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F.

A LBERTO G ALLO

LA TEORIA DELLA NOTAZIONE NEI SECOLI XIV e XV

D ie Notationsleh re im 14. und 15. Jah rh undert,


in Gesc h ic h te der Musikth eorie, 5:D ie mittelalterlic h e Leh ere v on der Meh rstimmigkeit,
Darmstat, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1984, pp. 257-356
Versione italiana di Cesarino Ruini
ABBREVIAZIONI

Bibl. Biblioteca/Bibliothek/Bibliothèque
c., cc. carta, carte
cap., capp. capitolo, capitoli
cfr. confronta
cit. citato
CS S c riptorum de music a medii aev i nov am seriem ... ed. E. de Coussemaker, 4 voll., Paris, 1864-1876
CSM Corpus Scriptorum de Musica
col. colonna
ed., edd edidit, ediderunt (=a cura di)
GS S c riptores ec c lesiastic i de music a sac ra potissimum , ed. M. Gerbert OSB, 3 voll., St. Blasien, 1784
ms., mss. manoscritto, manoscritti
n., nn. numero, numeri
OSB Ordo Sancti Benedicti
p., pp. pagina, pagine
RISM Répertoire International des S ourc es Music ales
sg., sgg. seguente, seguenti
s.l. senza luogo di edizione
v. vedi
vol., voll. volume, volumi

2
I. PERFECTIO

1. U n nuov o sistema

Alla fine del secolo XIII Johannes de Grocheo descrive la “musica, qua utuntur homines Parisiis” (ROHLOFF,
Quellenh andsc h riften , p. 124, n° 78) – in quella città, cioè, che allora rappresentava il centro culturale dell’Europa. La
sua suddivisione della società parigina segue sostanzialmente la tradizionale tripartizione in uomini che pregano,
uomini che combattono e uomini che lavorano.1 E la sua suddivisione della musica prevede parimenti tre generi: il
canto monodico su testi profani, il canto liturgico e la music a mensurabilis . Mentre classifica i primi due generi
secondo la loro funzione sociale – “civilis” per l’intrattenimento pubblico, “ecclesiastica” per la chiesa –, descrive la
più recente musica polifonica in base ad un criterio tecnico-musicale interno: come “cantum ... uniformi mensura
regulatum”, con cui mette particolarmente in evidenza la sua “regulari vel canonica” (ivi, nni 78 e 79) costruzione
teorica. Sembra trattarsi di un genere musicale in cui la funzione “estetica”, e con ciò la sua dimensione tecnico-colta,
viene considerata fondamentale e caratteristica.
La musica mensurabilis si basa sulla classificazione della durata dei suoni, cioè, sull’applicazione del concetto di
tempus – secondo Aristotele, della “mensura motus” (ivi, p. 138, n° 154) – ai suoni, tramite cui l’unitaria misura del
moto viene impiegata per le voci. Tramite questa classificazione il materiale sonoro diviene una parte della Ragione
universale. L’unità di misura musicale, il tempus perfectum, permette di misurare il suono, come il ruotare della volta
celeste misura il tempo fisico: “Ista autem mensura totum cantum mensurat, quemadmodum una revolutio totum
tempus” (ivi, n° 156). Il riferimento al tempo astronomico consente pertanto di concludere che allora anche
nell’ambito della musica si compì un mutamento nella comprensione del tempo: il passaggio da un “temps de l’eglise”,
la indefinita misura del canto liturgico, a un “temps du marchand”, l’esatta misura della musica d’arte polifonica.2
L’unità di misura del tempo permette anche di regolare esattamente il processo creativo. Il prodotto di questa musica
misurata, la composizione polifonica, nonostante la sua complessità, può essere ricondotta ad un unico fondamento
sistematico, come se fosse un oggetto geometrico. Come l’unità di misura dello spazio rende possibile misurare tre
diverse linee col ricondurle ad un principio unitario, così l’unità di misura del tempo musicale consente di lavorare con
tre o più linee melodiche differenti nella composizione polifonica: “Quemadmodum enim tres lineae extensae una
communi mensura mensurantur, et eadem ad invicem coaequantur, ita tres cantus vel plures praedicta mensura
intendimus mensurare” (ivi, p. 140, n° 159).
Questa componente sistematica e colta della musica mensurabilis è facilmente percepibile anche nelle
suddivisioni con cui Johannes de Grocheo descrive questo genere di musica. Egli distingue cioè tre diverse forme
musicali e le sistema in un solido ordine, che inizia con il genere più pregevole, secondo il principio retorico dei tre
stili:3 lo stile elevato della musica mensurale è rappresentato dal mottetto, che in virtù dell’accuratezza della sua
costruzione musicale e della sua artisticità “non debet coram vulgaribus propinari, eo quod eius subtilitatem non
animadvertunt nec in eius auditu delectantur, sed coram litteratis et illis qui subtilitates artium sunt quaerentes”. Il
mottetto è anche un ben definito genere destinato ad una cerchia chiusa di uditori colti ed eletti, che essi impiegano
come ornamento intellettuale delle loro feste (“Solet in eorum festis decantari ad eorum delectationem” – ivi, p. 144,
n° 183). Poiché l’autore descrive sempre la situazione di Parigi, si deve qui accennare al fatto che in effetti nei testi di
parecchi mottetti di questo periodo si fa riferimento alla società parigina, in particolare al colto ambiente universitario
e ai passatempi studenteschi in bonne compagnie (GALLO, La polifonia nel Medioevo, pp. 25-32). Vista nel suo
complesso la musica mensurale, nella sua forma più ricercata quale appare il mottetto, sembra essere un genere di
musica che era coltivata principalmente in un ambiente cittadino dal ceto più istruito e presumibilmente più
benestante, poiché anche un altro prodotto della musica mensurale, il conductus, “solet in conviviis et festis coram
litteratis et divitibus decantari” (ROHLOFF, Quellenhandschriften, p. 144, n° 185).
L’intellettualismo e la raffinatezza caratteristici di questo genere di musica sembrano collegati con due aspetti che,
anche se non sono estranei ad altri generi musicali, proprio per la musica mensurabilis sono fondamentali e
assolutamente inseparabili: la notazione scritta e il sostegno teorico – secondo la terminologia di Johannes de Grocheo
“modus designandi vel describendi cantus”, cioè la tecnica per fissare graficamente la durata dei suoni tramite segni
appositamente creati a questo scopo, e “mensura et modo mensurandi” (ivi, n° 181), cioè la definizione di un sistema
teorico con cui le lunghezze dei suoni vengano misurate. Per spiegare esattamente il funzionamento di questi due
aspetti, l’autore descrive la musica mensurale come un vero sistema di segni, come altri che l’uomo ha escogitato per
lavorare e comunicare intellettualmente.4
Per quanto riguarda la scrittura Johannes de Grocheo dà rilievo all’analogia tra la musica mensurale e due altri
sistemi di segni, il linguaggio e l’aritmetica: “Et quemadmodum grammaticus ex paucis litteris earum coniunctione et

1 G. DUBY, L e s t r o i s O r d r e s o u l ’ i m m a g i n a i r e d u f é o d a l i s m e , Parigi 1979.


2 J. LE GOFF, P o u r u n a u t r e M o y e n A g e . T e m ps , t r a v a i l e t c u l t u r e e n O c c i d e n t , Parigi 1979, pp. 46-79.
3 H. LAUSBERG, H a n d b u c h d e r l i t e r a r i s c h e n R h e t o r i k , München 1960, § 1079.
4 F.A. GALLO, F i g u r a a n d R e g u l a . N o t a t i o n a n d T h e o r y i n t h e T r a d i t i o n o f M u s i c a m e n s u r a b i l i s , in S t u d i e n z u r T r a d i t i o n

i n d e r M u s i k . K u r t v o n F i s c h e r z u m 6 0 . G e b u r t s t a g , München 1973, pp. 43-48.

3
situatione potest dictionem quemlibet designare et artificialiter numerans ex paucis figuris earum praepositione et
postpositione numerum quemlibet infinitum designare, ita musicus ex tribus figuris cantum quemlibet mensuratum”
(ivi, p. 142, n° 173). Questo genere di musica si fonda anche sul sistema di un numero chiuso di elementi costitutivi, le
sole tre note: longa, brevis e semibrevis, con la cui varia collocazione è però realizzabile ogni composizione musicale,
allo stesso modo che le poche lettere dell’alfabeto e le semplici cifre rendono possibile qualsivoglia discussione oppure
qualsiasi calcolo.
La sola notazione scritta – il sistema di scrittura fatto di segni musicali – di per sé non sarebbe però sufficiente a
garantire il funzionamento della musica mensurale senza l’indispensabile aiuto della teoria, di un’impalcatura teorica,
come provvedono i trattati di teoria musicale: “Istis autem figuris diversimode significationem tribuerunt. Unde sciens
cantare et exprimere cantum secundum quosdam, secundum alios non est sciens. Omnium autem istorum diversitas
apparebit diversos tractatus aliorum intuenti” (ivi, n° 179). Il significato dei segni non sta comunque in loro stessi,
bensì viene fissato tramite le regole nei trattati teorici, perché allo stesso simbolo possono essere attribuiti differenti
significati a seconda dei modi con cui i diversi teorici lo interpretano, in base ai differenti codici di regole nei diversi
trattati musicali. E poiché Johannes de Grocheo descrive la prassi della musica mensurale in un luogo geografico e
storico esattamente determinato, egli informa anche che il codice di regole colà più diffuso e generalmente conosciuto
era il trattato musicale di Franco da Colonia: “plurimi tamen modernorum Parisiis utuntur figuris prout in arte magistri
Franconis sumuntur” (ivi, p. 144, n° 180).
Il decisivo ruolo dell’Ars cantus mensurabilis di Franco per la formazione del nuovo genere musicale nei suoi
due fondamentali aspetti era già stato riconosciuto da un altro teorico contemporaneo, il cosiddetto Anonimo IV, che
ricostruì la tradizione continua della polifonia misurata a Parigi anche fino all’arrivo di Franco. Con lui – relativamente
alla scrittura musicale – aveva avuto inizio “un altro tipo di notazione” (“aliter pro parte notare” – RECKOW,
Anonymus 4 I, p. 46, riga 24) e di conseguenza – relativamente alla teoria – erano state elaborate “alias regulas
proprias suis libris apropriatas” (ivi, riga 25).

2. L’eredità di Franco da Colonia

Nel prologo dell’Ars cantus mensurabilis (ed. Reaney-Gilles, p. 23), probabilmente terminata nel 1280, Franco
chiarisce espressamente il suo intendimento di fornire col trattato un sistema chiuso di musica mensurale come genere
autonomo fin dalle prime parole: “Cum de plana musica quidam philosophi sufficienter tractaverint”. Infatti gli altri
due precedenti importanti trattati sulla musica mensurale, quello attribuito a Johannes de Garlandia e quello
dell’Anonimo IV, non costituiscono testi indipendenti, bensì la conclusione di una dissertazione sulla musica plana,
come già preannunciano gli stessi incipit (“Habito de plana musica ...”5 e “Cognita modulatione melorum secundum
via octo troporum ...”6).
In modo conforme la prima parte del trattato di Lamberto tratta di musica plana e la seconda di musica
mensurabilis (CS I, 251-281); anche nel trattato sulla musica plana di Girolamo di Moravia (ed. Cserba) soltanto alla
fine si trovano alcune positiones sulla musica mensurabilis. Franco al contrario scrive una trattazione esclusivamente
dedicata alla musica mensurale e, in certo modo, non esita a ritenersi anche inventore di in nuovo genere di letteratura
musicale specialistica, proprio come – per sua propria affermazione – erano considerati Boezio per la musica
speculativa e Guido (e Gregorio Magno) per la musica plana (ed. Reaney-Gilles, Ars, p. 23).
Questa esigenza nel secolo XIV fu riconosciuta ovunque si diffuse la musica mensurale. Nel capitolo dello
Speculum musicae sugli scopritori e inventori della musica (ed. Bragard, lib. I, p. 27) Giacomo di Liegi – al pari
dell’autore inglese del Quartum principale (CS IV, 207) – enumera come fondatori dei tre generi principali della
letteratura musicale rispettivamente Boezio, Guido e Franco. Anche il testo del duplum di uno dei mottetti composti
dal musicista inglese Johannes Alanus attesta questa visuale storica, nominando accanto a Tubal e a Pitagora –
fondatori della musica presso gli ebrei e presso i greci – proprio Boezio, Guido (e Gregorio) nonché Franco.7 E in
Italia Johannes Vetulus de Anagnia (Liber de musica, ed. Hammond, p. 35) parla di Franco come dello stesso “qui
fuit primus inventor mensurabilis musicae”. La personalità del teorico Franco appare così inserita nella cornice di un
topos, quel topos dello scopritore che è caratteristico della cultura classica e medievale.8 La musica misurata, per la
prima volta pienamente legittimata tramite questa esposizione della musica mensurabilis, mantenne d’ora in poi il
rango di settore tipico della cultura e dell’attività umana.
In effetti nell’Ars cantus mensurabilis si trovano già quelle peculiarità sociali ed estetiche che Johannes de
Grocheo alla fine del secolo XIII designava come tipiche della musica misurata parigina. Il libro è scritto ad istanza di
un ceto di persone colte ed elevate, “ad preces quorundam magnatum” (FRANCO, Ars, p. 23). Queste sono proprio le
stesse che apprezzano particolarmente i mottetti come genere artisticamente più eletto ed elevato della musica

5 JOHANNES DE GARLANDIA, D e m e n s u r a b i l i m u s i c a, ed. Reimer I, p. 35.


6 A n o n y m u s 4 , ed. Reckow I, p. 22.
7 P o l y ph o n i c M u s i c o f t h e F o u r t e e n t h C e n t u r y , vol. V: M o t e t s o f F r e n c h P r o v e n a n c e , ed. F. Ll. Harrison, Monaco 1968, pp.

172­177.
8 E. R. CURTIUS, E u r o pä i s c h e L i t e r a t u r u n d l a t e i n i s c h e s M i t t e l a l t e r , Bern e München 1948, p. 531.

4
misurata, ed in effetti tutti gli esempi musicali dell’opera derivano dal repertorio dei mottetti contemporanei (ivi, pp.
31­40, 56­58 e 70­73). D’altro canto due testimonianze – quella dell’Anonimo IV (ed. Reckow I, p. 46, riga 24) su
Franco come compositore e quella di Giacomo da Liegi (Speculum, lib. VII, p. 38), che afferma di aver udito a Parigi
un mottetto composto da Franco – fanno concludere che Franco di certo era anche compositore e verosimilmente
conosceva bene i modi di vita e i gusti della raffinatissima e coltissima società parigina.
Particolarmente notevole nell’Ars cantus mensurabilis è la consapevolezza dei due fondamentali aspetti della
musica misurata: la composizione scritta e la riflessione teorica. Il valore del trattato come codice di regole per la
notazione è perfettamente chiaro per Franco (p. 24), se nel prologo assicura di aver steso la sua opera con il seguente
intento: “propter ... omnium notatorum ipsius mensurabilis musice perfectissimam instructionem”. E ciò, per cui
l’Ars cantus mensurabilis sotto certi aspetti può essere considerata definitiva per il nuovo tipo di musica – una
dottrina che, in ogni caso, doveva risultare fondamentale per tutte le successive riflessioni su questo tema –, è la
concezione della notazione come sistema di segni, un sistema di comunicazione. Il capitolo sulla notazione reca lo
specifico e funzionale titolo (p. 29): “De figuris sive signis cantus mensurabilis”; poiché qui il segno grafico (la figura o
il signum) e il significato sonoro (il cantus mensurabilis) sono chiaramente distinti. Il riconoscimento di questo
doppio aspetto della nota musicale si manifesta inoltre anche nella definizione della nota stessa: “Figura est
representatio vocis in aliquo modorum ordinate per quod patet quod figure significare debent modos” (p. 29, n° 1).
Del resto il concetto di figura deriva da un altro sistema di comunicazione basato sui segni – vale a dire il linguaggio.
Ciò è confermato dal seguente confronto: “Figurarum alie simplices, alie composite” (ivi, n° 2), dove, per distinguere
le note semplici dalle ligaturae, ci si serve della stessa terminologia utilizzata nella grammatica per la distinzione delle
parole semplici dalle composte.9 Come nella grammatica medievale figura significa parola scritta, che rimanda ad un
significato contenutistico, così nella musica misurata figura è la nota scritta, che rinvia ad un significato sonoro. Qui sta
la radice per la costruzione di un sistema in cui esiste una relazione determinata tra la forma del segno e la durata del
suono – in modo tale che ogni mutamento comporta un cambiamento di durata.
Così tra figuratio e valor, tra nota e valore temporale, viene fissata la seguente relazione. La longa ha il valore di
una longa perfecta di tre brevi o di una longa imperfecta di due brevi, la brevis ha dal canto suo il valore di una
brevis recta (un terzo della longa) o di una brevis altera (due terzi della longa) e la semibrevis il valore di una
semibrevis minor (un terzo della brevis) e di una semibrevis maior (due terzi della brevis). Nel campo delle
ligaturae c’è ugualmente una serie di differenti segni grafici ai quali corrispondono diverse durate: “notandum est
quod, sicut per has differentias ligatura una differt ab alia formaliter, ita et in valore” (FRANCO, Ars, p. 50). Se le note
valgono come segni che indicano l’esatta durata del suono cantato (“signis rectam vocem significantibus”), le pause
hanno il valore di segni che indicano l’esatta durata del silenzio (“que obmissam representant” – ivi, p. 54). E anche in
questo caso viene istituita una chiara corrispondenza tra il segno grafico e il significato musicale – a tal punto che il
segno di pausa corrispondente alla longa perfecta è costituito da una linea che si estende verticalmente su tre spazi del
rigo musicale e indica una pausa di tre unità (“tria spatia comprehendit, eo quod tribus temporibus mensuratur” – ivi,
p. 55).
L’invenzione della musica mensurabilis, eredità che Franco lasciò ai posteri, è alla fin fine il fondamento di un
sistema ordinato, metodicamente applicato secondo precise relazioni tra segni grafici e significati musicali. Come
abbiamo visto nel caso della nota singola la corrispondenza non è tuttavia univoca. Qui dovettero aver luogo
successivamente importanti modificazioni, anche se il principio fissato da Franco, che le regole della perfectio (con i
complementi imperfectio e alteratio) valgono tanto per le relazioni tra longa e brevis quanto per quelle tra brevis e
semibrevis (“de semibrevibus autem et brevibus idem est iudicium” – ivi, p. 38), rimaneva la norma fondamentale a
cui si sottomisero i teorici più tardi per l’ampliamento del sistema. Chiaramente all’opposto è la corrispondenza per le
ligaturae e le pause che in tutta la letteratura musicale dei due secoli successivi fu lasciata praticamente inalterata.

3. La ricezione dell’opera di Franco

L’importanza dell’Ars cantus mensurabilis per le successive generazioni si può misurare attraverso la sua ampia
ed estesa diffusione. Dei sei manoscritti oggi conosciuti in cui è contenuto il testo di Franco, solo due – i due più
antichi – provengono dall’ambiente parigino o almeno francese dove l’opera vide la luce;10 gli altri, più tardivi,
dimostrano che inoltre il testo venne ampiamente divulgato: due sono di origine italiana,11 uno di provenienza
inglese12 e uno di origine sconosciuta, forse franco-italiana.13 La teoria di Franco però non si diffuse solo per iscritto,
bensì ugualmente per tradizione orale per il tramite dell’insegnamento, come nel caso di Girolamo di Moravia (ed.
Cserba, p. 230), che la apprese dalla bocca di un certo Johannes de Burgundia (“ut ex ore ipsius audivimus”). E inoltre

9 F.A. GALLO, B e z i e h u n g e n z w i s c h e n g r a m m a t i s c h e r , r h e t o r i s c h e r u nd m u s i k a l i s c h e r T e r m i n o l o g i e i m M i t t e l a l t e r , in
K o n g r e ß - B e r i c h t B e r k e l e y 1 9 7 7 , Kassel 1981, p. 788.
10 Parigi, Bibl. Nationale, mss. lat. 11267 e 16663.
11 Milano, Bibl. Ambrosiana, D 5 inf.; Tremezzo, Bibl. conte Gian Ludovico Sola-Cabiati (collezione privata).
12 Oxford, Bodleian Library, Bodley 842.
13 Saint-Dié, Bibl. Municipale, 42.

5
il trattato sembra essere stato espressamente destinato alla lettura didattica, poiché Franco stesso assicura di averlo
scritto (Ars, p. 24) “propter ... auditorum facillimam apprehensionem”. Un ulteriore mezzo di diffusione furono i
riassunti per uso scolastico, come molto verosimilmente l’Arbor del citato Johannes de Burgundia, al quale si fa
riferimento nel trattato di Girolamo di Moravia (ed. Cserba, pp. 259 e 263).
Ancora più grande divulgazione conobbe la teoria di Franco in certi compendi, che in maggior parte furono
anonimi e per lo più iniziano tanto con le parole “Quandocumque punctus quadratus” quanto con l’epigrafe, intesa
come titolo, “Gaudent brevitate moderni”. Questa espressione è la seconda parte di un detto in forma di esametro,
“Longa solent sperni, gaudent brevitate moderni”, ampiamente diffuso nel Medioevo.14 Tre di questi manoscritti
provengono dalla Francia; in uno il testo è esplicitamente attribuito ad un autore che però tuttavia non può essere
identificato: “compilatum a Johanne dicto Baloce”;15 in un altro si trova solo il testo della musica mensurabilis in un
codice sulle arti del Quadrivium;16 in un altro ancora si trovano due testi anonimi.17 Le fonti italiane si distribuiscono
sul periodo che va dal secolo XIV alla fine del XV e menzionano talvolta il nome di un parimenti non identificabile
compilatore: in una questo è un “magister Ricardus”,18 in un’altra un “magister Frantçiscus”,19 in un’altra ancora un
“magister Thomas”;20 in altre cinque il compilatore rimane anonimo.21 Altre fonti attestano la diffusione di questo tipo
di compilazione in Germania,22 dove compare anche tradotto in tedesco (CS III, 411-413), e in Austria.23 Tramite
queste opere per la prima volta la musica mensurabilis nella formulazione di Franco diviene un fenomeno europeo,
base di una tecnica musicale comune alla cultura occidentale.
Se i compendi Gaudent brevitate moderni diffondono soprattutto l’insegnamento di Franco, non tralasciano
tuttavia di apportare alcune modifiche ed integrazioni generate dalla necessità di soddisfare continuamente le nuove
esigenze della teoria e della prassi musicali. Così tutte queste compilazioni semplificano in parte il metodo espositivo di
Franco; in particolar modo semplificano e riassumono la disposizione del materiale trattato. Secondo un ramo della
diffusione manoscritta l’Ars cantus mensurabilis era suddivisa in quattordici capitoli (ed. Reaney-Gilles, pp. 24-82);
ma uno dei codici propone una suddivisione in tredici24 e un altro soltanto in sei.25 I compendi Gaudent brevitate
moderni riuniscono invece i concetti riguardanti la musica misurata sotto i seguenti titoli: Note simplices, Ligature,
Pause, Modi.
Inoltre questi compendi contengono vere e proprie spiegazioni del contenuto, specialmente nell’ambito delle
norme riguardanti le semibrevi trattate in misura minima nell’insegnamento di Franco. Nell’Ars cantus mensurabilis
infatti le serie di semibrevi – forse in relazione al loro scarso impiego nella prassi – sono considerate solo come gruppi
di cinque che vengono suddivisi in due misure: o in tre (equales) e due (minor e maior) o in due e tre, a seconda della
posizione occupata in mezzo a loro dal trattino chiamato divisio modi (ivi, pp. 38-40). Poiché nella prassi le serie di
semibrevi erano state sempre più dilatate, i compendi Gaudent brevitate moderni ampliano la dottrina di Franco
circa la seguente norma che ha validità per qualsivoglia numero di semibrevi in mezzo a due grossi valori:
“quandocumque plures semibreves inveniuntur inter duas longas, vel breves ... due et due semibreves semper pro recta
brevi computentur, in fine autem si tres remanent, ille erunt equales” (CS I, 293s., 304s. e 321s.) – salva naturalmente
la possibilità di realizzare altre diverse suddivisioni in tre (uguali) e due (diseguali) tramite adeguate inserzioni del
trattino chiamato divisio modi (“nisi per divisionem modi aliter distinguantur” – CS I, 294, 305 e 322).

4. Più di tre semibrevi

La storia delle trasformazioni del sistema franconiano alla fine del secolo XIII si manifesta negli scritti di due autori
quasi coetanei – due tardivi ammiratori di Franco – l’inglese Robertus de Handlo, che nel 1326 redasse un sunto sotto
la consueta espressione “Gaudent brevitate moderni” (CS I, 383-403), e Giacomo da Liegi, che scrisse uno Speculum
musicae (lib. VII, pp. 7-98). Alcuni altri compendi franconiani da diverse parti d’Europa forniscono informazioni
integrative. Nell’esporre la dottrina di Franco, tutti questi testi includono anche alcune novità introdotte poco a poco
nell’ambito delle semibrevi.

14 H. WALTHER, L a t e i n i s c h e S pr i c h w ö r t e u n d S e n t e n z e n d e s M i t t e l a l t e r s , Göttingen 1963-1967, n° 1853, 13942, 14824, 22446,


32520 (Carmina medii aevi posterioris latina, II).
15 Parigi, Bibl. Nationale, ms. lat. 659. Edizione: CS I, 292-296.
16 Venezia, Bibl. Naz. Marciana, ms. lat. VIII 1 (= 3044), cc. 319v-120.
17 Saint-Dié, Bibl. Municipale, 42. Edizione: CS I, 303-319, 319-327.
18 Bergamo, Bibl. Civica, MAB 21 (o l i m Ε IV 37), cc. 48v-51.
19 Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Pluteo 2948, cc. 110v-113.
20 Siena, Bibl. Comunale, L V 36, cc. 17-19.
21 Bergamo, Bibl. Civica, 2/67 (o l i m ) IV 30), cc. 256v-258; Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, ms. Vat. lat. 5320, cc. 80­83v; Milano, Bibl.

Ambrosiana, I 20 inf., cc. 25v-27v; Napoli, Bibl. Nazionale, XVI A 15, cc. 1-1v e 4-5v; Pavia, Bibl. Universitaria, Aldini 361, cc. 67v-69v.
22 Erfurt, Wissenschaftliche Bibl., Folio 169, c. I; Monaco, Bayerische Staatsbibl., Clm 5539, cc. 26-27v.
23 Vienna, Österreichische Nationalbibl., 5003, cc. 200-202v.
24 Tremezzo, Bibl. Conte Gian Ludovico Sola-Cabiati (collezione privata).
25 Oxford, Bodleian Library, Bodley 842.

6
L’unico compendio franconiano che può essere messo in relazione con un autore conosciuto per nome è quello
che Girolamo di Moravia attribuisce a Petrus Picardus.26 Questo Petrus può forse essere identificato con Petrus de
Cruce, che nel 1299 è registrato come maestro di cappella nella cattedrale di Amiens in Piccardia27 ed è autore di un
breve trattato sulla musica plana.28 Nel suo insegnamento egli si attiene al principio franconiano della divisione della
breve in due semibrevi disuguali o in tre semibrevi uguali, però spiega il raggruppamento dei valori di divisione delle
brevi in due o tre semibrevi tramite l’impiego di un segno grafico che chiaramente divide le unità. Qui di seguito
vengono messi a confronto i due relativi passi, uno contenuto nel trattato di Petrus Picardus e l’altro riferito da
Robertus de Handlo come opinione di Petrus de Cruce:

... semper ponendus est tractulus, qui divisionem ... il tractulus, che significa divisione, va sempre
significat, [inter duas et duas vel] inter tres et tres vel posto [fra due e due o] fra tre e tre oppure fra tre e
inter tres et duas vel inter duas et tres (PETRUS due ovvero fra due e tre.
PICARDUS, Ars, p. 19).
... addatur punctus inter duas et duas vel inter tres et ... si aggiunga il punctus fra due e due oppure fra tre
tres vel inter tres et duas, ut ponit Petrus de Cruce e tre ovvero fra tre e due, come fa Petrus de Cruce.
(CS I, 387).

L’unica differenza significativa sta nel fatto che nel primo testo – forse una versione antica – si parla ancora del
tractulus, mentre nel secondo – probabilmente una redazione più recente o modernizzata – è nominato il punctus.
D’altro canto il mutamento del segno grafico accompagna il mutamento del significato musicale dalla divisio modi
alla divisio temporis e si accorda così con l’idea che sta alla base del sistema di segni della musica mensurale.
In ogni caso però l’innovazione ebbe conseguenze di vasta portata. Infatti, una volta stabilito che le semibrevi
racchiuse tra due punti avevano il valore di una breve perfetta, cioè la durata di un tempus franconiano, divenne subito
di importanza puramente secondaria il problema di quante semibrevi stessero tra due punti e rappresentassero il valore
di una breve. La proliferazione di semibrevi per lo meno non fu guardata come violazione della dottrina franconiana.
Così Petrus de Cruce poté scrivere un mottetto – S’amour ewist point de poer - Au renouveler du joli tans -
Ecce, tramandato in due fonti musicali29 – nel cui triplum per la prima volta compaiono quattro semibrevi tra due
punti, come mostra il seguente esempio, citato anche da Giacomo da Liegi (Speculum, lib. VII, p. 37):

E non è certo un caso che questa divisio temporis, fino ad allora non usata, compaia insieme alle parole “je m’en
devise bien”, che potevano significare tanto “io mi divido bene”, quanto “io mi confido bene”.30 Comunque la regola
franconiana viene solo apparentemente violata (è in gioco la forma, non la sostanza, direbbe uno scolastico), perché
non viene posto in questione un prolungamento del tempus delimitato dai due punti. Perciò questa innovazione, che
venne applicata anche in un altro perduto mottetto citato da Robertus de Handlo e in un altro testo teorico dal
suggestivo titolo Novum melos promere,31 trovò solo qualche isolata opposizione. La versione svedese di uno dei
compendi franconiani parla di “nimis frangere” e di taluni “tempus pervertentes” (ANONYMUS, Ars, p. 43). Presto
tuttavia l’innovazione venne tacitamente riconosciuta come legittimo sviluppo del sistema franconiano. Lo stesso
Giacomo da Liegi, il difensore di Franco, parla di Petrus de Cruce come di colui “qui tot pulchros et tot bonos cantus
composuit mensurabiles et artem Franconis secutus est” (Speculum, lib. VII, p. 36). E si tentò perfino di attribuire
l’innovazione alla produzione compositiva dello stesso Franco; il medesimo Giacomo da Liegi era convinto di aver
udito a Parigi un “triplum a magistro Francone, ut dicebatur, compositum in quo plures semibreves quam tres pro uno
perfecto ponebantur tempore” (ivi, p. 38).
Seguendo questa pista, Petrus de Cruce poté scrivere un mottetto – Aucun ont trouvé chant par usage - Lonc
tans me sui tenu de chanter - Annuntiantes – nel cui triplum inserì dei passaggi di cinque, sei e sette semibrevi
all’interno di un tempus delimitato da due punti. Questo mottetto si trova in due fonti musicali32 ed è menzionato
anche da Giacomo da Liegi, nonché in alcuni compendi franconiani di origine francese, italiana e spagnola.33 La
discussione teorica del procedimento adottato si trova, insieme allo stesso mottetto, in quello scritto che potrebbe

26 PETRUS PICARDUS, A r s m o t e t t o r u m c o m pi l a t a b r e v i t e r , ed. F. A. Gallo, s. l. 1971 (CSM 15), pp. 15-24.


27 M. HUGLO, D e F r a n c o n d e C o l o g n e à J a c q u e s d e l L i è g e , in «Revue Belge de Musicologie», 34-35 (1980-81), p. 52.
28 PETRUS DE CRUCE AMBIANENSI[S], T r a c t a t u s d e t o n i s , ed. D. Harbinson, s. l. 1976 (CSM 29).
29 Montpellier, Faculté de Médecine de l’Université, H 196, cc. 270-273; Torino, Bibl. Nazionale, vari 42, cc. 24v-27.
30 TOBLER-LOMMATZSCH, A l t f r a n z ö s i s c h e s W ö r t e r b u c h , Wiesbaden 1951 ss., vol. 2, 1956, col. 1882.
31 CS I, 402; ANONYMUS A r s m u s i c a e m e n s u r a b i l i s s e c u n d u m F r a n c o n e m , ed. G. Reaney e A. Gilles, s. l. 1971 (CSM 15), p. 42.
32 Montpellier,Faculté de Médecine de l’Université, H 196, cc. 273-275; Torino, Bibl. Nazionale, vari 42, cc. 14-15v.
33 S pe c u l u m , lib. VII, p. 37; ANONYMUS A r s , p. 42; ANONYMI C o m pe n d i u m m u s i c a e m e n s u r a b i l i s a r t i s a n t i q u a e , ed. F.A. Gallo, s.

l. 1971 (CSM 15), p. 69; H. ANGLES, D e c a n t u o r g a n i c o . T r a t a d o d e u n a u t o r c a t a l à n d e l s i g l o XI V , in «Anuario Musical», 13


(1958), p. 21.

