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L'approccio alle forme aperte, nei secoli

Da Carl Philipp Emanuel Bach a Debussy

Analisi II:Ethan Bonini, Maestro Orazio Sciortino

Coscienti del suo genio i suoi contemporanei, non giustamente considerato ai giorni nostri, Carl
Philipp Emanuel Bach fu un compositore dai caratteri linguistici eterogenei che per la sua epoca
potevano essere considerati innovativi.
Mozart disse di lui “Egli è il padre, e noi siamo i figli”, a testimoniare l'importanza e l'influenza che
il suo operato ebbe nel corso degli anni. Nella sua musica possono essere riscontrati i primi
elementi del Romanticismo pur essendo un compositore nato nel Classicismo.

Si dedicò in particolar modo a composizioni per Tastiere, tra cui spiccano le sonate per clavicordo,
nelle quali sviluppò la forma sonata classica, fissandone la forme con due tempi veloci che ne
racchiudono uno più lento, e ricercando una maggiore elaborazione tematica che aspiri a più intensi
contenuti emozionali. Come vedremo in seguito fu fondamentale per C.P.E. lo il lavoro che egli
fece sulla forma sonata, la cui struttura si manifesterà implicitamente anche in composizioni libere
strutturate secondo la fantasia dell'autore, come può essere appunto una fantasia, intesa come forma
musicale.

C.P.E. Bach fu considerato un compositore all'avanguardia, poichè ha sempre nutrito la sua esigenza
di ricercare elementi nuovi da utilizzare all'interno delle sue composizioni, in questo senso vanno
evidenziate le fantasie da lui scritte, in quanto, essendo anche abile improvvisatore, è proprio in
esse che possiamo ritrovare il lato innovativo dell'autore.
La fantasia è una forma compositiva che affonda le sue radici proprio nell'improvvisazione, essendo
una composizione libera che non rientra nei canoni di nessuna forma musicale codificata.
Questa forme danno il pretesto al compositore di esplorare nuovi spazi sonori senza avere una
costrizione di una architettura formale vincolante, dando così sfogo alla sua fantasia.

È proprio in questa tipologia di forme che possiamo individuare l'esigenza degli autori di trovare
nuovi orizzonti compositivi; la mancanza di “paletti” permette loro di sperimentare anche
elementi/passaggi non in linea con i canoni dell'armonia del tempo. All'interno delle fantasie di
C.P.E. Bach possiamo notare come, anche il tedesco, sperimenti l'espressività delle dissonanze
estremizzandole, modulazioni a modi lontani (es. battuta 15 della fantasia in fa# minore), inserisca
pause che assumono nel contesto una forte drammaticità (es. btt. 30 terza pulsazione, aposiopesi), o
ancora come i cambi delle dinamiche siano rapidi e improvvisi (es. btt. 3c oppure da btt. 23). Egli,
nel corso della sua vita scrisse anche un trattato sulle tastiere, nel quale esplica come l'esecutore
debba approcciarsi di fronte alle indicazioni da partitura, quali possono essere: dinamiche,
abbellimenti, e la tonalità stessa, la quale assume un senso definito. In questo scritto è evidente
come per C.P.E. Bach ognuno di questi elementi debba essere inteso come mezzo per raggiungere
un determinato timbro sonoro fin'ora inesplorato, in modo da ampliare la nostra prospettiva di
“suono” inteso come vibrazione.
Facendo un salto temporale di oltre un secolo, possiamo riscontrare la stessa ricerca timbrica anche
in Debussy con la Rapsodia per Orchestra e Saxofono. Il compositore francese non conoscendo a
pieno questo “strumento giallo”, scrisse il brano focalizzandosi sul timbro di ogni specifica nota che
il saxofono emetteva, componendo così in base alla pasta sonora che si creava e non pensando al
rispettivo nome delle note. Per questo motivo in questa composizione libera Debussy ricorre spesso
all'uso dei modi, di scale pentatoniche ed esatonali, ad accordi di nona e triadi defunzionalizzate.
L'autore scrive questa rapsodia considerando il saxofono parte supplementare dell'orchestra, vera
protagonista, come strumento in più che gli potesse permettere di creare un intreccio timbrico molto
ricercato, ed è anche questo il motivo del titolo, dove la parola “orchestra” viene prima di saxofono.

