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Storia e storiografia della musica I

Biennio di II livello

Prof. Antonio Farì / a.a. 2019-2020

Questa dispensa raccoglie e sintetizza alcune delle principali linee guida definite per lo svolgimento del Corso.
Essa, dunque, ha una finalità esclusivamente didattica e una funzionalità solo interna al Corso. Sono presenti brani
tratti da testi cartacei oppure online, i cui riferimenti vengono forniti agli studenti nel corso dell’azione didattica.
Il docente

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Titolo del Corso

I grandi nodi del primo Novecento

Il Corso ha l’obiettivo di presentare e approfondire i grandi temi estetici e linguistici


della musica del primo Novecento. Il secolo più inquieto e problematico della storia
della musica segnato dai grandi protagonisti (su tutti Debussy, Mahler, Stravinskij e
Schönberg); una “rilettura” attraverso le nuove prospettive storiografiche, l’approccio
tecnico, la visione storica e di contesto.

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Il nostro percorso inizia con Debussy; ci avvarremo, per tutti gli argomenti trattati, anche del
libro di testo: Carrozzo-Cimagalli, Storia della musica occidentale, vol. III; la trattazione di
Debussy va da p.317 a p. 326.

Alle pagine del libro aggiungiamo alcune altre considerazioni, riassuntive di quanto trattato in
aula.

Debussy può essere considerato il primo musicista d'avanguardia del Novecento, padre della musica
moderna per le sue innovazioni. Pierre Boulez sostiene che, come la poesia moderna ha le radici in certi
poemi di Baudelaire, così si può dire con fondatezza che la musica moderna si sveglia nell‘Après-midi d'un
faune. A partire dal momento in cui comparve la musica di Debussy, la storia della musica compì un notevole
cambio di rotta.
In realtà la missione di Debussy è quella di liberare la musica da regole sintattiche e procedimenti di sviluppo
prestabiliti (e dai due grandi modelli che si ergevano dominanti alla fine dell’Ottocento: Wagner e Brahms). Il
musicista dichiarerà, dopo la presentazione del Prélude à l'Après-midi d'un faune: "Rassicuratevi, l'opera è
proprio costruita; ma invano cercherete le colonne - io infatti le ho tolte…" Secondo Debussy la musica non
corrisponde ad alcuna teoria, ma "il piacere è la regola".
La musica di Debussy è transdiscorsiva (Jarocinski): "La musica non comincia e non finisce. Emerge dal
silenzio, si impone senza preliminari, in medias res, poi, interrompendo il suo corso, continua a tessere la sua
trama nel nostro sogno“.
Lo stesso Debussy disse: "la musica inizia là dove la parola è incapace di esprimere, la musica è destinata
all'inesprimibile; vorrei che uscisse dall'ombra e che, in certi momenti, vi rientrasse, che fosse sempre
discreta”.

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Debussy è stato spesso definito musicista impressionista. Il linguaggio pittorico si può in effetti rapportare
alle sue musiche e al suo modo di comporre: si parla di 'macchie sonore', data soprattutto la tecnica di
giustapposizione di accordi e la non chiara linea di un disegno musicale. I primi debussysti parlavano della sua
musica usando termini come: 'mezze tinte', 'colore riflesso', 'colorazione pallida crepuscolare diffusa di
penombre sottomarine', 'colorazione iridescente, evanescente, fosforescente’. La ricerca del suono puro
ricalca la tecnica dell'uso dei soli colori puri della tavolozza degli impressionisti. Debussy usa il timbro come
questi usano il colore. Nella sua musica non c'è necessariamente un discorso logico che conduce l'andamento
del brano, come nella pittura impressionista manca il disegno, la linea marcata. Debussy e gli impressionisti
colgono le impressioni offerte dal mondo esterno, e le riproducono prima che intervenga l'intelletto a
riordinarle.

Da tempo ormai Debussy è stato completamente restituito all’estetica che più lo vede consapevole
protagonista, quella del Simbolismo. E’ assolutamente decisivo come i cardini dell’idea poetica dei simbolisti
siano presenti nella musica di Debussy: Rimbaud libera la poesia dalla tirannia del verso ed inventa il vers
libre, sognando nel colore delle vocali un “verbo poetico accessibile a tutti i sensi”, un verso che sia già esso
stesso musica, e Debussy libera la forma musicale dalla tirannia delle funzioni armoniche, crea il suono –
timbro - colore slegato dalle funzioni strutturali e dalla dialettica formale per proporsi come “evento” aperto
a tutte le facoltà percettive.
Mallarmé insegue l’ideale della “poesia incantatrice”, Verlaine ritrova il fascino del trasporre la natura nei
versi, lontano dal “naturalismo” oggettivistico e piuttosto colmo di incantamento delle stagioni ( La chanson
d’automne), di mistero degli elementi, e così Debussy riprende ed interpreta sonoramente l’incanto
mallarmeano musicando il Prélude à l’après-midi d’un faune (“Preludio al pomeriggio di un fauno”), e colma
di natura le sue musiche sinfoniche ( La mer, Nocturnes, Images ) e pianistiche ( Clair de lune, Jardins sous la
pluie, Reflets dans l’eau, Le vent dans la plaine, Brouillards, Feuilles mortes, Bruyères…), ove cerca sempre
non la descrizione, ma l’incanto, il mistero che solo consente un vero ritorno alla natura.

