e nelle corde canore”.
178 Qui si allude all’uso di cromatismi, dissonanze e cadenze evitate a fine

espressivo, tipico del periodo rinascimentale, in particolare nell’ambito della


musica vocale e del madrigale della seconda metà del XVI secolo (Marenzio,
Gesualdo). Tale funzione viene mantenuta anche nel periodo barocco,
divenendo nell’ambito della monodia accompagnata e della teoria estetica
degli ‘affetti’ e delle figure retorico-musicali, uno dei mezzi espressivi più
efficaci.

- 113 -
ANGELO BERARDI

all’orecchio: Nullus ordo, sed sempiternus horror179: concludo, che il


tormento, gli ululati e le scosse delle catene di quelle anime ree,
adempiendo le leggi della divina giustizia, sono strumenti pur-
troppo necessari alla concordia universale dell’universo.

Gius. – Quanto sarebbe giovevole all’anima, se di quando in


quando aprisse l’orecchio della considerazione a quella musica
infernale180, certo che volterebbe le spalle ad ogni piacere mon-
dano, per incamminarsi ai godimenti della soave armonia del
paradiso. L’uomo vien chiamato microcosmo, cioè piccolo
mondo, di ragione deve contenere in sé ciò che si trova nel
grande.

Fel. – Nel picciol mondo, che è l’uomo, si trova non solo quan-
to è nell’orbe inferiore, ma anche quel che si accoglie nel supe-
riore. In questo rappresenta l’animo umano la sembianza d’un
principato; la filosofia in lui risiede come legislatore; si vale della
ginnastica, per disporre il corpo ai servigi; della retorica, per
manifestare i concetti del cuore; della poetica, per nutrire e
sollevare i pensieri dei giovinetti; della musica, acciocché priva-
tamente riformi gli uomini, e sia giovevole anche in comune,
ovvero questa, come compagna della filosofia, stia a parte dei
più celati segreti. Se V.S. avesse curiosità di leggere bellissimi
pensieri a questo proposito, veda un panegirico, composto e
stampato dal padre Iacomo Caprioli181, già predicatore insigne e

179 Giobbe (10:22): “non v’è alcun ordine, ma perpetuo dimora l’orrore”.
180 Produzione sonora caotica e discordante da qualsiasi ordine regolatore.
181 L’autore cita il Caprioli come musico e predicatore insigne, nonché

caro amico anche nel suo trattato Miscellanea musicale divisa in tre parti. Dove con

- 114 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

musico eccellente, rimettendomi in tutto alle sue nobilissime


descrizioni. Dirò solo che, se il mondo è chiamato da Dorlao
Pitagorico182 organo di Dio, anche il picciol mondo dell’uomo
organo vien chiamato dal padre S. Girolamo183.

Gius. – Come si deve intendere questa similitudine, mentre


nell’organo si richiedono le canne, fiato, organista, ecc.

Fel. – V.S. dice bene, nell’uomo le canne sono i sensi, fiato lo


spirito, tasteggiante oppure organista l’intelletto184. L’uomo,
essendo composto d’anima e di corpo, l’uno e l’altro sono quasi
due strumenti musicali, costruiti a gloria del creatore; talvolta a
questo consentiva il profeta, quando diceva: Exurge Psalterium, et
Cythara185. Volendo significare nella cetra il corpo umano, e nel
salterio l’anima. La consonanza di questo nobilissimo strumento

dottrine si discorre delle materie più curiose della Musica: Con Regole, et essempij si tratta
di tutto il Contrapunto con l’intreccio di bellissimi secreti per li Professori Armonici
(Bologna, 1689).
182 Cfr. nota n. 162.
183 San Girolamo nacque verso il 340 a Stridone, ai confini con la Panno-

nia (Ungheria). I suoi genitori lo mandarono a completare gli studi a Roma.


Qui fu battezzato da Papa Liberio all’età di circa 20 anni. Un soggiorno a
Treviri l’aveva messo in contatto con i monaci, ne ritrova altri ad Aquileia ed
egli stesso se ne va a vivere in un deserto della Saria, dove si dà ad una vita di
mortificazione estremamente dura e allo studio dei libri sacri. È ordinato
sacerdote ad Antiochia. Morì nel 419 o 420. Il suo corpo riposa a Santa
Maria Maggiore. San Girolamo ha tradotto la Bibbia, fissando in massima
parte il testo latino della Vulgata che la chiesa ha adottato come versione
ufficiale. Il suo vasto sapere, i suoi commenti sulla Sacra Scrittura ed il vigore
con il quale ha combattuto le eresie del suo tempo gli hanno meritato il
titolo di dottore della Chiesa.
184 L’organo viene a rappresentare gli strumenti dell’anima e del corpo,

secondo un concetto espresso da Aristotele nel De anima.


185 Libro dei Salmi, (107:3): “Svegliatevi, arpa e cetra”.

- 115 -
ANGELO BERARDI

dell’anima consiste nel debito, e ben adattato temperamento


delle sue corde, che sono la concupiscibile, l’irascibile e la ra-
gionevole186. Se V.S., con acutezza d’ingegno andrà filosofando,
sentirà l’armonia soave di questo salterio, ogni volta però che
queste tre corde osservino il loro tenore. Ma, se poi una con-
fonde l’altra, insopportabile si rendono le dissonanze e gli
sconcerti.

Gius. – Sentirei volentieri come deve essere accordato questo


strumento di tanta importanza, che una volta sola, che si perda,
con lui si perde un’eternità di bene.

Fel. – Se questo punto si meditasse frequentemente: abbiamo


un’anima sola, e quella la condanna un Dio, si terrebbe sempre
ben accordato questo bel salterio, poiché la corda sopracuta della

186 Il tema della tripartizione dell’anima è stato oggetto di trattazione, nel


corso dei secoli, da parte dei più importanti filosofi. Il rapporto tra la tripar-
tizione dell’anima umana e la musica era stato trattato anche da Cornelio
Agrippa nel De occulta philosophia, II, 28: “Nel modo istesso che l’armonia del
corpo riposa sulla misura e sulla giusta proporzione delle membra, così
l’armonia dello spirito si basa sull’equilibrio del temperamento e sulla concu-
piscenza l’irascibilità e la ragione, proporzionate in modo che ha ragione in
rapporto alla concupiscenza ha la proporzione del diapason e in rapporto
all’irascibilità ha la proporzione del diatessaron, mentre l’irascibilità in
rapporto alla facoltà concupiscibile ha la proporzione del diapente. Quando
dunque un’anima proporzionatissima, è congiunta a un corpo egualmente
assai proporzionato, un tal uomo è costantemente felicissimo nella distribu-
zione delle perfezioni del corpo e dell’anima, perché l’anima e il corpo si
convengono nella disposizione delle cose naturali e per quanto tale conve-
nienza sia molto ascosa, nondimeno i saggi hanno in qualche modo saputo
scoprirla”.
D’altronde la triangolarità dei vertici del salterio era già stata indicata come
metafora del mistero della Trinità divina.

- 116 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

concupiscibile, deve essere contemperata dalle corde gravi e


armoniose della temperanza, e continenza; l’aspra dell’irascibile
deve essere moderata dalle soavi della clemenza e mansuetudi-
ne. La ragione poi perfeziona il concento con la melodia
dell’intelligenza, perspicacia, consiglio, sapienza e prudenza. La
consonanza della cetra, cioè del corpo, consiste nella debita
misura e proporzione delle membra e degli umori, le sue corde,
che sono le passioni, devono essere tirate e fermate in giusti
toni dall’amore e timore di Dio, sotto la di cui battuta si forma
leggiadra l’armonia di un vivere virtuoso, che termina poi in più
dolce cadenza d’un glorioso morire187.

Gius. – V.S. ha concluso così bene l’armonia mondiale, che non


mi resta che desiderare sopra questo particolare. Quando non
fosse di suo grave incomodo, vorrei pregarla a voltare il ragio-
namento sopra la diversità degli stili usati nella musica.

187 Platone sosteneva che la stasi, la discordia tra l’anima irascibile con

l’anima concupiscibile, è la condizione naturale propria dell’uomo che può


essere paragonata alla concezione cristiana della natura umana decaduta.
Essa rappresenta un malum che deve essere combattuto, attraverso la scienza.
Ma mentre per Platone l’uomo non è colpevole di un tale male, in quanto
l’ignorante non sa di non sapere (e il superamento di tale male non è unica-
mente un problema soggettivo, ma dell’intera società, in quanto l’ignorante
non può ‘autoinsegnarsi’ quella sapienza che non ha), per Aristotele infor-
marsi o meno sulle cose dipende dalla propria volontà, il malvagio è respon-
sabile dell’atto di volontà con cui si porta verso un falso bene e da cui
derivano mali concreti. Ciò che ci permette di superare l’ignoranza è sicura-
mente il concetto di misura, che Aristotele racchiude nel ‘giusto mezzo’. La
ragione, infatti, deve stabilire ciò che effettivamente è bene e ciò che, per
l’uomo, è male; da qui, si ricava che tutto quello che è al di là per eccesso e
tutto quello che è al di qua per difetto, è male.

- 117 -
ANGELO BERARDI

Fel. – Lodo non poco il suo pensiero, che desidera passare


dall’accademia alla scuola, e son pronto a servirla. Tre sono gli
stili della musica188, da chiesa, da camera e da teatro.
Lo stile da chiesa si considera in quattro modi differenti189.
Primo. Sono messe, salmi e mottetti a più voci, more vetero190,
come sono quelle di Giovanni Murone191, Morales192, Giosqui-
no193, Adriano194 e del divino Palestrina.
Secondo. Cantilene, variate con l’organo piene a più voci, d’uno
stile più sollevato195, come sono quelle di Benardino Nanini196,
Agostini197 e più moderne del sig. Francesco Foggia198, soggetto

188 Nel senso di ambito espressivo determinato da principi teorici e prassi

esecutiva.
189 L’autore enumera nell’ordine: messe e mottetti in stile severo (a cap-

pella); lamentazioni e altre composizioni sacre accompagnate dall’organo;


salmi, mottetti e messe concertati con utilizzo di strumenti musicali; arie,
cantate sacre e oratori.), ‘sollevato’ (solennemente elevato)
190 In questa accezione stile è anche autentica maniera caratterizzante:

‘antico’ (alla maniera di Palestrina).


191 Forse si intende Johannes de Muris (Jean de Murs), teorico musicale,

matematico e astronomo francese (Lisieux, Normandia, ca. 1290-Parigi dopo


1351).
192 Cristóbal de Morales (Siviglia, 1500? – Malaga, 1553).
193 Josquin Des Prez (Beaurevoir, ca. 1440 – Condé-sur-Escaut, 1521).
194 Adrian Willaert (Bruges?, ca. 1490 – Venezia, 1562).
195 Solennemente elevato.
196 Giovanni Bernardino Nanino (Valleranno, ca. 1560 – Roma, 1623).
197 Paolo Agostini (Vallerano, ca. 1583 – Roma, 1629).Ancora fanciullo

giunse a Roma ove intraprese l’educazione musicale nella scuola dei pueri
cantores di S. Luigi de’ Francesi diretta da Giovanni Maria e Giovanni Bernar-
dino Nanino. Terminati gli studi, nel 1607 ritornò a Vallerano ove fu nomi-
nato organista e maestro di cappella nella chiesa di S. Maria del Ruscello, ma
ben presto fu richiamato a Roma dove ebbe l’incarico di maestro di cappella
nella chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini e a S. Maria in Trastevere. Nel
1619 ebbe la medesima carica in S. Lorenzo in Damaso e nel 1626 nella
basilica di S. Pietro in Vaticano.

- 118 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

di vaghe e pellegrine invenzioni, Graziani199, Stamigna200, de


Grandis201, ecc.

