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Ludwig van Beethoven (1770-1827)

Beethoven è l’ultimo dei tre compositori definiti i “classisi” viennesi, ma le opere della fase
conclusiva della sua produzione aprono già la strada al Romanticismo. Nativo di Bonn, riceve il
primo insegnamento dal padre, un mediocre musicista che vorrebbe farne un bambino prodigio alla
maniera di Mozart. Nel 1792 si trasferisce a Vienna dove trascorrerà tutta la sua vita. Studia con
Haydn e, dopo la partenza di quest'ultimo per Londra (1794), con Salieri. Si afferma ben presto
come pianista negli ambienti dell'aristocrazia. La sua vita è totalmente condizionata dalla sordità
che inizia a manifestarsi nel 1795, anno a cui risalgono le sue prime composizioni. Nel 1802 scrive
il "Testamento di Heiligenstadt", una lettera in cui rivela ai fratelli il dramma di una sordità che si è
progressivamente aggravata, facendogli meditare il suicidio. Eccone uno stralcio:
Per i miei fratelli
O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale,
come siete ingiusti con me. Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un'apparenza.
Il mio cuore e la mia mente erano sin dall'infanzia inclini al tenero sentimento della
benevolenza, ma pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile. Nato con
un temperamento ardente e vivace, persino aperto alle distrazioni della vita sociale, ho
dovuto presto isolarmi, vivere in solitudine, come avrei infatti potuto dire agli uomini:
parlate più forte, gridate, perché sono sordo, come poter confessare la debolezza di un
senso che dovrei possedere molto più degli altri. Perdonatemi quindi se mi vedrete stare in
disparte là dove invece mi mescolerei così volentieri con voi. che umiliazione quando
qualcuno accanto a me udiva di lontano il suono di un flauto e io nulla questi fatti mi
portavano al limite della disperazione e poco ci mancò che non mi togliessi la vita solo
l'arte mi ha trattenuto dal farlo; mi è parso impossibile lasciare questo mondo prima di
avere pienamente realizzato ciò di cui mi sentivo capace. E così ho trascinato questa misera
esistenza…..

Beethoven condusse una vita riservata e schiva ma era conosciuto e stimato. Ai suoi funerali
celebrati a Vienna nel 1827 parteciparono oltre 20.000 persone.
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Protetto e sostenuto dalla colta aristocrazia viennese, non fu mai al servizio di alcuna famiglia,
rimanendo sempre un musicista indipendente. La sua concezione etica dell'arte - concepì la musica
come mezzo per un messaggio rivolto a tutta l'umanità - si traduce in una produzione strumentale
che partendo dall'eredità di Haydn e Mozart porta al culmine le possibilità comunicative della
sinfonia, della sonata e del quartetto, ed infine trascende i confini stilistici del classicismo
pervenendo ad un linguaggio del tutto innovativo. La sua produzione è tutta incentrata sulla musica
strumentale se si esclude un’opera Il Fidelio in forma di singspiel a cui il compositore si dedicò con
fasi alterne per parecchi anni. Celebre soprattutto per le sue 9 sinfonie scrisse anche 17 quartetti per
archi, 32 sonate per pianoforte, 5 concerti per pianoforte, uno per violino, uno per pianoforte, altra
musica sinfonica, cameristica e per pianoforte.

