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Breve storia della formenlehre

Tra i primi ad aver descritto la forma-sonata troviamo Heinrich Cristoph Coch e Francesco
Galeazzi. Dopo di loro altri tre autori hanno dato un grande contributo nella teorizzazione della
formenlehre: Anton Reicha, Carl Czerny e Adolf Bernard Marx. Quest’ultimi sono stati
contemporanei di Beethoven ed in particolare Reicha e Czerny suoi allievi. Tra i più importanti
teorici del secondo ‘800 troviamo invece Hugo Riemann, le idee del quale, tuttavia, sono
abbastanza lontane dal sistema in cui si origina la forma-sonata. A quell’epoca, infatti, la
formenlehre divenne una materia di studio per i conservatori, specialmente in Germania:
particolarmente influenti furono a questo proposito i professori del conservatorio di Lipsia
fondato da Mendelssohn nel 1843, sostenuti dalla più potente industria editoriale musicale mondiale
che aveva sede proprio in quella città.
Nei primi decenni del Novecento le nuove teorie organiciste, e in particolare quella di Heinrich
Schenker, criticarono fortemente la formenlehre che iniziò a perdere prestigio e ad essere sempre
più considerata alla stregua di un ricettario per fabbricare musica buona per gli esami di
conservatorio, ma incapace di dar conto della musica dei grandi compositori classici. L’enorme
influenza di Schenker nella musicologia teorica in Nord America dopo la Seconda guerra
mondiale ha di fatto cancellato la formenlehre per decenni.
Arnold Schoenberg, pur partendo da una concezione organicistica alla Schenker, prese una strada
diversa e, nel suo insegnamento e nei suoi scritti sulla forma ha gettato i semi per la rinascita
della formenlehre che, per il tramite del suo allievo Erwin Ratz, ha avuto un’inattesa rinascita nel
volgere del millennio col libro di William Caplin dal titolo Formal functions in Classical form del
1998.
La forma-sonata ha influenzato nel corso del periodo classico tutte le altre forme: si possono
intravedere procedimenti e ascendenze sonatistiche in qualunque tipo di forma (Rondò, Forma-
concerto, Scherzo). Si potrebbe dire che solo il tema e variazioni ed il minuetto, unica danza
barocca superstite, hanno conservato le proprie caratteristiche senza lasciarsi trasportare
dall’influsso sonatistico. Charles Rosen, ad esempio, parla dell’ascendenza sonatistica delle arie
d’opera di Mozart, ma è facilmente intravedibile tale atteggiamento anche nel repertorio del teatro
musicale più tardo (basti pensare a Una furtiva lagrima di Donizetti, romanza che oscilla tra
maggiore e minore).
Decisivo fattore per lo sviluppo dell’idea di forma musicale è il concetto di opera musicale: la
musica, da evento da fruire in specifiche occasioni, si reifica in un oggetto svincolato dal contesto
quotidiano, acquista esistenza autonoma, e diventa un artefatto equiparato ad un’opera d’arte
degno di essere collezionato e riproposto all’ammirazione del pubblico. La conseguenza è stata non
soltanto la progressiva affermazione di una scrittura obbligata (cosa che in Mozart ancora veniva
qualche volta a mancare), ma soprattutto l’affermazione delle idee interconnesse di Wertreue
(fedeltà all’opera) e Texttreue (fedeltà al testo) che insieme hanno conculcato nelle menti di
generazioni di musicisti la convinzione che la musica va eseguita com’è scritta e che l’esecutore
deve conformarsi al testo scritto “perinde ac cadaver”. Infine la concezione della musica come
opera d’arte ha portato a nuove modalità di critica musicale anche per quanto riguarda gli
aspetti formali, con la nascita dell’analisi musicale come nuova disciplina. In tutto ciò la figura di
Beethoven ha avuto un’influenza decisiva.
A questo punto delle domande sorgono spontanee:
Ma Beethoven condivide il nostro medesimo modello teorico nella concezione della forma-sonata?
Componendo seguiva dei percorsi mentali simili a quelli che sono stati tramandati in innumerevoli
testi di forma?
