di Stefano Campagnolo*
Da quando c’è stato modo, grazie alla meritoria opera di Angelo Gilardino,
di disporre del fondo dei manoscritti che furono di Andrés Segovia, sono
tornate in luce molte importanti opere che si credevano scomparse, o di
cui non si sospettava l’esistenza, arricchendo sensibilmente il repertorio
novecentesco della chitarra classica. Si è inoltre fatto accesso a capolavori
già noti, spesso veri e propri capisaldi della letteratura per lo strumento, in
una inedita versione con importanti divergenze rispetto al testo conosciu-
to, in versione autografa del compositore1. È stato così possibile penetrare
da vicino il metodo di lavoro – già parzialmente intravisto attraverso altre
composizioni e gli epistolari di cui si disponeva, come quello fra Segovia
e Ponce2 –, che contraddistingueva il maestro spagnolo nel suo rapporto
con i musicisti che scrivevano sotto la sua sollecitazione. In sintesi, Segovia
disponeva molto liberamente dei testi che venivano per lui predisposti. Gli
interventi spaziavano da minime modificazioni volte a rendere scorrevole un
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3 Un esempio eclatante di tali modificazioni ‘coloristiche’ è dato dal Fandanguillo, op. 36 (1926)
di Joaquin Turina (1882-1949): il manoscritto autografo (conservato presso la Fundación
Juan March) è privo di tutti gli effetti strumentali, dalla tambora al rasgueado, che rendono il
pezzo tanto caratteristico.
4 Tale disinvoltura nei confronti del testo era considerata accettabile in un’epoca in cui si
producevano pastiche sotto nomi fittizi, in cui si mescolavano liberamente movimenti di
diverse composizioni, anche pezzi di secoli passati e parti scritte nel Novecento, senza tema
di anacronismi. Una simile mancanza di sensibilità ‘filologica’ era perlopiù comune a tutti
i grandi esecutori e direttori a quel tempo, con rare lodevoli eccezioni, ma nell’ambito
chitarristico è rimasta in vita ben oltre gli anni ’70, e talune pratiche sopravvivono ancor
oggi. Ho assistito personalmente pochi anni or sono alla master class di uno dei più celebrati
interpreti contemporanei in cui il Maestro spiegava all’allievo, a proposito del Concerto op.
30 di Mauro Giuliani (1781-1829), che “ci sono due versioni di tale concerto, una più lunga
dell’altra”, ma che la sua preferenza andava senza dubbio alla più breve: come noto, esiste
una sola versione con orchestra del Grand Concerto in la maggiore, con archi e fiati, capolavoro
assoluto del repertorio della chitarra, mentre quella cui faceva riferimento il Maestro non è
che la versione mutila e con i soli archi e una parte di timpani aggiunta che si deve a Romolo
Ferrari (1894-1959) e al compositore Ennio Porrino (1910-1959), in cui l’intera sezione dello
sviluppo sonatistico del primo movimento, circa tre minuti di musica, è stata soppressa (cfr.
Massimo Agostinelli, Le composizioni dell’Ottocento nel Fondo Ferrari, in Romolo Ferrari e la chitarra
in Italia nella prima metà del Novecento, a c. di Simona Boni, Modena, Mucchi, 2009, pp. 81-94:
82-84). Sarebbe quasi a dire che Maurizio Pollini abbia affermato di preferire all’originale
una delle tante versioni semplificate del Notturno op. 9, n. 2 di Chopin.
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5 Gli studi su Mario Castelnuovo-Tedesco, su cui hanno pesato gli orientamenti ‘adorniani’
della critica novecentesca, come su tutti i compositori che hanno continuato a scrivere
musica tonale, hanno ricevuto un importante contributo con la pubblicazione della sua
autobiografia, scritta fra il 1952 e il 1955 e ritoccata fino al 1966, che l’autore cercò vanamente
a più riprese di pubblicare in vita: Mario Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica: un libro di
ricordi, a c. di James Westby, intr. di Mila De Santis, Fiesole, Cadmo, 2005. All’autobiografia
bisognerebbe aggiungere i vari e numerosi epistolari in archivi privati e pubblici e il fondo
principale dei manoscritti di Castelnuovo-Tedesco depositato presso la Library of Congress
(una descrizione e un indice sono recuperabili a questo URL: http://infomotions.com/
sandbox/liam/pages/httphdllocgovlocmusiceadmusmu010012.html) in via di dissodamento.
