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Istituto Superiore di Studi Musicali

Conservatorio Guido Cantelli – Novara

Diploma Accademico di II livello in Flauto Traverso

La riscoperta del flauto negli USA del Novecento:


Burton, Carter e Muczynski

Candidato: Benedetta Ballardini

Relatore: M° Gianni Biocotino

Anno Accademico 2019-2020


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Indice

P. 4 Programma di sala

P. 5 La Musica d’Arte negli Stati Uniti del XX Secolo

P. 7 Eldin Burton – Sonatina per flauto e pianoforte

P. 10 Elliott Carter – Scrivo in vento per flauto


solo

P. 15 Robert Muczynski – Sonata per flauto e pianoforte

P. 19 Considerazioni personali

P. 20 Ringraziamenti

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Programma di sala

E. Burton Sonatina per flauto e pianoforte


(1913-1979) (Allegretto grazioso – Andantino sognando – Allegro giocoso:
quasi fandango)

E. Carter Scrivo in vento per flauto solo


(1908-2012)

R. Muczynski Sonata per flauto e pianoforte


(1929-2010) (Allegro deciso – Vivace – Andante – Allegro con moto)

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La Musica d’Arte negli Stati Uniti del XX Secolo

Il XX secolo visse importanti innovazioni nelle forme musicali e negli stili


compositivi. I compositori esplorarono nuove forme e nuovi suoni che sfidavano e
andavano oltre le precedenti tradizioni o regole della tonalità. Ciò accadde sia in Europa
che negli Stati Uniti, in cui l’influenza del jazz e della musica folk fu decisiva, così
come la nascita di nuove tecnologie: grazie ad esse nacquero amplificatori,
sintetizzatori, programmi elettronici per elaborare i suoni. Non solo i compositori di
musica leggera si diedero alla sperimentazione e allo sfruttamento di questi nuovi
sistemi – grazie alla tecnologia era aumentata anche la fruibilità del materiale musicale
attraverso grammofoni e radio –, ma anche i compositori di musica colta.

Benché nei tre brani presentati non vi saranno componenti di live electronics o
supporti elettronici, è bene comprendere il clima di innovazione in cui il Nuovo Mondo
era immerso nel secolo scorso. Non si trattò solamente di innovazioni in campo
tecnologico, ma si assistette anche alla nascita di nuove correnti musicali, quasi delle
Scuole Nazionali del Novecento; tra le principali correnti ci furono il Modernismo (i cui
maggiori esponenti erano Charles Ives e Georges Gerswhin, il quale introdusse anche
elementi dal jazz), il Nazionalismo (Aaron Copland, Heitor Villa-Lobos), la musica
Microtonale (di nuovo Ives, Erwin Schulhoff, Karlheinz Stockhausen, Iannis Xenakis),
la musica Sperimentale (John Cage), il Minimalismo (Steve Reich, Philip Glass, John
Adams, Arvo Pärt).

I tre compositori di cui si tratterà di seguito – Eldin Burton, Elliott Carter e


Robert Muczynski – appartengono a scuole compositive ben diverse tra loro, così come
diverse sono le decadi in cui vivono e lavorano. Come è noto, nel secolo scorso molti
compositori si interessarono al flauto come strumento sia solista che inserito in
ensembles di musica da camera più o meno vasti. Ciò fu sicuramente in parte dovuto al
bisogno di cambiamento tra la musica di un secolo e l’altro; nel Romanticismo e Post
Romanticismo il flauto non fu sicuramente protagonista, anche a causa della sua diversa
costruzione, per meccanica e materiali, che non consentiva una vasta dinamica o un

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timbro molto presente. Con il miglioramento delle tecniche di costruzione e
l’avvicinamento da parte dei compositori ad un linguaggio sempre meno tonale e
sempre più effettistico, il flauto parve molte volte lo strumento perfetto da adottare:
agile per i passaggi estremamente virtuosistici, allo stesso tempo dal timbro chiaro e
brillante ma versatile, ricco di possibilità per quanto riguarda gli effetti (whistle, jet
whistle, suoni multifonici, flatterzunge, armonici, tongue ram e via dicendo); questo lo
sapevano bene anche molti tra i maggiori compositori europei, basti pensare a Luciano
Berio, Salvatore Sciarrino, Brian Ferneyough o più indietro nel secolo ad André Jolivet
e Olivier Messiaen.