7
essere l’esemplare di una seconda versione ammodernata del trattato sulla musica mensurale di Petrus Picardus
oppure, per altri versi, la registrazione della prassi musicale di Petrus de Cruce per mano di Robertus de Handlo:
“Quatuor semibreves divise sive coniuncte brevem valent unam ... etiam est dicendum si quinque, vel sex, vel septem
inveniantur cum punctu eas sequente, ut patet in hoc moteto”:

(CS I, 389)

Il nome del compositore che intraprese il passo decisivo nella direzione proposta da Petrus de Cruce non è
tramandato. “Unus autem alius”, riferisce Giacomo da Liegi – compositore di un mottetto oggi perduto: Mout ont
chanté d’amour –, introdusse nel triplum dei passaggi di otto e infine di nove semibrevi col valore di una breve:

(S pec ulum, lib. VII, p. 38)

Un tardo compendio Gaudent brevitate moderni d’area d’influsso italiana ricorda che “in aliquibus triplis
inveniuntur novem semibreves pro recta brevi” (ANONYMUS, Compendium, p. 68); e così pure un compendio
anonimo di origine spagnola (ANGLÈS, p. 21 – cfr. n. 33). Robertus de Handlo ascrive la formulazione teorica di
questo procedimento ad un certo Johannes de Garlandia, del quale cita il seguente passo da un perduto trattato sulla
musica mensurale: “Pro valore brevis sumuntur tres semibreves vel quatuor vel quinque vel sex vel septem vel octo vel
novem ad quas pertinet unius brevis proportio” (CS I, 139). Il frazionamento del tempus fino a nove valori di
suddivisione apparve già ai contemporanei come un fatto talmente importante nella trasformazione del sistema
franconiano, che anche in questo caso si volle assegnarne la paternità a Franco stesso. Una redazione italiana dell’Ars
cantus mensurabilis contiene infatti la seguente interpolazione:

Sed nota semibrevium plures quam tres pro recta Però, tieni presente che una brev is rec ta non può
brevi non posse accipi (p. 38) essere formata da più di tre semibrev es

Sed nota semibrevium pauciores quam tres vel plures Però, tieni presente che una brev is rec ta non può
quam novem equales pro recta brevi non posse essere formata da meno di tre e da più di nove
accipi.34 semibrev es

Il senso di questo allargamento della suddivisione sta nel fatto che da essa risulta automaticamente un nuovo livello
della struttura tripartita su cui si basa proprio il sistema della musica mensurale: ciascuna delle nove semibrevi
corrisponde ad un terzo delle tre semibrevi franconiane, come ciascuna di queste semibrevi franconiane corrispondeva
ad un terzo della brevis recta e questa, dal canto suo, ad un terzo della longa perfecta. In effetti con ciò la gerarchia
dei valori delle note venne estesa ad una nuova categoria di valori al di sotto della semibreve, che era solo necessario
definire teoricamente, terminologicamente e nella pratica della notazione. Johannes de Garlandia, citato da Robertus
de Handlo (CS I, 389), seguiva in ciò la dottrina di Franco – che, dal canto suo, aveva distinto una semibrevis maior
(due terzi di brevis) e una semibrevis minor (un terzo di brevis) – facendo distinzione tra una semibrevis minorata
(due terzi della semibreve franconiana) e una semibrevis minima (un terzo della semibreve franconiana) – una nota
che, in questo modo, divenne il valore più piccolo della musica mensurabilis.

5. Nove semibrevi

Una revisione del sistema di notazione mensurale, che tenesse conto delle nuove esigenze della prassi e dei nuovi
progressi teorici, fu proposto da Giovanni de Muris nel secondo libro della Notitia artis musicae composta a Parigi
nel 1321.35

34 Milano, Bibl. Ambrosiana, D 5 inf. Edizione: GS III, 5.

8
L’autore, di formazione accademica, si occupava allora prevalentemente di astronomia e niente nella sua biografia
permette quindi di desumere che fosse anche musico pratico. Diversamente dai suoi predecessori egli rappresenta
anche un nuovo tipo di teorico della musica; è un intellettuale che si occupa della musica come una delle tradizionali
discipline formative del Quadrivium. Il primo libro della Notitia tratta la dottrina della musica speculativa sulla
natura dei suoni, l’invenzione della musica e le proporzioni aritmetiche che stanno alla base degli intervalli musicali.
Tuttavia, come l’autore, seguendo Aristotele, asserisce nell’introduzione, “necessarium est in unaquaque arte habere
primo theoricam, practicam convenienter, ut illud, quod scitum est in universali, ad singulare valeat applicari” (ed.
Michels, p. 48, frase 7). Alla pratica è rispettivamente dedicato il secondo libro della Notitia, che non tratta l’intera
prassi musicale, bensì solo quella parte speciale “cui non est inconveniens quodammodo quamdam theoricam
implicari” (ivi, frase 8) – quindi la musica mensurabilis. Tale articolazione della materia è indizio di un profondo
mutamento di concezione: la musica mensurabilis non è più considerata un derivato della musica plana, come
presso gli autori del secolo XIII, bensì un derivato della musica speculativa. In questo mutamento è possibile rilevare
anche una certa secolarizzazione della letteratura musicale, che ora, almeno nell’ambito della musica mensurabilis,
non è più riservata alla zona d’influenza ecclesiastica – né per quanto riguarda gli autori né per quanto concerne gli
argomenti –, uno sviluppo che corrisponde ad una tendenza generale nella cultura di quel tempo.36 Il nuovo rapporto
che si delinea tra i diversi tipi di riflessione teorico-musicale scaturisce dal fatto che la musica mensurabilis, in virtù
della sua natura misurante e numerica, rinnova sul piano pratico il nesso tra musica e aritmetica; ciò è messo in rilievo
anche dalla definizione posta all’inizio del primo capitolo della Notitia: “musica est de sono relato ad numerum aut
econtra” (ed. Michels, p. 49)
La definizione sembra avere validità in misura particolare per il nuovo genere, la musica mensurale: “Tota musica,
maxime mensurabilis, in perfectione fundatur, numerum et sonum pariter in se comprehendens” (ivi, p. 71). Nel
suono misurato sono in effetti presenti insieme due elementi, uno fisico, il suono, e uno matematico, la misurazione:
“vox tempore mensurata unionem duarum formarum, naturalis scilicet et mathematicae, comprehendit” (ivi, p. 69).
Seguendo queste fondamentali premesse, Giovanni de Muris procede nella sua esposizione tanto da costruire
dapprima un modello teorico-matematico che poi applica alla prassi della notazione. Il concetto dominante per la
costruzione del modello matematico è lo stesso che fino a quel momento aveva dominato tutta la teoria della musica
mensurale: la perfectio o il numerus ternarius. Se il numero tre significa triplicazione dell’unità, il procedimento può
essere esteso con successive moltiplicazioni: “ternarius in se ductus novem generat ... qui si iterum in se ducatur, 81
producit” (ivi, p. 71sg). L’intero sistema si sviluppa in tal modo tra un termine di partenza, che è costituito dal numero
1 – la terza parte del numero perfetto tre – ed un termine di arrivo, che è costituito dal numero 81 – la terza
moltiplicazione del numero perfetto tre per tre, cioè (3 x 3) x (3 x 3) = 81. “Ab unitate igitur, que tertia pars est ternarii
qui perfectus est, usque ad 81, qui similiter est perfectus, dicuntur esse termini de maximo ad minimum” (ivi, p. 72).
All’interno di queste dimensioni totali si possono distinguere quattro sezioni o gradi (gradus) in cui di volta in volta
ricorre lo stesso rapporto di tre: la ternarietà ovvero la perfectio stessa – il numero tre –, la binarietà ovvero
imperfectio – il numero due – e la "singolarità" – il numero uno “que perfectum imperficit perficiens imperfectum”
(ivi, p. 73). Il modello matematico ha pure la seguente forma:

primo grado 81 54 27
secondo grado 27 18 9
terzo grado 9 6 3
quarto grado 3 2 1
/\ /\ /\
ternario binario singolo

Per applicare questa organizzazione dei valori agli elementi della notazione Giovanni de Muris elaborò una vera e
propria teoria dei segni musicali chiaramente influenzata da quegli studi sui “modi significandi” – cioè sul processo di
formazione e di estensione dei significati verbali – che da qualche tempo si praticavano all’università di Parigi.37 Egli
inizia con la seguente definizione della nota musicale: “Notula musicalis est figura quadrilatera soni numerati tempore
mensurati significativa ad placitum” (ivi, p. 75), cioè, la nota musicale è una figura geometrica quadrata che indica
convenzionalmente un suono numerato, misurato nel tempo. La correlazione tra figura e misura avviene per
convenzione, cioè per libera scelta di coloro che lavorano con le note musicali. Queste note hanno necessariamente
due aspetti – la figura geometrica descritta che rappresenta il segno, e il suono esattamente fissato nella sua durata, che
costituisce il suo significato: “Figura autem signum est, res musicalis significatum”. Entrambi gli aspetti sono nello
stesso tempo fondamentali ed assolutamente inseparabili nella natura unitaria che la nota musicale presenta: “Signum
est ens perfectum per suam formam primariam, similiter et significatum. Unumque accidit alteri, facientes ambo unum
per aggregationem quod musicalis notula nuncupatur” (ivi, p. 91). Conseguentemente, per poter fornire i diversi

35 U. MICHELS, D i e M u s i k t r a k t a t e d e s J o h a n n e s d e M u r i s , Wiesbaden 1970 (Beihefte zum Archiv für Musikwissenschaft, 8); cfr.

HAAS, M u s i k .
36 G. DE LAGARDE, L a N a i s s a n c e d e l ’ e s pr i t l a ï q u e a u d e c l i n d u M o y e n A g e , Louvain e Paris 1956-1970.
37 PINBORG, S pr a c h t h e o r i e . Sul termine tecnico “modi significandi” cfr. JOHANNES DE MURIS, N o t i t a , p. 91.

9
significati, occorre dare anche diversi segni, cioè diverse forme grafiche delle note musicali. E poiché i valori delle
durate musicali sono divisi in quattro livelli, così anche le forme delle note musicali si differenziano in quattro gradi
come segue:

primo grado inequilatera - equilatera


secondo grado caudata - incaudata
terzo grado rectiangula - octusangula
quarto grado octusangula non caudata - octusangula caudata

Ora era necessario dare un nome alle diverse note musicali e così stabilire il collegamento tra i quattro gradi dei
valori temporali e i quattro gradi delle forme grafiche, come vorrebbe mostrare, tenendo conto di tutti i suoi aspetti, il
seguente prospetto generale del sistema: una costruzione teorico-pratica perfettamente articolata in gruppi e
sottogruppi, come i contemporanei fenomeni dell’architettura gotica e della scolastica.38
La tavola 1 rende comprensibile la fondamentale difficoltà – generalmente nota, però forse mai risolta di proposito
– con cui la musica mensurale dovette combattere nel corso della sua intera storia (v. pp. 16, 17 e 20s): in ogni grado
sono presenti tre diversi valori, tre diverse denominazioni, ma solo due diversi disegni di note, uno per l’unità e un
altro in comune per la binaria e la ternaria. Pertanto ciò che doveva risultare la differenza fondamentale per la prassi
musicale non può essere individuato sul piano del simbolo grafico: “ternarium et binarium figura simili designari”;
“perfectum et imperfectum figura similis representat” (JOHANNES DE MURIS, Notitia, pp. 75 e 90). La differenza si
può cogliere solo sul piano sonoro: “Est autem significatio id, quod perficitur et imperficitur, non figura” (ivi, p. 91).
Così il perficere o l’imperficere, a cui si è costretti quando ci si occupa della musica mensurale, non riguarda la
notazione, la forma delle note, bensì i suoni: “non de figuris igitur fit quaestio, sed de rebus” (ivi, p. 92, frase 18).
Stabilire se i valori siano ternari o binari sta al di fuori della percezione sensoriale, in quanto implica un atto di
immaginazione: “imaginandum quoque est ternarium ad binarium reduci vel e contra”. In questo l’attività pratica
nell’ambito della musica mensurale è in qualche modo teoria, calcolo matematico: “Haec autem sciunt mathematici
sapientes” (ivi, frase 19).

segno nome significato

maxima perfecta 81
primus gradus

maxima imperfecta 54

longa 27

longa perfecta 27
secundus gradus tertius gradus

longa imperfecta 18

brevis 9

brevis perfecta 9

brevis imperfecta 6

semibrevis 3

semibrevis perfecta 3
quartus gradus

semibrevis imperfecta 2

minima 1

Tavola 1

Giovanni de Muris però fa parte dei matematici e non dei musici, ai quali chiede un po’ di benevolenza nell’ultimo
capitolo del proprio lavoro. Egli si occupò della musica mensurabilis con lo scopo di delineare un valido sistema di

38 E. PANOFSKY, G o t h i c A r c h i t e c t u r e u n d S c h o l a s t i c i s m , New York 1957.

10
regole in un’epoca in cui “de ipsa diversi diversimode sentiant practicantes” (p. 65). In realtà la sua analisi teorica è
chiara e ricca di proposte, la sua esposizione della prassi contemporanea invece è imprecisa e ambigua. Egli ammette
che ci sono “multae aliae novitates in musica latentes” (p. 84), che nella sua opera devono rimanere “quasi abscondita
intus latentia” (p. 85). Ciò vale soprattutto per le due più importanti novità introdotte nel frattempo nella musica
mensurale: il tempus imperfectum e la divisione della semibreve in minime. Come dovrà essere mostrato più sotto, al
tempo in cui Giovanni de Muris scriveva i musici pratici non impiegavano un’unica misura musicale, il tempus
perfectum ternario franconiano, bensì, accanto a questo, anche il tempus imperfectum binario. Egli invero riconosce
l’esistenza di questa doppia misura, però si limita a spiegarla in termini esclusivamente quantitativi: “Temporis aliud
maius aliud minus: maius quod motum prolixiorem, minus quod breviorem” (p. 66, frase 5). Poiché entrambe le
misure appartengono alla stessa “species” – secondo Aristotele le dimensioni non hanno alcun influsso sulla “species”
–, vengono trattate con lo stesso metodo: “unum modum retinent cognoscendi nec in hiis scientia variatur” (ivi, frase
6). E poiché tutta la tradizione si fonda sulla misura delle ternarie perfette, l’autore tratta esclusivamente di queste e
avanza persino il dubbio che la misura imperfetta sia in genere tollerata: “in arte imperfectum non convenit reperiri”
(ivi, frase 8).
Come già accennato, riguardo alla suddivisione delle semibrevi Giovanni de Muris constata l’esistenza di un nuovo
grado di valori delle note che è strutturato quanto i gradi più alti; ciascuna delle tre semibrevi che costituiscono la
brevis perfecta o il tempus franconiano è suddivisa a sua volta in tre minime: la brevis “per tria dividitur aequalia,
quorum quodlibet unica divisione similiter dividatur; aliter: quae divisibilis est per novem aequalia minima, dum
profertur” (p. 125). In tal modo la suddivisione del tempus in nove parti – come era già in uso presso i musici pratici
contemporanei – viene legittimata e inquadrata in un sistema. Tuttavia Giovanni de Muris fa notare che, appartenendo
il tempus alla categoria del continuum, è divisibile “in quotlibet partes” (p. 104, frase 2); di conseguenza la misura
musicale può anche constare “ex 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 semibrevibus aequalibus eiusdem figurae” (ivi, frase 4); perciò
“Laudabilis autem esset musicus et peritus, qui super idem tempus aequale ipsum dividendo nunc per duas, nunc per
tres et ceteras partes integre discantaret” (p. 105). In questo modo Giovanni de Muris riprende l’introduzione del
nuovo valore di minima e propone rinnovata la suddivisione del tempus in un numero a piacere di semibrevi uguali –
come nella dottrina di Petrus de Cruce e di Giovanni di Garlandia.
La Notitia artis musicae si diffuse particolarmente nell’area d’influenza parigina39 e in Inghilterra,40 ma fu
conosciuta anche in Italia, seppure tramite la copia di un inglese.41 Ovviamente le novità che quest’opera portava con
sé furono capite nel corso del secolo XIV; un copista parigino ribattezzò il trattato in Ars nove musicae,42 e altri
autori si diedero da fare per prepararne commentari e riassunti. Il trattato dell’Anonimo VI, Frater Petrus de Sancto
Dionysio, nella sua sostanza rappresenta – almeno nella versione del codice più antico43 – una nuova elaborazione
della Notitia con commentario di alcuni capitoli, specialmente della parte pratica. Di estratti dalla seconda parte della
Notitia è costituito il trattato di Ymbertus de Francia, che probabilmente è identico all’omonimo compositore.44 Una
menzione della Notitia si trova nell’Ars di Johannes Boen (ed. Gallo, p. 25).
L’alto livello di speculazione e la conseguente complessità del linguaggio scientifico della Notitia indussero
Giovanni de Muris a riassumerne in forma più semplice i risultati in un secondo trattato, il Compendium musicae
practicae (ed. Michels), scritto poco tempo dopo il primo, forse nel 1322. Quest’opera però offre una panoramica
solo della seconda parte della Notitia, e non come testo continuo, bensì nella forma didattica di domande e risposte.
Se la parte pratica della Notitia trattava solamente del valore delle note semplici e per gli altri problemi della musica
mensurale rinviava a “quod dictum est in canonis antiquorum” – quindi all’insegnamento di Franco –, nel
Compendium si trovano ora un capitolo sulle pause ed uno sulle ligaturae. Lo scritto più recente sembra aver
conosciuto una certa diffusione, di cui qualche discreta traccia è stata tramandata nei manoscritti francesi, inglesi e
italiani.45

6. Giacomo da Liegi

Una sintetica panoramica sulla musica mensurabilis venne offerta alla fine del secolo XIII da Giacomo da Liegi
nel suo trattato Speculum musicae.46 Il titolo promette di mostrare in quest’opera tutti i temi della teoria musicale
rispecchiati negli occhi dell’intelletto. È del tutto possibile che l’idea del titolo provenga dallo Speculum divinorum,
un’opera teologica che Henri Bate di Malines, cantore nella cattedrale di Liegi e amico intimo di Giacomo, aveva finito

39 Parigi, Bibl. Nationale, mss. lat. 14741 e 7378A; St. Paul im Lavanttal, Archiv des Benediktinerstiftes, 264/4
40 Cambridge, Trinity College Library, R. 14.26; Oxford, Bodleian Library, Bodley 77 e 300.
41 Chicago, Newberry Library, 54 1.
42 Parigi, Bibl. Nationale, ms. lat. 7378A.
43 CS III, 398-403; PETRUS DE SANCTO DIONYSIO, T r a c t a t u s d e m u s i c a , ed. U. Michels, s. l. 1973 (CSM 17), pp. 147­159.
44 St. Paul im Lavanttal, Archiv des Benediktinerstiftes, 135/1, c. 17.
45 Parigi, Bibl. Nationale, ms. lat. 14741; St. Paul im Lavanttal, Archiv des Benediktinerstiftes, 264/4 e 135/1; Roma, Bibl. Apostolica

Vaticana, ms. Regin. lat. 1146.


46 R. BRAGARD, L e S pe c u l u m m u s i c a e d u c o m pi l a t e u r J a c q u e s d e L i è g e , in «Musica Disciplina», 7 (1957), pp. 59­104.

11
nel 1303.47 Secondo la classificazione di Giacomo, per il quale la musica instrumentalis (secondo la tripartizione
boeziana) – perciò la musica realmente sonante – si divide a sua volta in plana e mensurabilis, i primi sei libri
dell’opera sono dedicati alla musica plana nel senso più ampio della parola ed il settimo alla musica mensurabilis. In
relazione a questa articolazione della materia Giacomo riconosce che la sua “causa primaria”, la sua “principali et
prima intentione” (Speculum, lib. I, p. 11 e lib. VII, p. 6), era stata di scrivere un libro sulla musica mensurabilis a
difesa degli antichi, che sarebbero rappresentati soprattutto dalla dottrina franconiana. L’abbondanza di materiale
sarebbe però in breve aumentata a tal punto che egli avrebbe dovuto annullare il progetto e avrebbe compilato una
voluminosa e fondamentale trattazione sulla musica plana con una modesta sezione alla fine sulla musica
mensurabilis. Così Giacomo si adatta all’ordinamento che egli stesso illustra: “Musica autem mensurabilis musicam
praesupponit planam” (ivi, lib. I, p. 56), e si riallaccia ancora una volta alla tradizione della letteratura musicale del
secolo XIII.
Conformemente a tali presupposti nei primi sei libri l’intera teoria musicale tradizionale viene trattata nella
consueta forma di una esposizione sistematica ed oggettiva; nel settimo libro invece vengono sviluppati alcuni temi
della musica mensurale in una maniera che deve mostrare la superiorità dei musici del secolo XIII. La polemica di
Giacomo nei confronti dei propri contemporanei si rivolge tanto contro le nuove composizioni – “in modo cantandi
ipsorum” – quanto contro le nuove compilazioni teoriche nelle loro connessioni e nei loro sostegni – “in eorum
tractatibus”, cioè contro il nuovo tipo e modo di cantare e contro i trattati che su di esso erano stati redatti
(“modernus cantandi modus ... tractatusque super hunc confecti” – lib. VII., p. 6) –, ma specialmente contro le novità
introdotte nei due fondamentali aspetti della musica mensurabilis, la notazione e la teoria. I musici contemporanei
risulterebbero talmente occupati in questi due aspetti che sarebbe meglio chiamarli notatori e scrittori piuttosto che
cantori (“modernos cantores, vel potius notatores et scriptores” – lib. I, p. 11).
Giacomo conduce questa discussione sulla base di scritti teorici antichi e contemporanei, per cui nel settimo libro
dello Speculum le citazioni da trattati musicali sono molto numerose. L’atteggiamento polemico dell’autore si mostra
pure nel fatto che gli antichi scrittori, che egli inizia a difendere, sono citati per nome – soprattutto Franco, lo Pseudo-
Aristotele (= Lambertus) ed occasionalmente Petrus de Cruce; gli autori moderni, che egli vuol confutare, vengono
invece citati solo sommariamente con l’appellativo “moderni”, “aliqui moderni”. In ogni caso però le opere più
frequentemente citate o parafrasate – quelle quindi a cui fa più spesso riferimento – sono i primi trattati di Giovanni
de Muris: la Notitia artis musicae e il Compendium musicae practicae, anche se il nome di Giovanni de Muris non
è mai menzionato, bensì viene sempre celato sotto locuzioni come “modernus doctor” o “unus” oppure “quidam”
ovvero viene genericamente fatto passare per uno degli “aliqui moderni”. Una tabella (Tavola 2) dei luoghi citati alla

Giacomo da Liegi Giovanni de Muris


S pec ulum, lib. VII N = Notitia , C = Compendium
cap. I, frase 11 N, lib. II, cap. XIV, frase 6
cap. X, frase 6 C, cap. XII,
cap. XI, frase 1 C, cap. I, frase 4
cap. XI, frase 2 C, cap. I, frase 4 e 5
cap. XVIII, frase 3 C, cap. X, frase 1 e 2
cap. XX, frase 7 N, lib. II, cap. IV, frase 8 e
C, cap. VI, frase 5
cap. XXIII, frase 1 C, cap. VII, frase 1
cap. XXIII, frase 3 C, cap. VII, frase 2
cap. XXIII, frase 4 C, cap. I, frase 2
cap. XXIII, frase 6 e 7 C, cap. I, frase 2-4
cap. XXIII, frase 8 C, cap. II, frase 1-5
cap. XXIV, frase 1-4 C, cap. VII, frase 5-9
cap. XXIV, frase 12-14 N, lib. II, cap. V, frase 8
cap. XXIV, frase 15 N, lib. II, cap. VI, frase 9
cap. XLI, frase 1 N, lib. II, cap. VIII, frase 2
cap. XLI, frase 3 e 4 N, lib. II, cap. VIII, frase 4-6
cap. XLIII, frase 5 N, lib. II, cap. IX, frase 2 e 3
cap. XLIV, frase 12 N, lib. II, cap. XIII, frase 3 e 4
cap. XLIV, frase 14 N, lib. II, cap. XIII, frase 7

Tavola 2

lettera può fornire un’idea dell’importanza che Giacomo attribuisce a questi due trattati. I rapporti tra l’autore dello
Speculum e le idee di Giovanni de Muris sono in parte discordanti, perché anche la posizione di quest’ultimo talvolta
è ambigua. Come è stato detto, Giovanni de Muris è un “modernus” nella cui opera le novità rimangono con facilità

47 HENRICUS BATE, S pe c u l u m d i v i n o r u m e t q u o r u n d a m n a t u r a l i u m , ed. van de Vyver.

12
discretamente nascoste, perciò, a seconda delle circostanze, viene avvicinato ora con intenzione polemica ora con
adesione. E questo perché i due punti fondamentali, che Giacomo difende nella musica degli antichi e condanna in
quella dei moderni – l’abbandono del potere assoluto della misura ternaria perfetta con l’accettazione della misura
binaria imperfetta nonché l’allargamento del principio di misura alla semibreve tramite l’introduzione della minima –,
riguardano cose che nei testi di Giovanni de Muris sono assai poco chiaramente approfondite. Così Giacomo, proprio
come Giovanni de Muris, conduce la sua appassionata difesa del valore assoluto della misura ternaria perfetta con
argomenti tratti dalla teologia e dalla geometria ed è perciò nel giusto con la sua trasparente allusione: “Fundatur
autem ars musice mensurabilis in perfectione ut dicunt non modo veteres sed moderni”; “sicut volunt antiqui – et
idem asserunt aliqui moderni – tota ars ista fundatur in perfectione”.48 Anche nella difesa di una illimitata suddivisione
della brevis in parti uguali, come l’avevano introdotta i successori di Franco, è facile, con una parimenti trasparente
allusione, far notare che anche i “moderni” dicono “quod laudabilis esset musicus et peritus qui supra idem equale
tempus nunc tres nunc quattuor semibreves nunc quinque, sex, septem, octo vel novem discantaret”.49
Ciò che lega strettamente l’autore dello Speculum ai teorici antichi è l’idea basilare dei compiti della teoria
musicale. Nella musica instrumentalis Giacomo fa una distinzione fondamentale tra theorica e practica, e la musica
mensurabilis è in questo caso una sottosezione della musica practica. Pertanto deve esistere, secondo Boezio, una
chiara distinzione tra l’attività dei teorici e quella dei pratici. Il teorico deve “finem suum in speculatione eorum, quo
ad genus suum pertinent, ponere, non iam descendendo, quantum in ea est, ad operationem aliquam vel praxim” (lib.
I, p. 66, frase 6). Il teorico – ancora secondo l’insegnamento di Boezio – dovrebbe occuparsi della prassi solo come
giudice, stabilendo cosa sia da farsi, in quanto razionale, e cosa sia da evitarsi, in quanto irrazionale: “Videtur tamen
velle Boethius quod theorica musica, iudicando et rationem assignando, se ingerat in omnibus. Et nos qui de theorica
sonora musica principaliter loqui decrevimus, in practicis speciebus quae occurrent, pro posse nostro, rationem
insectemur” (ivi); e proprio in tale veste di teorico, come giudice del razionale e dell’irrazionale, Giacomo esamina la
prassi antica e moderna e, negli ultimi capitoli dell’opera, la valuta in base alla perfezione o all’imperfezione, alla
finezza o alla grossolanità, alla libertà o alla dipendenza, alla stabilità o all’instabilità. Però questa netta separazione di
teoria e pratica non è più usuale presso i “moderni”, e questo è il più grande cruccio di Giacomo. In rapporto alle
semibrevi si lamenta che essi “multum laborant in ipsarum distinctione, significatione, valore, nominatione” (lib. VII,
p. 64) e che facciano ciò contemporaneamente come teorici – “in discernendo suas semibreves moderni multum
laborant in suis tractatibus” (ivi, p. 38) – e come pratici. “Illis multum utuntur, per illas multum suam dilatant novam
artem, suum cantandi modum ac cantus notandi” (ivi, p. 64). Lo stesso accade per la tanto biasimata imperfectio che i
moderni tentano di giustificare sul piano teorico e utilizzano su quello pratico: “Quod si ars nova de tactis
imperfectionibus speculative solum loqueretur, magis esset tolerandum, sed non sic est. Imperfectionem enim ad
praxim nimis extendunt” (ivi, p. 87). Giacomo nota chiaramente che per i moderni teoria e prassi, lungi dall’essere
distinte e separate, sono inseparabilmente congiunte: “Artem enim, que vere et principaliter practica est, ad
subtilitatem quandam et speculationem reducunt sicque praxim et speculationem inter se confundunt” (ivi, p. 25).
Da una parte il teorico è talmente coinvolto nei problemi della composizione e della notazione che deve occuparsi
di problemi concreti: “Utinam hec speculatio ad praxim non descendisset” (ivi, p. 50), ma d’altra parte il pratico lavora
in modo così sottile e complesso che tocca il cielo della speculazione: “formam atque finem discantuum subtilitati
compositionis, difficultati, intricationi videntur attribuere ... Nonne tales finem mutant, discantuum praxim in
speculatione convertunt?” (ivi, p. 14). Questa correlazione di teoria e prassi è in realtà la nuova concezione che il
secolo XIV conferirà alla musica mensurale. L’opposizione di Giacomo è un segno del disagio e della diffidenza del
teorico tradizionale, il quale ora, davanti al sorgere di una classe di teorici che si occupa dell’analisi di problemi artistici
concreti e di un ceto di pratici intellettualmente preparati che sono anche in condizione di risolvere gli intricati
problemi della notazione, non è più capace di sviluppare posizioni contrastanti tra musicus e cantor 50 – quindi
complessivamente di fronte alla formazione di una “societas” in cui i musici sono “laici sapientes” e i cantores sono
“valentes” (ivi, p. 95).
Un’opera così particolare come lo Speculum difficilmente poteva trovare diffusione, perlomeno il settimo libro
sulla musica mensurale, tramandato in un solo manoscritto completo,51 che – ironia della sorte – era per giunta stato
scambiato per un’opera del suo avversario Giovanni de Muris (CS II, XII­XXII e 383­433).

48 S pe c u l u m , lib. VII, pp. 58 e 87. Il luogo di riferimento è nella N o t i t i a di Giovanni de Muris, p. 71.
49 I v i , lib. VII, p. 86. Il luogo di riferimento è nella N o t i t i a di Giovanni de Muris, p. 105.
50 E. REIMER, M u s i c u s u n d C a n t o r . Z u r S o z i a l g e s c h i c h t e e i n e s m u s i k a l i s c h e n L e h r s t ü c k s , in «Archiv für Musikwissenschaft», 35

(1978), pp. 1-32.


