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Storia e storiografia della musica I

unità didattica 2

Prof. Antonio Farì / a.a. 2019-2020


Questa dispensa raccoglie e sintetizza le principali linee guida definite per lo svolgimento del Corso.
Essa, dunque, ha una finalità esclusivamente didattica e una funzionalità solo interna al Corso. Sono
presenti brani tratti da testi cartacei oppure online, i cui riferimenti vengono forniti agli studenti nel
corso dell’azione didattica.
Il docente

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Una figura straordinariamente rilevante tra i due secoli è quella di GUSTAV MAHLER (1860-1911), che
studierete sul libro di testo da p.255 (“Tramonto dell’Ottocento”) a p.258.

La produzione di Mahler segna l’approdo estremo nella storia di due repertori: La Sinfonia e il Lied.

A quanto leggerete sul libro aggiungiamo alcune altre considerazioni.

Quella di Mahler (compositore boemo di origine ebraica) è una delle personalità più complesse non solo
all’interno del periodo tardo-romantico ma dell’intera storia della musica. Da una parte, egli riprende
l’impianto sinfonico e l’articolazione in più tempi distinti, ma dall’altra mostra chiaramente il bisogno di
esprimere una sorta di “ programma interiore ” (dell’anima, della memoria, del pensiero utopico), non
esplicito ma ben avvertibile all’ascolto.

Sullo sfondo di un’ Austria felix che intravede ormai il suo declino e nella quale egli, ebreo, non si sente mai
completamente integrato, anche Mahler usa stilemi musicali contemporanei, ma li soggetta alle più urgenti
domande sul destino dell’uomo e agli individuali scandagliamenti della psiche.

“Mahler è il solo musicista tedesco di fine secolo che abbia coscienza della tragica posizione dell’artista nella
crisi sociale” (Luigi Rognoni) .

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Soprattutto una dimensione diventa decisiva in Mahler, quella della temporalità.

Wagner aveva già operato una rivoluzione: alla temporalità degli accadimenti consequenziali (rettilinea,
progressiva) aveva sostituito una temporalità della compresenza di passato e futuro, dove i motivi di
anticipazione o di rimemorazione, convergenti simultaneamente o disposti strategicamente, fanno essere
tutto il tempo nel tempo, scavalcando il prima e il dopo nella “durata” della coscienza.
Tuttavia, la grandiosità dell’impianto narrativo wagneriano e la sua eccessiva dilatazione nelle strutture
esterne del mito, nonché la sovrapposizione a volte meccanica ed assemblativa dei Leitmotive, finiscono per
disperdere questa possibilità.

Mahler conduce invece la temporalità psichica nei termini dell’esperienza individuale, del vissuto, della
memoria effettiva, del vagheggiamento e dell’utopia.

Nelle sue Nove Sinfonie , emblematico è il ricorso alle voci e al coro, sul solco della Nona Sinfonia di
Beethoven: la Seconda (detta Resurrezione) presenta soprano, contralto e coro; la Terza (detta Della natura)
contralto, coro femminile e coro di bambini; la Quarta (Umoresca) richiede il soprano solista;
gigantesca è l’ Ottava (per l’alto numero di esecutori detta Dei mille) nella quale figurano 8 voci soliste,
doppio coro e coro di bambini, affianco, naturalmente, all’imponente organico orchestrale tardo-romantico.

Nella musica di Mahler vi è spazio per una molteplicità di situazioni musicali e psicologiche: il Lied, il canto
popolare, il Ländler, il Valzer, la marcia bandistica, la marcia funebre, il ricordo infantile, le atmosfere
sognanti, le dissonanze lacerate e disperanti, le sonorità volutamente sgraziate oppure rarefatte, la natura e i
suoi richiami festosi, la dolorosa e cantilenante trenodia.

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In questo “programma interiore” ripetizione e reminiscenza si innestano così su di una reale ed umana
individualità psichica: le sinfonie di Mahler hanno grandi durate e di esse si può dire che non si concludono
(cioè non “dimostrano” nulla, non sono sottoposte ad alcuna dialettica), ma si troncano, si interrompono,
perché il flusso dell’anima potrebbe ancora continuare a lungo (così ancora Rognoni).

