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Università degli Studi di Udine

Corso di laurea in

DAMS – Discipline delle arti,


della musica e dello spettacolo

TESI DI LAUREA

Fryderyk Chopin e le ballate op. 23 e op. 52:


due esempi di narratività musicale

Relatore Laureando

Prof. Saverio Lamacchia Massimo De Pasquale

___________________
Anno Accademico 2014/15
Indice

Introduzione ...................................................................................................................... 2
1. Significato e “Narratività Musicale” ......................................................................... 5
1.1 La questione musicologica ................................................................................................................. 5
1.2 Lo studio di Byron Almèn.................................................................................................................. 7
1.3 La ricerca del significato e la Musica Assoluta ................................................................................ 11
2. La scelta del termine ballata .................................................................................... 16
2.1 L’evoluzione della ballata ................................................................................................................ 16
2.2 Il rapporto con le Ballate di Mickiewicz .......................................................................................... 17
2.3 La ballata strumentale come nuovo genere ...................................................................................... 19
3. Le Ballate Op. 23 e Op. 52 ...................................................................................... 22
3.1 La struttura della prima ballata in Sol minore .................................................................................. 22
3.2 Una forma sonata anomala ............................................................................................................... 28
3.3 Forma narrativa o forma lirica? ........................................................................................................ 29
3.4 La struttura della quarta Ballata in Fa minore .................................................................................. 35
3.5 Tempo lirico e tempo narrativo ........................................................................................................ 38
Conclusioni ..................................................................................................................... 44
Bibliografia ..................................................................................................................... 47

1
Introduzione

“La maggior parte delle persone ama la musica in quanto intende trovarvi emozioni come la gioia, il
dolore, la tristezza, o un’evocazione della natura, o lo spunto per sognare, o ancora l’oblio della “vita
prosaica”. Vi cerca una droga, un doping. Non ha importanza se questo modo di concepire la musica
venga espresso direttamente o attraverso un velo di circonlocuzioni artificiose. Sarebbe ben poca cosa la
musica, se fosse ridotta a questo. […] Si pensi a tutte le sciocchezze sentimentali che vengono così spesso
messe in circolazione intorno a Chopin, a Beethoven e persino Bach […]. Questi fastidiosi commenti su
quel che è accessorio alla musica, non soltanto non ne facilitano la comprensione, ma rappresentano un
serio ostacolo a coglierne il contenuto e la sostanza1.”

Con queste affermazioni Igor Stravisnkij espone il suo punto di vista su una delle
questioni centrali all’interno degli studi musicologici, ossia la possibilità della musica
strumentale di “suggerire” realtà extramusicali. Durante l’evoluzione della musica
infatti, si sono susseguite moltissime istanze estetiche che inevitabilmente hanno mutato
la funzione e le modalità di fruizione della musica stessa. Al centro di queste rivoluzioni
vi è di certo l’estetica romantica, che avendo cambiato il ruolo dell’autore da “artigiano”
a “genio creatore”, ha sicuramente condizionato anche i metodi di fruizione dell’opera
musicale. Se da un lato quindi, in un’ottica formalistica2, Stravinskij nega la possibilità
della musica di narrare “qualcos’altro”, additando addirittura come dannoso il ricercare
questo tipo di suggestioni nella musica, molti studiosi sono concordi nel dire che è
possibile trovare in alcune opere strumentali una sorta di tecnica narrativa capace di
parlare di mondi e realtà esterne ai singoli suoni isolati. La scelta di trattare questo tema
in relazione all’operato di Fryderyk Chopin nelle sue Ballades, è perciò dettata da una
mia certa propensione nell’apprezzare la musica di questo autore, unita al grande
interesse creato in me dalla semplice domanda: la sua musica strumentale è in grado di
raccontare qualcosa senza ricorrere all’utilizzo della parola?

1
Igor Stravinskij, Cronache della mia vita, Milano, Feltrinelli, 2006, pp. 160-161.
2
Il Formalismo è un’istanza estetica teorizzata da Eduard Hanslick nei primi del Novecento, secondo cui
la forma dell’opera musicale diventa l’unica cosa veramente importante, potendo la musica parlare
solamente di se stessa. Si veda Mario Carrozzo – Cristina Cimagalli, Storia della musica occidentale. Vol.
3, Roma, Armando, 2009, p. 245.

2
Il mio intento è diventato quindi quello di dimostrare come a parer mio la Ballade Op.
23 in Sol minore e la Ballade Op. 52 in Fa minore (selezionate come punto di partenza e
punto di arrivo di un discorso formale attuato dall’autore attraverso le quattro ballate),
possano essere considerate due esempi di musica narrativa, in grado di suggerire
attraverso dei topoi musicali un qualche tipo di storia, seppur in termini generali. In
quest’ottica la fase preliminare del lavoro è stata organizzata in modo tale da procurarmi
la principale bibliografia reperibile in italiano sull’autore e sull’argomento in generale,
per poi conciliarla con articoli più specialistici pubblicati sulle principali riviste di
musicologia in lingua inglese. Il lavoro seguente è stato così strutturato:

 Un primo capitolo è servito ad introdurre il lettore alle principali caratteristiche


di un approccio narrativo relativo alla musica. Ho tentato in questo modo di
riassumere come molti studiosi si siano posti relativamente al problema della
narratività musicale, tentando in qualche modo di porre dei paletti storici e
metodologici riguardo all’argomento.
 Un secondo capitolo è stato dedicato al termine ballata. Inevitabilmente a mio
parere la scelta di utilizzare tale termine per nominare le proprie composizioni ci
pone di fronte a delle problematiche relative al nostro modo di approcciarci ad
esso. La ballata è comunemente intesa come una forma musicale legata ad un
testo poetico, ma la ballata romantica è puramente strumentale: essa ha in se lo
stesso germe narrativo presente nelle ballate con testo?
 Il terzo capitolo infine è stato dedicato all’analisi delle due opere in questione: la
prima Ballata in Sol minore Op. 23 e la quarta Ballata in fa minore Op. 52. Per
entrambe sono partito da un’analisi formale, per poi chiedermi una volta
realizzata questa come le strategie narrative fossero state realizzate all’interno
dell’opera.

Un percorso di questo tipo secondo me può essere molto utile per capire le principali
teorie riguardanti la narratività musicale e osservarne in concreto la loro messa in
pratica; ciò, oltre a fornire un metodo suggestivo e interessante per guardare alla musica
strumentale, ha anche il privilegio di farci porre un occhio diverso su un autore in
particolare. Perciò l’argomento “narratività musicale” trattato in questa tesi è tutto
fuorché esaurito: al di là della musica barocca, che per sua natura forse è meno disposta

3
a esser posta sotto questo tipo di studi, questo tipo di approccio rimane sicuramente
applicabile alla musica romantica (qui trattata), e potrebbe essere interessante applicarlo
anche alla musica del Novecento (almeno quella tonale!), periodo in cui si è assistito ad
una vera e propria moltiplicazione delle istanze estetiche che hanno coinvolto la musica.

Utilizzo queste ultime righe dell’Introduzione per fare alcuni brevissimi ringraziamenti.
Ringrazio il relatore prof. Saverio Lamacchia per avermi seguito in questi mesi di
scrittura della tesi, ed avermi permesso di creare un elaborato di cui vado fiero, e
ringrazio famiglia ed amici per avermi supportato moralmente in tutto questo. Dedico
infine questa tesi a zia Rosa, il cui ricordo non mi ha mai abbandonato in questi tre anni
di studio.

4
1. Significato e “Narratività Musicale”

1.1 La questione musicologica

Il problema riguardante un’eventuale narratività della musica strumentale è centrale


all’interno dell’ambito musicologico, ed è un tema che negli ultimi venti anni è stato
trattato da un grande numero di saggi e articoli. Questi studi hanno cercato di mettere in
luce se ci sia una correlazione fra le note espresse in brani esclusivamente strumentali,
ed un significato extramusicale, qualcosa che possa venire “narrato” attraverso la
musica e che sia giustificato solamente da un’analisi attenta della partitura. Nel
momento in cui si cerca un significato all’interno di un brano, è infatti fondamentale
non lasciarsi trasportare da eccessivi voli pindarici o farsi fuorviare da proprie
considerazioni personali, andando in qualche modo a costruire sopra l’opera in esame
un mondo che l’autore non avrebbe mai potuto nemmeno immaginare.

Risulta pertinente però, prima di procedere in quest’ottica verso la parte centrale della
tesi (l’analisi della quattro Ballate di Chopin), fare alcune premesse metodologiche e
cercare di dare risposta ad alcune domande preliminari. Prima fra tutte: può la musica
strumentale, in qualche modo, “narrare” realmente qualcosa?

A questa domanda ha tentato di trovare risposta la cosiddetta “Nuova Musicologia”, di


cui parla Lawrence Kramer nel suo articolo Music and Meaning3. Egli spiega come
l’idea alla base del lavoro compiuto da questa musicologia sia stata quella di combinare
un’intuizione di carattere estetico della musica ad una comprensione maggiore della sua
dimensione culturale, sociale, storica e politica4, il tutto compiuto sempre nell’ottica di
evitare un’opera di idealizzazione su ciò che si ascolta: mettere troppa enfasi su
sentimenti e sul circoscrivere il significato di un’opera, egli sostiene, può oscurare ciò
che di veramente musicale esiste nella musica, ossia lo stile, la forma e la sua struttura.

3
Lawrence Kramer, Music and Meaning, «Musical Times», Vol. 144, n. 1883, Estate 2003, pp. 6-12.
4
Una visione simile è fornita da J. J. Nattiez, che crede che la musicologia non debba rimanere
circoscritta alle descrizioni delle strutture immanenti, essendo la musica da considerare anche come fatto
sociale e quindi anche come fenomeno semiotico e non solamente strutturale. Si veda Otto E. Laske,
Toward a Musicology for the Twentieth Century, «Perspectives of New Music», Vol. 15, n. 2, Primavera-
estate 1977, pp. 220-225.

5
È per questo che, secondo Kramer, il nome che più è adatto a descrivere questo tipo di
musicologia è quello di “Cultural Musicology”, una musicologia che tratta la cultura
vista come una sovrastruttura sempre in fieri, definita dall’insieme di interazioni e
legami che permettono ai “portatori di soggettività” di produrre determinate opere. La
musica stessa è perciò vista come qualcosa di legato a questi rapporti, ed è in particolare
interconnessa alla già citata soggettività: essa è la condizione secondo cui una persona
occupa una determinata posizione sociale dalla quale è resa possibile la creazione di
determinate azioni, desideri, discorsi e ragionamenti.

L’oggetto degli studi della Cultural Musicology è quindi quello del significato musicale,
un concetto spesso osteggiato, continua Kramer, seguendo due principali filoni di
pensiero: c’è chi dice che la proposta di complessi significati extramusicali sia arbitraria
e soggettiva, e c’è chi dice che se la musica avesse un significato complesso
preponderante, la libertà di ascolto dell’individuo verrebbe irrimediabilmente
compromessa. Se rispondere alla prima critica è più complesso (si tenterà di darle
risposta gradualmente proseguendo in questo paragrafo), alla seconda risposta si può
riprendere la considerazione proposta da Kramer stesso: l’abitudine di ascoltare la
musica senza fare riferimento al suo significato è qualcosa da non osteggiare (potendo
la musica anche in questo modo arricchire la vita di molte persone), ma indubbiamente
è un utilizzo determinato da specifici valori definiti e impostati da una determinata fase
storica, piuttosto che qualcosa di intrinseco alla musica (che al contrario richiama
necessariamente ad altri concetti e simboli).

Per iniziare a delineare una risposta alla prima critica invece, può essere interessante
citare alcune considerazioni di Theodor W. Adorno5. Egli sostiene che la controversia
riguardante la narratività musicale rischia di distrarre dal vero e proprio fenomeno
musicale: citando il primo tempo della Sinfonia in Do maggiore di Schubert 6, egli
spiega come nel momento in cui ascoltiamo un brano, noi ci poniamo in un sogno in cui
piuttosto che associazioni soggettive, per alcuni istanti si pongono davanti ai nostri

5
Si veda Theodor W. Adorno, Rolf Tiedermann (a cura di), Beethoven. Filosofia della Musica, Einaudi,
2001.
6
“Nel primo tempo della Sinfonia in do maggiore di Schubert, all’inizio dello sviluppo, per qualche
istante sembra di essere a un matrimonio di contadini, pare anche che cominci un’azione, ma sparisce
subito, perduta nel fluire della musica che procede in tutt’altro modo, una volta che si è saziata di
quell’immagine.” Ibid., p. 11.