Usava le stesse parole chiave (sviluppo, ripresa, gruppo tematico secondario)?
Dagli schizzi di Beethoven emerge qualcosa. Egli divideva, secondo un canone prettamente
settecentesco, la composizione in “prima parte” e “seconda parte”, cui corrispondono esposizione
e ripresa. In un caso si trova una “terza parte”, ma questa si riferisce alla coda, come nel primo
movimento della Nona. Un’altra indicazione è la sigla “m.g.”, ossia Mittel-Gedanke (idea
intermedia), probabilmente il corrispettivo del secondo tema. Questa terminologia è molto vicina a
ciò che scrivono Czerny e Anton Reicha, ma bisogna comunque tenere a mente che i due scrissero i
loro trattati in un momento in cui erano “lontani” da Beethoven.
Reicha e Czerny
La forma-sonata viene chiamata da Reicha come grande coupe binaire e la teorizzazione definitiva
la troviamo nel suo Traité de haute composition musicale (circa 1824-26). Egli analizza il processo
creativo a partire da quella che chiama “idea musicale”, che può essere tanto un elemento melodico
(un motif naturel et franc), quanto una successione armonica o una sintesi di melodia e armonia
che si possa imprimere facilmente nell’ascoltatore. Successivamente Reicha discute su come
organizzare le idee musicali introducendo il concetto di devéloppement, o “sviluppo”: sviluppare le
idee significa “presentarle in diverse vesti, cioè combinarle in diversi modi interessanti; è, infine,
produrre degli effetti inattesi e nuovi su delle idee già note in precedenza”. Il devéloppement
descritto da Reicha consiste in una parte modulante a toni diversi, che di volta in volta presenta
un disegno musicale derivato dalle precedenti idee, giustapponendole fra di esse, ponendole in
imitazione e, appunto, sviluppandole. Egli, inoltre, afferma che tale sezione si colloca all’inizio
della seconda parte della grande coupe binaire. La sua idea di sviluppo riguarda comunque tutti i
procedimenti di elaborazione di un’idea musicale, e costituisce il punto focale del lavoro del
compositore. Comunque, è interessante notare che Reicha gerarchizza le varie forme in relazione
alla loro possibilità di sviluppare idee musicali: più una forma può sviluppare idee, più è elevata.
Reicha non distingue comunque la prima idea madre (tema principale) da una seconda idea (tema
secondario), come invece fanno assai genericamente Galeazzi e Koch. La distinzione arriverà a farsi
più chiara con Adolf Bernard Marx, nel quale la contrapposizione tematica verrà caratterizzata
attraverso il sesso femminile (tema secondario) e quello maschile (tema principale.
In The School of Practical Composition (1848) di Czerny vi è una descrizione della forma-sonata
di cui l’autore reclamava la priorità e che per anni è stata considerata la prima descrizione. In realtà
viene almeno due decenni dopo quella di Reicha e un po’ dopo quella di Marx. Già per Czerny
l’esposizione si compone di cinque parti:
1) il soggetto principale (TP);
2) la sua continuazione o amplificazione insieme ad una modulazione nel tono più vicino (Tr);
3) il soggetto intermedio in questo nuovo tono (TS);
4) una nuova continuazione di questo soggetto intermedio (TS-II / TC);
5) una melodia finale, dopo la quale la prima parte si chiude nel nuovo tono, in modo che la
ripetizione della stessa possa seguire senza problemi (Codetta)
La seconda parte del primo movimento comincia con uno sviluppo del soggetto principale, o del
soggetto intermedio, o perfino una nuova idea, passando attraverso diversi toni, e ritornando al tono
principale. Poi segue il soggetto principale e la sua amplificazione, ma di solito in forma abbreviata,
e modulando in modo tale che il soggetto principale possa riapparire intero, sebbene nel tono
principale; dopo di che, tutto quello che segue il soggetto intermedio nella prima parte viene
ripetuto nel tono principale, e così si arriva alla conclusione. Considerazione particolare in Czerny è
il fatto che il soggetto intermedio debba essere molto più difficile da inventare rispetto al
primo: per prima cosa perché deve essere più pregnante e piacevole melodicamente rispetto al
soggetto iniziale; in secondo luogo, pur dovendo essere il soggetto intermedio molto diverso da
quello che precede, deve tuttavia apparire come la logica conseguenza e continuazione delle idee
precedenti.
