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Sinfonia n.

1 in re maggiore 1889
4 flauti (flauto 4 anche ottavino), 4 oboi (oboe 3 anche corno inglese), 4clarinetti (clarinetto 3 anche clarinetto basso e
clarinetto piccolo), 3 fagotti (fagotto 3 anche controfagotto) 7 corni, 4 trombe, 3 tromboni, tuba timpani (2 esecu-
tori), piatti,triangolo, tam-tam, grancassa, arpa, archi

1. Langsam. Schleppend. «Wie ein Naturlaut» (Lento, strascicato, come un suono di natura). Im An-
fang sehr gemächlich
2. Kraftig bewegt, doch nicht zu schnell – Trio. Recht gemächlich
3. Feierlich undgemessen
4. Stürmisch bewegt

Sono molti a pensare che la musica moderna, quella che porta dritti nel Novecento, nasca con la
Prima Sinfonia di Mahler e il Don Juan di Strauss, entrambi inaugurati nel 1889, ma con esiti quanto
mai diversi. All’ovazione riscossa dal poema di Strauss corrispose la tormentata vicenda della Prima
Sinfonia, con un crescendo d’insuccessi che ne scandirono il processo di revisione. A Budapest, nel
1889, figurava come Poema sinfonico in due parti, sebbene privo di programma; quattro anni dopo
diventa Sinfonia Titan, adombrando un rapporto con l’intricato romanzo di Jean Paul, e poi ancora
Titan, poema sinfonico in forma di sinfonia, con un’estensione delle tracce programmatiche specie
per il terzo movimento: una “Marcia funebre alla maniera di Callot”, associata alla sarcastica incisione
di Moritz von Schwind raffigurante il corteo degli animali che accompagna il feretro di un cacciatore.
Infine, Mahler cancella il programma, elimina l’Andante (Blumine) inizialmente al secondo posto e, a
Berlino (1896), presenta la propria opera come Sinfonia in re maggiore. Al di là delle traversie del
programma, redatto dopo la prima stesura e infine sconfessato, colpisce l’iniziale incertezza circa il
genere entro cui collocare il lavoro; quasi Mahler fosse consapevole delle profonde trasformazioni
cui, nelle sue mani, la Sinfonia stava andando incontro. Del resto, oltre che un’apertura alle future
prospettive del suo sinfonismo, la Prima è anche il frutto di un gesto ricapitolativo: allusioni, fram-
menti, innesti, soprattutto dalla precedente produzione liederistica di Mahler stesso, e dalla sua can-
tata Das klagende Lied, entrano così nell’edificio sinfonico e lo sconvolgono dall’interno, lavorando
fianco a fianco con musiche estranee all’universo colto, echi di Ländler e di valzer nel secondo movi-
mento, la filastrocca infantile del terzo.
L’inizio della Sinfonia è musica che nasce dall’articolazione di frammenti: su armonici impalpabili agli
archi, richiami di legni, fanfare dei clarinetti, il verso del cuculo, con l’intervallo di quarta a fare da
nucleo generatore, sono i “suoni di natura” protagonisti del mondo poetico mahleriano e qui indivi-
duati nella loro essenzialità (la dicitura recita “Wie ein Naturlaut”). Il tema che emerge da questi
frammenti è tratto dal secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen: quella che dovrebbe essere la
sezione espositiva diventa un episodio lirico, privo del tradizionale dualismo tematico e seguito
dall’inaspettato ritorno del materiale introduttivo. Una violenta irruzione interviene infine a lacerare
la forma, tanto che la ripresa si contrae rapidamente in una coda. La logica del percorso sonatistico
è radicalmente ripensata. Dopo i ritmi rustici dello Scherzo, non senza un’incursione tra le sale da
ballo austriache, il terzo movimento si offre come geniale montaggio di materiali che fanno esplodere
l’universo stilistico della sinfonia. La marcia funebre prende a prestito il canone di Fra’ Martino, lo
rivolta in minore sull’avvio del contrabbasso e vi aggiunge il sarcasmo di un oboe che, dopo Mahler,
nessuno potrà più dissociare da quella melodia. L’andamento lugubre e ironico è spinto su toni di
parodia grazie a una musica da banda di paese, che rimanda alle radici boeme del compositore, poi
deviato verso il candore popolare della sezione mediana (dal quarto dei Gesellen Lieder).
L’ironia romantica, il grottesco, la coincidenza dei contrari s’imprimono in modo così inedito nella
musica che nessuna indicazione programmatica, per quanto pertinente, avrebbe potuto far presa-
gire. Nella sua bruciante esasperazione fonica, aperta da un autentico grido, il Finale affronta di petto
quel tema dell’eroe che aveva indotto Mahler, per qualche tempo, a cercare agganci col romanzo di
Jean Paul. Moti catastrofici, fanfare, melodie d’incredibile dolcezza e persino un ricordo dei “suoni di
natura” finiscono tuttavia con il potenziare, nella loro incompatibilità, un dissidio interiore che si di-
rebbe senza mediazioni; da qui, la verità sofferta del brano, il cui impulso alla conciliazione può com-
piersi solo nel gesto eclatante dell’apoteosi conclusiva.

***

Sinfonia n. 2

4 flauti (tutti anche ottavino), 4 oboi (oboi 3 e 4 anche corno inglese), 3 clarinetti (clarinetto 3 anche clarinetto basso), 2
clarinetti piccoli, 4 fagotti (fagotti 3 e 4 anche controfagotto); 6 corni, 6 trombe, 4 tromboni, tuba; timpani, gran-
cassa, piatti,triangolo,Glockenspiel, 2 tam-tam (acuto e grave), frusta, 3 campane gravi, tamburo con corde; organo;
2 arpe, violini I e II, viole, violoncelli, contrabassi; soprano solo, contralto solo; coro misto
In lontananza: 4 corni, 4 trombe, timpani, grancassa, piatti e triangolo
1. Allegro maestoso. Mit durchaus ernstem und feierlichem Ausdruck 4/4
(Allegro maestoso. Con espressione assolutamente seria e solenne)
2. Andante moderato. Sehr gemächlich 3/8
(Andante moderato. Molto comodo)
3. In ruhig fließender Bewegung 3/8
(Con movimento tranquillo e scorrevole)
4. "Urlicht" (Luce primitiva) - Sehr feierlich, aber Schlicht 4/4
(Molto solenne ma con semplicità, come un corale)
testo tratto da "Die Wunderhorn" di Ludwig Achim von Arnim e Clemens Brentano
5. Im Tempo des Scherzo. Wild herausfahrend. "Aufersteh'n" 3/8
(Tempo di "Die Aufe Scherzo. Selvaggiamente. Allegro energico. Lento. Misterioso)
contiene l'inno rstehung" (La Resurrezione) di Friedrich Klopstock

Con la Seconda Sinfonia si entra davvero nel pieno del ciclo Wunderhorn, già anticpato nella Prima
da alcune citazioni di melodie di Lieder con le quali Mahler aveva musicato testi tratti dalla raccolta
di liriche poetiche dal titolo Des Knaben Wunderhorn.
Des Knaben Wundernhorn (Il corno magico del fanciullo) è un ciclo di poesie e canti popolari pubbli-
cato in tre volumi dal 1805 al 1808 da Achim von Arnim e Clemens Brentano. Sono testi di argomento
vario, ma dove prevale un carattere infantile, talvolta stralunato e surreale, altre volte umoristico o
addirittura grottesco, e che si inscrivono in quel movimento di ricostruzione romantica dell’originaria
Seele (anima) germanica, perduta in tempi lontanissimi.
Nell'ambito del dibattito tra il circolo romantico di Heidelberg e Johann Heinrich Voß, si è discusso a
lungo se questo ciclo di canti popolari potesse rappresentare un'immagine "pura" e "fedele" della
tradizione poetica orale tedesca dal medioevo al XVIII secolo. Particolarmente importante a proposito
è il dibattito tra i due editori: Brentano criticò ad Arnim il fatto che la sua ricostruzione fosse ben più
di una semplice revisione del testo popolare: una versione eccessivamente poeticizzata, lontana dal
carattere originario e primitivo della tradizione orale. Questo dibattito sfociò inevitabilmente nella
discussione sulla relazione Naturpoesie e Kunstpoesie (poesia naturale e poesia artistica) in cui inter-
vennero anche i fratelli Grimm: Jacob sosteneva una poesia ingenua, autentica, nata da un bisogno
irriflesso di fare poesia, mentre Wilhelm propendeva per una poesia più mediata da poter pubblicare
e diffondere, come per esempio le traduzioni dei miti di altre culture.
Goethe, a cui è dedicato il primo volume, pubblicò una critica nella quale lodò sia l'intento naïve, che
l'impianto dotto della raccolta. La pretesa di essere una raccolta di antichi canti popolari tedeschi è
tuttora dibattuta.
Mahler musicò ventiquattro poesie dal ciclo Des Knaben Wunderhorn curato da Achim von Ar-
nim e Clemens Brentano. Anche i Lieder interamente composti da Mahler (testo e musica) della sua
prima raccolta, Lieder eines fahrender Gesellen (Canti di un viaggiatore) sono chiaramente basati sui
testi di Des Knaben Wunderhorn. Tuttavia compaiono in Lieder und Gesänge (Canti ed arie), pubbli-
cato nel 1892 e successivamente reintitolato dall'editore Lieder und Gesänge aus der Jugendzeit
(Canti e arie del periodo giovanile). Nove Lieder su testi tratti da Des Knaben Wunderhorn furono
composti tra il 1887 e il 1890 e costituiscono il secondo e il terzo dei tre volumi di Lieder.
Dal 1892 al 1898 Mahler mise in musica, stavolta per solisti e orchestra, altri dodici canti (bal-
late e Lieder) appartenenti alla medesima raccolta. Originariamente due canti che si trovano rispetti-
vamente nella Seconda e nella Terza Sinfonia facevano parte di questo ciclo: Urlicht (luce primor-
diale oppure luce originaria) si trova nel quarto movimento della Seconda sinfonia; Es sungen drei
Engel (Cantarono tre angeli) nel quinto movimento della Terza Sinfonia. Dopo averli inseriti nelle sin-
fonie, Mahler li sostituì nella raccolta originaria con Revelge (Sveglia) e Der Tamboursg’sell (Il tambu-
rino). La prima esecuzione della raccolta nella nuova disposizione ebbe luogo solo nel 1970.