6
occhi immagini oggettive. Si tratta di immagini che si palesano in maniera caotica e
disordinata, che nascono e si consumano in fretta, ma che sono però “essenziali alla
musica stessa”. Il significato musicale, per Adorno, si sposta perciò su un piano
metafisico: “Il fatto che la musica possa dire soltanto ciò che le è proprio significa che
parola e concetto non possono esprimere il suo contenuto in modo immediato, bensì
soltanto in modo mediato, cioè come filosofia”7.

Dice qualcosa di simile Kramer, nel già citato articolo, quando afferma che le tipologie,
tassonomie, griglie semiotiche e diagrammi possono suscitare fascino, ma hanno poco a
che fare con la musica vera e propria, vista come il fenomeno acustico che incarna
l’ambiguità del sentire/non sentire nella sua forma più originaria. Essa è “relativamente
autonoma”, non dovendo necessariamente essere esposta a realtà non musicali, ma che
però non può nemmeno essere difesa da queste realtà extramusicali.

1.2 Lo studio di Byron Almèn

Risulta evidente quindi che si può associare alla musica un significato, ma come e in
che modo tale significato può essere colto dall’ascoltatore? Per concludere questo
aspetto introduttivo può essere utile parlare dell’articolo Narrative Archetypes: A
Critique, Theory, and Method of Narrative Analysis, di Byron Almén8. Egli sposta
l’attenzione dell’analisi musicologica dal significato generico alla vera e propria
narratività musicale, e facendo ciò propone le proprie soluzioni a molti dei problemi che
sono stati posti su questa materia.

In particolare egli sostiene che dopo alcuni anni di grande fervore, l’argomento sembra
essersi in qualche modo consumato, lasciando l’impressione che già abbastanza sia stato
detto su di esso. Egli identifica questa perdita di interesse verso la narratività musicale
in tre principali fattori:

7
Ibid., p. 19.
8
Byron Almèn, Narrative Archetypes: A Critique, Theory, and Method of Narrative Analysis, «Journal of
Music Theory», Vol. 47, n. 1, Primavera 2003, pp. 1-39.

7
1. In primo luogo numerose critiche hanno suggerito che la narrazione musicale
nella migliore delle ipotesi possa essere un concetto metaforico e limitato, o nel
peggiore dei casi addirittura un prodotto del semplice desiderio del critico che
attua l’analisi. Tali critiche, rimaste per lo più senza risposta, avrebbero forse
lasciato concludere ai propri lettori che l'argomento “narratività musicale” sia
quindi destituito di fondamento, e che perciò non vada ulteriormente
approfondito.
2. Una seconda considerazione tiene conto del fatto che anche tentando di porre
la narrazione musicale su basi più solide, tuttora non vi è ancora una definizione
univoca di ciò che essa sia. Chiarire e raggiungere un consenso riguardo le sue
caratteristiche, punti di forza, e anche dei suoi limiti, potrebbe sicuramente
portare la ricerca e l’analisi musicologica nella direzione giusta in cui procedere.
3. Infine, nonostante ci siano stati interessanti studi riguardo singoli brani di
autori come Schubert, Schumann, Mahler, Beethoven, Chopin e Dukas, non c’è
stato nessun tentativo universale di tracciare i parametri cardine di un metodo
analitico riguardante la narratività musicale, né quindi di illustrare tale metodo in
tutte le sue caratteristiche.
L’articolo procede poi verso un tentativo di porre rimedio gradualmente a queste tre
problematiche; nella prima parte quindi, rivolge la sua attenzione verso le critiche
rivolte alle teorie della narratività, e tenta di dar loro risposta.

Una prima critica è quella del “segno verbale”, di cui parla Nattiez. Secondo questa
teoria sarebbe un programma di tipo verbale ad indirizzare il nostro orecchio verso
strategie di ascolto narrativo, e senza un segnale linguistico quindi non si potrebbe
parlare in nessun modo di narratività musicale. Ciò di cui non parla Nattiez però, è di
come una strategia di ascolto narrativo possa essere attuata: infatti sebbene il “cosa”
ascoltiamo possa venire influenzato dal “come” lo ascoltiamo, una modalità di ascolto
improntata a percepire una narratività può essere innescata anche da un segno musicale,
piuttosto che da uno linguistico. In tal senso quindi tale critica risulta priva di
fondamento.

Una seconda critica, sempre mossa da Nattiez, è quella della casualità. Egli sostiene
infatti che la collocazione temporale di diversi fatti storici, azioni o anche eventi
musicali, di per sé non costituisca una narrazione. Per rispondere a questa critica,

8
Almén, prende come esempio la letteratura, e citando un racconto breve da lui letto
arriva alla considerazione che in una storia possano essere presentati dal narratore eventi
a cui è difficile dare un senso: in questi casi, in cui non viene presentata alcuna
spiegazione dall’autore, spetta all’osservatore in ultima istanza connettere questi eventi
tra loro, e donargli un significato generale. Quindi, seppur con più difficoltà rispetto alla
letteratura, anche in certi tipi di musica ci si può aspettare di poter incorrere in esempi di
narratività.

Una terza critica tratta il ruolo del narratore, chiedendosi se la sua presenza è condizione
necessaria per la presenza di narratività in un’opera. La critica consisteva nello spiegare
il ruolo del narratore come organizzatore degli eventi avvenuti nel passato: spetta a lui
infatti organizzare la storia in maniera coerente, per poi presentarla al proprio pubblico
di riferimento. Già per la risposta alla critica precedente, però, si può affermare che non
necessariamente il narratore è tenuto a spiegare le connessioni che intercorrono fra i vari
eventi da lui descritti, senza considerare che la diretta presentazione di parole e azioni
risulta essere la maniera più immediata per rappresentare un qualunque tipo di storia
(nel momento in cui la storia viene presentata in questa maniera diretta si può parlare di
narratore oscurato). Si può quindi dire che la presenza del narratore non è condizione
necessaria per la presenza di un carattere narrativo nell’opera.

Infine la quarta ed ultima critica sostiene che per quanto la musica contenga aspettative,
risoluzioni e ripetizioni, essa non adempie a tutte le condizioni di una narrazione, non
potendo noi specificare cosa stia agendo nella scena. Molti studiosi però sostengono che
siano le relazioni fra elementi piuttosto che gli elementi stessi a creare una narratività.
La scoperta del significato può perciò avvenire solo nel momento in cui vengono
comprese le funzioni che appaiono nell’opera in questione: se nella musica possiamo
identificare una serie gerarchica di interazioni che nel tempo varia e si ri-arrangia, allora
possiamo osservare la natura narrativa del lavoro musicale.

Avendo dato risposta alle critiche mosse nei confronti della narratività musicale, nella
seconda sezione Almén tenta di chiarire come dovrebbe svilupparsi un’analisi narrativa
di un brano strumentale. Dopo una serie di considerazioni preliminari, egli arriva alla
conclusione che un’analisi di questo tipo debba cercare di spiegare perché alcuni eventi
musicali sembrano sorprendenti, interessanti, scioccanti o quantomeno salienti. Questo

9
tipo di lavoro deve cercare di spiegare perché l’ascoltatore si senta in un certo modo
ascoltando il brano, e deve organizzare l’universo sonoro del brano in modo che
l’ascoltatore sia in grado di percepire le relazioni che incorrono fra i vari componenti,
anche se tali relazioni possano essere spiegate solo attraverso teorie frammentarie e
caotiche (essendo il “contrasto” implicito nel materiale musicale, bisogna anche fare
attenzione al lato psicologico di esso).

Nella terza ed ultima parte infine, Almén tenta di delineare un metodo universale di
analisi narrativa di un’opera. Tale metodo, oltre a variabili quali la lunghezza del brano,
le convenzioni stilistiche, la presenza di testo, le associazioni ad un programma, le
intenzioni del compositore, i preconcetti degli ascoltatori e le diverse interpretazioni
degli esecutori, deve considerare:

 L’utilizzo di topoi musicali, ossia particolari combinazioni di elementi musicali


che hanno acquisito un carattere convenzionale.
 L’attribuzione di carattere antropomorfico e identità funzionale alle figure
musicali.
 Gli aspetti spaziali e temporali della musica, come cambi di registro, cambi di
tonalità e cambi di ritmo.
 Le proprietà dinamiche dei parametri musicali (come i passaggi con accelerando
e affini).
 Ogni associazione programmatica ai temi, motivi, modelli, o in generale col
lavoro intero.
 L’utilizzo di altri parametri secondari per aggiungere colore ad altre implicazioni
semantiche, come i crescendo o i marcato.

Sebbene non tutti gli aspetti citati possano risultare rilevanti in ogni possibile contesto,
un tipo di analisi improntata a delineare il carattere narrativo di un’opera non può
ignorare tali associazioni semantiche. Sono infatti queste a delineare il livello primario
della narratività: sono queste caratteristiche a parlarci di storie di vittoria e sconfitta, e a
suggerirci in generale tutte le opposizioni e contrasti che avvengono all’interno del
brano.

10
1.3 La ricerca del significato e la Musica Assoluta

Quanto detto finora è stato proposto per chiarire le principali teorie sulla narratività
musicale, e per giustificare un’operazione come quella della ricerca di significato
all’interno di un brano strumentale. Rimane tuttavia un’ultima domanda preliminare a
cui rispondere: da quand’è, che nella Storia della Musica, è possibile iniziare a ricercare
una forma di narratività e di significato?

Quanto detto finora farebbe intuire che il significato sia qualcosa di intrinseco alla
musica, cosi come lo è alla letteratura e alle altre forme di narrazione; è indubbio però,
che parlare di un vero e proprio significato all’interno della musica, diventa giustificato
a pieno solo dopo l’enorme cambiamento culturale dovuto alla creazione di un nuovo
tipo di estetica, quella romantica. Scrittori come Hoffmann, Novalis, Wackenroder,
Tieck, Jean Paul, Friedrich Schlegel, hanno portato ad una vera e propria rivoluzione,
che ha avuto come diretta conseguenza una rivalutazione totale dell’arte musicale. Per
questi artisti diventa fondamentale “romantizzare” il mondo, conferendo ad esso un
senso più elevato: il poeta (inteso come artista/creatore) non deve imitare la natura, ma
deve osservare il mondo e svelarne i più oscuri segreti. L’attenzione si sposta dal finito
all’infinito, che deve essere espresso attraverso l’arte: in particolare, fra tutte le arti, la
musica stessa è considerata quella più adatta a manifestare l’assoluto, avendolo come
proprio oggetto. La parola viene vista come uno strumento povero, che può solo
descrivere ed enumerare essendo finito; al contrario la musica è in grado di far percepire
la “misteriosa corrente del puro sentimento”. Da questo ne consegue che la musica
strumentale diventa più importante di quella vocale, capace di esprimere solo qualcosa
di finito attraverso la parola9.

Se quindi la concezione razionalistica della musica aveva negato l’autonomia di


quest’arte a meno che non fosse utile all’intonazione della parola10, in questi anni si
inaugura la “Metafisica della musica strumentale”. La musica diventa quindi capace di
esprimere non più il fenomeno, ma l’essenza di ogni fenomeno, dandone ciò che è
essenziale senza accessori e senza dare le proprie motivazioni. La musica diventa libera

9
Si possono tuttavia rilevare alcune contraddizioni del movimento romantico, considerato che la musica a
programma diventerà centrale, al pari del Lied.
10
Si tratta di un concetto espresso da J. J. Rosseau, che considerava la musica strumentale come vero e
proprio rumore, non essendo imitativa, ed il contrappunto una vera e propria aberrazione essendo troppo
complesso (egli scrive nel periodo in cui si diffonde lo stile galante!).

11
da ogni condizionamento di luogo, spazio, tempo e funzioni sociali: essa diventa
qualcosa di centrale senza mescolarsi a parola e immagini, essendo le relazioni musicali
considerate alla pari delle relazioni che avvengono nella natura. Alla base del cambio
estetico si può dire ci sia il trionfo dell’emotività sulla razionalità, così come esplicitato
da Wackenroder, spesso accusato del peccato intraducibile del Schwärmerei (ossia il
fondere elementi di estasi a dilettantismo).