A.B. Marx
Secondo James Hepokoski, in un saggio del 1994, il termine forma-sonata è stato usato
ufficialmente per la prima volta da Adolf Bernard Marx nel 1838, ma già prima circolava nella
cerchia della Berliner allgemein musikaliche Zeitung. Marx utilizza il termine nella recensione della
prima edizione dell’op. 109. Tuttavia, esiste una menzione precedente del termine nella versione
sassone della rivista: l’editore svizzero Nageli, nell’Agosto del 1803, annuncia la nuova serie
periodica dal titolo Repertoire des Clavicenistes (che includerà la prima edizione dell’op. 31), nella
quale è intenzionato a pubblicare opere per pianoforte solo di stile grandioso, di ampie
dimensioni, che si allontanino in vari modi dalla “solita forma-sonata”.
Poco dopo il trasferimento di A.B. Marx a Berlino nel 1824, Schlesinger gli propose la direzione
della neonata rivista “Berliner allgemeine musikalische Zeitung” che divenne la portavoce
dell’idealismo in musica. Nel 1830, in seguito al rifiuto di Mendelssohn, a Marx fu offerta una
cattedra universitaria di musica nella nuova università di Berlino, che comprendeva tra i suoi
docenti Fichte e Hegel. Il progetto di Marx era culturale ed insieme politico: fondare un’identità
nazionale tedesca (il periodo è quello dell’opera romantica di Weber) basata sulla supremazia della
musica “assoluta”, e in particolare della sinfonia, il cui campione era Beethoven.
L’intenzione di Marx era creare una teoria che elevasse il mestiere di compositore al rango di
filosofia dello spirito. Il progetto culminerà nel trattato La teoria della composizione musicale
pubblicato in 4 volumi dal 1837 al 1847, in cui lo studio della composizione era considerato come
componente della Erziehung, ossia di uno sviluppo integrale delle potenzialità dell’individuo. Alla
base del metodo c’era anche la venerazione per Beethoven; in particolare, le sonate per pianoforte
costituiscono il modello per la sua concezione della forma-sonata, e l’autentica matrice della
formenlehre da Marx in poi.
Egli distingue tre tipi di forme:
a) Forme fondamentali: la precondizione per tutte le forme musicali possibili (il Gang
e lo Satz);
b) Forme artistiche: valide per tutte le composizioni che riferiscono ad un determinato
genere (come la sonata o la sinfonia);
c) Forme individuali: valide per singole composizioni.
La forma artistica, detta forma-sonata, costituisce il punto più elevato in una gerarchia di forme
basate essenzialmente su due elementi: il Gang, ossia il passaggio o transizione; e il Satz che
rappresenta un elemento concluso in sé che contiene la totalità di processi che può subire
un’idea musicale (la sua esposizione, la sua ripetizione contrastante, l’espansione e la cesura - per
Marx il satz poteva essere anche un’intera composizione, un’intera esposizione, un periodo di 8
battute, quindi non solo la frase; comunque si tratta di una forma fondamentale che conteneva tutte
le funzioni di un odierno periodo o frase, una qualsiasi unità conchiusa). Alla loro origine c’è una
figura primordiale: la Urgestalt, il motivo, ossia la forma primordiale di ogni evento musicale,
la configurazione archetipa di un organismo vivente. Il compito dello spirito è quello di prendere
questo motivo e ripeterlo, portandolo attraverso circostanze nuove e diverse e qui sta la
Kunstgelbilde, la vera formazione artistica nella quale lo spirito non solo annuncia sé stesso,
ma agisce anche creativamente. Questa creazione artistica prende il nome di gang, il movimento,
il passaggio del motivo da un’ambientazione (quella originale) ad un’altra.