Gli studi su Castelnuovo-Tedesco possono contare su una datata monografia collegata alla
chitarra: Corazon Otero, Mario Castelnuovo Tedesco su vida y su obra para guitarra, Lomas de
Bezares (Mex.), Ediciones Musicales Yolotl, 1987 (in ed. inglese: Mario Castelnuovo-Tedesco:
his Life and Works for the Guitar, Newcastle, Ashley Mark, 1999) e sulle voci biografiche dei
principali dizionari, musicologici e non solo. Per fortuna sono disponibili due studi critici
accurati: quello di Alberto Compagno, Gli anni fiorentini di Mario Castelnuovo-Tedesco: 1895-1939,
s.n., 2000, rielaborazione di una tesi di laurea (Università degli studi di Firenze, 1995), che ha
l’unico limite, programmatico, di arrestarsi al periodo italiano; e l’ottimo Cosimo Malorgio,
Censure di un musicista: la vicenda artistica e umana di Mario Castelnuovo-Tedesco, Torino, Paravia,
2001. Un utile compendio recente, con ulteriore bibliografia, è il medaglione di Roberto
Brusotti, Ritratti critici di contemporanei: Mario Castelnuovo-Tedesco, «Belfagor», LXVII/4 (2012),
pp. 403-421. Numerosi gli articoli apparsi sulle riviste del settore chitarristico (Il Fronimo,
Soundboard, Guitart, Seicorde), fra i quali si segnala particolarmente il ciclo di Lorenzo Micheli,
Mario Castelnuovo-Tedesco: Una vita di musica. Nuovi approfondimenti biografici e storia di Morning
in Iowa op. 158, «Il Fronimo», XXXV/137-XXXVI/142 (2007-2008), pp. 33-42; 20-27; 15-
24; 41-50; 13-22; 33-51, di fatto una piccola monografia in sei puntate in cui si ripercorre,
autobiografia alla mano, l’intera vicenda biografica e artistica di Castelnuovo-Tedesco con
particolare riguardo alle composizioni chitarristiche. Numerosissimi i lavori accademici
perlopiù americani reperibili facilmente in Internet. È in preparazione, a opera di Angelo
Gilardino, una nuova biografia del compositore.
6 Malorgio, Censure di un musicista, cit., p. 3. Castelnuovo-Tedesco, Manuel M. Ponce e Joaquin
Rodrigo sono i tre, fra i ‘maggiori’ compositori del ’900, nella cui produzione musicale la
chitarra ha avuto il peso più rilevante.
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7 Tra le opere incise da Segovia, tra quelle composte dopo il 1939, contiamo: Segovia, da
Greeting cards op. 170, n. 5, il Quintetto per chitarra e archi op. 143, una parte del Platero y yo
per narratore e chitarra op. 190; tra quelle suonate in concerto: il Rondò, op. 129, la Suite
op. 133, la Fantasia per chitarra e pianoforte op. 145. Dopo Segovia, il maggior interprete di
musiche di Castelnuovo-Tedesco, in termini di prime esecuzioni, è stato Siegfried Behrend.
Il Secondo Concerto in Do maggiore per chitarra e orchestra op. 160 fu eseguito da Christopher
Parkening su suggerimento di Segovia. Le opere per due chitarre sono invece nate per il
duo Presti-Lagoya; gli incompiuti Appunti op. 210, per Ruggero Chiesa; le Greeting cards per i
vari dedicatari. Sono da considerarsi invece più schiettamente legati al compositore i grandi
cicli vocali implicanti la chitarra, dal Romancero gitano, op. 152 (con il coro), a Die Vogelweide,
op. 186, a The Divan of Moses-Ibn-Ezra, op. 207, allo stesso Platero y yo. Si tenga poi in conto, a
testimoniare il ruolo avuto dallo strumento nell’opera di Castelnuovo-Tedesco, che alcune
Greeting Cards per chitarra sono dedicate a non chitarristi.
