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Urtext, Autografo, Originale:

il problema del testo in alcune opere per chitarra


di Mario Castelnuovo-Tedesco

di Stefano Campagnolo*

Da quando c’è stato modo, grazie alla meritoria opera di Angelo Gilardino,
di disporre del fondo dei manoscritti che furono di Andrés Segovia, sono
tornate in luce molte importanti opere che si credevano scomparse, o di
cui non si sospettava l’esistenza, arricchendo sensibilmente il repertorio
novecentesco della chitarra classica. Si è inoltre fatto accesso a capolavori
già noti, spesso veri e propri capisaldi della letteratura per lo strumento, in
una inedita versione con importanti divergenze rispetto al testo conosciu-
to, in versione autografa del compositore1. È stato così possibile penetrare
da vicino il metodo di lavoro – già parzialmente intravisto attraverso altre
composizioni e gli epistolari di cui si disponeva, come quello fra Segovia
e Ponce2 –, che contraddistingueva il maestro spagnolo nel suo rapporto
con i musicisti che scrivevano sotto la sua sollecitazione. In sintesi, Segovia
disponeva molto liberamente dei testi che venivano per lui predisposti. Gli
interventi spaziavano da minime modificazioni volte a rendere scorrevole un

* Stefano Campagnolo, dottore di ricerca in Filologia musicale, è direttore della Biblioteca


statale di Cremona. Al suo attivo ha numerose pubblicazioni in ambito nazionale e
internazionale sulla musica profana del Cinquecento e del Trecento italiano. È membro
del Comitato scientifico del Centro studi dell’Ars nova italiana di Certaldo.
1 Gli inediti e le revisioni di pezzi già noti sono pubblicati in una collana (The Andrés Segovia
Archive) curata da Angelo Gilardino per l’editore Bèrben di Ancona a partire dal 2002. A
compimento ideale della collana di 32 volumi è stato aggiunto un trentatreesimo numero
con una composizione dello stesso Gilardino dedicata a Segovia (Colloquio con Andrés Segovia).
Per Andrés Segovia si faccia riferimento ad Angelo Gilardino, Andrés Segovia: l’uomo, l’artista,
Milano, Curci, 2012, anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
2 The Segovia-Ponce Letters, ed. by Miguel Alcazar, trad. by Peter Segal, Columbus, Editions
Orphée, 1989. È particolarmente centrata su tali tematiche e su quelle di questo studio la tesi
di dottorato di Dario Leendert Van Grammeren, The Guitar Works of Mario Castelnuovo-Tedesco:
Editiorial Principles, Comparative Source Studies and Critical Editions of Selected Works, PhD. Diss.,
University of Manchester, 2008. Le composizioni analizzate in dettaglio e di cui si propone
l’edizione sono: Suite op. 133, Tonadilla (da Greeting Cards, op. 170, n. 5), Serenatella da Tre
Preludi Mediterranei op. 176.

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passaggio o ad incrementarne la cantabilità – trasporti d’ottava, lievi trasfor-


mazioni di figurazioni di accompagnamento, anticipazione di un basso o un
accordo a sostegno del canto, eliminazione di raddoppi, disposizione a parti
strette, etc. –, o modificarne il colore – introduzione di effetti strumentali e di
legature e glissati, suoni armonici, staccati ed étouffée, etc.3 –, in poche parole
modificazioni indirizzate, con un armamentario tipico, a piegare la pagina
alla così caratteristica maniera di fraseggiare segoviana, una modalità già
deducibile dalle sue celebri trascrizioni in relazione al modello di partenza.
In alcuni casi però gli interventi si sono spinti apparentemente molto
più in là nella manipolazione, giungendo a sopprimere interi passaggi, a
modificare armonie e linee melodiche, a eliminare ripetizioni e ritornelli
o introducendone di nuovi. Segovia tendeva insomma innegabilmente a
impossessarsi delle composizioni scritte per lui, e non è raro il caso in cui,
tenendole in repertorio per lungo tempo, introducesse in diversi momenti
piccole variazioni rispetto al testo edito, come dimostra ad esempio uno dei
pezzi favoriti quale la Sonatina (1923) di Federico Moreno Torroba (1891-
1982), più volte incisa negli anni e di cui esistono molteplici riprese video4.
Trattandosi di musica di contemporanei, una tale prassi chiama in causa
la relazione compositore-esecutore, e la scoperta dei testi cosiddetti ‘origi-
nali’, i testi cioè che Segovia ha utilizzato per le sue revisioni strumentali,
impone allo studioso, all’editore e anche al semplice concertista, di chiarire
la natura e il rapporto che intercorre fra questi testimoni e l’edizione, o le
edizioni, a stampa, definendone lo statuto autoriale, collocandoli in una
prospettiva ecdotica e facendo una scelta critica.

3 Un esempio eclatante di tali modificazioni ‘coloristiche’ è dato dal Fandanguillo, op. 36 (1926)
di Joaquin Turina (1882-1949): il manoscritto autografo (conservato presso la Fundación
Juan March) è privo di tutti gli effetti strumentali, dalla tambora al rasgueado, che rendono il
pezzo tanto caratteristico.
4 Tale disinvoltura nei confronti del testo era considerata accettabile in un’epoca in cui si
producevano pastiche sotto nomi fittizi, in cui si mescolavano liberamente movimenti di
diverse composizioni, anche pezzi di secoli passati e parti scritte nel Novecento, senza tema
di anacronismi. Una simile mancanza di sensibilità ‘filologica’ era perlopiù comune a tutti
i grandi esecutori e direttori a quel tempo, con rare lodevoli eccezioni, ma nell’ambito
chitarristico è rimasta in vita ben oltre gli anni ’70, e talune pratiche sopravvivono ancor
oggi. Ho assistito personalmente pochi anni or sono alla master class di uno dei più celebrati
interpreti contemporanei in cui il Maestro spiegava all’allievo, a proposito del Concerto op.
30 di Mauro Giuliani (1781-1829), che “ci sono due versioni di tale concerto, una più lunga
dell’altra”, ma che la sua preferenza andava senza dubbio alla più breve: come noto, esiste
una sola versione con orchestra del Grand Concerto in la maggiore, con archi e fiati, capolavoro
assoluto del repertorio della chitarra, mentre quella cui faceva riferimento il Maestro non è
che la versione mutila e con i soli archi e una parte di timpani aggiunta che si deve a Romolo
Ferrari (1894-1959) e al compositore Ennio Porrino (1910-1959), in cui l’intera sezione dello
sviluppo sonatistico del primo movimento, circa tre minuti di musica, è stata soppressa (cfr.
Massimo Agostinelli, Le composizioni dell’Ottocento nel Fondo Ferrari, in Romolo Ferrari e la chitarra
in Italia nella prima metà del Novecento, a c. di Simona Boni, Modena, Mucchi, 2009, pp. 81-94:
82-84). Sarebbe quasi a dire che Maurizio Pollini abbia affermato di preferire all’originale
una delle tante versioni semplificate del Notturno op. 9, n. 2 di Chopin.

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Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

Le versioni autografe del compositore prima dell’intervento segoviano sono


più vicine alla volontà dell’autore? Le modificazioni introdotte da Segovia
sono quindi da considerarsi arbitrarie e superate dal nuovo testo recuperato?
È giusto attribuire alle versioni dei compositori la qualifica di ‘originali’?
Per dirimere tali questioni possiamo contare spesso su documenti che
contribuiscono a stabilire il rapporto fra i testimoni, nonché sui dati bio-
grafici dei protagonisti e qualsiasi altra notizia utile, oltre allo strumentario
classico della filologia del testo.
Lo studio delle musiche di uno dei musicisti preferiti da Segovia, Mario
Castelnuovo-Tedesco (1895-1968)5, è particolarmente stimolante in tal senso
e adeguato a stabilire delle direttrici metodologiche, e in specie si dimo-
stra adatta una delle opere maggiori per chitarra sola, il Capriccio diabolico
(Omaggio a Paganini), op. 85.
***
Le opere per chitarra di Castelnuovo-Tedesco sono senza dubbio «il con-
tributo più cospicuo dato da un musicista del Novecento alla letteratura6»