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E quanto allo stesso padre del Simbolismo, Baudelaire, Debussy vi si accosta con convinzione e condivisione,
musicando, sempre per pianoforte solo, le “corrispondenze” delle “Harmonie du soir”, doveLe sons et les
parfums tournent dans l’air du soir.

Debussy parlava spesso del profumo del suono, del fatto che la musica dovesse esser percepita da tutti i sensi
perché l'ascoltatore potesse meglio immergersi in ciò che essa poteva evocare e perché potesse lasciare una
scia, una sensazione, come una ventata di profumo (sinestesia).

I simbolisti vogliono che lo sguardo sia filtrato dal velo: l'essenza intima delle cose è nascosta nelle parole che
devono spogliarsi del significato tradizionale e avvalersi di simboli complessi; la 'poesia pura' (come il suono
puro per Debussy) è il mezzo per ricercare ed esprimere l'ideale assoluto. Il velo non vuole essere alzato,
perché - come disse Debussy - la troppa chiarezza distrugge il sogno.
I simbolisti, d'altro canto, aspiravano alla riscoperta di una dimensione musicale della parola, come infinita
possibilità di significati, in quanto la musica per la sua asemanticità consente di svelare e nascondere allo
stesso tempo ciò che esprime.

La scelta delle parole deve creare un senso di incertezza, di ambiguità, che suggerisce la possibilità di diverse
letture. La scelta del colore grigio richiama alla mente Whistler e i suoi 'studi sul grigio' a cui Debussy disse di
essersi ispirato per i Nocturnes. Come nella pittura, anche nella poesia, ciò significa sfumature di contorni,
scorrevolezza di parole e immagini, effetto ottenibile solo attenendosi all'evocazione, evitando la descrizione
e l'interpretazione.

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Lo stile debussista passa naturalmente attraverso alcune soluzioni linguistiche e sintattiche; innanzitutto vi è
il distanziamento da Wagner , di cui non condivide il cromatismo integrale e snervante (che egli supera
attraverso una scrittura che ricuce lo spazio diatonicamente), di cui non apprezza l’orchestrazione gigantesca
e dai timbri sovrapposti e confusi (laddove l’orchestra debussista rimane sempre di grandi proporzioni, ma
impiegata in sezioni strumentali distinte, pensate per accostamenti timbrico-coloristici, spesso dalle sonorità
pure, raffinate e rarefatte), e di cui infine contesta apertamente l’uso-abuso del Leitmotiv, sarcasticamente
paragonato ad un biglietto da visita di cui il proprietario declami il contenuto. Procede piuttosto attraverso
collegamenti melodici e sequenziali di tono, in un’atmosfera ora arcaicizzante, ora dal sapore esotico (in
assonanza con l’ orientalismo condiviso e diffuso nell’arte simbolista). A Debussy, d’altra parte, si deve
l’introduzione nella musica occidentale della scala esatonale (basata cioè sulla successione di sei toni interi).

Elusione dello sviluppo e della forma .


La musica di Debussy manifesta una repulsione a “sviluppare”, che a sua volta è il riflesso del rifiuto del
tempo “oratorio”, di quel tempo organizzato tipico dei discorsi, delle dissertazioni, della dialettica, ma, per
Debussy, non della musica. Una Sonata, insomma, non ha un “significato”, ed una Fuga non è un
ragionamento. Gli stessi titoli delle sue musiche indicano chiaramente come egli rifiuti quelle forme
tradizionalmente intrise di dialettica dimostrativa. Basti pensare come uno dei suoi Preludi abbia quasi un
titolo emblematico: La Sérénade interrompue (“La serenata interrotta”), una serenata notturna in terra di
Spagna che non riesce mai a concludersi, interrotta ora da una finestra sbattuta o da una ronda di
nottambuli, fino a che non la si sente svanire in lontananza.

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Arabesco e attrazione verso la terra.
Il gioco apparentemente decorativo delle note; preziose come orientali arabeschi, tendono quasi sempre a
dirigersi verso il basso, in discendere: Feuilles mortes, The snow is dancing, Des pas sur la neige, Jardins sous
la pluie, Pour remercier la pluie au matin, Terrasse des audiences…

Come primo materiale d’ascolto e prima “ambientazione” sonora abbiamo scelto proprio
Arabesque n. 1 https://www.youtube.com/watch?v=Yh36PaE-Pf0 (con spartito)
Le Deux Arabesques sono composizioni giovanili del 1888 e risentono degli studi bachiani da parte dell'autore, pur tra evidenti
innovazioni armoniche e ritmiche nella disposizione dei vari accordi. La prima Arabesque (Andantino con moto ) ha un profumo
lirico e una leggerezza di tocco più accentuata rispetto alla seconda ( Allegretto scherzando ) dalle pulsazioni ritmiche più nervose o
dai contorni più netti.
(Ennio Melchiorre)

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Ci siamo quindi soffermati su un capolavoro assoluto, e ancora giovanile, di Debussy, il Prélude a
l'après-midi d'un faune; di seguito una scheda critica.