Si diffonde in questo periodo l’idealismo secondo cui si predilige lo spirito alla materia,
con conseguente rifiuto del mondo fenomenico e ricerca di una forma superiore di realtà
alle sue spalle: gli oggetti del mondo fenomenico, incluse le opere d’arte, vengono ora
visti come riflessi di ideali incorporei. In estetica, l’idealismo sostiene che l’arte ed il
mondo esterno sono consonanti tra loro non perché l’arte imiti il mondo, ma perché
entrambe queste realtà riflettono un ideale superiore, spirituale: è grazie all’idealismo
che l’opera d’arte diventa centrale come emanazione dello spirito e dell’infinito.

Era infatti già evidente fin dalla seconda metà del diciottesimo secolo che la musica
vista come imitazione del mondo esterno dovesse esser vista con scetticismo se non
addirittura derisione: essa non si è mai inserita bene nel sistema mimetico-imitativo
creatosi attorno ad arti come la poesia, la pittura e la scultura. Basti infatti pensare a
come le passioni umane, dice Jean-Jacques Rosseau nel suo Dictionnaire de Musique,
siano l’oggetto più adeguato ad essere rappresentato in un tipo di arte in cui il
compositore non rappresenta direttamente nella sua musica fenomeni come la pioggia, il
fuoco e la tempesta, ma al contrario suscita nell’ascoltatore gli stessi impulsi che questi
fenomeni hanno creato in lui.

Nonostante questo però, nell’ottica dell’idealismo, la prospettiva si sposta dal parlare


degli effetti della musica a parlare dell’essenza della musica: non viene negato il potere
emotivo di questo tipo di arte, ma ci si concentra a spiegarne l’effetto estetico che esso
ottiene riflettendo ideali più grandi, piuttosto che parlare delle reazioni individuali che si
possono innescare tramite l’ascolto. La musica non viene più percepita come imprecisa
per descrivere natura e linguaggio, ma come arte strettamente legata ad un mondo
superiore spiritualmente. L’ascolto di un brano strumentale richiede quindi
necessariamente un atto di immaginazione che faccia da mediatore tra sensi e spirito (tra
fenomeno e mondo noumenico) durante la contemplazione estetica.

12
Si può dire quindi che è dalla musica romantica che si inizia a guardare a quest’arte
come se fosse lo specchio dell’interiorità dell’artista, oltre che una porta verso l’assoluto
(fa proprio parte dell’estetica romantica inoltre il tema dell’indipendenza della musica
dalla parola). Ma c’è un problema: se noi abbiamo parlato finora di come il
Romanticismo letterario tedesco consideri l’arte musicale, bisognerà ancora aspettare
qualche tempo prima che questa cosa abbia ripercussioni sul concreto della pratica
musicale. Se nel 1796 viene pubblicato la prima opera romantica in assoluto, Sfoghi del
cuore di un monaco amante dell’arte di Wackenroder, per avere la prima opera
romantica in musica bisognerà aspettare il 1814, con i Lieder di Schubert su testi di
Goethe11. Il punto di congiunzione fra queste due realtà, è chiaramente Ludwig Van
Beethoven.

Se prima di lui infatti il musicista era considerato al pari di un artigiano che lavorava su
commissione, è con lui che la committenza stessa inizia a rendersi conto di come sia in
atto una rivoluzione estetica. Egli è considerato un genio 12, che non può più comporre
musica di consumo come farebbe un musicista artigiano, e che non a caso comporrà
solo nove Sinfonie, contro le centosette di Haydn e la quarantina di Mozart.

Ciò è quindi dovuto al già citato cambio di estetica: basti pensare alla sua celebre
Quinta Sinfonia. Composta tra il 1804 e il 1808, essa si presenta come un dramma
“chiaro come un teorema”, ed è considerabile come un fulgido esempio di musica
assoluta, ossia slegata da qualsiasi testo: il suo significato infatti, è da ricercare
esclusivamente nella musica e non ha bisogno di piani extramusicali per essere
percepito.

Il termine “musica assoluta” è stato utilizzato per la prima volta da Wagner per
descrivere la Nona Sinfonia di Beethoven, all’interno di un programma utilizzato per
accompagnare una sua esecuzione della stessa a Dresda nel 1846. Egli sostiene però che

11
In particolare si fa riferimento a Gretchen Am Spinnrade (Margherita all’Arcolaio), ed Erlkönig (Re
degli Elfi).
12
Concetto ben espresso da Hoffman nella recensione che egli fece nel 1810 della Quinta Sinfonia, e che
comparve su “Allgemeine musikalische Zeitung”, la rivista tedesca più importante riguardante l’arte
musicale. Egli sostiene che lo studio approfondito delle strutture più intime della musica di Beethoven,
possano rivelarne il suo alto livello di consapevolezza razionale, concetto inseparabile però dal vero genio
nato dal continuo contatto e studio dell’arte. Per approfondimenti si guardi Marco Segala, Beethoven,
Hoffmann e la musica assoluta, «Musica e filosofia», a cura di Ferdinando Abbri e Elio Matassi,
Cosenza, Pellegrini, 2000. p. 33-68.

13
tale tipo di musica sia un errore: se la musica puramente strumentale secondo lui si
manifesta come forma di espressione infinita ed indecisa, dopo i primi tre tempi della
Nona Sinfonia, il progresso della poesia musicale necessitava una presa di posizione
esprimibile solo attraverso il linguaggio umano. È per questo che secondo lui Beethoven
dopo otto sinfonie e tre tempi della Nona, ha deciso di inserire la voce umana con un
celebre e lungamente preparato ingresso del coro. Per Schopenhauer tale musica è
l’immediata emanazione del principio noumenico della volontà, ed è questa
caratteristica ad innalzarla sopra tutte le altre forme di espressione artistica: chi
usufruisce del suo ascolto può in qualche modo immergersi oltre il velo di Maya.

Tornando però alla Quinta Sinfonia, quale potrebbe essere questo significato di cui
Beethoven non ha scritto nulla? Questa Sinfonia è stata letta come un riflesso della vita
interiore del compositore, e della sua lotta contro il destino avverso che lo ha portato ad
ammalarsi e a diventare gradualmente sordo. “Così il destino bussa alla porta” aveva
riferito al suo allievo Anton Schindler13, riferendosi al celebre motivo iniziale del primo
movimento (Figura 1).

Questo inizio acefalo, consiste in una pausa seguita da


quattro note di cui l’ultima che cade sul tempo forte
della seconda battuta, e va a costituire il motivo
Figura 1
fondamentale dell’opera: si tratta di un inciso dalla
grande forza motrice e propulsoria, da cui verrà generata seguendo un’unica idea
poetica l’intera Sinfonia. Non si parla più della Sinfonia classica come architettura a
mosaico, in cui i vari tempi sono frutto di un progetto retorico, ma di una sorta di
Durchkomponiert, una Sinfonia composta da cima a fondo secondo relazioni di causa ed
effetto, e trasformazioni giustificate solamente da un percorso psicologico: «la sinfonia
non è una fantasia geniale e disordinata come appariva a molti, ma al contrario una

13
Tale frase viene riportata nella biografia scritta su Beethoven da Schindler stesso, e nonostante la
credibilità di quest’ultimo sia stata messa in discussione da alcuni studi recenti, tale affermazione risulta
ancora affascinante e credibile. Per approfondimenti si guardi Theodore Albrecht, Anton Schindler as
destroyer and forger of Beethoven’s conversation books: A case for decriminalization, «Music’s
Intellectual History», RILM 2010, 168-81.

14
totalità di parti organicamente collegate»14. Attraverso quindi l’inciso fondamentale di
quattro note, parte la sfida di costruire un enorme universo sonoro.

Diventa quindi un dato di fatto con le rivoluzioni estetiche post beethoveniane che
essendo la musica specchio dell’inconscio ed avendo come proprio oggetto stesso
l’assoluto, essa sia capace di rimandare ad altre dimensioni diverse da quella
strettamente musicale: la musica è in grado di evocare altre realtà e storie, anche se si
tratta di musica strumentale. Da qui si può procedere con un’ultima centrale domanda:
le Ballate di Chopin riescono a farlo?

14
Si tratta di parole espresse da Hoffmann nella già citata recensione della Sinfonia nel 1810, recensione
in cui esaltò le proprietà romantiche della musica di Beethoven.

15
2. La scelta del termine ballata

2.1 L’evoluzione della ballata

Come è da interpretare la scelta di Chopin di chiamare questi quattro componimenti con


il nome ballata? Sicuramente egli in questa scelta dimostra quello stesso istinto
provocatorio (tipicamente romantico) che lo ha portato a chiamare Preludi la raccolta
Op. 28. Similmente al preludio quindi, anche il termine originario di ballata andava ad
indicare un tipo diverso di opera rispetto a quella poi intesa da Chopin.

La ballata ha iniziato ad apparire negli ultimi quarant’anni del tredicesimo secolo, e


consisteva in una forma canzone probabilmente legata alla danza. Essa era inoltre la
forma più diffusa di laude in lingua volgare, ossia la canzone spirituale che a pieno è
riuscita a rappresentare l’espressione musicale devozionale tipica del Medioevo. Si
trattava di nuovi canti che sorgevano spontaneamente con lo scopo di lodare Dio, che
potevano essere “a modo proprio” se nati con melodia originale, o “cantasi come” se
utilizzavano melodie preesistenti. La ballata d’altro canto fu scelta come forma
privilegiata, essendo considerata la forma più perfetta di fusione di poesia, musica e
ballo. Essa risponde allo schema tripartito ABA. In A si concentra testualmente tutta la
semantica della ballata (in genere due versi), ma anche la sintesi sonora espressa
dall’intonazione musicale (un motivo fortemente caratterizzato e ricordabile con
facilità). In B si concentra il crescendo emotivo spesso lasciato nelle mani di un “solo”:
qui si concentra il carattere narrativo del testo, che ha in sé contemporaneamente
carattere spirituale e didattico. Lungo il Quattrocento il fenomeno laudistico divenne
centrale, per poi eclissarsi durante il Cinquecento, venendo soppiantato dal Madrigale.

La ballata è dunque una forma musicale nata col testo, ma è indubbio che essa abbia
conosciuto una nuova vita durante il Romanticismo. Escluse le Ballate di Chopin di cui
stiamo già trattando, esistono altri esempi rilevanti, come le Ballate Op. 10 di Brahms o
le Romanze senza parole di Mendelssohn. La portata di novità introdotta da queste
opere, slegate da ogni forma di testo, introduce indubbiamente la stessa quantità di
problematiche e questioni preliminari discusse nel primo capitolo. Per capire meglio

16
però lo stretto legame fra musica romantica e archetipi narrativi, può essere utile fare
una brevissima divagazione sull’Erlkönig di Schubert, che a differenza delle altre due
opere appena citate è dotato di testo.

Si tratta di un Lied durchkomponiert basato su una ballata, una sorta di poesia popolare
d’intonazione epico-lirica (con un intrinseco carattere narrativo), ed il tono e contenuto
di essa è ispirato a saghe e leggende nordiche avvolte da brume misteriose, talvolta
persino tetre e sinistre (per Goethe la ballata doveva avere come qualità specifica un
“qualcosa di misterioso”). In generale noi sappiamo che il Lied non era un genere
virtuosistico, essendo pensato per i non professionisti, che con registri limitati alla voce,
potevano dedicarsi al canto accompagnandosi al pianoforte col basso numerato. Qui
però l’accompagnamento pianistico diventa importante fin dalle prime battute, che
introducendo un brevissimo preludio strumentale danno da subito il tono fondamentale
della composizione. La mano destra suona dei ribattuti rappresentanti la cavalcata
frenetica attuata dal protagonista, e saranno sempre presenti durante il lied se non per
eccezioni dettate dal testo: i ritrovi e rimandi sono definiti dal testo, non da una struttura
strofica. Per quest’opera si parla di vero e proprio Romanticismo musicale, il cui
carattere narrativo è riconducibile sì al testo, ma anche a tecniche e topoi musicali
riscontrabili nell’accompagnamento musicale, che per la prima volta in un lied si trova a
commentare ciò che accade nella ballata, mutando di conseguenza lungo il corso
dell’opera.