51 Parigi, Bibl. Nationale, ms. lat. 7207.

13
II. ARS GALLICA

1. Imperfezione della longa

Il rapporto longa-brevis nella musica come nella metrica letteraria, dalla quale deriva, in origine era probabilmente
di natura binaria (quindi 2:1). Lo si può desumere da alcune testimonianze teoriche di area d’influenza più o meno
italiana, inglese e tedesca, periferiche, quindi, in confronto alla francese, che rappresentava il centro della diffusione
della polifonia mensurale ternaria.52 Caratteristica della prima fase della musica mensurabilis, la perfectio esclusiva
della ternaria, verso la fine del secolo XIII, sembra avere perduto la sua assoluta validità anche in Francia, per via di
qualche occasionale eccezione nella prassi musicale. Il mottetto Je ne puis - Flor de lis - Douce dame 53 presenta
infatti nel tenor delle longae del valore di due breves. In questo caso il valore binario delle longae era ricostruibile solo
in base al contesto dell’intera composizione, pertanto la forma grafica delle note binarie era esattamente la stessa delle
ternarie. L’unica indicazione indiretta è costituita dalla presenza di trattini di pausa, che si estendono su due spazi del
rigo musicale e perciò hanno la durata di una longa binaria, cioè di due breves.
Quando, nei primi anni del secolo XIV, questa pratica si diffuse – come si può osservare in alcuni mottetti che
fanno parte delle aggiunte musicali al Roman de Fauvel –, i musicisti si videro costretti a fornire le loro composizioni
di istruzioni verbali. Questi avvertimenti non lasciano dubbi sul fatto che le longae andavano lette come se fossero
binarie invece che ternarie. Così nel mottetto Plange nostra regio - Nulla pestis - Vergente il tenor reca
l’annotazione “ex imperfectis”54, cioè esso è costituito “di longae imperfette” invece che perfette. E il tenor del
mottetto Alieni boni invidia - Facilius a nobis vitiatur riporta l’annotazione “imperfecte canite”,55 come
istruzione per gli esecutori affinché cantassero tutte le longae di questo tenor in tempo binario.
Il fondamento teorico di questa interpretazione binaria si trova in un breve testo anonimo sulla musica mensurale
dal titolo ars vetus, che fornisce istruzioni sul valore delle note semplici (duplex longa, longa, brevis), sulle ligaturae
e sulle pause (di tre spazi, di due, di uno e di mezzo spazio).56 Sul rapporto tra longa e brevis il testo dice: “Simplex
longa ... in modo perfecto tria valet tempora, inperfecto duo” (PHILIPPE DE VITRY, Ars, p. 57, riga 15 e 17-18).
Questa definizione contiene una doppia innovazione, terminologica e concettuale. Da un lato modus non designa più,
come nella teoria franconiana, uno schema ritmico, bensì la categoria in cui inquadrare il rapporto tra longa e brevis.
Dall’altro lato questo rapporto non è più concepito solo in modo che – come nella teoria franconiana – la mensura
della longa sia sempre ed esclusivamente ternaria, ma è anche concessa la possibilità di considerarla binaria.
In ogni caso, l’interpretazione binaria della longa rappresenta una trasposizione al gradino inferiore (rapporto tra
longa e brevis) di quella bipartizione che, al livello più alto del rapporto (tra duplex longa e longa), era sempre stata
presente (“duplex longa ... duas longas significat – Franco, Ars, p. 30). Come già la duplex longa era una misura
binaria autonoma, che non necessitava di alcuna integrazione, così anche la longa imperfecta poteva essere una
grandezza autonoma che non aveva bisogno di nessuna altra nota per il proprio completamento. È chiaro che in
questo contesto il concetto di imperfectio perde il suo significato negativo e si trasforma nella nozione neutrale di più
piccola quantità della misura perfetta. Un anonimo teorico cercò di tenere conto di questa situazione, proponendo una
duplice interpretazione del concetto di perfectio: la perfectio perfecta per la tripartizione e la perfectio imperfecta per
la bipartizione (“Notandum quod perfectio est duplex, scilicet perfectio perfecta et perfectio imperfecta. Perfectio
perfecta est computanda de tribus et perfectio imperfecta de duobus” – WOLF, Musiktraktat, p. 37). In tal modo
venne preservato il tradizionale primato ideologico della perfectio, che in seguito rimase valida per ogni sorta di
misura; essa sta ad indicare la propria completezza, ma nello stesso tempo spoglia il concetto di perfectio dal suo
tradizionale riferimento alla sola tripartizione.
L’ars vetus, introducendo la distinzione tra modus perfectus e modus imperfectus, ha dato il via ad una
riorganizzazione del sistema dei modi ritmici che, secondo Franco e la sua scuola, si basava esclusivamente sul
principio ternario. Un altro breve testo anonimo57 prende invece in considerazione una rielaborazione del sistema del
seguente tipo: il primo e il secondo modo rimangono inalterati, perché il loro schema (longa-brevis, brevis-longa)
non contempla nessuna variante collegabile alla nuova interpretazione della bipartizione della longa. Ma il terzo modo
ora può essere realizzato in due maniere diverse, una conforme alla teoria franconiana, quando la misura della longa è
ternaria; l’altra, quando, come nell’ars vetus, la misura della longa è binaria (“tertius modus est qui constat ex una
longa precedente et duabus brevibus sequentibus ... si cantus sit perfectus prima illarum valet unum tempus, secunda
duo ... si autem cantus sit imperfectus, utraque brevis valet unum tempus” – Anonymus [CSM 30], p. 21). Perciò

52 AMERI P r a c t i c a a r t i s m u s i c e [ 1 2 7 1 ] , ed. C. Ruini, s.l. 1977, p. 99 (CSM 25); WALTERI ODINGTON S u m m a d e s pe c u l a t i o n e

m u s i c a e , ed F.F. Hammond, s.l. 1970, p. 127 (CSM 14); Vienna, Österreichische Nationalbibl., 5003, c. 203; cfr. anche R. FLOTZINGER,
Z u r F r a g e d e l M o d a l r h y t h m i k a l s A n t i k e - R e z e pt i o n , in «Archiv für Musikwissenschaft», 29 (1972), pp. 203-208, particolarmente p.
207.
53 Montpellier, Faculté de Médecine de l’Université, H 196, cc. 214v-215.
54 Parigi, Bibl. Nationale, ms. fr. 146, c. 3.
55 I v i , c. 13.
56 PHILIPPI DE VITRIACO A r s n o v a , edd. G.Reaney, A. Gilles e J. Maillard, s.l. 1964, p. 57, riga 12 - p. 63, riga 16 (CSM 8).
57 ANONYMUS, D e v a l o r e n o t u l a r u m t a m v e t e r i s q u a m n o v a e a r t i s , ed. Gilbert Reaney, in CSM 30, pp. 13-28.

14
adesso, accanto al tradizionale schema del terzo modo perfetto c’è il nuovo schema di un terzo modo imperfetto fatto
di una longa binaria e di due breves normali. Ci sono pure due schemi per il quarto modo: uno schema ternario
secondo la teoria franconiana ed uno binario secondo l’ars vetus (“si cantus sit perfectus ...si vero cantus sit
imperfectus” – ivi, p. 25, frasi 1 e 4). Anche nel quinto modo, ovviamente, è possibile riunire le diverse note di cui è
composto in gruppi ternari, secondo l’insegnamento di Franco, o in gruppi binari, secondo la nuova ars vetus
(sempre conformemente alla distinzione in “cantu perfecto et imperfecto” – ivi, frase 5).

2. L’imperfezione della brevis

All’inizio del secolo XIV, il principio della perfectio ternaria nella prassi musicale venne minato anche nel rapporto
tra brevis e semibrevis da un’ulteriore anomalia. Le composizioni in cui gruppi di due semibreves avevano il valore di
una brevis venivano allora interpretate in modo che entrambe le semibreves avessero lo steso valore – invece di
conferire alla seconda semibrevis un valore doppio rispetto alla prima, come richiedeva la regola franconiana (Ars, p.
39). Anche in questo caso si trattava di una questione di interpretazione, poiché la forma esteriore della notazione
rimaneva inalterata. Per indicare la nuova interpretazione, divergente dalla regola tradizionale, i musici escogitarono
speciali segni che segnalassero la bipartizione della brevis, solitamente tripartita, e con ciò la uguale durata delle due
semibreves appaiate. Pertanto nel mottetto Qui secuntur castra – Detractor est nequissima vulpis – Verbum
iniquum et dolosum (forse dell’anno 1307) e nel mottetto O Philippe perlustris Francorum – Servant regem
misericordia – Rex regum (composto nel 1316), entrambi tramandati nell’aggiunta musicale al Roman de Fauvel,
all’inizio delle voci superiori, tra la chiave e le prime note, si trovano due segni in forma di pausa di semibrevis proprio
allo scopo di segnalare che il tempo è formato solo di queste due note.58 L’interpretazione binaria della brevis segna
un’ulteriore tappa sulla via di questa bipartizione, destinata a cambiare il sistema, proprio nella massima franconiana:
“de longis, brevibus et semibrevibus idem est iudicium” – ivi, p. 38).
La motivazione teorica della complementare interpretazione binaria si trova in un breve testo anonimo che
promette di spiegare “artem musice mensurate tam veterem quam novam”.59 Anche se manifestato casualmente, il
confronto tra vecchia e nuova ars era allora consueto; già il testo di un mottetto di Adam de la Halle parla di modi di
cantare “viès et nouvel”60 e il prologo del trattato di Franco menziona autori “tam novos quam antiquos” (ivi, p. 24).
Essa si configura pertanto come un adattamento al topos medievale del confronto tra antichi e moderni.61 Ma la
specifica denominazione ars nova per indicare questa fase dello sviluppo della teoria mensurale rispetto ad una
precedente fase denominata ars vetus, altro non è che l’estensione all’ambito musicale della contrapposizione
generalmente diffusa, tra la fine del secolo XIII e l’inizio del XIV, in altre discipline: rhetorica vetus / rhetorica nova
nella letteratura, digestum vetus / digestum novum nella giurisprudenza, metaphisica, ethica, logica vetus/nova
nella filosofia (CURTIUS, p. 164, cfr. nota 8). Ancora più specificamente, all’Università di Parigi con ars vetus venivano
indicati gli scritti di logica di Aristotele già noti da tempo, con ars nova quelli tradotti solo di recente.62 La divisione
della Bibbia in Antico e Nuovo testamento fa da sfondo naturale a tutto ciò. E analogamente la contrapposizione
vetus/novum indica dovunque due consecutive fasi di sviluppo di una teoria o di una materia: chiaramente nel senso
che la fase più antica completa e perfeziona i progressi della più recente. Perciò Giacomo da Liegi, che preferiva gli
antichi ai moderni, poté capovolgere i termini del confronto nel campo della musica: “Videntur autem artes hae
invicem comparari sicut vetus lex ad novam, nisi quod in hac comparatione modernorum ars videtur habere
conditionem veteris legis et vetus novae”.63 In ambito musicale, dove la memoria storica è più limitata che negli altri
campi della cultura (GALLO, La polifonia nel Medioevo, pp. 139-143), ars vetus indica pertanto il sistema musicale
franconiano dei modi (perfectus ed imperfectus), ars nova, lo stadio immediatamente successivo della modifica del
sistema.
Per il rapporto brevis-semibrevis l’ars nova prescrive quanto segue: “Brevis perfecta dividitur in tres semibreves
et quelibet semibrevis in tres minimas; et sic tempus perfectum continet novem minimas ... Tempus autem
imperfectum dividitur in duas semibreves et quelibet semibrevis in tres minimas; et sic tempus imperfectum continet
sex minimas” – Anonymus, Compendium, p. 38).
Siamo di nuovo davanti ad una doppia innovazione terminologica e concettuale. Da un lato, il tempus non è più
un’unità di tempo fissa come nella dottrina franconiana e nell’ars vetus, bensì la categoria che regola il rapporto della

58 Parigi, Bibl. Nationale, ms. fr. 146, cc. 4 e 10v-11.


59 ANONYMUS, C o m pe n d i u m m u s i c a e m e n s u r a b i l i s t a m v e t e r i s q u a m n o v a e a r t i s , ed. Gilbert Reaney, in CSM 30, pp. 33­41.
60 T h e L y r i c W o r k s o f A d a m d e l a H a l e , ed. Nigel Wilkins, Dallas 1967, pp. 65-67 (CSM 44).
61 E. GÖSSMANN, A n t i q u i u n d M o d e r n i i m M i t t e l a l t e r . E i n e g e s c h i c h t li c h e S t a n d o b e r s t i m m u n g , München etc. 1974

(Veröffentlichungen des Grabmann-Institutes, 23).


62 F.A. GALLO, D i e M u s i k i n d e r E i n t e i l u n g d e r W i s s e n s c h a f t e n b e i E g i d i u s R o m a n u s u n d J o h a n n e s D a c u s , in

K o n g r e ß ­ B e r i c h t . K o pe n h a g e n 1 9 7 2 , I, Kopenhagen 1974, pp. 388-390.


63 S pe c u l u m , lib. VII, p. 91 [Queste a r t e s sembrano essere state messe a confronto l’una con l’altra, come il Vecchio col Nuovo

testamento, senonché in questo confronto l’a r s moderna sembra corrispondere all’Antico testamento e l’antica al Nuovo testamento]. Cfr.
sopra Cap. I, sezione 6.

15
brevis con i valori più piccoli. Dall’altro lato, questo rapporto non sarà più inteso nel senso che la misura di brevis
deve essere solo ed esclusivamente ternaria, come nell’insegnamento franconiano e nell’ars vetus, ma può essere
anche binario. Come già la duplex longa e la longa, ora anche la brevis imperfecta può essere una misura autonoma,
che non necessita di alcuna altra nota per il proprio completamento. Anche in questo caso, il termine imperfectio,
applicato al tempus e alla brevis, ha perso il proprio significato letterale.
Poiché l’ars nova aveva comportato un ulteriore elemento di variabilità (brevis perfecta/imperfecta) – oltre a
quello già introdotto dall’ars vetus (longa perfecta/imperfecta) –, sarebbe stato necessario escogitare dei segni
supplementari che fissassero fin dall’inizio i simboli della notazione nel loro significato. Così, il trattato sopra citato
proponeva di tracciare all’inizio della composizione un cerchio o tre piccoli trattini, per indicare il tempus perfectum, e
un mezzo cerchio o due piccoli trattini per il tempus imperfectum;64 come abbiamo visto, si tratta esattamente dei
segni impiegati nei due mottetti dell’appendice musicale del Roman de Fauvel. Segni idonei a distinguere i due tipi di
modus rimasero invece il trattino di pausa tracciato attraverso tre spazi per il modus perfectus, e quello tracciato
attraverso due spazi per il modus impefectus,65 che erano già stati precedentemente impiegati nella prassi dell’ars
vetus.
In seguito, per mezzo di segni variabili a livello di modus e di tempus, si cercò di adattare la forma esterna del
sistema alle ormai vigenti possibilità. Ancora una volta lo stesso trattato stabilisce che: “rubee ... cantantur de alio
modo vel tempore quam nigre” (ivi, p. 41, frase 1). Ciò significa che il diverso valore delle note nelle sezioni binarie e
ternarie all’interno di una stesa composizione poteva essere reso riconoscibile tramite i colori nero e rosso. Ma il
tentativo di distinguere perfectio ed imperfectio per mezzo di colori diversi, forse a causa di difficoltà pratiche, in
genere non si affermò – per esempio nel senso che una distinta misura fosse stata associata ad un distinto colore. Anzi,
la coloratura fu usata solo in misura limitata e senza sistematicità.

TEMPUS PERFECTUM

s s ma

s s s

s ma s mi s s

s mi s mm s mi s mm s

s mi s mm s mi s mm s mi s mm

s mm s mm s mm s mi s mm s mi s mm

s mm s mm s mm s mm s mm s mm s mi s mm

s mm s mm s mm s mm s mm s mm s mm s mm s mm

TEMPUS IMPERFECTUM

s s

s s mi s mm

s mm s mi s mm s mi

s mm s mm s mm s mi s mm

s mm s mm s mm s mm s mm s mm

s = semibrevis
s ma = semibrevis maior
s mi = semibrevis minor
s mm = semibrevis minima

64 ANONYMUS, C o m pe n d i u m , p. 40; cfr. nota 58.


65 I v i , p. 41, frase 4; cfr. nota 53.

16
Accanto al nuovo rapporto tra brevis e semibrevis, ci fu anche un altro settore in cui l’ars nova apparve come un
ulteriore sviluppo dell’ars vetus: nell’organizzazione dei gruppi di semibrevi. Come abbiamo già visto prima e come il
trattato citato non manca di sottolineare, “In vetere autem arte omnes semibreves que ponuntur inter duas quadratas
vel inter punctum et quadratum vel inter duo puncta ponuntur pro uno tempore” (ivi, p. 38). Se nell’ars vetus
rimanevano anche relativamente indeterminati la suddivisione in valori più piccoli della brevis o il tempus,66 l’ars
nova fissa terminologicamente e concettualmente la distinzione tra semibrevis maior (due semibrevi), semibrevis (un
terzo del tempus perfectum, la metà del tempus imperfectum), semibrevis minor (due terzi della semibreve) e
semibrevis minima (un terzo della semibreve, la metà della semibrevis minor). Inoltre l’ars nova definisce
esattamente la disposizione di queste semibrevi all’interno dei gruppi con riguardo al genere di tempus e al numero
(ivi, p. 39).
In tal modo la teoria fissa alcuni modelli ritmici stabili per ciascun tipo di misura musicale, laddove vige la norma
che il valore maggiore compaia di solito alla fine della misura.

3. L’imperfezione della semibrevis

In questo stadio della trasformazione del sistema la semibrevis è l’unica nota che mantiene ancora esclusivamente
il suo valore ternario. Forse la spinta all’esecuzione binaria risale all’interpretazione astratta di una notazione, i cui
segni grafici rimangono immutati. Un mottetto come Tribum quem non abhorruit – Quoniam secta latronum, che
a quanto pare fu composto nel 1315 in modus imperfectus e in tempus imperfectum, combinando le regole dell’ars
vetus e dell’ars nova, mostra molto spesso misure di quattro semibrevi che nelle più antiche fonti non erano
differenziate:
67

Secondo le regole descritte nel paragrafo precedente esse potevano essere cantate come una sequenza di
semibrevis minor, semibrevis minima, semibrevis minor, semibrevis minima ed, in effetti, in una fonte più tarda
compaiono notate nel modo seguente:
68

Ma in certi passi i quattro elementi in cui era suddiviso il tempus imperfectum potevano anche essere interpretati
come quattro note di ugual valore:

cosicché entrambe le semibreves maiores, delle quali era composta la brevis imperfecta o meglio il tempus
imperfectum, sembrano binarie anziché ternarie:

E questa è effettivamente l’interpretazione che un trattato comparso un po’ dopo dà alle semibrevi del passo citato:
“Tempus imperfectum ... quando semibreves eius sunt imperfecte ... exemplum ... in moteto Quoniam secta
latronum” (WOLF, Musiktraktat, p. 37). La motivazione teorica di questa interpretazione, secondo cui la semibrevis
può durare anche solo due e non necessariamente tre minime, si trova come appendice integrativa alla fine di due testi.
Uno presenta dapprima un’esposizione dell’ars vetus e poi dell’ars nova (PHILIPPE DE VITRY, Ars, p. 57, riga 12 – p.
63, riga 16, e p. 63, riga 17 – p. 69, riga 33); qui l’appendice inizia con le parole “Dicta prolatione secundum quod in
sex vel in 9 dividitur minimis” (ivi, p. 69, righe 33-34). L’altro contiene solo l’esposizione dell’ars nova e si può
ricostruire tramite il collegamento di due frammenti di manoscritti diversi (ivi, p. 84-91 e pp. 23-29); qui l’appendice
inizia con le parole “Cum de temporibus et prolatione secundum quod in sex sive novem dividuntur minimas ...” (ivi,
p. 29).
Secondo la dottrina contenuta nell’appendice supplementare all’ars nova (le cui due versioni per lo più coincidono
quasi parola per parola), non si tratta solamente di un tempus perfectum e di un tempus imperfectum, come nell’ars
nova, bensì di diverse forme del tempus perfectum e del tempus imperfectum “... tempus perfectum est triplex,
scilicet minimum, medium et maius ... tempus imperfectum est duplex: minimum et maius (ivi, p. 69, righe 35-36; p.

66 Cfr. sopra, cap. I, paragrafi 4 e 5.


67 Parigi, Bibl. Nationale, ms. fr. 146, cc. 41v-42.
68 Bruxelles, Bibl. Royale, ms. 19606.

17
29, frase 3; p. 69, riga 41; p. 30, frase 7). Il tempus perfectum minimum è la più piccola misura musicale e si può
suddividere soltanto in tre parti o minime. Il tempus perfectum medium è la misura musicale in cui la brevis si
suddivide in tre semibreves, ciascuna delle quali vale due minime. Il tempus perfectum maius è la misura in cui la
brevis si suddivide in tre semibrevi, ciascuna delle quali vale tre minime. Il tempus imperfectum minimum è la misura
in cui la brevis si suddivide in due semibrevi di due minime ciascuna. Il tempus imperfectum maius è la misura in cui
la brevis si divide in due semibrevi di tre minime ciascuna.
Il tempus perfectum minimum, il cui impiego non è attestato nella prassi dell’epoca, e la cui spiegazione
scomparve già nei trattati successivi, forse è solo un omaggio alla tradizione (“minimum tempus posuit Franco” – ivi,
p. 29, frase 4) e si può qui non tenerne conto. Delle rimanenti quattro misure, il tempus perfectum maius e il tempus
imperfectum maius corrispondono alle due possibilità del tempus perfectum e del tempus imperfectum, che
contemplano esclusivamente la tripartizione della semibrevis ed erano state teoricamente confermate come le uniche
ammesse già prima dell’ars nova. La novità dell’appendice supplementare consiste quindi nell’introduzione delle due
nuove misure del tempus perfectum medium e del tempus imperfectum minimum, che prevedono la bipartizione
della semibrevis, “quarum quelibet valet duas minimas” (ivi, p. 69, righe 42-43; p. 30, frase 4). La possibilità di
dividere in due la semibrevis rende comprensibile quindi la recente infiltrazione nel rapporto tra semibrevis e minima
della bipartizione, che aveva già avuto luogo ai livelli superiori del sistema. A questo punto si realizza il principio
franconiano, secondo il quale “de longis brevibus et semibrevibus idem est iudicium” (FRANCO, Ars, p. 38), nel senso
che le regole della perfectio e della imperfectio sono applicabili a tutti e tre i valori. Da questo momento in poi i
rapporti di lunghezza tra le note di regola vengono basati sulla bipartizione anziché sulla tripartizione, come già
avviene per il rapporto minima-semiminima (PHILIPPE DE VITRY, Ars, p. 85 sg.).
Il primo dei testi qui presi in considerazione (l’appendice ars vetus, ars nova) nel manoscritto porta il titolo Ars
quevis mensurandi motetos compilata a magistro Philippo de Vitry (ivi, p. 69, righe 45-47). Il secondo testo
(l’appendice ars nova), nel primo frammento compare come “de nova arte quam Philippus de Vitriaco nuper invenit”
(ivi, p. 85), e la fine del secondo frammento dice: “Explicit ars nova magistri Philippi de Vetri” (ivi, p. 31). Filippo da
Vitry (1291-1361), letterato ed ecclesiastico, è noto come poeta latino e francese; per quanto assai poco precisamente
documentato, è tuttavia ugualmente sicuro il suo lavoro come compositore di mottetti. Maggiore incertezza sussiste
invece circa la sua attività di teorico della musica. È fuor di dubbio che Filippo si sia interessato di musica
speculativa, poiché Giovanni de Muris gli mandò da leggere il suo commentario a Boezio69 e Levi Ben Gerson, su sua
richiesta, gli inviò il trattato De numeris harmonicis.70 Ciò nonostante, l’esposizione della musica mensurabilis che
gli viene attribuita non è né una trattazione completa e compiuta né un’elaborazione coerente e personale, ma soltanto
una compilazione schematica di regole. Inoltre è tramandata in redazioni incomplete e parzialmente divergenti l’una
dall’altra. È senz’altro possibile che questa situazione della diffusione manoscritta dell’insegnamento di Filippo da
Vitry dipenda dal fatto che egli impartì il suo insegnamento in forma orale e che le diverse redazioni scritte
attualmente conosciute siano appunti raccolti dai suoi allievi.71 In ogni caso i testi non fanno nient’altro che esporre
per una volta verbalmente ciò che Filippo aveva realizzato come compositore; si spiegherebbe così il frequente rinvio
a mottetti come esempi musicali – mottetti che possono essere attribuiti a Filippo stesso (ivi, pp. 67-69 e 26-29).
Con ciò siamo di fronte ad una esplicazione delle tre consecutive fasi nella trasformazione del sistema della musica
mensurabilis. La più antica, denominata ars vetus, si distingue per l’introduzione del modus imperfectus. Quella
intermedia, chiamata ars nova, è caratterizzata per avere introdotto il tempus imperfectum, i relativi segni, la precisa
determinazione del valore all’interno dei gruppi di semibrevi e l’uso delle note rosse. La più recente, che reca la
distinzione tra i diversi tipi di tempus e l’introduzione dell’imperfezione della semibrevis, costituisce una sorta di “ars
novissima”, come dovrebbe essere chiamata. Non per nulla la normativa applicata all’Ars nova fa la propria comparsa
presso due teorici che si occupano della dottrina di questa terza fase, già come opera degli “antiqui” (WOLF,
Musiktraktat, p. 35), cioè dei “veteres musici”;72 Giacomo da Liegi osservava del tutto giustamente: “Tanta enim
variatio inter modernos iam facta est ut priores ipsorum veteres vocentur respectu aliorum”.73 Ad ogni modo, il
compilatore del manoscritto che contiene l’ars vetus, l’ars nova e l’appendice integrativa si comporta come Girolamo
di Moravia, che nel suo trattato aveva disposto uno dopo l’altro l’anonimo scritto Discantus positio vulgaris, il testo
attribuito a Giovanni di Garlandia e gli scritti di Franco e di Petrus Picardus, perché “una super aliam in aliquibus
addit scientia” (ed. Cserba, p. 189). Questo metodo additivo, di presentare una dopo l’altra, nello stesso trattato,
posizioni teoriche successive, è tipico delle concezioni “storiche” del teorico medievale.74

69 L. GUSHEE, N e w S o u r c e s f o r t h e B i o g r a ph y o f J o h a n n e s d e M u r i s , in «Journal of the American Musicological Society», 22 (1969),


p. 21sg.
70 J. CARLEBACH, L e w i b e n G e r s o n a l s M a t h e m a t i k e r , Berlin 1910.
71 F.A. GALLO, L a t r a d i z i o n e o r a l e d e l l a t e o r i a m u s i c a l e n e l M e d i o e v o , in L ’ e t n o m u s i c o l o g i a i n I t a l i a, Palermo 1975, p. 164 sg.
72 ANONYMUS D e m u s i c a m e n s u r a b i l i , ed. C. Sweeney, s. l. 1971 (CSM 13), p. 42.
73 S pe c u l u m , lib. VII, p. 57. Cfr. sopra, cap. I, paragrafo 6.
74 F.A. GALLO, M e t h o d o l o g i s c h e B e m e r k u n g e n z u e i n e r G e s c h i c h t e d e r m i t t e l a l t e r l i c h e n M u s i k t h e o r i e , in J a h r b u c h d e s

S t a a t l i c h e n I n s t i t u t s f ü r M u s i k f o r s c h u n g P r e u ß i s c h e r K u l t u r b e s i t z 1 9 7 3 , Berlin 1974, p. 27 sg.

18
4. Il riordinamento del sistema

Dell’appendice all’Ars nova di Filippo da Vitry (p. 32) esiste anche una versione anonima indipendente. Questa
stesura, che, essendo più recente, afferma altezzosamente di dover tralasciare alcune cose “antiquate” (“causa
vetustatis”), registra lo stesso contenuto teorico, anche se con qualche significativa novità. Innanzi tutto qui non si
parla più di un tempus perfectum triplice e di un tempus imperfectum duplice, bensì di una triplice e di una duplice
“figuratio”, “significatio” e particolarmente della “prolatio” del tempus. In secondo luogo, per spiegare queste
“prolationes”, compaiono qui esempi di composizioni musicali assenti nelle altre due versioni. Così, la “maior figuratio
sive prolatio” del tempus perfectum prevede la divisione della brevis in tre semibreves di tre minime; come esempio
pratico viene citato il mottetto Qui doloreux.75 La “minor prolatio” prevede la divisione della brevis in tre semibreves
di due minime; da esempio serve il perduto mottetto Imperatrix anglica. La “minima prolatio” prevede la divisione
della brevis in tre semibreves non ulteriormente divisibili; da esempio serve qui il disperso mottetto O Maria
affectu. Nella “maior prolatio” del tempus imperfectum la brevis si divide in due semibreves di tre minime; come
esempio a questo scopo viene citato il mottetto Gratissima Virginis species,76 forse composto da Filippo da Vitry.
Nella “minima prolatio temporis imperfecti” la brevis si divide in due semibreves di due minime; l’esempio è dato dal
mottetto Qui aux promesses de Fortune se fie di Guillaume de Machaut,77 probabilmente composto tra il 1349 e il
1363.78 All’anonimo autore sta particolarmente a cuore l’esatta definizione del rapporto tra le misure minor prolatio
del tempus perfectum e maior prolatio del tempus imperfectum, che sono uguali quanto a lunghezza (entrambe si
equivalgono nel numero delle minime) ma si distinguono nella suddivisione interna delle note, secondo la quale in un
caso abbiamo una tripartizione (2, 2, 2) e nell’altro una bipartizione (3, 3); esse si distinguono pure nella prolatio, cioè
nella modalità di esecuzione.
Il concetto di prolatio, che deriva dalla terminologia grammaticale – da proferre nel senso di “proferire suoni”,
“pronunciare” –, assunse da allora in poi un significato tecnico come termine musicale. In un trattato che ancora una
volta si prefigge di esporre insieme l’ars vetus e l’ars nova e che rimanda espressamente all’attività di Filippo da Vitry
(CS III, 29-35), l’autore a buon diritto si appella alla nota regola franconiana dell’identico trattamento di tutte le note e
conclude affermando che, come accade alla longa col modus e alla brevis col tempus, si deve fare lo stesso per le
semibrevi tramite la distinzione della prolazione maggiore e minore (“Ita dico quod semibrevibus idem est invenire per
distinctionem maioris prolationis et minoris” – ivi, 31b). E coerentemente vengono escogitati anche nuovi segni per
l’inizio della composizione allo scopo di rendere esplicito l’uso dell’una o dell’altra misura della prolatio, come era già
avvenuto per il modus e per il tempus. Seguendo lo stesso teorico, nel mezzo del cerchio o del semicerchio indicante il
tempus vengono collocati tre punti quando c’è la prolatio maior, due punti quando c’è la prolatio minor (ivi, 33b).
Un Liber musicalium parimenti diffuso sotto il nome di Filippo da Vitry (ivi, 35-46) istituzionalizza
definitivamente questo nuovo ordinamento del sistema: “duo sunt modi scilicet modus perfectus et modus
imperfectus ... Et notandum quod duo sunt tempora videlicet tempus perfectum et tempus imperfectum ... Ubi
sciendum quod due sunt prolationes scilicet prolatio maior et prolatio minor” (ivi, 41). In questo modo la prolatio
come modalità di esecuzione del tempus si trasforma in una salda categoria, all’interno della quale diventano precisi i
rapporti tra semibrevis e minima, in modo analogo al tempus e al modus per i valori maggiori. Tuttavia, a differenza
delle altre due categorie, che la conseguirono solo con il passare del tempo, per la prolatio esiste fin dall’inizio la
possibilità della divisione binaria e ternaria. Perciò le due condizioni, semplicemente in base alla loro diversa
lunghezza, vengono indicate come maior oppure come minor.

5. La letteratura musicale alla metà del secolo XIV

La rapidità con cui, nei primi tre decenni del secolo XIV, nel sistema della musica mensurabilis si realizzarono i
cambiamenti ebbe due importanti conseguenze per la letteratura musicale del periodo successivo. Da un lato, il testo
esemplare, che descriveva semplicemente i processi svoltisi nella prassi e documentava le trasformazioni nella tecnica
compositiva, era sprovvisto di sezioni ragionate e di intenti sistematici. Proprio la struttura stratificata di molti testi
(ars vetus, ars nova, appendice) fornisce informazioni su questa natura esclusivamente descrittiva: le diverse fasi
consecutive sono semplicemente disposte una dopo l’altra. Con ogni verosimiglianza, questi scritti erano destinati
direttamente all’insegnamento; perciò mancava in loro l’interesse a sciorinare in un sistema teorico coerente le
successive posizioni dottrinali o anche solo a motivare razionalmente le regole con cui la prassi musicale veniva
alimentata. Dall’altro lato, negli stessi testi si percepisce una concentrazione quasi esclusiva dell’interesse sui problemi
attuali in cui i cambiamenti si profilano: soprattutto su perfectio-imperfectio e sulle note di valore sempre più piccolo.
Questa limitazione ha come conseguenza che i testi forniscono certo informazioni in modo astratto sulla struttura del

75 P o l y ph o n i c M u s i c , vol. V, pp. 80-83 – cfr. nota 7.


76 P o l y ph o n i c M u s i c o f t h e F o u r t e e n t h C e n t u r y , vol. I,: T h e “ R o m a n d e F a u v e l ” . T h e W o r k s o f P h i l i p pe d e V i t r y . F r e n c h
C y c l e s o f t h e “ O r d i n a r i u m M i s s a e ” ; ed. L. Schrade, Monaco 1974, pp. 76-81.
77 Ivi, vol. II: The Works of Guillaume de Machaut, 1, ed. L. Schrade, Monaco 1974, pp. 134-136.
78 G. REANEY, T o w a r d s a C h r o n o l o g y o f M a c h a u t ’ s M u s i c a l W o r k s , in «Musica Disciplina», 21 (1967), pp. 87­96.