198 Francesco Foggia (Roma, 1604 – ivi, 1688), dopo essere stato al servi-

zio dell’elettore Francesco Massimiliano a Colonia e alla corte di Baviera a


Monaco, nonché kapellmeister alla corte dell’arciduca Leopoldo d’Austria,
divenne maestro di cappella nelle cattedrali di Narni e Montefiascone.
Tornato a Roma, ricoprì la stessa carica in S. Maria in Aquiro, S. Maria in
Trastevere, S. Giovanni in Laterano (1636-61), S. Lorenzo in Damaso (1661-
77) e in S. Maria Maggiore (dal 1677 alla morte).
199 Potrebbe trattarsi di Bonifazio Graziani (Roma, ca. 1604 – Roma,

1664), maestro di cappella nel Seminario romano e nella Chiesa del Gesù a
Roma, oppure di Tommaso Graziani conosciuto come Graziano (Bagnaca-
vallo, ca. 1550 – ivi, 1634), che fu maestro di cappella in S. Francesco a
Milano (1587), poi a Ravenna nel 1589, al Duomo di Concordia (Modena)
nel 1598, di nuovo a Ravenna nel 1603 e due anni dopo a Reggio Emilia. Dal
1613 fino alla morte fu maestro di musica e vicario nel convento francescano
di Bagnacavallo.
200 Nicolò Stamegna conosciuto anche come Nicolaus Stamigna (Spello,

1615 – Loreto, 1685) fu maestro di cappella a Spoleto dal 1635 al 1638;


passò poi alla cattedrale di S. Lorenzo a Perugia (1641-1643), al duomo di
Fabriano e, fino al 1658, alla cattedrale di Orvieto (il 6 giugno 1639 era stato
nominato organista della chiesa collegiata di Spello, incarico che avrebbe
lasciato tre mesi dopo). Lo troviamo più tardi (1659) a Roma, prefetto di
musica in S. Maria Maggiore ove curò la ristampa del Directorium Chori di
Giovanni Guidetti, in occasione dei cambiamenti nel breviario romano
richiesti da papa Urbano VIII. Dal 1659 al 1667 ricoprì il ruolo di maestro di
cappella nella stessa chiesa e, allo stesso tempo, nella chiesa del Gesù e al
Seminario Romano (1665-1667?). Rinunziò, tuttavia a questo incarico per
accettare, nel 1672, il posto di maestro di cappella nella chiesa di S. Giacomo
degli Spagnoli, dove rimase fino al 1684. Da questa data sino alla morte visse
ritirato nella Santa Casa di Loreto.
201 Sotto il nominativo di Vincenzo de Grandis abbiamo due composito-

ri. Il primo, detto Il romano (Ostra, 1577 – Roma, 1646) fu maestro di cappel-
la a S. Spirito in Sassia a Roma. Dal 1605 al 1630 fu cantore papale (contral-
tista). Il secondo, nipote del precedente (Ostra, 1631 – ivi, 1708), ordinato
sacerdote nel 1667 fu assunto al servizio degli Hannover mantenendo
l’incarico prima di procuratore musicale e poi di maestro di cappella fino al
1680. Contemporaneamente, nel 1670-71 fu maestro di cappella al seminario
e alla chiesa del Gesù a Roma e dal 1672 al 1674 maestro di cappella in S.

- 119 -
ANGELO BERARDI

Terzo. Salmi, mottetti e messe a più voci, concertate con gli


strumenti, come sono quelle del mio sospirato Sarti202, Scac-
chi203, Cossonio204, ecc.
Quarto. Concertini alla moderna205; cioè dialoghi, mottetti,
musiche da oratorio, come sono quelle del Carissimi206, Bicilli207,

Agnese. Nel 1680-82 fu a Venezia e nel 1683 maestro di cappella alla corte di
Modena. Negli anni 1685-92 fu mastro di cappella a Loreto.
202 Giovanni Vincenzo Sarti (Sant’Agata di Romagna, sec. XVII - ?). Fu

nominato nel 1640 maestro di cappella al duomo di Spoleto; in seguito


diresse la cappella del duomo di Forlì (dal 1643) e quindi quella del duomo
di Ravenna (dal 1648). Nel 1655 ritornò a Forlì.
203 Marco Scacchi (Gallese, 1602 – ivi, ca. 1685) si recò nel 1623 a Varsa-

via presso la corte di Sigismondo III. Dal 1626 fu compositore di corte e due
anni dopo maestro di cappella, carica che mantenne per venti anni. Nel 1643
fu coinvolto in una polemica con K. Förster e P. Siefert, difendendo il primo
e criticando le composizioni del secondo (ove avrebbe riscontrato quinte e
ottave parallele, risposte a soggetti di fuga sbagliate, ecc.) nel Cribrum musicum
ad triticum Syfertinum.
204 Carlo Donato Cossoni (Gravedona, 1623 – ivi, 1700), organista e

compositore, fu primo organista in S. Petronio a Bologna dal 1622 al 1671 e


fece parte, dal 1868, dell’Accademia Filarmonica. Trasferitosi a Milano nel
1671, fu maestro di cappella del principe Trivulzio dal 1685; nel 1684 fu
nominato maestro di cappella del duomo e vi rimase fino al 1692. Lasciò le
sue musiche al convemto di Bellinzona in Svizzera, soppresso il quale la
biblioteca passò all’abbazia di Einsiedeln.
205 Forma musicale in cui si prevede l’equilibrato alternarsi di voci e

strumenti in episodi solistici e collettivi.


206 Giacomo Carissimi (Marino, 1605? – Roma, 1674).
207 Giovanni Bicilli (Urbino, 1623 – Roma, dopo il 1705), dal 1648 al

1672 fu attivo come maestro di cappella alla Chiesa Nuova, dal 1667 al 1671
presso l’Oratorio di S. Marcello e dal 1675 al 1684 in S. Giovanni in Latera-
no. Dopo aver ricoperto la carica di ‘guardiano’ dei maestri di musica alla
Congregazione di S. Cecilia, tornò a fare il maestro di cappella alla Chiesa
Nuova, ove la sua attività è documentata dal 1693. In stretto contatto con
l’ambiente musicale romano, dominato dalla figura della regina Cristina di
Svezia, a quanto si apprende, tenne anche una scuola privata di musica.

- 120 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Melani208 e del nostro Giuseppe Corsi Celano209, che nel teatro


della virtù ha saputo occupare i primi posti, e di tanti altri insi-
gni compositori moderni che, se tralascio di nominarli, non per
questo lascio d’ossequiare e riverire il loro merito.
Lo stile da camera si divide, e si considera sotto tre stili
differenti210.
Primo. È dei madrigali, detto da tavolino, senza basso continuo,
come sono quelli di Luca Marentio211, Nenna212 e del dottissimo
teorico già Antonio Maria Abbatini213, ecc.

208 Atto Melani (Pistoia, 1626 – Parigi, 1714). Secondo di sette fratelli tut-
ti musicisti, era un sopranista raffinato, che entrato al servizio di Mattias de’
Medici a Firenze, fu poi chiesto a servizio del cardinale Mazzarino a Parigi,
dove alla professione di cantante alternò quella di diplomatico.
209 Giuseppe Corsi detto Il Celano (Celano, 1630 – Modena, dopo il

1690). Sacerdote, fu maestro di cappella a S. Maria Maggiore in Roma nel


1659, negli anni ’63-’65 a S. Giovanni in Laterano, in S. Apollinare e in S.
Maria in Vallicella. Passato alla Santa Casa di Loreto (1668-1675), fu nuova-
mente a Roma nel ’77, maestro di cappella nell’Oratorio di S. Marcello e
nella Chiesa Nuova. Papa Innocenzo XI lo bandì da Roma e lo relegò a
Narni; tuttavia nel 1681 fu nominato maestro di cappella della corte del duca
di Parma, ove rimase sino al 1688. Morì quando era al servizio del duca di
Modena.
210 Per lo stile da camera si riportano tre categorie: madrigali a sole voci;

madrigali concertati con il basso continuo; cantate da camera, concertate con


basso continuo e accompagnamento strumentale.
211 Luca Marenzio (Boccaglio, 1523 – Roma, 1599).
212 Pomponio Nenna (Bari, 1556 – Napoli, ca. 1618), in quanto genti-

luomo non ricoprì mai un incarico ufficiale di musicista, bensì svolse la sua
attività al servizio di nobili (tra il 1594 e il 1599 fu a Napoli presso il principe
di Venosa). Il legame con Gesualdo occuperà poi un posto determinante
nella sua attività musicale.
213 Antonio Maria Abbatini (Città di Castello, ca. 1597 – ivi, ca. 1679).

Dal 1626 al 1628 fu maestro di cappella in S. Giovanni in Laterano. Nel


1629 passò alla cattedrale di Città di Castello e poi, nel 1633 al duomo e
all’Accademia degli Assorditi ad Orvieto. Dal 1640 al 1646 fu maestro di
cappella in S. Maria Maggiore, carica che ricoprì anche dal 1649 al 1657 e dal

- 121 -
ANGELO BERARDI

Dei madrigali concertati con il basso continuo, come sono


quelli di Monteverde214, Mazzocchi215, Scacchi, Savioni216, ecc.
Terzo. Di quelle cantate, le quali sono concertate con vari
strumenti, come sono quelle tenute dall’armoniosa penna di
Carlo Caprioli217, Carissimi, Tenaglia218, Luigi Rossi219, Celani,
Pacieri220, ecc.

1672 al 1677. Maestro di cappella anche nelle chiese di S. Lorenzo in Dama-


so, S. Luigi dei Francesi e S. Maria a Loreto. Fece parte, dal 1651, della
Congregazione di S. Cecilia.
214 Claudio Monteverdi (Cremona, 1567 – Venezia, 1643).
215 Non è chiaro se ci si riferisca a Domenico Mazzocchi (Civita Castel-

lana, 1592 – Roma, 1665) oppure al fratello Virgilio Mazzocchi (Civita


Castellana, 1597 – ivi, 1646).
216 Mario Savioni (Roma, 1608 – ivi, 1685), sacerdote, entrò a far parte

della Cappella Giulia come sopranista dal 1621 rimanendovi fino al 1623.
Nel 1626 fu riassunto come contraltista. Nel 1642 entrò alla Cappella Sistina,
che diresse poi dal 1659 al 1668.
217 Compositore e violinista (detto Carluccio del Violino), nato a Roma tra il

1615 e il 1620 e morto a Roma tra il 1692 e il 1695. Apprezzato dai contem-
poranei, come attesta il soprannome, Caprioli ha tramandato il suo nome ai
posteri per l’opera Le nozze di Peleo e Theti, rinfocolando l’interesse
dell’ambiente parigino per il melodramma italiano. Godette di buona fama
anche come autore di cantate.
218 Francesco Antonio Tenaglia (Firenze, inizio XVII sec. – Roma, dopo

il 1661). Attivo a Roma dal 1644 al servizio di donna Olimpia Aldobrandini


come clavicembalista, liutista e compositore. Fu probabilmente anche
organista nella basilica di S. Giovanni in Laterano.
219 Luigi Rossi (Torremaggiore, ca. 1597 – Roma, 1653). Compositore,

musicista e maestro di canto, ebbe il merito di introdurre il melodramma


italiano presso la corte di Francia e di fondare la cantata da camera. Fu
autore, tra l’altro, di oltre 200 cantate da camera. Il Rossi, oltre a comporre
musica, sapeva cantare, suonare l’organo, il cembalo ed il liuto. Si trattava,
quindi, di un vero enfant prodige. Nel 1620 si trasferì a Roma per essere
assunto dal principe Marcantonio Borghese, nipote del papa Paolo V. Nel
1633 venne assunto come organista presso la chiesa di San Luigi de’ France-
si. Nel 1642 mise in scena Il palazzo incantato di Atlante, su libretto di mons.
Giulio Rospigliosi, il futuro papa Clemente IX. La costosa rappresentazione

- 122 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Lo stile rappresentativo, cioè da teatro, consiste in questo sola-


mente, che cantando si parli e parlando si canti, avendo fiorito
in questo stile a meraviglia Giacomo Peri221, Monteverde, Ce-
sti222 e oggi i signori Bernardo Pasquini223, Cavalli224, Pietrosi-
mone Augustini225, ecc.
Sapendo quanto V.S. si diletti di questo stile, mi diffonderò un
poco più che non ho fatto negli altri.

Gius. – Mi sarà sommamente grato, per l’inclinazione che tengo


allo stile recitativo.

Fel. – La musica teatrale riceve la sua forza dal gesto, e questo è


stato pigliato dagli antichi mentre cantavano, opinione di Mele-

ebbe uno straordinario successo, tanto che furono necessarie diverse repli-
che con non pochi problemi di ordine pubblico. Nel 1644, con l’elezione di
papa Innocenzo X, il governo finì nelle mani dei Panfili, filospagnoli e rivali
dei Barberini, filofrancesi. Nel 1648, Rossi venne inviato a Parigi, dove mise
in scena l’opera Orfeo. Il successo fu straordinario, e furono necessarie
diverse repliche. Persino nobili e ambasciatori dovettero mettersi in lista
d’attesa per ottenere il posto in sala. Nel 1647, la monarchia francese venne
presa di mira dalla ‘Fronda’, un movimento rivoluzionario. Rossi pensò bene
di lasciare la Francia e di rientrare a Roma, dove riprese il posto di organista
a San Luigi de’ Francesi, carica che ricoprì sino alla morte.
220 Giuseppe Pacieri (Trevi, ? – Roma, ca. 1700). Compositore e organi-

sta, succedette a Francesco Cardarelli alla Santa Casa di Loreto (1670-1679).


Nel 1683 si recò a Roma, dove entrò al servizio del cardinale Alderamo
Cibo, segretario di stato durante il pontificato di Innocenzo XI:
221 Jacopo Peri (Roma, 1561 – Firenze, 1633).
222 Marc’Antonio Cesti (Arezzo, 1623 – Firenze, 1669).
223 Bernardo Pasquini (Val di Nievole, 1637 – Roma, 1710).
224 Francesco Cavalli (Crema, 1602 – Venezia, 1676).
225 Pietro Simone Augustini (Forlì, 1635 – Parma, 1680).

- 123 -
ANGELO BERARDI

tio226, il quale è di parere che il moto nel canto sia l’anima della
parola, poiché accompagnando la voce col gesto della mano,
maggiormente si viene ad esprimere il suo significato.

Gius. – Io credo, che la mano sia uno strumento particolare,


datoci dalla natura, per esprimere maggiormente i moti e le
passioni dell’animo.

