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Schönberg e Webern, la Seconda scuola di Vienna.

Tesina di Analisi delle forme compositive II

Conservatorio di Bari N. Piccinni, allievo Mazza Giorgio, II livello di chitarra

Schönberg e Webern, insieme a Berg, possono considerarsi gli esponenti più


importanti della scuola musicale fondata agli inizi del 900 a Vienna conosciuta,
appunto, come “Seconda scuola Viennese”.
Il nome è un palese riferimento al movimento musicale del classicismo che può
essere identificato con l’operato di compositori come Haydn, Mozart ed il primo
Beethoven, i quali trascorsero parte della loro vita nella capitale austriaca.
Come quasi più di un secolo prima, Vienna agli inizi dello scorso secolo era il più
importante centro di rinnovamento artistico e culturale Europeo, anche dal punto di
vista pittorico, come lo dimostrano le teorie sviluppate dalle discipline artistiche da
Gustav Klimt.
Da un punto di vista musicale Mahler e Wagner avevano messo in discussione tutte le
forme lessicali in uso fino ad allora, quali la tonalità, la consonanza, il ritmo e la
struttura.
Il nuovo clima di apertura alla sperimentazione aveva reso il terreno fertile per le
novità concepite da Schönberg, che ricercava un linguaggio diverso da quello della
tonalità, inizialmente adottato da Webern e Berg.
Schönberg prosegue, dunque, verso un processo di emancipazione della dissonanza,
la quale, tuttavia, rappresenta solo una delle componenti del nuovo stile compositivo,
che si proiettava verso il camerismo ed il miniaturismo, una maggior importanza data
all’elaborazione tematica, il tutto in contrasto con il grande sinfonismo wagneriano.
Il percorso produttivo che va costituirsi si sposa bene con una scrittura pianistica che
può essere definita asciutta, quasi scarna, priva di retorica densità, completamente
interiorizzata. Ogni certezza viene eliminata a favore di una crisi che andava ad
identificarsi con il periodo storico vissuto dai rappresentanti della Seconda scuola
viennese.
Da queste necessità compositive nasce la dodecafonia, teorizzata da Schönberg (e J.
M. Hauer), termine per il quale si intende una tecnica compositiva che non stabilisce
funzioni tonali tra le 12 note della scala, e che trova la sua compiuta espressione nel
serialismo: nella scrittura di un brano si ordinano preventivamente le note in una
successione stabilita, o anche altri parametri musicali come altezza, durata, intensità e
timbro.
Tuttavia, sia Schönberg che il suo allievo Alban Berg non ruppero completamente
con la tradizione. Solo Anton Webern cominciò a utilizzare senza compromessi la
serialità dodecafonica.
La legge fondamentale della dodecafonia può riassumersi nel principio seguente:
tutta una composizione musicale è basata su una determinata serie comprendente i 12
suoni della scala cromatica. Una serie, denominata serie fondamentale, dà origine a 3
altre da essa derivanti:
a) Al suo moto retrogrado (che si ottiene procedendo dall'ultima nota verso la prima);
b) Al suo moto contrario (che risulta dal capovolgimento degli intervalli della serie
fondamentale: così una terza minore ascendente diventerà terza minore discendente e
così via);
c) Al moto contrario del moto retrogrado.
Il complesso di queste 4 possibilità offerto dalla serie è definito Quadrinità. Ciascuna
delle quattro forme può essere trasportata 12 volte sui differenti gradi della scala
cromatica. Non sono da escludere i procedimenti per aumentazione (cioè con valori
ritmici raddoppiati, triplicati, etc.) o per diminuzione (cioè con valori ritmici
dimezzati o, comunque, ridotti). Come non è da escludersi il rivolto degli intervalli,
procedimento per cui la seconda minore può diventare settima maggiore, la seconda
maggiore, settima minore, etc.
Il compositore sceglie la serie a seconda del suo gusto e della sua fantasia. Se una
delle caratteristiche della musica classica è che in essa i motivi ritmici, negli sviluppi,
vengono variati melodicamente, nella musica dodecafonica ciò non avviene. La serie
ha importanza formale, indipendentemente dal suo ritmo: la serie è il materiale
grezzo da cui dovrà venir estratta la linea melodica per mezzo del ritmo e
dell'articolazione. Se nel sistema tonale l'elemento verticale (armonico) è esattamente
codificato, nel sistema dodecafonico l'armonia è affidata di volta in volta alla
sensibilità, all'orecchio, al gusto dell'autore. 
L’opera di Schönberg presa in considerazione in questa tesina è l’op. 19, Sei piccoli
pezzi, che costituiscono un approdo peculiare di questo nuovo modo di comporre
musica. In questo caso l’autore porta al limite la tendenza a miniaturizzare le forme,
rendendo ogni movimento dell’opera un aforisma, il più lungo dei quali non dura più
di un minuto e mezzo, ed il più breve il quarto, i 30 secondi.
Ecco una sua considerazione da una lettera a Busoni del 1909:
“My goal: complete liberation from form and symbols, cohesion and logic. Away
with motivic work! Away with harmony as the cement of my architecture! Harmony
is expression and nothing more. Away with pathos! Away with 24 pound protracted
scores! My music must be short. Lean! In two notes, not built, but "expressed". And
the result is, I hope, without stylized and sterilized drawn-out sentiment. That is not
how man feels; it is impossible to feel only one emotion. Man has many feelings,
thousands at a time, and these feelings add up no more than apples and pears add up.
Each goes its own way. This multicoloured, polymorphic, illogical nature of our
feelings, and their associations, a rush of blood, reactions in our senses, in our nerves;
I must have this in my music. It should be an expression of feeling, as if really were
the feeling, full of unconscious connections, not some perception of "conscious
logic". Now I have said it, and they may burn me.”
I primi cinque brani furono scritti in un solo giorno, ed originariamente avrebbero
dovuto rappresentare l’intera opera. Essi seguono a pieno l’estetica espressionista:
ciascun brano potrebbe essere inteso come una composizione più lunga, condensata
in una singola miniatura.
L’opera, nella sua atonalità, anticipa lo sviluppo di ciò che andrà a definirsi come
dodecafonia.
Queste invenzioni musicali rappresentano un’assoluta interiorizzazione che bene si
sposa con il timbro “monocromo” del pianoforte, scelta di distanza rispetto alla
ricerca di Webern, il quale scriverà per pianoforte quasi solo la successivamente
analizzata op.27.
Il primo brano dei sei rappresenta una difana trasparenza, quasi sempre sussurrata in
pianissimo, caratterizzata dall’immediatezza che rinuncia al succedersi informale di
tre diverse sezioni. La dinamica è portata all’estremo per quanto riguarda il piano, e
la forma di melodia accompagnata presentata all’inizio si alterna ad una sezione
polifonico-contrappuntistica di battuta 4-5-6, la quale verge verso un ritmo puntato,
chiaro riferimento ad un andamento quasi danzante. A battuta 8 vi è l’apice del brano
in un forte che, immediatamente, viene seguito da un rapido tremolo in pianissimo. A
battuta 12 si noti il punto coronato che si ripete in un finale privo di risoluzione.
Caratteristica del secondo brano è, invece, l’intervallo di terza, presentato
inizialmente con un ostinato in pianissimo. Questa terza maggiore viene scandita
irregolarmente attraverso pause che creano una tensione tra suono e silenzio, e viene
interrotta da gesti melodici fino a raggiungere un effetto di sottile inquietudine dalla
sincope a battuta 6.
Il terzo brano è scandito in due sezioni, tra loro contrastanti: da battuta 1 a 4 i piani
sonori di mano destra e mano sinistra sono in contrasto dinamico (forte alla mano
destra, piano alla sinistra), mentre da battuta 5-9 vi è una sezione polifonica a 4 e 5
voci che va dinamicamente dal p al ppp; si noti come gli intervalli diventino sempre
più stretti passando dalla prima alla seconda sezione. Interessante la ripetizione
ostinata del mib (ripetuto enarmonicamente anche come re#) a battuta 6-7-8.
Il quarto ed il quinto brano presentano delle affinità: la cantabilità iniziale (quasi in
recitativo al quarto) va a contrapporsi al brusco finale. Nel quarto si possono
identificare due temi differenti dal punto di vista ritmico, quasi di danza nel primo
caso. A battuta 10 si noti come il martellato rappresenti una trasposizione del motivo
iniziale, che conclude in crescendo verso il fff. Il quinto pezzo di snoda fluidamente
su un’unica linea melodica interrotta da brevi respiri, interamente contenuta nel
registro mediano, eseguita delicatamente ma in modo deciso. In questo caso la
conclusione aspra che ha inizio a battuta 12 va morendo da un punto di vista
dinamico verso un punto coronato in pp.
Il sesto brano tocca il limite estremo di smaterializzazione del linguaggio musicale,
essendo costruito su fasce sonore apparentemente tonali. L’indicazione è “Molto
lento” e il gioco di sovrapposizione di due accordi nel timbro scarnato, gelido, deriva
dalla composizione di piani sonori quasi immobili, la cui intensità va dal pianissimo
al piano, sfiorando le soglie del silenzio, quasi rimandando ad una fimensione al di là
della percezione acustica. Le nove battute in questione rappresentano molto
probabilmente un omaggio a Malher, morto poco più di un mese prima della data di
composizone del brano. Significativa è l’indicazione dinamica sul finale “come un
soffio”. Le ultime due note in punto coronato in pppp (!) sono un richiamo alle prime
note dell’opera.
Le Variazioni op.27 rappresentano uno dei pochi lavori pianistici di Webern. Si tratta
di un’opera caratterizzata da una serialità rigorosa, esempio formale tra i brani dello
stesso genere.