Le sinfonie
La sinfonia è un genere per orchestra che nasce e si sviluppa nel Classicismo. Haydn è considerato
il “padre” della sinfonia anche se precedentemente a lui altri autori avevano cominciato a
sperimentare come poter strutturare la composizione. Haydn ha composto oltre cento sinfonie,
definendone la struttura in 4 movimenti: un tempo veloce, un tempo lento, un minuetto, un finale in
tempo veloce. Mozart ne scrisse una quarantina, Beethoven invece soltanto nove. Questo solo fatto
dimostra chiaramente che i costumi erano mutati e che non si scriveva più con l'abbondanza e
facilità di un tempo. Haydn e Mozart avevano composto sovente su commissione, per conto di
persone dalle quali ricevevano i mezzi per vivere; ora, invece, la produzione artistica diventava
indipendente e svincolata da circostanze esterne. Certo, anche Beethoven in alcuni casi ha
composto su commissione, ma, a meno che non si trattasse di lavori poco importanti e scarsamente
significativi, la sua accettazione era sempre subordinata al fatto che l'opera proposta fosse conforme
alla sua volontà artistica; egli e non il committente determinava il modo e il genere dell'opera che
doveva essere realizzata. Nella storia della musica Beethoven è una figura di uomo e di artista
assolutamente nuova. Nella vita cercò sempre la libertà e l'indipendenza. Formatosi proprio negli
anni in cui la rivoluzione francese dettava all'umanità leggi nuove di fratellanza e di uguaglianza,
egli sentì che anche l'artista ha il dovere di lavorare per tutti i suoi simili. Così fu il primo a spezzare
ogni rapporto di subordinazione con l'aristocrazia e per primo visse del proprio lavoro che offriva ai
suoi editori pretendendo di essere ricompensato per quello che valeva. Vive in un importante
periodo di transizione tra Classicismo e Romanticismo: partendo dalle conquiste musicali che
Mozart e Haydn avevano compiuto, trasforma generi e stili dotandoli di una carica espressiva del
tutto personale. Caratteristica saliente del processo creativo beethoveniano è il sottoporre l'opera ad
un processo di selezione: pochi musicisti hanno lasciato tanti abbozzi e schizzi di composizioni non
condotte a termine quanti ne ha lasciati Beethoven. È certo che se tutti i progetti fossero stati
realizzati il numero delle sue opere sarebbe triplicato. Gli abbozzi venivano invece scartati l'uno
dopo l'altro e soltanto ciò che aveva l'impronta di un'assoluta maturità e originalità artistica era poi
elaborato. Si spiega così in parte come tutte le sinfonie di Beethoven siano entrate a far parte del
patrimonio musicale universale, mentre solo poche delle sinfonie di Haydn e di Mozart si sono
universalmente affermate
Si è soliti dividere le opere di Beethoven in tre periodi sulla base dello stile e della cronologia.
Vincent d'Indy li definisce periodo dell'imitazione, dell'estrinsecazione e della riflessione, anche
se le linee di demarcazione tra un periodo e l'altro non sono precise. Il primo periodo,
dell'imitazione, va fino al 1800 circa e comprende tra le altre opere le prime due sinfonie e la sonata
Patetica. Il secondo periodo va fino verso il 1814 e comprende le sinfonie dalla terza all'ottava e
l’opera Fidelio, il terzo periodo comprende l'ultima sinfonia corale.
Le prime due sinfonie sono classiche e le caratteristiche tecniche principali derivano da Haydn
L'originalità di Beethoven è comunque già evidente nell'importanza inconsueta attribuita ai legni,
nel carattere del terzo movimento, uno scherzo (non più un minuetto), e soprattutto nelle lunghe ed
importanti code. Il segno francese crescendo che porta ad un piano è soltanto un esempio
dell'accurata attenzione prestata alle sfumature dinamiche, che è un elemento essenziale nello stile
del compositore. La svolta si ha con la terza sinfonia Eroica. Quando iniziò il lavoro, nel 1803,
Napoleone Bonaparte appariva un campione della libertà ed è pensando al condottiero e all'uomo
politico francese che il grande musicista concepì la sua opera e la intitolò Bonaparte. Nel maggio
1804, quando ebbe notizia che Napoleone si era fatto incoronare imperatore, soppresse il titolo
primitivo sostituendolo in seguito con quello di sinfonia Eroica. Nel 1805 la sinfonia fu eseguita per
la prima volta in pubblico e lasciò stupiti e perplessi gli ascoltatori. Era infatti una sinfonia di
proporzioni molto ampie e di una complessità che non ha paragoni con le precedenti creazioni del
genere. Nell’esposizione del primo movimento sono presentati sei temi e la sezione di sviluppo ne
introduce un altro ancora che ritorna nella coda: l'elemento eccezionale è il modo con cui l'intero
materiale è costantemente elaborato e sviluppato, quasi come se un tema fosse la continuazione di
un altro, si risolvesse in esso in una costante crescita dinamica. Beethoven in questa sinfonia
impiega un espediente timbrico molto innovativo: lo stile spezzato. Il filo della melodia corre da
uno strumento all'altro, vivido di cangianti colori: innovazione che in un primo tempo non fu
accolta con incondizionata approvazione poiché si era abituati a sentire eseguire una melodia da un
unico strumento oppure da tutto un gruppo all'unisono. Il secondo movimento poi è insolito: si tratta
di una Marcia funebre. C'è chi ha avanzato l'ipotesi che sia stata introdotta da Beethoven dopo
l'incoronazione di Napoleone e quasi a commento di essa. Il musicista avrebbe cioè voluto
sottolineare con un brano di intonazione funebre la scomparsa di quel grande uomo nel quale aveva
tanto entusiasticamente creduto. La quarta, quinta e sesta sinfonia furono tutte composte tra il
1806 e il 1808, un periodo di eccezionale fecondità. La quinta sinfonia fu completata attraverso