226 Melezio nacque a Melitene, in Armenia minore. Diventò vescovo di


Antiochia nel 360, e svolse un ruolo di primaria importanza durante le
profonde scissioni nella chiesa di Antiochia del IV secolo. L’elezione di
Melezio alla carica di vescovo fu un accordo di compromesso raggiunto con
i voti congiunti di ariani e ortodossi, ciò nonostante egli trovò una notevole
opposizione da parte degli eustaziani, i sostenitori del precedente vescovo
(tra il 324 ed il 330) Eustazio.
Chiamato dunque ad occupare una sede scottante, cercò di barcamenarsi tra
le due opposte fazioni, rimediando comunque, all’inizio del 361, pochi mesi
dopo il suo insediamento, una condanna all’esilio da parte dell’imperatore
Costanzo II (337-361), di fede ariana. Alla fine del 361, Costanzo morì e gli
successe Giuliano l’Apostata (361-363): Melezio rientrò ad Antiochia in una
situazione sempre più caotica. A nulla valse il concilio d’Alessandria del 362
per sedare gli animi, anzi il focoso e radicale vescovo Lucifero di Cagliari
riuscì perfino a far eleggere vescovo d’Antiochia, Paolino, favorendo lo
scisma. L’imperatore Giuliano, che risedette spesso ad Antiochia, contribuì,
a sua volta, alla confusione perseguitando ora l’una ora l’altra delle parti in
conflitto. La situazione rimase altalenante sotto gli imperatori Gioviano
(363-364), ortodosso, e Valente (364-378), ariano, mentre il prestigio di
Melezio, nonostante tutto, crebbe: egli lavorò per l’unità dei cristiani
dell’Asia minore e della Siria, ma nel 365 fu esiliato per la seconda volta dagli
ariani in Armenia. Fu il nuovo imperatore, di fede ortodossa, Graziano (375-
383) a volere la pace nella chiesa, richiamando i vescovi esiliati, tra cui
Melezio, che, ritornato ai suoi compiti, lavorò sia per ricomporre lo scisma
interno che per pubblicare l’atto di fede, il cosiddetto credo niceno-
costantinopolitano, proposto al I concilio di Costantinopoli del 381, convo-
cato dall’imperatore d’Oriente Teodosio (379-395). Melezio morì, durante i
lavori del concilio, nel 381.

- 124 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Così è, anzi gli egizi al detto di Horus227, solevano dipingere


la lingua sotto le mani. Pindaro228 pose nel medesimo grado il
cuore e la mano, poiché quelle cose che stanno racchiuse nel
gabinetto segreto del cuore, la mano, qual lingua loquace con muti
accenti le propaga al mondo. I suoi pregi sono meravigliosi.
Pugnat, ludit, armat, bacchatur, vertitur, adstat.
Illustrat verum, cuncta decore replet229.
Non è così necessaria la lingua di quello, come la mano, per
significare e persuadere qualsiasi cosa, essendo chiaro che
Apollonio, filosofo pitagorico230, senza aprir bocca, ma solo a
cenni del volto e delle mani, ridusse in tranquillo stato la rivolu-

227 Horus, figlio di Osiride, era rappresentato come un uomo dalla testa

di falco, oppure come un rapace. Era una delle divinità principali, e presie-
deva all’osservanza di riti e leggi. Secondo gli antichi egizi, il faraone era
l’incarnazione terrena di Horus. Il dio fu di grande rilievo nel mito di Osiri-
de, in quanto fu lui a sconfiggere Seth, dio del male.
228 Pindaro, conosciuto come Pindaro di Cinoscefale (o Cinoscéfalos) o an-

che come Pindaro di Beozia (Tebe, ca. 522 a.C. – Argo, 442 a.C.). Autore di
importanti carmi epici, è ritenuto uno dei maggiori esponenti della lirica
corale. Viaggiò a lungo e visse e scrisse per sovrani e famiglie importanti.
229 Descrizione della pantomima. Cfr. Anonimo, Carmina Anthologiae La-

tinae, 100, 7-8; Iacobo Masenio, Palestra styli Romani quae Artem et praesidia
Latine ornateque quovis styli genere scribendi complectitur cum brevi Graecarum et
Romanarum antiquitatum compendio, et Praeceptis Ad Dialogos, Epistolas, et Historias
scribendas legendasque necessariis, Colonia, 1659, pag. 80, che a sua volta rimanda
a Cassiodoro, Variarum Libri XII, IV: “combatte, gioca, si fortifica, viene
agitata, viene rivoltata, si ferma, illustra il vero, si riempe tutta nel bello”.
230 Apollonio di Tiana, filosofo neo-pitagorico del I sec. d.C. Viaggiò a

lungo per l’Asia, l’Africa e l’Europa, fondando peraltro una scuola neo-
pitagorica ad Efeso. Scrisse una Vita di Pitagora non pervenutaci, ma utilizza-
ta probabilmente da Porfirio e da Giamblico. La sua fama fu alimentata dalle
leggende fiorite nel II sec.d.C. che gli attribuivano miracoli e profezie. Tali
leggende furono raccolte dal retore Filostrato nel secolo successivo. Fu
divinizzato da Caracalla e da Settimio Severo, il primo dei quali gli dedicò
anche un tempietto.

- 125 -
ANGELO BERARDI

zione di alcune città, il che diede materia ad un antico poeta di


cantare a favore della chiromanzia
…Mirabilis ars est,
Qua fecit articulos, ore silente, loqui231.

Gius. – La mano si può vantare di godere lodi e pregi sublimi:


mi favorisca dire qualcosa ancora intorno al gesto della testa.

Fel. – Più per obbedirla che per altro, le dirò il mio parere. Il
musico, nei moti che spettano alla testa, deve andare molto
avvertito, considerando che la testa è primo principio
nell’uomo, e tutto l’uomo sta nella testa, di modo tale che il
cantore, incontrando parole che riguardano la patria dei beati,
stelle, monti, basta che alzi la testa; trattando di cose inferiori,
oppure materie malinconiche, abbassi il capo, così da significare
indizio di umiltà, come anche per introdurre la malinconia negli
uditori. Cantando trionfi o vittorie il capo stia alzato, il corpo
ben composto, il volto allegro, avvertendo che il moto del
corpo, particolarmente del volto e delle mani, si deve confron-
tare con l’armonia del canto. Altrimenti si potrà dire di quei
musici che non osservano questi moti, quello che lasciò scritto
Ovidio di quella donna, convertita in pietra:
Nec flecti cervix, nec bra[c]chia reddere gestus [motus].
Nec pes ire potest, nihil est in imagine vivum [intra quoque viscera saxum
est]232.

231 Prosegue la descrizione della pantomima. Cfr. Anonimo, Carmina An-

thologiae Latinae, 100, 9-10: “…è un’arte notevole, che crea momenti decisivi,
parla con bocca silenziosa”.

- 126 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Oppure il detto di Giovenale,


de trunco Herme [truncoque simillimus Hermae]:
Nullo quippe alio vincis discrimine, quamquod
Illi marmoreum caput est, tua vivit imago233.
Questi moti però devono essere portati in maniera che il canto
non venga scompagnato dalla modestia, ma tanto quanto che
l’uditore ne pigli diletto e la vita non resti offesa.

Gius. – Ho avuto grande soddisfazione nel sentire questi avver-


timenti, poiché all’occasione che mi può succedere, sarà mio
pensiero il sapermene valere. Avendo V.S. dato principio con lo
stile ecclesiastico, con il medesimo potrebbe concludere.

Fel. – Lei dice molto bene, avendo cominciato con le messe a


cappella, con le medesime voglio terminare. Queste vanno
tenute dal compositore sotto uno stile grave234, devoto e anche
vivace, come se ne piglia la norma dal dottissimo Palestrina,
unico in questa sorta di cantilene235. Avendo anche operato
eccellentemente bene in questo stile Orazio Benevoli236, già
maestro di cappella in S. Pietro in Vaticano, mentre ha saputo
accoppiare la gravità e l’artificio con la dolcezza del canto e con

232 Publio Ovidio Nasone, Le Metamorfosi, VI, 308-309: “Il collo non può

più piegarsi, le braccia non rispondono più, il piede non può più camminare.
Nulla è vivo nella rappresentazione”.
233 Decimo Giunio Giovenale, Satire, III, 8, 53-55: “del busto di Mercu-

rio: infatti il solo principio che tu puoi avanzare è che Hermes ha una testa di
marmo, mentre la tua caratteristica è di essere vivo”.
234 Con rigorosa solennità, nelle accezioni ‘devoto’ e ‘vivace’.
235 Terza e ultima citazione riservata a Palestrina, eletto a caposcuola del-

lo stile romano.
236 Orazio Benevoli (Roma, 1605 – ivi, 1672).

- 127 -
ANGELO BERARDI

la devozione dell’animo, il che si costumava ancora nei secoli


passati, come accenna Venanzio Fortuna237, descrivendo il
fioritissimo clero di S. Germano vescovo.

Gius. – Ho notato nel suo ragionamento il grande affetto, che


lei porta allo stile romano238 e ai suoi compositori, tanto vivi
quanto morti.

237 Venanzio Fortunato (Valdobbiadene, 530 – ivi, 607) fu uno scrittore,

tra gli ultimi rappresentanti della poesia latina. Studiò grammatica, retorica e
diritto a Ravenna. Si racconta che, colpito da una malattia agli occhi, alla
quale subentrò una improvvisa quanto inspiegabile guarigione, si recasse in
pellegrinaggio alla tomba di san Martino a Tours e in seguito a Poitiers. A
Poitiers, Venanzio conobbe Radegonda (figlia di Bertario, re di Turingia),
che era diventata badessa, e si stabilì in quella città. Alla morte di Radegonda,
avvenuta nel 587, fu ordinato sacerdote e assunse la direzione del monastero.
Nel 597 fu nominato vescovo e in seguito beato e santo. Venanzio Fortuna-
to scrisse in onore di san Martino il poema Vita di San Martino, ed anche il
De excidio Thuringiae sulla fine della casa reale di Turingia, nonché varie
biografie di santi, molte poesie, inni liturgici e versi di vario genere da lui
raccolti in 11 libri di Carmina Miscellanea di cui fanno parte anche il Pange
lingua ed il Vexilla regis prodeunt, composti attorno al 569 (quando Radegonda
si fece inviare a Poitiers dall’imperatore Giustino II le reliquie della croce).
La Vita di san Martino è l’unica vita scritta in versi. Le altre sei sono tutte in
prosa. Sono le vite di sant’Ilario vescovo di Poitiers, san Germano vescovo
di Parigi, sant’Albino vescovo di Angers, san Paterno vescovo di Avranches,
santa Radegonda, san Marcello vescovo di Parigi. Qualcuno gli ha attribuito
anche la vita di Amanzio vescovo di Rodez, la vita di Remigio vescovo di
Reims, la vita di san Medardo vescovo di Noyon, la vita di Leobino vescovo
di Chartres, la vita di san Maurilio vescovo di Angers, una passio dei martiri
Dionigi (saint Denis), Rustico, ed Eleuterio.
238 Riferito allo stile musicale della cosiddetta ‘scuola romana’. Tra la fine

del Cinquecento e la prima metà del Seicento, i due centri più importanti
della cultura musicale sacra di quel periodo erano Roma e Venezia. La scuola
romana e quella veneziana continuarono a celebrare la tradizionale musica
liturgica che si era stabilita sullo scorcio del Cinquecento, secondo le rispetti-
ve ‘scuole’ del Palestrina e dei Gabrieli. A Roma, la figura simbolica di
Palestrina contribuì non poco a far considerare la polifonia a voci sole come

- 128 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – V.S. non si è ingannata, e ciò non è a caso, ma con fon-


damento. Sappia che lo stile romano, tanto nel comporre quan-
to nel cantare e suonare, è stato sempre applaudito e abbraccia-
to da tutto il mondo, non solo in questa età, nella quale vivono
virtuosi armonici, che accrescono gloria e splendore al nostro
secolo, ma ancora nei tempi andati. Si legge nelle storie, che
ritrovandosi in Roma Carlo Magno nel giorno di Pasqua, nac-
que una certa contesa fra i cantori romani e francesi; il saggio
principe decise a favore dei romani dicendo che i rivoli non
devono essere maggiori della fonte, alludendo che da Roma
viene il vero modo di cantare, suonare e comporre.

Gius. – Or ora mi sovviene quello che un giorno V.S. mi rac-


contò, cioè che la chiesa Alessandrina, sotto S. Atanasio, e la
chiesa di Milano sotto S. Ambrogio, presero il cantar molle e
soave della chiesa greca; ma la chiesa romana non abbracciò né
l’una né l’altra maniera di cantare, temprò bensì con la vivacità
l’uno e l’altro modo, accoppiando con la dolcezza del canto una
mirabile gravità e maestria.

Fel. – Tutto questo ridonda in lode dello stile romano, e dei


nobili compositori di quel gran teatro del mondo.

Gius. – Avendomi favorito della spiegazione intorno ai tre stili


della musica, resterei soddisfatto a pieno se mi desse qualche

a un ‘patrimonio’ locale della più alta gerarchia ecclesiastica e la Cappella


Sistina divenne il fulcro della tradizionale musica ‘antica’.

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ANGELO BERARDI

lume circa alcuni contrappunti, che chiamano all’ottava, decima


e dodicesima.