Mahler e Freud vivono a Vienna negli stessi anni, ma non si conoscono se non fugacemente e né Freud
teorizza esplicitamente l’applicazione della psicoanalisi alla musica. Ma è indubbio che nessuno più di Mahler
sa trasporre nella musica il bisogno di vedere nel profondo dell’animo e della propria esperienza interiore,
nello stesso momento in cui il padre della psicanalisi cerca di disvelare l’inconscio.

Una delle musiche più note di Mahler è l’Adagietto (IV mov.) della Quinta Sinfonia: il grande regista Luchino Visconti ne fece la
colonna sonora del film Morte a Venezia, tratto dall’omonimo racconto (1912) di Thomas Mann.
Ecco il trailer del film, con la musica di Mahler https://www.youtube.com/watch?v=BJT5BUZr_9Y&t=324s

Nella Quinta Sinfonia l’Adagietto ha quasi funzione di interludio, un indugio lirico di trasparente semplicità formale e di organico
ridotto, limitato ad archi ed arpa. E’ un tempo che si apparta dal frastuono e dal tumulto del mondo, schiudendo una sfera irreale
e un tempo sospeso. Nella dolcezza dell’arpa e degli archi il ritmo diventa ondeggiante, prendendo forma direttamente
dalla lunga, estenuata melodia che, dapprima trasognata e dolorosa, si eleva nel centro per poi ricadere con toni appassionati.
Come detto, l’Adagietto raggiunge il suo apogeo nel 1971, quando il regista Luchino Visconti lo utilizza nel suo film Morte a
Venezia, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Mann, e ne fa il simbolo sonoro della nostalgia, della passione
frustrata e del desiderio senza speranza di Aschenbach, il protagonista del romanzo.

Utile sarà trovare in rete una scheda critica tanto del romanzo quanto del film; noterete che il regista Visconti cambia il
protagonista: non uno scrittore (come nel romanzo) ma un musicista, un compositore, dietro il quale non è difficile riconoscere la
stessa figura di Mahler.

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Apprezzato dal pubblico più come direttore d’orchestra e direttore artistico che come compositore, Mahler
considerava se stesso l'inattuale per definizione (“il mio tempo verrà”, diceva) e vedeva invece ilgrande
attuale nel collega RICHARD STRAUSS (1864- 1949), con cui ebbe cordiali rapporti personali e professionali.

Trovate Strauss trattato sul libro alle pp. 259-260.

La produzione di Strauss investe e segna gli apici in due repertori: ilPoema sinfonico e l’ Opera lirica.

A quanto leggerete sul libro aggiungiamo alcune altre considerazioni.

Numerosi ed importanti sono i suoi Poemi Sinfonici, tra i quali possiamo citare:Don Giovanni, Macbeth,
Morte e trasfigurazione, Così parlò Zarathustra (ispirato all’opera filosofica di Nietzsche), Vita d’eroe.
Nei suoi Poemi Sinfonici Strauss dà prova di una grandiosa ed esuberante scrittura orchestrale: mai prima di
Strauss il Poema Sinfonico aveva raggiunto una tale gamma di effetti e di virtuosismo orchestrale.
Compositore e direttore d’orchestra, per certi aspetti Richard Strauss incarna già l’anima del Decadentismo,
quella della ricchezza esibita, della sensualità mostrata, della gestualità invadente. La wagneriana
amplificazione sonora tocca culmini lussureggianti, in un gigantismo orchestrale sempre, va detto, guidato da
mano sicurissima e da vero virtuosismo tecnico e timbrico.

[Si può osservare come nelle idee poetiche dei poemi sinfonici di Strauss ricorra spesso uno schema che dal
trascinante impeto vitale dell'inizio conduce ad una pacata, trasfigurata, conciliata quiete conclusiva: un
aspetto che conferma l'immagine di Strauss come l'interprete per eccellenza «attuale» della sicurezza
dell'era guglielmina (https://www.youtube.com/watch?v=h6UVLCFrNK0 ), anche se non si possono dimenticare le
ombre e le inquietudini che si addensano, ad esempio nella mortale conclusione delDon Juan (Don
Giovanni). ]
https://www.youtube.com/watch?v=8woshq-F21s

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Ricca e straordinaria è la produzione teatrale di Strauss, nella quale il posto più celebre tocca allaSalome
(Dresda 1905), composta direttamente sulla traduzione tedesca del celebre dramma di Oscar Wilde.

