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Saint Louis College of Music

Tesina di Estetica Musicale


A.A. 2017/2018

Riccardo Schiavoni

E. Hanslick (1825-1907) “Il bello musicale”


Introduzione

Considerato il testo a fondamento della disciplina oggi nota come “Estetica musicale”, “Il bello musicale”
venne pubblicato per la prima volta nel 1854 come conseguenza di una profonda riflessione da parte del
critico boemo sulle tendenze ad esso contemporanee. Muovendo dalla concezione secondo la quale la
musica dovesse veicolare verso il pubblico, al momento dell’ascolto, gli stati d’animo propri dell’artista;
Hanslick definirà, revisionando continuamente il proprio saggio, i concetti cardine della propria analisi
critica.

Erroneamente considerato un puro formalista da parte della critica ad esso successiva, (fondamentali
saranno i contributi di Croce e Liuzzi nel demolire tale interpretazione) l’autore si inserisce nella corrente
positivistica accogliendo indubbiamente la concezione estetica kantiana del bello come ciò che piace
universalmente senza concetto. L’assenza di concetto extramusicale nella definizione del bello pone
Hanslick in netto contrasto con molti grandi musicisti suoi contemporanei, R. Wagner in primis. L’antipatia
con il grande compositore tedesco fu reciproca, frutto di due visioni antitetiche della costruzione musicale.
L’opera d’arte globale (Gesamtkunstwerk) e omnicomprensiva concepita da Wagner, le proprie personali
soluzioni armoniche, il concetto di “melodia infinita” e veicolatrice del testo poetico, non avevano
assolutamente alcun punto in comune con le teorie di Hanslick. L’altro compositore che venne bersagliato
da parte del critico fu Franz Listz ed in particolare i generi del poema sinfonico e della musica a programma,
rei di associare contenuti poetici e musicali. L’analisi Hanslickiana è rivolta infatti esclusivamente verso la
musica strumentale, considerata in grado di “esprimere in suoni l’ineffabile, l’inesprimibile” e di elevarsi al
di sopra del linguaggio parlato (C. Dalhaus La musica dell’ottocento); per tale ragione H. avrà grande
considerazione dell’opera di J. Brahms (che si occupò, ricordiamo, esclusivamente di musica strumentale)
stringendo con lui una buona amicizia durante la propria permanenza a Vienna.

I – L’estetica del sentimento

Nei primi due capitoli del saggio, Hanslick va a delineare quella che è la fase “negativa” della propria analisi,
prendendo le distanze da una valutazione estetica della musica basata sui sentimenti che essa suscita
(definita “illusoria”) e specificando come (in contrapposizione all’idea di Schumann) l’estetica di ciascuna
arte debba avere il proprio metodo particolare di indagine.

H. inizia col dimostrare come i sentimenti non rappresentino lo scopo né tantomeno il contenuto della
musica, facendo una precisa distinzione tra i due termini sentimento (autocoscienza di uno stato d’animo) e
sensazione (percezione di una determinata qualità sensibile, alla base del piacere estetico) ed introducendo
un terzo, fondamentale, concetto, quello di fantasia (il tramite tra le sensazioni ed il sentimento,
guardare/ascoltare con intelletto). Il bello agisce direttamente sulla fantasia e quest’ultima,
successivamente, va ad interessare la sfera del sentimento, tanto nella musica, quanto nelle altre arti
pertanto una valutazione basata sulla maggiore o minore affezione del sentimento da parte della musica
rispetto all’architettura o alla poesia cade fuori dal campo di indagine razionale fortemente difeso
dall’autore. Inoltre, tale valutazione risulta differente da soggetto a soggetto e mutevole nel corso degli
anni. A sostegno di questa ultima tesi, H. afferma come la passione nell’opera di Beehtoven sia considerata
superiore rispetto a quella contenuta nelle sinfonie di Mozart, che erano state descritte come “le più
appassionate ed ardenti” in relazione a quelle di Haydn. Nonostante tali differenze di giudizio, il valore
musicale delle opere dei tre compositori ed il piacere estetico che esse producono, risulta inalterato negli
anni. L’autore non condanna né disprezza i sentimenti suscitati dalla musica, semplicemente non parte da
essi per trarre delle conclusioni di carattere scientifico.