Mahler compose la sua Seconda Sinfonia fra il 1887 e il 1894, quando era direttore del Teatro dell'O-
pera di Budapest e di Amburgo; dopo una esecuzione parziale (i tre primi movimenti) diretta a Berlino
nella primavera del 1895, Mahler presentò l'opera completa, sempre a Berlino, il 13 dicembre 1896:
ai tre brani originari per sola orchestra se ne erano aggiunti due con interventi vocali, il Lied Urli-
cht (Luce primordiale) tratto dalla famosa raccolta di Arnim e Brentano Des Knaben Wunde-
rhorn (scoperta dieci anni prima da Mahler a Lipsia con indicibile entusiasmo), e un quinto e ultimo
movimento con l'intervento di un coro, oltre a due voci di soprano e contralto, su un'ode di Klop-
stock Die Auferstehung (Resurrezione).
Il testo di Klopstock e l'idea stessa di una conclusione corale avevano incontrato il compositore nella
luttuosa circostanza della cerimonia funebre per la morte di Hans von Bülow: dopo Bach e Brahms,
secondo il racconto di J. B. Foerster, un coro di voci bianche cantò, su una musica rimasta sconosciuta,
i versi dell'ode di Klopstock «Aurersteh'n, ja aufersteh'n wirst du, mein Staub, nacli kurzer Ruh!» (Ri-
sorgerai, certo, risorgerai, dopo breve riposo, mia polvere!) e la scoperta fu decisiva per condurre in
porto la Sinfonia che rischiava ormai di rimanere incompiuta e che proprio dal finale ha tratto il so-
prannome che spesso l'accompagna di Auferstehungssymphonie. La risoluzione di Mahler testimo-
niava una sensibilità non lontana dalla cosmica volontà di riaffermazione contenuta nell'eterno ri-
torno di Nietzsche, grande sponsor di idee anche nella musica di fine secolo: dal terzo movimento
dellaTerza Sinfonia di Mahler ad Also sprach Zarathustra di Strauss al Mitternachtslied e alla Mass of
Life di Delius; e cicliche trasfigurazioni sommuovono Tod und Verklärung di Strauss, unite a mistici
ibridismi nella Prima Sinfonia di Skrjabin: dove un coro, un mezzosoprano e un tenore si uniscono in
fine all'orchestra per celebrare l'Arte, capace di far "rivivere" le spossate energie degli esseri umani.
Raramente, come in quegli anni, la musica ha tentato con più pathos di superare se stessa. Per la
prima esecuzione berlinese del 1896, cedendo alle insistenze del giovane critico e compositore Max
Maschalk, Mahler stese un programma propedeutico all'ascolto della Seconda Sinfonia, poi sop-
presso nella pubblicazione dell'opera una volta assolta la sua funzione di guida. La Seconda incomin-
cia là dove si era conclusa la Prima Sinfonia: «... Ho chiamato Totenfeier (cerimonia funebre) il primo
movimento, e se vuoi saperlo, si tratta dell'eroe della mia Sinfonia in re maggiore che io porto a sep-
pellire; da un osservatorio più alto raccolgo la sua vita in un limpido specchio. E, al tempo stesso, si
pone la grande domanda: perché sei vissuto? perché hai sofferto? E tutto questo solo un grande,
atroce scherzo?... Chiunque senta riecheggiare nella sua vita questo richiamo, deve rispondergli, e
questa risposta la do nell'ultimo movimento».
L'esordio dell'opera è dominato da scabri frammenti della scala di do minore che paiono arrampi-
carsi su qualcosa che li respinge e li fa ripiombare in basso con sordi tonfi; questa cupa vitalità dei
bassi non si interrompe nemmeno quando legni e ottoni espongono il loro tema di marcia; l'atmo-
sfera tragica è allontanata solo dalla benevola cantabilità degli archi, la quale, con precisa funzione
rilassante di ‘secondo tema’, deriva dai coevi Lieder da Des Knaben Wunderhorn. Dopo l'immane To-
tenfeier, Mahler voleva uno stacco di alcuni minuti per segnare bene il polo negativo da cui risalire la
china verso la risurrezione celebrata nel finale. La prima tappa è il secondo movimento, la cui strug-
gente dolcezza fa pensare alla frase di Adorno (per altro derivata dal Doktor Faustus di Mann a pro-
posito dell'ultima sonata di Beethoven): «la musica di Mahler accarezza maternamente i capelli a
quanti si rivolge»; di breve estensione e di forma semplice, il brano resuscita l'affettuosità del Ländler
e la freschezza della musa schubertiana. Il terzo movimento ha funzione di Scherzo e, come più volte
era già avvenuto in Schubert, si fonda sulla melodia di un Lied composto in precedenza. «La predica
di Sant'Antonio ai pesci», sempre ricavata dalla famosa raccolta di canti popolari curata da Arnim e
Brentano: in questo brano di straordinaria presa emotiva, ai nostri giorni posto da Luciano Berio a
fondamento dello Scherzo della sua Sinfonia (1968), l'affiorare e l'inabissarsi dei pesci senza requie si
trasfigura in una ronda sinistra per il tambussare dei timpani, l'umor nero di oboe e clarinetto, l'ottuso
rimbombo della grancassa; una luce più serena è diffusa dal Trio, ma tutto si riconduce poi ai mulinelli
dell'esordio e alla fine non resta in superficie che una sola nota di contrabbassi, arpe, corni e contro-
fagotto il cui timbro spettrale rivela da solo la mano di Mahler.
La voce di contralto intona sommessa «O Röschen roth» (O rosellina rossa), esordio del Lied Urlicht,
ancora una volta attinto all'inesauribile ‘corno meraviglioso del fanciullo’. Sulla voce umana che scom-
pare si rovesciano, come montagne liquefatte, le sonorità orchestrali che aprono l'ultimo movimento,
in capo al quale Mahler scrive «wild herausfahrend» (prorompendo selvaggiamente): dopo la con-
densazione di un clima di attesa, preceduta da un formidabile rullo delle percussioni, ancora prende
corpo una marcia (allegro energico) che nel suo entusiasmo sembra avviare la Sinfonia a conclusione.
Anche l'entrata del coro è preparata da una calma piena di promesse: ritornano i richiami dei corni
in lontananza, prolungati da interventi dei flauti figurati da Mahler «wie eine Vogelstimme» (come
voce di uccello). Quando anche questa ‘voce di natura’ si è spenta, sorge la voce umana con le parole
dell'ode di Klopstock; tutti gli elementi inventivi di questa sezione ‘con voci’ hanno già fatto la loro
apparizione in precedenza; ma nuovo è l'apporto del timbro corale che, con la patina neogotica di
certi cori maschili del Parsifal di Wagner o della Faust Symphonie di Liszt, incarna il sogno della rige-
nerazione rappresentato dalla Seconda Sinfonia di Mahler con quasi traumatica partecipazione.

***
Sinfonia n. 3

4 flauti (tutti anche ottavino), 4oboi (oboe 4 anche corno inglese), 3clarinetti(clarinetto 3 anche clarinetto basso), 2 clari-
netti piccoli, 4 fagotti (fagotto 4 anche controfagotto); 8 corni, 4 trombe, 4 tromboni, tuba; timpani (2 esecutori), gran-
cassa, tamburo, piatti, triangolo, tamburello, 2 Glockenspiel, tam-tam, bacchette di ruta; 2 arpe, archi
Voce solista: contralto solo
Coro: coro femminile, coro di bambini
In lontananza: cornetta del postiglione ed altri strumenti a percussione
In galleria (solo nel quinto movimento): 4 o 6 campane accordate o campane tubolari, coro femminile, coro di bambini.

I Kräftig entschieden
II Tempo di Menuetto
III Comodo (Scherzando)
IV Sehr langsam - Misterioso
V Lustig im Tempo und keck im Ausdruck (in tempo gioioso e sfacciato nell’espressione)
VI Langsam - Ruhevoll - Empfunden

Dopo la lunga e faticosa genesi della Seconda, la Terza appare un momento di eccezionale felicità
creativa. Fu portata a termine nel volere di soli due anni 1895-96, nei quali il tempo dedicato al lavoro
di composizione era il periodo estivo. Tra il giugno e l’agosto 1895 scrisse gli abbozzi di 5 movimenti
(dal secondo al sesto); nell’estate 1896 scrisse il gigantesco primo tempo. Poté dirigere la Terza in
forma completa a Krefeld il 9 giugno 1902.

1. Pan erwacht. Der Sommer marschiert ein (Pan si risveglia, arriva l'estate)
2. Was mir die Blumen auf der Wiese erzählen (Quello che i fiori del prato mi raccontano)
3. Was mir die Tiere im Walde erzählen (Quello che gli animali della foresta mi raccontano)
4. Was mir der Mensch erzählt (Quello che l'uomo mi racconta)
5. Was mir die Engel erzählen (Quello che gli angeli mi raccontano)
6. Was mir die Liebe erzählt (Quello che l'amore mi racconta)
I titoli vennero eliminati prima della pubblicazione nel 1898.

Composta negli anni 1895- 96, la Terza di Mahler oltre al gigantismo e al notevole grado di elabora-
zione delle sue strutture, si pone anche come una delle massime espressioni di una forma strumen-
tale che a partire dalla Nona di Beethoven e poi nel corso del Romanticismo si era caricata sempre
più di espliciti significati extra-musicali. Con l’avvento della musica ‘a programma’ e del poema sinfo-
nico, l’orchestra ottocentesca, nelle dichiarate intenzioni di vari compositori come Berlioz, Liszt o
Cˇajkovskij, si era decisamente contaminata con l’ambito letterario della narrazione e della poesia,
quindi con l’evocazione, la descrizione o rappresentazione di elementi ‘esterni’ all’opera musicale. E
come Beethoven nella Nona aveva avvertito la necessità di affidare alle parole e alla voce umana il
significato di una musica che ormai da tempo, già nel suono dei soli strumenti, tendeva irresistibil-
mente a ‘parlare’, così Mahler nella Terza (e in precedenza nella Seconda) decise di ricorrere al canto
per dare compiuta veste ad una composizione che ‘dice’ qualcosa in tutti i suoi sette movimenti –
non solo in quelli effettivamente provvisti di testi cantati (il quarto e il quinto). Che cosa ‘dice’ dunque
questa Sinfonia? È una musica della natura, e sulla natura, certamente. Ma se Mahler, da un lato,
espresse una rara quantità di pensieri riguardo al contenuto ‘naturalistico’ di quest’opera, in vari ti-
toli, lettere, conversazioni etc., molto più di quanto non abbia fatto per qualsiasi altra sua sinfonia,
tuttavia non sembra possibile attribuire un preciso significato descrittivo ai suoni. Lungi dall’essere
una sinfonia descrittiva della natura, la Terza nasce piuttosto dal modo in cui la natura viene percepita
e indagata dal compositore, il quale s’immerge in essa e viene da lei posseduto, maturando espe-
rienze metafisiche, oniriche, mistiche, esistenziali e religiose.
Mahler stese diversi titoli programmatici, poi modificati, eliminati o nascosti, destinati a caratteriz-
zare sia tutta la sinfonia nel suo insieme sia i singoli movimenti. Aveva pensato inizialmente al titolo
generale La vita felice – Sogno di una notte d’estate (preoccupandosi peraltro di indicare che non
intendeva affatto rifarsi a Shakespeare) poi modificato in Sogno di un mezzogiorno d’estate. «Tutta
la natura trova una voce nella mia sinfonia, e narra un mistero così profondo quale forse solo nel
sogno si può presagire!» – dichiarò il compositore – e dunque furono ‘narrative’ anche le indicazioni
specifiche che poi egli diede a ciascun movimento: I. Irrompe l’estate II. Cosa mi narrano i fiori del
campo III. Cosa mi narrano gli animali del bosco IV. Cosa mi narra la notte (l’uomo) V. Cosa mi narrano
le campane del mattino (gli angeli) VI. Cosa mi narra l’amore VII. Cosa mi narra il bambino

Sotto l’influsso di referenti naturalistici filtrati dall’idea di un sogno che si popolava di personaggi
mitologici il primo movimento assunse i contorni di una costruzione gigantesca (più di mezz’ora)
tanto da indurre Mahler a considerarlo come la ‘prima parte’ della sinfonia, a fronte di una ‘seconda
parte’ costituita dai restanti sei movimenti. Dunque molto prima che il quarto e il quinto movimento
chiamino in causa esplicite fonti letterarie, riferite rispettivamente all’uomo (O uomo! Sii attento!) e
agli angeli (Tre angeli cantavano), un’istanza fortemente narrativa informa già il movimento iniziale,
confermando quale tipo di generale concezione ‘programmatica’ della natura Mahler stava river-
sando nella sinfonia.
«Mi colpisce sempre in modo particolare il fatto che i più quando parlano di ‘natura’ pensano sempre
a fiori, uccellini, profumo del bosco etc. Nessuno conosce il dio Dioniso, il grande Pan. Dunque con
ciò lei ha già una sorta di programma cioè una prova di come faccio la musica. Essa è per me sempre
e in ogni caso suono della natura! Questo mi sembra essere ciò che Bülow una volta parlandomi aveva
definito problema sinfonico. Non riconosco altro genere di programma, almeno per le mie opere. Se
qualche volta ho dato loro dei titoli ho voluto solo dare qualche indicazione per il sentimento, dove
trasformarsi in immagine. Se la parola è necessaria, c’è la voce umana che, articolata, può realizzare
i propositi più audaci, unendosi alla parola che chiarifica! Ma ora è il mondo, la natura come tutto,
che per così dire viene destata da un imperscrutabile silenzio al suono».

