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Something’s Coming
Questa fu l’ultima canzone ad essere stata composta, circa
due settimane prima del debutto a Washington, in mezzo a
molti problemi di orchestrazione. Mancava qualcosa che intro-
ducesse Tony in modo adeguato: la soluzione fu questo inno di
gioia e speranza, una canzone spedita, in tempo 2/4, secondo
le convenzioni del musical nella presentazione dei personaggi.
Il paroliere Stephen Sondheim, che è anche compositore, buttò
lì l’idea melodica del ritornello. Essendo l’ultimo pezzo ad esse-
re composto, Bernstein lo ha volutamente infarcito di intervalli
di tritono, e l’ha anche cosparso di chiari riferimenti a Maria.
Maria
Dopo tante allusioni e anticipazioni ecco finalmente il tema di
Maria, caratterizzato da due gesti potenti: il tritono iniziale, e
l’alternanza di maggiore e minore sui versi di Sondheim, “and
suddenly that name/Will never be the same” (maggiore su
“suddenly”, minore su “never”). Dio solito l’effetto è blues, ma
qui l’oscillazione discende dalla musica ebraica. Lo studioso
Jack Gottlieb ha anche rilevato che quando più avanti Tony
chiama continuamente il nome “Maria”, il profilo melodico coin-
cide con la benedizione della Torah. Forse Bernstein si è ricor-
dato di allusioni simili presenti in Porgy and Bess.
America
Una delle pagine più celebri del musical è in realtà un felice
ripescaggio. Nel 1941 Bernstein aveva lasciato incompiuto un
balletto, Couch Town, mai andato in scena. Tra gli abbozzi
c’era un brano in tempo di huapango, una danza messicana,
che finì in un cassetto. Il compositore lo recuperò per West
Side Story: per introdurlo scrisse un breve seis, una danza por-
toricana, a cui poi incollò lo huapango stilato sedici anni prima.
Nel musical il battibecco sui pro e contro dell’essere immi-
grati avviene tra le ragazze, nel film di Robbins e Wise invece
oppone uomini e donne.
Cool
E’ forse la pagina più complessa e sperimentale dell’intero
musical, con un’ampia parte centrale tutta danzata. Il motivo
iniziale si basa su un’idea squisitamente jazz, tutta di tritoni,
che sarebbe potuta uscire dalla penna di Duke Ellington.
Quando attacca la sezione danzata, ecco qualcosa senza pre-
cedenti nel musical: una fuga. Il soggetto prende spunto dalla
Grosse Fuge di Beethoven, a cui risponde un controsoggetto
bebop, dalla strumentazione affine ai dischi di Lee Konitz o
George Russell (chitarra elettrica, sax alto, vibrafono, pianofor-
te). Come se questa audace accostamento non fosse abba-
stanza, lo sviluppo prevede il ricorso a tutti e dodici i suoni della
scala cromatica: non è dodecafonia, ma atonalità si. Gli ottoni
da big band jazz conducono al climax (nell’autografo Bernstein
usa proprio il termine idiomatico “tutti sock”).
La fuga era una novità assoluta a Broadway. Ma la fusione di
contrappunto e linguaggio jazz era all’ordine del giorno nel-
l’ambiente musicale, e Bernstein era di sicuro al corrente degli
eccellenti lavori di Pete Rugolo, John Lewis e Jimmy Giuffre.
Cool porta sul palcoscenico quella tensione sperimentale inne-
standola sul fondamento beethoveniano.
Tonight (Assieme)
Una delle pagine più articolate e complesse, e sicuramente
la più operistica della partitura. Nata come un Quintetto, dopo
le anteprime abbracciò un ensemble vocale più ampio, con ar-
monie ardite, sviluppo di motivi, sovrapposizione di ruoli, con-
trappunto delle voci. La rapidità di cambiamenti emotivi evoca il
montaggio cinematografico, ma la scrittura musicale sembra
piuttosto guardare a Giuseppe Verdi, ad esempio quello che in
Rigoletto sperimenta in simultanea diversi piani sonori e dram-
maturgici. Però, come scrive Nigel Simeone, «non si ha mai la
sensazione che Bernstein cada nella “trappola operistica”: egli
invece ha creato la reinterpretazione alla Broadway di un mo-
dello che calzava alla perfezione in questo momento critico del
dramma».
La rissa
Un episodio strumentale di straordinaria potenza che raccon-
ta lo scontro tra Jets e Sharks, con echi del Prologo e fitta di
continui richiami dello shofar: il materiale più adatto per questa
vera e propria scena di guerriglia tribale, che chiude l’atto sim-
metricamente all’apertura.
Atto II
I Feel Pretty
Cosa c’entra in questa storia una portoricana che canta un
valzer? Niente, in effetti. Però l’obiezione dei collaboratori si è
dovuta arrendere davanti al gradimento del pubblico. In effetti
quest’aria, in puro stile Oscar Hammerstein, funziona come una
sorta di intermezzo che alleggerisce la tensione con un tocco di
umorismo. In seguito Stephen Sondheim ha fatto ammenda del
testo: a suo dire versi come “It’s alarming how charming I feel”
suonano ben poco credibili in bocca a una popolana immigrata.
Finale
Anche se tra mille discussioni, nessuno volle mai retrocede-
re dall’inevitabile finale tragico. Diversamente da Shakespeare,
qui muore solo Romeo, così che la sopravvissuta Giulietta te-
stimoni per tutti. Tony è agonizzante per terra, Maria è vicino a
lui: il coro canta Somewhere, nell’aria si odono frammenti di I
Have a Love. Infine Somewhere si trasforma in una corteo fu-
nebre: e mentre si afferma la luminosa tonalità di Do maggiore,
il tritono dissonante fa diesis risuona nel basso, quietamente
minaccioso. Il monito finale contro la violenza.
Stefano Zenni
Da ascoltare:
Esistono due importanti versioni discografiche di West Side
Story: quella del cast originale diretta da Max Goberman (Co-
lumbia) il il 29 settembre 1957 (tre giorni dopo la prima a
Broadway) e quella diretta dallo stesso Leonard Bernstein nel
1984 con un blasonato cast vocale (Deutsche Gramophon).
Non c’è partita: la prima è largamente superiore alla seconda,
che è purtroppo priva dell’energia tagliente dell’originale. E’ sta-
to messo in commercio anche il dvd con il dietro le quinte delle
sedute del 1984.
Da leggere:
La migliore guida è Nigel Simeone, Leonard Bernstein: West
Side Story, Ashgate, London 2009
Su Bernstein e il jazz si veda l’eccellente saggio di Gianni
Morelenbaum Gualberto, «Dossier Bernstein», Musica Jazz,
marzo 2016 (disponibile anche su http://www.musicajazz.it/
leonard-bernstein-west-side-story/)
La tesi di dottorato di Bernstein si trova (purtroppo mal
tradotta), in Leonard Bernstein, Scoperte, il Saggiatore, Mila-
no 2018.