5 Gli studi su Mario Castelnuovo-Tedesco, su cui hanno pesato gli orientamenti ‘adorniani’
della critica novecentesca, come su tutti i compositori che hanno continuato a scrivere
musica tonale, hanno ricevuto un importante contributo con la pubblicazione della sua
autobiografia, scritta fra il 1952 e il 1955 e ritoccata fino al 1966, che l’autore cercò vanamente
a più riprese di pubblicare in vita: Mario Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica: un libro di
ricordi, a c. di James Westby, intr. di Mila De Santis, Fiesole, Cadmo, 2005. All’autobiografia
bisognerebbe aggiungere i vari e numerosi epistolari in archivi privati e pubblici e il fondo
principale dei manoscritti di Castelnuovo-Tedesco depositato presso la Library of Congress
(una descrizione e un indice sono recuperabili a questo URL: http://infomotions.com/
sandbox/liam/pages/httphdllocgovlocmusiceadmusmu010012.html) in via di dissodamento.
Gli studi su Castelnuovo-Tedesco possono contare su una datata monografia collegata alla
chitarra: Corazon Otero, Mario Castelnuovo Tedesco su vida y su obra para guitarra, Lomas de
Bezares (Mex.), Ediciones Musicales Yolotl, 1987 (in ed. inglese: Mario Castelnuovo-Tedesco:
his Life and Works for the Guitar, Newcastle, Ashley Mark, 1999) e sulle voci biografiche dei
principali dizionari, musicologici e non solo. Per fortuna sono disponibili due studi critici
accurati: quello di Alberto Compagno, Gli anni fiorentini di Mario Castelnuovo-Tedesco: 1895-1939,
s.n., 2000, rielaborazione di una tesi di laurea (Università degli studi di Firenze, 1995), che ha
l’unico limite, programmatico, di arrestarsi al periodo italiano; e l’ottimo Cosimo Malorgio,
Censure di un musicista: la vicenda artistica e umana di Mario Castelnuovo-Tedesco, Torino, Paravia,
2001. Un utile compendio recente, con ulteriore bibliografia, è il medaglione di Roberto
Brusotti, Ritratti critici di contemporanei: Mario Castelnuovo-Tedesco, «Belfagor», LXVII/4 (2012),
pp. 403-421. Numerosi gli articoli apparsi sulle riviste del settore chitarristico (Il Fronimo,
Soundboard, Guitart, Seicorde), fra i quali si segnala particolarmente il ciclo di Lorenzo Micheli,
Mario Castelnuovo-Tedesco: Una vita di musica. Nuovi approfondimenti biografici e storia di Morning
in Iowa op. 158, «Il Fronimo», XXXV/137-XXXVI/142 (2007-2008), pp. 33-42; 20-27; 15-
24; 41-50; 13-22; 33-51, di fatto una piccola monografia in sei puntate in cui si ripercorre,
autobiografia alla mano, l’intera vicenda biografica e artistica di Castelnuovo-Tedesco con
particolare riguardo alle composizioni chitarristiche. Numerosissimi i lavori accademici
perlopiù americani reperibili facilmente in Internet. È in preparazione, a opera di Angelo
Gilardino, una nuova biografia del compositore.
6 Malorgio, Censure di un musicista, cit., p. 3. Castelnuovo-Tedesco, Manuel M. Ponce e Joaquin
Rodrigo sono i tre, fra i ‘maggiori’ compositori del ’900, nella cui produzione musicale la
chitarra ha avuto il peso più rilevante.

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per lo strumento. Tanto quanto il compositore fiorentino è considerato


un conservatore nel linguaggio, è stato invece un innovatore nei confronti
della chitarra, inserendola negli ensemble strumentali e vocali più singolari
e in opere di largo respiro, non cessando mai di utilizzarla per farne cam-
po di sperimentazione anche linguistica. Da tanta dedizione ha ricavato
la sopravvivenza all’oblio cui la critica novecentesca l’aveva condannato,
poiché le opere per chitarra non hanno mai cessato di incontrare il favore
dei concertisti e vengono tuttora programmate con crescente interesse.
L’intera opera chitarristica di Castelnuovo-Tedesco è legata a Segovia, ma in
un certo senso ne prescinde: per quanto la maggior parte delle composizioni
siano state il frutto di richieste e sollecitazioni dello spagnolo, solo le opere
scritte anteguerra e poche altre entrarono stabilmente nel repertorio del
grande chitarrista, con esecuzioni ed incisioni; molte altre furono da Segovia
‘concesse’ ad altri allievi e amici, altre nacquero su richiesta di altri concer-
tisti, e altre ancora infine per personale esigenza e scelta del compositore7.
Le origini del rapporto fra Segovia e Castelnuovo-Tedesco sono narrate
dallo stesso compositore nella sua autobiografia8: si incontrarono a Firenze
in case private e Castelnuovo-Tedesco ebbe modo di sentir suonare Segovia
in concerto nella stessa città, ma l’incontro che stabilì la collaborazione fra i
due avvenne poi al Festival Internazionale di Venezia, nel 1932, dove Segovia si
era recato ad accompagnare Manuel de Falla che seguiva l’esecuzione del suo
Retable de Maese Pedro, mentre Castelnuovo-Tedesco vi eseguiva il suo primo
Quintetto in Fa maggiore op. 69, con il quartetto Poltronieri ed egli stesso al
pianoforte. Rafforzata la familiarità nei giorni veneziani, nelle settimane seguenti
proseguirono i contatti epistolari a seguito della esplicita richiesta che Segovia
aveva rivolto alla moglie di Castelnuovo-Tedesco affinché componesse per lui.
In quei tempi, Mario Castelnuovo-Tedesco era pressoché al vertice della
propria carriera, vertice che avrebbe toccato nel 1935-36 con l’importante
commissione delle musiche di scena per il Savonarola, op. 81 – su libretto di un
giornalista, Rino Alessi, che sarebbe stato rappresentato in Piazza della Signoria
a Firenze e per il quale pare ci fosse stata l’esplicita scelta di Mussolini in un

7 Tra le opere incise da Segovia, tra quelle composte dopo il 1939, contiamo: Segovia, da
Greeting cards op. 170, n. 5, il Quintetto per chitarra e archi op. 143, una parte del Platero y yo
per narratore e chitarra op. 190; tra quelle suonate in concerto: il Rondò, op. 129, la Suite
op. 133, la Fantasia per chitarra e pianoforte op. 145. Dopo Segovia, il maggior interprete di
musiche di Castelnuovo-Tedesco, in termini di prime esecuzioni, è stato Siegfried Behrend.
Il Secondo Concerto in Do maggiore per chitarra e orchestra op. 160 fu eseguito da Christopher
Parkening su suggerimento di Segovia. Le opere per due chitarre sono invece nate per il
duo Presti-Lagoya; gli incompiuti Appunti op. 210, per Ruggero Chiesa; le Greeting cards per i
vari dedicatari. Sono da considerarsi invece più schiettamente legati al compositore i grandi
cicli vocali implicanti la chitarra, dal Romancero gitano, op. 152 (con il coro), a Die Vogelweide,
op. 186, a The Divan of Moses-Ibn-Ezra, op. 207, allo stesso Platero y yo. Si tenga poi in conto, a
testimoniare il ruolo avuto dallo strumento nell’opera di Castelnuovo-Tedesco, che alcune
Greeting Cards per chitarra sono dedicate a non chitarristi.
8 Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica, cit., pp. 261-266.

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Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

elenco di musicisti comprendente Zandonai e Respighi, probabilmente a causa


della fiorentinità del compositore e, in relazione al soggetto della pièce, delle
sue origini ebraiche9 – e de I giganti della montagna, op. 95, di Luigi Pirandello10.
Era quindi perfettamente inserito e organico alla vita culturale nazionale
e internazionale ed era stato uno degli autori italiani maggiormente eseguiti
all’estero negli anni ’20, grazie ad Alfredo Casella, suo grande estimatore, e
alla sua Società Italiana di Musica Moderna11. Già in relazione o in procinto di
entrarvi con alcuni dei principali interpreti del sempre più sviluppato star
system (inteso nell’accezione più moderna) della musica mondiale – quali il
violinista Jascha Heitfetz, il pianista Walter Gieseking, il violoncellista Gregor
Piatigorsky, i direttori Sergei Koussevitzky, Arturo Toscanini, John Barbirolli
–, era normale che Castelnuovo-Tedesco aggiungesse ai collaboratori un altro
protagonista di tale firmamento (che vi si era intruso con uno strumento
inusuale in forza di eccezionali capacità), cioè il chitarrista Andrés Segovia.
Tra il 1932 e il 1939 il rapporto fra Segovia e Castelnuovo-Tedesco si con-
cretizzò in composizioni di grande importanza: Variazioni ‘Attraverso i secoli’,
op. 71, 1932, Sonata ‘Omaggio a Boccherini’, op. 77, 1934, Capriccio diabolico
(Omaggio a Paganini), op. 85, 1935, Tarantella, op. 87/1, 1936, culminando
nel Concerto in re maggiore, per chitarra e orchestra, op. 99, 193912.