II – L’esibizione dei sentimenti non è il contenuto della musica

Nel successivo capitolo H. dimostra la seconda parte della propria affermazione iniziale riguardante i
sentimenti. Nell’arte visiva e poetica non è difficile osservare quale sia il contenuto, la cosa rappresentata
dall’opera in questione, un paesaggio, una situazione, un personaggio. H. confuta la tendenza a definire i
sentimenti come il reale contenuto dell’opera d’arte musicale, sentimenti che verrebbero “vestiti”
attraverso le idee musicali. Ciò non può sussistere poiché qualsiasi sentimento ha bisogno di un oggetto al
quale riferirsi, ad esempio parlare di amore senza dichiarare l’oggetto verso il quale è rivolto risulta
eccessivamente vago, e la musica non possiede il potere di esprimere tale oggetto, ma al massimo riesce a
suggerire gli aggettivi che lo accompagnano attraverso le dinamiche del proprio procedere. Dunque le
idee che il compositore riesce ad esprimere sono specificatamente musicali e solamente in seconda
battuta ed in maniera soggettiva potrebbero rimandare a dei concetti più aulici e generali. Tali idee musicali
possono esprimere la dinamica degli stati d’animo, il movimento, ma anche ergersi a simbolo (tonalità
predilette dai vari compositori). L’autore analizza schematicamente le prime otto misure dell’overture del
Prometeo di Beehtoven per dimostrare come esse non presentino altro che l’idea musicale e
successivamente, compiendo una piccola modifica sul testo dell’Orfeo di Gluck, esclude la musica vocale e
la musica a programma dalla propria analisi estetica poiché il contenuto di tale genere risulta essere la
parola, e nel momento in cui cambiano i testi, il valore musicale resta del tutto inalterato. H. porta ad
esempio numerose opere di maestri come Hӓndel e Bach che talvolta hanno riutilizzato delle composizioni
preesistenti con modifiche alle liriche in base alle differenti destinazioni.

Non ci si soffermerà sulla confutazione della tesi, da parte di Hanslick, che la musica esibisca un sentimento
indeterminato poiché essa contiene già in sé una contraddizione interna. L’ultima confutazione sui
sentimenti come contenuto della musica è compiuta per assurdo, ovvero includendo la musica vocale nella
propria analisi estetica, e facendo notare, come nella forma in cui la perfetta aderenza tra testo e musica
dovrebbe rappresentare il sublime, ovvero il recitativo, ciò non avviene poiché la musica viene relegata a
semplice serva della parola.

III – Il bello musicale

Inizia in questa sezione del saggio la “fase positiva” dell’argomento affrontato da Hanslick, il quale,
confutate le tesi che volevano i sentimenti come scopo e/o contenuto del bello musicale, afferma la sua tesi
principale. Il bello musicale non può essere altro rispetto ai “suoni e la loro artistica connessione”, ovvero
la sintesi e l’organizzazione in idee musicali che il compositore compie attraverso la propria fantasia, degli
elementi originari che compongono la materia musicale, melodia, armonia, ritmo e timbro. L’autore
paragona la costruzione musicale a due fenomeni visivi, l’arabesco (immaginato in divenire come serie di
linee che si intersecano formando una figura armoniosa e coerente nell’insieme delle sue parti) ed il
caleidoscopio (sorta di visione complessiva delle parti, mutevole ma sempre coerente al suo interno). La
difficoltà nella descrizione di un bello musicale risiede nell’impossibilità di associarlo a concetti già presenti
in natura o a contenuti estranei ad esso senza utilizzare delle vaghe immagini poetiche o dei freddi
tecnicismi. Pertanto ci si può relazionare con esso semplicemente considerandolo come un linguaggio già
del tutto compiuto, che si presenta attraverso delle forme sonore le quali portano con sé del contenuto
spirituale. Tale linguaggio viene compreso istintivamente da ogni orecchio colto, che riesca a cogliere in
maniera intuitiva le forme musicali ed il movimento di esse. Il contenuto spirituale, secondo Hanslick, è
presente nella struttura musicale di un’opera, poiché partecipa all’atto iniziale, generatore della
composizione stessa, ovvero il manifestarsi nella fantasia del musicista di una prima melodia, un germe
iniziale che fornisce il materiale di base per organizzare l’intera costruzione musicale. Ciascun autore
possiederà i propri tratti distintivi (armonie, ritmi, profili melodici) che nasceranno inconsapevoli dal
proprio spirito ma che non avranno una relazione necessaria con il presunto stato d’animo al momento
della composizione.