Collegandoci a quando detto sopra, prendendo in analisi la fantasia in fa# minore, ad una prima
osservazione più superficiale, formalmente parlando, possiamo notare come C.P.E. Bach alterni
tempi lenti (adagio, largo) a tempi veloci (allegretto) e come il disegno melodico vari in base ad
essi. Si può infatti dire che che nei primi la musica segue un andamento verticale, più libera dalla
scansione ritmica, mentre nei secondi sia più orizzontale e ritmicamente più rigida.
Apparentemente questi movimenti ci possono sembrare privi di connessione tra loro quando in
realtà, ad un secondo sguardo più analitico, ci possiamo accorgere di quanto il lavoro svolto sulla
forma sonata abbia influenzato il compositore. Infatti principalmente la struttura di questa fantasia
può essere sintetizzata come una forma bitematica intervallata da momenti , dove l'esposizione dei
due temi, che vengono rispettivamente presentati nell'adagio e nel largo, viene interrotta da un
allegretto. Lo sviluppo, molto breve, invece consiste semplicemente nella riproposizione del primo
tema riproposto in tonalità lontane (Re maggiore, Do# minore, Sib maggiore, Mib minore).
La ripresa invece si manifesta al secondo largo ed è caratterizzata dalla riproposta delle due idee
tematiche (prima la seconda idea, in Sib minore e poi in Do minore, e poi la prima idea riproposta
alla sottodominante, ma strutturalmente fedele all'inizio). Continuando sull'ipotetica idea che questa
fantasia abbia al suo interno lo scheletro della forma sonata, dopo la “ripresa” il brano conclude con
una lunga coda.

Come la fantasia di C.P.E. Bach, a distanza di più di un secolo, anche la Rapsodia per orchestra e
saxofono di Debussy, sotto ad una lente di ingrandimento, presenta uno schema ben definito al suo
interno.
Nonostante siano entrambe due forme aperte anche Debussy si approccia ad una forma compositiva
libera cercando una rigorosa simmetria.

Nella seconda metà dell'ottocento si svilupparono in Francia i movimenti dell'impressionismo e del


simbolismo, Debussy fu figlio di questo contesto, essendo del 1862. In relazione a quanto detto il
compositore francese scrisse perte delle sue opere come Manet dipingeva i suoi quadri, ovvero
come se il prodotto finale dovesse suscitare forti emozioni, quelle che l'artista aveva vissuto in quel
preciso istante e nella sua più assoluta prospettiva.
Questo dovrebbe farci pensare che un compositore come Debussy, messo di fronte ad una forma
come quella della rapsodia, dia completamente sfogo al suo estro senza ricercare uno schema
coerente come in C.P.E. Bach; eppure anche il francese scrive la Rapsodia per orchestra e saxofono
imponendosi limiti formali.

Infatti, formalmente, questa composizione presenta, ad occhio più analitico, una simmetria quasi
perfetta. Prendendo in considerazione le prime 84 battute del brano si può notare come l'opera sia
divisa in sezioni in maniera molto equilibrata, all'interno delle quali la posizione di strumento
protagonista passi dall'orchestra al sax seguendo una linea ascendente e poi discendente.

A supporto di quanto appena detto va anche precisato come in quegli anni, in ambito scientifico, sia
stata scoperta la sezione aurea, ovvero un rapporto tra due lunghezze diverse ( a/b=1,61)
considerato il più estetico e armonioso all'interno di una architettura.
Debussy scrive la rapsodia ricorrendo a questo rapporto. Prendiamo in analisi le prime 21 battute: il
saxofono entra a battuta 13 e termina l'introduzione a battuta 21, è evidente la connessione tra 21,
13 e 8 (i quozienti tra loro danno danno tutti 1,61).
Da battuta 21 a 384 (alla fine) ci sono 364. A battuta 264 inizia un cambio di andamento e di
carattere dove l'orchestra e il saxofono sono più presenti. Dalla 21 alla 246 ci sono 225 battute,
anche in questo caso si può notare il rapporto tra 364, 225 e 139 (quoziente 1,61).
Si nota anche che alla battuta 158 c'è il climax dell'orchestra che risulta esattamente a 139 battute
dalla 21 oppure a 225 battute dalla fine.

In conclusione possiamo affermare che, a distanza di secoli l'uno dall'altra, i compositori trattati,
guardano alle forme aperte come un mezzo per esprimere qualche cosa di nuovo, che fin'ora ancora
non erano riusciti a trovare. Di fronte alla possibilità di ricercare questi caratteri nuovi senza limiti
strutturali, entrambi però si auto-impongono delle “limitazioni formali”, se così possiamo
chiamarle, e, soprattutto in Debussy, risultano ben congegniate.

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