19
sistema musicale o concretamente sull’organizzazione di ogni singola misura musicale, ma non si occupano mai del
problema di come si dovesse congegnare una vasta compagine ritmica per una composizione musicale completa.
Dal terzo decennio del secolo XIV, dopo che le trasformazioni erano terminate e il sistema della musica
mensurabilis si era consolidato in una forma che praticamente rimase immutata per un lungo periodo storico, la
letteratura musicale cominciò ad interessarsi di una generale sistemazione della musica mensurabilis e ad aprirsi nei
confronti di altri problemi compositivi. È il caso del monaco certosino Petrus dictus Palma ociosa, che nel 1336
scrisse un Compendium de discantu mensurabili nella sua abbazia di Sainte Marie nella diocesi di Amiens (WOLF,
Diskantlehre). In quest’opera le possibili combinazioni dei due modi, dei due tempora e delle due prolationes sono
coerentemente ordinati in un sistema di 12 maneries. Questo si estende, in ordine discendente, dalla longa perfecta
con tre breves perfecte, a loro volta di tre semibreves maiores, che complessivamente contiene 27 minime, fino alla
brevis imperfecta di due semibreves minores, che in tutto arriva solo a quattro minime. Più oltre l’autore inserisce la
sua trattazione sulla musica mensurabilis in un ampio dibattito sulla tecnica della composizione a due voci e gli
esempi delle 12 maneries che costituiscono la musica mensurale, non constano (come nei testi precedenti) di semplici
rinvii a composizioni note, bensì di brevi brani a due voci che lo scrittore stesso ha composto a tale scopo. Nel 1351,
anche un francescano nel suo convento di Bristol scrive un trattato dal titolo Quatuor principalia musice (CS IV,
254-298). Nell’ultimo capitolo di quest’opera si trova una estesa riorganizzazione del sistema della musica
mensurabilis che è del tutto simile a quella del certosino Pietro – con l’unica differenza, però, che qui le 12
combinazioni di modus, tempus e prolatio sono esposte in ordine inverso. Messe l’una dopo l’altra in crescendo, esse
vanno da una misura composta di quattro minime (corrispondente alla brevis perfecta de minori prolatione), fino ad
una di 27 minime (corrispondente al modus perfectus de tempore perfecto et de maiori prolatione). Anche in
questo caso l’autore non tratta della musica mensurabilis isolatamente, ma in connessione con l’esposizione delle
regole del contrappunto e delle forme musicali.
Nello stesso tempo venne allargato l’ambito degli argomenti affrontati nei trattati sulla musica mensurabilis; ci si
occupò allora anche di altri fenomeni, che in seguito rimasero legati alla misurazione del valore delle note, e con ciò si
giunse ad una riflessione più completa sul momento compositivo della singola opera musicale. Già il citato
Compendium totius artis motectorum aveva cominciato a dedicare un capitolo al cantus irregularis o sincopatus
(WOLF, Musiktraktat, p. 38) e anche la già citata Ars perfecta aveva ugualmente dedicato un capitolo a questo
nuovo tema della sincope (CS III, 34b). L’irregolarità o sincopazione consisteva nell’estensione della durata di una
nota oltre il limite di una misura, che veniva compensata da una identica riduzione della durata nella misura seguente.
Ciò significa che non si doveva tener conto solo della singola misura ma di un certo numero di misure, entro le quali
dovevano essere calcolati i valori delle note. È questa un’anomalia ricercata che diventa possibile e significativa proprio
tramite il preciso ordinamento delle durate fissato dalle regole della musica mensurabilis. Interessandosi di questa
nuova materia, l’autore inizia ad occuparsi dell’impostazione ritmica di un’idea musicale – inizia a prendersi cura del
problema compositivo di un’opera musicale.
Ugualmente sensibile alle nuove esigenze appare il teorico olandese Johannes Boen, studente ad Oxford e forse a
Parigi. Anch’egli, nella sua Ars, dedica una sola parte, precisamente la prima, alla musica mensurabilis, mentre nella
seconda vengono trattati le chiavi, gli intervalli e la divisione del monocordo. Oltre all’ormai acquisito ordinamento
secondo modus, tempus e prolatio, l’autore indica la sincope come nuovo procedimento: “subtilia quedam posterius
inventa sunt, que sincopationes vel saltus usualiter dicuntur” (ed. Gallo, p. 27). Inoltre Johannes Boen dedica un certo
spazio alla riflessione sul color, cioè al metodo per stendere un’intera composizione con sezioni che abbiano tutte il
medesimo andamento ritmico (ivi, p. 29 sg.). Come esempi utilizza due mottetti: Impudenter circuivi – Virtutibus
laudabilis, che una fonte attribuisce a Filippo da Vitry;79 e l’anonimo Apta caro – Flos virginum,80 e descrive lo
schema costruttivo musicale dei due brani. In questo modo, un tipico tema della musica mensurabilis, quello del
valore delle note, viene visto in una nuova prospettiva: come problema compositivo di un’opera musicale. Il trattato
sulla musica mensurale inizia ad essere generalmente considerato parte della letteratura sulla composizione musicale.

6. Il «Libellus» di Giovanni de Muris

Il testo che descrisse nel modo migliore l’ordinata risistemazione della musica mensurabilis e nello stesso tempo
descrive il suo ampliamento sotto l’aspetto tecnico-compositivo fu il Libellus cantus mensurabilis della metà del
secolo XIV, che la tradizione attribuisce concordemente a Giovanni de Muris (CS III, 46-58). È senz’altro possibile
che l’autore, a distanza di circa 30 anni dalla compilazione della Notitia artis musicae e del Compendium musicae
practicae 81 – dopo che gli si furono chiarite le cose in precedenza rimaste oscure –, abbia ripreso un’altra volta
l’argomento ed abbia rinnovato in modo determinante la trattazione tanto dal punto di vista teorico che pratico.

79 P o l y ph o n i c M u s i c , vol. I, pp. 91-96 – cfr. nota 76.


80 Ivi, vol. V, pp. 17-23 – cfr. 7.
81 Cfr. sopra, cap. I, paragrafo 5.

20
L’opera è suddivisa in capitoli, però i manoscritti superstiti non sono concordi su tale suddivisione. La suddivisione
più verosimile ed appropriata è la seguente, in 12 sezioni:

1. Figurae 7. Modi
2. Modus, tempus, prolatio 8. Ligaturae
3. Imperfectio 9. Sincopa
4. Alteratio 10. Pause
5. Punctus 11. Diminutio
6. Signa modi, temporis, prolationis 12. Color.

Alcune di queste sezioni presentano piccole varianti rispetto alle precedenti opere dello stesso autore: le figurae
sono le stesse cinque della Notitia e del Compendium, altrettanto le relative pause; l’alteratio e l’imperfectio sono già
precedentemente presentati come pendant della perfectio, come anche le ligaturae e i modi, che già nel secolo XIII
erano oggetto di trattazione. Nuove sono invece – come riprese dall’ars vetus, dall’ars nova e dai successivi sviluppi –
le doppie definizioni (ternaria e binaria) di modus, tempus e prolatio. Da questa nuova impostazione deriva anche il
trattamento del punctus e dei nuovi segni di misura. Frutto delle idee a poco a poco maturate dalla dottrina dell’ars
nova, nuove sono pure le sezioni su sincopa e color, temi che pure, come abbiamo visto, già precedentemente talvolta
avevano trovato illustrazione nella letteratura musicale. Totalmente senza precedenti è però l’esposizione della
diminutio; la pratica di abbreviare nella seconda parte di un brano le note impiegate nella prima parte era già stata
utilizzata all’inizio del secolo nel mottetto Adesto Sancta Trinitas – Firmissime fidem tenemus, appartenente
all’appendice musicale del Roman de Fauvel e verosimilmente di Filippo da Vitry;82 qui però è formulata
teoricamente per la prima volta col suo accoglimento all’interno di un trattato sulla musica mensurale. Come già per la
sincopa e il color, anche in questo caso si tratta di un fenomeno che richiede di prendere in considerazione un’intera
composizione.
L’esposizione di Giovanni de Muris è breve e compressa; tutto è confezionato in definizioni e regole concise. I
numerosi esempi musicali sono dell’autore; mancano riferimenti a composizioni esistenti o ad altri autori, con
l’eccezione di un casuale accenno a Guillaume de Machaut (CS III, 50a). Si tratta essenzialmente di un’opera destinata
all’insegnamento pratico della musica mensurabilis, che perciò è compilata secondo un piano strettamente
sistematico. Come si afferma nell’incipit, l’opera è concepita per “chiunque desideri istruirsi mediamente nell’arte
pratica del canto misurato” (“Quilibet in arte practica mensurabilis cantus erudiri mediocriter affectans” – ivi, 46a).
Come più tardi spiega un commentatore del secolo XV, questo mediocriter significa che l’autore ha seguito una via di
mezzo tra la pura teoria e la pura pratica83 e così ha assunto quella posizione nella teoria musicale, che più tardi venne
chiamata practica musice (v. sotto p. 48). Proprio perché gli argomenti trattati e la forma dell’esposizione andavano
incontro a delle reali necessità, il Libellus ebbe ampia diffusione ed esercitò per più di un secolo un enorme influsso in
tutta Europa.
La più antica testimonianza databile con precisione viene dalla Francia. Il 12 gennaio 1375, a Parigi, un certo dottor
Gostaltus francigena, forse un compositore, portò a termine la sua trilogia teorica contenente trattati sulla musica
plana, il contrappunto e la musica mensurale; l’ultimo non è altro che una versione appena ritoccata del Libellus di
Giovanni de Muris.84
Un’altra rielaborazione più tarda può forse essere attribuita a un Johannes Pipudi, “canonicus sancti Desiderii” di
Avignone; anch’egli presumibilmente compositore. Poiché questo testo è stato scritto da un catalano, che forse
studiava ad Avignone, è possibile che l’insegnamento di Giovanni de Muris sia arrivato anche in Spagna.85 Per la sua
importanza pratica, si interessarono all’opera persino musicisti che non erano in condizione di capire il testo latino;
perciò, presumibilmente all’inizio del secolo XV, ne fu allestita una versione in francese.86 Di provenienza francese,
anche se forse da collocare in Italia, è l’anonimo autore che, all’inizio del secolo XV, stese un sintetico commento al
Libellus in 12 capitoli (CS III, 379-398).
Alla fine del secolo XIV il trattato era già conosciuto in Inghilterra.87 Anche qui fu rielaborato e ricopiato fino ai
primi decenni del secolo XVI.88 Nel secolo XV il testo conobbe una certa diffusione in Germania89 e in Austria, come
si può dedurre, in un caso, dalla precisa citazione in un trattato copiato o compilato a Melk90 e, in un altro caso, dalla

82 P o l y ph o n i c M u s i c , vol. I, pp. 60-63 – cfr. nota 76.


83 UGOLINI URBEVETANI D e c l a r a t i o m u s i c a e d i s c i pl i n a e , ed. A. Seay, II, Roma, 1960, p. 61 (CSM 7).
84 Berkeley, University of California, Music Library; Catania, Bibl. Riunite Civica e Antonio Ursino Recupero, D 39. Forse anche nel

manoscritto Roquefort (cfr. F.-J. FÉTIS, H i s t o i r e g é n é r a l e d e l a m u s i q u e d e pu i s l e s t e m ps l e s pl u s a n c i e n s j u s q ’ à n o s j o u r s , vol.


5, Paris 1876, 298 sg. e 308-310), attualmente irreperibile.
85 M. DEL CARMEN GÓMEZ, “ D e a r t e c a n t u s ” d e J o h a n n e s P i pu d i , s u s “ R e g u l a e co n t r a pu n c t u s ” y l o s A pu n t e s d e t e o r í a d e

u n e s t u d i a n t e c a t a l á n d e l s i g l o XI V , in «Anuario Musical», 31-32 (1976-1977), pp. 37-49.


86 Cambrai, Bibl. Publique, 920.
87 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, ms. Regin. lat. 1146.
88 London, Lambeth Palace Library, ms. 466.
89 München, Bayerische Staatsbibl., clm 15632 e 24809; Tubingen, Universitätsbibl., XV.
90 ANONYMUS T r a c t a t u l u s d e c a n t u m e n s u r a l i s e u f i g u r a t i v o m u s i c e a r t i s , ed. F. A. Gallo, s.l. 1971, p. 16 (CSM 16).

21
sua collocazione all’inizio di un codice di opere musicali proveniente dalla corte imperiale.91 In un codice scritto a
Strasburgo all’inizio del secolo XV il Libellus sembra essere collegato ad una breve antologia di testi teorici raccolta
da un certo Henricus de Zelandia (CS III,113-115). Il carmelitano Nicasius Weyts nella sua trattazione sulla musica
mensurale rinvia per ulteriori informazioni esplicitamente al Libellus: “De ceteris autem recursus habe ad tractatum
magistri Johannis de Muris incipientem Quilibet in arte pratica ubi notitia mensurabilis cantus plenius traditur” (ivi,
262b). Un certo Christianus Sadze de Flandria fa seguire alla trascrizione del trattato di Giovanni de Muris un proprio
Tractatus declarationis modi temporis et prolationis (ivi, 264-273).
Come dimostra la notevole quantità di manoscritti conservati fino ad oggi, il paese in cui l’opera del teorico
francese incontrò la più ampia diffusione fu senza dubbio l’Italia. Qui, dove il confronto tra il sistema di misurazione e
notazione tipico italiano e quello francese diventava sempre più rilevante, il trattato di Giovanni de Muris era ritenuto
la quintessenza del sistema francese: tractatus musice gallicane.92 La sua diffusione è un sintomo del crescente
interesse degli italiani per il sistema francese a spese del loro proprio.93 La fonte datata più antica è la copia di un
codice completata a Pavia, il 2 ottobre 1391, da un certo G. de Anglia;94 la più recente, un manoscritto datato 1500.95
Tra queste due data apparvero copie che, nel corso del secolo XV, furono allestite in ogni parte d’Italia: una, forse
veneta, del 1429,96 altre tre del 1454,97 146498 e 1486.99 Il benedettino Giovanni Francesco Preottoni di Pavia, amico
del teorico e compositore inglese Giovanni Hothby, ne eseguiva una copia nel 1465.100 Un allievo italiano di Hothby, il
servita Matteo de Testadraconibus di Firenze, lo ricopiò a Lucca nel 1471;101 il carmelitano Giovanni Bonadies,
maestro di Franchino Gaffurio, lo trascriveva ancora, nell’anno 1473, a Mantova.102 Nello stesso anno, un certo
Matteo de Collitortis di Enna, nel Regno di Sicilia, lo ricopiava per il teorico siciliano Antonio Russo.103 Lo ricopiava
ancora il servita Antonio da Lucca e vi aggiungeva proprie riflessioni ed esempi musicali su ligaturae ed imperfezioni
(CS IV, 421-433). Il carmelitano Alessandro Assolari, probabilmente allievo di Gaffurio, ne fece una copia nel 1482 a
Bergamo.104 Lo stesso famoso teorico e compositore Franchino Gaffurio, nel 1499 a Milano, lo ricopiò di proprio
pugno insieme ad altri testi di Giovanni de Muris.105
Tipicamente italiani furono, accanto alle semplici trascrizioni o all’utilizzo di singoli capitoli in altri contesti (come
nell’anonima Musice compilatio),106 i commenti al contenuto del trattato. Il padovano Prosdocimo di Beldemandis107
si occupò per tutta la vita del Libellus di Giovanni de Muris. La sua prima opera di teoria musicale fu l’ampio
commento dal titolo Expositiones tractatus practice cantus mensurabilis magistri Johannis de Muris, apparso
nel 1404. Questa prima elaborazione è attualmente sconosciuta, è però conservata la rielaborazione dell’opera che
Prosdocimo probabilmente allestì nel 1412.108 Nel 1408 Prosdocimo preparò un breve riassunto delle Expositiones in
forma di trattato autonomo con il titolo Tractatus practice cantus mensurabilis, che egli tuttavia in seguito
considerò come spiegazione del Libellus. La prima versione di questo trattato, a quanto si sa, è tramandata solo in
modo frammentario;109 sono conservate integralmente una seconda versione dell’opera, che l’autore scrisse nel 1409
(CS III, 200-228), ed una terza, probabilmente degli anni 1425-1428.110 Il suo lavoro di commentatore sembra sia stato
molto apprezzato; infatti lo storico padovano Michele Savonarola, verso la fine del secolo, si ricorda di Prosdocimo
come di uno dei più famosi docenti dell’Università di Padova, come di colui che aveva esposto con chiarezza il
pensiero musicale di Giovanni de Muris (“Johannis de Muris ... in musica dicta quam loculenter aperuit”).111
Anche Ugolino da Orvieto, probabilmente tra il 1429 e il 1452, quando era canonico nella cattedrale di Ferrara,112
scrisse un voluminoso commento al Libellus. Questo commento, che a differenza di quello di Prosdocimo contiene
91 Aosta, Bibl. del Seminario, codice musicale.
92 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, ms. Palat. lat. 1377.
93 Cfr. sotto, cap. III, paragrafo 5.
94 Chicago, Newbwrry Library, 54 1.
95 London, British Library, Add. ms. 10336.
96 Pisa, Bibl. Universitaria, 606.
97 Napoli, Bibl. Nazionale, VIII D 12.
98 Venezia, Bibl. Nazionale Marciana, ms. lat. VIII 85.
99 Rio de Janeiro, Bibl. Nacional, Cofre 18.
100 Washington, Library of Congress, ML 171 J 6.
101 Paris, Bibl. Nationale, ms. lat. 7369.
102 Faenza, Bibl. Comunale, 117.
103 Catania, Bibl. Riunite Civica e Antonio Ursino Recupero, D 39.
104 Bergamo, Bibl. Civica, MAB 21 (o l i m Sigma IV 37).
105 Milano, Bibl. Ambrosiana, H 165 inf.
106 In M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i , 1, ed. Gallo, pp. 72-74.
107 Cfr. sotto, cap. III, paragrafo 6.
108 PROSDOCIMI DE BELDEMANDIS E x po s i t i o n e s t r a c t a t u s pr a t i c e c a n t u s m e n s u r a b i l i s m a g i s t r i J o h a n n i s d e M u r i s , ed. F.A.

Gallo, Bologna 1966.


109 Firenze, Bibl. Medicea Lurenziana, Ashburnham 206.
110 Lucca, Bibl. Statale, 359.
111 MICHAELIS SAVONAROLE L i b e l l u s d e m a g n i f i c i s o r n a m e n t i s R e g i e c i v i t a t i s P a d u e , ed. A. Segarizzi, Città di Castello: Lapi 1902,

p. 41.
112 E. PEVERADA, U g o l i n o d a O r v i e t o n e l l a e r u d i z i o n e s c a l a b r i n i a n a e a l l a l u c e d i n u o v i d o c u m e n t i , in «Atti della Accademia

delle scienze di Ferrara», 55 (1977-1978), pp. 489-506.

22
numerosi esempi musicali, costituisce il terzo libro, dedicato alla musica mensurale, della Declaratio musicae
disciplinae, in cinque libri, di Ugolino (ed. Seay II, pp. 59-266). Come si può desumere dalle numerose copie
conservate,113 quest’opera conobbe una certa diffusione e sembra sia stata soprattutto apprezzata a causa dei molti
esempi musicali. Ne esiste anche un sunto autonomo dal titolo Tractatus super musicam mensuratam magistri
Johannis de Muris: 10 capitoli contenenti il testo completo del Libellus e una selezione del commento di Ugolino in
forma di annotazioni.114 Se i commenti e le annotazioni attestano la diffusione e la stima di cui godette il trattato di
Giovanni de Muris presso i teorici della musica eruditi, il Libellus trovò risonanza anche presso i componenti di ceti
meno colti – come presso i musicisti pratici, che non potevano leggerlo nel latino originale. In effetti sono note due
traduzioni italiane del secolo XV, una in chiaro idioma fiorentino,115 un’altra con caratteristiche linguistiche dell’Italia
settentrionale.116 Perfino nel secolo XVI l’opera era ancora in circolazione. Il teorico Giovanni del Lago ne citò diversi
passi nella corrispondenza specialistica che intrattenne, tra il 1520 e il 1541, con altri musicisti contemporanei.117

113 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, Rossi 455; ms. Urbin. lat. 258; ms. Vat. lat. 5324; Roma, Bibl. Casanatense, 1251; nonché Bologna,
Civico Museo Bibliografico Musicale, A 29.
114 London, British Library, Egerton 2954; Porto, Bibl. Pública Municipal, 714.
115 Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Redi 71.
116 Bologna, Civico Museo Bibliografico Musicale, A 48.
117 F.A. GALLO, C i t a z i o n i d i t e o r i c i m e d i e v a l i n e l l e l e t t e r e d i G i o v a n n i D e l L a g o , in «Quadrivium», 14 (1973), p. 174.

23
III. ARS ITALICA

1. Le origini

Nel secolo XIII la musica italiana non ha certamente prodotto nulla di significativo nel campo della musica
mensurabilis. Dai pochi frammenti superstiti118 si desume che la composizione polifonica non andò oltre il semplice
accompagnamento di una melodia liturgica – un modo non mensuralistico di comporre a due voci, che fu praticato
fino al secolo XV inoltrato e che più tardi venne chiamato “cantus planus binatim”.119 Senza dubbio un tale modo di
comporre non necessitava di una particolare base teorica, almeno per quanto riguardava la durata dei singoli suoni.
Probabilmente la più antica trattazione sulla differente durata delle note nella composizione polifonica si trova in
un capitolo della Practica artis musice (ed. Ruini, p. 15), che il prete inglese Amerus compilò nell’agosto del 1271,
mentre, al seguito del cardinale Ottobono Fieschi, si trovava a Viterbo. Qui da tre anni risiedeva il governo della chiesa
– i cardinali di quel lungo conclave che precedette l’elezione di Gregorio X – e con questo forse anche la Schola
cantorum romana. Proprio a lui è dedicata la Practica che, come si dice nell’introduzione, si propone di ammaestrare
in forma concisa i fanciulli nelle regole del canto ecclesiastico (“sub compendio pro pueris”, ivi, p. 19). Tuttavia,
poiché nella musica accanto al normale repertorio liturgico deve esserci stato spazio anche per una certa pratica del
canto polifonico (proprio come risulta anche dall’Ordinale di Innocenzo III)120 o, come qui vengono chiamate, per le
“cantilene organice” (ivi, pp. 63 e 97), l’autore ritenne ragionevole inserire alla fine dello scritto un capitolo sulla
diversità delle note nel canto “organico” (“De diversitate notarum in cantu organico” – AMERUS, Practica, ed Ruini,
pp. 97-101), allo scopo di fornire ai fanciulli qualche informazione anche su questo diverso tipo di canto. Tre note
particolari ricevono una propria denominazione: la longa, la brevis e la semibrevis. Esse vengono rappresentate a loro
volta mediante un preciso segno grafico: , , .
Il rapporto del loro reciproco valore di durata è regolato unicamente dal criterio della bipartizione ed è esposto
nella formula: “nota quod due breves valent unam longam et quatuor semibreves valent unam longam” (ivi, p. 99).
Compaiono inoltre gruppi di note “coniuncte” in un’unica figurazione che vengono spiegati come successioni di valori
di durata, costituenti determinate unità ritmiche spesso col valore più lungo alla fine (ivi, p. 98).
Questo primo sistema mensurale impiegato in Italia mostra già – anche in una forma poco sviluppata – due
tendenze caratteristiche molto chiare: la partizione binaria del valore di durata e la collocazione dei valori più lunghi
alla fine della misura.
Sembra certo che, verso la fine del secolo XIII, il mottetto francese sia diventato sempre più conosciuto in Italia;
così fanno supporre alcune fonti secondarie e un esiguo numero di composizioni superstiti.121 E con esso si diffuse
naturalmente anche la conoscenza della letteratura sulla musica mensurale che è molto strettamente collegata con il
mottetto: e quindi la teoria di Franco, che sicuramente era conosciuta in Italia – sia in modo diretto che indiretto,
specialmente tramite le numerose compilazioni intitolate Gaudent brevitate moderni (cfr. note 18-21).
Un breve trattato anonimo, che inizia con le parole Omnis nota in cantu mensurato, dà notizia di un primo
ampliamento del sistema franconiano fino a quattro semibreves per una brevis: “semibreves aliquando due vel tres
aliquando quatuor ponuntur pro uno tempore, et distinguuntur per punctum”122 – un procedimento da segnalare
anche nella prassi italiana coeva.123
Un altro breve trattato, Omnis nota sic formata, indica il seguente passaggio a una libera disponibilità dell’unità
di calcolo in relazione alla sua suddivisione – a condizione però che sia chiaramente delimitata dall’aggiunta di un
segno chiamato “pontellus” (ponticello): “quandocumpque invenirentur multe semibreves insimul et poneretur
pontellus inter ipsas ... ille pontellus ponitur ad divisionem illarum semibrevium que currunt pro una brevi”.124 In tale
funzione il “pontellus”, d’ora in poi, rappresenta un tipico concetto italiano, anche se non completamente ignoto alla
zona di influenza francese.125
A questo punto sembra che anche in Italia si siano verificate resistenze contro simili innovazioni – o almeno si
cominciò a distinguere tra stile “antico” e “nuovo”. Una testimonianza in tal senso la offre lo scrittore Francesco da
Barberino che, nel commento in latino ai suoi Documenti d’amore, apparsi tra il 1296 e il 1312, non esita ad
accordare la preferenza alle “cantilenis antiquis habentibus paucas notas”, piuttosto che alle composizioni moderne

118 F. A. GALLO E G. VECCHI, I pi ù a n t i c h i m o n u m e n t i s a c r i i t a l i a n i , Bologna, 1988


119 F. A. GALLO, “ C a n t u s pl a n u s b i n a t i m ” . P o l i f o n i a pr i m i t i v a i n f o n t i t a r d i v e , in «Quadrivium», 7 (1966), pp. 79­89.
120 S. J. VAN DIJK, T h e O r d i n a l o f t h e P a pa l C o u r t f r o m I n n o c e n t I I I t o B o n i f a c e V I I I a n d R e l a t e d D o c u m e n t s , Fribourg,

1975, p. 408.
121 A. ZIINO, U n a i g n o t a t e s t i m o n i a n z a s u l l a d i f f u s i o n e d e l m o t t e t t o i n I t a l i a d u r a n t e i l XI V s e c o l o , in «Rivista italiana di

musicologia», 10 (1975), pp. 20-31.


122 F. A. GALLO, D u e t r a t t a t e l l i s u l l a n o t a z i o n e d e l pr i m o T r e c e n t o , in «Quadrivium», 12 (1971), p. 125. Cfr. anche PETRUS DE

SANCTO DIONYSIO, T r a c t a t u s ... cit., p. 166.


123 F. A. GALLO, M o t t e t t i d e l pr i m o T r e c e n t o i n u n m e s s a l e d i B i e l l a ( C o d i c e L o w e ) , in L ’ A r s n o v a i t a l i a n a d e l T r e c e n t o , III,

Certaldo, 1970, pp. 221 e 237-240.


124 GALLO, D u e t r a t t a t e l l i ... cit., p. 128 (cfr. n. 122)
125 PHILIPPI DE VITRIACO A r s ... cit, p. 59: “punctillus”.

24
con le loro “notarum multiplicationibus”.126 Tuttavia, all’inizio del secolo XIV, dall’elaborazione di diversi sistemi di
cui l’ambiente italiano era venuto a conoscenza si andò formando un sistema mensurale con caratteristiche tipicamente
italiche.
Il primo testo in merito sembra essere un breve ed anonimo Capitulum de semibrevibus, aggiunto al termine di
una delle compilazioni Gaudent brevitate moderni. Come tutti gli altri compendi dello stesso tipo, anche questo
include un capitolo sulle semibrevi secondo l’insegnamento franconiano; chiaramente per l’autore del trattato o per il
copista del codice questa teoria non era più adeguata alle esigenze della prassi coeva, perciò deve essere parso sensato
aggiungere alla fine un capitolo sulla semibreve, che affrontasse la stessa materia secondo nuovi criteri. La trattazione
parte da due diversi punti di vista: dalla suddivisione della brevis – unità di misura fondamentale – in tre semibrevi da
un lato e in due semibrevi dall’altro, “quando cantatur de imperfectis”.127 Questa suddivisione fa pensare ad una
conoscenza della precedente Ars nova francese, in cui, accanto al tempus perfectum di Franco, esisteva anche il
tempus imperfectum binario.128 Lo sviluppo originalmente italiano di questo sistema si manifesta nella suddivisione
delle misure comparsa nell’epoca successiva: tanto le tre semibrevi della misura perfetta quanto le due semibrevi della
misura imperfetta vengono suddivise in due parti; da ciò derivano i seguenti schemi:

I tempus II de imperfectis

1/3 1/3 1/3 1/3 1/3

1/6 1/6 1/6 1/6 1/6 1/6 1/6 1/6 1/6 1/6

In questo sistema italiano primitivo, la divisione di ogni semibrevis di partenza in sole due parti conduce ad una
suddivisione della brevis come unità fondamentale in sei oppure quattro parti al massimo; esso si distingue pertanto
chiaramente dal sistema francese, in cui la tripartizione della semibrevis di partenza porta a suddividere la brevis,
come unità fondamentale, perfino in nove oppure sei parti.

2. L’insegnamento di Marchetto da Padova

Il primo italiano a scrivere un trattato sulla musica mensurabilis è stato Marchetto da Padova, cantore presso la
cattedrale di Padova negli anni 1305-1307.129 In questo periodo dovettero aver visto la luce anche alcune sue
composizioni: di certo il mottetto Ave regina coelorum – Mater innocencie – Ite missa est,130 con l’acrostico del
nome dell’autore “Marcum paduanum”, che egli probabilmente scrisse per l’inaugurazione della cappella degli
Scrovegni, e forse tre brani dell’ufficio dell’Ascensione per la cattedrale di Padova.131 Il tipo di notazione mensurale
impiegato in queste composizioni appare appena un po’ più evoluto rispetto al metodo di notazione di quel
Capitulum de semibrevibus contenuto in un codice veneziano,132 che potrebbe pertanto essere una prima
esposizione della teoria di Marchetto, una precoce testimonianza del suo insegnamento teorico.
Come risulta dalle annotazioni finali (explicit) del suo trattato, negli anni successivi Marchetto fu attivo come
musico teorico e pratico nel Veneto e in Romagna. Dopo un certo periodo di insegnamento orale, del quale danno
notizia sia alcuni brevi testi, come Sciendum est quod antiquitus 133 e Regule musice plane 134 – entrambi contenuti
in codici veneziani sotto il nome di Marcus de Padua –, sia un frammento ebraico,135 raccolse la summa del suo
insegnamento relativo alla musica plana in un vero e proprio voluminoso trattato che chiamò Lucidarium 136 – forse

126 FRANCESCO DA BARBERINO, D o c u m e n t i d ’ A m o r e , ed. F. Egidi, III, Roma, 1907, p. 20.


127 In M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i , 1, ed. Gallo, p. 15.
128 Cfr. sopra, cap. II, paragrafo 2.
129 F.A. GALLO, M a r c h e t u s i n P a d u a u n d d i e “ f r a n c o - v e n e t i s c h e ” M u s i k d e s f r u h e n T r e c e n t o , in «Archiv für Musikwissenschaft»,

31 (1974), pp. 42-56.


130 P o l y ph o n i c M u s i c o f t h e F o u r t e e n t h C e n t u r y , XII: I t a l i a n S a c r e d M u s i c , ed. K. von Fischer e F. A. Gallo, Monaco, 1976, pp.