2.2 Il rapporto con le Ballate di Mickiewicz

“Alla fine lo intitolai Ballata. C’erano state molte ballate per canto e pianoforte, nessuna per
pianoforte solo o per strumenti senza voce. Io fui il primo, e con la Ballata in sol minore capii di
poter dare al mondo il corrispettivo musicale delle Romanze e Ballate di Mickiewicz che tanto
mi avevano impressionato quand’ero ancora un ragazzo”15.

Con queste parole Chopin introduce un altro tema problematico relativo alla natura delle
sue quattro Ballate. Egli aveva riferito infatti a Schumann di aver tratto ispirazione e

15
Piero Rattalino, Chopin racconta Chopin, Bari, Laterza, 2011, p. 97.

17
spunto dai componimenti lirico-narrativi del suo amico Adam Mickiewicz, un poeta che
nel 1822 aveva pubblicato la raccolta Ballady i romanse. È bene precisare però che alle
orecchie di un compositore del primo Ottocento, il termine ballata evocasse un insieme
di riferimenti ben più complesso del quadro presentato da Chopin. Sicuramente
richiamava alla mente le ballate romantiche (intese come poesie narrative), e perciò le
musiche composte da autori come Schubert e Loewe, ma anche in ambito strumentale
erano già presenti Rapsodie ed Egloghe boeme, senza considerare i già citati Lieder di
Schubert e Romanze di Mendelssohn. Perciò la novità di Chopin fu si grandiosa, ma
comunque inserita in un contesto generale dove l’attenzione romantica andava pian
piano spostandosi verso stimoli extramusicali e narrazione (basti pensare ad autori come
Schumann, Berlioz o Liszt).

Premesso questo, molto è già stato scritto sul rapporto fra le ballate chopiniane e quelle
di Mickiewicz, senza però giungere a risultati soddisfacenti: d’altro canto Chopin non
amava la musica a programma né il ricorso a riferimenti letterari, essendo egli un
musicista romantico espressosi solamente in musica. Per quanto riguarda la prima e la
quarta ballata sono stati tentati dei collegamenti piuttosto generici con a Konrad
Wallenrod e Trzech budrysów, mentre la seconda e la terza sono state associate con esiti
migliori a Świżet e a Switezianka. Citando quanto detto da Marino Pessina nel suo
volume dedicato alle ballate di Chopin16, il vero legame fra il suo operato e quello
dell’amico Mickiewicz è da ricercare nel principio narrativo tipico della poesia
romantica, da cui si può ricavare uno stile narrativo basato sulle modalità e sulle
strutture del racconto. In quest’ottica quindi le quattro opere di Chopin vanno collocate
all’interno della “musica poetica” romantica, essendo gli eventi formali e strutturali
della musica generati in base ad un principio narrativo: non bisogna perciò ricercare
dentro esse un ordine strutturale tipicamente consolidato (come il rondò, il lied, la forma
sonata, ecc), ma piuttosto un insieme di “modi narrativi” che si presentano di fronte
all’ascoltatore. In definitiva si tratta di opere generate da un principio drammaturgico
piuttosto che formale. Nel momento in cui si riesce a scorgere una qualche sorta di
modello formale quindi, bisogna quindi notare come Chopin abbia tentato di

16
Marino Pessina, Le ballate per pianoforte di Fryderyck Chopin. Contesto, testo, interpretazione, Lucca,
Libreria Musicale Italiana, 2007, p. 142.

18
attualizzare e mutare questo modello nell’ottica del creare espedienti narrativi; la forma
sonata perciò (principale modello di riferimento per le ballades) viene perciò
puntualmente invocata e sovvertita. Citando Pessina:

“La metafora della narrazione incide sulla forma-sonata anche al livello del trattamento
tematico: mentre nella forma-sonata i due temi ritornano inalterati, nelle Ballate interagiscono
drammaticamente e vengono profondamente trasformati (apoteosi); non si costituiscono tanto
come componenti di una struttura, quanto piuttosto come ‘agenti virtuali’ di un dramma, simboli
di ‘personaggi virtuali’ che, per i loro legami coi generi popolari, rimandano a una storia narrata
piuttosto che a un’azione mimata17.”

Il tentativo di Chopin risulta quindi quello di creare una forma musicale dinamica, in cui
il tono narrativo si realizza nella ricerca di continuità, che dà i propri esiti
nell’accumulazione progressiva di tensione che porta all’esplosione finale, una sorta di
climax drammatico. In quest’ottica la ripresa (parte finale della forma sonata) muta
radicalmente di funzione: da “luogo della ‘risoluzione’ formale e della ricomposizione
dei contrasti esplosi precedentemente” diventa “[il luogo] nel quale quei contrasti
vengono sinteticamente ripresi e ulteriormente amplificati” nell’ottica di creare una
ripresa-apoteosi18 che sfocia poi nella Coda.

2.3 La ballata strumentale come nuovo genere

Continuando nella sua analisi delle ballate, Pessina afferma che le caratteristiche
linguistiche appena discusse (tono narrativo, ricerca della continuità, orientamento
dinamico della forma, trasformazione e metamorfosi tematica) possano in quale modo
suggerire la possibilità di considerare la ballade chopiniana come un nuovo genere a se
stante19.

Per avvalorare questa tesi egli ha innanzitutto proposto il pensiero di Rosen, emerso dal
libro La generazione romantica20. Il suo pensiero, concentrato sul definire i principi

17
Ibid., p. 145.
18
Ibid., p.146.
19
Ibid., p.149.
20
Charles Rosen, La generazione romantica, Adelphi, Milano, 1980.

19
costruttivi che regolano la narrazione all’interno di tale genere, è sintetizzabile in
quattro punti:

1) Tale genere è basato sull’utilizzo di due temi, diversi per tonalità e modo,
presentati in successione come fase di una narrazione piuttosto che di una
contrapposizione.
2) Il processo di interazione fra i due temi è basato sullo sviluppo e la
combinazione, il tutto con lo scopo di incrementare la tensione dell’opera.
3) L’incremento della tensione avviene tramite la variazione, in base ad una logica
operistica; il tutto avviene non tramite l’elaborazione motivica, ma tramite una
sorta di “sinfonizzazione della scrittura pianistica”.
4) La ripresa del materiale tematico avviene nell’ottica del creare un climax finale,
che precede una coda basata su temi nuovi.

A questa visione aggiunge poi quella che emerge da Chopin, the four ballades21 di Jim
Samson. Secondo lui “l’intento chopiniano è quello di recuperare/attualizzare la forma-
sonata mediante una sua ricontestualizzazione”22, e ciò avviene tramite lo sfruttamento
di materiali “bassi” o “popolari” facilmente comprensibili da parte del pubblico (come
ad esempio l’uso di temi pastorali all’interno della quarta ballata). Inoltre per poter
parlare della ballata come genere, bisogna riuscire a trovare un filo conduttore fra le
quattro ballate in modo tale da poter scorgere una sorta di riflessione progressiva, che
partendo da elementi comuni, abbia dato poi nelle varie ballate esiti diversi. Gli
elementi comuni alle quattro ballate sono:

1) L’utilizzo di una parte introduttiva, a cui viene affidata l’esposizione del primo
gruppo tematico.
2) La presenza di due temi contrastanti dalla natura non sonatistica ma popolare; si
tratta di un bitematismo peculiare in cui il rifarsi a generi bassi rende la
comprensione della forma accessibile a tutti.
3) L’interazione tematica avviene tramite la logica dell’intreccio (plot archetype),
piuttosto che alla logica formale (formal archetype) tipica della sonata.

21
Jim Samson, Chopin, the four ballades, Cambridge University Press, Cambridge, 1992.
22
Marino Pessina, Le ballate per pianoforte di Fryderyck Chopin. Contesto, testo, interpretazione, Lucca,
Libreria Musicale Italiana, 2007, p.150.

20
4) Lungo il proseguire della ballata avviene un’accumulazione progressiva di
tensione, in cui la ripresa funge da amplificatore per espanderla in un climax
che poi termina nel finale della coda.

Infine Samson conclude dicendo che nonostante queste quattro caratteristiche


accomunino in maniera inequivocabile le quattro ballate, non bisogna dimenticare che
esse fanno parte di un mondo generico a cui si rifà Chopin, e che perciò non fanno parte
di un genere convenzionale in cui le aspettative create dal nome (forma sonata ad
esempio) portano l’ascoltatore ad aspettarsi determinate consuetudini musicali. Se la
forma sonata è stata standardizzata come bitematica e tripartita, il termine ballata pone
non pochi interrogativi riguardo al materiale musicale che ci si aspetta di trovare al suo
interno.

21
3. Le Ballate Op. 23 e Op. 52

3.1 La struttura della prima ballata in Sol minore

Per parlare delle caratteristiche narrative della Ballata Op. 23, può essere utile
analizzarla innanzitutto in un’ottica formalistica. Di seguito propongo una visione del
suo insieme e delle singole parti derivata dalla lettura del saggio di Berger The Form of
Chopin’s “Ballade” Op 2323, e dal già citato volume dedicato alle ballate di Pessina (e
va ovviamente associata allo spartito, che per motivi di spazio non può essere inserito
all’interno della tesi).

Secondo Berger l’analisi della forma di un’opera musicale si deve basare su due fattori:
tonalità e temi24. In quest’ottica la forma musicale è il risultato di un piano tonale, ossia
una successione di aree stabili ed instabili (riposo e tensione), e di un piano tematico,
ossia una successione di esposizioni, sviluppi e ricapitolazioni tematici. Il brano inizia
con un Largo in 4/4 di 8 battute, seguito poi dal Moderato in 6/8 (che rappresenta la
parte principale in cui si articola il discorso musicale, e che va da battuta 9 a battuta
208) e infine si conclude con un Presto con fuoco, ossia la coda in tempo tagliato (da
battuta 209 a 264). Nella seguente analisi, seppur Berger non utilizzi la denominazione
dei temi, mi prenderò la libertà di nominare ciò che ritengo fra i temi principali con P,
fra i temi di transizione con T, e fra temi secondari con S, basandomi sul metodo di
analisi adottato dal manuale di Storia della Musica Occidentale25 secondo cui il
materiale tematico della forma sonata viene analizzato in questo modo.

L’introduzione parte con materiale tonale appartenente ad un Lab in primo rivolto (bII
grado di Sol minore), da cui emerge attorno a battuta 3 materiale appartenente alla
dominante, ossia il Re (V grado). Si tratta di un inizio riluttante che non presenta nulla

23
Karol Berger, The Form of Chopin’s “Ballade”, Op. 23, «19th-Century Music», Vol. 20, n. 1, Estate
1996.
24
Il tema è considerabile come la più piccola unità di significato, che si parli di letteratura o musica.
Concetti come “temi” e “tesi” sono alla base di ogni processo di astrazione. Si veda David Neumeyer,
Thematic Reading, Proto-backgrounds, and Registral Transformations, «Music Theory Spectrum», Vol.
31, n. 2, Primavera 2009.
25
Mario Carrozzo – Cristina Cimagalli, Storia della musica occidentale. Vol. 3, Roma, Armando, 2009.

22
se non accenni a cadenze, lasciando la tonalità sospesa. A battuta 9 inizia il primo
periodo importante, il Moderato, che in qualche modo presenta tracce della tradizione
derivata dall’Allegro della forma sonata, e si prolungherà fino a battuta 90. Esso
presenta due frasi molto bilanciate, una che va da battuta 9 alla 36 (8 + 20 battute), e
una da 68 a 82 (8 + 7 battute). Queste due frasi terminano entrambe con delle appendici
che ne prolungano la cadenza finale alla tonica: la prima è seguita dalle appendici a
battute 36-44, 45-48 e 49-56, mentre la seconda dall’appendice a battute 83-90. Le due
frasi sono inoltre collegate da un tema di transizione che va da battuta 56 a 67.