Già nel Prélude a l'après-midi d'un faune (1892-94), primo capolavoro sinfonico di Debussy (eseguito per la prima volta a Parigi il
22 dicembre 1894, direttore Gustave Doret), la novità e la libertà della concezione hanno suscitato analisi differenti sfuggendo a
una convenzionale schematizzazione.
La fluida continuità senza cesure nette maschera l'articolazione del succedersi delle sezioni in una costruzione di carattere elusivo,
non più interpretabile secondo schemi tramandati, eppure a essi in qualche misura riferibile. Fa parte della specìfica suggestione
del Prélude (e del suo collocarsi in una posizione liminare) il coesistere, fondersi, intrecciarsi di reminiscenze (per lo più allusive, e
non sempre nitidamente afferrabili) e del profilarsi di un pensiero musicale nuovo. Il cangiare del colore, il succedersi delle
intuizioni armonico-timbriche assumono un peso formale decisivo, e le trasformazioni del suono tendono a fondare una logica
nuova, che si sostituisce a quella della elaborazione tematica.
La melodia del flauto, all'inizio, si profila senza accompagnamento, sospesa, «così carica di voluttà da divenire angosciosa»
(Jankélévitch), di incerta definizione tonale. Il «respiro nuovo» che Boulez sottolineò in questa frase è degno davvero della
«sonora, vana e monotona linea» creata dal fauno di Mallarmé sul suo strumento: un arabesco che si libra struggente in un vuoto,
in una totale assenza di certezze. Iniziando sempre con la stessa nota, che ogni volta fa parte di un'armonia diversa e assume
nuovi colori, il flauto ripete la sua melodia in situazioni instabili e mutevoli, proponendone sottili varianti, che si collegano con
logica intuitiva e a poco a poco si discostano dall'effetto di libera, indeterminata, sospesa improvvisazione suggerito dalle prime
battute. Le idee che si presentano poi nel corso del pezzo si rivelano affini alla melodia iniziale e possono essere considerate sue
derivazioni, dai profili sempre più precisi, fino al momento in cui, esattamente a metà del pezzo, viene presentata una lirica idea
in re bemolle maggiore (non immemore forse del Notturno op. 27 n. 2 di Chopin) dal gesto intenso ed espansivo. La sezione
centrale, preceduta da un primo «sviluppo», rappresenta nel Prélude il momento meno lontano da echi del passato, fra l'altro
wagneriani, ed è caratterizzata dalla tensione di grandi archi melodici e da procedimenti armonici concatenati secondo una logica
più familiare: poi si ha un nuovo «sviluppo» e una sorta di ripresa sensibilmente variata.
Essa sfocia in una coda che si spegne e dissolve con la massima delicatezza in un'atmosfera sospesa, come se la musica tornasse
all'ombra e al silenzio misteriosamente, come ne era uscita: davvero nel Prélude Debussy appare idealmente più vicino a
Mallarmé proprio dove trova gli accenti più inconfondibilmente personali.

(Paolo Petazzi, Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 47 della rivista Amadeus)

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In realtà noi abbiamo ascoltato e visto il balletto L’ Après-midi d’un Faune: Debussy si convinse a dare la sua
composizione ai Ballets Russes di Serge de Diaghilev, e il balletto andò in scena (con grande scandalo) al
Théâtre du Châtelet di Parigi, il 19 maggio del 1912, per la coreografia di Vaslav Nijinski, che interpretò
naturalmente anche il fauno.

https://www.youtube.com/watch?v=m7b1FkZYarU(coreografia originale, interprete Rudolph Nureyev)

In un caldo pomeriggio d’estate il fauno, sopra una collinetta, si distende al sole, carico di desiderio sessuale e rapito dal suono del
suo flauto. Spinto da un tenero sentimento, incomincia a danzare. In quel momento passano delle ninfe. Il fauno le vede e si
avvicina. Le ninfe si spaventano e fuggono, ma poi, incuriosite, tornano sui loro passi. Il fauno riprende a danzare e le insegue. Una
di esse rimane indietro permettendo al fauno di raggiungerla. Il fauno tenta di abbracciarla, ma lei, timida, sfugge dalle sue
braccia e si ripara nel vicino boschetto perdendo, nella fuga, una sciarpa. Il fauno, deluso ma felice, raccoglie il velo e lo alza al
cielo, poi lo bacia con trasporto, vi si adagia sopra e lo possiede, come fosse l’oggetto del suo amore, in un ultimo slancio erotico.