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Eldin Burton – Sonatina per flauto e pianoforte

La letteratura statunitense per flauto non è molto conosciuta in Europa, ad


eccezione di qualche brano di repertorio come Density 21.5 di E. Varèse o Duo di A.
Copland ad esempio. Eppure, come anticipato in precedenza, i compositori statunitensi
dall’inizio del secolo si sono spesso rivolti al flauto, anche grazie ai tentativi
pionieristici del flautista francese Georges Barrère, che ispirato dal maestro Paul
Taffanel cercò di rinnovare l’interesse verso il flauto e la creazione di un nuovo
repertorio. In seguito ai tentativi di Barrère, oltre alla stesura di nuovi brani da parte dei
compositori si crearono anche nuove realtà musicali, come il New York Flute Club nel
1920, che promosse concorsi per nuove composizioni flautisti che. Quasi un alter ego
del Concours di Parigi, ma incentrato non sulla promozione del flautista in quanto
musicista e virtuoso, bensì finalizzato alla creazione di repertorio.

A vincere uno di questi concorsi fu proprio la Sonatina per flauto e pianoforte di


Eldin Burton, nel 1948. Burton, pianista dalle ambizioni compositive, scrisse la
Sonatina arrangiandola da un pezzo per pianoforte solo composto precedentemente
durante gli studi alla Juillard School; nonostante non fu un compositore particolarmente
noto o prolifico, il brano rimane la sua composizione più nota. Dedicato al flautista
Samuel Baron, uno dei flautisti statunitensi più influenti del secondo dopoguerra, la
Sonatina è un linguaggio scritto con solida tecnica accademica, basato su un linguaggio
modale che sembra risentire dell’influenza di Ernst Bloch (1880-1959), il quale, seppur
anni dopo il lavoro di Burton, scriverà anch’egli un brano per flauto e pianoforte, la
Suite Modale.

Strutturata in tre movimenti, la Sonatina richiede un’intesa cameristica non


indifferente, soprattutto per la conciliazione di elementi poliritmici che si alternano a
frasi liriche. Il primo movimento, Allegretto grazioso, ha una struttura ternaria; il primo
tema del flauto, sereno e cantabile, si apre dopo una breve introduzione di sestine di
sedicesimi del pianoforte, il quale crea un tappeto sonoro quasi acquatico. Questo primo
tema è chiaramente modale; facilmente evincibile data l’assenza della sensibile. Il modo

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utilizzato per la maggior parte del movimento è quello di mi eolio, alternato a do lidio,
tipico modo del jazz contemporaneo (scala misolidia con la quinta aumentata). Dopo tre
ripetizioni del tema principale con diversi accompagnamenti e in diversi registri, il
metro e il tempo cambiano in un 3/2 Più mosso, decisamente contrastante: la linea
melodica si spezza introducendo passaggi virtuosistici, sbalzi di registro e figure
ritmicamente più complesse. L’andamento più mosso viene mantenuto fino alla fine del
movimento, in cui la melodia torna leggermente sui suoi passi, per chiudere con un
gesto leggero ed ironico in diminuendo e in omoritmia con il pianoforte.

Il secondo movimento, Andantino sognando, parte con un’atmosfera simile a


quella del primo movimento, serena e sognante, fino, anche qui, al Poco più mosso dove
nel pianoforte si instaura una poliritmia di terzine contro duine puntate; anche il flauto
sviluppa poco a poco una crescente agitazione, fino a tornare dopo arpeggi e scale
vigorosi al tema principale, che cambia di significato diventando liberatorio e gioioso. Il
movimento si conclude con un si armonico del flauto, in piano diminuendo, riacquistata
la serenità dell’inizio. È parte dell’interesse del brano questo continuo mutare di
tensioni e distensioni musicali senza seguire logiche troppo schematiche.