129-132.
131 I v i , p. 113 sg.
132 Pavia, Biblioteca Universitaria, Aldini 361.
133 Pavia, Biblioteca Universitaria, Aldini 361; edito da R. MONTEROSSO, U n c o m pe n d i o i n e d i t o d e l “ L u c i d a r i u m ” d i M a r c h e t t o d a

P a d o v a , in «Studi medievali», III serie, 7 (1966), pp. 914-937. Altre fonti: Pavia, Biblioteca Universitaria, Aldini 450, cc. 7v-10; Siviglia,
Biblioteca Capitular Colombina, 5 2 25, cc. 66v-68v.
134 Perugia, Biblioteca Comunale, 1013, cc. 4-5.
135 I. ADLER, F r a g m e n t h é b r a i q u e d ’ u n t r a i t é a t t r i b u é à M a r c h e t t o d e P a d o u e , in «Yuval», 2 (1971), pp. 1-10.
136 GS III, 65-121. J.W. HERLINGER, T h e “ L u c i d a r i u m ” o f M a r c h e t t o o f P a d u a . A C r i t i c a l E d i t i o n , T r a n s l a t i o n a n d

C o m m e n t a y , Chicago-London, 1985.

25
richiamandosi al titolo di un’opera scientifica coeva, il Lucidator 137 che Pietro d’Abano aveva compilato tra il 1305 e
il 1306, quando insegnava all’Università di Padova. L’opera di Marchetto, iniziata a Cesena e finita probabilmente a
Verona nel 1317/18,138 fu messa per iscritto con l’aiuto del domenicano frate Sifante da Ferrara ed è dedicata a Ranieri
di Zaccaria da Orvieto, vicario generale della Romagna. Già in questo trattato Marchetto mette in luce la propria
predilezione per i rapporti numerici alla base della suddivisione binaria e ternaria, che più tardi egli dovrà portare a
completa maturazione nel campo della musica mensurabilis.139
Anche in quest’altro settore della teoria musicale Marchetto in precedenza aveva impartito a lungo un
insegnamento orale, del quale, oltre al già citato Capitulum de semibrevibus, sono testimonianza anche un
frammento di Lubiana140 nonché, soprattutto, l’Ars musice mensurate,141 un trattato, breve ma completo, scritto da
un certo Frate Guido per iniziativa di alcuni confratelli del proprio ordine. Oltre a ciò, un riflesso dell’insegnamento
orale di Marchetto si può scorgere nelle osservazioni sulle misure musicali e sul loro impiego nei generi poetico-
musicali (specialmente nelle “ballate”, nei “rotundelli”, nei “mottetti”, nei “madrigali” e nei “soni”); osservazioni che
sono riprese in un trattatello in latino conosciuto sotto il titoli di Capitulum de vocibus applicatis verbis.142 Di
questo trattato forse esistette anche una traduzione italiana del grammatico Jacopo del Cairo.143 Marchetto diede
forma definitiva al suo sistema teorico nel vasto trattato intitolato Pomerium 144 – questa volta riprendendo il titolo di
un’opera storica coeva, il Pomerium ecclesie ravennatis 145 che Riccobaldo da Ferrara aveva terminato nel 1312.
Marchetto redasse il suo scritto in casa di Rainaldo de Cintiis, signore di Cesena, molto probabilmente tra il 1320 e il
1326,146 anche questa volta servendosi della consulenza del domenicano Sifante da Ferrara. L’opera è dedicata a
Roberto d’Angiò, re di Sicilia. Di norma le dediche dei trattati musicali erano rivolte a dignitari ecclesiastici; il fatto che
Marchetto abbia invece dedicato entrambe le sue opere a personaggi politici e abbia scritto il Pomerium in casa di un
nobile cittadino potrebbe dipendere da una generale tendenza verso la secolarizzazione della cultura musicale, come è
possibile avvertire anche in Francia, soprattutto nel campo della musica mensurabilis (cfr. nota 36). Forse non è
casuale che Marchetto, provenendo dalla stessa città, sia affine a Marsilio da Padova, sostenitore dell’autonomia del
potere civile nei confronti dell’autorità ecclesiastica.147
Come scrittore Marchetto è in linea con le nuove caratteristiche del secolo XIV: comprende, al pari dei francesi
suoi contemporanei, la natura intellettuale della musica mensurabilis; tuttavia, poiché, a causa della sua formazione
musicale eminentemente pratica, non ha la possibilità di raggiungere da solo tale livello culturale, si affidò a Sifante da
Ferrara, un esponente della cultura ufficiale. Nella dedica e nell’epilogo del trattato Marchetto riconosce di aver
ricevuto aiuto da Sifante sotto due aspetti: “quantum ad libri ordinem et philosophie fulcimina rationum” (Pomerium,
p. 36). Quanto alla struttura del libro, esso risulta organizzato intorno al problema del tempo e consta di tre parti
principali: la prima e più ampia è divisa in due sezioni, delle quali la prima tratta “de accidentibus musice mensurate”
(ivi, pp. 39sgg.), cioè della forma delle note, mentre la seconda, “de essentialibus musice mensurate” (ivi, pp. 75 sgg.),
della suddivisione del tempus perfectum; il secondo libro si occupa della suddivisione del tempus imperfectum, il
terzo libro di discanto, ligaturae e modi. Il supporto metodologico e filosofico (“philosophie fulcimina rationum”)
riguarda invece l’aiuto ricevuto, sempre presente nel corso di una trattazione in cui Marchetto vuole procedere sulla via
tracciata dai filosofi (“viam philosphicam imitantes” – ivi, p. 40). A tale proposito, occorre segnalare che allora Padova
era uno dei più importanti centri della Scolastica.148 Secondo Marchetto la musica mensurale deve essere annoverata
come una scienza tra le scienze (“tamquam scientia inter scientias computata” – ivi, p. 210); perciò scopo del suo
lavoro era diffondere la conoscenza della natura della musica mensurata tramite principi razionali (“Cum igitur in
presenti opere nostre intentionis sit cognitionem tradere per rationes essentie musice mensurate” – ivi, p. 39). Questi
fondamenti intellettuali nella musica mensurale sono di natura matematica: “certum est musicam esse de notis, et ipse
note sunt de numeris; ita erit ergo de tempore applicato ipsis notis, sicut erit de numeris”; e poiché il numero tre (in
senso teologico) è perfetto, il principio ternario rappresenta anche il metodo di misura più perfetto che l’uomo possa
applicare alla musica (“perfectior ratio mensurandi que possit in musica reperiri” – ivi, p. 83).
La trattazione del rapporto tra longa e brevis, e quindi del modus, è confinata nell’ultimo capitolo del Pomerium;
nell’Ars musice mensurate, quell’opera che poteva rappresentare uno dei primi tentativi di formulazione

137 Parigi, Bibl. Nationale, ms, lat. 2598, cc. 99-125v.


138 O. STRUNK, O n t h e D a t e o f M a r c h e t t o d a P a d o v a, in E s s a y s o n M u s i c i n t h e W e s t e r n W o r l d, New York, 1974, pp. 39­43.
139 G. VECCHI, P r i m o a n n u n c i o d e l s i s t e m a pr o po r z i o n a l e d i M a r c h e t t o i n u n pa s s o d e l “ L u c i d a r i u m ” , in «Quadrivium», 9

(1968), pp. 83-86.


140 J. HÖFLER, M e n z u r a l n i f r a g m e n t i z N a d š k o f i j s k e g a a r h i v a v L j u bl j a n a , in «Muzikološki zbornik», 2 (1966), pp. 12­17.
141 In M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i , 1, ed. Gallo, pp. 19-39.
142 S. DEBENEDETTI, U n t r a t t a t e l l o d e l s e c o l o XI V s o pr a l a po e s i a m u s i ca l e , in «Studi medievali», 2 (1906-1907), pp. 79­80
143 R. GIAZOTTO, L a m u s i c a a G e n o v a n e l l a v i t a pu b b l i c a e pr i v a t a d a l XI I I a l XV I I I s e c o l o , Genova 1951, pp. 98­101.
144 MARCHETI DE PADUA P o m e r i u m , ed. G. Vecchi, s.l. 1961 (CSM 6).
145 L.A. MURATORI, R e r u m I t a l i c a r u m S c r i pt o r e s , IX, Milano 1726, pp. 97-192.
146 G. VECCHI,. S u l a c o m po s i z i o n e d e l “ P o m e r i u m ” d i M a r c h e t t o d a P a d o v a e l a “ B r e v i s c o m pi l a t i o ” , in «Quadrivium», 1

(1956), pp. 153-163.


147 MARSILIUS VON PADUA, D e f e n s o r pa c i s , ed. R. Scholz, Hannover 1932.
148 B. NARDI, S a g g i s u l l ’ a r i s t o t e l i s m o pa d o v a n o , Firenze, 1958.

26
dell’insegnamento di Marchetto, essa stava al centro dell’opera:149 forse nel frattempo erano diminuiti l’interesse per
questa parte del sistema e la sua importanza per l’attività musicale pratica. In ogni modo, Marchetto riprende da
Franco la definizione del modus ed espone la serie dei cinque modi franconiani a struttura ternaria (Pomerium, pp.
201-205); però aggiunge che è possibile ricavare quattro “modi imperfecti” a struttura binaria dopo aver sottratto un
terzo da queste formule modali tripartite (ivi, p. 205 sg.):

I. Omnes longe imperfecte


II. Longa imperfecta, due breves equales
III. Due breves equales, longa imperfecta
IV. Omnes breves et semibreves binarie

Questa formulazione teorica allude chiaramente alla conoscenza della coeva prassi francese e probabilmente anche
della teoria – quell’ars vetus ai cui elementi caratteristici apparteneva proprio il riconoscimento di un modus
imperfectus accanto al modus perfectus (cfr. sopra, cap. II, paragrafo I).
La particolare specificità del sistema italiano qui però sta nel fatto che Marchetto parla anche di un “cantus
mixtus”, di una composizione, quindi, fatta di misure alternanti tra il modus perfectus e il modus imperfectus, e che la
longa binaria nel modus imperfectus e nel modus mixtus è contraddistinta da un segno speciale ( ), del quale
nella notazione francese non esiste l’equivalente. Marchetto (o almeno una parte della diffusione manoscritta del
Pomerium), forse polemicamente, ritiene questi segni persino più efficaci, per contrassegnare il passaggio dal modus
perfectus al modus imperfectus, rispetto al metodo del cambiamento di colore che i francesi avevano introdotto a
questo scopo (“et hoc est proprius quod tales cantus diversis coloribus figurentur” – ivi, p. 206). Di seguito è riportato
l’esempio del modus mixtus con i segni speciali per la longa imperfecta, così come compare, quasi identico, nel
Pomerium (p. 206) e in un coevo mottetto italiano:

150

Nella sua analisi del tempus Marchetto prende esplicitamente le mosse dalla definizione di Aristotele: “Tempus est
mensura motus”151 e approfitta anche dell’occasione per accennare alla differenza tra antichi e moderni, che nella
contemporanea teoria francese era già diventata un luogo comune:152 “antiqui non curaverunt tradere ulterius
divisionem temporis nisi in tres semibreves”, mentre “moderni autem ipsas tres partes temporis in ultimiores partes
diviserunt, formando sex, novem et duodecim semibreves” (Pomerium, p. 57 sg.). Partendo dalla tripartizione del
tempus, come l’aveva impostata Franco, allargando però il principio delle successive suddivisioni secondo un modello
binario, che era già stata descritta nel Capitulum de semibrevibus, Marchetto propone ora una suddivisione del
tempus in tre semibreves maiores che vengono rispettivamente suddivise in due semibreves minores, le quali a loro
volta si dividono ora di nuovo rispettivamente in due semibreves minime (ivi, pp. 102-143). Questo sistema di
divisione del tempus, di preferenza binario, deve essere considerato autenticamente e specificamente italiano (e, in
effetti, nel Capitulum de vocibus applicatis verbis è definito il “modo italico” – “aer ytalicus” –153 del tempus
perfectum), poiché nel Pomerium, come già prima nell’Ars musice mensurate, viene descritto e nel secondo
espressamente attribuito ai “gallici”154 un altro sistema esclusivamente ternario di suddivisione del tempus (ed è
certamente lo stesso che di nuovo nel Capitulum de vocibus applicatis verbis è definito “modo francese” – “aer
gallicus”).155 Questo secondo sistema prevede una divisione in tre semibreves maiores, che vengono rispettivamente
divise in tre semibreves minime (ivi, pp. 149­152). I criteri per la divisione del valore delle note in gruppi da due a
nove note che sono descritti nel Pomerium e nell’Ars musice mensurate concordano esattamente con le regole dei
coevi testi dei primi tempi dell’Ars nova.156
Tanto nell’Ars musice mensurate quanto nel Pomerium il tempus imperfectum è collocato accanto al tempus
perfectum come misura autonoma. Anche questo riconoscimento di due misure per il tempus era uno degli elementi
caratteristici dei testi francesi dei primi tempi dell’Ars nova (cfr. sopra, cap. II, paragrafo 2). Ovviamente anche
Marchetto nota la difficoltà concettuale di ammettere l’esistenza di una misura “imperfetta”. Egli cerca di superarla,
costruendo una inevitabile dipendenza causale dalla misura perfetta: “de imperfectis numquam potest esse scientia

149 In M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i , 1, ed Gallo, pp. 28-30.


150 F.A GALLO, D a u n c o d i c e i t a l i a n o d i m o t t e t t i d e l pr i m o T r e c e n t o , in «Quadrivium», 9 (1968), p. 29. Edito in P o l y ph o n i c
M u s i c , vol. XII, p. 138 sg. – cfr. nota 130.
151 P o m e r i u m , p. 75 sg.; cfr. ARISTOTELES, P h y s i c a IV, 219b 1.
152 Cfr. nota 8 e 59-62; FRANCO, A r s , p. 24.
153 DEBENEDETTI, pp. 79, riga 16, e 80, riga 56 sg. – cfr. nota 142.
154 In M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i , 1, ed. Gallo, p. 32.
155 DEBENEDETTI, p. 79, riga 17 – cfr. nota 142.
156 In M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i , 1, pp. 31-34; MARCHETI DE PADUA P o m e r i u m , pp. 150-152; v. tavola p. 19.

27
mentalis nec etiam cognitio sensitiva nisi per comparationem ad perfecta” (Pomerium, p. 162). In questo modo il
tempus perfectum rimane l’unica misura musicale assoluta, mentre il tempus imperfectum trova la sua giustificazione
ideale nel fatto che è solo una derivazione per mezzo della sottrazione di un terzo: “per subtractionem autem factam
ab intellectu de parte scilicet temporis perfecti musica fit scientia de tempore imperfecto” (ivi, p. 163). I due concetti
dunque stanno l’uno di fronte all’altro; tuttavia, poiché “gli opposti hanno la stessa regola” (“oppositorum est eadem
disciplina”),157 il sistema di divisione del tempus imperfectum è organizzato in modo del tutto analogo a quello del
tempus perfectum, ad eccezione delle durate minori. Così, secondo le regole degli “Ytalici”, le due semibreves
maiores del tempus imperfectum sono suddivise in quattro semibreves minores, che a loro volta sono ripartite in otto
semibreves minime (ivi, p. 168 sg.).
D’altro canto, secondo le regole dei “Gallici” (che il Capitulum de vocibus applicatis verbis chiama “aer
gallicus”158 del tempus imperfectum), le due semibreves maiores del tempus imperfectum vengono suddivise in sei
semibreves minime (ivi, p. 170), che eventualmente possono essere divise un’altra volta nelle 12, con le quali forse ci
si riferisce alle semiminimae dei coevi testi francesi.159 Anche in questo caso, le regole della suddivisione dei valori in
gruppi da due a sei note – da come si presentano nell’Ars e nel Pomerium – corrispondono esattamente alle regole e
agli esempi dei coevi testi francesi dei primi tempi dell’Ars nova.160 Nel suo insieme il sistema si presenta nel modo
seguente:

1a) tempus perfec tum sec undum div isionem duodenariam = 1/1

1/3 1/3 1/3 = 3/3

1/6 1/6 1/6 1/6 1/6 1/6 = 6/6

1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 =12/12

2a) tempus imperfec tum sec undum ytalic os = 2/3

1/3 1/3 = 2/3

1/6 1/6 1/6 1/6 = 4/6

1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 1/12 = 8/12

1b) tempus perfec tum sec undum div isionem nonariam = 1/1

1/3 1/3 1/3 = 3/3

1/9 1/9 1/9 1/9 1/9 1/9 1/9 1/9 1/9 = 9/9

2b) tempus perfec tum sec undum gallic os = 2/3

1/3 1/3 = 2/3

1/9 1/9 1/9 1/9 1/9 1/9 = 6/9

Quello elaborato da Marchetto si presenta come un sistema misto – “bilingue” – italiano e francese, paragonabile ad
una gran parte della coeva poesia italiana, che era allo steso modo bilingue, cioè franco-veneta come la lingua letteraria
nella regione in cui Marchetto operava.161 E, come nella letteratura bilingue, anche qui il compositore poteva impiegare
una volta il sistema italiano, una volta quello francese e persino i due sistemi insieme nello stesso brano, come in effetti

157 P o m e r i u m , p. 157; cfr. ARISTOTELES, T o pi c a I, 10.104 a 15.


158 DEBENEDETTI, p. 79, riga 22 – cfr. nota 142.
159 PHILIPPI DE VITRIACO A r s , p. 69, frasi 45-47.
160 M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i , pp. 35-37; MARCHETI DE PADUA P o m e r i u m , pp. 173-177; v. tavola p. 19.
161 F.A. GALLO, B i l i n g u i s m o po e t i c o e b i l i n g u i s m o m u s i c a l e n e l m a d r i g a l e t r e c e n t e s c o , in L ’ A r s n o v a i t a l i a n a d e l T r e c e n t o ,

IV, Certaldo 1978, pp. 237-243.

28
le composizioni dimostrano. Per questo Marchetto è costretto, ancora più dei suoi contemporanei francesi, a trovare
dei segni per l’inizio o per le diverse parti della composizione, dai quali il cantore possa ricavare esattamente non solo
in quale modus o tempus (come presso i francesi), ma anche secondo quale modalità di suddivisione l’opera sia stata
composta e vada eseguita. Anche in questo caso Marchetto trova una soluzione originale; infatti egli non usa, come i
francesi, dei segni geometrici, bensì delle lettere: “p” per “perfectus”; “i” per “imperfectus”; “y” per “ytalicus” e “g”
per “gallicus” (Pomerium, p. 179 sg. e 207).
Anche se la terminologia di Marchetto è meno precisa di quella dei coevi autori francesi, costituisce comunque una
altrettanto chiara presentazione della notazione mensurale come sistema di segni compiuto, un sistema funzionale alla
comunicazione umana (paragonabile a quella che il contemporaneo Dante attribuisce al linguaggio).162 La definizione
della doppia natura delle note – come segno grafico e segno sonoro – si manifesta chiaramente nella doppia
definizione della pausa come “pausa scripta”, che è “quedam linea per partem spatii producta”, e “pausa non scripta”,
cioè “desistentia vocis vel soni certo tempore vel certa parte temporis a cantando” (ivi, p. 55). In Marchetto diventa
chiaro anche il necessario nesso tra i diversi segni e i diversi significati all’interno del sistema: la disposizione delle note
sul rigo musicale serve ad indicare le diverse altezze, come le diverse forme grafiche delle note servono a designare le
diverse durate: “diversitas notarum oportuit esse per diversas lineas et spatia ad hoc ut cantus alte et submisse a
cantoribus cantaretur ... sic fuit necesse addere quedam signa seu quasdam proprietates ipsis notis propter ipsum
mensurare in cantu mensurato” (ivi, p.59). Autonomo è anche il tentativo considerare questo sistema di segni – sulla
base della sentenza aristotelica “ars imitatur naturam in quantum potest” – come naturale e non soltanto
convenzionale. Perciò, secondo Marchetto, le note non debbono la loro esistenza ad una scelta umana arbitraria, ma
rispecchiano un ordine razionale – quello della natura. E come negli uomini il lato destro è più forte del sinistro e il
movimento degli arti risulta più facile verso il basso che verso l’alto, anche nel sistema della musica mensurale la cauda
sul lato destro indica un valore più grande della cauda sul lato sinistro, e la cauda verso l’alto un valore più grande di
quella verso il basso (ivi, pp. 50-53). I rapporti di durata sono i seguenti:

destro sinistro
verso il basso longa brevis

verso l’alto plica semibrevis

Tavola 3

Nel complesso, però, il Pomerium fornisce un’eccellente dimostrazione del buon funzionamento del codice
interpretativo elaborato dal trattato musicale nei confronti della notazione mensurale (GALLO, Figura, p. 45 sg. – cfr.
nota 4). Da questo punto di vista l’opera sembra anche un elenco analitico di tutte le possibilità riscontrabili nella
prassi; esso contiene una raccolta di esempi di tutte le serie di semibreves della durata di una brevis (comprese quelle
tra due “pontelli” o tra due note di durata maggiore) che sono ammissibili nella composizione, con una spiegazione
verbale del valore di ogni singola nota della serie relativamente al numero delle note (dal minimo due al massimo 12),
alla loro forma esteriore (non caudata, caudata verso il basso, caudata verso l’alto), al tipo di misura (tempus
perfectum o tempus imperfectum) e al tipo di suddivisione (italiano o francese).

3. La ricezione dell’opera di Marchetto

Come si può desumere dalle sette fonti superstiti oggi note, Il Pomerium sembra aver trovato alla sua epoca una
diffusione molto ampia, anche se limitata all’ambito dell’Italia settentrionale. In alcuni di questi manoscritti il testo
vero e proprio è preceduto da una breve introduzione in cui viene fornita spiegazione delle quattro “causae” del
trattato: “materialis, formalis, efficiens, finalis”, del titolo e dell’articolazione della materia. Questa introduzione è un
tipico esempio di quell’accessus che la scuola medievale era solita anteporre alla lettura degli “auctores”,163 e ciò indica
che il Pomerium deve aver goduto di un notevole prestigio, essendo stato impiegato quasi come un testo classico
nell’insegnamento della musica mensurale.
D’altra parte la teoria di Marchetto si diffuse non solo con l’insegnamento prima di tutto orale e poi con il
Pomerium. Marchetto stesso si rendeva invece conto che proprio l’ampiezza della trattazione e la rigorosa
impostazione scientifica del suo lavoro potevano rappresentare un pericolo per la comprensione e l’efficacia degli
ammaestramenti connessi agli aspetti pratici della notazione, specialmente per i principianti in questo campo. Perciò
scrisse un compendio del proprio trattato, in cui eliminò quasi interamente lo spazio dell’argomentazione e in questo

162 M. CORTI, L a t e o r i a d e l s e g n o n e i l o g i c i m o d i s t i e i n D a n t e , in «Quaderni del circolo semiologico siciliano», 14­15 (1981), pp.
69-86.
163 E.A. QUAIN, T h e M e d i e v a l A c c e s s u s a d A u c t o r e s , in «Traditio», 3 (1945), pp. 215-264.

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modo mise in primo piano la parte esplicativa. In tal modo nacque la Brevis compilatio in arte musice mensurate
(VECCHI, Composizione, pp. 177-205) – cfr. nota 146). Semplicemente questo titolo, non più metaforico ma pratico,
richiama già l’attenzione sul carattere diverso dell’opera: essa contiene la stesa materia del Pomerium ma la rende
chiara per i principianti e la aggiorna all’ultimo stadio della prassi contemporanea: “pro rudibus et modernis”, come
dice nell’incipit. Dei tre libri dell’opera principale viene tralasciata la prima parte del primo libro, la seconda parte del
primo libro e il secondo libro sono assemblati, del terzo libro è rimasto solo il capitolo sulle ligaturae. Anche la
Brevis compilatio ebbe una certa diffusione, per quanto forse solamente nell’Italia settentrionale. Lo si può desumere
dai tre manoscritti rimasti, come la trascrizione completa nell’Extractus parvus musice di Franchino Gaffurio, del
1474,164 e la citazione in una lettera di Giovanni del Lago del 1552 (GALLO, Citazioni, p. 173 – cfr. nota 117).
La reputazione di Marchetto come teorico della musica plana era straordinaria: del Lucidarium vennero eseguite
20 copie manoscritte (HERLINGER, Lucidarium – cfr. nota 136); se ne trassero anche interi compendi – come
Divina auxiliante gratia 165 – brevi estratti166 e soprattutto regole per la teoria delle proporzioni (cfr. sotto, cap. IV,
paragrafo 4). Nel campo della musica mensurabilis Marchetto non fu famoso solo per la diffusione delle sue proprie
Rubrice breves (v. il successivo paragrafo 4) o per il riferimento ai suoi scritti da parte di Pietro Capuano (ivi),
Prosdocimo de Beldemandis (paragrafo 6, p. 43) e altri testi anonimi,167 ma anche per la frequente menzione del suo
nome in opere poetiche del secolo XIV. Ancora in vita, compare nel sonetto Io vidi ombre e vuy al paragone del
poeta Nicolò de Rossi di Treviso: “Marchetto e Confortino, Agnol cum ello”.168 E più tardi, alla fine del secolo, trova
ancora una volta menzione presso il poeta toscano Jacopo da Montepulciano, che, nella sua Fimerodia, lo annovera
tra gli illustri musicisti che accolgono il compositore Francesco degli Organi tra i beati: “Giovan, Marchetto padovano
ornato”.169
In genere il suo nome sembra essere stato così famoso che egli, in certo qual modo, divenne la personificazione del
teorico della musica per antonomasia; come, ad esempio, nel madrigale di Franco Sacchetti Ben s’affatica invano chi
fa or versi, con una punta d’ironia: “mille Marchetti veggio in ogni parte”.170
In particolare, il suo nome compare nel testo di qualche composizione in rapporto a quello di Filippo da Vitry –
associato o contrapposto – come simbolo, per così dire, della musica mensurale italiana rispetto alla francese: da parte
italiana, nel madrigale della metà del secolo XIV Oselleto salvaço per stasone di Jacopo da Bologna: “Tut’èn Fioran,
Filipoti e Marcheti”171 e, da parte francese, nella ballade di Guido, della fine del secolo:

Philippe qui mais ne dure


nos dona boin exemplaire.
Nous laisons tous ses afayres
por Marquet.172

4. Il sistema con più di un’unità di misura

Non si sa se Marchetto, che conosceva la prima fase dell’Ars nova francese, avesse cognizione anche della seconda,
cioè della fase caratterizzata dalle diverse prolationes del tempus (cfr. sopra, cap. II, paragrafo 3 e 4). Se fosse così, gli
dovrebbe essere riconosciuta la paternità di un altro trattato molto breve e tuttavia completo: le Rubrice breves;173
due dei tre codici che riportano il trattato gli sono espressamente attribuiti e, in tal caso, potrebbero rappresentare uno
stadio ulteriore del suo insegnamento. Come il sistema originario di Marchetto, il trattato si basa sulla distinzione
primaria tra tempus perfectum e tempus imperfectum e sull’attribuzione di criteri di divisione distinti a ciascuno dei
due tempora – secondo il metodo italiano e secondo quello francese. Le innovazioni riconducibili all’influsso della
seconda fase dell’Ars nova consistono nel fatto che tanto il tempus perfectum quanto il tempus imperfectum non
sono più intesi come unità di misura uniche, ma ammettono di volta in volta diversi ampliamenti. Le novità che la
teoria francese inscrive nel complesso delle prolationes temporis, l’autore delle Rubrice breves le spiega con
l’annotazione che i tempora potrebbero essere differenziati “quantum ad quantitatem” (VECCHI, Anonimi, p. 130 sg.
– cfr. nota 173). Così dunque accanto ad un tempus perfectum recte, che alla maniera italiana può essere suddiviso
fino a 12 minime e secondo quella francese fino a nove, si trovano un tempus perfectum minus (divisibile fino a sei

164 FRANCHINI GAFURI E x t r a c t u s pa r v u s m u s i c e , ed. F. A. Gallo, Bologna 1969, pp. 190-208 (Antiquae musicae italicae scriptores 4).
165 Bergamo, Bibl. Civica MAB 21 (ol i m Ε IV 37), cc. 69-106; Firenze, Bibl. Madicea Laurenziana, Ashburnham 1119, cc. 33-51v; Pluteo
XXIX 48, cc. 79-97v; Pisa, Bibl. Universitaria, 606, I, cc. 111-125; Roma, Bibl. Vallicelliana, B 83, cc. 18-29v.
166 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, ms. Capponiano lat. 206, cc. 138-167v.
167 ANONYMUS, D e m u s i c a m e n s u r a b i l i , ed Sweeney, Appendix I, p. 52.
168 NICOLÒ DE’ ROSSI, C a n z o n i e r e s i v i g l i a n o , ed. Mahmoud Salem Elsheikh, Milano e Napoli 1973, p. 190.
169 CARLO DEL BALZO, P o e s i e d i m i l l e a u t o r i i n t o r n o a D a n t e , III, Roma 1891, pp.73-74.
170 G. CORSI, P o e s i e m u s i c a l i d e l T r e c e n t o , Bologna 1970, p. 42 (Collezione di opere inedite o rare, 131).
171 FRANCO SACCHETTI, I l l i b r o d e l l e r i m e , ed. A. Chiari, Bari 1936, p. 139.
172 P o l y ph o n i c M u s i c o f t e h F o u r t e e n t h C e n t u r y , vol. XVIII: F r e n c h S e c u l a r M u s i c . M a n u s c r i pt C h a n t i l l y , M u s é e C o n d é

5 6 4 , parte 1, nn. 1-50, ed. G.K. Greene, Monaco 1981, pp. 80.82.
173 G. VECCHI, A n o n i m i R u b r i c e b r e v e s , in «Quadrivium», 10/1 (1969), pp. 125-134.

30
parti) e un tempus perfectum minimum (divisibile fino a tre parti); e allo steso modo accanto ad un tempus
imperfectum recte, che secondo la maniera italiana può essere diviso in otto e secondo quella francese in sei – e perciò
è chiamato anche “senarius gallicus” (ivi, ‘. 131) –, esiste un tempus imperfectum minus divisibile solo in quattro
parti – e perciò chiamato anche “quadernarium” (ivi, p. 133). È evidente che l’aggiunta di due nuove misure nel
tempus perfectum e di una nuova nel tempus imperfectum rappresenta il tentativo di far rientrare nel sistema
originario di Marchetto anche il tempus perfectum medium e minimum nonché il tempus imperfectum minimum
della seconda fase dell’Ars nova (cfr. sopra, cap. II, paragrafo 3). Tuttavia il risultato generale rimane ancora un
sistema “bilingue” italiano e francese, che però non si fonda più esclusivamente solo su due tempora (il prefetto come
misura campione e l’imperfetto ridotto di un terzo), bensì su quattro tempora, i cui rapporti di durata si presentano nel
modo seguente: il tempus perfectum recte (italiano e francese) è la misura di base, al cui confronto il tempus
imperfectum recte (italiano e francese) è ridotto di un terzo; il tempus perfectum minus è la metà, il tempus
perfectum minimum e il tempus imperfectum minus un terzo della misura di base.
Probabilmente l’incorporazione delle ultime innovazioni francesi nel sistema italiano procurò delle difficoltà, delle
quali offrono testimonianza alcuni testi che recano integrazioni parziali o provvisorie, e che, come le Rubrice breves,
sono della metà del secolo XIV. Uno di questi scritti è opera di frate Pietro Capuano da Amalfi (forse un membro
della famiglia Capuani, da tempo una delle più importanti famiglie della città),174 che produce un proprio trattato come
Compendium artis motectorum Marcheti.175 Nonostante egli nell’introduzione assicuri di non presentare nessuna
nuova idea ma solo quelle già esposte da Marchetto, “cantor egregius et istius artis rector” (Tractatuli 1, p. 43), il
trattato rappresenta solo in parte un compendio dell’insegnamento di Marchetto. In effetti l’autore presenta solo la
parte italiana del sistema “bilingue” di Marchetto, cioè le divisiones del tempus perfectum e del tempus imperfectum,
che egli chiama rispettivamente tempus duodenarium e tempus octonarium, poiché al massimo viene diviso
rispettivamente in 12 e otto minime. Aggiunge però anche la descrizione di una terza misura non presente nel sistema
del Pomerium, che egli chiama tempus imperfectissimum e il cui valore è descritto come metà del tempus
imperfectum (quindi un terzo del tempus perfectum); può essere chiamato anche tempus quaternarium, poiché può
essere suddiviso in quattro minime (ivi, p. 47). Questa nuova misura è chiaramente il tempus imperfectum minus di
quattro minime proveniente dalle Rubrice breves e anche dalla seconda fase dell’Ars nova francese, della cui diretta
conoscenza Pietro Capuano da Amalfi sembra offrire una prova nelle prime parole del suo trattato: “Quoniam tocius
nove artis motectorum difficultas circa temporum varietatem et semibrevium figuracionem acceditur ...” (ivi, p. 43).
Con l’adozione di un sistema su modello francese con parecchie misure diverse, che hanno tutte come unità di
misura la minima, l’ambiente italiano non assume però anche il complesso della prolatio conseguente fissazione del
valore di durata di ogni singola nota, ma si mantiene fedele all’idea che ogni misura sia essenzialmente una serie di
semibrevi (e ora di minime) delimitata da “pontelli”, entro i quali il valore delle singole note deve essere poi
determinato caso per caso dal tipo di misura e dal numero delle note di volta in volta in essa contenute. Le diverse
misure ora non vengono più distinte le une dalle altre secondo il tipo di tempus (perfectum o imperfectum) o secondo
la provenienza (italiana o francese), ma semplicemente con l’utilizzo di indicazioni numeriche che stabiliscono il
numero massimo di minime contenute nella misura. Così, in un breve testo anonimo e quanto mai frammentario176 le
misure ternarie, dopo un riferimento alla loro origine francese con le parole: “secundum Philippum parisiensem”
(ANONYMUS [CSM 30]. p. 55), vengono chiamate “nonaria” oppure “senaria maneries”, mentre le misure binarie si
chiamano “maneries duodenaria” oppure “octonaria”. Allo stesso modo, anche un altro breve frammento, il
Fragmentum de mensuris,177 descrive sei diverse misure che sono ordinate secondo il numero crescente delle
minime:

quaternaria: 4 minime
senaria perfecta: 6 minime, 3 semibrevi
senaria imperfecta: 6 minime, 2 semibrevi
octonaria: 8 minime
novenaria: 9 minime
duodenaria: 12 minime

Conservando un procedimento tutto italiano, nella pratica della notazione le misure vennero indicate con le lettere
iniziali, che si segnavano tra le due linee superiori del rigo musicale all’inizio del brano o della competente sezione
musicale. Come conferma il testo citato (ANONYMUS [CSM 30], p. 57), questo procedimento è spiegato da un
insegnamento di Marchetto. In seguito la tavola 4 illustrerà la perfetta concordanza tra gli scritti teorici finora
esaminati e la più antica raccolta di composizioni mensurali su testi italiani.178

174 U. SCHWARZ, A m a l f i i m f r ü h e n M i t t e l a l t e r ( 9 . - 1 1 . J a h r h u n d e r t ), Tübingen 1978, p. 68.