Il primo movimento dunque trova il proprio carattere narrativo nei titoli preliminari delle due sezioni
principali, «Pan che si risveglia» e «L’estate che avanza marciando», ma anche in alcune ulteriori in-
dicazioni verbali lasciate sulla partitura e poi cancellate: ad esempio il «Weckruf» (risveglio) scritto
vicino alla fanfara iniziale degli otto corni, poi molto più avanti «Pan schläft» (Pan dorme), «Der He-
rold» (il messaggero), «Das Gesindel» (la plebe), «Die Shlacht beginnt» (la battaglia inizia), «Der
Südsturm» (la tempesta del sud). Parole che indicano una certa concitazione, quasi che Pan si trovi a
battagliare con altri personaggi e con gli elementi naturali evocati.
Oltre alle parole esplicite, il carattere evocativo dipende dall’utilizzo di citazioni musicali, più o meno
velate, ritmi e soprattutto melodie, che data la loro intertestualità e la loro carica allusiva stimolano
varie associazioni simboliche e semantiche. Ad esempio, come ha rilevato Paolo Petazzi, la fanfara
iniziale deriva il suo carattere da una reminescenza del tema del corno nel finale della Prima di Brahms
e della canzone patriottica «Ich hab’ mich ergeben» (‘Mi sono arreso’). Anche il grossolano tema da
marcia militare che appare in seguito (‘musica triviale’, secondo una definizione di Mahler stesso)
sembra alludere, nella sua smaccata provenienza ‘bassa’, a qualcosa di esterno alla sinfonia, che viene
incluso con evidenti intenti narrativi. Ma alle parole e alle citazioni di un’arte intertestuale ed allusiva
si aggiunge un terzo ‘livello di narrazione’ che è costituito dalla processualità formale stessa
dell’opera, ovvero dal modo in cui vengono organizzati i temi e le varie sezioni, i loro rapporti, i loro
ritorni, le loro elaborazioni e variazioni.
Nelle sue Sinfonie, in generale, Mahler sembra lottare con le forme classiche ereditate della tradi-
zione classica, la Forma-sonata, il Rondò, il Lied etc. Le trasgressioni di tali modelli formali, l’impreve-
dibilità che sorprende l’attesa dell’ascoltatore, assimilano la musica, pure nei suoi gesti esclusiva-
mente compositivi, a un percorso narrante, come potrebbe esserlo quello di un romanzo: «non è che
la musica voglia raccontare qualcosa, è il compositore a voler far musica nel modo in cui altri raccon-
terebbero» notava Adorno.
Basta osservare e ascoltare proprio la struttura del primo movimento della Terza, per rendersi conto
di come la forma con Mahler non corrisponda a una entità normativa ereditata dal passato, alla rico-
stituzione di uno schema, bensì assurga essa stessa a momento compositivo e creativo, gravido di
implicazioni che in senso lato si possono definire narranti. Dopo l’introduzione, si articola vagamente
una forma-sonata, dunque con esposizione dei temi, sviluppo e ripresa, ma sembra che vi sia una
doppia esposizione dei temi principali, e per altri aspetti gli stessi teorici si trovano talvolta in disac-
cordo – ad esempio perché che non è chiaramente delineata la fine dell’introduzione. Certe pregnanti
pause tra temi e sezioni, che sembrano assumere il significato di ‘sospensioni’ formali, certe irruzioni
di materiali, contrastanti anche nel loro carattere ‘non classico’, talvolta banale e triviale, come quello
della marcia militare, certe minime varianti dei temi, ripetuti leggermente trasformati e alterati ep-
pure sempre riconoscibili, certe sovrapposizioni dei temi nei momenti di climax (la parte finale dello
sviluppo!), quelle ripresentazioni che obbligano l’ascoltatore a tornare indietro e rileggere gli eventi
trascorsi come anticipazione di quelli futuri (le categorie che Adorno chiama di ‘reminiscenza’ e di
‘presagio’, quasi con funzione leitmotivica), sono tutti elementi formali che determinano una sorta di
teatro musicale anche senza le scene, anche senza la parola. Persino la strumentazione, qui come nei
movimenti successivi, certi strumenti che suonano senza sincronia rispetto all’orchestra, certi am-
massi strumentali o dinamici contrapposti a certi effetti d’eco e lontananza (l’episodio della cornetta
nel terzo movimento!) richiamano distanze di spazio e di tempo proprie dell’opera teatrale. E del
resto Mahler a suo modo lo fu, uomo di teatro, nel culto di Wagner, nella sua fervida attività di diret-
tore d’orchestra e di direttore artistico di teatri d’opera. La libertà di organizzazione formale rispetto
a modelli accennati e subito trasgrediti si rivela lungo tutti i sei movimenti della sinfonia, insieme
all’utilizzo di materiali allusivi, in una ‘polifonia stilistica’ volta alla narrazione del sogno della natura,
del suo caos risolto in un superiore cosmos, e infine non può fare a meno della parola – che chiarifica!

I movimento
Un tema eseguito dagli otto corni all'unisono, che verrà sviluppato per tutto il movimento; solo dopo
una smisurata e cupa introduzione il movimento si trasforma a poco a poco in una marcia quasi or-
giastica.
Le analisi concordano nell’interpretare le strutture del primo tempo alla luce della forma sonata con
introduzione-esposizione-sviluppo-ripresa.
Ma un primo problema riguarda il rapporto tra introduzione e esposizione, o meglio, tra l’introdu-
zione e l’intero tempo. Mahler non indica il punto in cui termina l’introduzione e la partitura può
essere letta in modi diversi: ci sono molte meno incertezze sull’inizio dello sviluppo e della ripresa
(rispettivamente dal n. 29, batt. 369 e dal n. 55, batt. 643). Il significato di queste classificazioni è
scarso, i temi dell’esposizione non sono affatto tali nel senso tradizionale del termine, e non c’è spazio
per un’autentica elaborazione tematica in senso classico. La ripresa finisce per conferire una certa
compattezza architettonica a elementi che nel corso dell’esposizione e poi nello sviluppo sembravano
scendere in direzione opposta verso la frammentazione e la complicità del caos.
Fanfara di corni come motto iniziale, subito seguita da un breve frammento di carattere contrastante
che anticipa la solennità sacrale del quarto tempo e che nella sua staticità istituisce un clima di attesa.
Subito dopo si profila un lento andamento di marcia funebre, affiancato ai gesti frammentari: il dise-
gno puntato e i trilli dei fagotti, i graffianti squilli di tromba, la violenta scala ascendente di violoncelli
e contrabbassi.
I corni tentano di dar forma a una melodia, la prima tromba anticipa un’altra idea, ripresa poi nel
quarto movimento, mentre un disegno dell’oboe e del violino solo prepara il clima infantile del quinto
tempo.
Si profilano anche altri spunti, ma si tratta di schegge, frammenti, che non danno ancora vita a figure
più consistenti, bensì creano una caotica dispersione e si dissolvono nei suoni della percussione che
concludono la prima parte dell’introduzione.
La seconda parte dell’introduzione (o secondo altri l’inizio dell’esposizione) prende le mosse dal greve
andamento di marcia funebre ed è caratterizzata da un grande recitativo del trombone che approda
a un momento conclusivo di selvaggia conclusione: segue la transizione che senza cesure conduce
all’inizio di una nuova sezione (l’esposizione); irrompono e si giustappongono andamenti di marcia
più vivaci, dai colori più chiari, ma di una chiarezza che ha spesso qualcosa di vitreo.
Riesce esplosivo l’effetto dell’irrompere di un’idea sull’altra, del caotico affiancarsi dei motivi, con
forte evidenza a batt. 315 si presenta anche una variante dell’idea introduttiva, e dopo un crescendo
si giunge a un primo punto culminante e subito dopo si ha una cesura netta e improvvisa.
La sezioni seguenti corrispondono allo sviluppo, che inizia a batt. 369, se lo si considera articolato in
tre sezioni. Danuser ha proposto anche una lettura diversa, con una gigantesca doppia esposizione,
la cui seconda parte comincerebbe a batt. 463.
Le prime 163 battute contengono i caratteri e il materiale della gigantesca costruzione, in uno stato
per lo più embrionale e disgregato e presentavano anche il fondamentale contrasto tra l’impulso al
movimento e la propensione alla staticità (è il contrasto che Mahler definiva evocando l’immagine
della natura inanimata e le forze che irrompono per destarla).
Si potrebbe dire semplicemente che le sezioni successive rappresentano espansioni di quella pre-
messa, dei materiali dell’introduzione. Altrettanto vale per i grandi blocchi contrastanti che dovreb-
bero costituire lo sviluppo, e che liberamente tornano su varianti di idee già udite.
Il tragico della natura che inganna e delude si disgrega nella struttura continuamente elusiva del
primo tempo. Malgrado le forze ctonie che si sprigionano con grande potenza, non accade mai nulla
di quello che ci si aspetta. L’ideogramma simbolico di questo ‘mai’ mi sembra la terzina delle trombe
in fa che compare a sorpresa sovrapponendosi alla conclusione di un lungo e faticoso paesaggio: la
prima volta alla battuta 48, poi alle batt. 109-114 e altrove. La terzina è l’arpeggio della triade minore,
che, invece di salire alla tonica superiore, resta sospesa spasmodicamente alla sensibile, come tesa a
un compimento che non giunge. È vero che alla fine concluderà alla tonica, ma tardi e debolmente:
nella memoria di chi ascolta la vera nota di approdo è il do diesis.

II movimento
Il secondo movimento è un minuetto con il sottotitolo Was mir die Blumen auf der Wiese
erzählen (Quello che i fiori del prato mi narrano) che guarda decisamente alle atmosfere ovattate del
classicismo mozartiano. Fu il primo movimento della sinfonia ad essere composto e il primo ad essere
eseguito, da solo, il 9 novembre 1896 a Berlino sotto la direzione di Arthur Nikisch.

III movimento
Il terzo movimento è una specie di cavalcata notturna con motivi rielaborati dal Wunderhorn, infram-
mezzato da lunghe oniriche frasi affidate ad una cornetta da postiglione(flicorno) posta dietro le
quinte. Anche qui c’è un sottotitolo: Quello che gli animali mi narrano.
IV movimento
Nel quarto movimento (un Lied per contralto e orchestra, che porta il sottotitolo: Quello che sussurra
la notte) la voce intona alcuni versi tratti da Also sprach Zarathustra di Friedrich Nietzsche.
Il movimento è strutturalmente diviso in due strofe inframmezzate da un interludio orchestrale (la
cui melodia viene poi ripresa dal contralto) in cui sembra di sentire una reminiscenza della famosa
canzone spagnola La Paloma.
Il gioco di accordi fra i tromboni e gli ottavini sembra quasi ricordare il respiro umano.
È una pagina di immensa solennità sacrale, dapprima severa e di vago sapore arcaico, poi risolta in
accenti più lirici.
I versi di Nietzsche, sottratti al loro contesto, isolati anche dalle frasi in prosa che li precedono nel
paragrafo 12 del quarto libro, offrivano a Mahler un tono molto meditativo.
Il materiale musicale di entrambe le sezioni in cui Mahler articola il testo si trova anticipato nell’in-
troduzione al primo tempo. Questo legame tra il primo e il quarto tempo è una traccia della coerenza
tematica, della fitta rete di relazioni che Mahler voleva creare nella sinfonia, ma che riteneva di non
essere riuscito a organizzare. Scrive a Natalie Bohemer-Lechner: «Dei grandi rapporti tra i singoli
tempi che inizialmente sognavo, non si è fatto niente: ognuno sta a sé, concluso e fortemente carat-
terizzato: non vi sono ripetizioni e reminiscenze». È come se il materiale individuato andasse per
conto suo, proliferasse e forzasse le intenzioni dello stesso compositore.
Nei singoli tempi si nota una marcata coerenza interna fondata su nuclei intervallari privilegiati: nel
quarto tempo sugli intervalli di terza e seconda. La seconda maggiore domina subito l’inizio, che sem-
bra voler trasfigurare musicalmente la parola «tief» (profondo), ricorrente in ben sette versi, acco-
stato a un timbro scuro che non va oltre il livello dinamico piano.

V movimento
Al tempo meditativo del quarto tempo segue senza interruzione, con un nuovo brusco contrasto. Una
pagina che si sposta nella sfera dell’ingenuità infantile.
Il quinto tempo (Quello che gli angeli mi narrano) è un breve lied di nuovo tratto dal Wunderhorn,
intonato da un coro femminile, con un nuovo breve intervento del contralto e con l'accompagna-
mento di un coro di bambini che imita onomatopeicamente il suono delle campane, rappresentando
gli angeli.
Lustig im Tempo und keck im Ausdruck (in tempo gioioso e sfacciato nell’espressione). Si ha l’impres-
sione che l’accostamento quasi stridente tra i testi del quarto e quinto tempo si risolva anche in una
scelta di natura compositiva. La musica conferisce comunque a questa pagina un carattere partico-
lare, quasi eludendo l’espressione diretta attraverso il tono da fiaba infantile e il prevalere dei colori
freddi, e di una spoglia rarefazione.