Fel. – La servirei con la solita prontezza, se da questo discorso


V.S. ne potesse cavare qualche profitto, ma poiché siamo in
campagna non è possibile fare le dimostrazioni di questi con-
trappunti con gli esempi.

Gius. – Mi pare di avere il tocca lapis239 addosso, si servirà di


questo facendo di necessità virtù.

Fel. – Per queste dimostrazioni ci vuole penna, carta rigata e


calamaio.

Gius. – Mentre non si può lasciamo stare.

Fel. – Mi dispiace che ella non resti interamente soddisfatta. Ma


si fermi: prepari un pezzo di carta e il tocca lapis: frattanto stia
applicato a quanto sto brevemente per dirle. Hanno i nostri
antichi intitolato alcuni artifici musicali col nome di contrap-
punti doppi, ovvero rivoltati alla 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 19. 11. e
12. e hanno dato una regola comune, per conoscere quali con-
sonanze e dissonanze si devono usare in detti contrappunti, che
è il rivoltare i numeri. Poiché l’arte armonica tutta consiste in un
composto di numeri, tanto consonanti come dissonanti, i quali
uniti insieme rendono il concerto armonioso. Ora, volendo

239 Cannello metallico, alle cui estremità si adatta un pezzo di lapis che
viene tenuto fisso da un anello corsoio, utilizzato specialmente per i disegni.

- 130 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

rivoltare il contrappunto all’ottava si disporranno i numeri così:


mi dia il tocca lapis
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
8. 7. 6. 5. 4. 3. 2. 1.

Talché chiaramente si vede che nel contrappunto rivoltato


all’ottava240 non si deve usare la quinta, perché nel rivolto viene
ad essere una quarta nuda.

240 Il contrappunto doppio, come c’insegna Zarlino (cfr. Istituzioni Har-


moniche), “non è altro che una composizione fatta ingegnosamente che si può
cantare in più modi, mutando le sue parti acute in gravi e gravi in acute; di
maniera che replicata si odano diverse armonie da quelle che, nello stesso
contrappunto, prima si udiva”.
Tra le opere teoriche che trattarono il contrappunto doppio e gli artifici più
reconditi e utili posseduti da quest’arte, un testo di riferimento è il trattato
La regola del contraponto e della musical composizione (Milano, Rolla, 1622), scritto
dal p. Camillo Angleria (discepolo del grande virtuoso Claudio Merulo).
Vari sono i modi assegnati e praticati dagli antichi maestri per rivoltare i
contrappunti doppi. Per maggiore chiarezza li ridurremo in cinque specie.
La prima sarà quella che posto un canto fermo o figurato, vi si faccia sopra
una parte in contrappunto, la quale, stando ferma sulle stesse corde la parte
inferiore, si trasporti al di sotto la parte acuta in vari modi, cioè all’ottava, alla
quinta, alla sesta, alla terza o le loro replicate; oppure, al contrario, stando
ferma la parte acuta nelle sue corde originali, si trasporti la grave in acuto in
vari modi. Ciò si vede praticare di frequente da diversi autori e particolar-
mente dal Palestrina.
La seconda specie è quella in cui si trasporta tanto la parte acuta che quella
grave in vari modi.
La terza specie, è quella, nella quale si trasportano in vari modi le parti per
moto contrario, or l’una, or l’altra or ambedue. Bisogna qui specificare che
esistono diversi modi per riversare un brano per moti opposti, il più comune
era quello di usare la regola dell’esacordo in cui Ut diventa La. Con questo
sistema semplice ed ingegnoso, si può eseguire, per moti contrari, qualsiasi
composizione, avendo solo l’accortezza di sciogliere le legature che sono in
dissonanza, perché darebbero luogo ad una dissonanza non preparata.

- 131 -
ANGELO BERARDI

Il contrappunto alla decima241 contiene in sé dieci numeri, i


quali vanno disposti col medesimo ordine, come sopra, cioè,

La quarta specie è quella in cui si praticano i trasporti come nella seconda e


nella terza specie, con la condizione che vi sia un basso che serva da base e
da fondamento alle parti superiori. Questa specie è di qualità inferiore delle
prime due, benché molto praticata e facile da comporre.
La quinta specie, benché ancor meno pregiata della quarta, è di gran comodi-
tà al compositore. Si esegue rovesciando le parti, sempre sostenute da un
basso fondamentale, ma in modo non esatto, bensì con qualche figura
variata o qualche intervallo diverso da prima. Questa specie di contrappunto
viene ad assomigliare a quelle fughe d’imitazione nelle quali la risposta
corrisponde alla proposta, o di sole figure o di soli intervalli o di sillabe sole.
Questa specie è usata anch’essa dal Palestrina che la utilizza in alcuni brani
presenti nel famoso trattato del Martini. Quanto sia utile e necessario ai
compositori di musica l’esercizio ed il possesso dei contrappunti doppi, si
rileva dagli effetti nel comporre fughe di qualunque sorta sopra a canto
fermo, canoni, madrigali ed altre composizioni, le quali non possono ridursi
a perfezione senza la cognizione e possesso dei suddetti contrappunti, e se al
giorno d’oggi è quasi perduta l’arte delle composizioni accennate, ciò pro-
viene dall’essersi perduto l’uso dei contrappunti doppi.
241 In decima, il riversamento per moti opposti è, generalmente, meno

gradevole per le continue seste che occorrono tra le parti rendendo un poco
aspro il contrappunto.
Per eseguire un contrappunto precedentemente composto, per moti contrari
bisogna: sciogliere le legature; cominciare la parte acuta in ottava con la parte
grave; il rivolto deve porsi con la parte grave in terza o decima sotto alla
parte acuta.
Per comporne uno appositamente ottimizzato per il riversamento in moto
opposto, in pratica, si segua la regola del Sol-Sol, ovvero:
Ut Re Mi Fa Sol La
Re Do Si La Sol Fa
Essa si ottiene componendo in contrappunto doppio alla decima evitando
di: legare le dissonanze, fare due terze o due seste di seguito.
Inoltre si deve prestare attenzione ai seguenti particolari: le sincopi poste nel
contrappunto principale devono essere tutte consonanti; suona bene la
decima dopo la quale segua l’ottava; suona male nella replica se abbiamo
posto la terza davanti all’unisono; suona male porre le parti troppo lontane
l’una dall’altra; si deve prestare attenzione ad evitare il rapporto diretto tra mi

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RAGIONAMENTI MUSICALI

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
10. 9. 8. 7. 6. 5. 4. 3. 2. 1.
Dove, che in questo contrappunto non si devono usare due
terze, né due seste seguite una dopo l’altra.
Il contrappunto alla dodicesima242 consiste in dodici numeri:

e la, sia melodico sia armonico, perché nel rivolto diventeranno rispettiva-
mente si e fa; nella replica si ponga la parte più acuta sotto di una nona e la
parte grave sopra di una settima.
242 Il contrappunto alla dodicesima viene reputato il migliore: questo con-

trappunto, però, abbonda d’imperfezioni a causa dell’inetta trasformazione


degli intervalli e per le ristrettezze in cui si trova il compositore, come dalla
serie e confronto di numeri si può dedurre: si vede subito che non è lecito
usare la sesta se non in legatura, come se fosse una dissonanza; visto che la
sesta si trasforma nel rivolto in settima; e neppure si può praticare la settima
che risolve in sesta, poiché nel rivolto risulterebbe una sesta risolta in setti-
ma; e queste sono le leggi principali di questo contrappunto da cui non è mai
lecito dispensarsi. Ma non avvertono poi, gli autori che danno i precetti di
questo contrappunto, che spesso nel rivolto conviene aggiungere ora il
«diesis» ora il «bemolle» a questa o a quella parte, per evitare i tritoni e tutte
le bruttezze che ne risultano nelle melodie.
Il precetto poi di far la cadenza in quinta fornisce una prova evidente
dell’inezia di tale contrappunto che obbliga a torcere barbaramente i movi-
menti di cadenza, acciocché nel rivolto non si trovi la cadenza fuori della
principale corda del modo assunto.
Pure per quante precauzioni si usino non basteranno mai a far sì che non si
passi da un modo ad un altro e che la stessa parte non sia adattata ora ad una
melodia e spesso ad un’altra sicuramente diversa; e non è vera cadenza quella
che chiamano cadenza in quinta essendo un passo veramente barbaro.
Così afferma Zarlino .
Fin ora si è parlato solamente del contrappunto a due voci; ma volendolo
usare a tre bisogna inoltre astenersi dall’uso delle dissonanze in legatura, vale
a dire della più dilettevole parte della musica e restringersi ad un’insipida
armonia qual è quella composta di sole consonanze.
Il Fux (J.J. Fux, Salita al Parnasso, Carpi, 1761), trattando di questo contrap-
punto, dice che si può usare la sesta sincopata, quantunque sciolta usar non
si possa: e qui confonde in uno la sincope e la legatura, pur senza dubbio v’è
tra di loro una gran differenza cioè quanta deve esserne tra il genere e la
specie, poiché ogni legatura è sincope; ma non già il contrario. E che sia così

- 133 -
ANGELO BERARDI

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12.


12. 11. 10. 9. 8. 7. 6. 5. 4. 3. 2. 1.
Di modo tale che in questo contrappunto non si deve usare la
sesta, poiché nel rivoltarlo diventa settima.

Gius. – Eppure qualche cosa ho imparato da questa semplice


dimostrazione, riservandomi di ricevere i suoi favori a tempo
più opportuno al tavolo, desiderando impossessarmi bene delle
formazioni dei toni, materia principale nella composizione, e
imparare a trattare bene i soggetti e rivoltarli in diverse maniere
leggiadre, come si sente nelle opere di eccellenti maestri.

Fel. – Mi pare di averle dato tutte le regole necessarie; nondi-


meno se ne vuole diversi altri esempi potrà averli nei miei salmi
a quattro a cappella243, stampati mentre mentre ero maestro di
cappella dell’eminentissimo sig. cardinale Santa Croce, di fel. e

è facile rilevare qualora si consideri che la legatura obbliga la nota legata a


discendere per grado, laddove la sincope lascia tutta la libertà di ascendere o
discendere o per gradi o per salti indifferentemente. Ritengo che il contrap-
punto alla dodicesima non abbia, né possa avere sussistenza; poiché non ha
solidi principi cui appoggiarsi.
Volendo poi unire insieme i tre contrappunti doppi in ottava, in decima, in
dodicesima si prescrive di usare le consonanze di quinta ed ottava per moto
contrario e la terza per moto obliquo.
Il rivolto delle parti consiste comunemente nel: portare la parte bassa una
ottava sopra e la parte acuta una quinta sotto, oppure alzando la parte grave
per duodecima, lasciando la parte acuta dove sta. Similmente abbassando la
parte acuta di duodecima, lasciando la parte grave dove sta.
243 Angelo Berardi, Psalmi vespertini quatuor vocibus concinendi cum organo ad

libitum. una cum missa ad organi sonum accomodata : Opus octavum, Roma, Giovan-
ni Angelo Muzio, 1675.

- 134 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

santa memoria in Tivoli, nei quali troverà la formazione di quasi


tutti i toni.

Gius. – Vi ho fatto riflessione, anzi nell’Amen del Magnificat, la


quale mi pare del decimo tono, ho notato che vi è un contrap-
punto intricato.

Fel. – È vero. Il soprano e il tenore vanno sempre al contrario con


il contrappunto alla dodicesima; il contralto e il basso fanno lo
stesso una quinta più bassa; il contralto e il tenore camminano per
terze; il soprano e il tenore sono alla dodicesima. Nel rivolto
cominciano le stesse parti che hanno cominciato il soggetto.

Gius. – Dalla benignità di V.S. spero col tempo di restar favorito


delle regole per simili componimenti.

Fel. – In tutto quello in cui potrò servirla sarà padrone di co-


mandarmi.

Gius. – In queste ultime composizioni fatte a Spoleto244, ho


considerato uno stile e modo assai sollevato e copioso di bizzar-
rie, variazioni d’armonia, di tempi, ecc.

Fel. – V.S. mi riguarda con occhio amorevole, e perciò il poco


gli pare assai, nondimeno riconosco il tutto come riflessi della
sua virtù e gentilezza. Dico bensì che la benignità e clemenza

244Angelo Berardi ricoprì l’incarico di maestro di cappella del duomo di


Spoleto dal 1679 al 1683.

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ANGELO BERARDI

dell’eminentissimo sig. cardinale Facchinetti245, che si è compia-


ciuto d’accogliermi sotto quella porpora, dove non vale il desti-
no ad avventare i suoi fulmini, impenna l’ali al mio povero e
rozzo ingegno. La gratitudine, che devo a questo illustrissimo e
reverendissimo capitolo, per le continue grazie e favori che si
compiace di compatirmi, e il gradimento che mi dimostra, dà il
volo a quella penna che peraltro rade il suolo. Oltre a questo,
godo tanto della bontà e virtù di questi signori cantori a me cari
e musici del duomo, che procurerò sempre di corrispondere col
cuore al loro affetto, e con i sudori della penna alla vivacità e
brio del loro talento.

Gius. – V.S. si assicuri che tutti unitamente le portiamo affetto


particolare. Ma mi dica, Tivoli come le piaceva?

