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ANALISI COMPOSITIVA III – ESAME (3 CFA)

Candidato: Kikuchi Akira Daniel – Matricola 278

Triennio Scuola di Composizione (III annualità)

Ligeti, “Trio per violino, corno e pianoforte”

Introduzione

Il Trio per corno è un lavoro che rappresenta un momento di grande importanza nella carriera di Gyorgy Ligeti,
un punto di svolta fondamentale che illuminerà il sentiero dell’ultimo periodo nella produzione del
compositore ungherese. Dopo alcuni anni di silenzio Ligeti ritorna nel 1982 presentando il nuovo lavoro,
destando l’attenzione del pubblico che rimane a dir poco stupito nell’ascoltare la nuova proposta del
compositore; nuova in quanto, mai come in questo caso, propone un approccio così distante da quello di
lavori precedenti.
A metà degli anni Ottanta, Ligeti stesso confida i suoi pensieri in merito al periodo storico e le ripercussioni
interiori che questo ha nella sua arte. La crisi vissuta in questi anni viene vista non come una crisi personale
ma come la crisi di un’intera generazione, la generazione di Darmstadt e Colonia che negli anni Cinquanta
aveva creato qualcosa di nuovo ed originale, che tuttavia era poi sfociata negli ultimi anni in un pericoloso
accademismo. Ligeti che si considera un anti-accademico sente il bisogno di combattere questa tendenza e
vuole evitare fortemente di cadere in clichés avanguardisti. Pertanto, in un periodo in cui esistono ancora
modernismo e avanguardia sperimentale, esistono anche vari movimenti post-modernisti che si manifestano
con crescente frequenza. Una tendenza definibile come retrò era quella spinta a ricercare una sintassi del
diciannovesimo secolo: il naturalismo in pittura, la tonalità e l’espressionismo in musica, le colonne in
architettura. Tuttavia Ligeti sottolinea con grande onestà intellettuale e lungimiranza che non si è più alla fine
del diciannovesimo secolo, l’era del decadentismo, delle politiche nazionaliste e dei movimenti sociali operai,
ma si è nell’era di computer, televisione, manipolazione di massa e società di consumi, pertanto si dichiara a
favore di un modernismo di oggi rifiutando di pari passo sia l’accademismo post-avanguardista che il retrò
post-modernista (Restagno, 1985).
Con questa premessa Ligeti getta le basi del Trio, come lui stesso afferma:

“I have in mind a strongly affective, contrapuntally and metrically very complex music, labyrinthine in its
ramifications, with melodic figures audible through it, but without any ‘back-to’ gesture, not tonal, but not
atonal, either. I don’t have a name yet to designate this compositional direction, and I am not looking for one,
either. What I have in mind is a spiritualized, strongly condensed art form. I am trying, beyond every kind of
modernity, to recreate in music something of today’s sense of life.” (Floros, 2014)

“Ho in mente una musica affettiva, molto complessa dal punto di vista contrappuntistico e metrico, labirintica nelle sue ramificazioni,
con figure melodiche individuabili al suo interno, ma senza alcun ritorno al gesto, non tonale, ma nemmeno atonale. Non ho un nome
da dare a questa direzione musicale, e non lo sto nemmeno cercando. Ciò che ho in mente è una forma d’arte spiritualizzata e
fortemente condensata. Sto provando, al di là di ogni declinazione di modernità, a riportare in musica qualcosa del senso della vita
oggi”

L’impressione che si ha durante l’ascolto del Trio del 1982, è quella di una composizione più melodica rispetto
a lavori precedenti; e, cosa ancora più sorprendente, è l’uso di forme ABA’, uno dei grandi tabù tra gli
avanguardisti della scuola di Darmstadt. Lo sguardo al passato è evidente, nonostante non ci sia alcuna
mimica di musica del repertorio tradizionale, solamente alcuni riferimenti come la struttura in quattro tempi,
la struttura ABA’, come già detto, nel primo e terzo movimento, la figura di un ostinato nel secondo e qualcosa
di simile ad una passacaglia nel quarto. Inoltre, la dedica a Brahms, omaggiato anche con l’organico del Trio
per corno, Op. 40 del medesimo. Tuttavia, come afferma l’autore stesso, non c’è alcun riferimento o
correlazione con l’opera di Brahms nel materiale che compone la musica del suo trio.
Un altro elemento caratteristico è il modello delle quinte dei corni che appare al principio dell’opera. In questo
sembra ispirarsi molto alle quinte dei corni usate da Beethoven in Les adieux (Sonata per pianoforte n. 26 in
mi bemolle maggiore, Op. 81a del 1810), anche se Ligeti le usa in una versione “distorta” utilizzando tre
intervalli: terza maggiore, tritono e sesta minore. Tuttavia, il fatto che suscita più scalpore è che queste
“quinte” tornino, pur se in forme diverse, in tutti e quattro i movimenti del Trio, ad indicare la ciclicità e la
forte unità che caratterizza l’intera composizione (Floros, 2014).
I. Andante con tenerezza