Dato per acquisito ciò, H. specifica come la propria concezione di bello musicale sia funzionale tanto per gli
autori classici, quanto per i romantici e va a fare chiarezza su un aspetto fondante dell’estetica romantica,
ovvero la relazione tra l’opera d’arte e il periodo storico in cui essa venne prodotta, le principali correnti
filosofiche in voga e, non ultime, le convinzioni individuali e la biografia dell’autore. Questa connessione,
afferma l’autore, può sussistere ma non rientra tanto nell’indagine estetica quanto più in quella storica, e
se compiuta sistematicamente, può dare luogo ad errori ed interpretazioni sbagliate, poiché non sempre è
possibile stabilire delle relazioni oggettive e necessarie.

Nella parte finale del capitolo, il critico va ad arricchire la componente negativa del proprio ragionamento,
confutando alcune concezioni erronee in voga tra i propri contemporanei, ovvero quella di un bello
musicale spiegato completamente dalla simmetria e dalla regolarità di un brano (caratteri che possono
essere propri di qualsiasi composizione, persino la più mediocre) oppure, in stretta correlazione con la
matematica (che indubbiamente è presente nella materia grezza musicale, poiché la fisica acustica regola
molti rapporti insiti nella materia musicale).

L’ultimo paragrafo è volto a determinare la differenza tra la musica e il linguaggio, due campi
indubbiamente affini tra loro, ma che presentano una sostanziale differenza nel modo di presentarsi. Nel
linguaggio il suono sta per un segno ed esprime qualcosa di differente rispetto al suono stesso, mentre nella
musica la forma sonora è al centro di tutto e non vi è il rimando successivo a qualcos’altro di estraneo o
extramusicale.

IV – Analisi dell’impressione soggettiva della musica

L’analisi di Hanslick procede in maniera logica andando a definire in che modo il sentimento, che non è
assunto come oggetto del bello musicale, né come scopo della composizione musicale stessa, “ha a che
fare” con l’opera d’arte. Per l’autore vi è un’influenza del sentimento prima e dopo la realizzazione
dell’opera d’arte, ovvero nella disposizione d’animo dell’artista che si accinge a comporre e
successivamente, nell’ascoltatore che ottiene piacere estetico dalla composizione stessa. Il sentimento può
dare l’energia iniziale ad una composizione, ma in alcun modo può ergersi a forza creatrice, poiché senza il
lavoro plastico del compositore, il suo formare, giustapporre elementi, far sì che la totalità del materiale sia
coerente, non vi sarebbe alcuna opera omogenea ma solamente delle vaghe e sconnesse idee. La
spiritualità propria di ogni compositore lo spingerà ad utilizzare determinati elementi che, una volta fissati e
inseriti nella materia musicale, diverranno bellezza autonoma ed oggettiva, specificatamente musicale , ed
in questo modo l’individualità del compositore trova un’espressione simbolica nelle sue composizioni.

Il sentimento, per Hanslick, fluisce e gioca un ruolo importante nell’atto della riproduzione, ovvero
dell’esecuzione di un determinato brano, che rappresenta un atto istantaneo, totalmente differente dal
lento e complesso lavoro di composizione, e nel quale il sentimento è necessario per cogliere e far vivere
nuovamente, lo spirito di colui che ha composto tale brano. Quando i due atti, composizione ed esecuzione,
coincidono, ovvero nella libera improvvisazione di fantasie, si avrà la più alta rivelazione dello stato d’animo
da parte del compositore/esecutore e, conseguentemente, dell’ascoltatore.