[Breve, fulminea, priva di ouverture, l’opera inizia in medias res e attanaglia a ogni modo l’ascoltatore, quale che sia il suo convincimento
estetico sull’autenticità della drammaturgia straussiana, in un vortice, quando di inaudita violenza fonica e quando di tagliente leggerezza. È un
fuoco che si consuma in un attimo, ma non senza aver prima evidenziato la necessaria varietà di modi d’essere, vocali e drammatici, dei
personaggi: la vacuità tenorile dell’inconsistente e superstizioso Erode, la composta e quasi fatalistica tragicità di Erodiade, l’esterrefatta
umanità di Narraboth, l’agghiacciante e stentoreo diatonismo di Jochanaan e la sensualità, la corporeità animalesca di Salome. Tale polifonia di
modi d’essere si fonde in un magma musicale che non conosce soste, mancando ovviamente in Salome ogni forma di stroficità chiusa. L’unica
eccezione, l’unico brano cioè ‘chiuso’, formalmente autonomo e dunque estrapolabile dal contesto, è la celebre, seducente danza orchestrale
dei sette veli, l’ultima pagina che Strauss compose prima di licenziare alle stampe la partitura. Può comunque essere considerato brano a sé, non
foss’altro per l’ampiezza del disegno musicale che lo informa, anche l’assolo di Salome (“Ah, du wolltest mich nicht deinem Mund küssen”), nella
raccapricciante e tesissima scena di necrofilia che chiude l’opera: una sorta di Liebestod (amore e morte) a rovescio, come è stato giustamente
osservato, se è vero che Isotta canta il compimento trasfigurato di una inalienabile tensione d’amore che vince la morte, mentre Salome canta
l’incompiutezza dell’amore mai conosciuto e impossibile a compiersi, seppur bramato anche attraverso la morte.]

Ad arditezze anche maggiori la fantasia straussiana fu stimolata dal testo dell’Elektra di Hofmannsthal:
quest'opera, rappresentata a Dresda nel I909, segna il massimo avvicinamento di Strauss all'espressionismo.
Nel dar voce alla ossessione di vendetta che domina questa tragedia, nei suoi aspetti di sanguinosa violenza,
Strauss tocca punte di allucinata esasperazione espressiva.

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Tuttavia Strauss non proseguì in questa direzione : Hofmannsthal, che fu per lui un librettista supremamente
congeniale, scorgeva nella sua personalità un aspetto mozartiano e uno wagneriano, e diceva di voler ora
esaltare il primo. Nasce così Der Rosenkavalier (Il cavaliere della rosa , 1911) commedia impregnata di
malinconie retrospettive, ambientata nella Vienna di Maria Teresa, dove alcuni personaggi sembrano
alludere a figure delle Nozze di Figaro di Mozart (dietro Octavian si può scorgere in trasparenza Cherubino,
dietro la Marescialla la malinconia della Contessa) e dove sono accortamente mescolate, intorno al nucleo
poetico della mesta riflessione della Marescialla sul trascorrere del tempo, situazioni comiche e tenerezze
amorose, e l'evocazione di una Vienna settecentesca vista come un mito fuori dalla storia (anche grazie al
felice anacronismo dei valzer che percorrono la partitura).

Una orchestra di dimensioni molto ridotte viene trattata da Strauss con supremo virtuosismo nel lavoro
successivo, Ariadne auf Naxos (Arianna a Nasso, 1912); nel libretto Hofmannsthal mescola i lazzi dei comici
dell'arte e la storia di Arianna abbandonata a Nasso, dove incontra Bacco, per sperimentare una inconsueta
mescolanza di generi e creare per questa via una immagine della contraddittoria complessità della vita. Così,
il musicista è così sollecitato a ripensare liberamente le diverse convenzioni del passato operistico.