Per Marx la forma-sonata altro non è che un completamento del Rondò formato da:
Satz principale – Satz secondario – Gang – Satz principale – Satz secondario nella tonalità
d’impianto [Gang + Satz conclusivo]
Secondo Marx, la forma-sonata si trova su un piano più elevato rispetto ai rondò perché al suo
interno si crea una dialettica che le forme di rondò, basate sulla successione e concatenazione di
vari Satze e Gange, non possiedono. Lo schema della forma-sonata è dunque:
Prima parte Seconda parte Terza parte
SP – SS- G - SC --- SP – SS (in tono) – G – SC

Con Marx la forma sonata abbandona la sua suddivisione in due parti e diventa finalmente
tripartita. La tripartizione è la conseguenza del rilievo che Marx attribuisce al Satz principale:
il suo ritorno a metà della (vecchia) seconda parte non può più essere ignorato, e anzi crea una
separazione formale che porta inevitabilmente alla definizione di una terza parte.
Tuttavia, ci si aspetterebbe un Gang tra SP ed SS, la nostra transizione (il pont di Reicha) e
soprattutto sembra assurdo chiamare la coda come Satz conclusivo, dato che si tratta di una sezione
senza autonomia tematica. Evidentemente qui Marx ha forzato la natura della sonata per rimanere
fedele alla sua impostazione teorica che fa considerare tutte le forma artistiche come derivazioni o
varianti del rond.
Inoltre interessante è il fatto che la seconda parte venga descritta come un “---“, indicando così una
sezione che presenta un’alta variabilità, evitando così di indicare una successione di eventi fissa
come nella prima parte e la terza parte. Però Marx dà dei punti fermi anche per questa seconda
parte: non contiene idee nuove, ma ripropone le idee precedenti in maniera “piuttosto scelta,
ordinata e connessa, e variata in modi adatto ad ogni differente stadio della composizione”. Lo
scopo della seconda parte è quello di ricreare su ampia scala la dialettica fondamentale che Marx
pone alla base di tutta la morfologia musicale:
Riposo – Movimento – Riposo
Dunque l’uomo necessita di creare contrasti per la materializzazione della propria ragione: il punto
culminante del contrasto coincide, allo stesso tempo, all’inizio della quiete.
Da una parte, quindi, la concezione marxiana dello sviluppo giustifica l’idea di lavoro tematico che
dominerà la formenlehre ottocentesca; dall’altra, Marx pone le basi per l’idea rotazionale dello
sviluppo che verrà ripresa agli inizi degli anni duemila nella teoria di Hepokoski e Darcy.
Quella che per Marx era una disciplina al confine tra estetica e filosofia divenne nei decenni
successivi una materia scolastica separata dalla Teoria musicale. La tradizione dialettica marxiana
prosegue nella scuola berlinese con la Teoria della forma musicale di Ludwig Bussler, anello di
congiunzione tra Marx, Schönberg, il suo circolo e Ratz. Vi troviamo, infatti, le stesse forme di base
dei temi (Satz e Periode) che costituiranno i poli fondamentali dei temi nella concezione
schoenberghiana.
Ovviamente di grande importanza resta la figura di Hugo Riemann, il quale ha diffuso
universalmente il concetto di “fraseggio”. La fraseologia riemanniana ha avuto un notevole impatto
non solo sulla musicologia, ma anche sulla prassi esecutiva attraverso le cosiddette “edizioni
fraseggiate” in cui ai convenzionali segni di articolazione il teorico sostituiva un sistema di legature
che indicavano l’estensione ed il collegamento delle frasi. Comunque, sulla grande forma Riemann
non ha portato contribuiti così grandi, quanto invece sulla sua teoria fraseologica.
Seguono poi tutte le concezioni vitalistiche: la shenkeriana e la sua eredità in Schönberg.
L’impronta della filosofia hegeliana sulla teoria della forma musicale del XIX secolo
Già nei 4 volumi di A.B. Marx (pubblicati tra il 1837 ed il 1847) si avvertono diversi punti di
contatto con la filosofia hegeliana. Questo anche perché diventò professore di musica
nell’università di Berlino nel 1830, ultimo anno del rettorato di Hegel, il quale non solo teneva
ancora lezioni d’estetica, ma poneva sempre come punto di riferimento la propria Scienza logica
del 1812.