Fel. – Quando vado per stare in una città, con tutto che non sia
di intera mia soddisfazione, nondimeno non mi piace il partir-
mene così subito, e perciò non si meravigli se per il corso non
interrotto d’anni sette mi sono trattenuto in Tivoli246: questa
lunga dimora è stata cagionata non solo per la vicinanza di
Roma, salubrità dell’aria, fertilità del territorio, vaghezza della
campagna particolarmente verso ponente, dove in aperta e
lunga pianura fa pomposa mostra della sua grandezza e magni-
ficenza la gran reggia del mondo, ma più d’ogni altra cosa, per

245 Il cardinale Cesare Facchinetti (Bologna, 1608 – Roma, 1683) fu no-

minato arcivescovo di Spoleto il 2 agosto 1655 e rimase in carica fino al 14


novembre 1672, quando fu promosso vescovo di Palestrina.
246 L’autore ricoprì l’incarico di organista e maestro di cappella del cardi-

nale Marcello Santacroce presso il duomo di Tivoli dal 1673 al 1679.

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RAGIONAMENTI MUSICALI

termine di gratitudine, che dovevo a quei signori cittadini e in


specie a quel reverendissimo Capitolo, per l’amore che tutti
unitamente m’hanno portato.

Gius. – Tivoli mi pare che sia città principale del Lazio e più
antica di Roma.

Fel. – È vero. Ma se ella ha desiderio di godere una bella e


erudita lettura, legga le storie scritte dal canonico Francesco
Marzi247, nobile e giureconsulto tiburtino.

Gius. – Viveva forse quel signore mentre lei era in Tivoli?

Fel. – Era da poco passato a miglior vita, ho bensì avuto fortuna


di conoscere i suoi signori nipoti, gentiluomini compitissimi e
primari di quella città, e fra gli altri il sig. arcidiacono Giulio
Marzi, protonotario apostolico e giovane dottissimo, portato dal
suo merito a godere gli onori primari della sua patria, sono anni
che con suo gran decoro e reputazione sostenta la carica di
vicario generale: nei suoi costumi è un simulacro della giustizia,
un angelo della pietà e tutto indipendente nei suoi affetti.

Gius. – Veramente non si trova mezzo più potente per salire alla
dignità e gradi più sovrani, che il rendersi esemplare nella bontà
della vita. Mi pare di vedere che il sole, a carriera battuta, sferzi i

247 Francesco Marzi (1609-1662), dottore in legge e canonico della basili-

ca di S. Lorenzo a Tivoli, fu autore delle Historie tiburtine […] nelle quali si


narrano i successi dall’origine di essa città sino al parto felicissimo della Vergine, Roma,
Francesco Felice Mancini, 1646.

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ANGELO BERARDI

destrieri verso il tramonto, stimo che possiamo ritorcere i passi


pian piano verso la città.

Fel. – Lei dice bene, avviamoci che mi pare sia molto tardi.

Gius. – In tutti i suoi ragionamenti V.S. ha avuto intenzione di


far apparire la nobiltà e decoro della musica, e di conseguenza la
stima grande che ognuno ne deve fare: con tutto che sia una
scienza nobilissima, nondimeno vedo che molti, con detti e con
storie la strapazzano e vilipendono.

Fel. – Avverta che i detti e le storie ridonderanno talvolta in


biasimo dei professori, tali e quali e non altrimenti della scienza,
che per essere purissima, non è soggetta a simili cicalecci.

Gius. – Non può essere in altra maniera, voglio raccontarle


alcuni di questi biasimi, per imparare la risposta e servirmene
all’occasione. Ho sentito dire più volte: Bonus Cantor, bonus
Cupediarius248: cioè che il buon cantore non tanto apporti diletto

248 Erasmo da Rotterdam (Rotterdam, 1469 - Basilea, 1536), nome lati-


nizzato di Geert Geertsz, insigne umanista e teologo olandese. Firmò i suoi
scritti con lo pseudonimo di Desiderius Erasmus. La citazione è tratta da
Adagiorum chiliades (1500), II, 2.5.35: “buon cantore, buon ghiottone”. La
frase viene fatta risalire alla tradizione che voleva Archidamo II re di Sparta
(469 a.C – 427 a.C.) figlio di Zeusippo, fare un commento relativamente ad
un cantore del quale si poteva dire che “animus erat in patinis”, ovvero “la
sua anima era nel piatto” (Erasmo, Colloquia familiaria, XVI, “Convivium
religiosum”); il suo stomaco era il suo idolo; e lo stomaco, non avendo
orecchie, era incapace di avere a che fare con i suoni.
Geneticamente gli Adagia si iscrivono nella tradizione umanistica dei centoni
e delle miscellanee filologiche, genere tra i più diffusi tra gli umanisti un tutta
Europa. Ma con Erasmo la pratica erudita e oratoria di selezionare passi

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RAGIONAMENTI MUSICALI

all’orecchio altrui con la leggiadria del suo canto, di quello che


faccia con i buoni bocconi al proprio palato.

Fel. – Quando fu detto: Bonus Cantor, bonus Cupediarius non volle


denotare l’ingordigia del cantore, ma una somma prudenza nel
saper andar cauto nell’elezione dei cibi per il mantenimento
della voce.

(cogliere fiori per farne antologie: che in senso proprio in greco significa
appunto ‘raccolta di fiori’) dagli autori classici con scopi di riuso retorico (per
impiegarli in un discorso) o pedagogico (nel lavoro del precettore, nella sua
institutio) tramonta, per lasciare spazio allo studio rigoroso e filologicamente
munito delle parti minime del discorso. Erasmo cataloga queste parti nella
lettera a lord Mountjoy, premessa alla edizione parigina dei primi Adagia
(Parigi, J. Philipp Alemannus, 1500, con 818 proverbi; 838 nella ristampa del
1505), e conferisce loro il valore di componenti in grado di connotare ogni
discorso e di trasmettere senso attraverso le epoche, come portatrici di valori
universali di tolleranza e di umana affabilità. Nel 1508, dopo nove mesi di
lavoro febbrile con l’aiuto e lo stimolo dei membri dell’Accademia Aldina,
uscì l’editio maior (la raccolta più ampia, con ben 3260 proverbi), stampata da
Aldo Manuzio, cui si deve il titolo definitivo: Adagiorum chiliades tres ac centu-
riae fere totidem (“Quasi tremiladucento proverbi”).
Il lavoro di Erasmo è una straordinaria archeologia dell’antico: ciascun
proverbio è riportato nella lingua d’origine (greca o latina: e al greco segue la
traduzione latina), ne sono discussi i vari sensi e interpretazioni, sono citati
gli autori che l’hanno impiegato. Alcune schede lievitano nelle varie edizioni
fino ad assumere l’aspetto di veri e propri trattatelli eruditi, che vanno oltre
la semplice illustrazione del detto e affrontano problemi di attualità, come
nel caso del proverbio numero 2201 (Sylenus Alcibiadis: “Il Sileno di Alcibia-
de”), che si trasforma in un pamphlet contro le degenerazioni della chiesa in
nome dello spiritualismo evangelico.
Erasmo per primo matura l’idea di una grande divulgazione della cultura
classica in forme pratiche e funzionali a beneficio indistintamente di ogni
persona letterata, anche estranea ai cenacoli degli eruditi protagonisti della
sua rinascita. È per questo che la presenza degli Adagia, accanto ai non meno
fortunati tardi Apophtegmata, nonostante l’immediata condanna ecclesiastica,
non poté essere sradicata dall’orizzonte culturale italiano.

- 139 -
ANGELO BERARDI

Gius. – È passato in proverbio il detto di Plauto: Musicè vivere249,


quasi che la vita del musico sia sensuale, effeminata e oziosa.

Fel. – Molti detti alle volte sono interpretati diversamente dal


senso dell’autore: Musicè vivere altro non significa che vivere una
vita onestissima; il che si prova con il testimone del medesimo
Plauto, il quale fa parlare Simone vecchio a Tranio Servo in
questa maniera:
Musicè hercle agitis a[e]tatem, ita[que], ut[i] vos decet
Vino, et victu, piscatu[què] probo electili
Vitam colitis250.

Gius. – Ai tempi nostri nei conviti e ricreazioni, altro non si


sente che questo invito: Bibite Cantores251: come se i musici e
cantori si fossero ribellati alle muse e interamente si fossero dati
alla sequela di Bacco, e per dirla scopertamente, come se fosse-
ro tanti ubriaconi.

249 Ancora una citazione dagli Adagia erasmiani, riferita a Plauto: “vivere

elegantemente”, ovvero condurre una vita tranquilla e piacevole.


250 Tito Maccio Plauto, Mostellaria, Scaena secunda. Simo-Theopropides-

Tranio, III, 728-731 (riportato in appendice negli Adagia di Erasmo): “a dire


il vero tu perdi il tempo in sciocchezze, vino e cibo di buona qualità, pesce
scelto, godersi la vita”.
251 Esiste un variegato repertorio di musiche espressamente composte

per essere eseguite durante il banchetto, vuoi come sottofondo, vuoi come
intervallo tra i servizi. Per i conviti solenni, a cominciare dai pranzi di nozze,
la presenza di cantori e musici era quasi d’obbligo. In ambito profano, il vino
è la fonte stessa della festa e del divertimento, dispensatore di ebbrezza, di
brindisi cantati da allegre brigate, non manca mai sulle tavole dei signori ed è
dono di ambasciate. In Italia, del resto, si richiamano a questa tradizione il
Convito musicale di Orazio Vecchi (1597) e il Festino nella sera del giovedì grasso
avanti cena (1608) di Adriano Banchieri.

- 140 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – Quelli che nelle ricreazioni usano ad ogni momento il


motto: Bibite Cantores: saranno alcuni beoni che si vergogneran-
no di esser visti ogni poco vuotar la tazza, e perciò vanno cer-
cando la compagnia, per ammantare con questa la loro avidità
nell’alleggerire i fiaschi e tracannar bicchieri.

Gius. – Tito Livio riferisce che i musici, che servivano al tempo


dei romani nei sacrifici, sdegnati si partirono da Roma verso
Tivoli, dove ubriacatisi, furono ricondotti sopra carrette in
Roma252.

252 Tito Livio, Storia di Roma, IX, 30: “In quel medesimo anno si verificò

un episodio di cui non parlerei perché privo di importanza, se non fosse che
sembrò toccare la sfera religiosa. I flautisti, indignati perché gli ultimi censori
avevano loro vietato di celebrare il tradizionale banchetto nel tempio di
Giove (usanza tramandata fin dai tempi antichi), si recarono in massa a
Tivoli, sicché a Roma non rimase nessuno in grado di accompagnare con la
musica i riti sacrificali. Il senato guardò alla cosa come a un’irregolarità di
natura religiosa, e inviò a Tivoli degli ambasciatori con il compito di fare
tutto il possibile per ricondurre a Roma i suonatori. I Tiburtini garantirono il
loro interessamento: in un primo tempo convocarono i flautisti nella curia e
li invitarono a rientrare a Roma; ma poi, vedendo che non riuscivano a
convincerli, li ingannarono ricorrendo a un espediente del tutto appropriato
alla natura di quelle persone. In un giorno di festa i cittadini, chi in un modo
chi in un altro, invitarono i flautisti nelle loro case con il pretesto di rallegrare
il banchetto con la musica, e li fecero bere - i flautisti sono solitamente
molto amanti del vino -, finché si addormentarono. Così, immersi nel sonno
com’erano, li misero su dei carri e li riportarono a Roma. I flautisti non si
accorsero di nulla, se non quando la luce del giorno li sorprese ancora in
preda ai fumi dell’ebbrezza, sui carri abbandonati nel Foro. L’afflusso di
popolo che ci fu li convinse a rimanere. Fu loro concesso di andare in giro
per la città, tre giorni all’anno, suonando ornati a festa, abbandonandosi a
quel tipo di baldoria che è in uso ancora oggi, e venne di nuovo assicurato il
diritto di celebrare il banchetto nel tempio di Giove a quanti accompagnava-
no i riti sacri con la musica”.

- 141 -
ANGELO BERARDI

Fel. – Ella avverta che quella sorta di musici, che partirono


verso Tivoli, erano trombetti e suonatori di pifferi, e questi non
pregiudicano alla reputazione dei musici e cantori, perché sono
di diversa classe.

Gius. – Nelle storie dei romani si legge che questi ebbero in


pochissima stima la musica e che Catone e Scipione Emiliano
gli diedero la ripulsa, come professione molto aliena dai loro
costumi253: e Svetonio racconta che Nerone, per essersi troppo
dedicato al canto, venne in disprezzo presso tutti254.