Anche con Die Frau ohne Schatten (La donna senz'ombra , Vienna 1919) Strauss ribadisce in modo definitivo
il suo estraniarsi dalle novità radicali degli anni dell'Espressionismo. Si tratta di una fiaba (sempre su libretto
di Hofmannsthal) che rimanda idealmente al Flauto magico di Mozart: la fantasia straussiana tocca incanti
sonori di incredibile leggerezza, arcane dissolvenze, evocazioni trascinanti di eventi e paesaggi prodigiosi. E
quando si giunge al grandioso finale, in cui tutte le tensioni del racconto e gli emblemi si sciolgono in un
trasparente inno di felicità, l’inventiva di Strauss sembra toccare il culmine della concentrazione e della
grandiosità emozionale in un messaggio di grande respiro umano. Forse non è casuale che la fortuna tardiva
della Donna senz’ombra si collochi nel nostro tempo: il messaggio di positività morale che scaturisce dal suo
sublime inno conclusivo torna a risuonare con immutata validità a distanza di decenni, in mezzo a un’umanità
tormentata e alla ricerca di certezze e di valori.

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Debussy, Mahler e Strauss vivono con diverse posizioni estetiche il passaggio tra Otto e Novecento, e
tuttavia tale passaggio verso la modernità consuma la fase estrema in quello che è stato visto come un
vero e proprio “scontro” tra posizioni linguistiche ed estetiche contrapposte.

Ci si riferisce alle figure di ARNOLD SCHӧNBERG e IGOR STRAVINSKIJ, la cui “opposizione” si consumò
prima tra Vienna (la città di Schӧnberg e della sua “scuola”) e Parigi (dove Stravinkij vive e negli anni
‘10 compone i suoi balletti) e poi in America, dove entrambi ripararono a causa della tragedia segnata
dal nazismo. E ci riferisce alla “lettura” che di tali compositori diede Adorno, che in loro vide due
risposte diverse ed opposte allo stesso problema: la crisi dell’arte, del linguaggio musicale e della
stessa autenticità dell’atto creativo nelle contraddizioni del sistema sociale, nella crisi e nei tragici
accadimenti del primo Novecento.

Una visione oggi magari superata o ripensata, ma che indubbiamente ha consegnato alla critica e alla
storiografia le figure di Schӧnberg e Stravinskij indissolubilmente legate, sullo scenario degli ultimi
grandi approdi della musica colta occidentale.

Ma occorre procedere con calma, vedere e ricostruire quali sono i passaggi decisivi tra i due secoli,
soprattutto sul piano linguistico, cioè a dire principalmente sul terreno armonico-tonale, per tre secoli
fondamento della musica occidentale.

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Richard Wagner Tristan und Isolde, 1865

Tristanakkord

Tristan und Isolde (Tristano e Isotta ) è l’opera in cui Richard Wagner utilizza quello che è divenuto il punto di
partenza del nuovo secolo musicale, la porta sulla musica moderna, il “Tristan akkord”, ovvero l’accordo di
Tristano (in apertura del Preludio dell’Atto I). Ma perché è così importante? L’accordo è composto dalle note
FA, SI, RE# e SOL#, due intervalli di quarta, che a metà Ottocento risuonò scandalosamente geniale e cambiò
il corso della storia. L’accordo di Tristano è una decisa frattura con l’armonia tonale (fondata sul rapporto di
terza) aprendo nuove porte alla dissonanza, alla tensione.
https://www.youtube.com/watch?v=-QX7dgBqfgw
Il grande direttore d’orchestra Daniel Baremboim scrive:
“"Il preludio incomincia con un pianissimo veramente lontano, intimo, profondo. La prima battuta è senza armonia: ci sono solo
un la e un fa suonati dai violoncelli, due note che possono avere tante possibilità. Come indirizzo armonico potrebbe anche
essere in fa maggiore. Perché no? Invece già nella seconda battuta c’è il famoso accordo del Tristan. […] È lo stesso accordo che
ritroveremo nel punto culminante, verso la fine del preludio. […] Anche il peso dell’orchestra è calcolato. Non soltanto nel senso
che la dinamica è sempre crescente, ma anche gli strumenti accentuano la potenza, come i tromboni e soprattutto le trombe, che
entrano proprio all’ultimo momento del crescendo, prima del punto culminante. Vuol dire che fino all’ultimo momento non ti
rendi conto di quello che sta per succedere, perché la tromba comincia a suonare dentro l’impasto dell’orchestra e solo poi
diventa elemento guida, che porta e indirizza tutto il discorso verso la grande esplosione del punto culminante. […] Un’ambiguità
di armonia, di suono e di silenzio. Si entra in un mondo in cui la musica è allo stesso tempo nel mondo e fuori dal mondo. È questa
la magia del Tristan.