Il balletto si basa dunque sulla celebre partitura di Debussy, composta nel 1894 e ispirata all’altrettanto
celebre egloga di Stéphane Mallarmé (1876). Dal punto di vista figurativo, Nijinski si ispirò ai bassorilievi
ellenici e cercò di riprodurli in una serie di movimenti e di atteggiamenti di profilo e posizioni angolate.
Alla prima parigina del balletto una gran parte del pubblico si scandalizzò di fronte alla realistica scena finale
e coprì Nijinski e Diaghilev di insulti.

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A Debussy si deve anche un’opera lirica, Pelléas et Mélisande , nella quale pure immette il suo stile
innovativo: l’orchestra è usata a sezioni timbriche, mentre la vocalità dei vari personaggi ritorna ad un
declamato lirico lontano dall’enfasi romantica e tutto immerso nel clima simbolico dell’epoca e dello stesso
soggetto dell’opera.

L’unico dramma musicale portato a compimento da Debussy segna l’apertura del nuovo secolo e inaugura,
con un profondo mutamento di stile e di linguaggio, il teatro lirico del Novecento. Per poter pervenire a un
modello d’opera così nuovo e rivoluzionario, l’autore dovette lavorarvi per ben dieci anni, a partire dal suo
primo incontro col dramma in prosa di Maurice Maeterlinck, alfiere del simbolismo letterario.

Debussy sosteneva che il poeta dei suoi sogni avrebbe dovuto essere quello che concepirà dei personaggi la
cui storia e il cui ambiente non apparterranno ad alcun tempo e ad alcun luogo. Dunque con Pelléas le sue
aspirazioni si trovavano improvvisamente realizzate, grazie a un testo che fa della reticenza, del mistero, della
lontananza dalla storia la radice principale della sua poetica.

La fedeltà alla prosa francese di Maeterlinck obbligò Debussy a inventare un modello originale di declamato
lirico, capace in tutto di rispettare la prosodia del testo, con il risultato di dar vita a un’intonazione
estremamente scorrevole e ‘parlante’, ma ricca d’incredibili sfumature espressive.

Nel tracciare questo nuovissimo stile vocale, il musicista fece tesoro delle sue mélodies per voce e pianoforte,
che negli anni immediatamente precedenti la gestazione di Pelléas, in particolare nel 1893, si aprono a uno
sperimentalismo determinante per il linguaggio dell’opera futura: è il caso delle Proses lyriques , e delle
Chansons de Bilitis (1897-98) su testi dell’amico Pierre Louÿs.

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Ecco una scheda critica dell’opera, tratta dal Dizionario dell’opera della casa editrice Baldini e Castoldi

Pelléas et Mélisande
di Claude Debussy (1862-1918) dal dramma omonimo di Maurice Maeterlinck
Prima: Parigi, Opéra-Comique, 30 aprile 1902
Personaggi:
Pelléas, nipote d’Arkel (T); Golaud, suo fratellastro (Bar); Arkël, re d’Allemonde (B); il piccolo Yniold, figlio di primo letto di Golaud (S); un medico (Bar):
Mélisande (S); Geneviève, madre di Golaud e Pelléas (Ms); servi, poveri