253 Nell’antica Roma la musica ebbe soprattutto funzione di accompa-

gnamento nelle feste religiose. I Romani non ebbero uno stile musicale
proprio, ma seppero piuttosto adattare, fondere e sviluppare gli stili delle
diverse civiltà con le quali venivano a contatto. La musica venne utilizzata
anche per accompagnare le evoluzioni dei commedianti o per allietare i
sontuosi festini dei patrizi: purtroppo di tutte le melodie del teatro latino non
è rimasto nulla, né ci sono state tramandate indicazioni sul loro carattere:
solo Cicerone, a proposito della musica di Livio Andronico e Nevio, parla di
iucunda severitas, di un’austerità non priva di piacevolezza.
254 Gaio Svetonio Tranquillo, Vite dei Dodici Cesari, VI, “Nerone”, 23: “In

realtà non solo diede ordine di raggruppare in un solo anno quei concorsi
che avevano luogo in date differenti, facendone perfino ripetere alcuni, ma,
contrariamente alla consuetudine, ne organizzò uno di musica anche ad
Olimpia. E per non essere disturbato o distratto da qualcosa nel bel mezzo
di queste occupazioni, quando fu avvertito dal suo liberto Elio che gli affari
di Roma esigevano la sua presenza, gli rispose in questi termini: «Sebbene tu
sia dell’avviso ed esprima il desiderio che io mi affretti a tornare, tuttavia
avresti dovuto consigliarmi ed esortarmi a ritornare degno di Nerone.»
Quando cantava non era permesso uscire dal teatro, nemmeno per necessità.
E così, stando a quanto si dice, alcune donne partorirono durante lo spetta-
colo, e molti, stanchi di ascoltare e di applaudire, sapendo che le porte erano
sbarrate, saltarono furtivamente oltre il muro o si fecero portar fuori fingen-
dosi morti. D’altra parte è appena immaginabile con quanta ansia e con
quanta emozione gareggiasse, quale gelosia provasse per gli avversari, quale
timore mostrasse per i giudici. Si comportava nei confronti dei suoi avversari
come se fossero stati in tutto e per tutto suoi pari, li spiava, tendeva loro

- 142 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – V.S. non si meravigli, perché i Romani in quel tempo


erano bellicosi e di costumi più presto severi che piacevoli, e
per questa causa biasimarono Nerone, non solo come dissimile
dal loro genio, ma ancora perché con sua grandissima indegnità
abusava sin sulle pubbliche scene. Essa mi potrebbe soggiunge-
re quello che riferisce Plutarco d’Alessandro255, e Diodoro256

agguati, segretamente li screditava, qualche volta li ricopriva di ingiurie se li


incontrava, e, se erano molto bravi, cercava perfino di corromperli. Prima di
cominciare la sua esibizione, si rivolgeva con molta umiltà ai giudici dicendo
«che aveva fatto tutto quello che poteva, ma che il successo era nelle mani
della fortuna e che essi, come uomini saggi e competenti, dovevano prescin-
dere da tutto ciò che è fortuito». I giudici allora lo invitavano a farsi coraggio
ed egli se ne andava più tranquillo, ma non senza una certa inquietudine,
attribuendo il silenzio e la riservatezza di alcuni di loro a malumore e cattiva
disposizione nei suoi confronti e dicendo che essi gli erano sospetti”.
255 Plutarco d’Alessandria, grammatico. Di lui abbiamo notizia tramite

Ateneo di Naucrati (II-III sec. d.C.) ne I Deipnosofisti (“Sapienti a banchet-


to”), testo fondamentale per reperire notizie su letterati ed opere sui quali
non abbiamo fonti alternative.
256 Diodoro Siculo fu uno storico greco nato a Agyrion, l’odierna Agira

in provincia di Enna. San Girolamo scrive che Diodoro fiorì nel 49 a.C. e
questa data pare confermata dalle stesse parole di Diodoro. Il più antico
tratto autobiografico che egli segnala nella sua opera è il suo viaggio in
Egitto durante la 180a Olimpiade (fra il 60 e il 56 a.C.). In quell’occasione
egli fu testimone della rabbia della gente che chiedeva la pena di morte per
un cittadino romano reo di aver ucciso accidentalmente un gatto, animale
sacro agli Egizi (Bibliotheca historica, 1, 41 e 1, 83). Il dato storico più recente
invece è la menzione della vendetta di Ottaviano sulla città di Tauromenium
(l’odierna Taormina), colpevole di avergli rifiutato l’aiuto che sarebbe stato
necessario ad evitare la disfatta sul mare attorno al 36 a.C. Poiché Diodoro
sembra non sapere che l’Egitto diventò una provincia dell’Impero romano -
il che avvenne nel 30 a.C. - è presumibile che egli pubblicò la sua opera
prima di quella data. La Bibliotheca historica si pone come una storia universale
dalle origini del mondo alle campagne di Cesare in Gallia e in Britannia. Era
composta da 40 libri, suddivisi successivamente in pentadi e decadi. L’opera
non si è conservata integralmente. A noi sono giunti completi i primi 5 libri
(sull’Egitto [libro I], sulla Mesopotamia, sull’India, sulla Scizia e sull’Arabia

- 143 -
ANGELO BERARDI

degli egizi, con altre storie le quali, ben considerate, non appor-
tano alla musica biasimo alcuno.

Gius. – Adesso mi sovviene ciò che scrive Alessandro Tasso-


ni257, che dalla musica non se ne cava un utile al mondo, né
dottrina d’alcun profitto, e però Aristotele, ricercando l’allego-
ria, perché gli antichi fingessero che Minerva non avesse voluto

[II], sull’Africa settentrionale [III], sulla Grecia [IV] e sull’Europa [V]) e i


libri XI-XX (dal 480 e dai diadochi al 301 a.C.).
Diodoro Siculo attribuì la scoperta della lira al dio Thoth, e inoltre ci tra-
mandò che Osiride aveva una corte tutta composta di musici e ballerini, sui
quali eccellevano per maestria nove sorelle ed un fratello, che egli volle
chiamare rispettivamente Muse e Musagete. Relativamente al mito di Orfeo,
affermò che egli, “iniziato nelle scienze sacre degli Egizi, riportò in una
epoca più recente la nascita dell’antico Osiride ed istituì nuove iniziazioni”.
257 Alessandro Tassoni (Modena, 1565 – ivi, 1635), scrittore e poeta ita-

liano. Fu uomo di corte del cardinale Ascanio Colonna e del cardinale


Maurizio di Savoia e segretario del duca Carlo Emanuele I di Savoia. Nel
1614–1615 pubblicò le Filippiche, due invettive contro gli Spagnoli, in cui
invitava i principi italiani a ribellarsi, seguendo l’esempio del Savoia. Le
Filippiche sono anonime (il poeta temeva i sicari spagnoli), ma ne è quasi certa
l’attribuzione poiché, quando il Savoia fu costretto ad un riavvicinamento
con la Spagna, Tassoni dovette lasciare Torino per Roma e poi per Modena,
dove trascorse gli ultimi anni al servizio del duca Francesco I. Tassoni fu
uno degli scrittori più polemici del secolo. La pedantesca cultura caratteristi-
ca del periodo si coniuga in lui al desiderio del nuovo, alla ricerca del para-
dossale e del bizzarro. Nei Pensieri diversi, il Tassoni discusse problemi di
fisica, etica, psicologia, letteratura, difendendo i moderni, satireggiando
l’aristotelismo, ma confutando Copernico, a volte con pareri acuti, ma non
unificati da idee organiche e coerenti, altre volte con osservazioni decisa-
mente stravaganti. L’opera più importante del Tassoni è la Secchia Rapita,
pubblicata nel 1622, riveduta seguendo i suggerimenti della censura ecclesia-
stica e pubblicata in edizione definitiva nel 1630. La Secchia Rapita è il primo
esempio di poema eroicomico, il nuovo genere letterario che Tassoni soste-
neva di aver inventato. Il poema eroicomico è una mescolanza di comico ed
epico. Tassoni riprende in chiave parodistica gli elementi del poema eroico
(duelli, concili degli dei, etc.).

- 144 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

porsi alla bocca la cornamusa e l’avesse gettata disse, che ciò


voleva significare: Quod nihil confert tybiarum usus ad intelligentiam et
mentem258.

258 Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, X, 5 (“Le specie del piacere e il loro

valore”): “Ma ciò può risultare ancor più manifesto dal fatto che i piaceri che
derivano da attività diverse sono d’ostacolo alle attività. Per esempio, quelli
che amano il flauto sono incapaci di concentrarsi nei ragionamenti, se
sentono qualcuno suonare il flauto, perché provano maggior piacere nell’arte
del flauto che nella loro presente attività; il piacere derivante dal suono del
flauto distrugge dunque l’attività relativa al ragionamento. Questo stesso
fatto succede anche negli altri casi, quando si esercita la propria attività in
relazione a due oggetti contemporaneamente, giacché l’attività più piacevole
scaccia l’altra, e ciò tanto più quanto maggiore è la differenza dal punto di
vista del piacere, cosicché non è più possibile esercitare neppure l’altra
attività”.
Cfr. anche John Case, Sphaera Civitatis, Oxford, 1588, VI. 7: “Quarto sic
disserit Aristoteles. Opus fistularis musices est servile et illiberale: ergo non
id genus musices est permittendum. Antecedens constat, quia fistularis
musica suscepta est lucri et mercedis causa. Ratio tenet, quia ea sola musica
est perdiscenda in placato statu reipublicae quae est tantum hominibus
liberis et ingenuis digna. Postremo a philosopho hoc modo concluditur.
Minerva fistulas a se repertas abiecisse dicitur, idque ob duas causas: primum
quia oris deformitate offensa erat; tum vel maxime quia hoc genus harmo-
niae nihil usus ad intelligentiam et mentem adfert: talis ergo musica in statu
florente civitatis non est exercenda. Sed attendendum hic est non solum
laboriosam musicam et fistularem hoc loco, sed etiam voluptuosam et nimis
exquisitam (quam mirabilem appellat Aristoteles) reiiciendam esse, maxime
vero si vel ad turpe lucrum, ut illa, vel ad luxum et voluptatem, ut haec nimis
delicatula referatur. Eo igitur accedunt omnia, eo inquam omnia, eo Aristo-
telis praecepta tendunt ut in musica (sive illa sit vocalis sive organica) solam
virtutis vocem audiamus, eiusque harmonica praecepta non tam voce canere
quam mente sapere perdiscamus”.
Trad.: “In quarto luogo, Aristotele definisce in questo modo: la musica per
fistula (antenato del flauto dolce) è servile e gretta, pertanto questo tipo di
musica non è permessa. Quella antecedente è più conveniente, dal momento
che la musica per flauto viene composta per il profitto e il compenso. Le
ragioni ci sono, perché in una condizione tranquilla dello stato, solo la
musica deve essere appresa poiché è degna degli uomini nati liberi. Infine, il
filosofo tira le conclusioni in tal senso. Si dice che Minerva abbia rigettato il

- 145 -
ANGELO BERARDI

Fel. – Invitato un filosofo a portar ragioni contro uno che


negava il moto, senza degnarsi di rispondere, sciolse coi piedi
ciò che quello impugnava col capo, volle con quell’atto inse-
gnarci che sono inutili le dispute e superflue le ragioni, dove
milita l’esperienza. La musica perfeziona l’intelletto, solleva
l’uomo quando tralascia i negozi, dispone l’animo alla virtù,
riduce l’uomo prudente e, mediante questa nobilissima scienza,
perviene ad un abito buono e virtuoso, quale poi lo conduce
per la via dei buoni costumi all’auge d’ogni virtù e contento.

Gius. – Fra i professori della musica, ho notato che la satira si fa


sentire assai, e non poco.

Fel. – Se alcuni (tali e quali) considerassero che questa muove il


riso negli ascoltatori, ma fa ben spesso piangere gli autori, forse
forse non sarebbero così maldicenti.

flauto (piffero) sebbene lei stessa lo avesse inventato, e questo per due
ragioni: la prima poiché era disgustata dalla deformità che assumeva il volto
nell’atto del suonare; la seconda, e più importante, perché il tipo di armonia
non contribuiva affatto al miglioramento della comprensione e
dell’intelligenza. Tuttavia, va rimarcato che in questo contesto non solo la
musica molto ricercata e quella per flauto erano da respingere, ma anche la
musica voluttuosa e eccessivamente elaborata (che Aristotele definisce
«sorprendente»), in particolar modo se riferita al facile guadagno, come la
prima, o alla dissolutezza e al piacere, come la seconda. Pertanto, tutti i
precetti di Aristotele tendono a questo fatto, che nella musica (sia vocale che
strumentale) dobbiamo solo udire la voce della virtù e apprendere non a
cantare i suoi armoniosi precetti con la nostra voce, ma a conservarli nella
nostra mente”.

- 146 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Io però non ne piglio ammirazione: da un nobil inge-


gno259 la satira fu chiamata il Celindro260, la quale è una pietra
che mossa una volta non sa più fermarsi, e il musico261 avendo
per obiettivo il moto sonoro, è necessario che questi moti
sempre s’aggirino intorno all’esercizio o della lingua o della
voce.

Fel. – Io ho fatto più volte riflessione su questo particolare, e


trovo che i musici eccellenti, addottrinati nella scuola della
buona armonia, aborriscono le satire e la maldicenza; sanno
benissimo che, se il mondo ammira la vaga tessitura delle con-
sonanze nei loro dotti componimenti, altrettanto detesterebbe e
con ragione le dissonanze della loro mordacità. Si sa benissimo
che la lingua è una fiamma, che avvalorata dal vento della mal-
dicenza incenerisce la reputazione del prossimo, a parere di S.
Giacomo apostolo: Lingua ignis est262. I musici satirici e maldicen-
ti si fanno conoscere poco intendenti della professione musica-
le: questa con le figure e con le pause dimostra al perito cantore,
quando deve sciogliere la voce al canto e quando moderarla col
silenzio, quelli che errano nel contare le pause, cioè nel saper
tacere, errano ancora nella modulazione, dunque sono quella
sorta di musici che non sanno né contare, né cantare; la seconda
conseguenza la faccia essa263. Quando questo argomento non
basti per far apparire l’ignoranza di questi cicaloni, lo proverò

259 Il riferimento è probabilmente a Quinto Orazio Flacco.


260 Cilindro.
261 Qualifica che ne distingue e privilegia il duplice impegno in ambito

speculativo e pratico.
262 Lettere Cattoliche, Giacomo (3:6): “Anche la lingua è un fuoco”.
263 “La tragga lei stesso”.