rifacimenti e innumerevoli ritorni; presenta una particolarità stilistica tipica dell'autore: tutto il
primo movimento si basa sull’elaborazione di un’unica concisa cellula tematica, il cui sviluppo
rappresenta un vero e proprio avvenimento musicale. Ciò che interessa non è il tema compiuto,
ma la sua genesi, il suo divenire: tre note ribattute in crome e un intervallo discendente di terza
maggiore vengono riprese, trasportate ai vari strumenti, poste in nuove tonalità, a dimostrare come
da un piccolo inciso musicale si possa giungere all'elaborazione di un intero tempo di sinfonia. La
sesta sinfonia in fa maggiore, Pastorale, del 1808, è una sinfonia a programma cioè l’autore si è
ispirato a qualcosa di extramusicale, in questo caso a scene di vita all’aria aperta. È in 5 tempi,
ognuno dei quali reca un titolo di carattere descrittivo che suggerisce una scena di vita campestre. Il
primo Allegro Risveglio dei sentimenti all'arrivo in campagna, il secondo Andante Scena al
ruscello, il terzo Allegro Festa dei contadini, il quarto Allegro Il temporale, il quinto Allegretto
Canto pastorale: sentimenti di gioia e di riconoscenza dopo il temporale. Beethoven adatta il suo
programma descrittivo alla consueta forma sinfonica classica, dalla quale si discosta inserendo,
dopo lo scherzo (Festa dei contadini), un movimento supplementare (Il temporale), che ha la
funzione di introdurre il finale. Nella coda dell'andante (scena del ruscello), il flauto, l'oboe e il
clarinetto si uniscono armoniosamente nell'imitare il canto degli uccelli: l'usignolo, la quaglia e il
cuculo. Tutto questo apparato programmatico è subordinato alla tranquilla espansione della forma
musicale attuata complessivamente nella sinfonia; il compositore stesso avverte di non considerare
troppo alla lettera i titoli e le descrizioni che chiama "espressioni di sentimenti più che
rappresentazioni". La settima e l'ottava sinfonia furono entrambe completate nel 1812. La settima
fu definita da Wagner l'apoteosi della danza mentre l'ottava viene composta in un lasso di tempo
insolitamente breve e quasi nell'attesa dell'epica drammaticità della nona non presenta elementi
dichiarati di contrasto. Fra la composizione dell'ottava e della nona sinfonia intercorrono 12 anni di
solitudine, miseria e malattia. In questo periodo matura nel maestro, ormai completamente sordo, il
progetto di un'opera sinfonica che doveva essere una specie di testamento umano e spirituale,
un'esaltazione del suo credo artistico: una professione di fede nella forza dell'amore, della
comprensione umana che tutte le barriere abbatte e tutto comprende. Fu eseguita per il prima volta
nel 1824. Il pubblico scelto e numeroso applaudì calorosamente: dopo l'ascolto della sinfonia
Beethoven non si voltò a ricevere gli applausi perché non poteva sentirli; uno dei cantanti solisti lo
tirò per la manica e indirizzò il suo sguardo verso le mani che applaudivano. La novità più
sorprendente della nona è l'inserimento del coro e delle voci soliste in un genere che era
sempre stato esculsivamente strumentale. Beethoven aveva avuto l'idea di comporre un
adattamento musicale dell'ode alla gioia di Schiller già nel 1792, ma la sua decisione di inserire un
finale corale a questa sinfonia non fu presa che nell'autunno del 1823. La scelta che Beethoven fece
delle stanze da adattare alla musica è significativa dei suoi ideali etici, infatti selezionò quelle parti
che enfatizzavano due principi: la fratellanza universale degli uomini attraverso la gioia, e il suo
fondamento nell'amore per un padre celeste. La nona fa parte di quel gruppo di composizioni
beethoveniane in cui il musicista, ormai giunto alle supreme vette tecniche ed espressive nell'ambito
delle forme tramandate, cerca in se stesso un mondo nuovo, spezza definitivamente le barriere della
tradizione per conquistare nuove possibilità di espressione. Come gli ultimi quartetti e le ultime
sonate per pianoforte, anche la nona risente di queste importanti novità di concezione. Sarebbe
dunque difficile cercare in questo pezzo temi cantabili e lirici sul tipo di quelli che si trovavano
nelle sinfonie precedenti: qui gli incisi tematici spesso non hanno valore melodico autonomo, sono
solo un materiale greggio. Così il primo tempo attacca con un inciso ritmico elementare che poco
dopo dà vita ad un incisivo tema di sole quattro battute. Al secondo posto non sta questa volta
l'adagio ma lo scherzo, una delle pagine più sconvolgenti che siano uscite dalla penna di Beethoven.
Segue l'adagio su due temi pacati e lirici, quindi il Presto che aggredisce l'ascoltatore con una forza
e una potenza inaudite. In questo mastodontico finale molto elaborato suddiviso in vari
cambiamenti di tempo, oltre il tema dell’inno alla gioia, che viene proposto secondo la struttura del
tema e variazioni, Beethoven riprende Bach con una grandiosa doppia fuga, inoltre sono citati i temi
dei 3 movimenti precedenti cuciti tra loro attraverso i recitativi dei violoncelli e contrabbassi.
L’organico strumentale è molto ampio e la sinfonia ha una durata di circa 65 minuti, è quindi molto
più estesa delle precedenti. Con la nona sinfonia Beethoven cambia la storia di questo genere
musicale. "Tu non hai idea, - scriveva Brahms a un amico nel 1870, giustificandosi per aver
protratto così a lungo la stesura della sua prima sinfonia - di come si sente uno di noi quando si
sente sempre camminare alle spalle un gigante". Dal confronto con Beethoven si sentirono oppressi
quasi tutti i principali autori tedeschi e austriaci del secolo come Schubert, Schumann, Brahms,
Bruckner e Mahler.