9 Cfr. ibid., pp. 273-278.


10 L’esecuzione al Maggio fiorentino in forma di concerto delle musiche preparate per Pirandello
(che era nel frattempo scomparso) «fu un successo trionfale, il più grande forse che io abbia
avuto a Firenze», (Ibid., pp. 286-291: 290).
11 Rispetto ai precocissimi esordi, la critica cominciava a rimproverargli una certa qual involuzione
stilistica e di aver in un certo senso tradito le speranze che molti, come Guido M. Gatti,
riponevano in lui per il futuro della musica italiana. Non c’è dubbio che ci sia una modificazione
dello stile di Mario Castelnuovo-Tedesco dalle opere giovanili degli anni Dieci-Venti – come i
pianistici Questo fu il carro della Morte op. 2 (1913), Il Raggio verde op. 9 (1916), o Cipressi op. 17
(1920) –, alla produzione degli anni Trenta. La produzione anteriore, quella maggiormente
influenzata da Ravel e gli impressionisti, suona in un certo senso più moderna di tutto ciò che
ha scritto successivamente: «(…) uno dei problemi aperti, per il giorno in cui la musicologia
riterrà opportuno aprire un dibattito serio e circostanziato su Castelnuovo-Tedesco, è proprio
quello sul rapporto tra gli esordi del compositore e la sua “maniera” matura, e se abbia senso
nel suo caso parlare in termini di involuzione/evoluzione» (Brusotti, Ritratti critici, cit., p.
411). Quest’ultima osservazione di Brusotti rappresenta certamente un interessante campo
d’indagine per chi si interessi di musica italiana novecentesca, poiché ho l’impressione che
una tale involuzione/evoluzione riguardi non solo il nostro fiorentino.
12 A testimoniare precocemente il ruolo che lo strumento avrebbe assunto nella poetica di
Castelnuovo-Tedesco a prescindere dal rapporto con il chitarrista spagnolo, un pezzo d’occasione
nato non per Segovia (anche se ne fece poi la diteggiatura per la pubblicazione, ma senza
mai suonarlo), ma per il chitarrista dilettante e poi editore musicale Aldo Bruzzichelli (1908-
1982), Aranci in fiore, op. 87/2, del 1936. Nel 1937 inoltre vide la luce, ancora per Segovia, un
altro gruppo di variazioni concluse da una fuga Variazions Plaisantes sur un petit aire populaire
‘J’ai du bon tabac’, op. 95, pubblicate solo molti anni più tardi (Ancona, Bèrben, 1969, con la
revisione di Angelo Gilardino). Le circostanze in cui sono state concepite queste composizioni
sono narrate in Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica, cit., rispettivamente a pp. 278-280
e p. 264.

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Secondo uno schema consolidato, per mostrare al compositore le pos-


sibilità tecniche della chitarra, Segovia inviò inizialmente un paio di pezzi
del suo repertorio: uno dei suoi cavalli di battaglia, le Variazioni su un tema
di Mozart, op. 9 di Fernando Sor e un’altra delle sue preferite, le Variazioni
e Fuga sul tema della Follia di Spagna, op. 45 di Manuel M. Ponce, che aveva
appena parzialmente inciso su disco. L’invio portò alla creazione delle
Variazioni op. 7113.
Il metodo di lavoro inaugurato con le Variazioni e che si sarebbe replicato per
le altre composizioni, è così sintetizzato da Angelo Gilardino e Luigi Biscaldi:
Non essendo istruito sulla tecnica della chitarra, Castelnuovo-Tedesco
confidava nell’aiuto che Segovia gli offriva per mettere a punto le sue
composizioni chitarristiche. Dalla corrispondenza tra i due maestri riguar-
do le Variazioni del 1932 e la Sonata del 1934 apprendiamo quale fosse il
loro modus operandi: l’autore realizzava una stesura “ideale” dell’opera e
la inviava a Segovia, il quale gliela rimandava corretta. Su questa seconda
versione aveva luogo un’ulteriore messa a punto del testo, processo che
comportava uno scambio di lettere e di fogli di musica, con confronti tra
diverse possibilità. La successiva pubblicazione era basata non sul mano-
scritto dell’autore, ma su quello che Segovia realizzava di proprio pugno,
e che veniva inviato all’editore14.
Nel 1934 arrivò l’impegnativa Sonata ‘Omaggio a Boccherini’ 15, e l’anno
successivo, per completare il pantheon dei grandi nomi della storia della

13 «Gli scrissi: “[...] Sarei molto felice di scriver qualche cosa per Lei [...], ma devo confessarLe che
non conosco il Suo strumento, e che non ho la più vaga idea di come si scriva per Chitarra!”.
Allora Segovia, rispondendomi, mi mandò un fogliettino in cui era segnata l’accordatura della
Chitarra, e due pezzi (le classiche Variazioni di Sor, sopra un tema di Mozart, e le Variazioni di
Manuel Ponce sul tema de “La Folía de España” [...]; tanto per mostrarmi (mi disse) quali fossero
le maggiori difficoltà tecniche che si potevano affrontare sulla Chitarra. Con questi ‘precedenti’
mi misi al lavoro; e, poiché mi erano stati dati per ‘modelli’ due gruppi di Variazioni, pensai di
fare qualche cosa del genere anch’io; ma con uno schema un po’ diverso, che intitolai Variazioni
attraverso i secoli (e che era del resto simile a quello da me già usato nelle Variazioni Sinfoniche
per violino e orchestra); trattai quindi la chitarra prima alla maniera del liuto (com’era stata
ai tempi di Bach) con una Chaconne e Preludio, poi alla maniera romantica (com’era stata ai
tempi di Schubert) con tre Walzer, e infine alla maniera moderna (tipo jazz), con un Fox-Trot.
Quando finii il primo gruppo di Variazioni (quello, diciamo, alla Bach) lo mandai a Segovia
per sapere se era eseguibile!, ma (poiché generalmente, quando lavoro, scrivo con molta
rapidità) mentre aspettavo la risposta, completai tutto il pezzo. Giunse la risposta di Segovia,
che mi diceva che quel che gli avevo mandato andava bene; sicché gli spedii subito il pezzo
completo, con grande meraviglia di Segovia, il quale mi scrisse: «È la prima volta che trovo un
musicista che capisce immediatamente come si scriva per la Chitarra!». Difatti cambiò in tutto
il pezzo, credo, tre o quattro accordi, e lo eseguì in tutti i suoi concerti di quella stagione.»
(Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica, cit., p. 262).
14 Mario Castelnuovo-Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova edizione fondata sui manoscritti
originali a cura di Angelo Gilardino e Luigi Biscaldi, Milano, BMG Ricordi, 2006, p. 5.
15 La cui vicenda compositiva insieme a un facsimile del manoscritto dell’Archivio Segovia
di Linares è esposta nell’introduzione a Id., Sonata (Omaggio a Boccherini), a cura di Angelo
Gilardino, Luigi Biscaldi, Lorenzo Micheli, Ancona, Bèrben, 2007.

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Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

musica che tangenzialmente avevano incontrato la chitarra, Segovia chiese


un capriccio ispirato a Paganini. Nacque così il Capriccio diabolico, e il mo-
mento è descritto in questo modo nelle memorie di Castelnuovo-Tedesco:
L’anno seguente (1935) Segovia tornò alla carica, e questa volta con un
nuovo suggerimento: «Ma anche Paganini era un grande ammiratore della
chitarra! Perché non scrivi un “Omaggio a Paganini”?». Questa volta mi
ci misi (se è possibile) anche con maggiore impegno, e scrissi il Capriccio
diabolico, un lungo e intricatissimo pezzo, di vero virtuosismo; Segovia ne
fu addirittura entusiasta, a tal punto che, venti giorni dopo averlo ricevuto,
lo suonò in concerto a Londra: mi scrisse poi di non aver mai studiato
nessun pezzo con tanta passione e in così breve tempo16.
La composizione è un notevole tour de force per l’interprete: di struttura
libera, è basata su due temi principali variamente rielaborati (in forma
di variazione, piuttosto che sonatistica, anche se non manca un solido
impianto di correlazione tonale) che sono ricapitolati e fusi in conclu-
sione; inoltre, come sempre nella musica di Castelnuovo-Tedesco, sono
rielaborati anche degli spunti che, pur non assurgendo al livello di tema,
assumono una grande importanza nel tessuto connettivo del pezzo17. Al di
là dell’esplicita citazione paganiniana presente alla fine18, ad essere evocato
è soprattutto il Paganini cantabile, creatore di melodie indimenticabili, più

16 Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica, cit., p. 263.


17 Castelnuovo-Tedesco distingueva molto nettamente i concetti di tema e melodia: il tema è
una cellula che in sé si presta a essere sviluppata e può diventare motore generatore della
composizione; la melodia è in sé compiuta: nulla si può togliere né aggiungere e tuttalpiù si
presta alla variazione. Musica, per Castelnuovo-Tedesco, significava sempre espressione (questo
insegnava ai suoi allievi), nella convinzione che tutto può essere espresso con la musica:
un’impressione, un paesaggio, un libro, che il musicista traduceva in quelli che chiamava
‘simboli’, idee musicali connotate da significato testuale. Per questo, per comprendere appieno
la sua musica, è fondamentale la musica vocale, per voce e strumento, centrale nella sua opera,
un po’ perché i riferimenti extramusicali sono evidenti e forniscono una immediata chiave
di lettura, e un po’ perché è tutta la sua concezione della composizione musicale a ruotare
intorno a un ‘paratesto’, esplicito o mascherato che sia, che a volte può configurarsi come un
semplice problema tecnico-musicale, ma che può sempre essere riportato a una base filosofica,
a una idea extramusicale. Egli stesso in un articolo del 1944 (Mario Castelnuovo-Tedesco, Music
and Poetry. Problems of a Songwriter, «The Musical Quarterly», XXX/ 1, (1944), pp. 102-111)
chiarifica questa concezione. Anche gli strumenti possiedono una natura propria e un proprio
spiccato carattere. Per la chitarra, credo Castelnuovo-Tedesco avesse mutuato la concezione
segoviana della chitarra come ‘piccola orchestra’ (da cui la difficoltà concettuale di scrivere
per chitarra e orchestra, oltre quella determinata dal debole suono dello strumento) in cui
si alternano una molteplicità di suoni e perciò di ‘strumenti’ diversi che sono da scegliersi
in base al carattere della musica. È anche per questo che le composizioni di Castelnuovo-
Tedesco – vale in generale, ma lo si vede bene nella musica per chitarra –, sono così ricche
di indicazioni espressive, in qualche caso singolari e inusitate.
18 Il tema de ‘La Campanella’, cfr. oltre. Potrebbero essere frutto di letterale citazione da
Paganini anche gli spunti delle battute 192-199, ma non sono riuscito a trovare concordanze
al proposito: certo, i rapidi arpeggi e le veloci scale discendenti che seguono, alternandosi,
corrispondono a un cliché paganiniano.