- 147 -
ANGELO BERARDI

con l’autorità di S. Giovanni Climaco: Loquacitas est ignorantiae


certum argumentum264: potrei portare moltissime autorità e dottrine
sopra questo particolare; ma poiché né io sono maldicente, né
mi posso persuadere che i buoni e virtuosi musici siano tali,
però non starò a dir altro sopra questa materia.

Gius. – Così non se ne trovasse come se ne trova di questa razza


di ciarloni e maldicenti. Stimerei gran carità imparargli qualche
rimedio a proposito per il loro male.

Fel. – Due rimedi sono a proposito per medicare la lingua del


maldicente. Il primo è un medicamento soave, che non apporta
dolore, ed è il silenzio, padre della prudenza e della sapienza.
Solone265, prudentissimo filosofo, avendo usato un lungo silen-
zio in un certo convito, vi fu chi disse: Hic vel stultus, vel mutus: al
quale con acutezza d’ingegno rispose il filosofo: Non utique
mutus, cum loquar, nec stultus, cum tacuerim, silentii enim observantia
opinionem mihi paravit sapientis266.

264 S. Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso: “La loquacità è dimostra-

zione certa dell’ignoranza”.


265 Solone fu un importantissimo legislatore nell’antica Atene. È vissuto

tra il VII e il VI secolo a.C. Ateniese di nobile famiglia, dopo essersi dato in
gioventù ai commerci, si dedicò tutta la vita alla politica. Fu considerato dagli
antichi uno dei ‘Sette Savi’. La sua poesia risente spesso del suo impegno
politico. Il suo operato ad Atene, in quanto legislatore o “arbitro della
costituzione”, come lo definisce Aristotele , è articolato in tre punti principa-
li: l’abolizione della schiavitù per debiti; la riforma timocratica o censitaria e
la riforma del sistema attico di pesi e misure, che passò dal sistema eginetico
a quello ionico-attico. All’arrivo di Pisistrato sulla scena politica ateniese si
ritirò in esilio volontario.
266 La citazione è tratta dalle Vita di Solone di Plutarco. Tra le Vite Parallele

di Plutarco, quella di Solone è una di quelle che rievocano con più intensità

- 148 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Gius. – Questo è un rimedio soavissimo, e chi non ne approfit-


terebbe?

Fel. – Il secondo l’insegna Davide: Quid detur tibi, aut quid


apponatur tibi ad linguam dolosam? Sagittae potentis acutae, cum
carbonibus desolatoriis267. Il medico, vedendo la lingua
dell’infermo arsa per l’estremo calore della febbre, ordina che
sia refrigerata o con acque fresche, o con altro liquore; il regio
profeta, vedendo la lingua del maldicente bruciare, per l’arsura
della maldicenza: Quid detur tibi, aut quid apponatur tibi ad linguam
dolosam? Non sa trovar rimedio più certo e a proposito che
d’estirparla col ferro o bruciarla col fuoco: Sagittae potentis
acutae, cum carbonibus desolatoriis.

Gius. – Quest’altro è più potente per restituire la sanità a questa


sorta d’infermi, ma lasciamoli in santa pace. Avanti che termi-
niamo il nostro ragionamento vorrei sapere perché nella Cap-
pella Pontificia non si usa suonare l’organo.

Fel. – Nella Cappella Pontificia non si usa l’organo né altro


strumento musicale, godendosi in quella una soave melodia,

la Grecia arcaica, e il sapore rustico e leggendario di quella esistenza. Sullo


sfondo conosciamo le lotte tra i fautori della democrazia e dell’oligarchia, la
tensione tra i ricchi creditori e i poveri debitori. Solone è il simbolo
dell’uomo ‘medio’, al quale le forze contrapposte dello stato affidano il
compito di fondare il giusto equilibrio e l’armonia del tutto, stabilendo le
leggi della convivenza civile: “costui o è sciocco, o è muto – non del tutto
muto, tanto da parlare, né sciocco, tanto da tacere; infatti l’osservanza del
silenzio mi procurò la stima di sapiente”.
267 Libro dei Salmi, (120:3): “Che ti posso dare, come ripagarti, lingua in-

gannatrice? Frecce acute di un prode, con carboni di ginepro”.

- 149 -
ANGELO BERARDI

cagionata dalle voci sonore e perfette di quei musici. I bassi, nel


simbolo dell’umiltà maggiormente innalzano la base, per soste-
nere l’obelisco delle loro glorie. I tenori, mantenendo intatta la
pura osservanza della vera armonia, si fabbricano appresso il
mondo applausi d’oro, illustrando eternamente il loro grido. I
contralti, innalzandosi per l’aria delle più fine vivezze della
professione armonica, fanno risuonare dappertutto le meraviglie
della loro virtù. I soprani, toccando il sopracuto di tutti gli
applausi, hanno impoverito l’erario dell’eternità, per arricchire
di gloria il loro nome. La Cappella Pontificia è simbolo di quella
sacrosanta cappella del paradiso268, nella quale i beati godono la
visione di Dio, il canto degli angeli non è accompagnato
dall’organo, né da latro strumento materiale, così in questa
ognuno sta rivolto alla faccia del pontefice, godendo l’armonia
delle voci e sollevando l’animo ai celesti godimenti del paradiso.

Gius. – Sono rimasto soddisfattissimo in tutto e per tutto, e


poiché siamo entrati nella città, termineremo il nostro ragiona-
mento contentandosi che la serva fino a casa per godere un
poco di più la sua conversazione.

Fel. – Ringrazio V.S. ognuno goda la sua libertà da veri amici.

Gius. – Devo passare per quella strada, per essere nel palazzo
dell’eminentissimo padrone a servire il sig. abate Sampietri269.

268 Il canto del coro della Cappella Sistina viene associato al coro angeli-

co, figura tipica dell’iconografia sacra.


269 Carlo Antonio Sampietri, fondatore dell’Accademia Filosofica di Bo-

logna e dedicatario dell’opera.

- 150 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Fel. – A piramide più nobile V.S. non poteva appoggiarsi, che


ad un cavaliere la cui grandezza racchiude in sé ciò che di glo-
rioso s’ammira negli eroi dei secoli trascorsi.
Gius. – V.S. ha detto benissimo essendo il suo cuore l’altare
dell’onestà, il suo affetto lontano da ogni bassa affezione, e la
sua ragione misura del ragionevole.

Fel. – Tutte queste nobili qualità convengono al magnanimo. La


magnanimità è la più grande, la più illustre e la più eccellente
delle umane virtù, dunque è degna dei più grandi e illustri onori
che si possono attribuire ad un mortale.

Gius. – Certo è, che il sig. abbate non sarebbe salito al tempio di


quell’onore, che con tanto applauso gode nella corte romana, se
non fosse passato per quello della virtù, mentre l’uno è l’atrio
dell’altro.

Fel. – Non ho alcun dubbio, poiché sposa bellissima è la gloria,


ma sposar non la può chi non atterra il Trifauce del vizio270. Se
poi si riguarda il suo splendore, in questa parte non conosce
uguale, né superiore, di modo tale che le qualità adorabili del
sig. abate Carlo Antonio Sampietri sono tante, che necessitano
più alla meraviglia che agli encomi; lei mi farà grazia di raccor-
darle la mia umilissima servitù. E, poiché siamo ormai vicini

270 Il vizio viene paragonato a Cerbero, il cane dalle tre teste posto a

guardia sulle rive dello Stige, la cui caratteristica specifica è una fame mai
soddisfatta. Durante il Medioevo nella figura di Cerbero erano confluiti i
simboli dell’ingordigia e della voracità, e quello dell’odio e della discordia
intestina.

- 151 -
ANGELO BERARDI

devo dirle per conclusione del nostro discorso, che il musico


cristiano deve comporre nell’anima sua una musica divina,
cantando con il profeta queste parole: Cantabiles mihi erant giustifi-
cationes tuae in loco peregrinationis meae271: e servirsi di UT, RE, MI,
FA, SOL, LA come scala per salire al cielo cantando in questa
maniera.
UT. utinam dirigantur viae meae ad custodiendas iustificationes tuas.
Ps. 118.272
RE. Recogitabo tibi omnes annos meos in amaritudine anima mea. Essai.
Cap. 38.273
MI. Mihi autem absit gloriari nisi in Cruce Domini nostri Iesu Christi.
Ap. Ad Gal. Cap. 6274
FA. Facies tuam illumina super servum tuum, et doce me iustificationes
tuas. Psal. 118.275
SOL. Solve vincula colli tui captiva filia Sion. Essa. Cap. 52.276
LA. Laudabo nomen Dei cum cantico, et magnificabo cum in laude.
Ps. 68.277

271 Libro dei Salmi, (118:54): “Sono canti per me i tuoi precetti, nella terra

del mio pellegrinaggio”.


272 Libro dei Salmi, (118:5): “Siano diritte le mie vie, nel custodire i tuoi

decreti”.
273 Libri Profetici, Isaia (38:15): “Il sonno si è allontanato da me per

l’amarezza dell’anima mia”.


274 Lettere di S. Paolo, Lettera ai Galati (6:14): “Quanto a me invece non

ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo”.
275 Libro dei Salmi, (118:135): “Fa’ risplendere il volto sul tuo servo e inse-

gnami i tuoi comandamenti”.


276 Libri Profetici, Isaia (52:2): “Sciogliti dal collo i legami, schiava figlia di

Sion!”.
277 Libro dei Salmi, (68:31): “Loderò il nome di Dio con il canto, lo esalte-

rò con azioni di grazie”.

- 152 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Il discendere sempre fu pericoloso, e perciò ogni musico si deve


guardare di non cantare alla fine della sua vita LA, SOL, FA,
MI, RE, UT, con dire:
LA. Lassati sumus in via iniquitatis, et perditionis. Sap. 5.278
SOL Sol intelligentia non est ortus nobis, et in malignitate nostra consu-
mati sumus. Sap. 5.279
FA. Faciem meam operuit caligo. Facies mea intumuit [rubuit] a fletu.
Iob. Cap. 16 e 23.280
MI. Miserabiliores facti sumus omnibus hominibus. Ap. 1 ad Corin. 15.281
RE. Repleta est malis anima mea. Repleti sumus despectione. Psal. 7
e 122.282
UT. Utinam consumptus essem, ne oculus me videret. Iob. Cap. 10.283
Ora che siamo giunti al palazzo, chiuderò il nostro ragionamen-
to con queste belle parole, degne d’essere scolpite a caratteri
eterni nella nostra memoria:

278 Libro della Sapienza, (5:7): “Ci siamo saziati nelle vie del male e della
perdizione”.
279 Libro della Sapienza, (5:6,13): “Né mai per noi si è alzato il sole (v. 6),

siamo stati consumati dalla nostra malvagità (v. 13)”.


280 Giobbe, (23:17 e 16:16): “Né a causa dell’oscurità che ricopre il mio

volto (23:17), la mia faccia è rossa per il pianto (16:16)”.


281 Lettere di S. Paolo, Prima Lettera ai Corinzi (15:19): “Siamo da com-

piangere più di tutti gli uomini”.


282 Libro dei Salmi, (87:4): “Io sono colmo di sventure” e (122: 3): “Già

troppo ci hanno colmato di scherni”.


283 Giobbe, (10:18): “Fossi morto e nessun occhi m’avesse mai visto”.

- 153 -
ANGELO BERARDI

O illum beatum, qui moriens et vitae Musicam finiens, in auribus postero-


rum sonum relinquit modestiae ac virtutis, Beatum, qui repagulis, atque
custodiis corporae molis liberatur, et in eterna illa Templa penetrans
suavissimum septem orbium concentum humanis auribus incognitum
percipere, et intelligere meruit284.