Analizzando più a fondo questo primo periodo possiamo dire che a battuta 9 inizia di un
primo tema fondamentale (1P), in cui viene affermata la tonalità di Sol minore
attraverso un passaggio dalla settima di dominante. A battuta 16 inizia una ripetizione
del primo tema (1P’), che viene dilatato in 20 battute piuttosto che 8, e presenta un
pedale di dominante che parte da battuta 31 e si prolunga fino a battuta 36. A questo
punto vi sono le tre appendici (considerabili come 2P, 3P, 4P), che portano ad un tema
di transizione che parte a battuta 56: come si può notare però, non avviene alcuna reale
modulazione, ma soltanto un movimento cromatico sulla mano sinistra. A battuta 68
inizia la seconda frase/conseguente, con un tema (1S) in Mib maggiore (una tonalità
preparata dalla dominante della dominante) a cui segue una momentanea cadenza al
quinto grado alle battute 70 e 71. A battuta 76 inizia una variazione del tema appena
presentato (1S’), che si conclude con la prima vera cadenza a battuta 82. A questo punto
inizia la sua appendice (2S) che terminerà a battuta 89 chiudendo il primo periodo del
Moderato. Per Jim Samson (come riportato da Pessina nel suo volume26) il
collegamento con la forma sonata è qualcosa di imprescindibile, e tutta questa sezione
appena discussa può perciò rappresentare l’Esposizione. Ricapitolando: introduzione
(batt. 1-8), primo blocco tematico in Sol minore (batt. 9-55), transizione (batt. 56-67),
secondo blocco tematico apparentemente in Mib (68-90).

Se quindi la tipica Ripresa chopiniana prevede un recupero solamente della seconda


parte del materiale tematico dell’esposizione, ci si aspetterebbe di trovare una ripresa
più o meno letterale delle battute 68-90: questo è ciò che accade da battuta 166 a 188.

26
Marino Pessina, Le ballate per pianoforte di Fryderyck Chopin. Contesto, testo, interpretazione, Lucca,
Libreria Musicale Italiana, 2007, pp. 86-87.

23
Ciò che accade però fra Esposizione e Ripresa (battute 91 – 166) e subito dopo la
Ripresa (battute 189-208) non ha alcun tipo di spiegazione all’interno della tradizione
sonatistica.

A battuta 91 inizia il secondo periodo con una sorta di transizione: da battuta 94 inizia
un pedale di dominante che si prolungherà per 13 battute, nel tentativo di preparare una
cadenza non perfetta in La (considerato da Berger enarmonicamente come Sibb). Tale
cadenza avverrà fra le battute 106 e 107, battute in cui inizierà la seconda parte di
questa sezione di transizione. Essa è l’unica parte dell’opera a non avere richiami in
seguito, ma di fatto si tratta di una enfatizzazione delle battute 68-82: se il tema partito a
battuta 68 era in piano, qui viene riproposto in fortissimo con un impiego ben più ampio
dei diversi registri ed ottave del pianoforte. A battuta 106 con una settima di dominante
inizia il tema 1S, seguito dal tema 1S’ a battuta 114. Non si tratta di una ripresa
letterale, ma di un ampliamento attuato anche attraverso modulazioni: a battuta 119
inizia un passaggio dalla forte instabilità armonica che porta ad un pedale di dominante
in Mib a battuta 126: tale percorso armonico non può che creare grande instabilità,
essendo passati dal Sibb al Mib (due note legate da un rapporto di quinta diminuita).
Tale pedale di dominante si prolungherà per 12 battute, e per disegni ricorda vagamente
la ripresa che inizierà a battuta 166. A battuta 138 inizia l’episodio centrale dell’opera,
nonché l’ultima sezione della transizione. Esso si concluderà con un pedale di
dominante che si prolungherà per 9 battute da battuta 158. Questo episodio centrale è
costituito da tre incisi da 4 battute ciascuno più l’inciso finale da 17 battute. Questa
sezione per Jim Samson rappresenta lo Sviluppo.

A battuta 166 inizia quindi la ripresa, che si prolungherà fino a battuta 188, tentando di
disegnare un discorso armonico che ritorni verso il Sol minore. A battuta 189 inizia però
una seconda transizione che da battuta 194 presenterà un pedale di dominante che si
prolungherà fino a battuta 207, dove avverrà una cadenza V-I che porterà all’inizio del
Presto con fuoco. Si tratta di un enorme tema cadenzale, una sorta di coda in Sol
minore, che da battuta 238 presenterà un ultimo pedale di dominante, che prolungandosi
per 12 battute porterà all’ultima terribile cadenza realizzata a battuta 250 e prolungata
fino alla fine del brano. La forma della Coda consiste in due incisi da 4 battute, uno da 9
ed uno da 27 con appendice di 15: similmente all’episodio centrale è costituito da tre
incisi brevi seguiti da uno molto più grande. La forma della Ballata può essere riassunto

24
come nella tabella 1, in cui la prima colonna indica il numero di battuta, la seconda il
tipo di tema presente in esso (legenda: I = introduzione; P = tema principale; S = tema
secondario; T = tema di transizione; C = tema cadenzale; E = nuove idee tematiche; K =
coda), la terza una brevissima descrizione della sezione e la quarta la tonalità in cui si
articola la frase.

Terminata l’analisi formale, da questo quadro d’insieme Berger trae quattro conclusioni
fondamentali27 (egli non fa però riferimento all’analisi attuata da Samson relativamente
alle interazioni con la forma sonata). Innanzitutto Chopin sembra prediligere la
creazione di frasi da 8 battute: ciò accade per il primo inciso del primo blocco tematico
(1P) per essere però disatteso subito nel secondo inciso (1P’). La dilatazione di questa
frase a 20 battute piuttosto che 8 sembrerebbe andare contro la visione dell’opera come
una forma musicale orientata verso il climax finale, ma se si considera il carattere del
secondo blocco tematico (composto dai brevi incisi 1S e 1S’), si può capire come la loro
brevissima durata favorisca l’indebolimento del senso di completezza, per portare
l’opera a continuare il suo discorso interno. Una regola diversa sembra invece governare
l’episodio centrale e la coda, in cui viene prediletta la creazione di incisi da 4 battute,
per poi concludere con un ultimo inciso molto più grande: qui viene affermata
l’importanza del finale delle sezioni, contribuendo a creare il senso generale di un
discorso che punta continuamente verso il finale empatico.

In secondo luogo Chopin ha fatto in modo che il discorso musicale fosse articolato da
numerose cadenze, spesso rafforzate tramite appendici che ne prolungano l’ultimo
accordo (il tutto per contribuire al senso di continuità). Queste cadenze e appendici
inoltre sono state o collegate o separate dagli incisi successivi in modo da rendere
l’articolazione del discorso musicale più o meno forte. Oltre a questo pretesto
largamente usato in musica, l’autore ha inoltre attuato strategie più sottili, come ad
esempio quella di non cadenzare affatto: nell’introduzione non avviene attuata alcuna
cadenza, e la melodia che parte da battuta 1 è interrotta per essere parzialmente
recuperata da battuta 9 del moderato, battuta in cui avviene anche la prima cadenza.
Qualcosa di simile avviene anche durante la transizione: il che suggerisce che lo scopo

27
Karol Berger, The Form of Chopin’s “Ballade”, Op. 23, «19th-Century Music», Vol. 20, n. 1, Estate
1996, pp. 50-53.

25
di Chopin sia quello di fissare la forma senza brusche fermate attorno alla cadenza, per
suggerire si i punti di articolazione, ma senza impedire la corsa verso il finale.

Introduzione (Largo)
1 I Introduzione dal carattere di recitativo.
Esposizione (Primo periodo del Moderato)
9 1P + 1P’ Primo blocco tematico (8 + 20 battute) Sol
36 2P Prima appendice
45 3P Seconda appendice V di Sib
49 4P Terza appendice
56 Falso T Tema di transizione
68 1S + 1S’ Secondo blocco tematico (8 + 7 battute) Mib
83 2S Prima appendice del secondo blocco
Sviluppo (secondo periodo del Moderato)
91 T Prima sezione della prima parte della transizione
95 Seconda sezione della prima parte della transizione V di La
106 (1S + 1S’) Seconda parte della transizione La
126 C Tema cadenzale della transizione V di Mib
138 E Episodio Centrale dell’opera, con andamento di valzer Mib
Ripresa (terzo periodo del Moderato)
166 1S + 1S’ Secondo blocco tematico (8 + 7 battute) Mib
181 2S Prima appendice del secondo blocco
189 T Prima sezione della prima parte della transizione
195 Seconda sezione della prima parte della transizione V di sol
Coda (Presto con fuoco)
208 K Tema cadenzale finale Sol
Tabella 1.

26
In terzo luogo Berger nota come le cadenze perfette siano state usate dall’autore
solamente per chiudere sezioni della ballata stabili a livello armonico, mentre cadenze
imperfette per le sezioni instabili, che hanno la funzione di preparare l’entrata in scena
delle successive sezioni stabili. Ciò non accade solamente nell’episodio centrale, in cui
viene lungamente preparata una cadenza perfetta che non avverrà (l’episodio si
conclude su un pedale di dominante, e la cadenza perfetta avviene all’inizio del
successivo episodio, fra battuta 166 e 167, a Ripresa iniziata).

Egli nota infine che la potenza di una cadenza dipende da quanto a lungo viene
prolungata una dominante, e identifica in questo elenco le dominanti di maggior durata:

 Battute 94-106 (13 battute); ossia la parte finale della prima sezione della
transizione che conduce dall’Esposizione all’episodio centrale.
 Battute 126-137 (12 battute); ossia la parte finale della seconda parte della
suddetta transizione.
 Battute 158-166 (9 battute); ossia la cadenza che unisce l’episodio centrale alla
Ripresa, di cui si è precedentemente parlato al punto tre del discorso di Berger.
 Battute 194-207 (14 battute); ossia la parte conclusiva della seconda transizione.
 Battute 238-249 (12 battute); l’ultima cadenza dell’opera.

Da questa analisi è evidente che il discorso musicale venga articolato dopo


l’Esposizione (in cui vengono presentati i materiali tematici) attraverso una successione
di forti cadenze. È inoltre da notare però che solo l’ultima cadenza dà l’impressione di
chiudere un discorso: oltre alla dominante prolungata per preparare la cadenza, essa è
dotata di un’appendice che prolunga la tonica a cadenza oramai avvenuta. Tutto ciò
serve a dare l’impressione di un discorso che lungamente cerca di raggiungere una
conclusione, che però viene disattesa numerose volte nonostante i tentativi per poi
giungere solamente alla fine.

27
3.2 Una forma sonata anomala

Continuando nella sua analisi, Berger affronta il “perché” Chopin abbia attuato
determinate scelte formali per la sua ballata, ritenendo tale argomento ben più
interessante del “cosa” la ballata sia (questione che ormai dovrebbe esser stata chiarita).
È infatti ormai evidente che la forma dell’Op. 23 in Sol minore abbia degli stretti legami
con la tradizionale forma sonata, ed osservando il suo piano armonico (tabella 1) si può
notare come le aspettative e promesse legate a tale forma siano soddisfatte per quanto
riguarda il primo periodo/Esposizione: un primo blocco tematico introduce la tonalità
fondamentale (sol minore), ed un secondo blocco tematico raggiunto da una transizione
introduce la seconda tonalità (Mib). Ciò in cui si differenzia però è innanzitutto il
ritorno alla tonalità principale, che viene ritardato fino alla coda, attraverso la
riaffermazione della tonalità secondaria quando ci si sarebbe aspettato un ritorno alla
tonica. Il ritorno al sol minore quindi non avviene durante la ricapitolazione del
materiale tematico (Ripresa), ma solamente all’inizio del Presto con fuoco: si tratta
dell’ennesimo tentativo di costruire un discorso retorico in grado di caricare la maggior
parte della tensione sul finale.