VI movimento
La sinfonia si conclude con un vastissimo Adagio in re maggiore (Quello che l’amore mi narra), della
durata di circa venticinque minuti.
Questo Adagio riprende il carattere di gravità del quarto tempo.
L’idea principale del finale è una melodia in re maggiore dal respiro lunghissimo, articolato in tre
sezioni (la seconda sezione, da battuta 9, che chiameremo b, introduce materiale nuovo, la terza a’,
da batt. 21 è una ripresa variata della prima a, con le parti contrappuntistiche scambiate.
Il gruppo tematico in minore che segue (batt. 41-50), non ha la stessa consistenza e funge da ele-
mento di contrasto senza segnare una netta cesura.
Ad essa segue una prima elaborazione dei due gruppi tematici, che definisce un crescendo e approda
in una situazione armonica più complessa e inquieta, reminiscenza del primo tempo della sinfonia
(riappaiono delle figure scalari già ascoltate all’inizio e frammenti di recitativo del trombone). In que-
sto episodio agli archi (unici protagonisti fino alla batt. 50) si aggiungono i corni e un oboe. Dopo un
momento di oscura tensione si ritorna al pianissimo e si ha una chiara cesura: in 91 battute si è con-
clusa quella che possiamo considerare la prima parte.
Gli stessi elementi, variati e amplificati, stanno alla base della seconda, che inizia con una variante di
b (la seconda sezione del primo gruppo tematico), cui segue a. Il ritorno di questi elementi del primo
gruppo tematico in ordine rovesciato, prima b poi a, segue un nuovo momento di quiete contempla-
tiva, turbato dal riapparire del secondo gruppo e dal breve crescendo che su questo viene costruito
(batt. 140 e ss.).
Il ritorno a un rarefatto pianissimo segue un ulteriore sviluppo, un crescendo di più ampio respiro
(fondato sulla combinazione di tutti i motivi principali) che approda a un culmine drammatico sotto-
lineato da altre reminiscenze del primo tempo: i corni alle batt. 180 e ss. Ripetono un motivo, un
segnale che appartiene al motto iniziale e che nel primo tempo appare più volte in momenti cruciali,
ma che si può dedurre anche dal primo tema dell’Adagio. Anche questo fortissimo si spegne rapida-
mente e la seconda sezione si conclude a batt. 197 su un suono lungamente tenuto.

Una terza parte (da batt. 245) ritorna al primo gruppo tematico e ne celebra l’apoteosi, concludendosi
in un fortissimo che Mahler vuole «non con forza rude; tono nobile, appagato». Inizia con una libera
amplificazione del primo gruppo tematico, dove si fanno più evidenti echi dal Parsifal, per poi culmi-
nare in un crescendo con reminiscenze del primo tempo.

Questo schema sommario può servire a un primo orientamento per comprendere il fluire del Finale,
dove il materiale fondamentale sembra crescere su se stesso, amplificandosi, mutando di intensità e
luce, in un tempo sospeso, in una dimensione prevalentemente statica, in cui pure non mancano
momenti di contrasto, di tormentata inquietudine.
Riferendosi alla Terza Mahler definisce esplicitamente la propria idea della composizione sinfonica
come costruzione di un intero mondo e come Naturlaut, suono di natura. Nella lettera dell’estate
1896 ad Anna von Mildenberg si legge tra l’altro:
“immaginati un’opera così grande, in cui di fatto si riflette l’intero mondo…”
E ancora
“La mia sinfonia sarà qualcosa di inaudito: tutta la natura vi trova una voce e narra un mistero così
profondo, quale forse nel sogno si può presagire”.
Il mondo, la natura come totalità dell’essere. Ancora Mahler, e un altro corrispondente:
“Se qualche volta ho dato dei titoli, ho voluto solo fornire qualche indicazione per il sentimento
(Empfindung), dove deve trasformarsi in immagine (Vorstellung). Ma ove è il mondo, la natura come
tutto, che per così dire viene destata da un imperscrutabile al suono”.
Qui il senso di Naurlaut com’è inteso da Mahler si coglie molto bene. È connesso cioè a una sorta di
cosmica totalità: abbraccia l’insieme degli idiomi musicali che concorrono a dar voce alla «natura
come tutto», idiomi che si caricano di tutte le associazioni dirette o indirette che sono connesse alle
marce, alle danze, alle tradizioni popolari, alla musica di intrattenimento e di consumo, ai diversi
mondi che hanno rapporto con le reminiscenze mahleriane. Da qui si supera la contrapposizione di
musica a programma e musica assoluta, rifiutando certamente la dimensione riduttiva del riferimento
programmatico, extramusicale.
Adorno: «L’idea letteraria del grande Pan ha acquisito un senso formale, in quanto la forma stessa
diventa terribile e mostruosa, come oggettivazione del caos: questo è l’unico vero significato del con-
cetto di natura».

O Mensch! Gibt Acht! O Mensch! Gibt Acht! Was spricht die tiefe Mitternacht? Ich schlief, ich Schlief!
Aus tiefem Traum bin ich erwacht: Die Welt ist tief, Und tiefer als der Tag gedacht. O Mensch! Tief ist
ihr Weh, Lust tiefer noch als Herzleid! Weh spricht: Vergeh! Doch alle Lust will Ewigkeit! Will tiefe,
tiefe Ewigkeit!

O uomo! Sii attento! O uomo! Sii attento! Che dice la fonda mezzanotte? Dormivo, dormivo! Da un
profondo sonno mi sono destato: il mondo è profondo, più profondo di quanto pensò il giorno. O
uomo! Profondo è il suo dolore, La voluttà, più profonda della sofferenza! Il dolore dice: vattene! Ma
ogni gioia vuole eternità, vuole profonda, profonda eternità!

(Friedrich Nietzsche, Trunkenes Lied [Canto d’ebbrezza] da Also sprach Zarathustra [Così parlò Zara-
thustra]

Es sungen drei Engel Es sungen drei Engel einen süssen Gesang Mit Freuden es selig in dem Himmel
klang, Sie jauchzten fröhlich auch dabei, Dass Petrus sei von Sünden frei! Und als der Herr Jesus zu
Tische sass, Mit seinen zwölf Jüngern das Abendmahl ass, Da sprach der Herr Jesus: «Was stehst du
denn hier? Wenn ich dich anseh’, so weinest du mir!» «Und sollt ich nicht weinen, du gütiger Gott,
Ich hab übertreten die zehn Gebot. Ich gehe und weine ja bitterlich». «Du sollst ja nicht weinen” “Ach
komm und erbarme dich über mich!» «Hast du denn übertreten die zehn Gebot, So fall auf die Knie
und bete zu Gott. Liebe nur Gott in alle Zeit! So wirst du erlagen die himmlische Freud».

Cantavano tre angeli un dolce canto, giocoso e beato risuonava in cielo, ed essi esultavano Poiché
Pietro era libero dal peccato! Sedette a tavola Gesù Signore. E coi suoi dodici discepoli cenò. E poi
disse Gesù Signore: «Che fai qui? Perché se ti guardo piangi?» «Non dovrei forse piangere, buon Dio,
io che ho trasgredito i dieci comandamenti? Ora vado e piango amaramente». «No, non devi pian-
gere». «Vieni allora ed abbi pietà di me!» «Se hai mancato ai dieci comandamenti, piega le ginocchia
e prega Iddio. Ama solo Dio in ogni tempo, così otterrai la gioia celeste».

Nel quarto movimento, la natura sognata dall’uomo si incontra con l’uomo tramite un «O Mensch!»
cantato dal contralto (corre alla mente O Freunde…) ove la O iniziale «assomiglia tanto al suono di
uno strumento da rendere inizialmente quasi impercettibile la differenza fra i normali suoni dell’or-
chestra e questa prima manifestazione della coscienza». (Mahler)

Tramite le parole di Nietzsche, Mahler rende esplicita una visione intenzionale della natura che era
figlia del milieu culturale viennese di quel tempo, in cui il mondo della vita si legava all’arte tramite le
idee dello stesso Nietzsche (arte e mito come nuovi campi di azione) e di Schopenhauer (il mondo
come volontà e rappresentazione). Si trattava certo di un milieu tipicamente viennese e austriaco –
come William McGrath indica nel saggio Arte dionisiaca e politica –, ma certe sue caratteristiche sa-
lienti riverberavano in tutta la nuova Europa che stava nascendo. Gli aneliti cosmici dell’ebreo Mahler
erano parte di un mondo che ricercava nella metafisica il modo per sopravvivere alle inquietudini di
una modernità che in quella stessa metafisica si esprimeva. Di lì a poco, tale dialettica dell’interpre-
tazione del dato reale si sarebbe tradotta in una lotta per la riappropriazione della natura che avrebbe
contrapposto l’identità ebraica, errante e metafisica più di altre, alle feroci istanze totalitarie del No-
vecento.
Sinfonia n. 4 in sol maggiore

4 flauti (flauto 3 e 4 anche ottavini), 3 oboi (oboe 3 anche corno inglese), 3 clarinetti (clarinetto 2 anche clarinetto piccolo;
clarinetto 3 anche clarinetto basso), 3 fagott i(fagotto 3 anche controfagotto), 4 corni, 3 trombe timpani, piatti,trian-
golo, tam-tam, grancassa, sonagli,glockenspiel arpa, violino, viola, violoncello, contrabasso

soprano solista

Nella sua forma definitiva la sinfonia è divisa in quattro movimenti:


1. Bedächtig, Nicht eilen, recht gemächlich 4/4 (Riflessivo, Non affrettato, Molto comodo)
2. Im gemächlicher Bewegung, 3/8 (Con movimento tranquillo, Senza fretta)
3. Ruhevoll (poco adagio) 4/4
4. Sehr behaglich «Das himmlische Leben» 4/4 (Molto comodamente La vita celeste)
per soprano solo da Des Knaben Wunderhorn

La Sinfonia n. 4 in Sol maggiore, con soprano solista, di Gustav Mahler fu composta fra il 1899 ed
il 1901, anche se incorpora un lied originariamente scritto nel 1892. È in quattro movimenti ed è la
sinfonia mahleriana che prevede l'organico orchestrale più ridotto. Nel quarto ed ultimo movimento
un soprano solista canta Das Himmlische Leben (La vita celeste) tratto da Des Knaben Wunderhorn.
Questa lirica presenta la visione che un bambino ha del Cielo. Anche se di solito è definita nella tona-
lità di sol maggiore, la sinfonia utilizza una dinamica tonale in continua evoluzione.

La Quarta sinfonia occupa un posto particolare nella produzione sinfonica di Gustav Mahler.
Da un lato conclude il ciclo delle Wunderhorn-Symphonien, chiudendo in definitiva la prima fase del
sinfonismo mahleriano; dall’altro inaugura un nuovo stile, più essenziale nella severità del contrap-
punto e meno incline alla monumentalità.
Composta nelle estati del 1899 e del 1900, la Quarta sinfonia conosce in realtà un più lungo periodo
di gestazione. Il finale si trova composto come Lied fin dal 1892, mentre il piano di lavoro iniziale
risale agli anni della Terza Sinfonia.
Quanto alle dimensioni e all’articolazione dei quattro tempi, Mahler dichiarò all’amica Natalie Bauer-
Lechner ai primi di agosto del 1900: «Per la verità volevo scrivere solo una umoresca sinfonica, e me
ne è uscita la misura normale di una sinfonia, mentre prima, quando pensavo di dover comporre una
Sinfonia, saltava fuori un’opera che durava tre volte di più, com’è stato il caso della Seconda e della
Terza».

Singolare è la circostanza che nel piano primitivo della Quarta Sinfonia, che comprendeva sei movi-
menti come la Terza, il tema unificatore era dato da tre Lieder derivati da Des Knaben Wunderhorn
(La vita terrena, Campane del mattino, La vita celestiale), sul comune sfondo dell’infanzia osservata
nei suoi risvolti ingenui, ora più tragici (come in La vita terrena, dove si narra di un bambino che
muore di fame…)
I Kindertotenlieder (1901-1904) avrebbero dunque il loro antecedente nel piano non realizzato della
Humoreske.