8 Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica, cit., pp. 261-266.
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13 «Gli scrissi: “[...] Sarei molto felice di scriver qualche cosa per Lei [...], ma devo confessarLe che
non conosco il Suo strumento, e che non ho la più vaga idea di come si scriva per Chitarra!”.
Allora Segovia, rispondendomi, mi mandò un fogliettino in cui era segnata l’accordatura della
Chitarra, e due pezzi (le classiche Variazioni di Sor, sopra un tema di Mozart, e le Variazioni di
Manuel Ponce sul tema de “La Folía de España” [...]; tanto per mostrarmi (mi disse) quali fossero
le maggiori difficoltà tecniche che si potevano affrontare sulla Chitarra. Con questi ‘precedenti’
mi misi al lavoro; e, poiché mi erano stati dati per ‘modelli’ due gruppi di Variazioni, pensai di
fare qualche cosa del genere anch’io; ma con uno schema un po’ diverso, che intitolai Variazioni
attraverso i secoli (e che era del resto simile a quello da me già usato nelle Variazioni Sinfoniche
per violino e orchestra); trattai quindi la chitarra prima alla maniera del liuto (com’era stata
ai tempi di Bach) con una Chaconne e Preludio, poi alla maniera romantica (com’era stata ai
tempi di Schubert) con tre Walzer, e infine alla maniera moderna (tipo jazz), con un Fox-Trot.
Quando finii il primo gruppo di Variazioni (quello, diciamo, alla Bach) lo mandai a Segovia
per sapere se era eseguibile!, ma (poiché generalmente, quando lavoro, scrivo con molta
rapidità) mentre aspettavo la risposta, completai tutto il pezzo. Giunse la risposta di Segovia,
che mi diceva che quel che gli avevo mandato andava bene; sicché gli spedii subito il pezzo
completo, con grande meraviglia di Segovia, il quale mi scrisse: «È la prima volta che trovo un
musicista che capisce immediatamente come si scriva per la Chitarra!». Difatti cambiò in tutto
il pezzo, credo, tre o quattro accordi, e lo eseguì in tutti i suoi concerti di quella stagione.»
(Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica, cit., p. 262).
14 Mario Castelnuovo-Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova edizione fondata sui manoscritti
originali a cura di Angelo Gilardino e Luigi Biscaldi, Milano, BMG Ricordi, 2006, p. 5.
15 La cui vicenda compositiva insieme a un facsimile del manoscritto dell’Archivio Segovia
di Linares è esposta nell’introduzione a Id., Sonata (Omaggio a Boccherini), a cura di Angelo
Gilardino, Luigi Biscaldi, Lorenzo Micheli, Ancona, Bèrben, 2007.
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19 Da una lettera del gennaio 1954 di Segovia a Castelnuovo-Tedesco apprendiamo che la battuta
sulla benignità del diavolo ispiratore si doveva a un critico del Times di Londra (cfr. Otero,
Mario Castelnuovo-Tedesco: his Life and Works, cit., pp. 92-94).
20 Per la prima esecuzione, cfr. Leendert Van Grammeren, The Guitar Works of Mario Castelnuovo-
Tedesco, cit. p. 242.
21 Cfr. Sotheby’s. Music and Ballet: Including the Papers of Serge Lifar. London, Friday 6 December 2002,
London, Sotheby’s, 2002, lotti 160-169: 168. Non so attraverso quali vicissitudini sia passato
il manoscritto, ma penso che provenga dall’eredità dello stesso maestro spagnolo e che sia
transitato quindi dalla Fondazione Segovia di Linares. Chi si occuperà di fare un’edizione
critica del Capriccio diabolico non potrà esimersi dal tracciarne la storia.