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Stefano Campagnolo

che il virtuoso. Nell’interpretazione segoviana è proprio questo aspetto che


veniva esaltato, ma ciò non toglie che il pezzo sia irto di difficoltà e tenda
ad esaurire le risorse tecniche dello strumento, ponendosi, all’epoca, ai
limiti dell’eseguibilità per i chitarristi. Segovia non amava l’attributo di
‘diabolico’ del titolo (come aveva evidenziato qualche recensore dei suoi
concerti, il ‘diavolo’ evocato appariva piuttosto ‘benigno’)19, ma molti in-
terpreti moderni sono riusciti a rendere davvero ‘indiavolata’ l’esecuzione,
scendendo parecchio sotto i nove minuti complessivi di durata.
Dieci anni dopo la composizione, nel 1945, l’autore realizzò una versione
per chitarra e orchestra (op. 85/2) del Capriccio diabolico, rimasta inedita
ed eseguita la prima volta solo nel 199520.
***
Fino a quindici anni fa del testo del Capriccio non si conosceva che
l’edizione Ricordi del 1939 [da adesso siglata Ricordi 1939], n. lastra
124371, che non mi risulta sia mai stata reincisa successivamente, ma nel
dicembre del 2002 presso Sotheby’s di Londra è stato messo all’incanto un
folto gruppo di cimeli segoviani, comprendenti due chitarre e numerosi
manoscritti e abbozzi con opere di Manuel M. Ponce (il Concierto del Sur)
e autografi di Castelnuovo-Tedesco, fra i quali il Capriccio e la Tarantella. Il
manoscritto del Capriccio è stato acquistato dalla Yale University Library,
dove è attualmente conservato con segnatura Misc. Ms. 517 [da adesso
Yale 517]21.
Il manoscritto Yale 517, di 11 carte – cinque bifogli completi, con il
primo non numerato che fa da cartellina con il solo frontespizio22 e quelli
interni numerati da 2 a 16 con numerazione originale ad inchiostro (non
numerata la prima pagina), più un’altra carta non numerata –, definito
nella descrizione d’asta «a working manuscript», è autografo di Castelnuovo-
Tedesco, ma sono visibili diverse fasi di stesura, e aggiunte di mano di Andrés
Segovia; il compositore, come sempre in questi casi, ha scritto in bella copia
in inchiostro nero alternando sopra e sotto la musica dei pentagrammi

19 Da una lettera del gennaio 1954 di Segovia a Castelnuovo-Tedesco apprendiamo che la battuta
sulla benignità del diavolo ispiratore si doveva a un critico del Times di Londra (cfr. Otero,
Mario Castelnuovo-Tedesco: his Life and Works, cit., pp. 92-94).
20 Per la prima esecuzione, cfr. Leendert Van Grammeren, The Guitar Works of Mario Castelnuovo-
Tedesco, cit. p. 242.
21 Cfr. Sotheby’s. Music and Ballet: Including the Papers of Serge Lifar. London, Friday 6 December 2002,
London, Sotheby’s, 2002, lotti 160-169: 168. Non so attraverso quali vicissitudini sia passato
il manoscritto, ma penso che provenga dall’eredità dello stesso maestro spagnolo e che sia
transitato quindi dalla Fondazione Segovia di Linares. Chi si occuperà di fare un’edizione
critica del Capriccio diabolico non potrà esimersi dal tracciarne la storia.
22 «Mario Castelnuovo-Tedesco/ Capriccio diabolico/ (Omaggio a Paganini)/ per chitarra/
per Andrés Segovia/ (1935)». Sull’ultima carta con musica, a p. 16, c’è l’explicit con la data
cronica e topica di composizione che non necessariamente deve coincidere con la datazione
del manoscritto: «Mario/ ‘Il Ginepro’- Castiglioncello/ 19-23 settembre 1935».

70
Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

bianchi, che sono stati utilizzati dal compositore stesso con delle versioni
alternative di alcune battute a matita (forse in un secondo momento?)23,
introdotte dal francese «ou» per oppure24. Gli interventi successivi di Segovia
sono chiaramente distinguibili perché fatti con una penna rossa.
Sul foglio singolo non numerato si possono leggere tre raccomanda-
zioni generali a matita per Segovia da parte del compositore, in francese,
la lingua di corrispondenza dei due:
(1) si les octaves repetées ne sont pas possibles, on pout faire les notes
repetéees sans octaves ou les octaves sans les notes repetées!
(2) si possible, à l’octave haute
(3) si possible mais pas necessaire
Le raccomandazioni sono presenti poi in vari punti del pezzo, richiamate
dal numero fra parentesi, sempre a matita25.
Le aggiunte segoviane sono rappresentate da annotazioni pure in lin-
gua francese, a commento, (spesso di approvazione26, o per sottolineare
la difficoltà o l’impossibilità di eseguire un passo)27, e da correzioni del
testo, talvolta (piccole cose, perlopiù singole note)28, fatte direttamente sul
pentagramma principale o correggendo la versione a matita dell’autore,
talaltra utilizzando il pentagramma superiore o inferiore29.

23 L’annotazione di Segovia a p. 5 relativa alle battute 84-85 riferita sia alla versione nel testo
principale, sia all’alternativa a matita («ni l’un ni l’autre, seule la voix superior») fa ritenere
che tutt’e due le soluzioni siano state presentate insieme dal compositore.
24 Non c’è dubbio che tali lezioni alternative siano autografe di Castelnuovo-Tedesco: lo dimostra
l’identità della grafia e particolarmente la tipicissima chiave di violino e il bemolle in chiave.
Inoltre, l’annotazione di Segovia di cui alla nota precedente non si spiegherebbe altrimenti.
25 L’indicazione (1) è presente e riferita solo a battuta 1, dove, nel testo autografo, le ottave
che caratterizzano il primo tema sono ribattute sia per la nota superiore sia per l’inferiore
(Segovia trovò una soluzione intermedia, raddoppiando al basso solo la prima nota delle ottave
ribattute): Castelnuovo-Tedesco avrebbe quindi preferito, se tecnicamente possibile, questa
soluzione, forse per l’intero pezzo; l’indicazione (2) è presente alle battute 40-41 e 44-45 (ma
a testo le note sono all’ottava bassa); la (3) alla battuta 54, ma probabilmente da riferirsi alla
lezione alternativa della battuta 53 che prevedeva le note sopracute tutte ribattute e con un
diverso profilo melodico. Non è escluso che un’analisi da vicino del manoscritto possa rivelare
la presenza di queste indicazioni in altri punti, poiché la matita è scarsamente leggibile.
26 «Très joli», «très bien», «Ici très bien», «Très, très bien», «Tout ceci est toujours bien», «Très
bien, et d’un grand effet», «Très bien les deux themes», etc.
27 «Ces volutés sont possibles et jolies dans cette positions d’accords, mais difficiles plus loin»,
«encore possibles», «Ici seulement la première note d’au bas est possible», «assez difficile déjà»,
«Plus difficile encore », «même chose», « Si vous doublez la figuration de tout ce trait ce sera
peut etre plus brilliant a condition de ne pas monter jusq’au si mais au la», «impossible vivace,
lente etre un degre de moins», «possible une 8e au dessus», «trop haut», «même chose pour
éviter que la main fasse deux grands sauts», «très difficile», «difficile et par conséquence “le
brio” au souffre», «pour prendre l’accord qui suit», «difficile pour augmenter la force», etc.
28 A battuta 4, 106, 195.
29 A battuta 1-2, 119-121, 192, 196.