175 In M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i , 1, ed. Gallo, pp. 43-47.
176 ANONYMUS D e d i v e r s i s m a n e r i e b u s i n m u s i c a m e n s u r a b i l i , ed G. Reaney, (CSM 30); cfr. CS III, 404­408.
177 In M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i 1, ed. Gallo, p. 51 sg.
178 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, Rossi 215; Ostiglia, Opera Pia Greggiati, frammento senza segnatura.

31
Frammenti Anonymus Fragmentum
Rubrice breves
Vat. Rossi / Ostiglia [CSM 30] de mensuris
tempus perf. .d. duodenaria
.d. duodenaria
recte modi ytal. maneries
tempus perf. .n. nonaria
.n. novenaria
recte modi gall. maneries
tempus imperf. .o. octonaria
.o. octonaria
recte modi ytal. maneries
tempus imperf. senaria
.sg. .s. senaria
recte modi gall. imperfecta
maneries
senarius gallicus
tempus perf. senaria
.sy.
minus modi ytal. perfecta
tempus imperf.
.q. quaternaria
minus modi ytal.
quaternarium
tempus perf.
.t.
minimum
modi gallici

Tavola 4

Sebbene abbia raccolto in sé i risultati della seconda fase dell’Ars nova, il sistema mensurale italiano conservò però
alcuni tratti autonomi rispetto a quello francese: un più elevato numero di misure possibili; serie di semibrevi e di
minime variamente caudate, delimitate da “pontelli”; lettere per indicare il tipo di misura. E anche quando il sistema
francese si estese per tutta Europa, mentre non siamo in grado di stabilire con certezza se il sistema italiano abbia
trovato impiego pratico fuori d’Italia, si seppe tuttavia anche a nord delle Alpi dell’esistenza di due diversi sistemi della
musica mensurabilis. Un anonimo trattato in esametri, scritto nel 1369 per uno studente dell’Università di Praga,
riassume le principali caratteristiche del sistema francese, ma annota anche alcune specifiche particolarità del sistema
dei “Lumbardi”,179 così si chiamavano allora gli italiani nel resto dell’Europa.

5. Il sistema con quattro unità di misura

Il solo testo che non si accontenta della pura trasmissione delle nuove regole del sistema ma ne cerca anche una
giustificazione teorica è il Liber de musica di Johannes Vetulus da Anagnia (ed. Hammond). Dell’autore non si sa
nulla, e pure il tentativo di identificarlo con un Giovanni Vetulus da Anagni, notarius a Frosinone nel 1372,180 non
sembra plausibile (anche se colà si è potuta localizzare con sicurezza la famiglia). A giudicare dal suo trattato, Johannes
Vetulus da Anagnia dovette apprendere fin da subito ad interpretare la musica alla luce del rapporto con le altre
discipline matematiche del Quadrivium; ciò si manifesta nell’importanza dei numeri per il trattato nel suo complesso e
specialmente per il riferimento ai criteri di misurazione del tempo fisico. In questo scritto è anche chiaramente
percepibile la formazione spirituale dell’autore, che si manifesta nella definizione della musica, nelle sue finalità, nelle
frequenti citazioni dalle Sacre scritture e nell’interpretazione allegorica delle principali entità numeriche all’interno del
sistema:

3: nomina trinitatis (Liber de music a, p. 37, cap. 28, frase 5)


4: evangeliste (iv i, p. 39, cap. 32, frase 8)
6: etates (p. 37, cap. 29, frase 1)
8: beatitudines (p. 39, cap. 32, frase 1)
9: chori angelorum (p. 37, cap. 28, frase 10, e cap 29, frase 4)
12: apostoli (p. 37, cap. 29, frase 2)

Mancano tuttavia riferimenti ad altri teorici della musica, solo Franco è citato una volta – ed in realtà a proposito di un
particolare secondario (ivi, p. 35). L’opera è chiaramente divisa in due parti: dapprima l’autore spiega i fondamenti
aritmetici del suo sistema della musica mensurabilis e lo illustra attraverso una serie di “alberi genealogici” (arbores),

179 Michaelbeuern, Bibl. des Benediktinerstiftes, 95, cc. 150-153; edizione: R. FEDERHOFER-KÖNIGS, Ein anonymer Musiktraktat aus der
2. Halfte des 14. Jahrhunderts in der Stiftsbibliothek Michaelsbeuern/Salzburg, in «K i r c h e n m u s i k a l i s c h e s J a h r b u c h », 46 (1962), pp. 49-
54. Altre fonti: Kremsmünster, Stiftsbibl., 312, c. 207v; Melk, Stiftsbibl., 950, cc. 84-87v.
180 R e g e s t a c h a r t a r u m . R e g e s t i d e l l e pe r g a m e n e d e l l ’ a r ch i v i o C a e t a n i , ed. G. Caetani, San Casciano Val di Pesa 1928, p. 21.

32
cioè con quadri sinottici sistematici sulla divisione dei valori delle note dai più grandi ai più piccoli, poi analizza le
misure musicali come si presentano nella prassi della notazione.
Nella parte teorica Johannes Vetulus cerca di costruire un ampio sistema di ordinamento di tutte le misure
musicali, dalle più grandi alle più piccole, secondo un piano che viene brevemente esposto qui di seguito. I
raggruppamenti delle unità di tempo vengono illustrati per mezzo di una nota denominata “larga”, che può essere
classificata contemporaneamente secondo due criteri: secondo uno essa è maior, minor o minima, secondo l’altro è
perfecta o imperfecta. Ne risultano sei diversi tipi di “larga” di grandezza diversa, che di conseguenza contengono un
diverso numero di breves ossia di tempora (ivi, pp. 36-43).

perfecta imperfecta
maior 12 8
minor 9 6
minima 6 4

Anche la struttura delle diverse misure della brevis è articolata in modo analogo. Contemporaneamente il tempus
viene classificato ancora una volta secondo due criteri: secondo uno dei criteri esso è maius, minus e minimum,
secondo l’altro è perfectum e imperfectum. Come la brevis è l’unità di misura della “larga”, così la minima
rappresenta l’unità di misura della brevis, e l’adozione sistematica di questi ultimi principi permette all’autore di
stabilire sei misure del tempus di grandezza diversa, che di conseguenza contengono un differente numero di minime
(ivi, pp. 43­46):

perfectum imperfectum
maius 12 8
minus 9 6
minimum 6 4

Johannes Vetulus giustifica questa classificazione delle misure del tempus con il riferimento alla sua esatta durata
nell’effettivo scorrere del tempo. L’autore nella sua concezione del tempo distingue l’aspetto “fisico”, che spiega con la
definizione aristotelica del tempo come “mensura motus mutabilium rerum” (p. 28, cap. 3, frase 2a-a), e l’aspetto
musicale, che non sarebbe in realtà il tempo stesso, bensì piuttosto ciò che si compie nel tempio, poiché “harmonia
cantus et vocum melodia que per tempus mensuratur” (ivi, frase 2). Secondo l’esposizione di Johannes Vetulus il
tempo “fisico” è così suddiviso: il giorno naturale (dies naturalis) comprende quattro “quadranti” (quadrantes);
ciascun quadrante 6 ore (horae), ciascuna ora quattro puncta, ciascun punctum 10 momenta, ciascun momentum 12
unciae e ciascuna uncia 54 athomi, che dal canto loro non sono più divisibili (ivi, cap. 5, frase 1). Questa suddivisione
non concorda in ogni particolare con quella a sé stante di un altro teorico della musica181 e neppure con quella
generalmente diffusa a quell’epoca.182 Ad ogni modo, poiché la durata di una minima, che è l’unità di misura musicale,
è stabilita in sei athomi, le diverse misure del tempus danno origine alle seguenti diverse durate reali:

perfectum imperfectum
maius 72 48
minus 54 36
minimum 36 24

Nel sistema di Johannes Vetulus, però, la minima di sei athomi non è in realtà la più piccola unità sonora articolabile,
poiché egli aggiunge anche tre diverse prolationes della minima secondo lo stesso schema maior, minor e minimum.
La maior prolatio della minima ha un valore di sei athomi, quindi una minima intera; la minor prolatio della minima
contiene due valori di tre athomi ciascuno, quindi un gruppo di due semiminime; la minima prolatio della minima
contiene tre valori di due athomi ciascuno, quindi un gruppo di tre note, che a loro volta possiedono un terzo del
valore di una minima (ivi, p. 48). Così il tempus perfectum maius o duodenarium consta di 12 minime nella prolatio
maior, di 24 minime nella prolatio minor e di 36 minime nella prolatio minima, che pertanto presenta il più elevato
numero di unità sonore reali, nelle quali può essere suddiviso questo tempus. Ciò corrisponde ad una pratica
effettivamente in uso nella musica italiana, almeno in ambito strumentale: la suddivisione della minima in due parti
da cui derivano 24 note nella mensura duodenaria:

181 JACOBI LEODIENSIS S pe c u l u m , lib. VII, p. 85: “annus, menses, dies, quadrans, hora, momentum, uncia, atomus”.
182 F.K. GINZEL, H a n d b u c h d e r m a t h e m a t i s c h e n u n d t e c h n i s c h e n C h r o n o lo g i e , vol, III, Leipzig 1914, pp. 88­287.

33
183

e la suddivisione della minima in tre parti , da cui derivano le 36 note della mensura duodenaria:
184

Nella seconda parte del suo lavoro Johannes Vetulus sviluppa delle riflessioni su come le predette diverse divisioni del
tempus possano essere concretamente applicate nella notazione pratica; non le prende in considerazione tutte e sei, ma
solo quattro: il tempus novenarium, il senarium perfectum, il senarium imperfectum e il quaternarium. E motiva
l’abbandono del tempus duodenarium e del tempus octonarium con il fatto che queste due misure non sono
praticamente altro che una volta il triplo e una volta il doppio del tempus quaternarium (“cum tempus duodenarium
sit compositum ex tribus temporibus quaternarie divisionis et tempus divisionis octonarie ex duobus ... debent per
modum divisionis quaternarie figurari” – ivi, p. 75); poiché esse sono rappresentabili in questo modo, non necessitano
di una trattazione specifica.
La riduzione del sistema teorico a quattro misure del tempus è una conseguenza dello scompiglio originato in
Italia, nella seconda metà del secolo XIV, dalla recentissima elaborazione della teoria francese – per mezzo del
Libellus cantus mensurabilis di Giovanni de Muris (cfr. sopra. cap. II, paragrafo 6). Conformemente con la dottrina
da lui impartita, secondo cui il tempus si articola in quattro modi, che risultano dalla combinazione dei due tempora
(perfectum e imperfectum) e delle due prolationes (maior e minor), una nutrita serie di brevi trattati italiani che
rispondono a finalità pratico-didattiche, contempla soltanto queste quattro misure ed esige il seguente schema delle
corrispondenze tra le denominazioni francesi e quelle italiane:

francese: italiano:
tempus perfectum prolatio maior novenario
tempus perfectum prolatio minor senario perfetto
tempus imperfectum prolatio maior senario imperfetto
tempus imperfectum prolatio minor quaternario

Queste corrispondenze si trovano nella Notitia del valore delle note del canto misurato,185 ne L’arte del biscanto
misurato,186 nei Fragmenta musica,187 nel Fragmentum de proportionibus (Tractatuli 1, p. 55), nel Capitulum de
modo accipiendo (ivi, p. 59), nella Musice compilatio (ivi, p. 69) e nel Tractatulus de figuris et temporibus (ivi, p.
79 sg.). Poiché entrambe le misure “novenaria” e “senaria imperfetta” erano considerate francesi già nel sistema di
Marchetto, che le aveva conosciute dalla prima fase dell’Ars nova, e poiché la “senaria perfetta” e la “quaternaria”
erano state introdotte in Italia come conseguenza della seconda fase dell’Ars nova, il loro allineamento alle quattro
misure del sistema francese, elaborato da Giovanni de Muris, è storicamente giustificato e teoricamente corretto.
Un siffatto adeguamento rende anche più comprensibile l’esclusione dal nuovo sistema di ambedue le misure
“duodenaria” e “ottonaria” di origine italiana; significativamente nel Fragmentum de proportionibus dell’“ottonaria”
si dice che “non est in usu secundum magistrum Johannem de Muris” (ivi, p. 55). Il tentativo di spiegare teoricamente
secondo le nuove regole anche queste due misure mette in rilievo ciò che fin dall’inizio ha costituito il loro carattere
specificamente italiano, la binarietà, e pertanto ora saranno spiegati secondo i criteri degli elementi binari nella teoria
dell’Ars nova: il tempus imperfectum e la prolatio minor. Così i Fragmenta musica affermano che le altre misure
“que in arte italica reperiri possunt reperiuntur sub prolatione minori” (cfr. nota. 187), oppure, come spiega il
Capitulum de modo accipiendo, esse “reducuntur ad modum quaternarium” (Tractatuli 1, p. 59), quindi al tempus
imperfectum cum prolatione minori francese. Questa impostazione teorica trova esatto riscontro nella pratica della
notazione: verso la fine del secolo XIV e all’inizio del XV i copisti, poiché non possono rappresentare la “duodenaria”
e l’“ottonaria” con gli stessi segni francesi impiegati per le altre quattro misure, trascrivono queste due misure nella
forma di tre oppure due tempora imperfecta cum prolatione minori. Qui di seguito viene citato l’esempio di una

183 Faenza, Bibl. Comunale, 117, c. 69.


184 Ivi.
185 ANONIMI N o t i t i a d e l v a l o r e d e l l e n o t e d e l c a n t o m i s u r a t o , ed. A. Carapetyan, Roma 1957, p. 46 sg. (CSM 5).
186 J. Wolf, L ’ a r t e d e l b i s c a n t o m i s u r a t o s e c o n d o e l m a e s t r o J a c o po d a B o l o g n a , in F e s t s c h r i f t T h e o d o r K r o y e r , Regensburg

1933, p. 30 sg.
187 A. DE LA FAGE, N i c o l a i C a pu a n i pr e s b y t e r i C o m pe n d i u m m u s i c a l e . . . i n e d i t a s c r i pt o r u m a n o n y m o r u m f r a g m e n t a ..., Paris

1853, p. 37.

34
composizione, originariamente scritta in mensura duodenaria e poi trascritta secondo i rapporti della longa perfecta,
che presenta quella nota che nel sistema francese contiene 12 minime:
188 189

Anche un altro esempio di una composizione originariamente scritta in mensura octonaria e poi trascritta secondo i
rapporti della longa imperfecta, presenta quella nota che nel sistema francese contiene otto minime:
190 191

In tal modo, all’inizio del secolo XV, tanto sul piano teorico (riduzione alle quattro misure del tempus e della
prolatio) quanto nella pratica della notazione (scomparsa delle semibreves variamente caudate, dei “pontelli” e delle
lettere come indicatori di misura), l’originario sistema italiano per mezzo di progressivi adattamenti viene assorbito da
quello francese.

6. Prosdocimo de Beldemandis

Al sistema mensurale italiano dedicò un’ultima esposizione retrospettiva il padovano Prosdocimo de Beldemandis,
un teorico legato come impostazione al Quadrivio. Formatosi nelle università di Bologna e di Padova, nel 1409
conseguì il dottorato in artibus e nel 1411 in medicina; in seguito divenne docente all’università di Padova.192 Il primo
maestro di Prosdocimo fu Biagio Pelacani da Parma, il noto scienziato che, insieme a Francesco degli Organi, era
solito frequentare gli intrattenimenti letterari e musicali del “Paradiso” nella villa fiorentina della famiglia Alberti.193
Non si sa se Prosdocimo abbia frequentato studi di musica pratica. Nell’introduzione al suo Tractatus musice
speculative 194 riferisce di essere stato, fin dalla fanciullezza, amico fraterno di Luca da Lendinara, il musicista che, nel
1412, subentrò nel posto di Johannes Ciconia alla Cattedrale di Padova,195 e di avere studiato a fondo insieme a lui
diversi libri di musica (“multa variaque volumina musicalia” – BARALLI, p. 731 – cfr. nota 194). Gli interessi di
Prosdocimo nel campo della musica si manifestarono presto e durarono a lungo, come l’interesse per le altre discipline
del Quadrivio. Il suo primo trattato musicale risale al 1404, l’ultimo al 1425 (tre anni prima della sua morte); tra questi
si trovano altri sei scritti sulla musica e diversi trattati di aritmetica, astronomia e geometria.196 Dato che la musica gli
interessava soprattutto nel contesto delle altre artes liberales, tra i diversi campi dell’ars musica rivolse particolare
attenzione alla musica mensurabils. Perciò, accanto al già citato trattato sulla musica speculativa, pubblicò anche
scritti sulla musica plana,197 sul contrapunctus (CS III, 193-199), sulle proportiones 198 e sulla divisione del
monocordo (ivi, 248-258).
Innanzitutto, come egli stesso afferma nell’introduzione al Tractatus practice cantus mensurabilis ad modum
Ytalicorum del 1412 (ivi, 228-248), si occupò in misura notevole dell’arte francese, su cui scrisse due libri (“circa
artem gallicam multum laboravi et in ipsa duo opera complevi” – ivi, 229); chiaramente si tratta del commento e del
compendio da lui dedicati al Libellus di Giovanni de Muris, quella definitiva sintesi teorica dell’Ars nova francese, che
allora, soprattutto in Italia, era considerata la più importante opera sull’argomento.199 In seguito però, dopo aver
approfondito gli studi sull’arte italiana (“postquam artem Italicam subtiliter inspexi” – ivi), prese le distanze da quella
francese e si decise a scrivere un trattato anche su questo argomento. Il lavoro si basa su due diversi ragionamenti: da
un lato rappresenta il tentativo di restaurare la tradizione italiana, a quell’epoca ormai relegata nel passato, cioè il
sistema di notazione in uso solo presso gli italiani (“soli Italici usi sunt” – ivi, 228). A questo proposito il trattato non
rappresenta un fenomeno isolato: si pensi che proprio allora, nella prima metà del secolo XV, furono confezionate le

188 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, Rossi 215, c. 7v.


189 Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, Panciatichi 26, cc. 57v-58.
190 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, Rossi 215, c. 7v.
191 Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, Panciatichi 26, cc. 57v-58.
192 F. A. GALLO, L a t r a t t a t i s t i c a m u s i c a l e , in S t o r i a d e l l a c u l t u r a v e n e t a , II: I l T r e c e n t o , Vicenza 1976, p. 475.
193 GIOVANNI DA PRATO, I l P a r a d i s o d e g l i A l b e r t i , ed. A. Lanza, Roma 1975, pp. 164 sgg.
194 R. BARALLI, I l “ T r a t t a t o ” d i P r o s d o c i m o d e ’ B e l d o m a n d i c o n t r o i l “ L u c i d a r i o ” d i M a r c h e t t o d a P a d o v a , in «Rivista

musicale italiana», 20 (1913), pp. 731-762.


195 S. CLERCX, J o h a n n e s C i c o n i a . U n m u s i c i e n l i g é o i s e t s o n t e m ps , I, Bruxelles 1960, pp. 47, 49sg. e 69.
196 F. A. GALLO, L a t r a d i z i o n e d e i t r a t t a t i m u s i c a l i d i P r o s d o c i m o d e B e l d e m a n d i s , in «Quadrivium», 6 (1964), pp. 57­84.
197 Bologna, Civico Museo Bibliografico Musicale, A 56, cc. 58-67; Cremona, Bibl. Statale, 238, cc. 1-9; Lucca, Bibl. Statale, 359. cc. 48-70
198 CS III, 258-261. Cfr. sotto, capitolo IV, paragrafo 4.
199 Cfr. note 108-110; CS III, 200-228.

35
grandi raccolte, che ancor oggi costituiscono le principali fonti musicali del Trecento italiano (GALLO, La polifonia
nel Medioevo, p. 81). Dall’altro lato sta l’intenzione polemica di dimostrare la superiorità del sistema italiano rispetto a
quello francese, diffuso in tutta Europa, inclusa l’Italia. L’opposizione a tutti coloro che ritengono la musica francese
“più bella, più perfetta e più raffinata” (“pulchriorem, perfectiorem et subtiliorem” – CS III, 229) della musica italiana
non deve essere vista unicamente in relazione al progressivo abbandono del sistema mensurale italiano, che era
assimilato al francese, bensì è legata anche a circostanze esteriori di quel tempo: cioè all’occupazione delle più
importanti cariche musicali da parte di musicisti provenienti dai paesi d’oltralpe. Il caso di Johannes Ciconia, che era
venuto a Padova negli anni di attività di Prosdocimo, è significativo a questo proposito. Forse non è casuale che
questo trattato, contenente una esortazione alla ripresa della musica italiana, sia apparso nel 1412, anno in cui, morto
Johannes Ciconia, il suo posto venne occupato da Luca da Lendinara, amico d’infanzia di Prosdocimo.
Nonostante lo scopo chiaramente antifrancese, che del resto nella cultura italiana aveva senz’altro dei precursori,200
nell’impostazione del trattato si può trovare ancora molto dei precedenti studi su Giovanni de Muris; in effetti il
trattato sulla notazione italiana si divide nelle seguenti sezioni:

1 de figuris et mensuris
2 de punctis
3 de signis
4 de alteratione
5 de ligaturis
6 de sincopa
7 de pausis
8 de diminutione
9 de colore

Gli ultimi cinque capitoli, per ordine, per contenuto e spesso per forma, non sono altro che una rinnovata esposizione
di ciò che Prosdocimo in precedenza aveva già scritto nel Tractatus pratice cantus mensurabilis, dedicato all’arte
francese (CS III, 219.228). L’effettiva peculiarità dell’“ars ytalica” è però trattata solo nei primi capitoli, che si
occupano del sistema delle misure del tempus e dei segni della notazione.
Il sistema descritto da Prosdocimo si basa sulla consueta distinzione tra un tempus perfectum e un tempus
imperfectum; ciascuno di questi contiene d’altra parte tre misure di diversa dimensione, che (dalla più piccola alla più
grande) danno origine, nel primo caso, al tempus senarium perfectum, novenarium e duodenarium, nel secondo
caso, al tempus quaternarium, senarium imperfectum e octonarium. Le diverse durate e differenti denominazioni di
questi sei tempora sono dovute, come in altri testi precedenti (cfr. sopra, cap. III, paragrafi 4 e 5), al diverso numero di
minime in essi contenute, e anche Prosdocimo insiste nel volerle indicare, nella pratica della notazione, con le lettere
iniziali delle rispettive cifre: d, n, o, sp, si, q (CS III, 234). Con le sei unità di tempo Prosdocimo si trova messo a
confronto con il sistema francese che ne contiene solo quattro. Se fosse vero (e abbiamo già discusso di alcune
testimonianze in proposito)201 che la “octonaria” sembra una doppia quaternaria e una “duodenaria” assomiglia ad una
tripla quaternaria (“mensura octonaria ... duplex quaternaria esse videtur et mensura duodenaria ... triplex quaternaria
reputatur”), si dovrebbe ammettere nell’arte italica una pluralità senza necessità (“artem Ytalicam ponere pluralitatem
sine necessitate” – ivi); infatti, in tal caso, le due misure tipicamente italiane non sarebbero altro che un
raddoppiamento oppure una triplicazione delle misure più piccole. L’interpretazione di Prosdocimo sembra però
completamente diversa: le due misure italiane non sono affatto dei multipli del tempus quaternarium – e di
conseguenza non sono riconducibili ad esso – ma debbono essere cantate “aliquantulum stricte”, per cui la loro durata
temporale deve essere calcolata rispettivamente sulla durata del tempus novenarium oppure su quella del tempus
senarium, in modo che le 12 oppure le otto minime delle misure italiane stiano alle nove oppure sei minime delle
misure francesi come 4 : 3 (“in sesquitertia proportione” – ivi, 235). Per quanto moderna sia questa soluzione alla luce
dell’evoluzione della quattrocentesca teoria delle proporzioni, nella quale Prosdocimo svolse un ruolo rilevante (cfr.
sotto, cap. IV, paragrafo 3), pure conferma, alla stregua delle soluzioni offerte dagli altri teorici, che il sistema della
musica mensurale è ormai codificato nelle quattro misure derivanti dall’Ars nova francese. Le due misure italiane qui
esposte, anche secondo la soluzione di Prosdocimo, non sono altro che una variante pratico-esecutiva delle due misure
francesi:

200 L e t t e r e s e n i l i d i F r a n c e s c o P e t r a r c a, ed. G. Fracassetti, II, Firenze 1869, pp. 9-11; E pi s t o l a r i o d i C o l u c c i o S a l u t a t i , ed. F.


Novati, I, Roma 1891, p. 74.
201 Cfr. nota 184; C a pi t u l u m d e m o d o a c c i pi e n d o , in M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i 1, ed. Gallo, p. 59.

36
tempus nov enarium = 9 minime
1 1 1 1 1 1 1 1 1
1) tempus duodenarium = 12 minime- semiminime
¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾

tempus senarium perfec tum = 6 minime


2)
1 1 1 1 1 1

tempus senarium imperfec tum = 6 minime


1 1 1 1 1 1
3) tempus oc tenarium = 8 minime- semiminime
¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾

tempus quaternarium = 4 minime


4)
1 1 1 1

Il continuo confronto tra il sistema italiano e quello francese in Prosdocimo gli permette di stabilirne con esattezza
le fondamentali differenze, indipendentemente dai giudizi di valore che egli ne dà come autore. Così, entro l’unità di
tempo, gli italiani chiudono tra due punti – o qualcosa di simile – ogni tempus o valore di tempus perfectum o
imperfectum (“in mensura temporum, quodlibet tempus sive quemlibet valorem temporis perfecti sive imperfecti
quod idem est claudunt inter duo puncta vel sibi conformia” – CS III, 232b), mentre i francesi usano il punto per un
altro scopo. Con questa chiara delimitazione dell’unità di tempo possiamo conoscere piuttosto esattamente il valore di
qualunque semibrevis di una data melodia nel decorso del tempus (“per tempus satis bene cognoscere possumus
valorem cuiuslibet semibrevis in aliquo cantu reperte” – ivi, 232a). Perciò nel sistema italiano non è necessario
ricorrere al concetto di prolatio, che i francesi impiegano per fissare il valore delle semibreves; il tempus è già
sufficiente a questo scopo. Entrambi questi aspetti – l’uso dei punti per delimitare le misure e la mancanza della
prolatio – indicano chiaramente che nello sviluppo della musica mensurale la notazione italiana in sostanza si era
fermata all’inizio del secolo XIV. Dell’Ars nova non aveva accettato che l’adozione di qualche nuova misura. In un
certo senso, Prosdocimo ha quindi ragione quando afferma che “antiquior ... valde est ars Ytalica quam Gallica” e
ricorda che la notazione della musica strumentale, usata in tutta Europa da coloro che parlano latino (“per
figurationem musice organorum fistularum et aliorum instrumentorum apud omnes littere latine usitatam”), in effetti
procede con il metodo della chiara delimitazione delle misure, come fanno gli italiani (“in hac namque musica dividunt
tempora ad invicem ut faciunt Ytalici”).202 La parentela tra la notazione della musica mensurale italiana e quella inglese
o tedesca in realtà è ben documentabile,203 ma questo significa appunto che la notazione italiana, in relazione alla
notazione francese della musica vocale, si era arrestata ad uno stadio più arcaico.
Le considerazioni sull’arcaismo della musica mensurale italiana non si trovano nel Tractatus practice cantus
mensurabilis ad modum Ytalicorum del 1412, ma solo nella rielaborazione a cui l’autore sottopose questo trattato
come pure la maggior parte degli altri suoi trattati, e precisamente tra il 1425, anno di redazione del Tractatus musice
speculative (che viene citato nella seconda versione di alcuni trattati), e il 1428, anno della morte di Prosdocimo. Il
confronto delle due versioni mostra che le varianti nella seconda sono di portata limitata (SARTORI, pp. 147-158 – cfr.
nota 202). È tuttavia istruttivo che l’autore nelle ultime righe dell’opera dichiari di aver cambiato qualcosa nell’ultima
versione, discostandosi un poco dalla notazione italiana coeva e rifacendosi al Pomerium di Marchetto (“in hac ultima
huius tractatus correctione aliqua mutavi ... aliquantulum discrepantia a figuratione ytalica ad presens usitata et ista
extraxi ex pomerio Marcheti paduani” – ivi, p. 71). Se, a partire dal Tractatus musice speculative, Prosdocimo è
normalmente noto come avversario di Marchetto,204 d’altro canto appare chiaro che riguardo al sistema mensurale
italiano era di certo anche un suo ammiratore. Sicuramente l’opera di Marchetto, alla quale tanto spesso avevano fatto
riferimento i teorici e i poeti già nel corso del secolo XIV (cfr. sopra, paragrafo 3), esercitò il suo influsso anche sulla
genesi dell’ultimo scritto su questo argomento. Forse non è un caso, ma piuttosto la conseguenza di una continua
tradizione, che l’ultima trattazione sul sistema italiano provenga, come la prima, da un padovano. Accanto ai
manoscritti delle sue opere teoriche, presenti nel Veneto in numero considerevole,205 a Padova sono conservate anche
sue composizioni: i mottetti e le Lectiones drammatiche nella cattedrale, come pure i “passii notati” nella chiesa di
Santa Lucia (GALLO, Marchetus – cfr. nota 129).

202 C. SARTORI, L a n o t a z i o n e i t a l i a n a d e l T r e c e n t o . I n u n a r e d a z i o n e i n e d i t a d e l “ T r a c t a t u s pr a t i c e c a n t u s m e n s u r a b i l i s a d
m o d u m Y t a l i c o r u m ” d i P r o s d o c i m o d e B e l d e m a n d i s , Firenze 1938, p. 39.
203 TH. GÖLLNER, D i e T r e c e n t o - N o t a t i o n u n d d e r T a c t u s i n d e n ä l t e s t e n d e u t s c h e n O r g e l q u e l l e n , in L ’ A r s n o v a i t a l i a n a d e l

T r e c e n t o , III, Certaldo 1970, pp. 176-185.