Hanslick afferma come l’effetto della musica sull’animo umano sia superiore a quello di ogni altra arte
proprio per via della sua componente incorporea, ineffabile e perciò estremamente influente sul sistema
nervoso degli ascoltatori, nel far ciò invade i campi della psicologia e della fisiologia, citando alcune scuole
di pensiero che negli anni hanno tentato di stabilire delle relazioni, più o meno scientifiche e spesso
discutibili tra i suoni ed il sistema nervoso. Per parte della fisiologia dell’epoca, le onde sonore,
attraversando il nervo acustico, comunicherebbero direttamente agli altri nervi gli effetti benevoli derivanti
dall’eccitazione sensoriale generata dalla musica, d’altra parte, la scuola “psicologica” vede nella musica la
possibilità di agire direttamente sull’anima, e che vi sia un misterioso tramite tra essa ed il sistema nervoso
che ha bisogno di cure. Ovviamente l’autore riporta tali teorie senza la pretesa di includerle nella propria
riflessione estetica, poiché fa notare non vi sia la possibilità di conoscere del tutto in che modo una
sensazione fisica, prodotta nel nervo acustico, si trasferisca nell’animo e viceversa. “Quanto maggiore è
l’intensità con cui un effetto artistico agisce sul fisico…tanto in minore misura può dirsi estetico” l’autore
sintetizza in maniera precisa ed esauriente con queste parole, il proprio punto di vista a proposito della
questione fisiologica.

V – La ricezione estetica della musica in opposizione a quella patologica

Dopo aver affermato quanto vi sia di fisiologico nella ricezione di un materiale musicale, l’autore distingue
in maniera piuttosto netta due tipologie di ricezione della musica, denominate “estetica” e “patologica”.
Con il secondo termine egli descrive un tipo di ascolto che non riesce a cogliere l’essenza del bello artistico
e si adagia sul pathos, ovvero sulla “eccitazione sensibile” determinata dal carattere del brano musicale in
questione. Come conseguenza di ciò, l’ascoltatore verrà trasportato in maniera del tutto simile da brani che
presentano lo stesso carattere, senza poterne coglierne i lati particolari, il contenuto sentimentale astratto
che, dal punto di vista dell’ ascoltatore musicale differenzia una composizione dall’altra.

Hanslick definisce “deplorevole” la ricezione patologica della musica (Le migliori composizioni possono
eseguirsi come musica da tavola e facilitare la digestione dei fagiani) e successivamente va ad aprire una
parentesi riguardo i presunti “effetti morali” della musica, effetti di cui si hanno testimonianze che risalgono
all’antica Grecia. Per l’autore l’influenza morale dei suoni cresce inversamente alla cultura dello spirito e del
carattere poiché, egli afferma come nei selvaggi, nei popoli antichi e perfino negli animali la musica eserciti
una forte azione. Andando leggermente più a fondo nella propria analisi, Hanslick precisa la propria
affermazione a proposito del popolo che forse più di ogni altro può ergersi a capostipite della cultura
moderna e contemporanea, definendo come raffinata l’azione sensuale che la musica aveva sugli antichi
greci, in virtù delle proprie caratteristiche particolari. Se, da un lato, non vi era una costruzione musicale
indipendente dalla parola, dal teatro o semplicemente priva di scopo, dall’altro, il rigoroso utilizzo dei modi
a seconda delle situazioni e l’impiego dei quarti di tono come di temperamenti naturali sicuramente
contribuirono ad una sensibilità particolare nell’ascoltatore del tempo.

Dopo tale breve excursus, il critico espone la propria concezione di “ricezione estetica” della materia
musicale, descritta come un comprendere e precorrere continuamente le intenzioni del compositore,
cogliere lo spirito creatore in maniera vigile ed attenta al momento dell’ascolto, trovando confermate o
deluse le proprie istantanee intuizioni. Per Hanslick, questo è il modo veramente estetico di ascoltare, ed è
paragonabile anch’esso ad un’arte, poiché il piacere autentico derivato dall’ascolto è indubbiamente
conforme al valore artistico dell’opera e, come già affermato in precedenza, solo in questo modo è possibile
cogliere in maniera precisa il bello che risiede in ogni singolo pezzo.