Il terzo e ultimo movimento, Allegro giocoso: quasi fandango si vuole rifare


evidentemente ai caratteri del fandango, una danza spagnola del Seicento in movimento
ternario, ma destabilizzandone l’accentazione consueta (ora sul secondo, ora sul primo
movimento) e portandola quasi sempre in battere. L’armonia del pianoforte si muove
per triadi parallele e ricorda vagamente la Sicilienne et Burlesque di A. Casella, mentre
la virtuosistica parte del flauto è nel registro più acuto per gran parte del movimento.
Anche in quest’ultimo è presente una parte centrale nettamente contrastante, che perde
per un po’ il sentore della danza e diventa puramente strumentale. Ciononostante, tutto
il movimento pare uniformato dalla stessa energia ritmica, senza soluzione di continuità,
in una danza che corre festosa fino alla fine.

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Elliott Carter – Scrivo in vento per flauto solo

Compositore di più chiara fama e successo, Elliott Cook Carter Jr. (1908-2012)
passò quasi tutta la sua infanzia in Europa; imparò il francese prima dell’inglese. Da
adolescente sviluppò la sua passione e il suo interesse verso la musica, benché non
proprio incoraggiato dai suoi genitori, i quali si limitavano a mandarlo a lezione di
pianoforte. Chi lo incoraggiò sul serio fu Charles Ives, che vendette l’assicurazione alla
famiglia di Carter. Nel suo periodo da studente alla Horace Mann School, Carter scrisse
una lettera che esplicitava tutta la sua ammirazione per Ives, il quale lo spinse
ulteriormente a proseguire la carriera nella musica. Oltre a questa corrispondenza,
Carter iniziò ad interessarsi alla musica contemporanea come espansione del
Modernismo di cui era affascinato.

Nel 1924, a 15 anni, Carter era tra il pubblico a New York quando la Boston
Symphony Orchestra eseguì La Sagra della Primavera di I. Stravinskij; da qui si
approcciò ai compositori ultra modernisti americani, quali Henry Cowell, Edgard
Varèse, Ruth Crawford. Nel 1926 Carter iniziò il suo percorso all’università di Harvard,
in cui si laureò in Inglese, ma studiò anche musica con maestri quali Walter Piston e
Gustav Holst. Siccome questa esperienza non lo aiutò più di tanto a migliorare le
proprie qualità compositive, Carter decise di spostarsi a Parigi per studiare con Nadia
Boulanger sia privatamente che all’École Normale de Musique.

Dopo il suo percorso di studi e qualche tentativo di esecuzione dei propri lavori
compositivi, Carter lavorò per l’Office of War Information durante la Seconda Guerra
Mondiale; successivamente insegnò in svariati conservatori e università, tra cui la
Columbia, Yale, Cornell e la Juillard School. Dopo l’esperienza della guerra decise di
rinnovare il suo interesse per la musica sperimentale riprendendo in mano partiture di
Ives e ispirandosi per ricominciare più fittamente l’attività compositiva, scrivendo ad
esempio la Sonata per violoncello o le Variazioni per Orchestra. Nel corso degli anni
ricevette molti premi, tra cui l’Ernst von Siemes Music Prize, la National Medal of Arts,
la Edward MacDowell Medal.

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Il brano per flauto solo Scrivo in Vento, come spesso si verifica, è dedicato ad un
flautista, Robert Aitken: flautista e compositore canadese, ha lavorato nella Vancouver
Symphony Orchestra, CBC Symphony Orchestra e Toronto Symphony Orchestra,
nonché come insegnante presso la Staatliche Hochschule für Musik di Friburgo fino al
2004. Il flautista era amico del compositore Carter, il quale scrisse per lui questo brano
in occasione del Festival de Avignon in Francia nel 1991, dedicato interamente alla
musica di Carter. La prima del brano fu eseguita proprio da Aitken, il 20 luglio del 1991
al Festival. Il brano si ispira al Sonetto CLXXVII di Francesco Petrarca dalle Rime
Sparse, in cui una parte di un verso recita Scrivo in Vento. Di seguito il testo:

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Beato in sogno et di languir contento,

d’abbracciar l’ombre et seguir l’aura estiva,

nuoto per mar che non à fondo o riva;

solco onde, e ‘n rena fondo, et scrivo in vento;

e ‘l sol vagheggio si ch’elli ha già spento

col suo splendor la mia vertù visiva;

et una cerva errate et fugitiva

caccio con un bue zoppo e ‘nfermo e lento.