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Facciamo ora dei passi in avanti e prendiamo alcuni esempi simbolo della trasformazione del linguaggio
armonico tonale.

Nel Poema dell’estasi (un poema sinfonico del 1908) di Alexander Scriabin il cromatismo wagneriano assume
accese tinte “espressive” e decise forzature armoniche: l’accordo di nona e di quinta aumentata (usati ad es. da
Liszt nel Mephisto-valse ) diviene lo stilema che determina l’allargamento accordale dell’armonia skriabiniana
negli intervalli di undicesima, tredicesima e quindicesima, ed infine in quegli “accordi sintetici”, secondo la
definizione dello stesso S., formati di sette e sei note, che costituiscono la base del suo linguaggio
armonico-timbrico.

Nel Prometeo o Poema del fuoco (1913), l’armonia fondamentale è realizzata su una scala di sei note a quarte
sovrapposte (do-fa diesis-si bemolle-mi-la-re), che Scriabin chiama accordo mistico .

Peraltro, in questo poema sinfonico S. propone una avveniristica associazione spazio-temporale fra
luce-colore e suono, segnando in partitura precisi effetti di illuminazione colorata che devono invadere la sala
da concerto in corrispondenza con determinati effetti armonico-timbrici dell’orchestra.

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Nel 1899 Schönberg scrive Veklärte Nacht (Notte trasfigurata), composizione ispirata da una poesia di
Richard Dehmel che, pur muovendosi ancora in un’atmosfera romantico-simbolista, reca già molti segni
dell’ambientazione espressionista; è anche l’unico grande esempio di “poema sinfonico” per un complesso
da camera (sestetto d’archi: 2 violini, 2 viole e 2 violoncelli) anziché per grande orchestra.
Sin dalle prime battute s’incontrano passaggi assai singolari dal punto di vista armonico, fino al culmine
dell’accordo
sib – lab – mib – solb – do
dove viene presentato nudo e crudo il quarto rivolto dell’accordo di “nona”, che bastò, come ricorda S.
stesso, a far rifiutare la composizione da una società di concerti, essendo dai teorici giudicato “inesistente”
tale rivolto.
S. In questa partitura si dimostra maestro nell’usare l’effetto deiFlageolettöne, i suoni flautati ottenuti con gli
armonici; in più, appare spinta fino in fondo l’esperienza cromatica wagneriana.
Infine, questa giovanile partitura musicale mostra un particolare rigore polifonico nella concatenazione e
negli sviluppi delle parti, preannunciando lo S. della maturità.

Il 1906 è l’anno della Kammersymphonie (Sinfonia da camera) op.9. Con questa composizione il linguaggio
di Schönberg subisce una svolta decisiva: si verifica una reale rottura con la tradizione armonica.
E’ l’avvio verso la “sospensione tonale” e la determinazione di quella che verrà definita, più o meno
propriamente, “atonalità”.

In sostanza la musica atonale è quella in cui il compositore evita in modo sistematico il riferimento a centri tonali, ovvero evita le
formule armoniche e melodiche – ad es. successioni dominante-tonica, le frasi melodiche che suggeriscono tali collegamenti, le
scale diatoniche e le triadi, la condotta delle parti che porti ad ottave – che richiamano il tradizionale sistema di accordi
organizzati a una tonica o a una tonalità fondamentale.

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L’op. 9, ben inteso, non è ancora una composizione atonale; tuttavia, per quanto scritta nella tonalità di Mi
magg., essa rivela un’accesa scrittura armonica che, forzando continuamente il campo tonale, oscilla tra la
tonalità fondamentale e altri nuclei non più riconducibili agli schemi dell’armonia tradizionale.
Sarebbe però inesatto anche parlare di “politonalità”, concetto che, per come si delinea in Stravinskij o
Hindemith, implica l’adozione oggettiva di due o più tonalità, distinte e sovrapposte, che danno origine ad
una “contaminazione” polifonico-tonale .