L’unico dramma musicale portato a compimento da Debussy segna l’apertura del nuovo secolo e inaugura, con un profondo mutamento di stile e di linguaggio,
il teatro lirico del Novecento. Per poter pervenire a un modello d’opera così nuovo e rivoluzionario, l’autore dovette lavorarvi per ben dieci anni, a partire dal
suo primo incontro col dramma in prosa di Maurice Maeterlinck, alfiere del simbolismo letterario. Debussy acquistò il testo casualmente nell’estate del 1892,
quando il dramma era ancor fresco di stampa; la lettura lo lasciò profondamente impressionato, ma fu la visione diPelléas sulle scene dei Bouffes-Parisiens
l’anno successivo che lo convinse a metterlo in musica. In effetti, quel testo corrispondeva esattamente a ciò che Debussy da tempo stava cercando: un
dramma che si allontanasse dai modelli correnti di teatro borghese (ad esempio lepièces di successo d’un Sardou) e tanto di più dagli argomenti letterari e
fantastici cari ai musicisti suoi contemporanei, più o meno influenzati dal teatro wagneriano. Già in una dichiarazione del 1889, raccolta da Maurice Emmanuel,
Debussy sosteneva che il poeta dei suoi sogni avrebbe dovuto essere quello che «disant le choses à demi, me permettra de greffer mon rêve sur le sien», quel
poeta che concepirà dei personaggi la cui storia e il cui ambiente non apparterranno ad alcun tempo e ad alcun luogo. Dunque con Pelléas le sue aspirazioni si
trovavano improvvisamente realizzate, grazie a un testo che fa della reticenza, del mistero, della lontananza dalla storia la radice principale della sua poetica. Il
musicista chiese a Maeterlinck l’autorizzazione a mettere in musica il suo dramma, e la ottenne senza problemi. Le difficoltà sorsero più tardi, quando
Maeterlinck cercò d’imporre a Debussy, come interprete principale, sua moglie Georgette Leblanc. Debussy si rifiutò, e lo scrittore dichiarò allora
pubblicamente di essere del tutto estraneo al progetto musicale diPelléas et Mélisande , e di augurarsi il suo fiasco totale. Al tempo di questi contrasti,
comunque, l’opera era ormai terminata, ma solo dopo un lavoro lento e certosino, che fece meditare a Debussy, nell’arco di un intero decennio, parola su
parola e battuta su battuta. Nel gennaio del 1894, il musicista scriveva all’amico e collega Ernest Chausson: «Ho passato intere giornate a inseguire quel
«niente» di cui è fatta Mélisande, e talvolta mi mancava persino il coraggio di raccontarvelo. Non so se vi siete mai addormentato, come me, con una vaga
voglia di piangere, come se non si fosse potuto vedere durante la giornata una persona amatissima. Adesso è Arkël a tormentarmi: questi è un personaggio
d’oltretomba e ha quella tenerezza disinteressata e profetica propria di chi sparirà tra breve. E tutto questo va detto con do, re, mi, fa, sol, la, si, do!!! Che
mestiere!». La scelta più significativa di Debussy rispetto al testo letterario fu quella di non adattarlo a libretto ma di mantenere l’originale scrittura in prosa,
limitandosi a tagliare alcune scene, sia per motivi di carattere estetico sia per ovvie ragioni di durata dell’opera. I tagli costituiscono, nella loro acuta
intelligenza, un sensibile miglioramento al dramma di Maeterlinck, che rimane tuttavia pressoché integro nella lettera. Pertanto, Debussy fu il primo
compositore a mettere in musica un testo teatrale preesistente così com’era stato scritto, scelta che si rivelò ancora una volta rivoluzionaria e che aprì la strada
a un nuovo modo d’intendere il rapporto fra teatro di prosa e teatro musicale. I primi frutti di quella scelta si potranno già osservare nella Salome di Richard
Strauss, rappresentata nel 1905 (soltanto tre anni dopoPelléas ), dove anche il musicista bavarese si attenne fedelmente alla tragedia di Oscar Wilde,
limitandosi a farla tradurre in tedesco da Hedwig Lachmann.

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La fedeltà alla prosa francese di Maeterlinck obbligò Debussy a inventare un modello originale di declamato lirico, capace in tutto di rispettare la prosodia del
testo, con il risultato di dar vita a un’intonazione estremamente scorrevole e ‘parlante’, ma ricca d’incredibili sfumature espressive. Nel tracciare questo
nuovissimo stile vocale, il musicista fece tesoro delle suemélodies per voce e pianoforte, che negli anni immediatamente precedenti la gestazione di Pelléas, in
particolare nel 1893, si aprono a uno sperimentalismo determinante per il linguaggio dell’opera futura: è il caso delle Proses lyriques, titolo già di per sé
significativo (i testi sono dello stesso musicista), e delleChansons de Bilitis (1897-98) su testi dell’amico Pierre Louys, nelle quali già par d’intendere la voce di
Mélisande (non è certo un caso se la seconda di quelleChansons, porta il titolo La Chevelure ). Si giunse finalmente, tra mille problemi e contrattempi, alla
prova generale, fissata all’Opéra-Comique per il 28 aprile 1902, in un clima surriscaldato dall’attesa e dai pregiudizi che erano dilagati nella Parigi dei
frequentatori dei teatri e degli artisti, grazie anche alle polemiche scatenate all’ultimo momento da Maeterlinck, che si era spinto fino al punto di sfidare a
duello il compositore. All’ingresso del teatro venne distribuito un falso programma di sala, pieno di ironie sulla vicenda e di grevi doppi sensi (fu allora che
nacque il calembour - tuttora popolarissimo - «Pédéraste et Médisante»). Alle prime sortite di Mélisande la gente già rideva di gusto, riso che si trasformò in
sghignazzo quando la protagonista dice a bassa voce «Non sono felice», al che immediatamente il loggione replicò: «Neppure noi!». Solo pochi restarono fino al
termine dello spettacolo per applaudire Debussy, e fra questi Valéry, Mirbeau e Régnier. Alla première vera e propria si formarono invece due partiti
contrapposti, e i difensori diPelléas , incarnati dal gruppo degli «Apaches» che comprendeva anche il giovane Ravel, riuscirono a zittire i molti spettatori di fede
wagneriana intenzionati a far cadere l’opera. Invece, a partire dalle prime repliche, Pelléas riuscì a imporsi, fino a diventare un testo alla moda, con schiere di
accaniti e sacerdotali difensori.