Il primo movimento del Trio si apre con l’esposizione delle quinte distorte da parte del violino (Fig. 1), che in
questa prima sezione A suona prevalentemente accordi di due, tre o quattro note; spesso sul tasto, flautando.
Fa eco il corno alternando frasi espressive a note tenute in un piano generale che dona a questo movimento
un’atmosfera eterea e sospesa. Alla fine di b. 10 entra il pianoforte che risponde con le sue quinte distorte, e
come tre rintocchi di campane sancisce la fine del primo episodio o periodo. Come già detto, la struttura di
questo primo movimento è una chiara forma ABA’. Questa prima sezione A è composta da quattro periodi
come quello appena descritto, in cui variano le altezze e gli attacchi del dialogo tra corno e violino, e che si
concludono sempre coi rintocchi del pianoforte. Il quarto di questi periodi diviene più animato con domande
e risposte tra gli strumenti; sempre un gioco di echi ma più incalzante nel tempo, con le frasi che si
sovrappongono e il pianoforte che diventa più presente nella conversazione.

Fig. 1

Il quarto periodo si conclude con altri tre lunghi rintocchi in diminuendo, per poi dare inizio ad una nuova
sezione B a b. 60. La nuova sezione, molto più breve di quella precedente, è composta da tre episodi in ognuno
dei quali si alterna una parte Più mosso (112) a una A tempo (100). Nelle misure più mosse violino e pianoforte
propongono frasi omoritmiche, in cui il violino ricalca una o più voci degli accordi del pianoforte; nelle misure
a tempo, il corno (con sordina) risponde in modo più languido con il violino che asseconda. Sembra come se
pianoforte e corno si contendessero a turno le attenzioni del violino, il quale, nel terzo episodio, quasi
indispettito introduce un tremolo sul ponte con punta d’arco suonando sì omoritmicamente con il pianoforte,
ma per la prima volta utilizzando note diverse. A quel punto il pianoforte si sfoga in un monologo verso toni
sempre più gravi e quando si aggiungono nuovamente violino e corno, possiamo osservare un esempio di
poli-temporalità (idea che affascinerà Ligeti anche in lavori posteriori) in cui il pianoforte procede per sette
misure a 112 bpm, mentre corno e violino sono a 100 bpm. Se effettivamente vi era una contesa, in queste
misure possiamo vedere con chi il violino abbia scelto di duettare, e proprio in queste misure si volge verso
la fine della sezione B che Ligeti fa coincidere magistralmente con l’inizio della ripresa e quindi A’.
Con A’ vediamo che si tratta di una ripresa vera e propria, i tre strumenti ripropongono letteralmente la musica
da b. 9 in poi, con delle leggerissime variazioni ritmiche, e terminando poi su una breve coda con lunghe note
acute del corno e del pianoforte che sorreggono a morire gli ultimi sospiri con gli armonici del violino.
II. Vivacissimo molto ritmico

Il secondo movimento si può definire un grande esperimento di polimetria. Come il compositore stesso
dichiara commentando il lavoro:

“The second movement is a very fast, polymetric dance, inspired by diverse kinds of folk music of non-existent
ethnicities, as though Hungary, Romania and the entire Balkans were situated somewhere between Africa and
the Caribbean. The movement exhibits a complex hemiolic formation, similar to the hemiolas in Schumann
and Chopin, due to the distribution of the basic pulse of eight beats into 3 + 2 + 3, 3 + 3 + 2, etc. Since different
distributions always sound simultaneously in the three instruments, the result is a very rich polymetric
structure.” (Floros, 2014)

“Il secondo movimento è una danza polimetrica molto veloce, ispirata a diversi generi di musica folkloristica di etnie non esistenti,
come se Ungheria, Romania e i Balcani per intero fossero situati da qualche parte tra l’Africa e i Caraibi. Il movimento mostra una
costruzione basata su una complessa emiolia, simile a quelle di Schumann e Chopin, dovuta all’organizzazione delle otto pulsazioni di
base in 3 + 2 + 3, 3 + 3 + 2, ecc. Dato che le diverse organizzazioni di accenti suonano simultaneamente nei tre strumenti, il risultato è
una struttura polimetrica molto ricca.”