Un’altra caratteristica degna di nota è il carattere vagante della tonalità


nell’introduzione. Come già accennato, l’introduzione presenta una gravitazione attorno
al V grado di sol minore, che pian piano fuoriesce dall’inizio con sesta napoletana della
prima battuta (si tratta di un bII grado in primo rivolto): questo inizio è tanto incerto e
debole quanto il finale sarà empatico e forte. La riluttanza a modulare e affermare nuove
tonalità è qualcosa che continuerà ad essere presente lungo tutta l’opera, ed è
osservabile fin dall’Esposizione. Ad un primo blocco tematico in sol minore infatti
seguono ben tre appendici dedite a ritardare il momento in cui la modulazione avverrà, e
il tema di transizione che dovrebbe rappresentare il ponte modulante non è altro che un
movimento cromatico al basso (da sol in battuta 56, a solb in battuta 62 e fa in battuta
63) che di fatto non riesce a preparare bene l’entrata della nuova tonalità di Mib, che
non risulta perciò ben affermata (ad una sorta di cadenza in Mib a battuta 69 segue un
altro accenno di cadenza in Sib a battuta 71). In qualche modo la mancanza di spinta
armonica viene compensata secondo Berger tramite un passaggio senza soluzione di
continuità da una tonalità all’altra. Questa tendenza a non modulare è confermata anche

28
nella parte più instabile dell’opera, la transizione fra Esposizione ed episodio centrale
che rappresenta un ritorno al Mib piuttosto che un allontanamento da essa.

Per quanto riguarda il piano tematico come abbiamo già detto la ballata può essere
considerata affine alla tradizione sonatistica, presentando due blocchi tematici in
tonalità diverse, e persino la ripresa di parte di questi materiali. Ciò in cui è differente
però è che la ripresa tematica non coincide con una ricapitolazione armonica (Ripresa
nella seconda tonalità, non nella principale!); inoltre l’episodio centrale dell’opera e la
coda presentano nuovi materiali tematici (impensabile per la forma sonata classica!).
Queste due caratteristiche sono estremamente interconnesse secondo Berger: è di fatto
la presentazione di materiali tematici in tonalità secondaria a richiedere che il discorso
musicale continui e venga ampliato. In quest’ottica l’episodio centrale e la coda servono
a concludere il discorso, e lo fanno attraverso una struttura tematica simile: aabb’, dove
il primo inciso viene ripetuto dal secondo, ed il quarto vorrebbe ripetere il terzo ma
risulta essere un’esplosione incontenibile di energia che finisce per prolungarne la
declamazione (come già affermato in precedenza il quarto inciso è in entrambe le
sezioni quello più lungo).

In definitiva l’elaborazione tematica e l’instabilità armonica sono relegate


esclusivamente alle due transizioni, e per il resto l’opera sembra riaffermare
continuamente le proprie idee piuttosto che svilupparle. In quest’ottica il secondo
blocco tematico, il più utilizzato, può essere considerato quasi alla pari di un refrain.

3.3 Forma narrativa o forma lirica?

“Il fatto che io possa parafrasare le parole ‘Essere o non essere, questo è il dilemma’ non vuol
dire che io possa spiegare in maniera inequivocabile di cosa parli l’intero soliloquio, né tanto
meno l’intero dramma. Il fatto che io non possa dire che gli spostamenti tra gli incongrui temi
traslati di una terza siano una specifica narrativa, non vuol dire che la Ballata manchi di peso
narrativo.”28

28
“The fact that I can paraphrase the words ‘To be or not to be, that is the question’ does not mean that I
can say unequivocally what the whole soliloquy is about, much less the whole play. The fact that I cannot
say that the Ballade’s shifting between incongruous themes in third-related keys is ‘about’ a specific

29
Con queste parole Lawrence Kramer tenta di dare una giustificazione all’utilizzo
copioso fatto dalla cinematografia della Ballata Op. 23 in Sol minore. Egli pensa che
l’aver associato tale musica a immagini in movimento con esiti brillanti funga come la
più brillante e intuitiva prova della narratività intrinseca di tale opera. Andando più a
fondo però, come si sviluppa il principio narrativo alla base di quest’opera?

Secondo Karol Berger29 nel momento in cui si affronta l’analisi di un’opera lunga
(come la ballata per l’appunto) bisogna affrontare la modalità in cui il discorso musicale
viene formulato. Bisogna perciò chiedersi: quanto una frase termina, da che cosa è
seguita? Esiste una distinzione di fondo infatti fra opere in cui una frase viene seguita da
un’altra frase, ed opere in cui una frase è conseguenza dell’altra: tale distinzione
rappresenta le forme antitetiche liriche o narrative. In una forma lirica (o atemporale)
perciò le frasi si succedono secondo il principio della necessità, mentre in una forma
narrativa (temporale) le frasi si susseguono in un ordine determinato dal principio di
causa ed effetto: ogni frase è dotata di una funzione particolare, e frasi successive
devono essere in qualche modo causate e preparate da ciò che è accaduto in precedenza.
Perciò nel momento in cui ascoltatore ed esecutore del brano si rendono conto di
trovarsi davanti ad un’opera di questo tipo, essi devono fare in modo di riconoscere la
maniera e i metodi con cui il lavoro è stato creato e diviso, cercando di dare una
funzione ad ogni singola parte dell’insieme. In quest’ottica non conta ciò che pensano
compositori, esecutori o ascoltatori, ma solo la forma ed il significato assunti dal mondo
che il compositore ha tentato di presentare all’interpretazione di ascoltatori ed esecutori.

Detto questo, Berger evidenzia come la mancanza di instabilità e di sviluppo tematico


all’interno della ballata possano far pensare all’opera come ad una forma lirica, vista
come successione di sezioni in cui l’ordine temporale e logico non abbiano l’importanza
che ci si sarebbe aspettati da questa forma musicale30. Una visione di questo genere però
risulta per Berger piuttosto riduttiva: il fatto che non avvenga uno sviluppo all’interno
della ballata, così come comunemente inteso all’interno di una forma sonata, non riduce
il carattere preponderante dell’elaborazione motivica, che risulta comunque fortemente

narrative does not mean that it lacks narrative import”. Da Lawrence Kramer, Music and Meaning,
«Musical Times», Vol. 144, n. 1883, Estate 2003, p. 9.
29
Karol Berger, The Form of Chopin’s “Ballade”, Op. 23, «19th-Century Music», Vol. 20, n. 1, Estate
1996, p 46.
30
Ibid., p56.

30
invasivo dalla prima all’ultima battuta. Ciò che accade di fatto è uno sviluppo diverso,
dove non contano più i temi con le loro successive elaborazioni (similmente a quanto
avveniva con gli sviluppi tematico-motivici di Beethoven ad esempio), ma materiali
tematici tutti ugualmente originali, strettamente interconnessi ma non derivati tra di loro
(nessun tema dello sviluppo è una diretta elaborazione di un tema precedente).

Basti pensare all’arpeggio che apre il tema 1P a battuta 8, che sembra in qualche modo
fare da eco all’arpeggio che apre l’introduzione alle battute 1-3, o persino all’arpeggio
ascendente che apre la prima appendice a battuta 36. Apparentemente questi temi sono
legati, ma si può andare più a fondo nella loro analisi. Per fare questo, Berger propone
delle riduzioni dei principali materiali tematici.

Figura 2

Egli parte dall’introduzione (figura 2). Come egli nota, il carattere fondamentale del
tema sia quello del lamento: un topos musicale presente da sempre in musica e
contraddistinto da un motivo discendente continuato. In questo caso possiamo notare
come le prime battute gravitino intorno al do basso, dopodiché l’attenzione si sposta
verso un registro più alto, e da battuta 3 si può notare un motivo discendente che parte
dal Do per fermarsi al Sib di battuta 7. Il carattere eclettico del tema discendente è dato
dalla scelta del Do come inizio della melodia: essendo il quarto grado di sol minore e
non facendo parte della triade costruita sulla tonica, risulta essere una scelta piuttosto
particolare.

Figura 3

31
La riduzione del primo blocco tematico attuata da Berger (figura 3) mette in luce una
natura strettamente polifonica del primo blocco di materiale tematico. Entrambi i temi
sono costruiti sullo stesso tipo di tema del lamento su cui si basa l’introduzione: il tema
1P (battute 8-16) può essere considerato una successione di due temi discendenti, il
primo che scende di una quinta (da Re a battuta 9, a Sol a battuta 13), il secondo di una
quarta (viene fatto un salto di ottava dal tema precedente, e si parte da un Sol a battuta
13, che arriva ad un do a battuta 16); il tema 1P’ ha un andamento diverso, ma disegna
dei lamenti discendenti che dal re (V grado) di battuta 17 portano al sol (I grado) di
battuta 36.

Analizzando in questo modo le tre appendici (2P, 3P e 4P), Berger evidenzia nel Do il
centro gravitazionale di questi temi, che a differenza del primo blocco tematico
presentano si motivi discendenti, ma dall’andamento decisamente più omofonico
(essendo spesso raddoppiati all’ottava più bassa). Il tema di transizione verso il secondo
blocco tematico presenta quarte e quinte vuote alla mano sinistra, che procedono verso
un tentativo di cambio di tonalità. Nonostante questo, Do e Fa rimangono le note
fondamentali attorno a cui gravita il materiale tematico.

Figura 4

Il secondo blocco tematico (figura 4) presenta diverse affinità col primo: innanzitutto
evidenzia la stessa natura polifonica, ed in secondo luogo è costruito allo stesso modo
utilizzando il topos del lamento. I temi 1S (battute 68-75) e 1S’ (76-82) sono a livello
melodico sostanzialmente identici: entrambi iniziano con un disegno polifonico che
coinvolge il fa ed il do, a cui seguono due motivi discendenti, il primo che va da Mib (I
grado) al Sib (V grado), ed il secondo che parte un’ottava sopra e va da Sib (V grado)
per tornare al Mib (I grado). Perciò nonostante non avesse apparentemente alcun legame
tematico col primo blocco tematico (apparentemente sembrava materiale

32
completamente nuovo), questa riduzione ne ha messo in luce alcune somiglianze molto
importanti.

L’appendice del secondo tema (2S), come le appendici del primo blocco, è desunto da
materiali di temi precedenti. In questo caso esso consiste in semplici sequenze di terze
discendenti per grado congiunto. Riassumendo questo primo periodo, Berger afferma
che le principali componenti del discorso narrativo che si articolerà lungo tutta l’opera
sono ormai state espresse: si tratta dell’interconnessione stretta fra i temi, e l’importanza
data a singole note in particole.

La fase di transizione iniziata a battuta 90 serve per spostare l’attenzione verso altre
note rispetto a quelle su cui si è soffermato il primo periodo (do, fa e infine mib), per
preparare l’arrivo del sib a battuta 106. Questa nota diventerà il punto di partenza della
melodia iniziata in questa seconda sezione della transizione, che di fatto sarà una ripresa
leggermente variata del secondo blocco tematico in una tonalità differente (figura 5).

Figura 5

Solo dopo che questo secondo blocco tematico è stato nuovamente enunciato, esso farà
spazio ad un motivo che graviterà attorno alle note dob-sib (battute 125-126), una sorta
di richiamo a ciò che era accaduto nell’introduzione con do-sib (battute 6-7).

L’episodio centrale iniziato a battuta 138 consiste in tre incisi da 4 battute ciascuno, più
un quarto molto più lungo e meno stabile tonalmente. Ciò conduce alla ripresa a battuta
166, che inizia con una ripresa quasi letterale dei temi del secondo blocco tematico
(battute 68-82). La transizione iniziata a battuta 189 non è una vera e propria
modulazione, dal momento che rappresenta un semplice spostamento dalla triade di mib
(battute 188-189) a quella di sol minore (190-192), spostamento che ha anche lo scopo
di cambiare l’attenzione dalla nota di sib a quella di re. Questo re in seguito passerà al
basso dove fungerà da pedale di dominante che condurrà alla coda.

33
La coda similmente all’episodio centrale è creato attraverso quattro incisi sintetizzabili
tematicamente con la forma aabb’. I primi due incisi prolungano il re facendolo passare
attraverso nuovi temi del lamento, e farlo arrivare a sib. Il terzo inciso continua la
discesa arrivando al sol.

Figura 6

L’ultimo inciso inizia, come dimostrato dalla riduzione attuata da Berger (figura 6) con
la ripetizione di un tema del lamento che va dal lab al sol (battute 224-227), e continua
con un tetracordo discendente che va dal fa al do (battute 228-230). Il passaggio
cromatico attraverso il do# per Berger serve a dare nuova enfasi al do finale, che torna
in questo modo ad avere un ruolo importante all’interno della composizione. Esso viene
infatti prolungato lungo le battute 230-234. A questo punto inizia quella che è
considerabile per lo studioso una vera e propria tragedia in senso aristotelico.