Dunque anche qui si ritrova l’ambivalenza di cui s’è detto a proposito della Terza sinfonia. È evidente
infatti che la ‘semplicità’ apparente di questa sinfonia, l’aspetto felicemente retrospettivo che sembra
guardare con più intenzione alla chiarezza autoevidente della forma, come i modelli classici, è solo una
componente, un aspetto parziale. Sul Lied che conclude la sinfonia ma che ne è il punto di partenza
dal punto di vista compositivo Mahler scrive a Natalie:
«C’è la serenità di un mondo superiore, per noi estraneo, che possiede qualcosa di spaventoso e
orrendo. Nell’ultimo tempo il bambino che allo stato di larva ha già fatto parte di questo mondo
superiore spiega quale ne sia il significato».
La natura ambivalente del Lied, il suo umorismo amaro e un po’ sinistro, come nel terzo movimento
della Terza gli episodi affidati alla cornetta del postiglione, ma in modo rovesciato, rendono la sua
ingenua semplicità soltanto apparente. La stessa pretesa classicità di questa sinfonia viene smentita
in queste battute. Avverte Adorno: «Il tema principale, che all’ascoltatore ignaro appare come una
citazione da Mozart o Haydn e deriva di fatto dal conseguente del secondo tema dell’Allegro mode-
rato della Sonata in mi bemolle maggiore per pianoforte op. 120 di Schubert, è il più improprio di
tutti i temi mahleriani, poiché l’inizio coi sonagli, del tutto estraneo alla sinfonia, e il tema col suo
comportamento ingenuo, scomposto, arraffato, sono di natura sostanzialmente diversa. Anche la
strumentazione non è pertinente: i fiati solistici che concertano nelle battute introduttive sarebbero
impensabili in quel classicismo viennese che informa di sé il tema principale».
E tuttavia la costante preoccupazione del Mahler strumentatore sembra voler anche ottenere il mas-
simo della chiarezza possibile:
«L’esigenza alla quale io voto fino all’ultimo tutti i mezzi che ho a disposizione – ebbe a dire Mahler
in una conversazione del 1900 – è che sia udibile tutto ciò che risuona al mio orecchio interiore».
Semplice nella articolazione delle sue parti, il primo movimento si impone per la complessità delle
relazioni interne del materiale tematico e delle varianti, concatenate in modo che ognuna di esse sia
la conseguenza della variante precedente. Le sole deviazioni dalla forma sonata sulla quale il primo
tempo è strutturato, sono il ritorno del tema principale nella sua tonalità fondamentale subito prima
della ripresa, e il ritorno reiterato dell’introduzione, come avverrebbe in un rondò.

All’inizio tutto appare squadrato, in ordine. Le ventiquattro quinte vuote con acciaccatura in si minore
sbiadiscono non appena si disegna con nitidezza il tema in sol maggiore. Ma ciò che è eterno è proprio
quel martellar di quinte in minore, che sta al tema in maggiore come la verità sta al sogno.
Nella Quarta tutta la strumentazione tende a un amalgama raffinato esile e trasparente, e in ciò è la
negazione della Terza.
La nuova sonorità è enunciata subito con i flauti e i sonagli.
Dopo il primo gruppo di temi, che allinea elementi nitidamente individuati e particolarmente fecondi
di possibili sviluppi, un fresco tema di marcia funge da transizione, conducendo al secondo tema: una
distesa melodia che i violoncelli eseguono cantando largamente. Dopo una prima idea conclusiva
sembra che abbia inizio la ripetizione dell’Esposizione, con una variante delle battute introduttive e
di un primo gruppo tematico (falsa Ripresa), al quale si collega direttamente non il secondo tema, ma
una seconda, delicata idea conclusiva. Nella frenetica animazione dello Sviluppo trovano spazio una
singolare melodia acuta che quattro flauti intonano all’unisono, simili a «una fantastica ocarina:…
timbro di un ideale strumento infantile» (Adorno), momenti di chiassosa allegrezza, e in un clima
sonoro teso di sinistri presagi, gli squilli penetranti di una tromba che sembrano prefigurare la fanfara
iniziale della Quinta sinfonia.
Una pausa ad libitum sospende suggestivamente la musica, a chiusura dello sviluppo. Inopinatamente
la Ripresa attacca non dal punto corrispondente all’inizio dell’Esposizione, ma con una variante delle
battute 20-31. Dopo un episodio di transizione il secondo tema ritorna con ancora più slancio. Prima
codetta, falsa ripresa, seconda codetta, quindi su uno struggente indugio dei violini che ne ritardano
l’entrata, il tema principale viene eseguito un’ultima volta prima della precipitosa chiusa finale.

Il secondo movimento è uno scherzo in do minore, caratterizzato in buona misura dall’effetto di stra-
niamento prodotto dal suono stridulo di un violino accordato un tono sopra, a imitazione della fiedel,
vecchio strumento popolare dei suonatori ambulanti. Ne discende il tono grottesco di questo scherzo
con andamento di Ländler in cui la sensazione è quella di una danza macabra, di un incessante girare
a vuoto.

Anche il terzo tempo manifesta una grande trasparenza iniziale. Nella tonalità di sol maggiore espone
fin dalla prima battuta un tema che altro non è se non l’intera scala ascendente per intervalli con-
giunti, partendo dalla mediante: si, do, re, mi, fa diesis, sol, la. La seconda sezione in mi minore, aperta
dall’oboe, rompe dolorosamente il disincanto, ed è con il tema iniziale in modo maggiore nel già
notato rapporto di verità e sogno che connota l’intera quarta sinfonia.

Un riferimento di Mahler al terzo movimento (Ruhevoll) si trova in una conversazione con Natalie
dell’autunno del 1901: «Quel che mi balena alla mente per il terzo movimento era estremamente
difficile da realizzare. Immaginatevi l’indifferenziato azzurro del cielo che è più difficile da cogliere di
qualsiasi altro colore cangiante e contrastante. Questa è l’atmosfera base del tutto. Soltanto, di tanto
in tanto, esso si oscura e diventa spaventosamente spettrale; non è però il cielo che si turba; esso in
realtà continua a brillare di un eterno azzurro. Solo per noi diviene improvvisamente orrido, così come
in una bellissima giornata nel bosco immerso nella luce, si può essere colti dal terrore panico. Mistico,
confuso, inquietante, da far rizzare i capelli è lo Scherzo. Ma subito dopo, nell’Adagio, dove tutto si
dissolve, vedrete che le intenzioni non erano poi così cattive. E tutto è attraversato da una melodia
divinamente serena e profondamente triste, sicché sorriderete e piangerete insieme».

L’Adagio, il cui carattere intensamente lirico presenta chiare affinità col Finale della Terza sinfonia, si
articola in una successione di cinque sezioni e può essere considerato come un seguito di variazione
su due temi diversi che, contenendo elementi comuni e nella melodia e nell’accompagnamento, con-
sentono un più articolato procedimento di variazioni interne. All’alternarsi delle variazioni corri-
sponde quello dei modi maggiore e minore con i relativi mutamenti di luce. La prima sezione in sol
maggiore è pervasa da un diffuso sentimento di quiete, mentre l’ostinato del basso, fatto anch’esso
oggetto di variazioni, fa pensare a una passacaglia. Nella seconda, in mi minore, l’oboe, dolente e
molto espressivo, apre spazi di infinita mestizia, in cui si trova pure una prefigurazione di un motivo
del secondo dei Kindertotenlieder, coi quali questo movimento ha molti elementi in comune
nell’espressione così come nella concezione timbrica (Mahler era persuaso di aver realizzato nell’Ada-
gio della Quarta Sinfonia «i migliori impasti timbrici che siano mai stati dati»). La terza si presenta
come una variazione in un tempo più rapido della prima. Con la quarta sezione la musica torna a
ripiegarsi nell’elegiaco modo minore, pervenendo ai più dolorosi contrasti. L’ultima sezione alterna
tempi diversi nella successione: Andante 3/4 - Allegretto 3/8 – Allegro 2/4 – Allegro molto 2/4 – Poco
adagio 4/4. Ai primi tre tempi corrispondono altrettante variazioni del primo tema (la quarta varia-
zione, corrispondente all’Allegro molto, viene interrotta bruscamente da un breve interludio dei corni
apparso nella prima sezione. Un improvviso fortissimo di tutta l’orchestra preannuncia – nel motivo
degli ottoni – il tema principale dell’ultimo movimento. L’Adagio si conclude con una coda di rarefatta
leggerezza strumentale.
Quanto alla natura ambigua e un po’ terrifica delle gioie celesti cantate in Das himmlische Leben (Sehr
behaglich), a conclusione della sinfonia, si sono già riportate le parole di Mahler. Resta da sottolineare
come anche il dato testuale valga a confermarle: sullo sfondo di una sonorità tesa a un massimo di
leggerezza e di smaterializzata trasparenza, rinunciando al tutti e prescrivendo spesso agli archi l’uti-
lizzo della sordina, il soprano, con espressione infantilmente serena – è scritto in partitura – assoluta-
mente senza parodia, canta questo strano paese ultraterreno, dove, fuori del mondano frastuono,
tutto vive in una pace dolcissima, nello spensierato godimento di improbabili felicità gastronomiche,
in virtù delle quali innocenti agnellini vengono messi a morte e i buoi macellati.
Un paese di Cuccagna, in realtà, in cui il cibo ha una parte essenziale e le cui incongruenze sono rese
anche più inquietanti dal tono volutamente ingenuo del canto.
Il Lied conclude la sinfonia con una soluzione assai diversa da quelle adottate da Mahler nelle opere
precedenti, incapace di proporre visioni risolutive, siano esse trionfali come nella Prima e nella Seconda
o utopisticamente conciliate come nella Terza. Essa aprirà una stagione di vera e propria crisi esisten-
ziale, che troverà le sue più evidenti manifestazioni nelle tre sinfonie centrali.
DAS HIMMLISCHE LEBEN LA VITA CELESTIALE
Wir geniessen die himmlischen Freuden, Noi godiamo le gioie celesti,
Drum tun wir das Irdische meiden, quel che giù in terra è gioia, ci è molesto;
Kein weltlich Getümmel di nessun mondano frastuono
Hört man nicht im Himmel, s'ode qui in cielo il suono.
Lebt alles in sanftester Ruh; Tutto vive in pace dolcissima.
Wir führen ein englisches Leben, La nostra è una vita d'angeli,
Sind dennoch ganz lustig daneben, e siamo in tutto felici,
Wir tanzen und springen, danziamo e saltiamo,
Wir hüpfen und singen; balziamo e cantiamo:
Sankt Peter im Immel sieht zu San Pietro nel ciclo ci guarda fìsso.
Johannes das Lämmlein auslasset, Giovanni lascia l'agnello in libertà,
Der Metzger Herodes drauf passet, Erode il beccaio all'erta sta:
Wir führen ein geduldigs, noi portiamo un paziente,
Unschuldigs, geduldigs, un innocente, un paziente,
Ein liebliches Lämmlein zum Tod. un caro agnellino alla morte.
Sankt Lukas den Ochsen tut schlachten San Luca manda al mattatoio il bue,
Ohn einigs Bedenken und Achten, senza pensarci troppo, senza scrupoli.
Der Wein kost kein Heller Il vino non costa un quattrino
Im himmlischen Keller, nella celeste cantina;
Die Engel, die backen das Brot. gli angeli hanno messo il pane in forno.
Gut Kräuter von allerhand Arten, Erbe buone e verdure d'ogni genere
Die wachsen im himmlischen Garten, crescono qui nel celeste giardino,
Gut Spargel, Fisolen, buoni asparagi, buoni fagiolini,
Und was wir nur wollen, e tutto quello che più ci va a genio.
Ganze Schüssel voll sind uns bereit. Pieni e pronti, ecco, son tutti i vassoi.
Gut Äpfel, gut Birn und gut Trauben, Ottime mele e pere, uve rare,
Die Gärtner, die alles erlauben. e gli ortolani, qui, lasciano fare.
Willst Rehbock, willst Hasen? E caprioli, e lepri, chi li vuole?
Auf offener Strassen Dal mezzo della strada, le bestiole
Zur Küche sie laufen herbei. coron dentro in cucina qui da noi.
Sollt ein Fasttag etwa kommen, E se un giorno di magro poi verrrà,
Alle Fische glech mit Freuden angesckwommen! tutti i pesci, con gioia,a galla nuoteranno!
Dort läuft schon Sankt Peter Già là San Pietro pesca
Mit Netz und mit Köder con la rete e con l'esca
Zum himmlischen Weiher hinein; nel vivaio celeste:
Sankt Martha die Köchin muss sein. e Santa Marta sia la cuoca, presto!
Kein Musik ist ja nicht auf Erden, Nessuna musica giù in terra suona,
Die unsrer verglichen kann werden, che stia qui con la nostra a paragone.
Elftausend Jungfrauen Undicimila vergini preclare
Zu tanzen sich trauen, si fan coraggio ed osano danzare.
Sankt Ursula selbst dazu lacht, Anche Sant'Orsola ride, a quei gesti.
Cäcilia mit ihren Verwandten, Cecilia con i parenti
Sind treffliche Hofmusikanten, sono musici di corte eccellenti.
Die englischen Stimmen Le voci angeliche
Ermuntern die Sinnen, scuotono i sensi dal gelo,
Dass alles für Freuden erwacht! perché tutto alla gioia si desti!