Codice 602

71
Stefano Campagnolo

Il confronto con Ricordi 1939 mostra che nella stampa è stato accolto il
testo base con alcune delle battute alternative a matita (tutte quelle ripassate o
modificate a penna da Segovia)30. Inoltre, ci sono ulteriori piccole modificazioni
(raddoppi, disposizione di qualche accordo cui viene aggiunta o tolta una nota,
armonici aggiunti, eliminazione dell’acciaccatura d’ottava nel tema conservata
solo nella parte finale del pezzo, etc.) e tre varianti significative. La principale è
la soppressione di un’intera sezione: 24 battute contrassegnate dall’indicazione
Coda (Alla Marcia) Ritmico che si pongono tra le battute 235 e 236 (Sostenuto)31. In
questo punto Segovia aveva annotato: «difficile à cause des accords superieurs»,
estendendo l’indicazione alle battute 253-259 (Y) della sezione soppressa.
La seconda variante significativa è la modifica della sezione in tremolo,
che si presenta in Yale 517 in 4/4, in semicrome, con le note inferiori come
crome inframmezzate da pause di croma, e in Ricordi 1939 in 2/4, in bi-
scrome, con le note inferiori senza pause: differenza più per l’occhio che
per l’ascolto, in quanto la velocità della scansione della sezione può o meno
renderle equivalenti. Oltre al profilo ritmico, è stato modificato però anche
quello armonico, con una percepibile alterazione, della maggior parte di
questa sezione (Malinconico ma piuttosto mosso, battute 168-191), e che ha
implicato il cambiamento anche delle battute di congiunzione colla sezione
precedente. Il passo pone una questione di non facile lettura: nella prima
delle due pagine occupate dalla sezione, lungo il bordo esterno della p. 10,
Segovia scrive: «Cette periode est très bien. Seulement, est ce dommage que
la basse ne soit pas une note a vide, peut etre/ [cancellato: en Mi mineur ou]
au La mineur… Mais!…». Sotto, nel pentagramma libero, invece del Sol che
fa da pedale nella prima parte della sezione (che è in Sol minore), e deve per
forza di cose essere tastato sulla sesta corda, è annotato, a matita e ripetuto
per tutte le battute interessate, il Re su corde a vuoto (la IV la prima volta e la
VI poi) che si ritroverà nella stampa. Se attribuissimo a Segovia questo Re, si
tratterebbe dell’unica occasione in cui sarebbe intervenuto a matita sul testo,
prerogativa invece del compositore, cui potrebbe anche in questo caso essere
dovuta la soluzione al problema tecnico posto dal chitarrista (che avrebbe
preferito una corda a vuoto), che peraltro pensava, a giudicare da quanto
scritto, a una improbabile soluzione modulante in Mi minore o La minore.
La terza macrovariante è nel finale: Yale 517 riporta alla battuta 276 [252
R] un Mi sul cantino al XII tasto, con acciaccatura iniziale all’ottava sotto,
ribattuto in quartine di semicrome per tre misure di 2/4 con indicazione

30 Quelle poi accolte sono state rimarcate e a volte modificate da Segovia a penna rossa. Le
lezioni rigettate sono alle battute n. 53, 114-115, 118-119, 231-235, cfr. inoltre la nota seguente;
le lezioni accolte ma modificate sono alle battute n. 76, 81, 84-85, 88-91; quelle accolte nella
stampa senza modificazioni sono le battute n. 77, 80, 86-87, 92-99.
31 Da adesso si dà doppia numerazione per la parte finale: la numerazione di Ricordi 1939 viene
contraddistinta dalla R, quella di Yale 517 dalla Y. Anche la Coda ha delle battute alternative
autografe: 241-243 Y.

72
Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

dinamica da ff a p e relative forcelle. Inoltre, sopra al pentagramma, come


fosse una indicazione espressiva, è scritto: «La Campanella!... lungo ad
libitum»�, volendo evocare, in conclusione all’omaggio, il tema omonimo
del celebre rondò conclusivo del secondo concerto op. 7 in si minore per
violino e orchestra di Paganini. Nello stesso punto Segovia ha aggiunto:
«Ñ’aimeriez-vous pas rendre l’apparition de ce theme plus concrete?». A
diretto riscontro di questa richiesta segoviana, in Ricordi 1939 compare
una esplicita esposizione del tema paganiniano, in semicrome ribattute a
terzine in sei battute di 3/8, che conduce alla subitanea cadenza conclusiva.
***
A giudicare dal testo edito e dalla sommaria descrizione della fonte,
Yale 517 dovrebbe essere il testimone che è stato utilizzato per la nuova
edizione moderna del Capriccio ‘fondata sul manoscritto originale’ a cura
di Gilardino e Biscaldi32, per quanto gli editori dichiarino di essersi rifatti
a un manoscritto presente presso la Fondazione Segovia di Linares, ma si
tratta certamente della copia eliografica proprio di Yale 51733.
L’edizione Gilardino-Biscaldi appartiene al genere Urtext34, ovverosia,
etimologicamente parlando, a una revisione condotta sul ‘testo originario’.
Un’edizione pratica, adatta all’esecuzione in quanto provvista di diteggia-
tura e ogni altra indicazione utile a tal proposito, ma affatto sprovvista di
apparato critico e della possibilità di poter ricorrere al facsimile del testo
edito, come invece avviene nelle belle edizioni Bèrben dell’Archivio Segovia.

32 Cfr. nota precedente.


33 «Presso la Fondazione Segovia di Linares (la città natale del grande chitarrista), sono conservati
alcuni manoscritti musicali di Castelnuovo-Tedesco, in originale o in copia eliografica. Tra essi,
quello del Capriccio diabolico (…)», Castelnuovo-Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova
edizione, cit., p. 5. Per la Tarantella più oltre si parla esplicitamente di ‘copia del manoscritto
originale’.
34 Si faccia riferimento per la definizione a Maria Caraci Vela, La filologia musicale. Istituzioni,
storia, strumenti critici, 3vv., v. I: Fondamenti storici e metodologici della Filologia musicale, Lucca,
LIM, 2005. Ecco parte del capitolo dedicato all’edizione Urtext: «Questo tipo di edizione
non ha veri riscontri fuori dall’ambito musicologico. Urtext è parola tedesca che vuol dire
testo originario, ma proprio per questo è un termine quanto mai confuso. Come tale potrebbe
infatti essere inteso un testimone d’autore (autografo, stampa autorizzata), ma di fatto l’Urtext
non è quasi mai questo; oppure un testo ricostruito criticamente, ovvero una edizione critica (che
almeno idealmente si avvicina a un ipotetico ‘originale’ o ad un archetipo), ma Urtext non è
propriamente neppure questo. Questa tipologia di edizione nasce all’inizio dell’Ottocento
come diplomatica di un singolo testimone d’epoca correlato da indicazioni utili alla prassi. Il
termine ha poi finito per applicarsi a edizioni musicali molto diverse fra loro, che vanno da
diplomatico-interpretative di testimoni cronologicamente o geograficamente vicini all’autore,
a edizioni didattiche o addirittura a ristampe di edizioni pratiche tardo-ottocentesche, fino
ad edizioni basate sul confronto fra più testimoni (condotto spesso in forma selettiva e non
sistematica con ciò assumendo su di sé le peggiori contraddizioni e goffaggini che affliggono
la filologia musicale). Nella migliore delle ipotesi una edizione Urtext è quindi una diplomatico
interpretativa ben fatta; più spesso si rivela nient’altro che una edizione pratica, o un’edizione
con pretese scientifiche ma condotta con metodo eclettico; in qualche caso coincide con
un’edizione critica a tutti gli effetti.» (p. 177).

Codice 602

73
Stefano Campagnolo

Ricostruendo il lavoro fatto dagli editori si può dire che si attengano da


vicino al testo ‘principale’, cioè quello in inchiostro nero, adottando soluzioni
originali nei casi di impossibilità tecnica di esecuzione, talvolta coincidenti
con quelle segoviane, in rarissimi casi deviando dal manoscritto senza ragione
apparente35. Vengono ignorate del tutto le lezioni alternative dello stesso
Castelnuovo-Tedesco che non sono state riconosciute come autografe nel
caso del Capriccio36. In un convegno del 2004, infatti, Gilardino affermava:
Il compositore scrisse il testo primario con la consueta maestria compositiva:
ogni dettaglio vi è rifinito alla perfezione. Tale testo fu però oggetto, da parte
di Segovia, di numerose e rilevanti correzioni e di una drastica abbreviazione:
ben 24 battute della Coda (da 236 a 259) furono eliminate. Le modifiche di
Segovia sono annotate parallelamente al testo originale, come degli “ossia”37.
Evidentemente interpretando le aggiunte a matita come di mano segovia-
na. In realtà le modifiche al testo in questo manoscritto operate da Segovia
sono pochissime: le più rilevanti le troviamo nel passaggio all’edizione a
stampa. Gilardino-Biscaldi non hanno tenuto in considerazione neanche
le soluzioni che Castelnuovo-Tedesco avrebbe ritenuto preferibili, indicate
dalle raccomandazioni numerate poste sulla carta singola38.
La domanda di fondo è però questa: perché preferire la stesura di base di Yale
517 rispetto a Ricordi 1939? Può quella essere considerata ‘il testo originale’?
L’edizione Ricordi 1939 giunse quattro anni dopo la composizione del
Capriccio, per quanto, come racconta lo stesso Castelnuovo-Tedesco, Segovia
appena venti giorni dopo aver ricevuto il manoscritto tenne a battesimo il