La Kammersymphonie si apre con un accordo di quarte :


Sol – Do – Fa – Si bem. –Mi bem – La bem
immediatamente esposto melodicamente nel tema del corno. Due battute dopo il violoncello annuncia un
tema a toni interi che contiene l’accordo esatonale espresso in questa forma:
Re – Sol diesis – La diesis – Do – Fa diesis – Mi

Entrambi (accordo di quarte e tema a toni interi) rappresentano gli elementi chiave della sintassi armonica e
melodica della Kammersymphonie.

Nella sua Harmonielehere (Trattato di Armonia) Schönberg attribuisce un preciso valore alle soluzioni armoniche contenute
nell’op.9 e, a proposito del “Quartenakkord”, fa questa osservazione: “Qui le quarte rispondono ad una necessità espressiva tutta
diversa; (…) esse non compaiono in veste melodica o come effetto armonico puramente impressionistico, ma la loro peculiarità
compenetra l’intera costruzione armonica…”

Concepita per un organico di 15 strumenti (Quintetto d’archi, flauto, oboe, 2 clarinetti, corno inglese,
clarinetto basso, fagotto, controfagotto e 2 corni), la Kammersymphonie fa la sua comparsa in un’epoca nella
quale Stravinskij non ha ancora scritto non solo Petruska (1910-11) ma neppure L’oiseau de feu (1909-10). Le
sonorità degli strumenti sono spinte già ad una forma di rudezza timbrica; i corni hanno una parte
preponderante, quasi solistica, e conferiscono a tutta la composizione un’ambientazione sonora incisiva e
tagliente.

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E’ l’ambientazione dell’espressionismo musicale che comincia a prendere coscienza in Schönberg e che si
manifesta attraverso l’impulso “immediato”, nel quale il linguaggio dei suoni sembra acquistare il senso più
acuto dell’interiorità umana.
Sono gli anni in cui Wedekind scrive Die Büchse der Pandora (Il vaso di Pandora, 1904), Stefan George
esercita una viva suggestione sulla letteratura poetica tedesca, mentre Vasilij Kandinskij persegue
un’esperienza pittorica parallela a quella musicale di Schönberg, con le sue xilografie e i primi quadri,
raccogliendo anch’egli le sue riflessioni teoriche in quell’importante opera intitolata Della spiritualità
nell’arte (1912) .
Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) è il nome adottato da un gruppo di artisti espressionisti fondato nel 1911 a Monaco di Baviera daVasilij Kandinskij e
Franz Marc. Vi aderirono, esponendo alle due mostre organizzate nel 1911 e 1912, numerosi pittori e scultori del primo Novecento europeo, che svilupparono
poi percorsi stilistici ed espressivi diversi (tra i principali Paul Klee, Henri Rousseau, Robert Delaunay, Gabriele Münter, Georges Braque, Pablo Picasso, Alfred
Kubin) e numerosi esponenti del movimento “Die Brücke” di Berlino; forti consonanze sul piano della poetica e della pratica artistica legarono inoltre al gruppo
il musicista Arnold Schönberg. Testi teorici del movimento furono l’almanacco “Der Blaue Reiter”, uscito nel1912, dedicato alla pittura e alla musica
contemporanee, e il saggio di Kandinskij Lo spirituale nell’arte, pubblicato lo stesso anno.
Il nome del gruppo, che in tedesco significa "il cavaliere azzurro", deriva dai cavalli azzurri dipinti da Marc e dai cavalieri vestiti di blu dei quadri di Kandinskij. Gli
artisti del Blauer Reiter rifiutavano le convenzioni dell'arte tradizionale, trovandole inadeguate a suggerire le emozioni e il disagio dell’uomo moderno davanti
alla società contemporanea e ai rivolgimenti epocali in atto: proponevano dunque un ritorno a forme d’espressione istintive, simili a quelle dell’arte primitiva,
tanto lontane dalla fedeltà naturalistica al dato oggettivo, quanto efficaci nel dare voce ai moti interiori, alla dimensione spirituale dell’individuo.