Sinfonia n. 5 in do diesis minore

4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 3 oboi (3 anche corno inglese), 3 clarinetti (3 anche clarinetto basso), 2 fagotti, controfa-
gotto, 6 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba,
timpani, tamburo, grancassa, piatti, triangolo, nacchere, glockenspiel, tamtam, arpa, archi

Parte I:
1. Trauermarsch. In gemessenem Schritt. Streng. Wie ein Kondukt
(Marcia funebre, Con andatura misurata, Severamente, Come un corteo funebre)
2. Stürmisch bewegt. Mit größter Vehemenz
(Tempestosamente mosso, Con la massima veemenza)
Parte II:
3. Scherzo. Kräftig, nicht zu schnell
(Scherzo, Vigoroso, non troppo presto)

Parte III:
4. Adagietto. Sehr langsam
(Adagietto, Molto lento)
5. Rondo-Finale. Allegro. Allegro giocoso. Frisch
(Rondo-Finale, Allegro, Allegro giocoso, Brioso)

La Quinta sinfonia fu scritta da Mahler durante i mesi estivi del 1901 e del 1902 trascorsi a Maiernigg, sul
Wörthersee, e riflette la piena maturità raggiunta dal compositore come artista e come uomo. A quarant'anni
compiuti egli era una personalità influente dell'Opera di Vienna e uno dei più stimati direttori d'orchestra
dell'epoca; le sue composizioni erano inserite nei Festivals musicali e nei programmi di direttori d'orchestra
importanti, come Richard Strauss, Nikisch e Weingartner. La sua vita privata subì nello stesso periodo un cam-
biamento sostanziale, dopo aver conosciuto nel novembre del 1901 la figlia di un illustre pittore viennese,
l'incantevole e intelligente Alma Schindler, che sposò nel marzo dell'anno successivo. Contemporaneamente
a questa sinfonia Mahler compose i primi tre Kindertotenlieder (Canti dedicati ai fanciulli morti) su poesie di
Friedrich Rückert, sostenitore del più acceso lirismo romantico e considerato un epigono di Goethe e della
poetica racchiusa nei «Dolori del giovane Werther». Il clima sentimentale, doloroso e straziante, dei Kinderto-
tenlieder è presente anche nella Sinfonia in do diesis minore, tanto da segnare un distacco di Mahler dal con-
tenuto letterario delle prime quattro sinfonie, quelle che vanno sotto il nome delle Wunderhorn-symphonien,
in quanto legate alle liriche medioevali popolari tedesche pubblicate da Arnim e Brentano e conosciute con il
titolo del «Corno magico del fanciullo» (Knaben Wunderhorn).
La Quinta sinfonia venne eseguita per la prima volta in un concerto a Colonia il 18 ottobre 1904 sotto la
direzione d'orchestra dello stesso autore, che raccolse un successo di stima. Poco dopo venne presentata a
Praga e a Berlino con esiti contrastanti e tali da indurre il musicista a rivedere la partitura e a pubblicarla in
altre due versioni, alle quali va aggiunta quella stampata nel 1964 da Peters a Vienna nella edizione curata da
Erwin Ratz per conto della «Internationale Gustav Mahler Gesellschaft».

L'organico strumentale di questa sinfonia, che supera la durata di un'ora, è molto denso e corposo e com-
prende quattro flauti, tre oboi, tre clarinetti, due fagotti, ottavino, corno inglese, clarinetto basso, controfa-
gotto, sei corni, quattro trombe, tre tromboni, un basso tuba, quattro timpani, grancassa, piatti, tamburo,
glockenspiel, tam-tam, nacchere, arpa e una massa estesa di archi, che dovrebbero figurare «in möglichst za-
hlreicher Besetzung», cioè nella formazione più numerosa possibile. Per questa vastità di impianto e di costru-
zione, oltre che per la varietà e ricchezza di immaginazione e di idee musicali,

la Quinta è un'opera poderosa e massiccia che si inserisce, pur potenziandone la struttura e il discorso orche-
strale, nella grande tradizione sinfonica tedesca.

È divisa in tre parti: la prima è costituita dai primi due movimenti, la seconda dallo Scherzo, la terza dagli ultimi
due movimenti. Il tema scandito in modo persistente dalla tromba, che funge da leit-motiv, descrive il tono
cupo e drammatico della marcia funebre, snodantesi come una processione (la partitura indica «Wie ein Kon-
dukt», dal latino conducere che sta ad indicare una musica di tipo processionale, che anticamente accompa-
gnava l'entrata dell'officiante in chiesa). La frase della tromba è certamente un ricordo, una reminiscenza,
direbbe Adorno, delle musiche militari ascoltate da Mahler bambino, quando viveva nella cittadina di frontiera
della Moravia, Jihlava.

Essa poggia su due gruppi tematici di tono elegiaco, uno dei quali in re bemolle maggiore e in dolenti seste
parallele, in posizione consequenziale al tema della marcia funebre, e l'altro in la minore, nella stessa tonalità
del secondo movimento, che è caratterizzato da un attacco concitato e affannoso, dominato dalle strappate
violente e vigorose degli archi. La musica sale di tensione, fino a toccare punte di disperata drammaticità;
l'orchestra aumenta di spessore e il gioco strumentale si infittisce e sfocia in un corale in re maggiore degli
ottoni di luminoso splendore, rielaborato successivamente nel Rondò conclusivo. Il grido di disperazione si at-
tutisce e si estingue tra sonorità dolci e delicate: un colpo secco e pianissimo dei timpani pone fine all'Allegro.

Lo Scherzo di rilevante estensione (dura quasi 18 minuti) ha la fisionomia ritmica di un caratteristico Laend-
ler austriaco, annunciato da un tema gioioso dei corni, cui segue un agile e fresco contrappunto tra la cornetta
e i primi violini. Il Trio centrale è contrassegnato da un malinconico e nostalgico assolo di corno, riecheggiante
il mondo fantasioso e fanciullesco del ciclo poetico del «Knaben Wunderhorn» e in un certo senso anche schu-
bertiano e bruckneriano. Su questo tema si innesta un motivo di valzer elegante e spigliato, prima di ritornare
al clima festoso iniziale, concepito in forma di variazione su una intelaiatura sinfonica densa e succosa, espres-
sione del tormento compositivo del musicista.

Il momento distensivo e contemplativo della sinfonia è racchiuso nell'Adagietto per arpa e archi, dove la
sensibilità creatrice mahleriana tocca uno dei punti più alti e commoventi della propria inventiva. E' una cele-
bre pagina in forma di Lied (A B A), il cui seme melodico troverà ampia risonanza nei Kindertotenlieder; lo
struggente psicologismo romantico in essa racchiuso si esprime attraverso un interessante passaggio di mo-
dulazioni dal fa maggiore al sol bemolle maggiore, con accordi e impasti armonici di sapore vagamente trista-
neggiante. Il senso introspettivo dell'Adagietto è in netto contrasto con il carattere estroverso e brillante
del Rondò successivo, preceduto da un «sipario» di ventitré battute nel quale una figurazione umoristica dei
fagotti è seguita dalla melodia corale del secondo movimento, in questo caso intonato dal clarinetto. Lo svi-
luppo del Rondò è irresistibile ed è contrassegnato dalla fuga molto animata e vivace degli archi, di impronta
classicheggìante: più volte Mahler rievoca in forma di variazione il tema cantabile dell'Adagietto e termina la
sinfonia con un taglio contrappuntistico e corale di possente respiro e alla maniera di Bruckner. Secondo alcuni
musicologi in questo finale si riconoscono varie presenze: da certi passaggi della Sinforna «Oxford» di Haydn
alla «Jupiter» di Mozart, dall'ultimo tempo dellaSeconda sinfonia di Beethoven ad alcune trovate provenienti
dai Maestri cantori di Wagner. Ma non si può negare che la sigla espressiva di questa partitura non sia profon-
damente mahleriana, in quanto, come ha scritto Bruno Walter, laQuinta sinfonia «è fatta di musica appassio-
nata, selvaggia, piena di pathos, briosa, solenne, delicata e piena di tutte le sensazioni dell'anima umana». Non
per niente essa è stata paragonata al romanzo-fiume di stile proustiano, dove realtà e immaginazione si fon-
dono in un modello sintattico ed estetico in continuo sviluppo e cambiamento di situazioni psicologiche.

PRIMA PARTE
1. Trauermarch. In gemessenem Schritt. Streng. Wie ein Kondukt. (Marcia funebre. Con passo misurato.
Severo. Come di un corteo funebre). La fanfara della tromba in si bemolle è una delle ultime evocazioni
nell’opera mahleriana, del mondo caro alla sua infanzia: i richiami lontani della caserma e le sfilate della marcia
militare davanti alla casa dei suoi genitori. La stessa fanfara tornerà nuovamente come una specie di ritornello
per legare i diversi episodi della marcia. Nel primo episodio Plötzlich schneller. Leidenschaftlich. Wild. (All’im-
provviso più rapido. Appassionato. Selvaggio) il dolore fin qui contenuto scoppia con violenza e si scatena in
rapidi motivi di crome sostenuti dagli accordi sincopati dei corni. La ripresa della marcia funebre e l’introdu-
zione di un tema consolatore ristabilisce la calma e conduce al secondo episodio. Benché la sua atmosfera di
dolcezza e di rassegnazione sia così lontana da quello che lo precede, il tema principale di questo episodio,
non è che una variante del primo mescolato ad altri motivi già sentiti. Una breve coda si va affievolendo fino
ad un pizzicato sforzato degli archi.

2. Stürmisch bewegt. Mit grösster Vehemenz. (Tempestoso ed animato. Con la più grande veemenza).
Come dichiara Mahler stesso, questo Allegro in forma sonata, è il primo vero movimento della sinfonia. L’inizio
dell’esposizione non presenta un vero tema ma soltanto un breve ostinato dei bassi seguito da un motivo
agitato di scale ascendenti e discendenti. Il primo vero tema compare in seguito con i violini primi. Il secondo-
Beteutend langsamer (Nettamente più lento) non è altro che una semplice citazione quasi letterale, del se-
condo episodio della Marcia funebre iniziale. L’esposizione è seguita da un’ampio movimento nel quale l’an-
goscia e la febbre raggiungono dei parossismi di violenza che raramente si trovano in tutto il repertorio sinfo-
nico. Nella ripresa gli elementi ascendenti ed ottimisti sembrano trionfare progressivamente fino al momento
in cui gli ottoni intonano un inno di vittoria in forma di corale. Ma questa vittoria resta senza futuro perché
termina nella notte nell’angoscia e nel mistero.