Cieco et stanco ad ogni altro ch’al mio danno

il qual dì et notte palpitando cerco,

sol Amor et Madonna et Morte chiamo.

Così vent’anni, grave et lungo affanno,

pur lagrime et sospiri et dolor meco:

in tale stella presi l’esca et l’amo!

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La scelta di ispirarsi a Petrarca non è casuale: infatti il poeta tra il 1326 e il 1353
si recava spesso ad Avignone e ci visse per qualche periodo; il 20 luglio, data di
esecuzione del brano, sarebbe stato il 687esimo compleanno del poeta. La scelta invece
dello strumento, il flauto, è data dal fatto che Carter lo sentisse come lo strumento più
funzionale ad esprimere le idee musicali contrastanti nei differenti registri ed esplicitare
la natura paradossale della poesia.

Il brano infatti non sembra voler descrivere la poesia, bensì coglierne l’essenza e
i sentimenti che ne stanno alla base per esprimerli musicalmente. Il brano inizia in
pianissimo, con note lunghe e pochi movimenti di intervalli stretti nella prima ottava.
Subito dopo si insinuano secchi e marcati interventi nell’ottava più acuta, a voler imitare
le sferzate di vento improvvise che possono verificarsi anche quando l’atmosfera è
prevalentemente calma. In tutto il brano sono presenti questi momenti altamente
contrastanti, rinforzati da particolari effetti quali il flatterzunge e soprattutto i suoni
multifonici. I multifonici sono prodotti grazie a particolari diteggiature e una particolare
direzione dell’aria; la risultante è quella di due suoni emessi nello stesso momento.
Questo non è che uno dei numerosi tentativi adottati dai compositori del Novecento per
rendere il flauto, strumento monodico per eccellenza, polifonico. Inoltre questo effetto,
così come il flatterzunge, è metallico, graffiante, ed esprime perfettamente lo scrivere in
vento, l’atto di imprimere qualcosa di fisico ad una materia impalpabile.

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Robert Muczynski – Sonata per flauto e pianoforte

Probabilmente molti musicisti ed appassionati di musica non riconosceranno


come familiare il nome di Robert Muczynski. Ciononostante, grazie al suo talento e a
molti premi ricevuti, può essere considerato come uno dei maggiori compositori
statunitensi del Novecento. Muczynski nacque a Chicago nel 1929, ma la sua famiglia
aveva origini polacche e slave. Iniziò ad avvicinarsi alla musica da piccolo,
approcciandosi al pianoforte; soltanto durante gli studi accademici alla DePaul
University di Chicago scoprì la composizione e la sua predisposizione alla scrittura,
entrando nella classe di Alexander Tcherepnin. Si laureò alla DePaul completando gli

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studi fino al Master Degree in piano performance; a venticinque anni fu il compositore
più giovane ad aver ricevuto una commissione dall’ateneo, oltre ad essere stato scelto
come pianista solista con la Louisville Orchestra. Qualche anno dopo fece il suo debutto
alla Carnegie Hall con un programma composto interamente da pezzi solistici scritti da
lui; successivamente fu uno dei dodici compositori scelti dalla Ford Foundation per
ricoprire il ruolo di docente in scuole private in vari Stati.

Alcuni dei suoi pezzi sono stati premiati e riconosciuti più di altri, come ad
esempio il suo Concerto per saxofono contralto e orchestra da camera, che lo portò a
ricevere la nomination per il Premio Pulitzer. Ritornò successivamente alla DePaul,
stavolta in qualità di docente di pianoforte, composizione e teoria della musica; in
seguitò ebbe alcune altre esperienze come insegnante al Loras College e alla University
of Tucson, dove era artista residente.