35 Per quest’ultimo caso, a battuta 52-54, 106, 122, 195.


36 Avrebbero consentito, ad esempio, di adottare una eseguibilissima lezione a battuta 243 Y,
nella Coda poi soppressa in Ricordi 1939, invece di correggere quella presente sopprimendo
un si ineseguibile sull’ultima croma puntata. Si noti la coerenza di Castelnuovo-Tedesco: nella
lezione in inchiostro (si può vedere nell’edizione Gilardino-Biscaldi) c’è il basso che ascende
per gradi da battuta 241 a 243 Y (re-mi-fa-sol-la-si: il si è soppresso nella revisione, spezzando tale
disegno). Nella versione alternativa a matita il basso segue comunque un disegno coerente
per quarte e quinte (re-sol-re-sol-re-sol).
Per la Tarantella invece, compresa nella stessa edizione moderna di Gilardino-Biscaldi, le
aggiunte d’autore nel manoscritto sono correttamente identificate come tali, poiché sono così
commentate: «Non è chiaro il senso delle poche alternative indicate come “ossia” dallo stesso
autore: esse non rispondono ad alcuna necessità, perché la stesura primaria è eseguibilissima
e musicalmente preferibile (e infatti Segovia la mantenne)» (Castelnuovo-Tedesco, Capriccio
Diabolico, Tarantella, Nuova edizione, cit., p. 6).
37 Angelo Gilardino, Il repertorio segoviano alla luce degli ultimi ritrovamenti. Capriccio diabolico e
Tarantella: nuove fonti per una messa a punto del testo musicale, in 9° Convegno Internazionale di
Chitarra, Alessandria, 2 ottobre 2004, Teatro Comunale - Sala Ferrero, atti a c. di Marco Pisoni,
(disponibili all’URL: http://www.seicorde.it/convegno2004.php), pp. 2-6: 4. Il testo della
comunicazione è stato poi ripreso quasi integralmente nell’introduzione all’edizione del
2006.
38 Sarebbe possibile, ad esempio, eseguire le battute 40 e 45 all’ottava alta, come da indicazione
«(2) si possible, à l’octave haute» raggiungendo, rispettivamente, il la sul cantino al XVII e
il si al XIX e ultimo tasto.

74
Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

pezzo sulla prestigiosa piazza di Londra: quale versione avrà interpretato?


Non lo sappiamo, ma è impensabile che fosse il testo riprodotto in Ricordi
1939. La prima registrazione venne solo molti anni più tardi39.
Le ragioni del ritardo nella pubblicazione le spiegano Gilardino e Biscaldi:
(…) dipese principalmente dagli eventi che sconvolsero la vita di Segovia
nel 1936. In giugno, infatti, il grande concertista dovette fuggire precipito-
samente da Barcellona, dove viveva, e dove era da poco rientrato al termine
di una lunga tournée in Unione Sovietica. La sua sicurezza personale, allo
scoppio della guerra civile spagnola, era gravemente minacciata. Segovia si
rifugiò temporaneamente in Italia, a Genova, ma fu soltanto con il successivo
trasferimento a Montevideo che la sua vita poté riassestarsi in condizioni tali
da permettergli di riprendere il lavoro di revisore di musiche scritte per lui40.
Per rigettare come spuria Ricordi 1939, Gilardino e Biscaldi fanno rife-
rimento a un avvenimento ben noto, occorso molti anni dopo, ovverosia lo
screzio intervenuto nel rapporto fra Segovia e Castelnuovo-Tedesco, in cui si cita
espressamente il Capriccio diabolico. In una lettera non datata, ma certamente
del 1959, Segovia annunciava a Castelnuovo-Tedesco (per quanto premettesse
che queste decisioni non mutassero i suoi sentimenti di amicizia, né la sua
stima) che non avrebbe più interpretato le sue musiche, né in concerto, né
le avrebbe registrate su disco, poiché alcuni comuni conoscenti, in Italia e
Germania e fra loro indipendenti, gli avevano riferito che egli “disapprovava
la sua interpretazione”41. Castelnuovo-Tedesco rispose il 3 maggio dello stesso
anno, dicendosi da una parte sorpreso che l’amico avesse dato credito a tali
calunnie e affermando di non aver mai criticato la sua arte in generale, giudi-
cando le sue esecuzioni “eccellenti” e i suoi dischi “magnifici”, con l’eccezione
del Capriccio diabolico (“come tu già sai”), di cui avrebbe amato “la sonorità”,

39 Nel 1955 (registrazione dell’aprile 1954), con il Long Playing, An Evening with Segovia (Decca
DL 9733 / Brunswick AXTL 1070 / DGG 618544), che include la prima registrazione del
Capriccio diabolico.
40 Castelnuovo-Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova edizione, cit., p. 5.
41 La lettera è stata pubblicata in Otero, Mario Castelnuovo Tedesco su vida, cit. e più volte riportata
da altri, ma non sono a conoscenza né di dove sia l’originale, né in quale lingua sia scritto.
In spagnolo il passo è riportato in questo modo: «En Italia y en Alemania algunas personas,
que no se conocen entre ellas, me han dicho que ya no te hace feliz escucharme ejecutar tus
obras. Que tú desapruebas mi interpretación, pero que no osas hacerme observaciones por
miedo a irritar la enorme vanidad que el éxito ha desarrollado en mí», e in conclusione della
lettera: «no tendré ya el placer de tocar tus obras puesto que no estás satisfecho de la forma
en que yo las interpreto». Questi stessi passi nella versione inglese del libro di Otero: «In Italy
and German some people, not known to one another, have told me that it no longer makes
you happy to hear me performing your works. That you disapprove my interpretation, but you
dare not make such observations to me for fear of irritating the enormous vanity that success
have developed in me». «I will no longer have the pleasure of playing your compositions
since you are not satisfied with the way I interpret them» (Otero, Mario Castelnuovo Tedesco:
his Life, cit. pp. 107-108).

Codice 602

75
Stefano Campagnolo

ma non “l’interpretazione”42, ed elencando poi in modo puntuale una serie di


rimostranze sul comportamento di Segovia, colpevole di avergli richiesto molte
composizioni (talvolta con urgenza, come per il secondo concerto con orchestra,
nel 1953; lo stesso per la Passacaglia op. 180 del 1956) e non averle mai eseguite,
ma più ancora di aver promesso più volte di preparare revisione e diteggiatura
di numerose opere, quali Escarramán op. 177, e anche alcune continuamente
eseguite e nel repertorio del chitarrista, come la Suite, la Fantasia, il Rondò, il
Quintetto e la Tonadilla e addirittura il Concerto in Re. Castelnuovo-Tedesco co-
municò infine che non avrebbe atteso oltre e aveva deciso di pubblicare questi
pezzi senza la revisione segoviana, opere che uscirono infatti in questa forma.
Il rapporto si sarebbe poi rinsaldato dopo la chiarificazione.
Inequivocabilmente, nel loro carteggio Castelnuovo-Tedesco e lo stes-
so Segovia fanno riferimento non all’edizione del Capriccio di venti anni
antecedente, ma alla recente incisione su disco che ne aveva fatto Segovia.
Malgrado Gilardino e Biscaldi condividano questa opinione, dando anzi
dell’interpretazione segoviana su disco una appropriata chiave di lettura43,
estendono le riserve dell’autore al testo stampato nel 1939, concludendo che:
È verosimile che Castelnuovo-Tedesco avesse infine accettato l’intervento
di Segovia – lo fece anche in altri casi –, ma questo non significa che pre-
ferisse il testo modificato alla sua redazione primaria: chi scrive [Gilardi-
no] è stato destinatario di lettere in cui il compositore manifestava la sua
volontà di far conoscere al maggior numero possibile di chitarristi i testi
originali delle sue composizioni poi pubblicate con la revisione segoviana,
da lui sempre subita obtorto collo, anche se, ovviamente, la sua stima per

42 «Yo respondo a todas simplemente: 1- Que yo jamás he criticado tu arte en general, que es
(como todo mundo sabe) fuera de serie. 2- Que yo encuentro tus ejecuciones de mi música
excelentes y tus discos magníficos, con excepción del Capriccio Diabolico, que tú ya lo
sabes. En él amo la sonoridad aunque menos la interpretación»; e in inglese: «I respond to
all of them simply; 1- That I never criticised your art in general, which (as the whole worlds
knows) is out of the ordinary. 2. That I find your performance of my music excellent and your
records magnificient, with the exception of Capriccio Diabolico, as you already know. I love
his sonority, the interpretation not so much». (Otero, Mario Castelnuovo Tedesco: his Life, cit.
pp. 108-109). Nulla di tutto ciò compare nell’autobiografia di Castelnuovo-Tedesco, ultimata
nel 1955 e poi solo ritoccata fino al 1966.
43 «Eppure, quel pezzo era uno dei cavalli di battaglia del maestro spagnolo, e non sono pochi i
suoi estimatori che tuttora collocano quell’incisione ai vertici dell’arte segoviana. La verità è che
Segovia aveva individuato nel brano moltissime possibilità per rivelare la magia del suo suono
e l’eleganza forbita del suo fraseggio, interpretando il Capriccio con l’allure libera e fantasiosa
nella quale era inarrivabile, ma non aveva esitato, per favorire la piena espressione di tali valori,
a sacrificare la coerenza formale e armonica che, agli occhi del compositore, risultava invece
essenziale. Dai rispettivi punti di vista, entrambi i maestri avevano le loro ragioni!» Castelnuovo-
Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova edizione, cit., p. 6. Effettivamente nell’interpretazione
del pezzo Segovia si prende molta libertà, accentuando la cantabilità a scapito della pulsione
ritmica, libertà che trasforma il Capriccio (che per sua natura non possedeva di già l’architettura,
che so, di un tempo di sonata), in una liberissima fantasia composta di sezioni giustapposte,
perdendo di solidità, ma dubito che anche rifacendosi al primo abbozzo del pezzo, stante la
scelta interpretativa, la solidità strutturale sarebbe stata recuperata.