1912: è l’anno del Pierrot lunaire, che apre la fase più acuta dell'espressionismo.
Pierrot lunaire è forse l’opera più famosa di Schönberg, rivoluzionaria per la novità degli impasti timbrici, per
la sua carica espressiva, per la sua particolare tecnica vocale.
E’ un ciclo di 21 brani su poesie (1884) del poeta simbolista belga Albert Giraud, tradotte in tedesco da Otto
Erich Hartleben nel 1892.
“Improvvisamente, di mattina, una gran voglia di comporre. Era da così tanto tempo! Avevo già anche pensato all'eventualità di non comporre più”. Così scrive
Schönberg nelle ultime pagine del suo Diario berlinese, un prezioso documento che il musicista redasse durante il 1912. Il giorno successivo, troviamo la
seguente annotazione: “ieri, 12 marzo, ho scritto il primo dei melologhi per il Pierrot lunaire. Credo sia venuto molto bene ... Senza alcun dubbio mi muovo, lo
avverto benissimo, verso una nuova espressione. I suoni diventano qui una di sorta di vera e propria immediata espressione animale di moti dei sensi e
dell'anima. Quasi come se tutto venisse direttamente tradotto”.

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L’immagine romantica di Pierrot, eroe malinconico e triste, è deformata in smorfie, proiettata in immagini
ora grottesche, ora ironiche, in visioni allucinate, grazie alla vocalità estraniata delloSPRECHGESANG e alle
straordinarie invenzioni strumentali che lo accompagnano. Adoperato per la prima volta proprio nelPierrot
lunaire, lo SPRECHGESANG è uno stile vocale nel quale si fondono le caratteristiche proprie del parlato e del
canto (in partitura Schӧnberg indica la parte come “Rezitation”, le note in Sprechgesang sono la gran parte e
vengono indicate con una X apposta sulla gambetta); questo genere di scrittura rivoluziona il rapporto
parola-suono aprendo al canto enormi possibilità (basti pensare che questo procedimento fu usato a
dismisura in varie correnti d’avanguardia). Lo stesso autore spiega che il cantante-recitante, pur mantenendo
rigorosamente il ritmo notato, deve appena intonare la nota vera e propria e poi subito abbandonarla (come
se si trattasse di un parlato) di solito passando alla nota successiva con una specie di glissando.

I brani sono raggruppati in tre parti comprendenti sette poesie ciascuna. Ogni parte è nettamente diversa
dall’altra.
Nella prima (1-7), Pierrot si presenta nella sua veste di poeta della sofferenza, incantato dal pallido chiarore
della luna che gli evoca immagini ricche di “macabra” ironia e vagamente morbose…
Nella seconda parte (8-14), pervasa da un tono angoscioso, il protagonista si immagina assassino, sadico,
violatore di sepolcri; quindi è “un’ombra notturna in preda alla follia”…
Nella terza e ultima parte (15-21), Pierrot “si abbandona” alla sdolcinata sentimentalità, alla buffoneria
grottesca e alla nostalgia per i tempi più felici del passato.

Pierrot lunaire è scritto per voce femminile recitante e un piccolo complesso strumentale costituito da
pianoforte, flauto (alternato con l’ottavino), clarinetto (alternato con un clarinetto basso), violino (alternato
con la viola), violoncello. Con soli cinque strumentisti, Schönberg riesce a raggiungere una diversa
strumentazione per ogni brano e a contrassegnare ognuno di essi con una ben distinta sonorità. Tuttavia
soltanto in sei di questi “melodrammi” il gruppo strumentale entra al completo a creare il tessuto polifonico
intorno alla “voce recitante”; negli altri pezzi gli strumentisti intervengono a gruppi di due, tre o quattro, e
nel settimo - la luna malata – è un flauto solo che contrappunta la voce.