SECONDA PARTE
3. Scherzo: Kräftig, nicht zu schnell. (Vigoroso, non troppo veloce). Nessuna transizione addolcisce il con-
trasto tra la disperazione dell’Allegro ed il felice buonumore che regna lungo tutto lo Scherzo. Non solo si tratta
dello Scherzo più esteso di Mahler ma è uno dei pochi in cui non si tocca alcun elemento volontariamente
parodistico o caricaturale. La cosa più notevole non è nelle proporzioni gigantesche ma nell’elaborazione te-
matica molto complessa. Il tema iniziale è affidato al corno che ha il ruolo di solista durante tutto il movimento,
accompagnato sempre da un controcanto. Quanto al tema secondario è un fugato di crome la cui prima ap-
parizione è relativamente breve tra due esposizioni del tema principale. Segue un Trio dal ritmo graziosamente
esitante che ne fa un caratteristico Valzer viennese molto differente dal tema iniziale che è di origine popolare
malgrado il controcanto di cui Mahler lo ha ornato. Questo Trio è separato da un secondo dalla ripresa dello
Scherzo e da uno sviluppo dell’episodio fugato. La melodia nostalgica del secondo Trio affidata soprattutto ai
corni, sospende a sua volta il ritmo della danza. Un recitativo del corno avvia un lungo sviluppo dalle caratte-
ristiche molto complesse, nel quale ricompaiono variamente intrecciati elementi di tutti i temi fin qui esposti.
Il ritmo della grancassa da poi inizio alla Coda conclusiva.
TERZA PARTE
4 Adagietto: Sehr langsam (Molto lento). Dopo una tale esplosione di gioia di vivere sarebbe stato incon-
cepibile terminare la sinfonia in modo tragico e più ancora piazzare dopo lo Scherzo un altro movimento dello
stesso carattere. Bisognava dunque creare un contrasto. Questa è la ragion d’essere del delizioso Adagietto
(una semplice romanza senza parole) affidato ai soli archi dell’orchestra su un accompagnamento discreto
degli arpeggi dell’arpa. E’ il momento del raccoglimento e dell’oblio dalle cose del mondo. Coloro che giudi-
cano la grazia di questa nuova fantasticheria troppo facile e la sua attrattiva troppo immediata dovrebbero
esaminare la partitura e vedere con quale sottigliezza, quale raffinatezza e quale amore ogni misura è stata
finemente cesellata.
5. Rondò-Finale: Allegro giocoso. L’introduzione affidata ai legni che espongono ognuno un proprio tema,
prende l’andamento insolito di un “divertimento” improvvisato. I differenti motivi che come tirati a sorte
danno al movimento tutto il suo succo melodico, sono una serie di fugati ispirati a Mahler dai compositori
classici viennesi. Il primo soggetto di questo movimento deriva direttamente dal finale della Seconda Sinfonia
di Beethoven. Il successivo fugato è apparentato al tema secondario dello Scherzo. Il tema del Wunderhorn
Lied del 1986 Lob des hohen Verstandes (Elogio dell’intelligenza superiore) nutre poi un episodio “grazioso”
che dura solo qualche battuta e sfocia in una ripresa del primo soggetto, sempre preceduto dal suo diverti-
mento. L’intermezzo successivo che al contrario è lungamente sviluppato, combina diversi motivi che abbiamo
già sentito con un nuovo delizioso giro degli archi in cui riconosciamo che tutto ciò è una semplice metamorfosi
dell’Adagietto qui ripreso quasi completamente. Dopo un accelerando improvviso gli ottoni ripropongono un
corale che assomiglia molto a quello del secondo movimento. Ora simbolizza la vittoria definitiva delle forze
della vita sull’angoscia, sul dolore e sulla morte.
Sinfonia n. 6 in la minore "Tragica"
in quattro tempi per orchestra

ottavino, 4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 4 oboi (3 e 4 anche corno inglese), corno inglese, clarinetto piccolo, 4 clarinetti (4
anche clarinetto basso), 4 fagotti, controfagotto, 8 corni, 6 trombe, 4 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, campa-
nacci, tamtam, campane, martello, xilofono, grancassa, piatti, triangolo, tamburo militare, tamburello, frusta, nacchere,
celesta, 2 arpe, archi