La lunga gestazione diPelléas ha tra le sue cause molteplici un rovello particolare e costante per Debussy: evitare il più possibile di cadere nella tentazione
wagneriana e, peggio, di far assomigliare la sua opera a unTristano e Isotta francese. Il rapporto di Debussy con Wagner è infatti un tipico esempio di rapporto
di amore-odio. Se da un lato le prese di posizione del musicista sono più o meno tutte di natura polemica (se non sarcastica) nei confronti del Gesamtkunstwerk
wagneriano, nondimeno la sua formazione e la sua squisita sensibilità estetica non potevano non ammirare, e profondamente, il genio di Bayreuth. Così, se
Pelléas si allontana dal dramma musicale wagneriano per la scelta di un testo in prosa e per la conseguente rigenerazione del canto sulla prosodia e sul tono di
conversazione («Au théâtre de musique on chante trop», sosteneva Debussy già nel 1889), d’altra parte Debussy fece suo il sistema dei motivi conduttori,
spostando però il loro luogo deputato di raccordo psicologico e architettonico alla sola orchestra. A differenza di ciò che accade in Wagner, le vociPelléas
di non
fanno mai proprio uno dei tanti temi coi quali è intessuta la partitura. Quanto grande poi sia il debito - criticamente rivissuto - di Debussy nei confronti di
Wagner è straordinariamente evidente fin dalla prima apparizione del tema di Golaud, modellato fin quasi al calco sulla Verwandlungsmusikdel primo atto di
Parsifal , che nel canone wagneriano fu certo il testo più amato e studiato dal musicista francese.
Se l’architettura musicale dell’opera risente di un wagnerismo depurato d’ogni enfasi epica e filosofica, e ricondotto a nudo sistema di costruzione motivica, la
ricchezza timbrica diPelléas e il nuovissimo modellato parlante delle linee vocali sono figli piuttosto della conoscenza dell’opera di Musorgskij. Debussy aveva
fatto il suo primo incontro con la partitura diBoris Godunov nel 1889, e le sue conoscenze della scuola nazionale russa si ampliarono sensibilmente nel 1896, in
occasione di alcune conferenze parigine di Pierre d’Alheim e Marie Olenin. Alla vigilia di Pelléas, nel 1901, Debussy fece uscire un articolo sulla ‘Revue blanche’
in cui esaltava senza riserve la grandezza del ciclo di liriche musorgskianoLa camera dei bambini: «Personne n’a parlé à ce qu’il y a de meilleur en nous avec un
accent plus tendre et plus profond». Senza l’assimilazione del canto prosodico di Musorgskij, la vocalità Pelléas
di sarebbe stata certo assai diversa. Lo stesso si
può dire per l’armonia, con i suoi modalismi, e per la strumentazione, che in certi casi giunge fino a citare alla lettera il capolavoro teatrale del compositore
russo: si veda, per esempio, l’Interludio sinfonico tra la prima e la seconda scena del primo atto, immediatamente avanti la lettura della lettera di Pelléas da
parte di Geneviève, dove Debussy ricalca genialmente l’accompagnamento orchestrale sulla prima scena di Pimen nel primo atto del Boris.

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Tuttavia, se un’assimilazione critica dei linguaggi di Wagner e Musorgskij è fra le matrici innegabili di Pelléas, pure la grande portata della
rivoluzione stilistica e lessicale di quest’opera è frutto principalmente del suo autore, che già nel Prélude à l’après-midi d’un faune del
1892-94 aveva perfettamente mostrato un’indipendenza assoluta, nell’armonia come nella melodia, sia rispetto al linguaggio accademico
sia rispetto alle esasperazioni cromatiche di marca wagneriana tanto care a tutti i suoi contemporanei francesi, Franck in testa. Gli
«accordi incompleti, fluttuanti» che la sua anarchia armonica consegnerà maturati alla scrittura di Pelléas sono senza dubbio alcuno la
cifra più personale di questo padre della musica moderna, nume tutelare di tutto il Novecento. Su quella base armonica innovativa e
sospesa, l’orchestra si fa carico del difficile compito di unire le brevi scene di un testo che rinuncia all’unità di tempo distribuendo l’azione
in una regione del sogno e dell’indeterminato, assai pericolosa per l’efficacia drammatica.

La scommessa fu vinta a usura, perché l’unità di Pelléas et Mélisande è garantita anche dalla sfaccettatura espressiva, sempre
appannaggio dell’orchestra, dei personaggi che vi agiscono, appena tratteggiati da Maeterlinck e resi invece vivi, commoventi, da Debussy:
laddove il dramma è fatto spesso di silenzi e reticenze, di mistero fin troppo didascalicamente simbolista, il musicista riesce col solo ausilio
di una preziosa e palpitante cornice sonora a rendere credibili le silhouettes quasi fantasmatiche che mette in scena. D’altronde, solo la
superficie di Pelléas appartiene al mondo poetico di Maeterlinck: la sostanza profonda dell’opera è alimentata dalla lettura di Edgar Allan
Poe, autore carissimo a Debussy, e in particolare da The Fall of the House of Usher , che qualche anno più tardi il musicista tenterà anche
di trasformare in opera ( La Chute de la maison Usher ).