Il periodo passato a Tucson, in Arizona, fu quello in cui Muczynski iniziò a


comporre la sonata per flauto, che completò nel 1960. Il brano è dedicato a Harry
Atwood, il capo della produzione cinematografica nella stessa University of Tucson;
curioso notare come questo pezzo, a differenza degli altri presentati in precedenza,
abbia sì un dedicatario, ma questo dedicatario non sia un flautista o un musicista.
L’anno successivo, nel 1961, Muczynski ricevette il primo premio al Concorso
Internazionale di Composizione di Nizza, in Francia. Durante il periodo passato in
Francia, attirò l’attenzione del flautista Jean-Pierre Rampal, che eseguì più volte la
sonata; grazie a questo interesse il brano divenne nel 1965 di repertorio per la classe di
flauto del Conservatorio di Parigi. Tuttora la Sonata per flauto e pianoforte è uno dei
brani più famosi e conosciuti del compositore, insieme alla Sonata per saxofono e
pianoforte.

La Sonata è strutturata in quattro movimenti, ben diversi e distinti tra loro. In


tutto il brano vengono impiegate figure ritmiche e melodie non tradizionali per creare
un suono “Moderno”, diverso da altre sonate per flauto e pianoforte di questa
dimensione. In tutto il brano il flauto spazia all’interno della propria estensione per
intero, rivelandosi tutt’altro che tecnicamente semplice. Un punto importante su cui fa
leva tutto il brano sono le articolazioni: accenti, puntini, detaché, legature devono fare
veramente la differenza; spesso su una stessa linea melodica si trovano diverse

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articolazioni la prima e la seconda volta. Sta all’esecutore far percepire il cambio di
fraseggio e di accentazione, che conferirà un senso completamente diverso alla musica.

Lo “Schema” dei movimenti è veloce-veloce-lento-veloce. Nonostante i


movimenti veloci siano tre, non vi sono elementi ripetuti o pleonastici nel passaggio tra
uno e l’altro, benché si percepiscano una coerenza e una linearità compositiva
apprezzabile e appartenente alla stessa idea. Il terzo movimento, l’Andante, è come una
boccata d’aria, dalle sonorità quasi francesi, che consente di riprendere fiato – sia
mentalmente che fisicamente! – e conferisce un’atmosfera speciale al brano.

Nel primo movimento, Allegro deciso, sono presenti molte note staccate,
accenti, temi sincopati e quasi da eseguirsi swingati, sebbene sia presente un notevole
rigore ritmico e gli incastri tra il flauto e il pianoforte siano molto complessi. Muczynski
utilizza strutturalmente un tema A e un tema B per conferire stabilità e coerenza al
movimento, ma ogni volta il tema appare diverso per articolazioni o dinamiche, o per il
contesto in cui è inserito. Tuttavia il movimento è scritto in forma-sonata, in cui i due
temi sono utilizzati per l’esposizione, lo sviluppo, la ripresa e la coda. Le due melodie
sono molto diverse tra loro: la A è molto ritmica, vigorosa e decisa, mentre la B è più
cantabile, ma non languida o lirica; semplicemente costituita da un minor numero di
salti ampi e legata. Entrambi i temi principali sono variati leggermente lungo il corso
del movimento, utilizzando imitazioni e diminuzioni.

Il secondo movimento, Scherzo, ha un carattere più unitario. Si tratta di un


movimento in tempo composto molto giocoso, leggero e spensierato. Caratterizzato
dalla figurazione degli ottavi sempre presente che imposta un andamento sempre
galoppante; l’armonia è al confine tra il linguaggio personale del compositore e accordi
jazz e blues. La forma in questo caso è ternaria, una semplice ABA più coda; tutte e tre
le sezioni presentano melodie trainanti molto energiche, sia da parte del flauto che del
pianoforte. Il motore continuo di ottavi è interrotto bruscamente poco prima della coda,
per aumentare la tensione prima di riprendere in crescendo tra virtuosistiche scale del
pianoforte e sincopi del flauto; il finale è un climax di tensione e suono che culmina con
una veloce scala dei due strumenti in acuto.

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Il terzo movimento, Andante, è nettamente in contrasto con il resto dei
movimenti; si apre con una cadenza del flauto che funge da invocazione, caratterizzata
da un andamento meditativo ed introverso. Vi succede una breve parte del pianoforte
solo che riprende la melodia iniziale del flauto, sviluppandola poi in modo diverso. Qui
il suono, il legato e la linearità delle melodie sono predominanti sul ritmo e l’energia,
che vengono abbandonati almeno per un po’. Quando poi i due strumenti iniziano a
dialogare si crea un’atmosfera sospesa e dal colore scuro, molto interiore e calmo, ma
che non restituisce una sensazione di serenità; è solo la quiete prima della tempesta, un
breve respiro tra i vortici di suono dei movimenti precedenti e di quello successivo.