L’intero movimento sembra essere un’invenzione che ruota intorno all’ostinato introdotto dalla mano sinistra
del pianoforte (Fig. 2), che con le sue crome suonate quasi ininterrottamente, scandisce con le sue variazione
le sezioni di questo movimento. Analizzando queste variazioni si può estrapolare la seguente struttura:

Misure: 1-10: Introduzione


11-144: Sezione A (ostinato che parte dal do)
145-225: Sezione B (169-179 ostinato che parte da re; 191-224 da la#)
226-269: Sezione A’ (226-248 ostinato dal do; 249-262 da sol)
270-272: lunga pausa generale
273-294: Coda (con il modello delle quinte distorte del primo movimento)

Fig. 2
Ora, i vari accenti ritmici di 3 + 3 + 2, 3 + 2 + 3, ecc. vengono evidenziati a turno anche da violino e corno; il
primo con dei bicordi pizzicati già dall’introduzione, il secondo da b. 27 con note staccate con sordina. Questi
due elementi insieme all’ostinato del pianoforte rappresentano il contesto ritmico entro il quale si esprime
anche un elemento melodico. La melodia viene esposta dapprima dalla mano destra del pianoforte a b. 15,
con nota dell’autore che chiede di farla emergere lasciando nello sfondo l’ostinato. A b. 27, con l’entrata del
corno, è il violino a cantare con note lunghe ed eleganti, per poi essere raggiunto da corno e pianoforte, uno
con brevi arpeggi staccati e l’altro con frasi simili a quella iniziale ma tendente al grave. Quando a b. 55 il
corno prende coraggio con un discorso melodicamente più strutturato, il violino torna a suonare gli accenti
pizzicati. Questa caotica conversazione continua in questo modo fino alla Sezione B con l’ostinato che passa
temporaneamente al violino. A b. 159 torna nuovamente al pianoforte che lascia corno e violino duettare in
modo espressivo e cantabile. A b. 226 si torna ad un A’ variato che si fa sempre più concitato di battuta in
battuta, fino a b. 249 in cui corno e violino suonano addirittura all’unisono, quest’ultimo però con il tremolo
agitato già sentito nel primo movimento. Tutto ciò prosegue fino alla pausa generale che anticipa la coda.
Coda che esordisce con il modello di quinte distorte al pianoforte: tre rintocchi, un timido accenno all’ostinato
di corno e violino che terminano ancora una volta in lunghe note per una chiusura statica e morente al
pianissimissimo.

III. Alla marcia

Nel terzo movimento, Alla marcia, Ligeti utilizza le tecniche dell’isometria e del dislocamento ritmico in una
maniera molto simile a quella usata dai contrappuntisti polifonici dell’Ars Nova francese. Nel mottetto
isometrico uno schema ritmico predeterminato, detto talea, veniva applicato alla melodia gregoriana del
tenor (detta color); nel terzo movimento del Trio la talea è costituita dallo schema ritmico dei primi 14 accordi
suonati contemporaneamente da pianoforte e violino (fig. 3), e nell’arco delle 30 battute di questa prima
sezione (anche questo movimento si struttura in A-B-A’) la talea si ripete per dieci volte. Questa struttura crea
una grande varietà ritmico-melodica mutevole nella sua regolarità; regolarità che viene interrotta (o
quantomeno ostacolata) a metà di b. 11 quando avviene il primo dislocamento ritmico, ovvero il violino che
entra con un ritardo di 1/16 rispetto al pianoforte (Fig. 4), seguono poi altri due dislocamenti sempre di 1/16
a b. 17 e 23. Questi tre sfasamenti ritmici rendono il meccanismo iniziale di marcia “zoppicante” e ricorda
l’effetto già utilizzato dal compositore ungherese nel terzo movimento del Quartetto per archi n. 2 (1968).
La sezione B, ovvero il Più mosso a b.31, è in netto contrasto con la prima parte: entra il corno e si ha la
percezione di un moto perpetuo decisamente più omoritmico e scorrevole.