Il trattato di Marx è un vero e proprio spartiacque nella storia della teoria musicale, soprattutto
per il rapporto tra i principi della filosofia hegeliana e la concezione della musica strumentale del
tempo, ancora basato sull’idea della bipartizione. Nel terzo volume si forma la vera e propria
disciplina della formenlehre, un ambito disciplinare che si va ad aggiungere all’armonia ed al
contrappunto. Si tratta dell’inaugurazione di una tradizione di studi che culminerà nella
morfologia funzionale di Ratz (allievo di Schönberg) e che proietta la sua ombra in Dahlhaus e
nelle teorie della forma musicale sviluppate in America negli ultimi tempi da William Caplin.
Quella di Marx è un’estetica applicata posta su basi idealiste: egli mira a trovare nella tecnica
compositiva i principi della ragione propri dell’uomo (simmetria, armonia e conformità).
Secondo Marx ogni opera d’arte deve avere una forma, ognuna possiede un profilo composto da
sezioni di diverso tipo e quantità che segnano un inizio ed una fine. La forma è il modo in cui il
contenuto (sentimento, immaginazione ed idea del compositore) dell’opera assume una
configurazione esterna: si tratta di un’estrinsecazione (concetto che compare nella seconda parte
della Scienza logica, in cui assume il valore di una forza che trascende sé stessa proiettandosi
all’esterno), una configurazione esterna del contenuto. Marx ribadisce la determinazione della
forma tramite il contenuto in un saggio del 1856, nel quale afferma anche che il contrario della
forma è la sua assenza, ossia un contenuto non plasmato, non determinato e non determinabile.
Così conferire una forma implica un lavoro dello spirito: un contenuto musicale intraducibile
può essere inserito in un chiaro processo comunicativo nel momento in cui fa parte di un’opera
d’arte (per Hegel quest’ultima consiste in un contenuto determinato).
August Reissmann, insegnante al conservatorio di Berlino dal 1866 al 1874 condivide in gran parte
le soluzioni di Marx. Per lui, infatti, la forma presenta un duplice radicamento: sia nelle leggi
naturali del materiale, sia nella peculiarità del contenuto. L’opera d’arte, che è estrinsecazione,
ossia proiezione esterna dell’interiorità spirituale, ha bisogno della forma in quanto limitazione nei
confronti dell’infinita ricchezza della vita interiore. Secondo Reissmann, nella prospettiva della
ricezione, per comprendere la musica non basta l’orecchio (effetto sensibile), ma occorre
l’intelletto comparativo e combinatorio.
Comunque la forma come concetto è qualcosa di universale, sebbene sia il condensato di una
molteplicità di forme particolari; ognuna di queste deve sempre la sua origine ad un contenuto
determinato e tale contenuto consegue una pattura individuale nei diversi maestri e nei diversi
secoli.
Marx constata l’esistenza di una molteplicità infinita di forme specifiche che si lasciano
comunque ricondurre alle due forme fondamentali di Gang e Satz.
Dunque il rapporto tra forma e contenuto si dispiega in modo circolare anche sul piano
diacronico:
a) da un lato contenuti specifici fanno nascere le forme che poi si consolidano mediante
ripetuti usi;
b) dall’altro lato la spinta individualizzante, implicita in ogni nuovo contenuto, produce una
modificazione delle forme stesse.
Così la forma muta seguendo sempre gli stessi principi individuali di mutamento del contenuto. Ad
esempio, Beethoven scrive l’op. 31 decidendo di affrontare un determinato problema tecnico,
ossia la pregnanza del tema principale e della sua propulsione. Ciò determina una
frammentazione della struttura, una maggiore importanza data al tema secondario ed una
conseguente diversa gestione dello sviluppo accompagnata da maggiori aggiustamenti
all’interno della ripresa.