Sinfonia n. 5 op. 67 in Do minore


1. Allegro con brio
2. Andante con moto (la bemolle maggiore)
3. Allegro
4. Allegro (do maggiore)

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani,
archi
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 22 Dicembre 1808
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1809
Dedica: Principe Joseph Lobkowitz e Conte Andrej Razumovsky

La stesura della Quinta Sinfonia beethoveniana occupa un periodo di tempo assai ampio. Dopo i
primi abbozzi risalenti al 1804, il compositore la riprese nel 1807 e la completò solo nella
primavera dell'anno successivo; una testimonianza della particolare cura e attenzione che
Baeethoven riservò al suo lavoro, frutto di un processo creativo lungo e sofferto. La “prima” della
Sinfonia ebbe luogo il 22 dicembre 1808 nel celebre teatro viennese An der Wien sotto la direzione
dello stesso autore. Fin dalle prime esecuzioni l'opera suscitò l'entusiasmo della critica più incline
alla nuova sensibilità romantica, come testimoniò E.Th.A. Hoffmann che ne intuì «l'unitarietà e la
logica interiore». La Quinta, forse la più eseguita e la più universalmente conosciuta delle nove
sinfonie, è considerata il paradigma del sinfonismo beethoveniano nel senso che nessuna altra opera
presenta le caratteristiche peculiari del linguaggio di Beethoven con altrettanta chiarezza e
concisione. All'atto della pubblicazione la Sinfonia venne dedicata al principe Andrej Kyrillovic
Razumovskij (noto anche per la dedica dei celebri quartetti dell'op. 59) e a Franz Joseph Lobkowitz
(a lui Beethoven aveva dedicato anche la Terza Sinfonia), preziosi mecenati e amici del
compositore.