Fig. 3
Fig. 4

IV. Lamento. Adagio

Il quarto movimento è l’apice emozionale dell’intera composizione, che parte da un pianissimo e si conclude
una volta ancora in un morendo al niente; tuttavia al centro un intenso crescendo porta il pianoforte ad essere
utilizzato quasi come una percussione. Ligeti commenta in questo modo il finale del Trio:

“Whereas the first three movements are mainly diatonic, the concluding movement is a chromatic variant of
the previous ones, in the form of a passacaglia. A five-bar harmonic model – a variant of the horn fifth germ
– provides the scaffolding, while descending chromatic me- lodic formations are the lianas that increasingly
grow through the scaf- folding, until the sequence of five chords is completely dissolved. A very gradually
occurring dramatic intensification in the growth of the “weeping and lamenting” melodic lianas provides the
basis of this formal process. This intensification leads to the transformation of the piano into a percussion
instrument. The echo of this imaginary, gigan- tic drum lingers in the pedal tones of the horn; the horn-fifth
germ al- so echoes as a reminiscence in the piano and the violin, but is oddly defamiliarized - the photo of a
landscape that has meanwhile gone up in nothingness.” (Floros, 2014)

“Mentre i primi tre movimenti sono in gran parte diatonici, il movimento conclusivo è una variante cromatica dei movimenti
precedenti, in forma di passacaglia. Un modello armonico di cinque battute – una variante delle quinte dei corni – provvede
all’impalcatura, mentre le figure melodiche che discendono cromaticamente sono le liane che crescono gradualmente intorno
all’impalcatura, fino a quando la sequenza dei cinque accordi non si dissolve del tutto. Il graduale succedersi di intensificazioni
drammatiche nella crescita delle “piangenti e lamentose” liane melodiche forniscono la base di questo processo formale. Queste
intensificazioni portano alla trasformazione del pianoforte in una percussione. L’eco di questo immaginario, gigante tamburo si
sofferma sulle note pedale del corno; anche il germe delle quinte dei corni echeggia come una reminiscenza nel pianoforte e nel violino,
ma stranamente non suona più familiare – la fotografia di un paesaggio che nel mentre è svanito nel nulla.”

Come afferma Ligeti stesso, il movimento inizia con il modello armonico di cinque battute che si ripete
variando di volta in volta, come in una passacaglia (Fig. 5); le armonie si muovono tra le voci dei tre strumenti
di volta in volta mostrando come in un caleidoscopio le diverse sfaccettature di un “oggetto musicale”. Queste
variazioni portano al crescendo a poco a poco di b. 52, dove appunto vediamo il pianoforte trasformarsi in
una percussione per poi interrompersi repentinamente a b. 77 lasciando due linee del corno e del violino (una
grave e una molto acuta) delimitare uno spazio sonoro con un grande vuoto al suo interno, la sensazione è
quella di fluttuare nello spazio senza gravità. Nell’ultima pagina, gli ultimi rintocchi del pianoforte portano
lentamente il tutto verso la conclusione morendo al niente con un ultimo accordo diatonico che suona quasi
paradisiaco dopo i tamburi infernali della parte centrale.

Fig. 5

Conclusioni

Come afferma Donatoni (Restagno, 1985) ne I modelli inimitabili, la scrittura di Ligeti è apparentemente chiara
ed evidente, non c’è nulla in superficie che non sia palesato; eppure nel voler imitare questa scrittura uno si
trova puntualmente in un vicolo cieco, incapace di poter replicare l’effetto che si ha nei brani del Maestro. La
musica di Ligeti è l’esempio appunto, non il modello (che si può soltanto imitare). La scrittura di Ligeti ha un
grado di formalizzazione talmente alto per cui l’evento si delinea, si consolida e poi svanisce, e il tutto appare
limpido e scoperto all’occhio di chi osserva la partitura. Questo delude le aspettative dell’imitatore in quanto
più è “pulita” la scrittura, più è complesso scoprire quali sono i processi nascosti, quelli che un imitatore, uno
studente, dovrebbero assorbire per apprendere le tecniche compositive dai maestri.
Nel Trio per corno, questo paradosso è addirittura maggiorato dall’uso di strutture formali di tradizione
classica che erano state precedentemente abbandonate (struttura ABA’, isometria, dislocamento ritmico e
ostinato), e con l’uso di tecniche più recenti ma artificiose a livello contrappuntistico (polimetria e
politemporalità) . In questo modo i processi compositivi si nascondono ancora meglio dietro alle impalcature
formali che suonano familiari al nostro orecchio, dando anche modo al compositore di indugiare con delle
“trasgressive” melodie.

BIBLIOGRAFIA:

Restagno, E., (1985). Ligeti. In Ligeti, G., “La mia posizione di compositore oggi (1985)” (pp. 3-5). EDT. Torino

Restagno, E., (1985). Ligeti. In Donatoni, F., “I modelli inimitabili” (pp.65-66). EDT. Torino

Floros, C., (2014). György Ligeti – Beyond Avant-garde and Postmodernism. Peter Lang GmbH Internationaler
Verlag der Wissenschaften. Frankfurt

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