Queste innovazioni del contenuto diventeranno prerogative dello stile di Schübert, il quale
scriverà delle composizioni impiantando le proprie soluzioni formali su questi punti già esplorati da
Beethoven; ma ovviamente Schübert non si ferma lì: esplora ancor di più nuove armonie, amplia lo
spazio tonale in cui agire, defunzionalizza i rapporti armonici e introduce una concezione ciclica
del contenuto e quindi della forma (ciò attraverso numerose iterazioni, associazioni, reminiscenze e
continue tematizzazioni di motivi). Questa sarà la base su cui si muoveranno i compositori
successivi: da Liszt a Brahms, fino ad arrivare a Schönberg e Berg.
Dal punto di vista prettamente hegeliano il tutto potrebbe essere interpretato in questo modo:

RITORNO
IN SÉ
A SÉ
Nuova
Forma
forma
FUORI DA SÉ
consolidata con ripetuti usi dei medesimi contenuti
Forme influenzata dalla spinda indivvidualizzante dei singoli
►Familiarizzazione
compositori ►Defamiliarizzazione
Nel campo della teoria musicale l’abbandono della prospettiva hegeliana, che si annuncia nei
primi decenni del XX secolo, non è solamente marcato dall’emergere della psicologia e della
lebenphilosophie (la filosofia della vita che entra in opposizione al positivismo, all’intellettualismo
e all’idealismo), ma anche dall’esigenza di pensare la forma nei termini di un processo storico.
Comunque in un’opera d’arte la libertà non deve mai assentarsi! La forma non è una catena, ma
uno spazio dentro al quale i compositori devono trovare un accordo con delle convenzioni formali
e la propria individualità. Il permanere di queste convenzioni formali è un qualcosa di possibile
perché presenti a priori nell’uomo di una determinata epoca storica, figlio di un determinato
zeitgeist. È proprio qui la chiave dell’analisi formale secondo la prospettiva marxiana: prendendo
come esempio l’op. 31 n. 1 Marx spiega che bisogna tenere conto non solo delle leggi e condizioni
generali, ma anche del particolare contenuto, dell’idea e dell’atmosfera che un particolare demiurgo
vuole creare. Proprio in questa sonata, infatti, da un tema principale in tonalità di Sol maggiore ci
si aspetterebbe di passare ad un tema secondario in Re maggiore, ma così non è: si passa al Si
maggiore (la variante del contraccordo di tonica) che si trasformerà in si minore, per poi
esplorare la zona della dominante minore, cui segue quella del fa# minore, e giungere solo alla
fine a Re maggiore. In sostanza, il compito del compositore, e di colui che fa arte in generale, è sì
proporre e rispettare delle convenzioni formali, ma il contenuto di esse deve meravigliare il
pubblico: quest’ultimo deve vedere sgretolarsi il proprio orizzonte d’attesa per provare vere
sensazioni.
Altro ambito in cui si manifesta la libertà è ovviamente l’elaborazione tematica, fattore
caratterizzante della forma-sonata (Kostlin nel 1857 la chiama infatti forma del libero sviluppo
del pensiero musicale). L’elaborazione tematica prevede che i pensieri musicali non vengano
giustapposti, ma che siano derivati l’uno dall’altro in rapporto di continuità organica e reciproca
subordinazione. Widmann dice che il luogo dove questo avviene col pieno genio artistico è la
sezione di sviluppo (facendo riferimento anche alla pratica improvvisativa), la quale anche secondo
Marx mette in scena il principio dialettico di quiete-movimento caratterizzante di qualsiasi
forma musicale:
A B A
quiete movimento quiete
In sé Fuori da sé Ritorno a sé

Per Hegel la musica non costruisce le sue forme mediante un riferimento al mondo esterno, ma il
contenuto è vivo solo nella sfera dell’interiorità soggettiva, per l’espressione della quale simmetria e
regolarità assumono una maggiore importanza.