204 J.W. HERLINGER, M a r c h e t t o ’ s D i v i s i o n o f t h e W h o l e T o n e , in «Journal of the Amerian Musicological Socirty», 34 (1981), pp. 208-

216.
205 Cfr. CS I, 251-281; HIERONYMUS DE MORAVIA, T r a c t a t u s , ed. Cserba; FRANCO, A r s , edd. Reaney/Gilles.

37
Per Prosdocimo, in ogni caso, Marchetto e forse anche i “quamplures alii qui in hac arte ytalica antiquius
scripserunt” sono gli antichi sapienti da contrapporre agli incolti moderni, alla “ignorantia Ytalicorum presentium”206
– proprio come, nei due scritti sull’arte francese, Giovanni de Muris è l’‘antico’ teorico contrapposto ai moderni che
non aspirano alla ragione, ma procedono secondo il loro arbitrio (“moderni ad nullam rationem inspicientes sed solum
ad libitum eorum attendentes” – Expositiones, p. 129). In questa difesa dell’antica ragione contro l’arbitrio moderno
Prosdocimo appare come l’ultima figura di teorico dotato di una formazione quadriviale completa; tale era la tipologia
prevalente nel secolo XIV, dedita allo studio della notazione mensurale pratica come esercizio intellettuale, che tuttavia
nel secolo XV dovette cedere il passo ad un genere di teorico che, essendo allo stesso tempo musicista professionista,
pospone le sistemazioni astratte alla pratica utilizzabilità di regole collaudate per la composizione (cfr. nota 61).
Quell’episodio in cui Prosdocimo riferisce della discussione avuta a Padova nel 1404 con un “huius artis magister qui
ad presens magister magistrorum reputatur”, che molto facilmente potrebbe essere stato Johannes Ciconia, è
oltremodo significativa: «Quando gli chiesi – scrive Prosdocimo – la ragione del suo modo di notare un determinato
passo, non seppe dirmi altro che “Perché voglio così”» (“nescivit michi reddere aliam causam quam: sic volo” –
Expositiones, p. 145).
Un lavoro così particolare come il trattato sulla musica mensurale italiana di Prosdocimo non poteva trovare
un’eco molto grande: ambedue le versioni dell’opera sono in entrambi i casi tramandate da un solo manoscritto, e
neppure sono noti compendi o menzioni dell’opera da parte di altri autori.
Con questo lavoro ha termine la storia del sistema italiano di notazione mensurale. Solo a Padova, città di
Marchetto e Prosdocimo, forse ne sono rimaste alcune tracce: il medico padovano Michele Savonarola, che conosceva
bene l’opera di Prosdocimo e ne stese un elogio (cfr. nota 111), intorno al 1440 stese uno scritto sui moti ritmico-
musicali del polso umano, in cui si servì dei concetti “senarius” e “quadernarius”, tipici del sistema italiano.207 Il
concetto “quadernarius”, nel secolo XV, era ancora in uso nella teoria della danza.208 In realtà, non era nulla più che
una ricorrenza terminologica senza alcun nesso contenutistico.

206 SARTORI, p. 35 – cfr. nota 202.


207 W.F. KÜMMEL, Z u m T e m po i n d e r i t a l i e n i s c h e n M e n s u r a l m u s i k d e s 1 5 . J a h r h u n d e r t s , in «Acta Musicologica», 42 (1970), pp.
150-163.
208 D. BIANCHI, U n t r a t t a t o i n e d i t o d i D o m e n i c o d a P i a c e n z a , in «La bibliofilia», 65 (1963), pp. 109-149.

38
IV. PROPORTIO

1. Il rapporto di durata

Il concetto di proportio, secondo la comune definizione di Boezio – “proportio est duorum terminorum ad se
invicem quaedam habitudo” –,209 appartiene fin da principio alla letteratura musicale latina, dove è impiegato per
descrivere i rapporti numerici in connessione con gli intervalli musicali: proportio dupla per l’ottava, proportio
sesquialtera per la quinta, proportio sesquitertia per la quarta etc.210 Da questo ambito della musica speculativa il
concetto passò nel nuovo campo della musica mensurabilis – anche se inizialmente nel significato comune. Secondo
Lambertus nella musica ci sono due specie di relazioni proporzionali – una spaziale, che riguarda il reciproco
ordinamento dei suoni nei loro rapporti di altezza e gravità, e una temporale, che regola il loro reciproco rapporto di
durata (“una localis secundum proportionem sonorum vocumque, alia temporalis secundum proportionem longarum
breviumque figurarum” – CS I, 252). Mentre il primo tipo di rapporti proporzionali godeva nella musica di una lunga
tradizione erudita, il secondo cominciò ad attirare su di sé l’interesse dei teorici solo in quel tempo.
Il concetto di “proporzione” effettivamente compare già nella definizione della polifonia mensurale di Franco: “illi
diversi cantus per voces longas, breves vel semibreves proportionaliter adequantur et in scripto per debitas figuras
proportionari ad invicem designantur” (Ars, p. 26). Le diverse voci della composizione hanno complessivamente la
stessa lunghezza, poiché iniziano e terminano insieme; però all’interno della comune lunghezza si suddividono
diversamente in note e pause, di modo che questi elementi hanno di continuo un diverso rapporto di durata l’uno con
l’altro. Questi rapporti, che devono essere esattamente determinati con l’aiuto dei numeri secondo le regole della
musica mensurale, possono essere considerati in realtà come rapporti proporzionali.
La definizione di Franco compare integralmente in Marchetto da Padova, il quale però, dal canto suo, la amplifica
in tal senso che “secundum proportionem numerorum tempus ... applicatur ad notas” (Pomerium, p. 86).
Marchetto perciò fa abbondante uso del concetto di proporzione in relazione ai differenti rapporti di durata delle
note tra di loro. Egli parla inoltre di “proportiones notarum ad invicem” (ivi, p. 66) e arriva persino al punto di
comprendere entro il concetto di proportio l’unità di tempo musicale corrispondente al tempus; in effetti il
“pontellus” divide i gruppi di semibrevi corrispondenti al valore di una brevis: “proportionem a proportione separat”
(ivi, p. 63). “Significat unam partem semibrevium ad unam proportionem temporis pertinere et aliam ad aliam” (ivi, p.
66).
Nel sistema italiano i diversi gruppi sono costituiti da un certo numero di semibrevi che può variare da due a 12;
perciò per ogni gruppo all’interno di una qualsiasi misura i diversi valori delle note vengono messi in un’opportuna
relazione, di modo che corrispondano complessivamente alla comune unità di tempo.
Giovanni de Muris applica in senso ancora più stretto la terminologia tecnica delle proporzioni numeriche alla
durata del tempo musicale, secondo la sua teoria la musica mensurabilis è un campo di applicazione delle scienze
matematiche (cfr. sopra, cap. I, paragrafo 5). Nella sua descrizione dei rapporti di durata tra longa, brevis, semibrevis
e minima all’interno di un sistema musicale basato sulla perfectio ternaria, egli afferma che le coppie di valori stanno in
proporzione tripla (“utrobique est proportio tripla” – Notitia, p. 89).
In un altro passo, descrivendo le relazioni tra i valori contigui ad un valore medio, cioè longa e semibrevis oppure
brevis e minima, osserva che le coppie di valori stanno in proporzione nonupla (“utrobique est proportio nonupla” –
ivi, p. 102). Inoltre, quanto ai rapporti che risultano dal confronto di misure perfette ed imperfette, egli specifica che
tre brevi imperfette hanno una durata complessiva di 18 (3 x 6) minime. Anche due brevi perfette hanno una durata
complessiva di 18 (2 x 9) minime, cosicché alla fine entrambe le misure, anche se tramite differenti articolazioni, si
assomigliano a vicenda (“equa proportione finaliter adequantur” - ivi, p. 84). Proprio questo problema doveva essere
sollevato ancora una volta – e precisamente all’interno di un’ancora più esatta terminologia proporzionale – nella più
tarda e indipendente versione anonima dell’appendice all’Ars nova – e cioè nel momento in cui vengono a trovarsi
insieme la durata di 6 (3 x 2) minime della prolatio minor in tempus perfectum e quella di 6 (2 x 3) minime della
prolatio maior in tempus imperfectum: “minor prolatio temporis perfecti et maior imperfecti essent eadem.
Responsio: verum est in valore nam valori equalis est proportio, ut in proportione emyolia et proportione sesquialtera”
(PHILIPPE DE VITRY, Ars, p. 32). Perciò, fino alla metà del secolo XIV, l’uso della terminologia relativa alle
proportiones nell’ambito della musica mensurale è solamente fortuito e limitato a qualche teorico che aveva
particolare familiarità con il vocabolario delle scienze matematiche e della musica speculativa.

2. Il rapporto tra le note

Nella seconda metà del secolo XIV la scrittura della polifonia misurata viene allargato a nuove note, variamente
colorate e modellate, alle quali corrispondono nuovi valori di durata. Così per la validità delle note vengono stabilite

209 ANICII MANLII SEVERINI BOETHII D e i n s t i t u t i o n e a r i t h m e t i c a, ed. G. Friedlein, Leipzig 1867, lib. II, cap. 40.
210 ANICII MANLII SEVERINI BOETHII D e i n s t i t u t i o n e m u s i c a, ed. G. Friedlein, Leipzig 1867, lib. I, cap. 8.

39
nuove relazioni temporali che superano quelle finora contemplate e fissate da regole. Per leggere correttamente queste
nuove note i musici pratici hanno bisogno di un "canone", cioè di una particolare istruzione per l’uso relativa ad ogni
singola composizione, che spieghi a parole il modo di eseguire musicalmente quei nuovi segni grafici. Così, per
esempio, alla ballata Par les bons Gedeon et Sanson di Filippotto da Caserta (dedicata al papa Clemente VII e perciò
databile tra gli anni 1378 e 1394), nella quale, accanto alle usuali note, compaiono anche note nere vuote, note rosse,
nonché note caudate nella parte superiore e inferiore, è aggiunto il seguente canon ballate: “Note vacue nigre in
proporcione dupla et rubee tam plene quam vacue in proporcione sequialtera ... alie note caudate ab utraque parte in
proporcione dupla sesquiquarta”.211 Poiché questa composizione è scritta in tempus imperfectum cum prolatione
minori, ciò significa che (rispetto alle quattro minime della notazione nera normalmente usata) la notazione nera vuota
presenta otto minime, la rossa sei e quella con doppia coda nove. La definizione delle proportiones tipica delle scienze
matematiche e della musica speculativa compare qui con un preciso significato tecnico per esprimere in cifre quei
rapporti di durata che esistono tra le note del sistema tradizionale e i nuovi segni introdotti nella prassi della notazione.
I teorici sembrano aver preso atto di queste novità, come risulta da un Tractatus de diversis figuris (CS III, 118-
124) che una fonte attribuisce a quello stesso Filippotto da Caserta.212 Nell’introduzione di quest’opera l’autore
riprende un motivo tipico della letteratura musicale medievale dicendo di trovarsi in un periodo di trasformazione del
sistema della musica mensurale, tanto rispetto all’epoca dell’Ars nova, allora reputata epoca degli “antiqui” in cui si era
operato “satis grosso modo”, quanto rispetto al periodo seguente nel quale i musicisti certamente avevano lavorato
“magis subtiliter”, ma tuttavia non erano ancora giunti alla perfezione (ivi, p. 118). La perfezione si poteva ritenere
raggiunta col contemporaneo sistema di regole della musica mensurabilis. Anche qui come base servivano sempre
quelle quattro combinazioni di tempus e prolatio che Giovanni de Muris aveva definitivamente codificato nel
Libellus (cfr. sopra, cap. II, paragrafo 6). Ma accanto a queste misure consuete compaiono ora molte nuove forme
speciali per le note: nere, rosse, vuote, piene, con la coda verso l’alto e verso il basso, con coda semplice o incurvata,
con testa piena o vuota. Naturalmente ad ognuno dei predetti segni grafici corrispondeva anche una diversa lunghezza
del suono, di modo che tra le differenti note scaturivano rapporti numerici più vari e complessi che fra i tradizionali
principi ternario e binario. Nel trattato però vengono date unicamente le diverse figure per le diverse durate, senza fare
riferimento alla terminologia proporzionale. Lo stesso atteggiamento si ritrova anche in un testo che in parte
corrisponde al De minimis notulis (CS III, 413-415) originario della Germania, in parte all’anonimo trattato di
origine francese, De semibrevibus caudatis a parte inferiori,213 cioè nella sezione dedicata alla musica
mensurabilis del trattato dell’italiano Giorgio Anselmi da Parma.214
La determinazione di nuovi rapporti reciproci di durata delle note tramite la terminologia delle proporzioni
aritmetiche sembra essere una caratteristica della letteratura musicale italiana. Essa compare innanzitutto in uno scritto
che vuole riassumere l’insegnamento di Filippotto da Caserta.215 Qui i rapporti di durata tra le note nere delle quattro
misure tradizionali e i corrispondenti gruppi di note nere vuote vengono descritti nel modo seguente (t. p. = tempus
perfectum, p. ma. = prolatio maior, p. mi. = prolatio minor, t. i. = tempus imperfectum):

t.p. p.ma. = 18 minime vuote = proportio dupla


t.p. p.mi. = 9 minime vuote = proportio sesquialtera
t.p. p.mi. = 12 minime vuote = proportio dupla
t.i. p.ma. = 8 minime vuote = proportio sesquitertia
t.i. p.ma. = 12 minime vuote = proportio dupla
t.i. p.ma. = 18 minime vuote = proportio tripla
t.i. p.mi. = 6 minime vuote = proportio sesquialtera
t.i. p.mi. = 8 minime vuote = proportio dupla
t.i. p.mi. = 9 minime vuote = proportio duplasesquiquarta

Una rielaborazione dell’Ars di Johannes Boen (Appendix, pp. 40-46) assegna ad un italiano, “uno lombardo
nomine Gwilgon”, la caratteristica di possedere un “modum pronuntiandi secundum proportiones” (ivi, p. 41). In
effetti secondo questa teoria nel tempus perfectum cum prolatione maiori si potrebbero scrivere quattro o sei note
uguali di forma particolare, che in confronto alle tradizionali nove minime di questa misura presentano i seguenti
rapporti proporzionali:

211 P o l y ph o n i c M u s i c o f t h e F o u r t e e n t h C e n t u r y , vol. XIX: F r e n c h s e c u l a r m u s i c . M a n u s c r i pt C h a n t i l l y , M u s é e C o n d é 5 6 4 ,


2: N o s . 5 1 - 1 0 0 , ed. G. K. Greene, Monaco 1982, pp. 70-73 e 188.
212 W. ARLT, D e r T r a c t a t u s f i g u r a r u m – e i n B e i t r a g z u r M u s i k l e h r e d e r “ a r s s u b t i l i o r ” , in «Schweizer Beiträge zur

Musikwissenschaft», 1 (1972), pp. 35-53.


213 ANONYMUS D e s e m i b r e v i b u s c a u d a t i s a pa r t e i n f e r i o r i , edd. A. Gilles e C. Sweeney, s. l. 1971 (CSM 13), pp. 65­79.
214 GEORGII ANSELMI PARMENSIS D e m u s i c a, ed. G. Massera, Firenze 1961 («Historiae musicae cultores», Bibliotheca 14), pp. 170-187.
215 T r a c t a t u l u s d e f i g u r i s e t t e m po r i b u s , in M e n s u r a b i l i s m u s i c a e t r a c t a t u l i 1, ed. F. A. Gallo, pp. 79-84.

40
= = superpartiens

= = subsesquialtera

Un trattato in lingua italiana, che cita qualche esempio musicale attribuito ad Antonio de Leno (CS III, 307-328),
descrive un’intera serie di rapporti proporzionali rispetto al consueto numero di minime di una semibrevis in prolatio
maior e minor:

= = se sq u ite r tia
= = se sq u ialte r a
= = d u pla

= = d u plasu pe r bipar tie ns

= = tr ipla

= = q u ad r u pla

Accanto a queste liste, in cui le relazioni proporzionali vengono illustrate con note di forma diversa, la letteratura
musicale italiana216 presenta normalmente con concetti proporzionali anche due tipi di semiminima in rapporto alla
minima: una semiminima con la coda verso destra ed una particolare semiminima con la coda verso sinistra:

= = pr opor tio d u pla


= = pr opor tio se sq u ialte r a

Un’ulteriore caratteristica della letteratura musicale italiana è l’interpretazione come “proportio sesquitertia” delle
due misure octonaria e duodenaria, che Prosdocimo de Beldemandis spiega in tal modo nell’ambito del tempus
imperfectum o meglio del tempus perfectum cum prolatione maiori (CS III, 235).
Il quadro generale di tali rapporti proporzionali, che risulta dall’introduzione di speciali segni per le note, venne
tuttavia criticato anche dalla stessa letteratura musicale che esso rappresentava; da un lato venne spesso rimproverata
la mancanza di fondamenti sistematici e di validità generale, dall’altro, conseguentemente, i problemi di leggibilità e la
mancanza di chiarezza. Come annota il trascrittore del trattato di Johannes Boen, le “proportiones que moderni
referunt ad figuras” vengono fissate esclusivamente “ad voluntatem componentis cantum” (Ars, Appendix, p. 41).
Prosdocimo discute dettagliatamente gli “extraneos modos proportionandi figuras a modernis positos”
(Expositiones, p. 151, frase 101) e, dopo un lungo dibattito sulla insostenibilità e arbitrarietà di queste novità nella
scrittura della musica, non esita a qualificare questi metodi di notazione come “inrationabiles truffas” (ivi, p. 150, frase
88) e come “figurationes ... sine ratione positas” (ivi, p. 152, frase 105), dalle quali perciò occorre assolutamente
desistere. Anche per Giorgio Anselmi queste note sono “fortassis vero posite pro eorum arbitrio magis quam arte”
(De musica, p. 184). I teorici rimangono confusi e sbalorditi di fronte a così tante forme individuali dell’usus in luogo
di un’unica forma di validità generale dell’ars.217

3. I rapporti in base alle cifre

Per porre rimedio alle difficoltà di quel sistema che si serviva di segni così diversi e ambigui nel loro significato, i
musici pratici tentarono varie soluzioni. Una consisteva nel fissare all’inizio della composizione o di una sezione della
composizione il rapporto proporzionale per mezzo di segni grafici somiglianti a quelli che erano già stati impiegati per
le consuete combinazioni di modus, tempus e prolatio. Si trattava tuttavia di nuovi segni il cui significato non era
generalmente noto per convenzione; perciò anche qui era necessario fare precedere la composizione da un “canon”,
una regola particolare, che doveva spiegare di caso in caso il significato degli speciali segni. Così la ballata Le sault
perilleux di Johannes Galiot contiene la seguente spiegazione: “In proportione epitriti ad cemi circulum cantetur. Ad

216CS III, 229 e 262; PETRUS DE SANCTO DIONYSIO, T r a c t a t u s , p. 164.


217PROSDOCIMI DE BELDEMANDIS E x po s i t i o n e s , pp. 59, 72sgg., 140, 180 e 200; J. HAMESSE, L e s A u c t o r i t a t e s A r i s t o t e l i s , Louvain-
Paris 1974, pp. 141 e 145; MARCHETI DE PADUA P o m e r i u m , p. 50; CS III, 381; UGOLINI URBEVETANI D e c l a r a t i o , II, pp. 223 e 266.

41
circulum cum duobus punctis in proportione emioli. Et ad circulum cum tribus punctis in proportione epogdoy”.218
Vale a dire, la serie dei tre simboli stabilisce rapporti proporzionali nel senso di 4:3, 3:2 e 9:8.
Nella teoria il mezzo cerchio aperto verso sinistra è già designato da Prosdocimo de Beldemandis nel 1404 come
“communiter a modernis” (Expositiones, p. 142, frase 32) e nel 1408 risulta dotato di un significato proporzionale
come “signum universale nobis demonstrans quod cantare debemus ... in proportione sexquitertia” (CS III, 216). Nel
primo di questi due testi Prosdocimo intraprende anche il tentativo di spiegare sistematicamente la fondatezza dell’uso
di una tale segno sulla base dei principi generali della musica mensurabilis: “ratio talis signi est, quoniam cum circulus
habeat augmentare, semicirculus vero diminuere, ut habitum est superius, satis rationabile est, quod semicirculus
tranversus sive respiciens partem sinistram magis habeat diminuere quam semicirculus respiciens partem dextram, ex
eo quod inperfectior est cum respiciat partem inperfectiorem, scilicet partem sinistram” (Expositiones, p. 142, frase
33). Tuttavia esso rimane un segno ambiguo perché il suo esatto significato non è da motivare con sistematicità: “Sed
quare plus diminuit ad sexquitercium quam ad sexquialterum vel duplum non est ratio” (ivi, frase 34). Pertanto anche
il simbolo geometrico non è scevro da ambiguità poiché non può essere univocamente legato ad un determinato
rapporto proporzionale.
Un’altra soluzione venne tentata indicando con opportune cifre il rapporto proporzionale nel corso di una
composizione. Anche questo procedimento poteva essere spiegato con l’aggiunta di istruzioni per l’esecuzione di una
singola composizione. Perciò la ballata L’orques Arthus di Johannes Cunelier, nella quale compaiono una dopo
l’altra le cifre 2, 4 e 3, contiene la seguente istruzione: “Ad figuram binariam in proporcione dupla. Ad quaternariam in
sequitercia. Ad terciam in sesquialtera”.219 Le diverse cifre servono quindi a stabilire i numeratori di corrispondenti
frazioni in coincidenza dei differenti rapporti proporzionali che si determinano uno dopo l’altro nel corso della
composizione.
Fu ancora una volta Prosdocimo de Beldemandis che si preoccupò di sondare teoricamente le possibilità e
l’opportunità di rappresentare i rapporti proporzionali tra i valori musicali per mezzo degli stessi simboli aritmetici che
indicano i rapporti proporzionali tra i numeri. Nel suo primo trattato egli porta due esempi: “fractio se habens ad
minimas in proportione sexquitercia sicut quatuor pro tribus et fractio se habens ad ipsas minimas in proportione
sexquialtera sicut tres pro duabus. Prima namque fractio cognosci potest per signum tale: 4/3, secunda vero per tale:
3/2” (Expositiones, p. 141, frasi 20-22).
Il significato del segno di frazione viene quindi inteso nel senso che il numero minore indica la quantità di minime
nella misura precedente, mentre il maggiore designa la quantità di minime che dopo questo segno possono stare
all’interno di una misura. In linea di principio la minima vale come punto di riferimento determinante per il rapporto
proporzionale indicato tramite numeri: “quotienscumque proportionantur figure per talia signa, solum
proportionantur in respectu ad minimas earum si minime non sunt et si minime sunt inter se proportionantur sine
aliquo respectu” (ivi, p. 142, frase 28). Prosdocimo chiarisce anche le ragioni di questa preferenza per i simboli
aritmetici invece dei geometrici. I primi sono più usati, sono applicabili ad ogni genere di note, sono più chiari: “ista
sunt signa comunissima quoniam conveniunt omnibus figuris ... certissime credo, quod non possent dari signa certiora
et comuniora” (ivi, p. 141, frase 23, e p. 142, frase 34).
Qualche anno più tardi Prosdocimo riprese ancora una volta queste considerazioni ed ampliò il numero delle
possibilità, prevedendo i seguenti rapporti proporzionali (CS III, 218):

proportio dupla = 2/1


proportio tripla = 3/1
proportio sexquialtera = 3/2
proportio sexquitertia = 4/3
proportio duplasexquiquarta = 9/4

Più tardi anche Ugolino da Orvieto conferma l’impiego delle frazioni, quando ormai esso si era coerentemente
affermato presso i musici pratici; queste infatti si adattano proprio bene all’oggetto che devono significare: “Moderni
enim cantores volentes in suis cantibus notarum proportiones ostendere signa quaedam proportionibus conformia
scribunt” (Declaratio II, p. 210). Egli descrive con le frazioni le proportiones sesquialtera, sesquitertia, tripla e
dupla e giustifica in tal modo il primato – che anche lui riconosce – di questi segni su tutti gli altri: “In eis namque
nulla deceptio, in his autem ambiguitas cadere potest et error ... nobis plus placet cifrarum positio qua proportionum
clarior ostenditur demonstratio” (ivi, p. 211, frasi 19 e 18).
In virtù della loro conformità e della loro chiarezza le frazioni saranno anche in futuro i segni preminenti. Questo
sviluppo è in particolar modo caratteristico dei principi sui quali si è globalmente formato e a poco a poco trasformato
il sistema della musica mensurabilis. Innanzitutto c’è un principio di economia: “frustra fit per plura quod fieri potest
per pauciora” (PROSDOCIMO DE BELDEMANDIS, Expositiones, p. 59 e 73), secondo una massima aristotelica molto
diffusa (HAMESSE, p. 141 – cfr. nota 217) – in questo caso la più semplice e meno complicata fra tutte le possibili

218 P o l y ph o n i c M u s i c , vol. XIX, pp. 6-8 e 181 – cfr. nota 211.


219 P o l y ph o n i c M u s i c , vol. XIX, pp. 32-36 e 183 – cfr. nota 211. Nell’originale i termini d u pl a e s e s q u i t e r c i a sono scambiati.

42
soluzioni di un problema di notazione. Indi un principio di funzionalità: “ars imitatur naturam in quantum potest”,220
secondo una famosa massima aristotelica (ivi, p. 145), cioè, nel caso presente, tra tutte le possibili soluzioni di un
problema di notazione la più adeguata alla natura dell’oggetto. Tutto ciò ovviamente risponde ad un generale bisogno
di razionalità, per cui “illud quod est inrationabile nature in arte est dimittendum” (Expositiones, p. 200). Anche se
questa razionalità non è assolutamente intenzionale, “nec ad aliquam regulam in cantu mensurabili est aliqua ratio
ostensiva sive demonstrativa, sed omnes sunt magis persuasive et magis rationabiles ad communem usum”;221 dunque
la teoria della musica mensurale non può essere una scienza naturale, ma solamente il canone regolatore di un metodo
artistico.

4. La formazione di un sistema

Gli scritti relativi alla teoria delle proporzioni nell’ambito della musica mensurale fin qui esaminati non erano
trattazioni autonome, bensì semplici sezioni su questo tema all’interno di più ampi trattati riguardanti l’ambito generale
della musica mensurale. La creazione del trattato sulle proporzioni come genere a sé stante della teoria musicale ebbe
inizio già nella seconda metà del secolo XIV con la comparsa di alcuni brevi testi, nei quali la teoria delle proporzioni
degli intervalli, generalmente contenuta nei trattati musicali, veniva riepilogata a parte.
Forse già un piccolo trattato De proportionibus (GS III, 286-291) venne scritto da uno scolaro di Giovanni de
Muris (MICHELS, p. 25 – cfr. nota 35), che viene designato come “venerande memorie magistri Johannis de Muris
scientie musicalis expertissimo” (GS III, 286). Il piccolo scritto si riferisce chiaramente alla sezione dedicata alle
proporzioni nella prima parte della Notitia artis musicae (pp. 52-44); esso amplia però abbondantemente il discorso
e presenta un sistema articolato nel modo seguente (GS III, 290 sg.).

dupla 2/1
multiplex tripla 3/1
quadrupla 4/1

sesquialtera 3/2
superparticulare sesquitertia 4/3
sesquiquarta 5/4

superbipartiens 5/3
superpartiens supertripartiens 7/4
superquadripartiens 9/5

sesquialtera 5/2
dupla sesquitertia 7/3
sesquiquarta 9/4
multiplex superparticulare
sesquialtera 7/2
tripla sesquitertia 10/3
sesquiquarta 13/4

superbipartiens 8/3
dupla supertripartiens 11/4
superquadripartiens 14/5
multiplex superpartiens
superbipartiens 11/3
tripla supertripartiens 15/4
superquadripartiens 19/5

Si tratta anche in questo caso di un’esposizione puramente aritmetica, sebbene un successivo adattamento
all’interno della cosiddetta Ars discantus (CS III, 68-113) – una raccolta di testi in parte risalente all’eredità teorica di
Giovanni de Muris (MICHELS, p. 42-50 – cfr. nota 35) – contenga tuttavia già espliciti riferimenti agli intervalli musicali
o alla durata delle note. Perciò vi compaiono annotazioni sull’esecuzione proporzionale delle “vacue notule” (CS III,
96sg.) in connessione con la proportio sesquialtera, sesquitertia, sesquioctava e superbipartiens, mentre, d’altra
parte, di molte altre proporzioni del sistema si dice: “non utitur in musica” (ivi, 98). Il breve testo si chiude con la

220 MARCHETI DE PADUA P o m e r i u m , p. 50; CS III, 381; PROSDOCIMI DE BELDEMANDIS E x po s i t i o n e s , p. 72 e 140; UGOLINI

URBEVETANI D e c l a r a t i o , II, p. 223.


221 PROSDOCIMI DE BELDEMANDIS E x po s i t i o n e s , p. 180; cfr. UGOLINI URBEVETANI D e c l a r a t i o , II, p. 266.

43
raccomandazione a stabilire sempre il rapporto proporzionale tra elementi omogenei, quindi tra note di uguale valore:
“semiminime ad semiminimas vel minime ad minimas vel semibreves ad semibreves” (ivi, 99).
Un’analoga connessione di osservazioni agli intervalli e alle durate temporali si trova in un breve testo anonimo che
inizia con le parole Minima in musica dicitur figura,222 anche questo probabilmente di origine francese come i
precedenti, secondo quanto si può dedurre dalla terminologia francese impiegata per alcuni intervalli. Qui vengono
descritti i seguenti rapporti proporzionali: dupla corrispondente all’ottava, sesquialtera corrispondente alla quinta,
tripla alla doppia ottava (!), sesquitertia alla quarta, sesquioctava alla prima(!). Mentre il testo descrive le cinque
proporzioni fondamentali riguardo agli intervalli, i corrispondenti esempi musicali mostrano invece i cinque rapporti
proporzionali per la durata delle minime:223

Relatum
binarium
Fundamentum
relationis

Relatum ternarius
numerus
Fundamentum
relationis

Relatum ternarius
numerus
Fundamentum
relationis unitas

Relatum quaternarius
numerus
Fundamentum relationis
ternarius numerus

Relatum nonarius
numerus
Fundamentum relationis
octonarius numerus

Il concetto di fundamentum relationis, presente nelle didascalie degli esempi musicali di questo testo, compariva
già nella tabella conclusiva della Notitia artis musicae (p. 54) di Giovanni de Muris ed è forse uno degli ultimi
sintomi di quell’influsso che il musico e matematico francese esercitava anche su questo ramo emergente della teoria
musicale.
Simili trattazioni, in cui forse vengono persino combinate le proporzioni degli intervalli e le durate temporali,
comparvero anche in altre regioni d’Europa e provano il generale e crescente interesse su questo tema.
Una piccola trattazione in un codice di provenienza inglese dell’inizio del secolo XV224 contiene, alla fine di
un’esposizione sulle proportiones aritmetiche, un’appendice sulle proportiones mensurali che inizia con la seguente
asserzione: “Et nota quod proportio semper debet computari in minimis tantum et in nullo aliquo alio modo”.225
Seguono tre brevi esempi musicali ad una voce nei quali vengono impiegate ed illustrate tramite simboli geometrici ed
aritmetici le seguenti proportiones: sesquialtera, dupla, duplasesquiquarta, tripla; sesquitertia; sesquialtera,
sesquioctava.
Un trattato trasmesso incompleto, che inizia con le parole Venerabilis domini mei,226 riporta nel suo più antico
manoscritto un riferimento a maestri spagnoli (“magistrorum Ispanie regno consistentium”) e perfino un’attribuzione
dell’opera stessa a Franco (“magistrum Franconem”),227 forse per conferire garanzia anche a questo nuovo tema
tramite l’autorità dell’inventore della musica mensurabilis (cfr. nota 34). Le proporzioni prese in esame e corredate di
esempi musicali a due voci sono le seguenti: dupla, sesquialtera, sesquitertia, sesquioctava, octupla, nonupla.
Anche lo studente tedesco Georg Erber di Aibling, che nel 1455 aveva frequentato l’università di Vienna e tra il
1460 e il 1462 quella di Parigi, ha lasciato in mezzo ai suoi appunti parigini un breve trattato sulle proporzioni redatto

222 Siena, Bibl. Comunale, L V 30, cc. 143v-144.


223 I v i , c. 143.
224 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, Regin. lat. 1146, cc. 48-51.
225 I v i , cc. 50v-51.
226 Saint-Dié, Bibl. Municipale, 42, c. 131-131v; Regensburg, Proskesche Bibliothek, 98 th. 4°, pp. 372-379.
227 Saint-Dié, Bibl. Municipale, 42, c. 131.