VI – I rapporti della musica con la natura

Tale capitolo può esser visto come complementare all’analisi di Hanslick poiché, nel periodo positivista in
cui ha luogo la ricerca del critico boemo, le scienze naturali erano considerate come la base razionale per
poter comprendere anche fenomeni non direttamente riconducibili alla natura stessa. La prima
osservazione dell’autore è come la natura fornisca il materiale grezzo di base per la costruzione degli
strumenti, metallo, legno, parti di animali, i quali, fabbricati in maniera opportuna, hanno la possibilità di
produrre il vero materiale che andrà a costituire la musica, il puro suono. La melodia e l’armonia non hanno
dei modelli naturali ma nascono direttamente dallo spirito umano, contrariamente al ritmo, l’unico
parametro musicale che esiste compiutamente al di fuori dell’uomo ed il primo ad essere stato utilizzato
dagli antichi abitanti del nostro pianeta. In base a tali premesse Hanslick afferma come il nostro sistema
musicale non sia presente in natura, ma risulti innato negli occidentali a causa delle proprie origini e del
proprio costante sviluppo ed arricchimento. Egli si batte contro l’idea romantica di una musica naturale
presente nei canti degli uccelli, nello stormire delle fronde, nel rombo dell’oceano in burrasca dimostrando
come la non commensurabilità di tali fenomeni li renda differenti anche dal più semplice canto pastorale.

Ritornando nel campo estetico, Hanslick compie l’ennesimo paragone tra l’arte musicale, la pittura, e la
poesia osservando come per la prima non vi sia un bello di natura da poter imitare, nemmeno risalendo alla
più ancestrale delle melodie popolari poiché come si è già accennato in precedenza, la melodia stessa è un
prodotto dello spirito umano. Per tale motivo l’autore critica il concetto di musica a programma, poiché la
relazione che sussiste tra un brano ed un soggetto extramusicale non può essere in alcun modo necessaria.

VII – I concetti di contenuto e forma nella musica

Nell’ultimo capitolo della propria analisi, Hanslick tenta di fare chiarezza a proposito di una questione
fondamentale nel campo dell’estetica musicale, ovvero il significato ultimo dei termini contenuto e forma in
relazione ad una composizione musicale. Il critico osserva come vi sia discordanza nell’utilizzo dei termini
contenuto, argomento e materia ed offre la propria interpretazione di questi ultimi.

Riprendendo varie affermazioni già presentate nel corso del trattato, Hanslick afferma nuovamente come il
contenuto della musica consista unicamente nelle forme sonore che non possono esprimere altro all’infuori
di se stesse, dunque non vi sarà alcun Orfeo, Laocoonte, o forma naturale in grado di essere descritta
univocamente ed in maniera precisa da una composizione musicale. Tale contenuto si identificherà con la
forma in un’oscura e inscindibile unità ed il tema, come idea musicale semplice ed immediata, rappresenta
in maniera perfetta questa unità.
Brani ascoltati in classe:

-Don giovanni, R. Strauss (musica a programma)

-Il cardellino, A. Vivaldi; gli uccelli, O. Respighi (musica a programma, musica e natura)

-Farben, A. Schoenberg (il parametro timbrico)

-Quattro pezzi su una nota sola, G. Scelsi (parametro timbrico, assenza di melodia)

-Aida, finale, G. Verdi; quintetto per piano ed archi, J. Brahms (opera in contrapposizione a musica assoluta)

-Fantasia e fuga sul nome Bach, M. Reger (ispirazione extramusicale)

-Carnaval, op. 9, R. Schumann (l’estetica di Schumann, Eusebio e Florestano, apollineo e dionisiaco)

-Il carnevale degli animali, C. Saint Saens (musica a programma)

-Eine Sylvesternacht, F. Nietzsche (un non musicista che si cimenta con l’arte della composizione)

-Pierrot Lunaire, A. Schoenberg (nuovi linguaggi, dopo Hanslick)

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