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Da notare il rigore formale nella precisa notazione degli effetti voluti dall’autore e nella costruzione di taluni
pezzi, dove si avverte già la presenza di quelli che diverranno poi gli schemi formali del metodo dodecafonico.
Così se nel brano: “la notte” compare una passacaglia, in quello intitolato “la macchia lunare” Schönberg
sembra ricordarsi di certi artifici descrittivi della polifonia cinquecentesca (madrigalismi): al testo che fa
riferimento al tentativo di Pierrot di cancellare la "macchia bianca della chiara luna" sul dorso del mantello,
corrisponde un doppio canone, ovvero un'esposizione del tema dapprima in maniera regolare, quindi
dall'ultima nota verso la prima (moto retrogrado).
Se il carattere dei macabri testi poetici rimane irrimediabilmentefin-de-siècle, se nei primi brani il suono si fa
davvero "immediata espressione dei moti dei sensi e dell'anima", nel passaggio dalla prima alla seconda e
alla terza parte si fanno sempre più evidenti i riferimenti a forme e tecniche compositive del passato, più
pensate e costruite.
Passando per un ironico Valse de Chopin e per una lugubre Passacaglia (Die Nacht, n. 8), i numeri 17-20
costituiscono in un certo senso il culmine di questo processo: dapprima, attraverso il recupero di complessi
artifici contrappuntistici che si richiamano a Bach e ai grandi fiamminghi; poi, una Serenade in tempo di
valzer lento e una Barcarola volgono lo sguardo al secolo da poco trascorso. Un'opera che apparve
rivoluzionaria a Stravinskij, a Ravel, a Casella, si conclude dunque con uno sguardo verso il passato…

Sempre in tema di linguaggio va segnalato che mentre tutte le poesie hanno una struttura fissa - tredici versi
con il settimo ed ottavo che ripetono il primo e secondo, e l'ultimo che riprende il primo- in nessun modo
questa fissità trova un corrispettivo in ripetizioni musicali; e proprio dal contrasto tra meccanicità del testo e
varietà della conduzione compositiva scaturisce una tensione espressiva che si propone come l'elemento più
qualificante di questa pietra miliare nella musica del XX secolo.

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La prima esecuzione di Pierrot lunaire ebbe luogo a Berlino il 16 ottobre 1912 sotto la direzione dell'autore e
con il ruolo vocale sostenuto da Albertine Zehme, la committente. Erano state necessarie ben venticinque
prove. L'esecuzione - con grande sorpresa dei critici - si concluse con un'ovazione per Schönberg, che fu
letteralmente costretto dal pubblico a un bis integrale dell'opera.

A una successiva esecuzione berlinese, l'8 dicembre, erano presenti Stravinskij e Diaghilev. Cinquant'anni più tardi, il musicista
russo ricordava ancora l'impressione indelebile ricevuta da quella esecuzione: “La reale potenza di Pierrot - suono e sostanza,
giacché Pierrot è il plesso solare oltre che lo spirito della musica degli inizi del XX secolo - mi lasciò attonito, così come essa a
quell'epoca lasciò attoniti tutti noi”. L'immediata conseguenza dell'impressione ricavata dall'ascolto di Pierrot fu la composizione
delle Trois poésies de la lyrique japonaise per voce femminile e piccolo gruppo da camera, il primo di una serie di lavori cameristici
- Stravinskij, ricordiamolo, stava allora ultimando la gigantesca partitura del Sacre du Printemps - che, passando per le Pribautki, le
Berceuses du chat e Renard, troverà un punto culminante nell' Histoire du soldat .

Schӧnberg e la “scuola di Vienna” sono trattati sul libro da p. 351 a p. 367.

In relazione a questa unità didattica sono da studiare ora le pp. 351-357.

Il libro dedica anche un approfondimento al Pierrot lunaire (in particolare al primo brano”Mondestrunken
-Ebbro di luna”) alle pp.369-375; queste pagine sono da considerarsi facoltative, ma molto consigliate per chi
voglia accostarsi con maggiore consapevolezza a quest’opera e consolidare la propria preparazione.

A parte vi vengono inviati i testi del Pierrot lunaire, in tedesco e nella traduzione italiana così che possiate
avere un’idea della cifra poetica e letteraria.

ASCOLTI:
https://www.youtube.com/watch?v=YbTn7Y9XAhA (“Mondestrunken – Ebbro di luna”, con partitura)
https://www.youtube.com/watch?v=Mmx6V9kl2Vw(“Heimfahrt – Ritorno a casa”-Barcarola, con partitura)
Per chi poi volesse ascoltare/vedere il Pierrot lunaire integralmente c’è la seguente bellissima esecuzione live
e semiscenica https://www.youtube.com/watch?v=eH7OnSOHBWg

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