22 «Mario Castelnuovo-Tedesco/ Capriccio diabolico/ (Omaggio a Paganini)/ per chitarra/
per Andrés Segovia/ (1935)». Sull’ultima carta con musica, a p. 16, c’è l’explicit con la data
cronica e topica di composizione che non necessariamente deve coincidere con la datazione
del manoscritto: «Mario/ ‘Il Ginepro’- Castiglioncello/ 19-23 settembre 1935».
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bianchi, che sono stati utilizzati dal compositore stesso con delle versioni
alternative di alcune battute a matita (forse in un secondo momento?)23,
introdotte dal francese «ou» per oppure24. Gli interventi successivi di Segovia
sono chiaramente distinguibili perché fatti con una penna rossa.
Sul foglio singolo non numerato si possono leggere tre raccomanda-
zioni generali a matita per Segovia da parte del compositore, in francese,
la lingua di corrispondenza dei due:
(1) si les octaves repetées ne sont pas possibles, on pout faire les notes
repetéees sans octaves ou les octaves sans les notes repetées!
(2) si possible, à l’octave haute
(3) si possible mais pas necessaire
Le raccomandazioni sono presenti poi in vari punti del pezzo, richiamate
dal numero fra parentesi, sempre a matita25.
Le aggiunte segoviane sono rappresentate da annotazioni pure in lin-
gua francese, a commento, (spesso di approvazione26, o per sottolineare
la difficoltà o l’impossibilità di eseguire un passo)27, e da correzioni del
testo, talvolta (piccole cose, perlopiù singole note)28, fatte direttamente sul
pentagramma principale o correggendo la versione a matita dell’autore,
talaltra utilizzando il pentagramma superiore o inferiore29.
23 L’annotazione di Segovia a p. 5 relativa alle battute 84-85 riferita sia alla versione nel testo
principale, sia all’alternativa a matita («ni l’un ni l’autre, seule la voix superior») fa ritenere
che tutt’e due le soluzioni siano state presentate insieme dal compositore.
24 Non c’è dubbio che tali lezioni alternative siano autografe di Castelnuovo-Tedesco: lo dimostra
l’identità della grafia e particolarmente la tipicissima chiave di violino e il bemolle in chiave.
Inoltre, l’annotazione di Segovia di cui alla nota precedente non si spiegherebbe altrimenti.
25 L’indicazione (1) è presente e riferita solo a battuta 1, dove, nel testo autografo, le ottave
che caratterizzano il primo tema sono ribattute sia per la nota superiore sia per l’inferiore
(Segovia trovò una soluzione intermedia, raddoppiando al basso solo la prima nota delle ottave
ribattute): Castelnuovo-Tedesco avrebbe quindi preferito, se tecnicamente possibile, questa
soluzione, forse per l’intero pezzo; l’indicazione (2) è presente alle battute 40-41 e 44-45 (ma
a testo le note sono all’ottava bassa); la (3) alla battuta 54, ma probabilmente da riferirsi alla
lezione alternativa della battuta 53 che prevedeva le note sopracute tutte ribattute e con un
diverso profilo melodico. Non è escluso che un’analisi da vicino del manoscritto possa rivelare
la presenza di queste indicazioni in altri punti, poiché la matita è scarsamente leggibile.
26 «Très joli», «très bien», «Ici très bien», «Très, très bien», «Tout ceci est toujours bien», «Très
bien, et d’un grand effet», «Très bien les deux themes», etc.
27 «Ces volutés sont possibles et jolies dans cette positions d’accords, mais difficiles plus loin»,
«encore possibles», «Ici seulement la première note d’au bas est possible», «assez difficile déjà»,
«Plus difficile encore », «même chose», « Si vous doublez la figuration de tout ce trait ce sera
peut etre plus brilliant a condition de ne pas monter jusq’au si mais au la», «impossible vivace,
lente etre un degre de moins», «possible une 8e au dessus», «trop haut», «même chose pour
éviter que la main fasse deux grands sauts», «très difficile», «difficile et par conséquence “le
brio” au souffre», «pour prendre l’accord qui suit», «difficile pour augmenter la force», etc.