Il movimento finale, Allegro con moto, riporta il ritmo a soggetto in un


mantenimento di energia che non scema mai, anzi cresce fino all’ultima nota. La forma
è ancora una volta tradizionale, una forma rondò ABACA con una cadenza del flauto
prima della fine. Anche questo movimento inizia con il flauto solo, che presenta una
figura in emiolia, a cui risponde il pianoforte con un tema altrettanto esuberante,
costituito da molti cambi dinamici, emiolie, contrasti ritmici. Come nel primo
movimento è presente anche un tema più melodico e in piano, ma che non rilassa la
tensione ritmica e spumeggiante del movimento. Dopo tre coppie di accordi ribattuti del
pianoforte in fortissimo, il flauto inizia la sua cadenza esasperando e variando gli
elementi già utilizzati all’interno della struttura, per ridare poi la parola al pianoforte e
terminare insieme ad esso in un crescendo sempre più nervoso, sia dinamico, che
costruito con figure complesse e diversi cambi metrici. Nel gesto finale il pianoforte e il
flauto terminano di nuovo in crescendo, l’uno dirigendosi verso il grave, l’altro
all’estremo acuto, lasciando risuonare nell’aria l’energia di tutto il brano, che si riflette
quindi nel silenzio che gli succede.

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Considerazioni personali

Per la tesi-concerto a conclusione del percorso di Biennio Superiore ho scelto di


studiare e presentare un repertorio non molto conosciuto o eseguito, soprattutto in
Europa, visti il mio interesse e la mia passione per la musica del Novecento e
Contemporanea. Sia il repertorio per flauto e pianoforte che quello per flauto solo
permettono di esplorare sonorità e tecniche estreme dello strumento, fornendo
l’occasione per approfondire ogni passaggio tecnicamente e musicalmente, dall’estremo

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virtuosismo, all’estrema cantabilità, al puro ritmo. Ogni brano di questo calibro consiste
in una sfida e in una scommessa sempre stimolante e motivante, in cui è richiesto un
continuo miglioramento musicale, dovuto alla complessità strutturale, e un
miglioramento tecnico per sostenere il virtuosismo richiesto all’interprete.

Ringraziamenti

Durante il percorso all’interno del Conservatorio “G. Cantelli”, iniziato nel


settembre 2012, ho avuto la possibilità di sviluppare competenze, motivazione e
determinazione grazie a molti degli insegnanti che mi hanno guidata e accompagnata in
questo percorso. Per questo ci terrei a ringraziare in particolare in primis il M° Gianni
Biocotino, che ad ogni lezione attraverso spunti e correzioni mi ha spinta a migliorare

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sempre di più; il M° Monica Cattarossi, per avermi guidata con entusiasmo e costanza
nel fondamentale studio della musica da camera; il M° Nicola Paszkowski per avermi
inconsapevolmente fatta appassionare al mondo dell’orchestra con serietà e
professionalità; il M° Massimo Bertola per avermi seguita con devozione e pazienza
nello studio della Composizione.

Ringrazio la mia famiglia per avermi sempre sostenuta nel percorso e nelle
scelte da me prese senza mettere mai in dubbio la mia determinazione e la mia
intenzione di mettermi in gioco.

Ringrazio i miei amici e compagni di viaggio, dentro e fuori dal conservatorio,


per aver condiviso – e qualcuno per continuare a condividere – ognuno un pezzo di
cammino insieme a me, professionalmente e personalmente.

Ringrazio Sonia per aver affrontato incessantemente con me da sei anni lo studio
del repertorio per flauto e pianoforte, accompagnandomi in diverse avventure.

Ringrazio il M° Mario Ancillotti, mio insegnante per cinque anni, per avermi
regalato preziose lezioni sulla Musica e sul ruolo del musicista.

Ringrazio Chiara per esserci sempre.

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