44
in francese.228 Egli vi descrive, sulla base di esempi musicali a due voci, sei tipi di proporzioni mensurali – per la
maggior parte le stesse che erano già state esaminate nei precedenti trattati: dupla, sesquitertia, sesquialtera, dupla-
sesquiquarta, tripla, sesquioctava.
Al ruolo giocato in area d’influenza francese dall’insegnamento di Giovanni de Muris corrisponde in Italia il ruolo
dell’insegnamento di Marchetto da Padova. Marchetto aveva dedicato un’intera sezione del suo Lucidarium all’esame
delle proporzioni che caratterizzano gli intervalli musicali. La trattazione inizia con la definizione “Proportio est
quaedam habitudo duorum terminorum ad invicem” (GS III, 78), che risale a Boezio (cfr. nota 209), e prosegue con i
capitoli sulla sesquitertia, sesquialtera, dupla, duplasuperbipartiens, tripla, quadrupla, sesquioctava,
sesquidecimasexta, sesquidecimaseptima (GS III, 78-80). Grazie all’ampia diffusione del Lucidarium questo testo
era naturalmente noto a tutti (cfr. sopra, cap. III, paragrafo 3), ma conobbe anche una propagazione indipendente,
separato dal trattato a cui apparteneva.229 Esposizioni analoghe, che si limitano al commento delle proporzioni
aritmetiche, emergono all’inizio del secolo XV – e, proprio nella città natale di Marchetto, ad opera di Prosdocimo de
Beldemandis, l’altro teorico padovano, nella sua Brevis summula proportionum quantum ad musicam pertinet
scritta nel 1409. Su questo argomento si espresse nel 1411 anche Giovanni Ciconia di Liegi nel suo Tractatus de
proportionibus 230230 – al tempo in cui era cantore nel duomo di Padova – e già prima in una sezione del trattato
Nova musica.231 Allo stesso modo, Ugolino da Orvieto aggiunse alla sua opera una voluminosa esposizione delle
proporzioni aritmetiche (Declaratio III, pp. 1-84). Può benissimo essere che questi scritti, i cui autori nutrivano un
grande interesse teorico e compositivo per la prassi della musica mensurale, fossero destinati a preparare le basi
aritmetiche per l’applicazione delle proporzioni alle note musicali.
Ad ogni modo in una serie di brevi trattati di quest’epoca la teoria delle proporzioni aritmetiche viene
effettivamente ed espressamente riferita ai rapporti di reciproca durata dei suoni. È nelle brevi Regule proportionum
in quantum ad musicam pertinet 232 (un titolo chiaramente riferito all’opera di Prosdocimo de Beldemandis) che
vengono prese in considerazione le regole delle quattro proporzioni mensurali: quadrupla, che corrisponde
all’intervallo di doppia ottava ed i cui simboli mensurali sono le cifre 4:1 – “signum magis intelligibile”233 –, tripla,
dupla e sesquialtera, tutte con relativo esempio musicale. Un ulteriore breve testo, che inizia con le parole Iste sunt
proportiones,234 si basa sul sistema francese di tempora e prolationes; tuttavia conosce anche il sistema italiano,
almeno per quanto riguarda l’“octonarium” (ms Siena, c. 142 – cfr. nota 234), e propone un’intera serie di proporzioni:
dupla, tripla, sesquialtera, sesquitertia, sesquioctava, duplasesquiquarta, duplasuperquadripartienssexta, tutte
quante illustrate con esempi musicali. Di carattere più ampio è lo scritto che inizia con le parole Quia musica est
scientia (ivi, cc. 48v-53v); qui innanzitutto vengono esposte dalla dupla alla sesquidecimaseptima le stesse
proporzioni del Lucidarium di Marchetto (ivi, cc. 48v-50), illustrate però con esempi concernenti i rapporti di valore
tra note nere e vuote; indi prosegue con la descrizione delle proportiones dupla, duplasuperbipartiens, sesquialtera
e sesquitertia ed inoltre mette in rilievo i rapporti proporzionali di durata che risultano da siffatte note di forma
particolare (ivi, cc. 50-52):

, , .

Chiude con la descrizione di complicati rapporti proporzionali - dalla duplasubsesquitertia (7:3) fino alla
triplasuperbipartiens (11:3) –, essi pure, dal canto loro, illustrati con esempi in note vuote (ivi, cc. 52-53v).

5. La letteratura musicale a partire dalla metà del secolo XV

Verso la metà del secolo XV nel sistema di notazione della musica mensurale domina l’impiego di note con testa
vuota, che si afferma definitivamente alla fine del secolo con l’aiuto della stampa musicale. Dato che ormai riguardo
alla notazione ci si è accordati su convenzioni chiare ed universalmente accettate, il carattere della dottrina delle
proporzioni si modifica. Invece della elementare descrizione di un procedimento tecnico, tipica del primo periodo,
prende piede a poco a poco un particolare sistema che esige un suo spazio nell’ambito della teoria musicale (cfr. sopra,
cap. II, paragrafo 5).

228 R. FEDERHOFER-KÖNIGS, E i n B e i t r a g z u r P r o po r t i o n e n l e h r e i n d e r Z w e i t e n H äl f t e d e s 1 5 . J a h r h u n d e r t s , in «Studia


musicologica Academiae scientiarum Hungaricae», 11 (1969), pp. 145-157.
229 Bruxelles, Bibl. Royale, II 785, c. 8v; Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, Regin. lat. 1146, cc. 7-8; Siviglia, Bibl. Capitular, 5 2 25, cc. 76v-

77 e 124-128.
230 Faenza, Bibl. Comunale, 117, cc. 21v-23v; Pisa, Bibl. Universitaria, 606, II, cc. 44-51; Venezia, Bibl. Naz. Marciana, ms. lat. VIII 85

(3579), cc. 72v-77v.


231 Roma, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5320, cc. 1-78; Firenze, Bibl. Riccardiana, 734, cc. 1-57.
232 Venezia, Bibl. Naz. Marciana, ms. lat. VIII 85 (3579), c. 69.
233 I b i d e m , nota a margine del primo esempio musicale.
234 Siena, Bibl. Comunale, L V 30, c. 142-142v.

45
Giacomo Borbo, primo cantore alla corte di Alfonso di Aragona tra il 1444 e il 1451, scrisse un trattato sulle
proportiones che oggi è conosciuto solo in forma frammentaria.235 Lo concepì come completamento della nota
trilogia di Goscalcus, che egli stesso aveva copiato nelle prime pagine del manoscritto e che tratta di cantus planus, di
musica mensurabilis e di contrapunctus (cfr. nota 48). Nell’introduzione Borbo scrive: “Postquam adimplecti sunt
tres libri, scilicet primus de cantu immensurato qui dicitur cantus planus, secundus de cantu mensurato qui organicus
appellatur, tertius de contrapuncto qui biscantus vocatur, nunc restat in hoc quarto et ultimo libro tractare de
proporcionibus musicalibus”.236
Ancora una volta il materiale viene qui trattato nella sua successione storica, proprio come in precedenza era stato
tipico della letteratura musicale medievale (cfr. nota 74): l’argomento più recente nella teoria, le proportiones, d’ora in
poi verrà aggiunto alla fine del trattato dopo l’esposizione dei temi tradizionali.
Così un breve trattato in un codice di provenienza tedesca si presenta diviso in quindici capitoli di cui l’ultimo
porta il titolo De proportionibus (CS III, 475-488). Il capitolo è composto di due sezioni: la prima tratta il sistema
teorico delle proporzioni aritmetiche, il secondo quattro tipi di rapporti proporzionali delle note tra di loro, illustrati
con esempi musicali a due voci: dupla, tripla, quadrupla e sesquialtera. Un altro trattato più lungo nel medesimo
codice reca alla fine un ancor più ampio esame sulle proporzioni (ivi, 416-475). Qui sono descritti otto generi di
rapporti proporzionali con esempi musicali e i rispettivi segni di proporzione: dupla, tripla, quadrupla e
sesquialtera, come nel precedente trattato, ed inoltre sesquitertia, sesquiquarta, superbipartiens e sesquioctava.
Le stesse otto proporzioni vengono esposte al termine della sezione sulla musica mensurabilis nel Liber viginti
artium, una voluminosa enciclopedia del sapere contemporaneo che Paolo Zidek di Praga compilò intorno al 1460.237
La conoscenza delle proporzioni mensurali sembra essere stata già allora un elemento indispensabile dell’istruzione
musicale e un trattato musicale che pretendeva di essere completo doveva contenere anche una tale nuova sezione.
Sotto molteplici aspetti è esemplare la gran quantità di testi (incluse le proportiones) che circolarono sotto il nome di
Guglielmo Monaco,238 ma soprattutto è tale la Musica di Adam von Fulda, un trattato finito nel 1490 (GS III, 329-
381), in cui sono esposte una dopo l’altra la musica speculativa, la musica plana, la musica mensurabilis ed infine
le proportiones (queste ultime innanzitutto dal punto di vista aritmetico e poi nella loro applicazione alla polifonia
mensurale).
In questo contesto appare significativo l’inserimento della teoria delle proporzioni negli scritti musicali di Giovanni
Tinctoris – teorico e compositore al servizio di Ferdinando d’Aragona a Napoli.239 Complessivamente gli scritti di
Tinctoris, comparsi tra il 1472 ed il 1487, abbracciano tutto il campo allora esplorato della teoria musicale – dal cantus
planus attraverso il cantus mensuratus fino al contrapunctus e all’estetica musicale.240 Il Proportionale (CS IV, 153-
177), libro dedicato alle proporzioni della polifonia mensurale che forse vide la luce nel 1473, completa questo quadro;
perciò esso assegna al nuovo settore – la cui terminologia Tinctoris adotta anche nel suo Lexicon terminorum musice
diffinitorium (ivi, 186) – una collocazione definitiva nella teoria musicale, e precisamente in un’opera molto vasta ed
approfondita. Come suggerisce il titolo, Tinctoris evidentemente voleva essere certo che il suo scritto venisse inteso
come normativa di un nuovo genere teorico. Proportionale non è un semplice titolo tecnico, bensì un nome desunto
dall’argomento del trattato e scelto “per quandam rei consonantiam”, come l’autore afferma nella prefazione (ivi, 154).
In certo modo il titolo dà notizia del soggetto di un testo con il regolamento ufficiale della materia trattata alla maniera
di libri come Decretale, Ordinale, Pastorale e Poenitentiale.241 Degna di nota è pure la lunga prefazione in cui
l’autore ripercorre le tappe a suo parere più importanti della storia della musica, dall’antichità classica ed ebraica al suo
tempo, nel quale la musica ha avuto un tale incremento “quod ars nova esse videatur” (ibidem). Questa nuova fase
della storia della musica – che secondo Tinctoris è stata inaugurata da Dunstable e dai suoi contemporanei Dufay e
Binchois e continuata da Ockeghem, Busnois, Regis e Caron – si distingue anche per l’impiego delle proportiones.
Come si è già continuamente verificato nella letteratura musicale medievale, anche qui l’accettazione dei nuovi
procedimenti tecnici da parte dei compositori moderni assicura alle loro opere un’elevata stima e getta nell’ombra tutta
la musica delle epoche precedenti.242 Ciò nonostante, secondo Tinctoris, la prassi musicale nel campo delle
proporzioni presenta ancora troppi errori ed incertezze; perciò sarebbe necessaria l’opera di un teorico che conferisse
al tutto una sistemazione ordinata sulla base delle regole di una scienza esatta: l’aritmetica.
Quanto alla trattazione del materiale Tinctoris (ivi, 155) riprende la corrente definizione boeziana che già
Marchetto da Padova aveva enunciato (cfr. nota 209). Aggiunge tuttavia che, se questa definizione è senza dubbio

235 Catania, Bibl. Riunite Civica e Antonio Ursino Recupero, D 39, cc. 33v-34.
236 F.A. GALLO, M u s i c a , po e t i c a e r e t o r i c a n e l Q u a t t r o c e n t o : l ’ “ I l lu m i n a t o r ” d i G i a c o m o B o r b o , in «Rivista Italiana di
Musicologia», 10 (1975), p. 73, nota 8.
237 R. MUZIKOVA, P a u l i P a u l i r i n i d e P r a g a M u s i c a m e n s u r a l i s , in A c t a U n i v e r s i t a t i s C a r o l i n a e . P h i l o s o ph i c a e t h i s t o r i c a ,

II, Praga 1964, pp. 70-72.


238 GUILIELMI MONACHI, D e pr e c e pt i s a r t i s m u s i c a e , ed. A. Seay, Roma 1965 (CSM 11), pp. 19-29.
239 R. WOODLEY, I o h a n n e s T i n c t o r i s : A R e v i e w o f t h e D o c u m e n t a r y B i o g r a ph i c a l E v i d e n c e , in «Journal of the Ameriacan

Mudicological Society», 34 (1981), pp. 217-248.


240 CS IV, 1-200; JOHANNIS TINCTORIS O pe r a t h e o r e t i c a, ed. A Seay, s. l. 1975 (CSM 22); K. WEINMANN, J o h a n n e s T i n c t o r i s ( 1 4 4 5 -

1 5 1 1 ) u n d s e i n u n b e k a n n t e r T r a k t a t “ D e i n v e n t i o n e e t u s u m u s i c a e ” , Regensburg 1917.
241 P. LEHMANN, M i t t e l a l t e r l i c h e B ü c h e r t i t e l, in E r f o r s c h u n g d e s M i t t e l a l t e r s , V, Stuttgart 1962, pp. 54 sg.
242 Cfr. WOLF, M u s i k t r a k t a t , p. 35; nota 72; CS III, 118.

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generalmente valida, nella musica proporzione significa però anche che le due grandezze messe tra di loro in relazione
si riferiscono a due grandezze musicali (“duo corpora musicalia”), due “note vocum significative” (CS IV, 155), quindi
due segni grafici con significato sonoro – secondo una terminologia didattica in stretto rapporto con quella di
Giovanni de Muris (Notitia, pp. 75 e 91). Inoltre Tinctoris afferma che il rapporto proporzionale delle note tra di
loro può essere stabilito secondo due diverse direzioni: in senso orizzontale tra note consecutive della stessa voce
oppure in senso verticale tra note simultanee in voci diverse.
L’opera è divisa in tre libri. Il primo illustra i cinque tipi di proporzioni nelle quali il rapporto del numero maggiore
al minore è rappresentato dai seguenti esempi:

multiplex = 2/1, 3/1, 4/1, 4/1, 6/1


superparticulare = 3/2, 4/3, 5/4, 6/5, 9/8
superpartiens = 5/3, 7/5, 7/4, 8/5, 9/5
multiplex superparticulare = 5/2, 7/3, 9/4, 11/5, 17/8
multiplex superpartiens = 8/3, 12/5, 11/4, 13/5, 14/5

Il secondo libro illustra l’inversione dei cinque generi, quindi il rapporto del numero minore al maggiore:

submultiplex = 1/2
subsuperparticulare = 2/3
subsuperpartiens = 3/5
submultiplex superparticulare = 2/5
submultiplex superpartiens = 3/8

Il terzo libro tratta in modo particolare della rappresentazione grafica delle proporzioni, esaminando distintamente
“qualiter, quando et ubi” le proporzioni vengano indicate. Qui Tinctoris ha occasione di convalidare l’opinione, già
espressa da altri autori, che per pregnanza, chiarezza ed intelligibilità i numeri sono superiori ad ogni altro segno con
cui si possono indicare i rapporti proporzionali: “signa adeo frivola, adeo erronea adeoque ab omni rationis apparentia
sunt remota”.243 Ogni sezione dell’esposizione è illustrata con esempi musicali a più voci, dei quali alcuni sono tratti da
opere di autori contemporanei e altri sono composti da Tinctoris stesso.244

6. La ‘Practica’ di Franchino Gaffurio

La più ampia e autorevole trattazione del secolo XV sulle proporzioni fu quella del teorico e compositore
Franchino Gaffurio.245 Forse egli cominciò ad interessarsi di questo tema già sotto la guida del suo maestro, il
carmelitano Giovanni Bonadies, infatti nel codice trascritto da quest’ultimo si trovano, accanto al trattato sulle
proporzioni di Giovanni Ciconia,246 anche i trattati sulle proporzioni di altri due carmelitani: Johannes Hothby247 e
Jacobus de Regio.248 Egli poté occuparsi di ciò per la prima volta in quell’opera, che forse è il suo primo scritto
teorico, l’Extractus parvus musice apparso a Lodi intorno al 1474. Dopo aver in un primo momento (Extractus,
pp. 173-178) esposto la teoria delle proporzioni aritmetiche per gli intervalli, traendola dall’opera di Ugolino da
Orvieto (Declaratio III, pp. 1-84), dedicò un solo capitolo ai segni che indicano le proporzioni della musica
mensurale (Extractus, p. 189 sg.). Però, dopo la sua permanenza a Napoli tra il 1478 e il 1480, crebbe il suo interesse
su questo argomento. Sicuramente in quegli anni Gaffurio e Tinctoris ebbero occasione di conoscersi di persona;
Tomaso Cimello, un teorico napoletano, si ricorda dei due con queste parole: “molto Rev.do Giovanni Tinctoris
Capellano e Maestro di Cappella del re Ferrante d’Aragona re di Napoli ... Franchino Gaffurio che stava all’hora in
Napoli Maestro di Capella della Nuntiata suo carissimo amico”.249
In realtà Gaffurio proprio negli anni immediatamente successivi al suo soggiorno napoletano (tra il 1481 e il 1483),
quando si trovava a Monticelli al sevizio del vescovo di Lodi Carlo Pallavicino, compilò un trattato sulle proporzioni
in cui mise a frutto le sue esperienze napoletane. Il testo, non pubblicato a stampa, reca il titolo Tractatus
practicabilium proportionum 250 ed è dedicato al nobile cremonese Corradolo Stanga. L’opera è divisa in 15 capitoli

243 CS IV, 172. Cfr. JOHANNIS BOEN A r s , Appendix, p. 41; PROSDOCIMI DE BELDEMANDIS E x po s i t i o n e s , pp. 138-152; GEORGII

ANSELMI PARMENSIS D e m u s i c a, p. 184; nota 217.


244 B. J. BLACKBURN, A L o s t G u i d e t o T i n c t o r i s ’ s T e a c h i n g s R e c o v e r e d, in «Early Music History», 1 (1981), pp. 29­116.
245 A. CARETTA, L. CREMASCOLI e L. SALAMINA, F r a n c h i n o G a f f u r i o , Lodi 1951.
246 Faenza, Bibl Comunale, 117; cfr. nota 230.
247 I v i , cc. 25v-26. Anche in Parigi, Bibl. Nationale, ms. lat. 7369, cc. 26-28; Venezia, Bibl. Nazionale Marciana, ms. lat. VIII 82 (3047), cc.

69-75.
248 I v i , cc. 31v-32.
249 Bologna, Civico museo bibliografico musicale, B 57, c. 2v.
250 Bologna, Civico museo bibliografico musicale, A 69.

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che trattano dei diversi generi di proporzioni ed è fornita di un grande numero di esempi musicali a due voci di mano
di Gaffurio.251
Nella disposizione formale e nel contenuto questo lavoro rappresenta una prima redazione della trattazione sulle
proporzioni che costituisce il IV libro della Practica musice, quella grande opera sulla pratica musicale in quattro libri
che venne stampata per la prima volta a Milano nel 1496.252
L’articolazione della materia è esemplare per la seconda metà del secolo XV: il primo libro tratta della musica
plana, il secondo della musica mensurabilis, il terzo del contrapunctus e il quarto delle proportiones.253 A
quest’ultimo argomento, il più nuovo, viene anche concesso lo spazio maggiore: il quarto libro occupa quasi la metà
dell’intera opera e contiene più di due terzi degli esempi musicali. Come tutti gli altri libri della Practica, e come già il
Tractatus practicabilium proportionum, è diviso in quindici capitoli. Nel primo, che serve da introduzione e che fu
appositamente riscritto per questa occasione, Gaffurio nomina alcuni autori che avevano scritto sulle proporzioni
sotto l’aspetto matematico: il greco Euclide e l’italiano del secolo XIII Giovanni Campano – forse perché la
traduzione latina di Euclide con un commentario in latino di Campano era stata stampata a Venezia nel 1482;254
inoltre, del secolo XIV, Alberto di Sassonia, il cui Tractatus de proportionibus era stato pubblicato a Padova sempre
nel 1482,255 e il suo contemporaneo Giovanni Marliani, la cui Questio de proportione era stata stampata a Pavia
parimenti nel 1482.256 Ma per la teoria generale delle proporzioni, nella misura in cui può essere applicata alla musica,
Gaffurio rinvia a quanto egli aveva scritto nella sua Theorica 257 e ancora avrebbe scritto nel De harmonia 258 (un
trattato al quale aveva iniziato a lavorare al tempo della stampa della Practica). Entrambe le opere si occupano infatti
di teoria nel senso di pura speculazione – e qui di un particolare aspetto delle proporzioni, che si riferisce alla
“sonorum dispositione per consona intervalla [quod theorici est]”. Però, nel lavoro in questione, che porta il titolo di
Practica nel senso di applicazione pratica, in primo piano c’è l’altro aspetto delle proporzioni che si riferisce alla
“ipsorum temporali quantitate sonorum per notularum numeros: qui active seu practice ascribitur considerationi” (lib.
IV, cap. 1).
Nel secondo capitolo vengono descritti i cinque generi in cui le proporzioni normalmente compaiono; i successivi
dieci capitoli illustrano questi generi, ognuno nelle sue due facce:

multiplex = 2/1, 3/1, 4/1, 5/1, 6/1, 7/1, 8/1, 9/1, 10/1
submultiplex = 1/2, 1/3, 1/4, 1/5
superpariculare = 3/2, 4/3, 5/4, 6/5, 7/6, 8/7, 9/8, 10/9
subsuperparticulare = 2/3, 3/4, 4/5, 5/6

Negli ultimi tre capitoli vengono infine discusse alcune possibilità di combinazione tra le diverse proporzioni.
Ciascuna spiegazione verbale delle diverse proporzioni è illustrata con un esempio musicale a due voci per cantus e
tenor tratto dal Tractatus practicabilium proportionum, in cui i descritti rapporti proporzionali vengono risolti. La
composizione a due voci era la tipica forma del brano musicale con scopi didattici e consentiva inoltre di manifestare
capacità tecniche molto elevate.259 Gli esempi del quarto libro della Practica possono essere intesi anche da questo
punto di vista: come esercizi destinati ai cantori per l’apprendimento delle proportiones e come pezzi di bravura
dell’autore. Così lo stato di cose esposto teoricamente nella sua complessità viene messo completamente in atto con
opportuni esempi pratici di composizione, adattandosi in modo eccellente a un progetto che esige per sé il nome di
Practica musice.
D’altro canto, nella formulazione di un così ampio e ben strutturato ordinamento delle proporzioni temporali si
manifesta anche un’altra caratteristica della sensibilità di quel tempo che va al di là dell’aspetto sonoro della musica. In
quell’epoca si era infatti risvegliato in diverse scienze ed arti – soprattutto nelle arti figurative – un vivace interesse per
la teoria delle proporzioni. Leon Battista Alberti – che Gaffurio cita nel De harmonia (lib. III, cap. 4) – nel suo
trattato De re aedificatoria, stampato solo nel 1485, ma compilato nel 1454, aveva già messo in rilievo le relazioni tra
musica e architettura nel campo delle “proporzioni”.260 Erano gli anni in cui Luca Pacioli, collega di Gaffurio
nell’Università di Milano, preparava i suoi trattati De arithmetica, geometria, proportioni e proportionalità 261 e De

251 C. A. MILLER, E a r l y G a f f u r i a n a : N e w A n s w e r s t o o l d Q u e s t i o n s , in «Musical Quarterly», 56 (1970), pp. 373-383.


252 F. GAFFURIO, P r a c t i c a m u s i c a e , Milano, Guillaume Le Signerre 1496.
253 C. A. MILLER, G a f f u r i u s ’ s “ P r a c t i c a M u s i c a e ” : O r i g i n a n d c o n t e n t s , in «Musica Disciplina», 22 (1968), pp. 105­128.
254 EUCLIDES, E l e m e n t a g e o m e t r i a e , comm. Johannes Campanus, Venezia, Erhard Ratdolt 1482.
255 ALBERTUS DE SAXONIA, D e pr o po r t i o n i b u s , Padova, Matthaeus Cerdonis 1482.
256 JOHANNES MARLIANUS, Q u a e s t i o d e pr o po r t i o n e m o t u u m i n v e l o c i t a t e , Pavia, Damiano Confalonieri 1482.
257 F. GAFFURIO, T h e o r i c u m o pu s m u s i c e d i s c i pl i n e , Napoli, Francesco di Dino 1480; T h e o r i c a m u s i c a e , Milano, Filippo Mantegazza

1492.
258 F. GAFFURIO, D e h a r m o n i a m u s i c o r u m i n s t r u m e n t o r u m o pu s , Milano, Gotardo Pontano 1518.
259 D. KÄMPER, D a s L e h r - u n d I n s t r u m e n t a l d u o u m 1 5 0 0 i n I t a l i e n , in «Musikforschung», 18 (1965), pp. 242-253; L.F.

BERNSTEIN, F r e n c h D u o s i n t h e F i r s t H a l f o f S i x t e e n t h C e n t u r y , in S t u d i e s i n M u s i c o l o g y i n H o n o r o f O t t o E . A l b r e c h t ,
Kassel 1980, pp. 43-87.
260 L.B. ALBERTI, D e r e a e d i f i c a t o r i a , Firenze, Nicolò di Lorenzo 1485.
261 L. PACIOLI, S u m m a d e a r i t h m e t i c a , g e o m e t r i a , pr o po r t i o n i e pr o p o r t i o n a l i t à , Venezia, Paganino de Paganini 1494.

48
divina proportione 262 e includeva nella sua riflessione anche le proporzioni musicali. Inoltre in quegli anni Leonardo
da Vinci – come Gaffurio – viveva a Milano alla corte degli Sforza; nel confrontare pittura e musica egli parla
espressamente di “proporzione” musicale e di “proporzionalità” in relazione al “tempo” e ai “tempi musicali”.263
Gaffurio da parte sua si rendeva conto dell’importanza che il concetto di proportio aveva presso i pittori
contemporanei, come dimostra un passo del De harmonia:

Rursus exhibita in alias artes consyderatione D’altra parte, se si prendono in considerazione le altre
quanta ex ipsis numeris prodierit utilitas facile arti, è facile capire quanti vantaggi provengano dai
percipi potest: Namque dum picturam numeri stessi. Infatti, se guardi la pittura, ti accorgerai
animadvertis nihil absque numerorum che nulla in essa è fatto senza le proporzioni
proportionibus in ea factum comperies: sed et numeriche, ma potrai notare che tanto le dimensioni
corporum mensuras colorumque mixtiones per dei corpi quanto le miscele dei colori, così pure le
numeros et symetrias atque ita picturae ornamenta simmetrie e gli ornamenti dei dipinti sono ordinati in
conspicies esse disposita rursus per numeros base ai numeri ed inoltre tramite i numeri questa
ipsam artem primam imitari naturam. Qualis nobilissima arte imita la natura. Poiché la proporzione
namque proportio in naturalibus corporibus fecerit nella dimensione delle figure e nelle relazioni dei
pulchritudinem talis et in figurarum mensuris et colori è regolata dalle proporzioni che procurano
colorum comparationibus est subsecuta, ob quam bellezza ai corpi naturali, perciò i pittori vollero
causam coloribus forma atque figura Pictores ipsi rendere comprensibile la vita e i costumi tramite
mores atque vitam intelligi voluerunt. colori, forma e figura.

Per gli artisti la realizzazione delle proporzioni numeriche è una possibilità per rendere percettibile l’ordine
naturale, un mezzo per attuare l’imitazione della natura. Estendendosi anche ad altri ambiti umani Gaffurio giunge alla
conclusione che la proporzione è “quandam et naturalis Harmoniae et Universi ferens imaginem” (De harmonia, lib.
IV, cap. 16). Perciò non sembra errata l’idea che egli abbia interpretato il sistema delle proporzioni nell’ambito della
composizione musicale come manifestazione dell’armonia dell’universo.264
La Practica, in cui la trattazione sulle proporzioni occupava un così ampio spazio, ebbe un’estesa e duratura
diffusione in Italia e nel resto dell’Europa. Da principio pubblicata a Brescia nel 1497, ancora una volta col mutato
titolo Musicae utriusque cantus practica, venne ristampata più volte all’inizio del secolo seguente: innanzi tutto a
Brescia nel 1502 e nel 1508, poi negli anni 1512, 1517 e 1522 a Venezia.265 L’interesse dei musici pratici per l’opera era
così grande che ne vennero fatte anche copie manoscritte – dell’edizione del 1496 per opera del domenicano Vincenzo
da Padova nel 1502,266 dell’edizione del 1497 ad opera di Benedetto Benedettini di Boncio sempre nel 1502.267
Compendi della dottrina delle proporzioni furono anche copiati nel corso del secolo XVI.268 Gaffurio nel 1508 ne
confezionò un riassunto, in lingua italiana senza gli esempi musicali, come parte conclusiva dell’Angelicum ac
divinum opus musice.269
In seguito in Italia ci si occupò della teoria delle proporzioni di Gaffurio anche al di là delle polemiche prese di
posizione di Giovanni Spataro;270 le sue ripercussioni sulla prassi musicale furono durature ed essa viene ampiamente
utilizzata nel XIX libro, dedicato alle proporzioni, di quell’enorme opera che Pietro Cerone scrisse all’inizio del secolo
XVII.271 Durante il secolo XVI l’insegnamento di Gaffurio conobbe una particolare diffusione in Germania, come è
possibile dedurre dalle frequenti citazioni nei trattati di Andreas Ornitoparchus, Martin Agricola e Heinrich Faber.272 Il
suo influsso si estese perfino all’Europa orientale, come mostra l’esempio dell’ungherese Stefan Monetarius che, nel
XII capitolo De proportionibus del suo trattato stampato a Cracovia nel 1515, non può fare a meno di mettere in
relazione le proprie spiegazioni con formule quali “ut ait Franchinus” oppure “authore Franchino”.273 Il quarto libro
della Practica era ben conosciuto in Inghilterra, dato che l’agostiniano John Dygon, operante nella prima metà del
secolo XVI, ne allestì una rielaborazione fornendola di nuovi esempi musicali.274

262 L. PACIOLI, D i v i n a pr o po r t i o n e , Venezia, Paganino de Paganini 1509.


263 E. WINTERNITZ, L e o n a r d o d a V i n c i a s a M u s i c i a n , New Haven - London 1982, pp. 204-223.
264 L. SPITZER, C l a s s i c a l a n d C h r i s t i a n I d e a s o f W o r l d H a r m o n y , Baltimora 1963.
265 F. LESURE, E c r i t s i m pr i m é s c o n c e r n a n t l a m u s i q u e , München-Duisburg 1971, pp. 342 sgg. (RISM B IV/1).
266 Venezia, Civico museo Correr, 336, cc. 276-411v.
267 Pesaro, Bibl. Oliveriana, 83.
268 Bologna, Civico museo bibliografico musicale, A 71, pp. 241-248 e 284.
269 F. GAFFURIO, A n g e l i c u m a c d i v i n u m o pu s m u s i c e , Milano, Gotardo Pontano 1508.
270 G. SPATARO, T r a t t a t o d i m u s i c a n e l q u a l e s i t r a c t a d e l a pe r f e c t i o n e d e l a s e s q u i a l t e r a pr o d u c t a i n l a m u s i c a m e n s u r a t a ,

Venezia, Bernardino de Vitali 1531.


271 P. CERONE, E l M e l o pe o y M a e s t r o , Napoli, G. B. Gargano e L. Nucci 1613, pp. 976-1027.
272 E. PRAETORIUS, D i e M e n s u r a l t h e o r i e d e s F r a n c h i n u s G a f u r i u s u n d d e r f o l g e n d e n Z e i t b i s z u r M i t t e d e s 1 6 .

J a h r h u n d e r t s , Leipzig 1905, pp. 88-131.


273 S. MONETARIUS, E pi t o m a u t r i u s q u e m u s i c e s pr a c t i c e , Cracovia, Florian Unger [1515].
274 R. HALLMARK, A n U n k n o w n E n g l i s h T r e a t i s e o f t h e 1 6 t h C e n t u r y , in «Journal of the American Musicological Society», 22

(1969), pp. 273-274.

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