1. Allegro energico, ma non troppo


2. Scherzo. Wuchtig (Pesante)
3. Andante moderato
4. Finale. Allegro moderato - Allegro energic

La Sesta Sinfonia fu composta nei mesi estivi degli anni 1903 e 1904, finita di strumentare il 1° giugno
1905, eseguita per la prima volta a Essen il 27 maggio 1906 sotto la direzione dell'autore, pubblicata
nel 1906 in tre diverse versioni, ritoccata nel 1907 e quindi ancora tenuta sotto osservazione almeno
fino al 1910. Non per questo si deve pensare a una creazione particolarmente travagliata: erano,
quelli, tempi e procedimenti del tutto consoni al modus operandi mahleriano. In realtà, se si eccettua
un problema effettivamente centrale, relativo alla posizione dei due movimenti intermedi (Mahler fu
per qualche tempo indeciso se far precedere o posporre l'Andante allo Scherzo, e optò poi per que-
st'ultima soluzione, di fatto ritornando alla scelta originaria), negli altri casi, più che di vere e proprie
revisioni, si trattò di aggiustamenti marginali, soprattutto di strumentazione, volti a ottenere una
maggiore trasparenza nella densissima tessitura della Sinfonia; salvo il dettaglio, che marginale non
è per via della sua importanza simbolica, del terzo colpo di martello aggiunto nella coda del Finale,
anzi prima introdotto e poi eliminato, ma mai definitivamente cancellato dalla memoria. Non sfuggiva
a Mahler che il carattere negativo della Sinfonia, da lui stesso definita "tragica" (ma di qui a far passare
quest'appellativo nel titolo, come comunemente si usa, il passo è lungo e non del tutto giustificato),
poteva impressionare sfavorevolmente per la mancanza di una catarsi dopo tante reiterate, spasmo-
diche tensioni; sicché proprio il gesto esibito di quei colpi di martello, che si abbattono come micidiali
mazzate del fato a segnare la fine dell'eroe, gli sembrava in enigmatico equilibrio tra una conclusione
necessariamente ricondotta nell'ambito dell'elaborazione compositiva e una strisciante, forse dalla
musica non completamente chiarita, sovrabbondanza retorica. Benché le sue dichiarazioni vadano
sempre un po' prese con le molle, non si può dubitare della sincerità di quanto egli scrisse, in pieno
furore creativo, al suo biografo Richard Specht a proposito della Sinfonia in questione: «La mia Sesta
proporrà enigmi la soluzione dei quali potrà essere tentata solo da una generazione che abbia fatto
proprie e assimilato le mie prime cinque Sinfonie».
Enigmi, dunque. Come sempre in Mahler un po' ingenuamente (artatamente?) alonati di mistero.
Ma di che genere? Nel caso della Sesta molti di questi enigmi, o presunti tali, sono illustrati dalla
sensibilità tutta femminile di Alma Mahler, moglie del compositore e vestale di un fuoco mai spento,
loquacissima prima commentatrice di questa Sinfonia e delle sue ambiziose premesse filosofiche. Si
comincia col ricordo di «quell'estate [del 1904 nella quiete di Maiernigg sul Wörthersee] bella, felice,
senza conflitti. Alla fine delle vacanze Mahler mi suonò la Sesta Sinfonia, ormai completa. Dovevo
rendermi libera da tutti i lavori di casa, aver molto tempo a disposizione per lui. Salivamo di nuovo a
braccetto nella sua casupola nel bosco, dove eravamo sicuri di non esser disturbati, in mezzo agli
alberi. Tutto ciò si svolgeva sempre con grande solennità». All'idillio segue l'autocelebrazione, con
un'inattesa oscura premonizione molto "casa Mahler" (e par di leggere davvero il copione di una
tragedia antica): «Dopo aver abbozzato il primo tempo, Mahler era sceso dal bosco e aveva detto:
"Ho tentato di fissare il tuo carattere in un tema - non so se mi è riuscito. Ma devi lasciarmi fare". È il
grande tema pieno di slancio del primo tempo della Sesta Sinfonia. Nel terzo tempo [in realtà se-
condo, lo Scherzo] descrive i giochi senza ritmo delle bambine che corrono traballando nella rena. È
spaventoso: le voci infantili diventano sempre più tragiche, e alla fine non resta che una vocina la-
mentosa che va spegnendosi. Nell'ultimo tempo descrive se stesso e la sua fine o, come ha detto più
tardi, quella del suo eroe. "L'eroe che viene colpito tre volte dal destino, il terzo colpo lo abbatte,
come un albero"». Queste sono parole di Mahler, assicura la signora e consorte. Non c'è ragione di
dubitarne. Ma chissà che allegria in famiglia, la sera a cena.
Le parole conclusive di Alma sono invece ribollenti del sacro fuoco: «Nessun'opera gli è sgorgata
tanto direttamente dal cuore come questa. Piangevamo quella volta, tutti e due, tanto profonda-
mente ci toccava questa musica e quel che annunciava con i suoi presentimenti. La Sesta è un'opera
di carattere strettamente personale e per di più profetico. Tanto con i Kindertotenlieder che con la Se-
sta Mahler ha messo in musica "anticipando" [scritto in italiano] la sua vita. Anch'egli fu colpito tre
volte dal destino e il terzo colpo lo abbattè. Ma quell'estate era allegro, cosciente della grandezza
della sua opera e i suoi virgulti erano verdi e fiorenti». Così Alma Mahler nelle sueErinnerungen.
A chi non conoscesse la biografia di Mahler, alcuni passi di quest'appassionante rievocazione po-
tranno sembrare oscuri. Ma ci vuoi poco a chiarirli. Proprio nel giugno del 1904 Alma aveva dato alla
luce una seconda bambina, Anna Justine, che aveva dunque pochi mesi quando, alla fine delle va-
canze, la Sinfonia stava nascendo; durante la composizione della Sesta, nell'estate del 1904, Mahler
aveva ripreso le poesie di Friedrich Rückert ricavandone i due ultimi brani del ciclo dei Kindertoten-
lieder, quasi uniformandoli al messaggio tragico della Sinfonia: e quell'ostinato cantare la morte di
bambini era sembrata ad Alma un "voler chiamare le disgrazie". Presentimenti di sciagure che si sa-
rebbero avverate nell'estate del 1907 con un triplice colpo del destino: alla scomparsa improvvisa
della figlia primogenita Maria, vittima di una malattia infettiva dell'infanzia, seguirono la prima dia-
gnosi della grave disfunzione cardiaca che avrebbe portato Mahler alla tomba e le sue dimissioni da
direttore dell'Opera di Vienna sotto la pressione di meschini intrighi locali. Ad Alma non pareva dub-
bio che i colpi di martello introdotti nel Finale della Sinfonia - un unicum davvero sorprendente - an-
ticipassero questi eventi lugubri: in questo senso Alma vedeva laSesta Sinfonia come un'opera non
solo strettamente personale e profetica ma anche intimamente autobiografica, il cui "eroe" altri non
era che Mahler stesso, rappresentato in un autoritratto "ideale".
Dobbiamo essere grati a Ugo Duse e Quirino Principe, autori di due monografie su Mahler assai
diverse tra loro e che onorano la nostra cultura, per aver da lungo tempo gettato acqua sul fuoco
della retorica e ricomposto un quadro forse meno fiorito e sensazionale ma certamente più oggettivo
e credibile. Giungendo, a proposito della Sesta, a decifrare gli enigmi con conclusioni opposte. Per
Duse, razionalmente: «Caratterizzata da una grande unità tematica, da un trattamento contrappun-
tistico eccezionale, questa Sinfonia non trova però quella via della chiarezza che il suo autore perse-
guiva come fine supremo. La Sesta Sinfonia è un passo indietro. Nell'economia dell'opera mahleriana
ha indubbiamente un suo peso ma è in sostanza sintomo di una posizione negativa». Per Principe,
esotericamente: «S'intravede una catena di corrispondenti figure in sequenza, come gli arcani di un
mazzo di carte o le stazioni di una via crucis mahleriana: carcere, evocazione di demoni per sfuggire
al proprio peso, speranze e frustrazioni, duro e misconosciuto lavoro, affermazione di sé e solitudine,
impossibilità di concludere la propria opera, catastrofe premonitrice, morte. Attraverso questi arcani
o stazioni, Mahler sembra finalmente identificarsi senza ataviche insufficienze nella tradizione musi-
cale europea intesa come collettiva dichiarazione di angosce e di sconfitte. L'artista che si realizza in
rigoglio è pur sempre minacciato, insieme con la propria opera, dalla morte, sicché l'opera incompiuta
non è casuale ma inevitabile».
La Sesta, in blocco con la Quinta e la Settima, segna il ritorno di Mahler alla sola strumentalità,
dopo l'impiego della voce (solistica e corale) nella Seconda, Terza e Quarta Sinfonia. A differenza
delle sue due sorelle più prossime, che sono in cinque movimenti con lo Scherzo al centro, essa si
articola nei quattro tempi tradizionali - Allegro, Scherzo, Andante e Finale -, come non accadeva più
dai tempi della Prima: Sinfonia peraltro sui generis, permeata di reminiscenze liederistiche giovanili
e popolari. Pur rinunciando ai testi poetici, o a citazioni che a questi direttamente rimandino, la par-
titura della Sesta è disseminata di programmi interiori, di drammi e di visioni che configurano un
mondo costellato di simboli e di allusioni; tanto che parlare di strumentalità "pura", e di costruzione
sinfonica assoluta, è praticamente impossibile anche in assenza di concreti riferimenti a elementi
extramusicali.
L'idea che sta alla base della Sesta Sinfonia - ma sarebbe meglio dire che Mahler vi "mette in
scena" un dramma universale personalizzandolo, proprio come fa la tragedia classica quando incarna
in personaggi conflitti ideali - è di natura paradossale: essa risponde all'intenzione di costringere un
disegno drammatico generale fortemente individualizzato a realizzarsi nelle forme di una Sinfonia
tradizionale in quattro movimenti. Una Sinfonia in quattro movimenti è inevitabilmente legata a
schemi e simmetrie più compatti rispetto a un ciclo in cinque o sei parti: e Mahler l'adotta proprio
per dare unità e compattezza a un programma interiore che, pur nelle sue intermittenze, si presenta
con un carattere grandiosamente monotematico. Tutta la Sinfonia, con la parziale eccezione
dello Scherzo, si dipana in tempo binario, in una scansione serrata, marcata, quasi martellata: ritmo
di marcia che, nella sua inesorabile brutalità, sembra voler affermare qualcosa di ineluttabile, alla
stregua di un'idea fissa. Di solito Mahler rifugge dall'idea fissa per mostrare piuttosto, del suo mondo,
gli aspetti più variegati e contrastanti, tra paesaggi della natura e dell'anima, esaltazioni e depressioni,
luci e ombre: qui essa diviene invece il motore stesso della Sinfonia.
Volendo racchiudere questo programma in una formula, si potrebbe parlare, citando l'autore, di
una «lotta dell'uomo contro il destino»: una lotta che annulla la carica ideale, di forza positiva e au-
toaffermativa, dell'umanesimo eroico beethoveniano per ribaltarsi in corsa verso l'annientamento
totale, in tremenda catastrofe cosmica senza palingenesi. E proprio qui sta il cuore del paradosso,
della sfida: per realizzare questo assillilo in modo incontrovertibile Mahler si sottomette alla prova di
forza della Sinfonia tradizionale, rispettandone in principio gli equilibri, stabilendo collegamenti ar-
monici e tematici tra i tempi esterni e usando i tempi centrali in funzione di questi, per far risaltare
ancor più l'evidenza della dimostrazione. Solo che la prospettiva di fondo è diametralmente rove-
sciata: il colossale edificio sinfonico punta a un approdo lucidamente negativo, non costruisce un
sistema di valori che si affermino nella saldezza della forma organica ma al contrario progressiva-
mente li dissolve in una furiosa, allucinante danza macabra, per lasciar da ultimo posto alle macerie
di una terribile disfatta. È il buio che si annuncia, i cui echi fantasmatici risuoneranno negli appelli
strazianti e nelle spettrali apparizioni della lunga notte della Settima Sinfonia.
Di conseguenza Mahler accresce enormemente nella Sesta lo spessore compositivo, accentuan-
done la componente dotta, contrappuntistica e combinatoria; ma al tempo stesso dissemina lungo il
percorso simboli precisi, che alla stregua di indicatori stradali orientano il senso del cammino e riba-
discono i significati che vi sono sottesi. La novità sta nel fatto che questi simboli, ai quali è possibile
ma non indispensabile attribuire il valore di un messaggio più o meno filosofico, sono espressi con
mezzi interamente musicali, senza implicazioni dall'esterno: in altri termini, sono figure che irrom-
pono con forte individualità propositiva - vedi il caso estremo dei colpi di martello - ma che si realiz-
zano con valore di simbolo nell'autonomia del linguaggio sonoro, presentandosi in veste di ritmi, di
temi, di armonie e di timbri. Citeremo solo i due esempi più pregnanti. Il primo è il motto delle tre
trombe che appare subito nel primo movimento, un accordo di tonalità maggiore in fortissimo che si
trasforma in minore diminuendo alpianissimo, accompagnato dalle sei note del timpano che scandi-
scono il ritmo del destino: il modo in cui Mahler lo isola e lo riprende senza alcuna trasformazione nei
momenti culminanti della Sinfonia ne fa il segnale di qualcosa di immodificabile. Il passaggio imme-
diato dal maggiore al minore richiama, fin dai tempi di Schubert, una sensazione precisa, a cui è però
difficile dare un contenuto: uno stato d'animo più che un concetto. Mahler se ne serve proprio per
collegare questo stato d'animo all'idea fissa di un destino eternamente presente, ostile all'uomo e
alla sua autonomia: quasi una trappola che non lasci scampo, illudendo e subito irridendo. L'ambi-
guità però permane, è per così dire strutturale, e non può esser sciolta in immagine di un programma.
(Come semplice curiosità noteremo che, in palese osservanza dell'estetica wagneriana dei Leitmo-
tive, se non di quella del poema sinfonico, molti commentatori hanno cercato di dargli un nome e un
contenuto, riducendo la pregnanza del simbolo a etichetta: motivo della "hybris" cosmica, dell'ine-
luttabilità del destino, della speranza che si muta in disperazione, e via dicendo).
Il secondo esempio riguarda l'uso di alcuni strumenti del tutto inusuali, come lo xilofono (unica
presenza in tutte le Sinfonie di Mahler), le nacchere, la frusta, il già più volte citato martello, le cam-
pane tubolari e soprattutto i campanacci delle mucche ("Herdenglocken"). Anche qui la tentazione di
assegnare a questi interventi un significato simbolico di natura extramusicale è molto pronunciata:
nacchere e xilofono hanno fatto pensare ai ghigni sardonici del diavolo, le campane basse ai rintocchi
delle chiese di paese, la frusta ai colpi sferzanti del destino, prima che il martello compia l'opera di
abbattimento. Non negheremo che Mahler potesse essere attratto da questi ingenui accostamenti,
che appartenevano al mondo delle sue esperienze sensibili e delle sue visioni all'aria aperta; nel
campo vastissimo della Sinfonia essi contribuiscono però in primo luogo a creare un'atmosfera tim-
brica, a comunicare uno stato di disagio e di angoscia che rapidamente si materializza in epifanie di
opposti, in folgorazioni e ricordi, sogni e disincanti, malinconie e improvvise euforie: un magma psi-
cologico che continuamente ribolle e freme, s'inabissa e riemerge trasfigurato, senza che il processo
mai si arresti. Aver dato consistenza sonora a questa eruzione senza precisarne univocamente i rife-
rimenti, con una strumentazione di magistrale illusionismo, dove i trucchi del mestiere si confondono
con le verità più disarmanti, ci pare un pregio perfino superiore alla indifferibile partecipazione
umana che la musica di Mahler provoca beatamente in noi, con le sue perorazioni di sciagure e sal-
vazioni. Poco importa dunque certificare che i campanacci delle mucche, di cui ognuno di noi ha
un'esperienza diretta non necessariamente nostalgica di purezze perdute, simboleggino per Mahler
la più profonda solitudine e lontananza dal mondo; quando li udiamo inaspettatamente nella com-
pagine tesa e fremente di questa Sinfonia essi aprono davvero, con un effetto magico, una visione di
sogno, trasportandoci là dove Mahler vuole: a vibrare con lui con l'emozione più sincera nelle rare-
fatte altitudini montane e nello stesso tempo a sorridere di tanta capacità incantatoria.
Nel primo movimento (Allegro energico, ma non troppo), in la minore, i tre capitoli della forma-
sonata, esposizione sviluppo e ripresa, marmorizzati nella loro monumentale saldezza, sono scossi da
tumultuose vicende tematiche. Il materiale è fin dall'inizio sovrabbondante, scolpito a colpi d'accetta
il primo tema, che irrompe con tutta la sua energia devastante su un impetuoso movimento di marcia.
Salti d'ottava, subitanee discese nell'abisso, ritmi barbaricamente scanditi si raggelano più avanti in
una sorta di corale intonato in pianissimo dai legni sul pizzicato degli archi, in pietrificata atmosfera
di attesa. Da esso nasce, sull'affermazione prepotentemente ascensionale degli archi, il tema di Alma,
una frase in maggiore, vibrante di passione, luminosa di espressività, vitalistica nella disperazione,
come di cosa desiderata con ardore ma anche forse irraggiungibile, spinta com'è in quella tessitura
così acuta dei violini. Tre concetti principali caratterizzano dunque l'esposizione; cui lo sviluppo, dopo
l'elaborazione di questi nuclei tematici, sollecitati da trilli e tremoli e resi talvolta diabolicamente sar-
castici dalla presenza dello xilofono, aggiunge un episodio del tutto nuovo, in tempo moderato: ai
timbri già rarefatti di celesta, archi in pianissimo, corni con sordina e tromboni vaghi di sonorità ar-
caiche, si uniscono i campanacci delle mucche, a rappresentare l'altrove di intatte solitudini alpestri,
il distacco dai tumulti della valle di lacrime, lassù nella pace dei suoni della natura. L'oasi è sogno,
effimera la sua durata. La ripresa rimette in discussione tutta la materia già esposta con incisive e
complesse varianti, combinate in modo da far campeggiare nella conclusione, euforicamente ripe-
tuto in maggiore, il tema di Alma, gonfio di esaltazione e di tragedia.
A stabilire la continuità dell'idea fissa, lo Scherzo si apre in la minore, sullo stesso ritmo di marcia
del primo movimento, ribadito dal timpano solo con pesanti sforzando sul tempo debole. L'idea prin-
cipale è dunque di natura ritmica, ma si tratta ora di un ritmo zoppicante, in 3/8 martellati senza
strascicare. L'atmosfera si fa grottesca, sinistra, a momenti l'orse ironica: il trillo ne è l'elemento ca-
ricaturale caratteristico. Attimi di calcolata sentimentalità, non si sa se oppressa o semplicemente
trattenuta, vengono a interrompere il meccanico svolgersi della scena, che ad Alma ricordava gli in-
nocenti giochi sulla rena delle sue due bambine, con orribili presagi. Il Trio in fa maggiore è un gra-
zioso intermezzo in tempo meno mosso che Mahler, quasi a voler sottolineare lo stacco, chiama
"Altväterisch", ossia "alla maniera antica dei patriarchi": affettuosa rievocazione di un tempo lontano,
colta in una luce fredda, con lo stupore di chi scopra in soffitta un vecchio teatrino di burattini e lo
osservi con curiosa trepidazione animarsi.
L'Andante moderato che segue, in mi bemolle maggiore, sembra ricollegarsi, all'inizio, con il clima
espressivo di struggente rimpianto dell'Adagetto della Quinta Sinfonia, soprattutto quando la deli-
cata trama degli archi viene impreziosita dai tocchi leggiadri dell'arpa; ma già l'uscita del corno con
un'ampia e distesa frase melodica fa prendere alla pagina un respiro più robusto e vigoroso, meno
crepuscolare ed elegiaco. La sezione del secondo tema, esposto dal corno inglese, ci trasporta nuo-
vamente in vista di alture montane, con insistenti echi di Jodeln e di richiami pastorali, come in una
panoramica cinematografica. Dal cuore di questa sequenza idilliaca si origina un violento sussulto, e
la parte restante del movimento s'infiamma per salire a una temperatura incandescente, abbando-
nato il candore di visioni serene e assumendo sempre più il tono di una confessione soggettiva e
appassionata, affidata alla voce spiegata degli archi. Raggiunto l'acme, la discesa avviene a poco a
poco senza più concitazione, con dignità e misura di proporzioni classiche.
L'ultimo movimento è preceduto da un'estesa introduzione (Sostenuto), luogo di cupi e inquieti
presagi, da cui si generano schegge di motivi in caleidoscopiche figurazioni: archi librati in slanci ver-
tiginosi, grotteschi avvii di marcia del basso tuba, lontani richiami del corno, pallide fanfare dei legni,
il tutto ossessivamente minacciato dal motto fatale della Sinfonia, l'accordo maggiore delle trombe
che cambia in minore sui violenti colpi del timpano. Il vero e proprio movimento conclusivo si mette
in marcia con l'Allegro moderato, poi energico, che organizza e riepiloga il conflitto tra volontà catar-
tica e progressiva resa al disfacimento. L'inserzione di un secondo elemento tematico, così tenera-
mente conciliante e consolatorio, crea spazi d'inatteso lirismo e squarci di limpidezze più immaginarie
che reali, frenando ma non arrestando il corso impetuoso, sempre più pressante della marcia. La
riapparizione dell'introduzione all'inizio della ripresa spinge gli eventi verso l'epilogo. Tra bagliori si-
nistri e demoniaci, il ritorno dei campanacci ha qualcosa di assurdamente irreale e fantomatico; il
secondo tema è ora poco più che una larva e tutto sprofonda pesantemente nel gorgo terribile e
tartareo della marcia. Nella notte cupa e senza speranza il destino afferra l'anima dell'eroe, dopo aver
infierito sul cadavere a colpi di martello. Sui brandelli che rimangono si stende, in una sorta di pre-
ghiera intonata dagli ottoni gravi, un velo intriso di umanissima, amara pietà. Un'ultima impennata di
disperazione si leva nel grido dell'accordo di la minore lanciato fortissimo a piena orchestra: annien-
tato dalle pesanti mazzate del timpano. Il resto è silenzio, ben oltre il pizzicato degli archi che sigilla
con un singhiozzo il verdetto su questo mondo.

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