28 A battuta 4, 106, 195.
29 A battuta 1-2, 119-121, 192, 196.
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Il confronto con Ricordi 1939 mostra che nella stampa è stato accolto il
testo base con alcune delle battute alternative a matita (tutte quelle ripassate o
modificate a penna da Segovia)30. Inoltre, ci sono ulteriori piccole modificazioni
(raddoppi, disposizione di qualche accordo cui viene aggiunta o tolta una nota,
armonici aggiunti, eliminazione dell’acciaccatura d’ottava nel tema conservata
solo nella parte finale del pezzo, etc.) e tre varianti significative. La principale è
la soppressione di un’intera sezione: 24 battute contrassegnate dall’indicazione
Coda (Alla Marcia) Ritmico che si pongono tra le battute 235 e 236 (Sostenuto)31. In
questo punto Segovia aveva annotato: «difficile à cause des accords superieurs»,
estendendo l’indicazione alle battute 253-259 (Y) della sezione soppressa.
La seconda variante significativa è la modifica della sezione in tremolo,
che si presenta in Yale 517 in 4/4, in semicrome, con le note inferiori come
crome inframmezzate da pause di croma, e in Ricordi 1939 in 2/4, in bi-
scrome, con le note inferiori senza pause: differenza più per l’occhio che
per l’ascolto, in quanto la velocità della scansione della sezione può o meno
renderle equivalenti. Oltre al profilo ritmico, è stato modificato però anche
quello armonico, con una percepibile alterazione, della maggior parte di
questa sezione (Malinconico ma piuttosto mosso, battute 168-191), e che ha
implicato il cambiamento anche delle battute di congiunzione colla sezione
precedente. Il passo pone una questione di non facile lettura: nella prima
delle due pagine occupate dalla sezione, lungo il bordo esterno della p. 10,
Segovia scrive: «Cette periode est très bien. Seulement, est ce dommage que
la basse ne soit pas une note a vide, peut etre/ [cancellato: en Mi mineur ou]
au La mineur… Mais!…». Sotto, nel pentagramma libero, invece del Sol che
fa da pedale nella prima parte della sezione (che è in Sol minore), e deve per
forza di cose essere tastato sulla sesta corda, è annotato, a matita e ripetuto
per tutte le battute interessate, il Re su corde a vuoto (la IV la prima volta e la
VI poi) che si ritroverà nella stampa. Se attribuissimo a Segovia questo Re, si
tratterebbe dell’unica occasione in cui sarebbe intervenuto a matita sul testo,
prerogativa invece del compositore, cui potrebbe anche in questo caso essere
dovuta la soluzione al problema tecnico posto dal chitarrista (che avrebbe
preferito una corda a vuoto), che peraltro pensava, a giudicare da quanto
scritto, a una improbabile soluzione modulante in Mi minore o La minore.
La terza macrovariante è nel finale: Yale 517 riporta alla battuta 276 [252
R] un Mi sul cantino al XII tasto, con acciaccatura iniziale all’ottava sotto,
ribattuto in quartine di semicrome per tre misure di 2/4 con indicazione
30 Quelle poi accolte sono state rimarcate e a volte modificate da Segovia a penna rossa. Le
lezioni rigettate sono alle battute n. 53, 114-115, 118-119, 231-235, cfr. inoltre la nota seguente;
le lezioni accolte ma modificate sono alle battute n. 76, 81, 84-85, 88-91; quelle accolte nella
stampa senza modificazioni sono le battute n. 77, 80, 86-87, 92-99.
31 Da adesso si dà doppia numerazione per la parte finale: la numerazione di Ricordi 1939 viene
contraddistinta dalla R, quella di Yale 517 dalla Y. Anche la Coda ha delle battute alternative
autografe: 241-243 Y.
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39 Nel 1955 (registrazione dell’aprile 1954), con il Long Playing, An Evening with Segovia (Decca
DL 9733 / Brunswick AXTL 1070 / DGG 618544), che include la prima registrazione del
Capriccio diabolico.
40 Castelnuovo-Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova edizione, cit., p. 5.
41 La lettera è stata pubblicata in Otero, Mario Castelnuovo Tedesco su vida, cit. e più volte riportata
da altri, ma non sono a conoscenza né di dove sia l’originale, né in quale lingua sia scritto.