Jadahsson, che nel 1885 considera Beethoven come il “realizzatore perfetto delle forme musicali
moderne” arricchisce tantissimo la prospettiva di A.B. Marx. Beethoven viene da sempre
considerato artefice massimo dell’unità del molteplice e questo si avverte soprattutto negli allegri
di sonata dove il tema secondario sta ancora in rapporto di subordinazione (rapporto che si esprime
simultaneamente sul piano dell’organizzazione ipermetrica, sul piano armonico, sul piano motivico
e sul piano di testure) col tema principale. Ciò è possibile soprattutto grazie all’elaborazione
tematica che sprigiona un’enorme forza propulsiva fino all’inevitabile collasso attraverso la
liquidazione.
Quindi ecco perché secondo Vischer, già nel 1846 (decennio in cui la Germania stava conoscendo
la musica di Berlioz), il conflitto dei momenti è il fattore qualificante del bello: il contrasto è
una somma legge artistica. Di questo ne era già consapevole Marx quando parlava di gegensatz, il
conseguente del periode, la struttura da lui definita perfetta proprio per la presenza di un
contrasto.
Marx è il primo ad affermare in maniera chiara e precisa che il contrasto esiste anche a livello
macro-strutturale: è il principio fondamentale che sta tra il tema principale ed il tema
secondario, due opposti che si ricompongono in un’unità superiore (l’esposizione) nel quadro di
una totalità comprensiva (l’allegro di sonata). Sull’argomento ha fatto importantissimi studi Arnold
Schmitz, il quale nel 1923 parla di derivazione contrastante, una definizione accolta anche da
Arnold Schönberg. Egli si riferisce ai temi secondari che stabiliscono un duplice rapporto di
derivazione e contrasto: quest’ultimo si produce mediante l’estrazione di un dettaglio del tema
principale e la sua immissione in nuovo contesto dove assume una diversa funzione. Questo è
quello che avviene ad esempio all’inizio del tema secondario dell’op. 2 n. 1 in cui il gruppo di 2
battute dell’inizio propone l’inversione intervallare del disegno melodico. Un altro esempio è
sicuramente ciò che avviene nella D959 di Schubert, in cui un disegno motivico presentato nella
codetta viene tematizzato e sviluppato estremamente ed assiduamente all’interno della sezione di
sviluppo. O ancora più chiaro è ciò che avviene nella sonata D960 in cui la sezione mediana
contrastante del tema principale, strutturato come una piccola ternaria, presenta il motivo iniziale
sotto un’altra veste armonica, quella di Solb maggiore, la quale conferisce tutto un altro significato
al disegno melodico. E non solo: il medesimo motivo viene presentato invertito all’interno del tema
secondario, fungendo da accompagnamento al motivo principale dell’idea secondaria.
Sta qui il principio dell’unità del molteplice, un principio espresso chiaramente con tutti quei
processi di elaborazione tematica, quali:
a) La modificazione di una delle componenti del tema;
b) La sostituzione del modello di accompagnamento;
c) Il mutamento della testura contrappuntistica;
d) Le modificazioni dinamiche e ritmiche;
Così il tema deve essere sì costruito come una totalità compatta e coerente, ma deve presentare
anche delle enormi potenzialità di sviluppo. Per questo per Marx il periode è sì la struttura
simmetrica perfetta per la presenza di tutto il coinvolgimento dialettico, ma allo stesso tempo la sua
rigidità e la sua chiusura non permettono la propulsione verso altro. Infatti proprio Schönberg intuì
che in realtà die zats, una struttura asimmetrica, è quella che risulta essere più forte: il modello di
due battute e la sua ripetizione, cui segue la contrazione, la condensazione, lo svolgimento e
l’accelerazione armonica consente di parlare di uno sviluppo già interno alla struttura fraseologica.
Comunque bisogna tenere presente il fatto che la preferenza dei pezzi unici caratteristici da un certo
momento in poi non equivale alla predilezione della casualità e della frammentarietà, ma si tratta di
un organico differente sempre definito sulla base del referente: il corpo umano. Infatti, per
Schubert si è parlato di organico vegetativo, in cui il senso di totalità è definito dalla metrica: la
materia si muove avanzando per conto proprio fino a quando non viene contenuta. Si tratta di
un’ideologia tipica dei moti dell’io individuale che sviluppa forme proprie attraverso una spinta
emotiva.

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