284 “O beato colui, che morente e a conclusione della vita, lascia nelle o-
recchie dei posteri il suono della modestia e della virtù, beato, chi viene
liberato dalle catene e dalla prigione della massa corporea, e in eterno ascolta
in quel tempio l’armonia delle sette sfere in un soavissimo concerto per le
orecchie umane e raggiunge la conoscenza”.
Berardi cita i versi di Vario e di Varrone Atacino nel capitolo “De strophe et
antistrophe et epodo” del primo libro dell’Ars grammatica, a conforto della
tradizione che fa derivare il canto corale sacro dall’imitazione umana dell’armonia
prodotta dal moto celeste. Nei versi dell’Atacino un soggetto non identificabile
avverte l’armonia astrale del cosmo, suddiviso in sette sfere, che ruota attorno
all’asse celeste, mentre Febo cerca di riprodurla sulla lira. Gli studiosi hanno
posto il frammento in relazione con altre opere, precedenti a Varrone, in cui è
trattata sia la dottrina dell’armonia delle sfere celesti, di origine pitagorica (a
parere di Giambico, Pitagora era in grado di udire l’armonia degli astri come in
stato di trance. Secondo la teoria pitagorica, la stoffa dell’universo era composta
di ritmi, numeri e proporzioni; e considerando che gli intervalli musicali quali
l’ottava, la quinta, la terza si potevano ottenere facendo vibrare corde le cui
lunghezze erano frazioni intere della lunghezza della nota fondamentale, lo
stesso si poteva dire per il cosmo come sistema armonico, i cui sette ‘pianeti’
conosciuti - sole, luna e i cinque pianeti visibili - potevano essere messi in
corrispondenza con le sette note naturali.), secondo la quale le sfere concentriche
rotanti intorno alla terra emettono ciascuna una nota di diversa intensità, sia
(come nel fr. 13 di Varrone) quella delle cinque zone climatiche della terra. Le
opere in questione sono l’Hermes di Eratostene (frr. 13, 15 e 16) e il Somnium
Scipionis di Cicerone (a Scipione Aureliano fa ascoltare, durante il sonno, la
medesima musica, e che gli fa chiedere, stupito: “Ma che suono è questo, così
intenso e armonioso, che riempie le mie orecchie?”. “È il suono”, rispose, “che
sull’accordo di intervalli regolari, eppure distinti da una razionale proporzione,
risulta dalla spinta e dal movimento delle orbite stesse e, equilibrando i toni acuti
con i gravi, crea accordi uniformemente variati; del resto, movimenti così
grandiosi non potrebbero svolgersi in silenzio e la natura richiede che le due
estremità risuonino, di toni gravi l’una, acuti l’altra”), che gli studiosi hanno
individuato di volta in volta come modelli dell’Atacino.

- 154 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

NOTA DI DIVERSI AUTORI


che hanno scritto della musica tanto speculativa quanto pratica

A
s. Agostino
s. Ambrogio
Aristotele (speculativa)
Aristide Quintiliano (speculativa)
Aulo Gellio (speculativa)
Alipio introd. de Mus. (speculativa)
Andrea Ornito
Angelo Poliziano
Anselmo da Parma
Adriano Petit
Adriano Banchieri (pratica)
p. Angelo Costera (pratica)
Alemanno Benegli (pratica)
Aristosseno (speculativa)
Apuleio (speculativa)
Andrea Fabio Stap.
Antimo Liberati, musico della cappella pontificia (pratica)
fr. Alberto Veneziano, dell’Ordine de’ Predicatori
Amonio Filosofo (speculativa)
Aurelio Cassiodoro
don Andrea Matteo Acquaviva, duca d’Atri
Andrea Papio gandavense
p. Athanasius Kircher (speculativa)

- 155 -
ANGELO BERARDI

B
Beda (speculative)
s. Bernardo
Berno Abate
Bizcargni
Beccieo
padre abate d. Benedetto Stella
fr. Bonaventura da Brescia
Biagio Rossetti can. piano
Bartolomeo Ramis
Balthasar Ruiz
Benedetto Bicorio
Bac Trappa numeniano
Boezio (speculativa)
l’eminentissimo Bona

C
Censorino
Cirvelo
Cristoforo de Regina
Chiron
monsignor Carlo Pellegrini

D
Diruta, nel Transilvano
Deodato, teologo (speculativa)
Diomede (speculativa)
Didimo, musico pitagorico (speculativa)

- 156 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

E
Erasmo Lapicida
Erigo Purano (speculativa)
Emmanuel Brenio (speculativa)
Euclide, Introduzione della Musica (speculativa)

F
Franchino Gaffurio (pratica)
Fior Angelico
Francione
Francesco Maurolicio abate
Francesco Tobar
p. Francisco Lervera valenziano
Francesco Salina (speculativa)

G
Gregorio Magno papa
Guido Aretino, monaco benedettino
Galerano, sopra i tuoni
Giorgio Vaglia piacentino
Guglielmo de Podiis
Guglielmo de Mascardio
Gregorio Ravennate
Gaudenzio, nella sua Istruzione Armonica
Gonzalo Martinez
Giovanni XXII papa
fr. Giovanni Bermudo
Giovanni Spadario, bolognese
fr. Giovanni Othosio, carmelitano

- 157 -
ANGELO BERARDI

Giovanni Scrivano
Giovanni Spinosa
Giovanni, cartusiense
Johannes de Muris, parigino (speculativa)
Johannes Tinctoris
Giovanni de Pena, francese
Giovanni Maria Artusi (pratica)
Giovanni Maria Lanfranco
Giovanni Martino
Giulio Poluce
Fr. Giovanni d’Avella (pratica)
Gioseffo Zarlino (speculativa e pratica)
Giovanni Andrea Scerbst. (pratica)
Giovanni Maria Bononcini, modenese (pratica)
Johann Heinrich Alstedt (pratica)

H
Hermann Finck (pratica)
[H]Enrico Barisonio

I
Illuminato Aquino, da Brescia
s. Isidoro

L
Lucebella Lampadio lucembur.
Lodovico Celio Richiedo (Celio Rodigino)
Lodovico Fogliari, da Modena (speculativa)
Lodovico Zacconi, da Pesaro agostiniano

- 158 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

d. Lorenzo Pazio, cremonese


p. Luciano, filos. de cons.

M
Macrobio, filosofo (speculativa), In somnius Scipionis
Marsilio Ficino
Marco Tullio Cicerone (speculativa)
Margarita Filosofica
Marziano Capella
Marchetto da Padova
Michele Martino
Melchior Torres
p. Marin Mersenne, dell’ordine dei Minimi (speculativa)
Marco Scacchi, in diverse opere (pratica)

N
Nicola Bolicio, baorducense
d. Nicola Vicentino (pratica)
Nicola Burcio, da Parma

O
Ottomano Luscino d’Argenta. La Musurgia
Orazio Zigrini (pratica)
Orazio Scaletta

P
Pietro di Lodola
Pietro Aron
Pietro Ponzio da Parma

- 159 -
ANGELO BERARDI

d. Pietro Aragona, fiorentino. Istor. Amonica


Pietro Canuncio
Pitagora, filosofo (speculativa)
Pseglio
Porfirio Piacentino
Plutarco. De Musica

R
Razzon, Musico prattico
Recaneto
Rubineto
Rocco Rodio (pratico)

S
Sebaldo Neiden
Scipione Cereto da Napoli (pratico)
Setho Calvisio (pratico)
Silverio Picerli (pratico)

T
Tolomeo Filadelfo, degli Armonici
Tarazzona
Fr. Tommaso di S. Maria, dell’ord. di s. Domenico

V
fr. Ventura Volaterano
Vincenzo Lusitano
Vincenzo Galilei
Villafranca

- 160 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

INDICE
delle cose più notabili

Il numero significa la pagina

A
Accidenti musicali nell’aria pag. 104
sulla terra 112
Amore più potente fra le passioni 9
è il solo frutto dell’amicizia 11
è padre della musica 65
Amicizia, e suoi atti 10
Ambasciatori barbari con strumenti musicali in mano 81
Anticamente era biasimato chi non era versato nello
studio della musica 58
Animali innamorati dell’armonia 61
Animali sociali 103
Apollo con le Muse placa gli dei 81
Armonia fra le sfere celesti 23
perché non sia goduta da noi 25
Armonia negli elementi 107
Arti liberali, quante e quali siano 15
Autori che hanno scritto della musica 155

B
Beda favorevole alla speculativa 15

- 161 -
ANGELO BERARDI

C
Cavalieri, che si dilettano nella musica 71
Canto, che cosa sia 79
Che decoro e nobiltà riceva la musica essendo
enumerata fra le arti liberali 17
Chirone guariva con la musica molte infermità 76
Complimenti superflui nella vera amicizia 11
Corda, e suo significato 37
Considerazione della musica inferiore giovevole all’anima 115
Contrappunto all’8., 10. e 12. con le sue regole 130

D
Definizione della musica 13
Descrizione della musica 60
Divisione della musica 21
Diversità degli stili usati nella musica 118

E
Effetti della musica 73
Elementi fanno l’ufficio delle quattro parti 110

F
Felicità non si trova nei beni esteriori 32
si trova solo nella virtù 33

- 162 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

Forza della musica 50


Fra quali scienze sia collocata la musica 90

G
Gelimero, re dei Vandali 77
Giulio da Montana 84
Guido monaco aretino, inventore delle sillabe
Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La 51
Grammatico senza musica 94
S. Gregorio Magno e il Venerabile Beda si ricreavano
nella musica nell’età decrepita 96

H
[H]Uomo virtuoso qual sia 32
[H]Uomo animale sociale più di ogni altro 103

I
Il cammino è lungo e il tempo è breve per
l’acquisto della virtù 57
Imperatori dediti alla musica 70
Inventore del violino 36
Il sapere e l’intendere convengono solo all’uomo 12
[In]Strumenti musicali sono di tre tipi 35

- 163 -
ANGELO BERARDI

L
Leggi della beneficenza 11
Lingua posta dagli egizi sotto le mani 125
Lira eretta per corpo d’impresa 51
Logica moralmente necessaria per l’acquisto delle scienze 92

M
Marcello primo, che fu martire, era musico 66
Mano, e suoi pregi 125
Medico senza musica 94
Messe a cappella, come devono essere effettuate 127
Mondo elementare vien chiamato organo
da Dorlao pitagorico 115
Mondo sublunare cammina con regola musicale 111
Musica è scienza 18
sua denominazione 19
Musica umana 30
Musica [in]strumentale qual sia 34
Musica sommersa per l’inondazione del diluvio,
e dopo da chi fu ritrovata 49
Musica introdotta nei sacri tempi 71
regolatrice delle passioni 79
addolcisce gli animi adirati 83
ha forza di muovere gli affetti 84
oggi in maggior perfezione 85
necessaria ad ogni stato e grado di perfezione 95

- 164 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

N
Nabla, che [in]strumento sia 47
Nell’armonia delle sfere si trova il grave ed acuto 26
Nel picciol mondo, che è l’uomo, si trova quanto
s’accoglie nel mondo superiore 114
Nella cappella pontificia non si costuma di
suonare l’organo e perché 149
Nobiltà umana della musica 65
Numero quaternario abbraccia e genera
tutte le consonanze 108

O
Ogni voce è suono, ma non ogni suono è voce 34
Opinione circa gli inventori della musica 44

P
Palestrina difende la musica 69
Papi amatori della musica 69
Parasio e Nicia pittori eccellenti 77
Perché si deve imparare la musica 89
Profeti ricevono maggiormente il dono della profezia
al suono di qualche [in]strumento musicale 82

Q
Qualità che deve avere il corpo per rendere il suono 34

- 165 -
ANGELO BERARDI

Quante e quali siano le necessità 91


Quelli che biasimano la musica sono incapaci d’armonia 58

R
Re che hanno dato opera alla musica 70
Rimedi per la lingua maldicente 148

S
Saffo Erista poetessa inventò l’arco con i crini di cavallo 36
Salomone fu peritissimo nella musica 72
Santi, che hanno illustrata la musica 69
Se nella musica sia più nobile la speculativa o la pratica 14
Se i cieli siano di materia fluida o solida 23
Socrate impara la musica nell’età cadente 93
Silla si ricrea col canto 78
Stile teatrale e suoi avvertimenti 123
Stile romano abbracciato da tutto il mondo 129

T
Tigre nemica della musica 63
Tivoli città principale del Lazio 137
Tubal primo e vero inventore della musica 45

- 166 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

U
[V]Uno è il concetto del mondo 104
[V]Uso degli [in]strumenti biasimato da alcuni santi padri 37
approvato dagli altri 42

V
Vari detti e storie contro la musica, e sue risposte 138
Virtù infinitamente desiderabile 57

- 167 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

BIBLIOGRAFIA

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di Zerynthia, 1997;

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moderna musica, Venezia, Vincenti, 1600 (rist. anastatica Bologna,
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Pontio, 1591.

MADRICARDO ALBERTO, Musica, filosofia e scienza in Grecia: Pitago-


ra e Filolao, saggio inedito.

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IV, pp. 511-531, Torino, Utet, 1985-1990.

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ZARLINO GIOSEFFO, Le istituzioni armoniche, Venezia, Senese,


1562.

- 172 -
RAGIONAMENTI MUSICALI

INDICE GENERALE

Introduzione di Alceste Innocenzi pag. I

Nota al testo “ IX

Ragionamenti Musicali
Dedica di Giuseppe Orsolini
a Carlo Antonio Sampieri “ 1

L’autore a chi vuol leggere “ 3

Del Signor Liberato Palenga canonico del


duomo di Spoleto al signor D. Angelo Berardi
Sonetto di dedica “ 5

DIALOGO PRIMO
Della definizione, divisione e origine della musica “ 7

DIALOGO SECONDO
Della nobiltà della musica, suoi effetti
e perché si deve imparare “ 55

DIALOGO TERZO
Dell’armonia mondiale, della diversità degli stili
e contrappunti, con la risposta ad alcune
opposizioni contro la musica “ 101

Nota di diversi autori che hanno scritto della musica “ 155

Indice delle cose più notabili “ 161

Bibliografia “ 169

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