In spagnolo il passo è riportato in questo modo: «En Italia y en Alemania algunas personas,
que no se conocen entre ellas, me han dicho que ya no te hace feliz escucharme ejecutar tus
obras. Que tú desapruebas mi interpretación, pero que no osas hacerme observaciones por
miedo a irritar la enorme vanidad que el éxito ha desarrollado en mí», e in conclusione della
lettera: «no tendré ya el placer de tocar tus obras puesto que no estás satisfecho de la forma
en que yo las interpreto». Questi stessi passi nella versione inglese del libro di Otero: «In Italy
and German some people, not known to one another, have told me that it no longer makes
you happy to hear me performing your works. That you disapprove my interpretation, but you
dare not make such observations to me for fear of irritating the enormous vanity that success
have developed in me». «I will no longer have the pleasure of playing your compositions
since you are not satisfied with the way I interpret them» (Otero, Mario Castelnuovo Tedesco:
his Life, cit. pp. 107-108).
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42 «Yo respondo a todas simplemente: 1- Que yo jamás he criticado tu arte en general, que es
(como todo mundo sabe) fuera de serie. 2- Que yo encuentro tus ejecuciones de mi música
excelentes y tus discos magníficos, con excepción del Capriccio Diabolico, que tú ya lo
sabes. En él amo la sonoridad aunque menos la interpretación»; e in inglese: «I respond to
all of them simply; 1- That I never criticised your art in general, which (as the whole worlds
knows) is out of the ordinary. 2. That I find your performance of my music excellent and your
records magnificient, with the exception of Capriccio Diabolico, as you already know. I love
his sonority, the interpretation not so much». (Otero, Mario Castelnuovo Tedesco: his Life, cit.
pp. 108-109). Nulla di tutto ciò compare nell’autobiografia di Castelnuovo-Tedesco, ultimata
nel 1955 e poi solo ritoccata fino al 1966.
43 «Eppure, quel pezzo era uno dei cavalli di battaglia del maestro spagnolo, e non sono pochi i
suoi estimatori che tuttora collocano quell’incisione ai vertici dell’arte segoviana. La verità è che
Segovia aveva individuato nel brano moltissime possibilità per rivelare la magia del suo suono
e l’eleganza forbita del suo fraseggio, interpretando il Capriccio con l’allure libera e fantasiosa
nella quale era inarrivabile, ma non aveva esitato, per favorire la piena espressione di tali valori,
a sacrificare la coerenza formale e armonica che, agli occhi del compositore, risultava invece
essenziale. Dai rispettivi punti di vista, entrambi i maestri avevano le loro ragioni!» Castelnuovo-
Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova edizione, cit., p. 6. Effettivamente nell’interpretazione
del pezzo Segovia si prende molta libertà, accentuando la cantabilità a scapito della pulsione
ritmica, libertà che trasforma il Capriccio (che per sua natura non possedeva di già l’architettura,
che so, di un tempo di sonata), in una liberissima fantasia composta di sezioni giustapposte,
perdendo di solidità, ma dubito che anche rifacendosi al primo abbozzo del pezzo, stante la
scelta interpretativa, la solidità strutturale sarebbe stata recuperata.
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46 «(…) nel 1936, durante una breve permanenza di Segovia a Firenze, composi la Tarantella,
un pezzo agile e brillante (di sapore lievemente rossiniano) che è diventato il pezzo più
noto della mia produzione chitarristica; (…)», Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica,
cit., p. 264.
47 Ibid., pp. 264-5.
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stati pubblicati di lì a pochi mesi. Insomma, ci sono pochi dubbi che sia
l’edizione a stampa a conservare la versione d’ultima mano (fassung letzter
hand)48 di Castelnuovo-Tedesco, e per rimuovere una tale certezza occor-
rerebbero delle assai solide prove, che al momento mancano.