La Quinta è senza dubbio uno dei brani musicali più conosciuti e amati di ogni tempo, uno di quelli
che più ha fatto versare i proverbiali fiumi di inchiostro nei circa duecento anni che intercorrono tra
la sua creazione e i nostri giorni. A determinare la sua grande fama e l’impatto straordinario che
essa continua ad avere sul pubblico concorrono due fattori molto diversi tra loro, ma strettamente
legati: da una parte, gli elementi biografici e più in genere extramusicali, dall’altra le caratteristiche
compositive, orchestrali e tecniche del brano. In senso extramusicale la sinfonia è sempre stata vista
come un simbolo della lotta dell’uomo contro il destino – pare che Beethoven, riferendosi alle
celeberrime quattro note iniziali abbia detto: «Ecco il destino che batte alla porta» – e come tale
divenne nell’Ottocento un autentico mito etico e artistico; del resto è davvero difficile ignorare,
quando si prendono in esame il contenuto e la genesi di questo brano, le vicende politiche e
biografiche di quegli anni, la sordità del compositore che si faceva sempre più accentuata e
insopportabile e l’occupazione francese di Vienna del 1805. Dal punto di vista musicale, le novità e
la portata del brano sono forse addirittura più eclatanti: la concisione e pregnanza del gesto, la sua
drammaticità e monumentalità senza precedenti, l’inaudita concezione, che lega tra loro i quattro
movimenti attraverso il ricorrere di elementi tematici e strumentali, lo stesso uso dell’orchestra non
hanno possibili confronti nelle opere dei predecessori di Beethoven e neanche nelle stesse sue
precedenti composizioni. A partire dalle quattro note iniziali il compositore costruisce un intero,
complesso mondo espressivo carico degli accenti più diversi; e proprio la riapparizione delle quattro
note nei vari movimenti della sinfonia dà all’ascoltatore la sensazione chiarissima, già compresa e
descritta dal pubblico della prima metà dell’Ottocento, della “ricerca indirizzata a un fine preciso”,
dell’incessante “lotta che mira a una sola meta”, per citare alcuni commentatori dell’epoca. Vi si
legge la reazione di un'umanità in perenne lotta contro il proprio drammatico destino, contro il
quale l'uomo si erge a combattere eroicamente in nome della ragione. Al cosiddetto, drammatico
“Tema del Destino” si contrappone un tema trionfale – per molti commentatori simbolo dell’uomo
–, che appare in modo quasi inaspettato nel secondo movimento, e che diventa poi, trasfigurato, il
tema principale del monumentale finale. Così nella sinfonia vediamo continuamente emergere gli
opposti in lotta, in una gigantesca visione antagonistica in perenne mutamento: contrasti violenti si
susseguono a momenti più mitigati e lirici, passi ritmici tensivi si alternano a più morbidi accenti.
Anche la successione dei movimenti sinfonici viene dunque stravolta e trasfigurata in questo
capolavoro: invece di mostrare i classici quattro “caratteri” complementari delle sinfonie di Mozart
e Haydn, i quattro movimenti si presentano come diverse facce di uno stesso oggetto, come
inarrestabile processo di scoperta e di trasformazione destinato a sfociare e a risolversi nel
movimento conclusivo.

Nel primo movimento (Allegro con brio) emerge la forma sonata, ma tutto muove da una idea di
quattro note che invadono ritmicamente tutto lo spazio disponibile cancellando ogni distinzione fra
disegno e ornamento. La forma è essenziale, la coerenza interna rigorosa. I temi sono netti e concisi,
come lo scarno inciso d'apertura, un motto di sole quattro note che percorre interamente la Sinfonia
rendendola ulteriormente più solida ed unitaria. Proprio a questa estrema concentrazione tematica, a
questa sobrietà di caratteri va ricondotta la grande efficacia espressiva che la Sinfonia in Do minore
esprime. Una vigorosa frase di transizione, consistente nella trasformazione del primo tema porta al
delicato secondo tema, introdotto da uno squillante richiamo dei corni pure ricavato dal motto
d'apertura. Questo secondo tema disteso e cantabile però non riesce a rimuovere il ricordo
dell'inciso iniziale, che infatti presto si fa di nuovo avanti sotto forma di ripetute iterazioni. Si
conclude così l'Esposizione, la prima grande sezione di forma-sonata in cui il movimento è
costruito. Anche la parte centrale di Sviluppo è aperta dalle quattro scolpite note del motto, seguite
da una loro varia ed articolata elaborazione. Nella Ripresa Beethoven inizia a ripresentare - secondo
la norma - il materiale dell'Esposizione. Ma, dopo il ritorno del primo tema, ci riserva una sorpresa:
l'oboe, lasciato improvvisamente solo, intona in modo inaspettato un recitativo dai caratteri intensi e
delicati: è un momento di calma e commozione, quasi una sosta incantata ed assorta di fronte alla
lotta titanica intrapresa. La meccanica frase di transizione riporta all'impeto originario, poi la
Ripresa prosegue nel richiamo che prima era stato enunciato dai corni, ora lasciato al timbro dei
fagotti. Dopo il secondo tema, ci si avvia verso la conclusione, una conclusione attesa poiché
Beethoven fa proseguire il discorso musicale in ulteriori e impreviste frasi enfatiche costruite sul
motto del primo tema sino ad un fragoroso climax. Nella Coda una breve ripresa del primo tema
conclude «eroicamente» il movimento.

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