I dettami di ambiguità, di indefinitezza propri all’ambiente simbolista si caricano quindi nella partitura debussyana dei misteri
dell’inconscio, del morboso, dell’incubo. In tempi recenti, una lettura del capolavoro lirico di Debussy in questa chiave ha finalmente
permesso il superamento di quell’immagine monotona e vaga che la tradizione interpretativa aveva fatto vivere per quasi settant’anni
dalla prima. Il merito della ‘riscoperta’ di ciò che di turbato e crudele informa la musica di Pelléas deve essere attribuito specialmente a
Pierre Boulez, che è stato, oltre che direttore di due interpretazioni capitali dell’opera in teatro e in disco, anche acutissimo esegeta della
scrittura e dei contenuti di Pelléas. Come accade per tutte le più grandi opere d’arte, si può dire che anche per Pelléas sia da poco iniziata
una nuova giovinezza, all’insegna di una radicale riconsiderazione dei suoi valori stilistici e poetici, che parte proprio dalla sottolineatura
degli elementi legati più a Poe che a Maeterlinck e a tutta la tradizione simbolista, dalla quale - impossibile trascurarlo - Debussy
comunque deriva, ma in cui tuttavia non si può circoscrivere il suo lavoro. L’indivisibile complementarità di simbolo e inconscio fa di
questo testo anti-operistico, anti-realistico, anti-effettistico e anti-eroico (Nicolodi) una pietra miliare e un punto di partenza nella
complessa evoluzione del teatro musicale contemporaneo.

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Di seguito trovate il riassunto dell’opera, atto per atto e quadro per quadro, ed inoltre i link degli ascolti scelti

ATTO PRIMO
Quadro primo
Golaud si è smarrito nella foresta inseguendo un cinghiale (“Je ne pourrai plus sortir de cette forêt”
https://www.youtube.com/watch?v=gHSKXZpZWCk).
Scorge una fanciulla sola, che piange al bordo di una fontana. La interroga e ne riceve solo risposte vaghe e impaurite: qualcuno le ha fatto del
male, si chiama Mélisande e ha perduto nell’acqua della fontana una corona. Golaud le offre di portarla con sé e la fanciulla acconsente
(Interludio sinfonico).
Quadro secondo
In un appartamento del castello, Geneviève legge al vecchio Arkël, re d’Allemonde, una lettera di Golaud al suo fratellastro Pelléas (“Voici ce
qu’il écrit a son frère”), nella quale gli comunica d’aver sposato da sei mesi una bellissima fanciulla, di cui però ignora tutto. Vuole tornare al
castello ma teme l’ira di Arkël: se vedrà una torcia accesa sulla torre, sarà segno che la sua nuova sposa è bene accetta. Entra Pelléas, che
manifesta l’intenzione di partire per recar visita a un amico moribondo. Arkël lo trattiene, ricordandogli che anche suo padre è in fin di vita.
Geneviève invita Pelléas ad accendere la torcia sulla torre (Interludio sinfonico).
Quadro terzo
Mélisande, accompagnata da Geneviève che cerca di rincuorarla, è all’ingresso del castello. Giunge Pelléas e annuncia un’imminente tempesta
di mare. Geneviève lo prega di tener compagnia a Mélisande mentre lei s’occuperà del piccolo Yniold. Pelléas annuncia alla cognata che forse
partirà l’indomani.

ATTO SECONDO
Quadro primo
Davanti a una fontana nel parco ( https://www.youtube.com/watch?v=4JAtUP8jcBk), Pelléas e Mélisande stanno conversando. La fanciulla
vorrebbe toccare l’acqua della fontana, ma è troppo profonda; vi immerge i suoi lunghissimi capelli, poi gioca con l’anello che le ha regalato
Golaud, finché l’anello le sfugge di mano e si perde nell’acqua: non sarà più possibile recuperarlo. Mélisande si chiede allora cosa potrà
raccontare a Golaud: «la verità, la verità», le risponde Pelléas (Interludio sinfonico).
Quadro secondo
Golaud è costretto a letto per una caduta da cavallo; racconta che l’animale s’è imbizzarrito proprio mentre suonava mezzogiorno (cioè nel
momento esatto in cui Mélisande perdeva il suo anello). Mélisande, al suo capezzale, scoppia in lacrime; Golaud le chiede se qualcuno le abbia
fatto del male, ma Mélisande risponde che neppure lei sa la causa della sua infelicità, forse la colpa è del lugubre aspetto del castello, dal quale
vorrebbe andar via. Golaud la consola e nel prenderle le mani si accorge che non ha più il suo anello al dito. Mélisande dice d’averlo perduto in
riva al mare, davanti alla grotta, e Golaud le impone d’andarlo a cercare, facendosi accompagnare da Pelléas (Interludio sinfonico).
Quadro terzo
Di notte, i due cognati si sono recati alla grotta, perché Mélisande sia in grado di descriverla in caso Golaud glielo chieda. Un raggio di luna
spezza l’oscurità e nel fondo della grotta appaiono le sagome di tre vecchi mendicanti addormentati. Mélisande si spaventa e chiede a Pelléas di
ricondurla subito al castello.
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ATTO TERZO

Quadro primo
Di notte, affacciata alla finestra della torre, Mélisande si pettina (“Mes longs cheveux descendent jusqu’au seuil de la tour”
https://www.youtube.com/watch?v=gbWydovn8oo )
Pelléas si avvicina ai piedi della torre: chiama Mélisande e le annuncia che l’indomani partirà. Quindi chiede di poterle baciare la mano:
Mélisande si sporge e i suoi lunghi capelli cadono a cascata su Pelléas, che li bacia inebriandosi. All’improvviso, entra in scena Golaud che
rimprovera i due cognati per le loro ragazzate (Interludio sinfonico).