Anche un’altra delle argomentazioni portate da Gilardino-Biscaldi
depone al contrario di quanto pensino i proponenti, ovvero che per ri-
mediare alla revisione di Segovia il compositore tentasse un recupero del
pezzo dieci anni dopo realizzandone la versione per chitarra e orchestra
(op. 85/2). La versione con orchestra, di fatto un accompagnamento
orchestrale per la parte solistica, dove all’orchestra è riservata la sola
ricapitolazione finale dei temi, è basata integralmente su Ricordi 1939.
Se avesse voluto, Castelnuovo-Tedesco sarebbe stato liberissimo, potendo
contare sulle risorse orchestrali, di risolvere tutte le problematiche tecniche
evidenziate in Yale 517 e ripristinare così la soppressa Coda o il passaggio
in tremolo, cosa che si è guardato bene dal fare. Viene mantenuta anche
la citazione de La Campanella, anzi, viene chiarita ulteriormente l’inten-
zione del compositore, che mescola le versioni di Yale 517 e Ricordi 1939:
il Mi sovracuto, infatti, è tenuto, come nel manoscritto, in associazione
con il triangolo a creare propriamente l’effetto strumentale che ha reso
famoso il concerto paganiniano e poi, dopo l’efficace sospensione così
realizzata, c’è l’enunciazione del tema.
Ritengo questa soluzione estremamente felice e la citazione esplicita
del tema paganiniano niente affatto forzata49, così come penso che la Coda,
eliminata nella versione finale, fosse sovrabbondante e pletorica. In poche
parole, penso che la versione Ricordi 1939 sia musicalmente superiore,
più ricca di contenuti musicali, maggiormente concisa ed essenziale, di
quella che possiamo leggere in Yale 517, così come è mia convinzione che
le scelte infine tradotte nel testo a stampa, anche se suggerite da Segovia
nella forma che abbiamo visto espressa in Yale 517, siano integralmente di
Castelnuovo-Tedesco.
Come considerare allora il testo di Yale 517? Solo una recensio completa
dei testimoni del Capriccio e il vaglio degli altri autografi, lo studio della prassi
compositiva di Castelnuovo-Tedesco, il ricorso alla ricca documentazione
oggi conservata alla Library of Congress, così come ai numerosi carteggi
48 Cfr. Georg von Dadelsen, Die “Fassung letzter Hand” in der Musik, «Acta Musicologica», XXXIII/1
(1961), pp. 1-14 (in trad. it. La ‘versione d’ultima mano in musica’, in La critica del testo musicale.
Metodi e problemi della Filologia musicale, a c. di Maria Caraci Vela, Lucca, LIM, 1995, pp. 47-62).
49 «A noi, quella citazione è sempre parsa pretestuosa e imbarazzante: nel 1967, non esitammo
a scrivere al compositore che tale citazione ci sembrava una battuta da Hellzapoppin, e non
ricevemmo alcuna smentita. Leggendo il manoscritto, constatiamo che non fu farina del
sacco di Castelnuovo-Tedesco» (Castelnuovo-Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova
edizione, cit., p. 6). La ‘non smentita’ non può essere catalogata ad assenso, anche perché al
compositore potrebbe non aver fatto piacere la critica ricevuta ed essersi perciò elegantemente
defilato con un silenzio.
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50 Esiste un utile lavoro accademico di una chitarrista olandese, che ha operato un confronto
(non accurato) fra Yale 517 e Ricordi 1939 al fine di realizzare una ulteriore nuova edizione,
sedicente critica, del Capriccio: Rosemarie Vermeulen, Mario Castelnuovo-Tedesco’s Capriccio
Diabolico: een herziene, kritische editie, April 2014 Research Report, Coach: Patrick van Deurzen.
La nuova edizione, a detta dell’autrice, sarebbe quella che «die Segovia ervan had kunnen
maken, mits hij zich wat bescheidener had opgesteld» (in traduzione: lo stesso Segovia
avrebbe potuto fare, se fosse stato un po’ più modesto/umile [!!!]). La Vermeulen mescola
liberamente Ricordi 1939 e Yale 517. Sugli esiti di un tale approccio si veda quanto affermo
in conclusione.
51 Caraci Vela, La filologia musicale, cit., p. 132.
52 Ibid.
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