A prima occhiata si può notare tra le battute 234-235 un tetracordo discendente che va
dal do al sol, mentre sullo sfondo avviene uno spostamento dal do al re. Questo re verrà
prolungato all’ottava superiore a battuta 237, e un’altra ottava superiore a battuta 238
per poi essere trascinato tre ottave sotto a battuta 239. Nel frattempo la salita riprende
toccando il mi (battuta 240), il fa# (battuta 248) per poi concludersi al sol (battuta 250).

La funzione della parte conclusiva è quella di rinforzare questo senso di chiusura


raggiunta, e lo fa attraverso due scale di sol minori ascendenti (battute 250-252 e 254-
256) e dopo con una discesa cromatica (battute 258-252) combinata col moto contrario
alla mano sinistra (battute 258-259).

Riassumendo, la ballata si basa principalmente sulla presenza di temi del lamento uniti
all’ossessiva ripetizione della singola nota del do. La concatenazione di questi due
elementi porta alla necessità di cadenzare e ritornare alla tonalità principale, cosa che
viene puntualmente disattesa. Perciò il risultato arriva dopo una ricerca frustrante e lo fa

34
attraverso un passaggio IV-I (re - mib - fa# - sol) che avviene fra le battute 230 e 250
attraverso un motivo ascendente piuttosto che con motivi discendenti presenti in tutto il
brano.

A questo punto è evidente che la chiusura della ballata, per quanto empatica e
conclusiva, è catastrofica e non gioiosa: la narrazione si conclude positivamente
raggiungendo il suo scopo ultimo, quello di cadenzare in maniera perfetta, ma
l’obiettivo raggiunto ha come prezzo da pagare una sorta di morte eroica del
protagonista.

3.4 La struttura della quarta Ballata in Fa minore

A questo punto si può proseguire l’analisi con la quarta ballata in Fa minore. Anche in
essa è possibile ricercare collegamenti alla forma sonata, ma tenendo a mente che per
quanto possano essere trovate linee comuni fra le strutture formali delle quattro ballate,
non esiste un singolo modello in grado di spiegarne i meccanismi interni in maniera
inequivocabile (si veda il capitolo 2!). Nonostante questo si può affermare che la quarta
e la prima ballata condividano molte caratteristiche sia formali che espressive. Per la
seguente analisi formale mi rifaccio sostanzialmente al testo di Pessina citato più volte,
implementato da alcune considerazioni riscontrabili nel saggio di Michael Klein
Chopin’s Fourth Ballade as Musical Narrative31.
Similmente a quanto accadeva nella prima ballata, l’inizio dell’opera (in tempo ternario
composto) avviene attraverso una breve introduzione. Anche qui la tonalità è sospesa, e
gira attorno all’omologo maggiore del tono d’impianto (Fa), e la scrittura risulta più
contrappuntistica che armonica.
A battuta 7 inizia la sezione A, formata da tre frasi melodiche che stabiliscono la
tonalità d’impianto di fa minore: il primo inciso cadenza a Lab, il secondo e il terzo
cadenzano verso la dominante di sib minore. A battuta 23 inizia la sezione A’, che di
fatto rappresenta una prima variazione della sezione precedente, e a battuta 58, dopo un
finale piuttosto divagante del terzo inciso di A’, parte la sezione di A’’. Questa è una
31
Michael Klein, Chopin’s Fourth Ballade as Musical Narrative, «Music Theory Spectrum», Vol. 26, n.
1, Primavera 2004.

35
vera e propria ripresa di A, ma che avviene tramite variazioni dedite ad aumentarne
gradualmente la tensione. A battuta 72 inizia un moto cadenzale che porta poi
all’ingresso di nuovo materiale tematico, ossia la sezione B. Si tratta di un tema molto
diverso dal primo, e come evidenziato da Pessina32, presenta un innato senso pastorale,
una linea melodica meno incisiva ed un andamento armonico e ritmico piuttosto
indeciso. Si tratta di uno “sfogo lirico volutamente contenuto e insufficiente rispetto alle
aspettative create dalla sezione precedente”33.
A questa sezione che può essere considerata come l’Esposizione, segue da battuta 99
una sezione brillante, C, che introduce atmosfere nuove attraverso nuovi materiali
tematici. A battuta 121 recupera il terzo inciso del tema principale, per poi raggiungere
il climax tramite una combinazione contrappuntistica a battuta 125: al basso è presente
il tema principale, all’acuto il tema dell’introduzione, e nel mezzo vi è il tema della
prima variazione. Nella prima sezione di questo episodio vi è il punto di massima
instabilità tonale, con numerose modulazioni e tonalità toccate; la seconda parte basata
su tema principale e introduzione gravita attorno al V grado del Reb per poi arrivare al
Re. A battuta 125 viene ripresa l’introduzione in contesto modulante.
A questo punto a battuta 135, dopo una forte cadenza, viene introdotta la terza
variazione A’’’, che recupera il materiale del primo tema ma lo riorganizza in un’ottica
contrappuntistica e modulante. A battuta 152 inizia la quarta variazione A’’’’, che dal
punto di vista sensoriale risulta essere la vera e propria Ripresa, a cui segue da battuta
169 una variazione anche del secondo tema trasposto in Reb, ossia B’. Questo episodio
si conclude con un tema cadenzale dalla grande impronta virtuosistica, dedita ad
aumentare la tensione accumulata lungo il brano.
A battuta 211 inizia la Coda (così come l’avevamo trovata nell’Op. 23), ossia la sezione
D, che presenta nuovi materiali tematici e porta ad un’ultima cadenza conclusiva. La
forma complessiva della ballata può essere riassunto nella tabella 2 (Pessina individua
l’inizio della ripresa dalla variazione A’’’’, ma ritengo più adeguate le divisioni attuate
da Samson e Klein che la fanno partire da A’’’).

32
Marino Pessina, Le ballate per pianoforte di Fryderyck Chopin. Contesto, testo, interpretazione, Lucca,
Libreria Musicale Italiana, 2007, p. 132.
33
Ibid., p. 132.

36
Introduzione (Andante con moto)
1 (A) Introduzione che preannuncia materiale tematico de Do
Esposizione
7 A Primo inciso del primo blocco tematico. fa/Lab
13 Secondo inciso del primo blocco tematico. Lab/sib
18 Terzo inciso del primo blocco tematico. Sib
23 A’ Inserite variazioni e fioriture nei tre incisi. fa/Lab
27 Lab/sib
33 Sib
38 Episodio modulante che sviluppa motivi tematici di A.
58 A’’ Variazione in cui viene introdotto il controcanto ed un fa/Lab
62 andamento contrappuntistico. Lab/sib
68 Sib
72 Tema cadenzale
80 B Introduzione del secondo blocco tematico. Sib
84 Primo inciso del secondo blocco tematico.
88 Secondo inciso del secondo blocco tematico.
92 Ripreso primo inciso del secondo blocco tematico.
96 Ripreso secondo inciso del secondo blocco tematico.
Sviluppo
99 C Primo inciso del terzo blocco tematico. Sol
103 Secondo inciso del terzo blocco tematico. La
108 Terzo inciso del terzo blocco tematico. sol/fa
112 Quarto inciso, episodio brillante. Lab
117 Pedale di dominante. V di Lab
121 Pedale di dominante con materiale contrappuntistico di A. V di reb
Introduzione
125 (A) Ripresa introduzione ma con modulazioni.
Ripresa
135 A’’’ Variazione di tipo contrappuntistico ed assetto modulante. re/Fa
138 fa/Lab
142 lab/sib
147 Ripreso secondo inciso di A’ Sib
152 A’’’’ Variazione di due frasi che rimandano al genere del notturno. fa/Lab

37
156 Lab/sib
162 Fermata sulla dominante
169 B’ Tema trasposto e ampliato Reb
173
177 Seconda coppia esposta con scrittura più enfati. Il secondo inciso
181 presenta una progressione ascendente.
191 Grande cadenza strumentale. V di fa
Coda
211 D Tema cadenzale finale. Fa
Tabella 2.

3.5 Tempo lirico e tempo narrativo

Abbiamo già parlato di forma lirica (atemporale) o narrativa (temporale) nel momento
in cui ci siamo domandati quale fosse la natura alla base della Ballata Op. 23. Su tale
argomento però si possono aggiungere alcune considerazioni attuate da Michael Klein
nel già citato articolo34.

Secondo lui per quanto riguarda l’operato di Chopin, si possono associare a forme
liriche i notturni, i valzer e le mazurche (in generale tutte le opere dello Chopin più
salottiero), mentre si possono associare a forme narrative gli studi, i concerti e porzioni
delle polacche (in generale tutte le opere dallo spirito più virtuosistico). Nonostante
questa divisione, è indubbio come nello stile di Chopin trovino ugualmente posto la
cantabilità, lo stile brillante, tecniche barocche e musica folkloristica polacca (come
detto da Samson, e riportato da Klein nel suo articolo)35: è proprio per questo che forma
narrativa e lirica possono nelle sue opere alternarsi e richiamarsi, soprattutto in un
genere come la ballata che prevede spesso il passaggio da sezioni di lento lirismo a
sezioni dal grande carattere narrativo-virtuosistico.

34
Michael Klein, Chopin’s Fourth Ballade as Musical Narrative, «Music Theory Spectrum», Vol. 26, n.
1, Primavera 2004, p. 38.
35
Ibid, p. 38.

38
In particolare egli definisce la quarta ballata come una forma da “lirica a narrativa”, che
prevede passaggi da momenti stabili al climax più passionale. Secondo lui tempo lirico
e narrativo possono entrambi essere posti in correlazione col presente e col passato: se
l’esistenza di un narratore posiziona inevitabilmente i fatti raccontati nel passato rispetto
a dove si trova l’ascoltatore, si può in qualche modo coinvolgere l’ascoltatore in modo
da fargli vivere la storia come se la stesse subendo nel presente. Si possono avere perciò
quattro posizioni temporali: tempo narrativo nel presente (il tempo scorre nel presente),
tempo narrativo nel passato (il tempo scorre nel passato), tempo lirico nel presente (il
tempo è fermato nel presente), tempo lirico nel passato (il tempo è fermato nel passato).

Quindi nell’ottica del narratore il tempo può essere presentato in maniere diverse;
Chopin può ad esempio fermare l’azione per catalizzare l’attenzione su un’evocazione
poetica o sulla contemplazione di una scena nel passato. Allo stesso modo Klein
identifica nella sottodominante (IV grado) ciò che è in grado di rappresentare il passato
idealizzato nelle sezioni liriche.

Basti pensare alla quarta ballata, che inizia come una forma lirica. Il primo tema è in do
maggiore, e dopo aver toccato il fa a battuta 2, vede riaffermare il do a battuta 3. A
questo punto avviene una cadenza plagale che prolunga il do alle battute 6-7 (si veda la
figura 7 rappresentante la prima pagina della ballata). Il tempo è fermo al presente. A
questo punto inizia il tema del valzer in fa minore, ed essendo il do stato affermato così
bene, l’arrivo al fa è visto come un passaggio alla sottodominante (I-IV), piuttosto che
come una cadenza alla tonica (V-I). In quest’ottica è come se all’arrivo del primo tema
noi fossimo portati a guardare il passato: vi è alla base un’idea estetica diversa da quella
che governava la prima ballata (qui viene affermata l’esigenza di paragonare il presente
al passato). Riassumendo con le parole di Klein: “Ora (tema iniziale), inizio a trovare
consolazione e speranza, ma tempo fa (primo tema del valzer)...”36

Il tema continua in maniera ambigua, essendo presentato sia alla tonica alle battute 8-
10, sia alla sottodominante alle battute 18-20. Il ritorno alla tonica è attuato a battuta 22
dopo una sorta di cadenza in sib minore. Ben quattro variazioni di questo tema sono
presenti nell’opera; nella prima di queste il ritorno alla tonica è fermato da una
modulazione da sib minore a Solb a battuta 38: ciò è importante, soprattutto se si

36
“Now (motto), I begin to find consolation and hope, but back then (first theme)…” Ibid, p. 40.

39
aggiunge il significato che tale tonalità aveva ai primi dell’Ottocento, essendo spesso
associata al trascendentale e al profondo. A questo segue un momento di stasi che si
prolunga fino a battuta 46, stasi che accentua la tensione ancora di più sul passato con
un passaggio a mib minore a battuta 45 (siamo alla sottodominante della sottodominante
di fa!). A battuta 58 ritorna il tema del valzer in una variante introdotta per portare al
cambiamento verso il tempo narrativo.