76
Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

Segovia era incondizionata. Gli interventi di Segovia – volti a conferire ad


alcuni singoli passi del brano quella cantabilità scorrevole che egli predi-
ligeva – condussero a una sorta di destrutturazione del brano, ed essendo
Castelnuovo-Tedesco compositore che non scriveva una sola nota senza
una precisa ragione, si può ben comprendere come l’indebolimento della
forma complessiva del pezzo determinasse nel compositore quello stato di
insoddisfazione che lo spinse a tentare, nel 1945, un recupero dell’opera,
con una versione per chitarra e orchestra, rimasta inedita (op. 85/2)44.
Al di là delle rispettabilissime opinioni degli editori, e del carteggio cui
si fa cenno e che speriamo di poter presto conoscere, molti elementi si
oppongono a questa ricostruzione. Anzitutto l’idea, fondata solo sui propri
convincimenti, che le sostanziali varianti che ho illustrato fra Yale 517 e Ri-
cordi 1939 si debbano a Segovia. Nessuna delle tre varianti significative della
stampa è attestata in Yale 517, né la cancellazione della Coda, né la citazione
de La Campanella, né la riscrittura della variazione in tremolo (se non per la
sommaria indicazione del basso, peraltro a matita come usato dal compositore).
È palese come fra il working manuscript Yale 517 e Ricordi 1939 debbano
esistere dei testimoni interpositi, e su questo sono concordi anche Gilardino
e Biscaldi, laddove affermano che «l’autore realizzava una stesura “ideale”
dell’opera e la inviava a Segovia, il quale gliela rimandava corretta» (questa
fase di elaborazione corrisponde molto bene alla natura di Yale 517) e che
poi «su questa seconda versione aveva luogo un’ulteriore messa a punto del
testo (..) che comportava uno scambio di lettere e di fogli di musica, con
confronti tra diverse possibilità», e che infine «la successiva pubblicazione era
basata non sul manoscritto dell’autore, ma su quello che Segovia realizzava
di proprio pugno, e che veniva inviato all’editore». Prima di arrivare dunque
alla bella copia con diteggiatura che Segovia avrebbe inviato all’editore45
– il tedesco Schott di solito, ma Ricordi in questo caso per via delle origini

44 Castelnuovo-Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova edizione, cit., p. 6.


45 Questo modus operandi, come appropriatamente definito da Gilardino-Biscaldi, è derivabile
in particolare da una lettera di Castelnuovo-Tedesco che accompagna un autografo delle
Variazioni op. 71: «Florence, le 12 Janvier 1933/ Mon Cher Segovia,/ Excuse-moi si je n’ai
pas reponder plus toit a Votre lettre, et si me Vous aripres encore remerciè de la copie des
Variations que Vous m’avez envojé; mais j’ai été assent plusieurs jours pour des executions de
mon Quintette. J’ai fait moi-meme une copie de Votre manuscript (pour quelle fuit exacte)
et je l’ai envojée a Schott. Ja n’ai que quelques petit doutes que je Vous sonmets pour pouvoir
eventualment faire des corrections sur les graveurs. J’avais, dans mon manuscript, ecrit les
mesures 21-24 de la Chaconne […]», seguono alcune battute con discussione della lezione, di
estremo interesse per la ricostruzione del testo critico. Nel caso delle Variazioni op. 71 quindi,
a giudicare da questa lettera (che testimonia dello «scambio di lettere e di fogli di musica,
con confronti tra diverse possibilità»), fu Castelnuovo-Tedesco a inviare all’editore Schott
di Mainz la copia fatta di propria mano della versione già diteggiata dal chitarrista. Non so
purtroppo comunicare l’ubicazione del manoscritto e della lettera allegata (sono diffusi e
scaricabili in rete), ma Leendert Van Grammeren, The Guitar Works of Mario Castelnuovo-Tedesco,
cit., p. 241, elenca l’esistenza di due manoscritti del pezzo: uno presso l’archivio della Schott
(e potrebbe essere questo) e uno presso la Biblioteca del Congresso di Washington.

Codice 602

77
Stefano Campagnolo

ebraiche del compositore – intercorrevano vari altri passaggi. Del resto è


ben difficile immaginare che da Yale 517 si passi a Ricordi 1939 con un solo
ulteriore testimone: è probabile che siano esistite almeno un’altra copia
del compositore, parziale o totale, e una dello strumentista. Le occasioni di
lavorare insieme non sarebbero mancate, senza contare la possibilità usuale
di interagire per corrispondenza: già l’anno successivo Segovia era a Firenze
per un breve periodo, durante il quale Castelnuovo-Tedesco scrisse e gli
recapitò la Tarantella46, poi Segovia, costretto dagli eventi, soggiornò qualche
tempo a Genova: soprattutto, l’occasione certa di incontro fu il Natale del
1938, uno dei momenti più significativi per la vita di Castelnuovo-Tedesco,
che stava meditando di lasciare per sempre l’Italia dopo l’approvazione
delle leggi razziali e averne provato sulla propria pelle i primi amarissimi
effetti. Quel periodo viene così rievocato nelle sue memorie:
Intanto gli eventi precipitavano: nel 1938 s’accese la campagna razziale, ed
io mi preparavo a lasciare l’Italia (con quale strazio nell’anima nessuno può
immaginarlo!): pieno d’angoscia e di preoccupazioni, da sei mesi non com-
ponevo più (cosa insolita per me, in genere così attivo). Allora Segovia compì
un gesto squisito, che non dimenticherò: in quel periodo in cui tanti colleghi
mi voltavan le spalle (o almeno mi evitavano accuratamente), Segovia venne a
Firenze apposta per passare le vacanze di Natale con me, e per incoraggiarmi a
sperare in un migliore avvenire: mi disse che non dovevo disperare, che avevo
talento e che in America avrei saputo rifarmi una vita; insomma mi confortò
grandemente. Ed io rimasi così commosso da quel suo gesto amichevole, che
gli promisi che il primo lavoro che avrei scritto sarebbe stato il Concerto in re
per chitarra e orchestra, che tante volte gli avevo promesso. Anzi, durante il
suo soggiorno a Firenze, scrissi senz’altro, tutto d’un fiato, il primo tempo, e lo
collaudammo insieme; dopo Segovia partì per l’America del Sud (io, qualche
mese dopo, per l’America del Nord); ma, nel gennaio del 1939, composi gli
altri due tempi, e, prima di lasciare l’Italia, glieli spedii47.
È ipotizzabile con ragionevole certezza che nelle giornate trascorse
insieme – in cui prendeva forma il primo tempo di quello che Castelnuovo-
Tedesco considerò poi forse il proprio capolavoro assoluto e di sicuro sta
fra i più significativi, cioè il Concerto in re per chitarra e orchestra –, in cui
i due amici trovavano reciproco conforto nella musica – l’uno provato
dalla guerra civile in corso nel proprio paese ed esule, l’altro assai più fe-
rito e in procinto di diventare esule, senza saperlo, per sempre –, Segovia
ripercorresse con l’autore tutti i pezzi scritti per lui fino a quel momento
e che facevano parte del suo repertorio, e massime quelli che sarebbero

46 «(…) nel 1936, durante una breve permanenza di Segovia a Firenze, composi la Tarantella,
un pezzo agile e brillante (di sapore lievemente rossiniano) che è diventato il pezzo più
noto della mia produzione chitarristica; (…)», Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica,
cit., p. 264.
47 Ibid., pp. 264-5.