Quadro secondo
Golaud porta Pelléas nei sotterranei del castello, e gli fa contemplare le acque stagnanti di quel luogo (“Eh bien, voici l’eau stagnante dont
je vou parlais”). Le mani di Golaud tremano, e Pelléas se ne accorge dal movimento della lanterna. Egli chiede di uscire, perché si sente
soffocare dai miasmi provenienti dall’acqua putrida (Interludio sinfonico).

Quadro terzo
Uscito dai sotterranei, Pelléas respira (“Ah, je respire enfin”). Vede poi Mélisande alla finestra con Geneviève, e Golaud lo mette in
guardia: scene come quella cui ha assistito ai piedi della torre non si devono ripetere, giacché Mélisande ora è ancor più fragile, e aspetta
un bimbo (Interludio sinfonico).

Quadro quarto
Golaud cerca di sapere da Yniold cosa fanno Pelléas e Mélisande quando sono soli. Il piccolo risponde che discutono della porta, che non
può restare aperta, che sono tristi e non vogliono che lui li lasci soli, e una volta si sono baciati sulle labbra. Golaud prende allora sulle
spalle il piccolo Yniold perché osservi dalla finestra cosa fanno i due cognati: sono soli, tacciono, non fanno niente. Poi Yniold si spaventa
per l’irruenza del padre nel chiedergli la descrizione della scena e lo prega di farlo scendere.

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ATTO QUARTO
Quadro primo
Pelléas incontra Mélisande e le annuncia che sta per partire, giacché suo padre sta meglio. Prima di partire però le chiede di
incontrasi con lei ancora una volta, a sera, presso la fontana. Entra Arkël, che si rallegra per il miglioramento del figlio. Colma
Mélisande di tenerezza, e si compiace che la sua vita al castello sia meno triste. In quel mentre, entra Golaud, agitatissimo.
respinge Mélisande, prende la spada, e getta a terra la moglie prendendola per i capelli (“Une grande innocence”). Interviene
Arkël e Golaud finge d’essersi calmato, ma Mélisande comprende che il marito non l’ama più ed esprime tutta la sua infelicità
(Interludio sinfonico).
Quadro secondo
Davanti alla fontana nel parco, il piccolo Yniold cerca di sollevare una grossa pietra per recuperare la sua pallina d’oro. Giunge da
lontano il rumore di un gregge di pecore. Yniold le osserva passare, spinte dal pastore, e chiede a quest’ultimo perché le pecore
improvvisamente tacciano. Il pastore gli risponde che quello non è il percorso che conduce all’ovile. Agitato, Yniold cerca allora di
sapere dove vanno le pecore, poi parte perché sta calando la sera. Entra Pelléas, per incontrarsi alla fontana con Mélisande per
l’ultima volta (“C’est le dernier soir” https://www.youtube.com/watch?v=e9vo20smwMw). Le dirà tutto ciò che finora le aveva
taciuto. Mélisande giunge e Pelléas le dichiara finalmente il suo amore: per tutta la vita ha cercato la bellezza e finalmente in lei
l’ha trovata (“On dirait que ta voix a passé sur la mer au printemps”). Anche Mélisande gli confessa di averlo amato fin dal primo
momento. Si sentono dei rumori. È Golaud, che sopraggiunge armato; i due si baciano appassionatamente, e in quell’amplesso
Golaud colpisce a morte Pelléas. Mélisande fugge nel bosco, inseguita da Golaud.

ATTO QUINTO
Intorno al capezzale di Mélisande, morente benché ferita da Golaud solo leggermente, stanno Arkël, Golaud e un medico. Mélisande si
desta dal suo torpore, vuole che si apra la finestra e chiede chi sia nella stanza. Golaud vuole poi restar solo con Mélisande, le chiede
perdono e domanda se il suo amore per Pelléas è stata una passione colpevole. Mélisande nega, e Golaud insiste, chiedendole se è la
verità. Mélisande non risponde, e lo lascia nella tortura del dubbio. Frattanto il medico e Arkël rientrano: Mélisande ha freddo, ma non
vuole che si chiuda la finestra. Le viene portate la sua bimba, nata da poco, ed ella non ha la forza di prenderla in braccio. Entrano le
ancelle, mentre Golaud implora Mélisande piangendo. Quando le ancelle s’inginocchiano, Arkël impone a Golaud di uscire: Mélisande è
morta, ora c’è bisogno solo di silenzio, e di prendersi cura della piccola neonata, che continuerà a vivere per lei.

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