La struttura sottesa all'intero primo movimento è quella di una forma-sonata tripartita,


con un'esposizione, uno sviluppo caratterizzato da figure più rapide e addensate e da
una repentina intensificazione dinamica, una ripresa variata, con le voci dei canoni
invertite, e con una coda nella quale la struttura speculare viene leggermente
deformata per creare l'effetto di un esaurimento della propulsione ritmica.

Il secondo movimento (Sehr schnell, molto veloce), è una specie di Scherzo, molto
breve, costruito ancora su un canone, questa volta per moto contrario, e su una forma
bipartita, con due parti ritornellate, che ricorda quella di un tempo di Suite. La
struttura "circolare" data dal canone e dal ritornello, le altezze dei suoni in maniera
speculare intorno a una nota centrale, le figure staccate, nervose, percussive, i
repentini scarti dinamici, le acciaccature, gli ampi salti, tutto concorre a fare di questo
breve movimento un oggetto sonoro che ruota su sé stesso, come un vortice
immobile.

Il terzo movimento (Ruhig fließend, tranquillo e scorrevole) è quello che si avvicina


di più alla forma classica delle variazioni, articolato com'è in sei sezioni che si
possono leggere come un "tema" seguito da cinque variazioni, ciascuna
contraddistinta da un preciso carattere musicale. Nelle prime dodici note del tema è
possibile identificare la serie originale sviluppata anche nelle precedenti due
variazioni, che può essere numericamente descritta nella successione 3 11 10 2 1 0 6
4 7 5 9 8. Webern sembra raggiungere qui la più perfetta sintesi tra purezza seriale e
varietà di sfumature, di contrasti dinamici, di connotazioni stilistiche, di momenti
intimistici e gesti drammatici, attraverso le medesime strutture intervallari declinate
in maniera diversa in ciascuna variazione, fino all'ultima, lenta, come una coda che
cerca di evaporare in una morbida successione di accordi in pianissimo.

Serie originale.
I Tre piccoli pezzi per violoncello e pianoforte op. 11 di Anton von Webern risalgono
al 1914.
Nel primo pezzo troviamo brevi frasi sospirate che scivolano nel silenzio, a parte una
breve intensificazione espressiva. Ogni nota ha una specifica dinamica. Non è
possibile individuare una melodia o un accompagnamento, nessuno dei due strumenti
prevale sull’altro. Si tratta di una pagina di puro espressionismo e atonalità. Forte è il
contrasto col secondo pezzo, un brevissimo Allegro di graffiante
violenza. L’indicazione del tempo è, appunto, molto agitato. Il terzo pezzo
comprende appena venti note, che costituiscono un Adagio sereno e quasi incantato
nella sua assenza di movimento.

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