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Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

stati pubblicati di lì a pochi mesi. Insomma, ci sono pochi dubbi che sia
l’edizione a stampa a conservare la versione d’ultima mano (fassung letzter
hand)48 di Castelnuovo-Tedesco, e per rimuovere una tale certezza occor-
rerebbero delle assai solide prove, che al momento mancano.
Anche un’altra delle argomentazioni portate da Gilardino-Biscaldi
depone al contrario di quanto pensino i proponenti, ovvero che per ri-
mediare alla revisione di Segovia il compositore tentasse un recupero del
pezzo dieci anni dopo realizzandone la versione per chitarra e orchestra
(op. 85/2). La versione con orchestra, di fatto un accompagnamento
orchestrale per la parte solistica, dove all’orchestra è riservata la sola
ricapitolazione finale dei temi, è basata integralmente su Ricordi 1939.
Se avesse voluto, Castelnuovo-Tedesco sarebbe stato liberissimo, potendo
contare sulle risorse orchestrali, di risolvere tutte le problematiche tecniche
evidenziate in Yale 517 e ripristinare così la soppressa Coda o il passaggio
in tremolo, cosa che si è guardato bene dal fare. Viene mantenuta anche
la citazione de La Campanella, anzi, viene chiarita ulteriormente l’inten-
zione del compositore, che mescola le versioni di Yale 517 e Ricordi 1939:
il Mi sovracuto, infatti, è tenuto, come nel manoscritto, in associazione
con il triangolo a creare propriamente l’effetto strumentale che ha reso
famoso il concerto paganiniano e poi, dopo l’efficace sospensione così
realizzata, c’è l’enunciazione del tema.
Ritengo questa soluzione estremamente felice e la citazione esplicita
del tema paganiniano niente affatto forzata49, così come penso che la Coda,
eliminata nella versione finale, fosse sovrabbondante e pletorica. In poche
parole, penso che la versione Ricordi 1939 sia musicalmente superiore,
più ricca di contenuti musicali, maggiormente concisa ed essenziale, di
quella che possiamo leggere in Yale 517, così come è mia convinzione che
le scelte infine tradotte nel testo a stampa, anche se suggerite da Segovia
nella forma che abbiamo visto espressa in Yale 517, siano integralmente di
Castelnuovo-Tedesco.
Come considerare allora il testo di Yale 517? Solo una recensio completa
dei testimoni del Capriccio e il vaglio degli altri autografi, lo studio della prassi
compositiva di Castelnuovo-Tedesco, il ricorso alla ricca documentazione
oggi conservata alla Library of Congress, così come ai numerosi carteggi

48 Cfr. Georg von Dadelsen, Die “Fassung letzter Hand” in der Musik, «Acta Musicologica», XXXIII/1
(1961), pp. 1-14 (in trad. it. La ‘versione d’ultima mano in musica’, in La critica del testo musicale.
Metodi e problemi della Filologia musicale, a c. di Maria Caraci Vela, Lucca, LIM, 1995, pp. 47-62).
49 «A noi, quella citazione è sempre parsa pretestuosa e imbarazzante: nel 1967, non esitammo
a scrivere al compositore che tale citazione ci sembrava una battuta da Hellzapoppin, e non
ricevemmo alcuna smentita. Leggendo il manoscritto, constatiamo che non fu farina del
sacco di Castelnuovo-Tedesco» (Castelnuovo-Tedesco, Capriccio Diabolico, Tarantella, Nuova
edizione, cit., p. 6). La ‘non smentita’ non può essere catalogata ad assenso, anche perché al
compositore potrebbe non aver fatto piacere la critica ricevuta ed essersi perciò elegantemente
defilato con un silenzio.

Codice 602

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Stefano Campagnolo

sparsi in archivi pubblici e privati, che conduca alla realizzazione di una


edizione critica del pezzo possono dare una risposta definitiva50.
Al momento, dati gli elementi presi in esame, Yale 517 non può che
essere considerata una versione iniziale e precaria – certo non un abbozzo,
essendo completa di tutte le sue parti –, e, soprattutto, come tale consi-
derata dal suo autore in attesa dell’approvazione segoviana. Castelnuovo-
Tedesco infatti ricercava la revisione dell’amico Segovia: non è un caso
che le mancanze del chitarrista spagnolo in questo ambito costituiscano il
punto centrale del cahier de doléance rappresentato dalla lettera del 1959.
Castelnuovo-Tedesco era perfettamente consapevole che i suoi pezzi, anche
se sotto l’egida segoviana in quanto a lui dedicati, anche se pubblicati nelle
sue collezioni, difficilmente si sarebbero imposti così come concepiti dal
compositore, senza diteggiatura e con notevoli incongruenze tecniche che
ne rendevano asperrima l’esecuzione. Sarebbero state assai meno attrattive
per il pubblico dei fruitori, e che Castelnuovo-Tedesco fosse nel giusto lo
dimostra la scarsa fortuna delle opere pubblicate da Schott senza la revisione
segoviana, come, ad esempio, la difficile Suite, o il Rondò.
Il termine originale va inteso nel senso proprio di «ciò che risale
all’autore»51, ma non basta che un testimone sia autografo perché conservi
l’originale. Va tenuto in conto come «i testimoni d’autore possono presen-
tarsi problematici e incompleti o», come in questo caso, «risalire a livelli
redazionali provvisori e superati»52.
Ricordi 1939, per le ragioni esposte, è quello che può essere definito
il testimone autorizzato che reca l’originale del testo, ovvero la versione
d’autore nella sua forma definitiva. Ciò non toglie che Yale 517 – oltre a
costituirsi come insostituibile fonte per lo studio della prassi compositiva di
Castelnuovo-Tedesco, e del suo rapporto con Segovia, inserendosi in questo
senso nell’ampio filone dello studio degli schizzi (definito, nella filologia dei
testi letterari, Critica degli scartafacci) –, possa essere essenziale anche nella
ricostruzione del testo: un testimone di questo tipo può essere utilissimo
per correggere errori nel testimone portatore della fassung lezter hand: un
esempio viene dalla Sonata ‘Omaggio a Boccherini’, in cui l’autografo, tra le
altre cose, consente di ripristinare la corretta indicazione espressiva Come

50 Esiste un utile lavoro accademico di una chitarrista olandese, che ha operato un confronto
(non accurato) fra Yale 517 e Ricordi 1939 al fine di realizzare una ulteriore nuova edizione,
sedicente critica, del Capriccio: Rosemarie Vermeulen, Mario Castelnuovo-Tedesco’s Capriccio
Diabolico: een herziene, kritische editie, April 2014 Research Report, Coach: Patrick van Deurzen.
La nuova edizione, a detta dell’autrice, sarebbe quella che «die Segovia ervan had kunnen
maken, mits hij zich wat bescheidener had opgesteld» (in traduzione: lo stesso Segovia
avrebbe potuto fare, se fosse stato un po’ più modesto/umile [!!!]). La Vermeulen mescola
liberamente Ricordi 1939 e Yale 517. Sugli esiti di un tale approccio si veda quanto affermo
in conclusione.
51 Caraci Vela, La filologia musicale, cit., p. 132.
52 Ibid.

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Urtext, Autografo, Originale: Mario Castelnuovo-Tedesco

una Fanfara, diventata nella stampa per errore di trascrizione un inopinato


Come una Fantasia53.
Un esempio come quest’ultimo dimostra come sia fallace l’uso della
pratica musicale di elevare un singolo testimone a testo, riproducendone
tutti gli eventuali errori e incongruenze in una deriva di fedeltà ‘diploma-
tica’ in realtà assai poco filologica; un errore di grado appena inferiore a
quello di mescolare liberamente diverse versioni senza alcun criterio, in
un ‘fai da te’ talvolta incoraggiato da alcuni didatti.
L’edizione critica non deve porre delle alternative tra le quali liberamente
scegliere, ma deve stabilire un testo, sottoponendo nello stesso tempo al vaglio
del lettore l’intero tragitto percorso per ricostruirlo, mettendolo a parte di
ogni scelta critica, con un apparato che renda ragione di tutte le lezioni accolte
o rigettate secondo i criteri stabiliti preliminarmente a seguito di operazioni
ineludibili quali recensio, collatio e valutazione dei testimoni. Inseguendo invece
un originale senza un credibile orizzonte metodologico si rischia di cadere
nel più imperdonabile dei restauri testuali pseudo-filologici: la creazione di
un falso storico. Tale bisogna considerare l’edizione Gilardino-Biscaldi (nel
pur lodevole intento di diffondere un prezioso documento) del Capriccio
diabolico, edizione che deroga al testimone autorizzato rivolgendosi a una
redazione provvisoria e superata, senza perdipiù riprodurla nella sua forma
integrale. Una redazione peraltro priva di un requisito che per altri repertori
e altre opere può avere almeno un elemento che ne rende, se non accettabile,
almeno plausibile l’esistenza, ovverosia quello di essere storicamente attesta-
ta, meglio ancora coincidendo con la vulgata, che, per quanto possa essere
scorretta, ha il merito di essere un testo che ha interagito con la storia, che
vale a dire, in ambito musicale, si è concretizzato in una performance, cosa di
cui nel caso di Yale 517 non abbiamo alcuna certezza.
Questa disamina del testo del Capriccio diabolico non è automaticamen-
te estensibile ad altre opere, edizioni o autori: sicuramente può essere di
aiuto – e vuol essere di esortazione –, a valutare criticamente i testi cui
rivolgersi, poiché l’uso di testi credibili, le scelte di repertorio consapevoli,
il lavoro per produrre edizioni critiche secondo principi scientificamente
consolidati, sono strade obbligate affinché si riesca a tenere lungi la chitar-
ra classica dai suburbi musicali da cui l’hanno emancipata l’arte di Andrés
Segovia e la splendida musica di Mario Castelnuovo-Tedesco.

53 Cfr. Luigi Attademo, La Sonata di Mario Castelnuovo-Tedesco: ecco il manoscritto, «Seicorde», 76


(luglio-settembre 2003), pp. 16-19. Anche il testo delle Variazioni op. 71 potrebbe essere
emendato sulla base della lettera citata a nota 46, che sembra portare varianti che si pongono
nelle intenzioni dell’autore come correttive rispetto al testo poi edito (ma valutazioni di
questo tipo non possono essere improvvisate).

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