Figura 7

40
A battuta 72 ormai è stato introdotto il tempo narrativo a tutta forza, e inizia una scala
ascendente che prepara a modulazioni (ogni variazione verrà interrotta nel suo ritorno
alla tonica attraverso una sezione narrativa). A battuta 129, dopo che le sezioni B e C
sono già state affermate, abbiamo un ritorno del tema iniziale in La: dopo l’articolazione
del discorso appena avvenuta siamo ritornati al punto iniziale. E non è un caso che
subito dopo riprenda il tema del valzer, questa volta in re minore: tono introspettivo, a
cui si tenta di dare una risoluzione autoritaria con la modulazione a Fa a battuta 138.
Inizia una zona piuttosto instabile tonalmente, che porta ad una riaffermazione di sib
minore a battuta 144.

Tornando indietro, possiamo notare che a battuta 80, subito dopo una breve sezione
narrativa, inizia il secondo tema (B). Il passaggio alla forma lirica viene in qualche
modo mitigato dal motivo discendente che conduce all’entrata del tema vero e proprio a
battuta 84. Si possono da subito notare caratteristiche in grado di far rientrare questo
tema all’interno del genere pastorale, anche se alle battute 86-87 sono presenti terze
minori piuttosto che le gioiose terze maggiori tipiche del genere. A battuta 89 c’è un
brevissimo passaggio alla sottodominante, che viene ripresa tra le battute 92 e 97 da un
disegno ascendente cromatico che accresce la tensione, piuttosto che diminuirla come
aveva fatto il motivo discendente a battuta 80. Dopo che il IV grado viene raggiunto a
battuta 97, esso viene prolungato per poi lasciare spazio a battuta 100 ad una nuova
sezione narrativa. Se lo scopo della prima ballata era quello di cadenzare, si può dire
che quello della quarta sia quello di trasformare questo secondo tema in un’apoteosi,
intesa come una ripresa arricchita di materiale già espresso in precedenza, e allo stesso
tempo impedire l’apoteosi del tema del valzer.

Per questo durante l’ultima comparsa del tema del valzer (battuta 152), che appare
ornamentato e fiorito nella melodia, il narratore ne interrompe il completamento. Dopo
aver enunciato i primi due incisi infatti, e dopo aver preparato un arrivo al Sib
(sottodominante di Fa) tramite un pedale di dominante tra le battute da 162 a 168, il
tema pastorale semplicemente ritorna in Reb (non preparato armonicamente).

Lo stile puramente virtuosistico di questa sezione (B’) indica che l’azione si sta
svolgendo con un tempo narrativo. A battuta 195, dopo alcuni accenni al voler spostare
l’armonia lontano dal Reb, compare un accordo in secondo rivolto di fa minore: si tratta

41
di un tipo di accordo che rappresenta un vero e proprio topos per la tragedia all’interno
della letteratura musicale. Dopo un tentativo di ristabilire la tonalità di Reb, si passa alla
sua sottodominante Solb, e a battuta 198 viene riaffermata la tonalità con una triade di
Reb. Dopo altri tentativi di sovvertire l’ordine tonale, il passaggio si conclude con una
triade di Do in fff (Klein evidenzia come sia un successo ironico l’esser riuscito a
modulare, vista la facile risoluzione che avrebbe questa tonalità di fronte ad un accordo
tragico di Fa minore come quello che ha dato inizio a questa sezione). I cambi ritmici e
dinamici, uniti all’andamento omofonico delle battute 203-210 indicano una sorta di
suggerimento religioso, a cui poi segue la coda, l’episodio conclusivo. La coda è
dominata da continui richiami al passaggio da Reb a Do avvenuto nell’apoteosi del
secondo tema. In questi richiami gli accordi di Reb hanno un valore timbrico piuttosto
che armonico, non hanno perciò peso sul piano tonale.

Tentando di trarre le somme, nella quarta ballata avviene un’opera di idealizzazione del
tema pastorale in opposizione al tema del valzer: i due temi possono essere visti come
una contrapposizione della vita di un’arcadia immaginaria a quella della città. La
ripetizione ossessiva di alcune parti indica una sorta di ciclo di fuga e ritorno: è come se
il protagonista fosse costantemente bloccato fra la decisione di spostarsi in campagna ed
il ritornare alla realtà. Il discorso articolato fra l’apoteosi del secondo tema (B’) e la
coda, in quest’ottica è una sorta di eroico e allo stesso tempo fallimentare ritorno alla
realtà. In un’ottica più tragica, è come se nemmeno l’arcadia vista come pensiero
consolatorio, potesse sconfiggere la presenza costante della morte37.

Per riassumere le interazioni fra principi narrativi, lirici e la struttura si guardi la tabella
3.

37
Un paragone con la seconda Ballata Op. 38 può risultare interessante. Anch’essa presenta un carattere
pastorale, ma presenta alcune differenze sostanziali. Nella quarta ballata, il paradiso dell’Arcadia viene
presentato come un’alternativa al mondo reale, che essendo irraggiungibile conduce ad una tragica
sconfitta nel finale. Il tema pastorale è inserito all’interno della struttura formale, e rappresenta
un’alternativa ontologica al tragico tema iniziale o al tema del valzer (possibilità poi disattesa). Nella
seconda ballata invece il tema pastorale viene presentato come situazione iniziale: ciò conduce ad un
senso di realismo diverso dal pastorale sognante della quarta ballata. Qui non vi è una possibilità che si
prospetta, ma una irrealizzabilità chiara già dalle prime battute. La Ballata Op. 38 si conclude perciò con
una sconfitta altrettanto dolorosa, se non di più. Si veda Michael Klein, Ironic Narrative, Ironic Reading,
«Journal of Music Theory», Vol. 53, n. 1, Primavera 2009, pp. 95-136.

42
Introduzione
1-6 Tema Forma lirica.
iniziale
Esposizione
7-22 A Forma lirica (tema del valzer)
23-57 A’ Forma lirica
58-99 A’’ Forma lirica + Forma narrativa
80-98 B Forma lirica + Forma narrativa (tema pastorale)
Sviluppo
99 C Forma lirica + Forma narrativa (tema virtuoso)
125 Tema Forma lirica
iniziale
Ripresa
135 A’’’ Forma lirica
152-168 A’’’’ Forma lirica + Forma narrativa (Tentativo di Apoteosi interrotto)
169-210 B’ Forma narrativa (Apoteosi)
Coda
211-239 D Forma narrativa (Tragedia)
Tabella 3.

43
Conclusioni

Partiti dalle teorie riguardanti la narratività musicale, abbiamo perciò concluso un


percorso che ci ha portato ad analizzare più da vicino le due ballate Op. 23 e Op.52.
Abbiamo visto come entrambe possedessero caratteristiche comuni come la somiglianza
con la forma sonata, e la presenza di una introduzione ed una coda, e abbiamo visto
come il principio narrativo fosse articolato nelle due opere in maniera diversa. Nella
ballata in Sol minore abbiamo la presenza di un tema del lamento, ed un’instabilità
armonica che tenta di essere continuamente superata attraverso una cadenza, che
avviene solo nel finale eroico: il prezzo da pagare per aver raggiunto tale obiettivo è la
morte. Nella ballata in Fa minore invece abbiamo una contrapposizione fra tema del
valzer e tema pastorale, che riassume in se il contrasto fra la città e la campagna: se
l’apoteosi avviene nel pensiero consolatorio di un’Arcadia felice, in ogni caso si finisce
per non poter sconfiggere il pensiero onnipresente della morte.

Perciò come si può rispondere in maniera definitiva alla domanda posta


nell’introduzione: può la musica strumentale narrare qualcosa senza l’utilizzo della
parola? Per rispondere si devono tenere a mente le parole di Karol Berger:

“Una narrazione strumentale, allora, non è un pezzo di musica a programma; essa non
disegna una storia in particolare o specifica. Ma nemmeno deve rimanere
completamente sconnessa da concetti non musicali. La sua forma temporale può essere
espressione di un senso generale di ‘come le cose son collegate fra loro’, e di come la
vita potrebbe andare”38.

38
“An instrumental narrative, then, is not a piece of programme music; it does not illustrate a specific,
particular story. But neither must it remain completely unconnected with non-musical human concerns.
It’s temporal form can be expressive of a general sense of ‘how things hang together’, of how life is likely
to turn out.” da Karol Berger, Chopin’s Ballade Op. 23 and the revolution of the intellectuals, Chopin
Studies 2, a cura di John Rink e Jim Samson, Cambridge University Press, 1994, p. 80.

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Diventa quindi possibile narrare una storia seppur in termini molto generali, storia che
va comunque carpita grazie a considerazioni ottenibili da fatti oggettivi evitando
qualsiasi tipo di interpretazione che faccia ricordo a troppi voli pindarici o divagazioni.

Un metodo per cogliere gli stimoli narrativi risulta sicuramente quello di tentare di
tentare cogliere i topoi musicali, essendo questi in grado di innescare un tipo ascolto
narrativo nell’ascoltatore. Inevitabilmente però per scorgere il tema del sospiro nella
prima ballata, o il carattere pastorale del secondo tema nella quarta ballata bisogna avere
un certo background alle spalle: bisogna avere presente tanto il lamento della ninfa di
Monteverdi, quanto il panorama folkloristico della musica polacca. Non per questo la
musica è da tacciare come arte poco liberale: si tratta di un discorso analogo a quello
della letteratura o di qualsiasi altro tipo di forma artistica. Nel momento in cui in un
testo poetico cito Morella, Laura o l’Arcadia stessa, presuppongo da parte del lettore un
lavoro di decifrazione che avverrà soltanto se il lettore conosce Edgar Allan Poe,
Petrarca e le Bucoliche di Virgilio.

Spetta infatti al lettore in ultima istanza ricostruire, come specificato da Byron Almén
nell’articolo ampiamente citato nel capitolo 1, basti pensare al flusso di coscienza di
James Joyce che eliminando ogni forma di effetto di reciprocità o causa-effetto, pone
sulle spalle del lettore il compito di ricostruire in toto il testo letterario: la ricostruzione
del significato avverrà tanto più facilmente quanto più è ampio il background di chi sta
leggendo (se una persona legge come prima opera Ulysses potrebbe non essere in grado
di muoversi bene attraverso i suoi testi, ma se esso è un lettore seriale potrebbe cogliere
subito quanto sta leggendo, sapendo meglio come muoversi). Questo è il bello dell’arte,
che permette agli appassionati di potersi porre in una situazione di vantaggio: in quanto
futuro lavoratore dell’ambito della cultura, devo avere la consapevolezza che tanto più
approfondisco e studio, tanto più facilmente mi sarà facile muovermi attraverso ciò che
farò (nel mondo dell’arte non bisogna ragionare per compartimenti stagni).

Per quanto riguarda il tema della narratività musicale, riprendo ciò che ho detto
nell’Introduzione. Le altre due Ballate di Fryderyk Chopin non sono state qui
analizzate, ma inevitabilmente potrebbero essere poste sotto questa lente
d’ingrandimento costituita dalla ricerca di strategie narrative, e allo stesso modo molte
altre fra le sue opere possono analogamente essere trattate in questo modo (dalla

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Polonaise-Fantasie, ai Notturni, agli Studi, ecc). Come evidenziato in precedenza
un’ottica del genere può dare un punto di vista interessante e privilegiato su tutta la
musica Romantica, in cui ciò che è vero per l’interiorità finisce per essere vero
nell’opera musicale, e nemmeno affrontando tutta la musica Romantica con tale tipo di
approccio l’argomento potrebbe essere considerato esaurito: basti pensare alle correnti
sviluppatesi durante il Novecento, come il Simbolismo, i Fauves, l’Impressionismo o
addirittura l’Espressionismo; cosa potrebbe succedere applicando un’analisi narrativa a
musica così complessa dal punto di vista estetico? A parer mio quindi l’argomento
rimane ancora vastissimo, e visto il particolare interesse e suggestioni che esso può
suscitare è ben lontano dall’essere abbandonato o oscurato all’interno dell’ambito
musicologico.

46
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